Percezione dei suoni nel mondo animale

Percezione dei suoni nel mondo animale

 

 

 

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Percezione dei suoni nel mondo animale

 

I suoni nella comunicazione animale

 

La comunicazione serve per modificare il comportamento di un individuo ricevente. Ad esempio un segnale d’allarme induce in un conspecifico una postura d’attenzione. I segnali comunicativi possono essere diretti anche a specie diverse; si pensi all’atteggiamento terrifico assunto da molte specie di mammiferi contro i predatori o competitori, che si ottiene drizzando il pelo dorsale e inarcando il dorso; sono senz’altro più familiari gli atteggiamenti di richiesta del cibo messi in atto dagli animali domestici al fine di condizionare il nostro comportamento a loro favore; oppure l’inequivocabile messaggio contenuto nel ruggito del leone (Fig. 10).

 

Gli animali utilizzano una vasta gamma di segnali per comunicare tra loro. Tra essi la comunicazione acustica ha il vantaggio di raggiungere grandi distanze ed è tanto più utile quando più il campo visivo è limitato. Così in alcuni tipi d’ambiente la comunicazione ottica ha scarsissimo significato. In effetti, in un bosco il fogliame degli alberi e delle piante del sottobosco rendono molto arduo localizzare a distanza altri organismi viventi; analoga situazione si verifica nel mare, in cui la radiazione luminosa è rapidamente assorbita, mentre il suono si può propagare per distanze anche molto superiori al mezzo aereo.
Naturalmente un’emissione acustica diventa un mezzo di comunicazione solo se viene emessa in determinate circostanze e, recepita da un altro animale, ne induce una risposta comportamentale.

 

 

Produzione dei suoni

 

Nonostante la potenziale utilità e l’efficacia dei segnali acustici, la comunicazione sonora è un evento molto sporadico nel regno animale, essendo praticamente limitata agli insetti e ai vertebrati. Tra i vertebrati alcuni pesci sono in grado di produrre suoni; essi sono percepiti dall’orecchio umano come ronzii, soffi, gracidii, grugniti (Fig. 11). La comunicazione sonora è, invece, molto diffusa tra gli anfibi anuri. Ben noto è il gracidio delle rane che può raggiungere distanze considerevoli perché emesso con notevole intensità. Nei rettili la comunicazione sonora è nota in molti gruppi, tra cui i gechi sono sicuramente quelli che presentano una propensione più spiccata verso l’emissione dei suoni (Fig. 12). Tuttavia, seppur più raramente anche i loricati producono suoni, sotto forma di ruggiti durante l’attacco alla preda e i cheloni possono emettere brevi fischi durante l’accoppiamento. Gli uccelli sono ben noti per la loro varietà di canti e versi, peraltro spesso con dialetti locali. Essi sono anche degli ottimi imitatori, come le cince che possono riprodurre in parte i versi delle altre specie; o i pappagalli e i merli indiani che imparano a riprodurre anche alcune parole del linguaggio umano. Tra i mammiferi quasi tutti producono suoni frequentemente e tra essi i più loquaci sono certamente i carnivori e i primati. Essi ne emettono una varietà enorme ognuno dei quali ha un suo significato nella comunicazione. Così si possono sentire bramiti (es. cervidi), ruggiti (es. felidi), nitriti (es. equidi), squittii (es. roditori), ululati (es. canidi), fischi (es. cetacei).

 

Tra gli invertebrati gli ortotteri e gli emitteri sono ben noti per il frinire estivo dei grilli (Fig 14) e delle cicale. Questi suoni si possono udire a notevoli distanze, perché sono spesso presenti sistemi di amplificazione strutturali. In alcuni casi i grilli scavano tane in modo da dargli forme che amplificano il suono.

 

C’è da dire che molti suoni sono al di fuori della soglia dell’udibile umano che nelle migliori condizioni va dai 20 ai 20.000 Hz. E’ il caso di molti cetacei o pipistrelli le cui emissioni sonore possono essere registrate solo mediante una strumentazione particolare (es. bat detector) e ascoltati dopo essere stati trasformati. In seguito all’analisi degli ultrasuoni degli animali sono anche stati costruiti degli apparecchi che dovrebbero emettere ultrasuoni in grado di disturbare gli animali indesiderati. Tuttavia, essi hanno al momento scarso successo per le notevoli capacità adattative degli animali bersaglio, che possono abituarsi ai suoni.

 

L’intensità e la frequenze dei suoni emessi dai cetacei sono molto variabili anche all’interno della stessa specie. I cetacei e i pipistrelli sono in grado di emettere dei suoni con frequenze altissime nel meccanismo di ecolocalizzazione. Sono stati registrate frequenze fino a 150.000 Hz in alcuni cetacei e insetti e leggermente inferiori nei pipistrelli. Comunicazioni nell’ambito dell’ultrasonico sono anche noti in ratti, gerbilli e criceti, ma il significato di questi segnali non è del tutto chiaro. Anche i cani e i gatti sono in grado di percepire gli ultrasuoni, probabilmente perché anche le loro prede comunicano in questo modo e, quindi possono localizzarle. Alcuni esperimenti hanno evidenziato che il gatto risponde a suoni fino a 60.000 Hz ed è noto che molti roditori emettono suoni con frequenza fino a 50.000 Hz. Il cane arriva a percepire frequenze di circa 35.000 Hz.

 

A parte il meccanismo di ecolocalizzazione che richiede frequenze elevate, i cetacei nella normale comunicazione emettono suoni con frequenze più basse: gli odontoceti comunemente usano frequenze intorno ai 25.000 Hz, mentre i misticeti 5.000 Hz. Tuttavia, per le comunicazioni a lunga distanza i cetacei più grandi possono anche usare infrasuoni nell’ordine di poche decine di Hz. I suoni a bassa frequenza sono meno assorbiti e viaggiano a lungo; inoltre, la trasmissione a distanza è favorita anche dalla notevole potenza con cui sono emessi: nel capodoglio (Fig. 15) e nella balenottera comune sono state registrate punte di quasi 200 dB. Se poi i suoni sono emessi nel canale SOFAR, allora essi arrivano a centinaia di chilometri di distanza. Comunicazioni a bassa frequenza sono anche comuni negli elefanti; essi emettono suoni al di sotto dei 20 Hz, perciò non udibili per l’uomo, che si diffondono per alcuni chilometri. I piccioni sono in grado di percepire infrasuoni fino a 0,05 hz.

 

 

Significato della comunicazione sonora

 

L’emissione dei suoni può avere diversi significati. In molti casi il messaggio è stato ampiamente studiato e decifrato dai ricercatori. Noi stessi spesso usiamo un codice sonoro per comunicare con i nostri animali domestici per indurre determinati comportamenti. Così, un fischio può essere un richiamo di ritorno per il proprio cane, o un urlo un incitamento per il cavallo. Ciononostante il significato di alcune emissioni sonore resta ancora un mistero. Basti pensare a questo proposito alla enorme varietà di suoni emessi dai cetacei di cui solo in parte ne conosciamo il senso.
I segnali sonori possono avere diverse funzioni. Di seguito sono riportati alcuni esempi che comprendono le principali vie comunicative del suono.

 

 

Segnali di minaccia e Territorialità

 

I segnali di minaccia sono emessi con l’intento di scongiurare un pericoloso scontro fisico, che potrebbe determinare seri danni fisici. La potenza dell’emissione sonora di regola è proporzionale alla stazza dell’animale e al suo stato emotivo. Quindi, di solito uno dei due contendenti rinuncia alla lotta ritirandosi dopo aver valutato l’avversario più forte, o più determinato e aggressivo. La situazione è quella che si crea quando nella nostra specie sono emesse delle urla in una controversia.

 

Molti segnali sonori sono volti a comunicare la proprietà di una certa area, senza arrivare necessariamente all’individuazione visiva dell’eventuale intruso. Difendere un determinato territorio è molto vantaggioso, perché assicura una fonte di cibo da non dividere con altri e talvolta, anche il controllo delle femmine che lo abitano. Il segnale può essere diretto ad un conspecifico, oppure a membri di specie diverse. Spesso la manifestazione acustica è accompagnata da altri messaggi che rafforzano l’efficacia del gesto. Si pensi ad un elefante inferocito che mentre emette il suo barrito carica l’avversario agitando le orecchie e la proboscide (Fig. 16). Si tratta di un segnale inequivocabilmente comprensibile da qualsiasi specie. Esempi di segnali di minaccia nel mondo animale se ne ritrovano in moltissime altre specie: il gatto maschio emette delle urla lamentose durante il periodo della riproduzione per tentare di tenere alla larga i suoi rivali e monopolizzare la femmina. Le scimmie urlatrici in Amazzonia, vari lemuri del Madagascar, i gibboni in Asia delimitano il territorio emettendo grida praticamente per l’intera giornata, ma con maggiore continuità al mattino e alla sera. In verità, i cori dei gibboni danno più la sensazione di suoni melodiosi, che grida scoordinate. I pipistrelli oltre agli ultrasuoni emettono in volo dei segnali udibili per l’uomo che somigliano a degli squittii. Tali vocalizzazioni hanno l’intento di avvertire che quello è il suo territorio di caccia e che non desidera conspecifici estranei. La maggior parte dei canti emessi dagli uccelli servono a segnalare il possesso del territorio. I maschi di alcune falene possono emettere suoni con strutture microscopiche presenti nelle ali, e lo fanno durante la lotta per conquistarsi un luogo adatto per attrarre le femmine. Lo stesso vale per la stridulazione dei grilli e delle cicale che è usata per avvertire altri maschi del possesso del territorio. I grilli maschi sono molto aggressivi tra loro, infatti per allevarli e sentirli cantare è bene mantenerli in gabbie separate.

 

Gli insetti hanno sviluppato una grande varietà di adattamenti morfologici e comportamentali per evitare la predazione, tra cui anche la produzione di suoni. La stridulazione è usata oltre che per la comunicazione intraspecifica, talvolta anche a scopo difensivo antipredatorio. La specie che emette un segnale del genere, ha probabilmente armi temibili o è ben protetto e l’effetto del suono è quello di scoraggiare l’attacco di un eventuale predatore.

 

 

Segnali d’allarme

 

Un segnale d’allarme viene emesso quando un animale intende comunicare ad un conspecifico la presenza di un pericolo imminente, come quello rappresentato dalla presenza di un predatore. Sono molto comuni tra i primati e gli uccelli. Il segnale per avere un valore comunicativo e adattativo, deve poter essere ricevuto e interpretato correttamente. Il ricevente deve poi decidere se e come rispondere. In genere un segnale d’allarme induce nel ricevente prima l’immobilizzazione, ma se il pericolo diventa più vicino segue la fuga. Il richiamo può anche variare le sue caratteristiche fisiche in funzione del tipo di predatore e della gravità del pericolo. Infatti, alcune scimmie sono in grado di emettere vocalizzazioni diverse in presenza di un’aquila o di un leopardo. Tali segnali specifici sono anche comprensibili per altre specie che ne possono usufruire. Infatti, si è notato che alcune specie di uccelli non rispondono agli allarmi delle scimmie che per loro non costituiscono un pericolo. Allo stesso modo, le cincie americane emettono segnali diversi in funzione delle dimensioni del predatore che anche in questo caso sono fruibili per altre specie. Molto studiati sono i segnali d’allarme degli scoiattoli. Interessante a questo proposito notare che essi sono l’unico caso sinora noto di specie che utilizzano gli ultrasuoni per comunicare il pericolo, pur utilizzando normalmente allo stesso scopo suoni nella gamma dell’udibile umano (fig. 17). Secondo alcuni autori l’ultrasonoro è usato in presenza di predatori incapaci di recepire in quelle frequenze.

 

 

Richiami

 

Il richiamo è messo in atto principalmente per attirare un conspecifico e principalmente dai maschi per attirare un potenziale partner. Sono, tuttavia, molto comuni anche tra i piccoli e le loro madri per ritrovarsi reciprocamente. Talvolta, il messaggio è indirizzato ad una specie diversa per facilitare un’eventuale collaborazione.
I suoni emessi sono caratteristici di ogni specie e talvolta sono discriminanti per il riconoscimento della specie, al fine di evitare improduttive ibridazione. E’ il caso di alcune specie di passeriformi e di rane, potenzialmente interfecondi, le cui femmine sono attratte solo dal canto del maschio della propria specie. Il richiamo sessuale è particolarmente importante quando gli individui di una specie sono poco sociali durante l’anno, ma devono necessariamente ritrovarsi nel periodo degli accoppiamenti. Ad esempio, molti felidi conducono vita solitaria e sono scarsamente o per niente loquaci, ma nel periodo degli amori emettono continui richiami. Ben noto è a tale proposito il fastidioso lamento notturno del gatto domestico. Nell’ambito dei richiami è interessante notare che nel babbuino femmina il verso ha un valore opposto. Esso viene emesso dopo l’accoppiamento con un maschio dominante e ha la funzione di tenere lontano altri maschi.

 

Gli insetti producono suoni mediante la vibrazione delle ali in volo e il ronzio prodotto per alcune specie ha valore comunicativo. Le diverse specie di zanzara femmine hanno una frequenza di vibrazione alare caratteristica, che serve al maschio per localizzare la femmina della sua specie (Fig. 18). Il frinire delle cicale e dei grilli oltre ad un ruolo di territorialità verso gli altri maschi, ha anche la funzione di richiamo sessuale per le femmine.
Molto studiati sotto l’aspetto etologico sono i versi emessi dai cuccioli degli animali domestici in difficoltà, i quali provocano una reazione immediata nella madre, che li afferra con la bocca e li porta al sicuro. Allo stesso modo la madre usa vocalizzazioni per richiamare a se i piccoli che si sono allontanati.

 

L’emissione di suoni talvolta è utilizzata anche per richiami interspecifici. Infatti, alcune specie di bruchi sono in grado di emettere un ronzio di frequenza molto bassa, ma percepibile anche dall’orecchio umano, che attira le formiche della specie ecofilla smeraldina. Esse normalmente uccidono i bruchi a scopo alimentare, ma in questo caso il suono emesso comunica alla formica che il bruco è più utile da vivo, perché produce sostanze zuccherine di cui la formica è molto ghiotta, mediante specifiche ghiandole dorsali. Quindi, viene portato nel formicaio e allevato con cura.
L’uomo ha imparato a comunicare con le diverse specie domestiche, ma talvolta anche con specie selvatiche. Tra queste quella più spettacolare è l’indicatore dalla gola nera in Kenya, che viene richiamato con dei fischi caratteristici. L’indicatore emetterà anch’esso dei richiami per entrare in contatto con l’uomo; dopodiché lo guiderà verso un alveare da cui l’uomo ricaverà il miele. Per ricambiare il servizio offerto il favo viene aperto per lasciare l’accesso alle larve per l’indicatore.

 

 

Richiesta di cibo

 

Uno delle maggiori motivazioni che giustificano l’emissione di segnali sonori nelle specie che hanno cure parentali è la richiesta di cibo. I giovani di solito tendono ad acquisire rapidamente i segnali prodotti dagli adulti, tuttavia, continuano ad utilizzare per lungo tempo la gamma dei suoni giovanili diretti al genitore per richiedere cibo. I pulcini dei nidiacei sin dalla schiusa sono in grado di emettere pigolii non appena avvertono la presenza del genitore, in modo da stimolare l’imbeccata. In molti mammiferi e uccelli la vocalizzazione giovanile induce il rigurgito del cibo, che può essere utilizzato dai piccoli.
La richiesta di cibo è la vocalizzazione più tipica degli animali domestici. Peraltro, essi sono, per così dire, più loquaci dei loro consimili selvatici. Ciò è reso possibile dal fatto che vivono in un ambiente protetto, dove hanno imparato che farsi sentire non è affatto negativo: in questo contesto ambientale non ci sono ne predatori a cui sfuggire, ne prede da catturare.

 

 

Fonte: http://wpage.unina.it/biadanie/Appunti%20percezione%20sensoriale%20-%20suoni.doc

Sito web da visitare: http://wpage.unina.it

Autore del testo: D’Aniello

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