Pedagogia

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Pedagogia

PEDAGOGIA E SCUOLA

La Storia della pedagogia può essere collocata su due piani significativamente diversi tra loro: quello della “pratica educativa” e quello della riflessione su di essa. Essa va distinta dalla Storia della scuola italiana, la quale, come dice il nome, tratta delle istituzioni scolastiche (legislazioni, organizzazione, personale, corporazioni e sindacati etc.). Inoltre, recentemente, si è in parte trasformata in Storia dell'Educazione, che tratta dei sistemi educativi in toto (quindi anche quelli sviluppatisi al di fuori dell'ambito scolastico, come la famiglia, gli scout, le associazioni sia laiche che religiose etc.).
Fin dalla sua prima e remota comparsa sulla terra, l’uomo, appena ha riconosciuto, nel nuovo nato, un essere destinato a crescere ed a somigliargli, ha messo in atto delle procedure educative, trasmettendogli l’abitudine e la capacità di affrontare le situazioni e di sopravvivere... Naturalmente, non avendo nessuna informazione diretta, possiamo immaginare che il metodo sia stato quello dell’imitazione, oppure quello “a prova ed errori”. Certamente, la pratica educativa è mutata nel tempo, si è affinata, adattandosi, anche alle mutate situazioni storiche, ma sulle prime pratiche sappiamo ben poco.
Bisogna aspettare il V secolo a.C., per trovare un approccio metodico. Socrate*, con la sua maieutica della levatrice. Un altro filone è teorico riflessivo. Platone* affronta in uno dei suoi dialoghi il problema del come si fa ad imparare e dà il via ad una lunghissima e fitta schiera di pensatori che, talvolta, senza aver avuto neppure una consuetudine diretta con un bambino, ha discettato sull’essenza della pedagogia, sui suoi metodi e sui fini che dovrebbe proporsi.
Raimondo Lullo* (1235-1315) scrisse il primo manuale conosciuto di istruzione dei bambini scritto in una lingua romanza. La sua pedagogia era tesa a provvedere i mezzi per conseguire la salvezza spirituale e, insieme, la cristianizzazione degli infedeli. Formulò anche i principi di un insegnamento intuitivo e analogico, raccomandò che la lingua nativa si insegnasse prima della lingua latina, e che fossero docenti stranieri a insegnare la loro lingua.
Rousseau*, nell'Emilio, tratta di un'educazione del fanciullo allo stato di natura, fuori dalla società.
Immanuel Kant* esprime una teoria con una forte spinta positiva nei confronti dell'uomo: la fiducia nell'essere umano porta il pensatore a vederlo come artefice di un miglioramento della sfera sociale. L'educare il fanciullo evitandogli completamente ogni rapporto con la realtà lo porterà ad una formazione tale da riuscire a cambiare in meglio la società che lo ospita.
Ralph Waldo Emerson* teorizza un'educazione liberale, senza restrizioni perché quelle verranno da sé se si impianterà un atteggiamento morale perfezionistico, che prevede sempre scopi elevati, associato alla fiducia in sé e nella capacità di utilizzo dei propri talenti.
Il sociologo Émile Durkheim*, al contrario di Rousseau, è restio ad educare in completa astrazione dalla realtà sociale, poiché ciò porterebbe ad una ritorsione dei costumi contro il soggetto, se questi non li rispettasse. Ogni società ha delle regole che, se non conosciute, vengono innocentemente ignorate, causando situazioni "illecite" che possono ritorcersi contro l'autore.
La riforma scolastica del 1923 attuata dal filosofo idealista e ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile è ancora oggi alla base del sistema scolastico italiano. Gentile avviò una rifondazione in senso idealistico della pedagogia, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica.
Nel suo pensiero l'educazione deve essere intesa come un divenire dello spirito stesso che realizza così la propria autonomia.
Maria Montessori* si interessò in particolare ai bambini con problemi psichici, ma stese delle teorie più generali. Il pensiero pedagogico montessoriano riparte dalla pedagogia scientifica come primo passo fondamentale per costruire un'osservazione obbiettiva dell'oggetto.
L'oggetto dell'osservazione non è il bambino in sé, ma è costituito dalla scoperta del bambino nella sua spontaneità ed autenticità. Il principio fondamentale è la libertà dell'allievo.
Tra gli anni '50 e '60 ebbe notevole influsso la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani, una scuola a tempo pieno espressamente rivolta alle classi popolari, orientata alla presa di coscienza civile e sociale.
Nel Sessantotto e negli anni successivi ebbero un certo successo pratiche pedagogiche di studio in collettivo, basate sulle teorie del russo Makarenko*.
LA SCUOLA IN ITALIA
Nell'Italia medievale l'istruzione non era obbligatoria ed era affidata agli enti ecclesiastici. Solo alla fine del XVII secolo i principati italiani fecero alcuni timidi tentativi di legiferazione in questo settore. Tra questi, il più rappresentativo fu quello portato avanti dal Lombardo, nel 1786, attraverso l'opera del padre somasco Francesco Soave. La bolla papale del 1773 Dominus ac Redemptor noster, con il quale fu soppresso l'ordine dei Gesuiti*, ebbe una grande rilevanza in quel generale processo di "secolarizzazione dell'istruzione" che vedeva impegnati in prima fila i sovrani illuminati austriaci (Maria Teresa e Giuseppe II). Ancora più importante fu la legislazione scolastica del periodo napoleonico: secondo gli ideali rivoluzionari, la scuola doveva essere laica e gratuita. Timidi furono gli interventi nella Repubblica Cisalpina, mentre più influenti furono quelli della Repubblica Italiana e del Regno Italico. Per la prima volta con la legge del 4 settembre 1802 veniva introdotto il Liceo, istituzione francese che si andava ad affiancare al ginnasio austriaco. Scuole popolari, ove s'insegnavano primi rudimenti di leggere e scrivere e a far di conto, fiorirono in tutti i comuni.
La scuola ottocentesca è caratterizzata da un modello educativo funzionale al mondo del lavoro creato con la rivoluzione industriale*; questa scuola ricalca il modello industriale e prepara anche gli studenti a quel tipo di futuro (un modello che mostrerà maggiormente i propri difetti a partire dal dopoguerra del secolo successivo, rendendo gli studenti inadatti ad una vita ormai priva delle certezze tradizionali). Gli studenti sono tenuti a recarsi a scuola dalle prime ore del mattino come gli operai in fabbrica; vengono preparati ad essere fedeli alla consegna di chi li assumerà; il modello è caratterizzato da un impianto inquisitorio, le cattedre sono maschere della divisione di classe su cui poggia l'unità reale del modo di produzione capitalista.
Dal 900 in poi Si iniziano a vedere gli effetti positivi, se pur limitati, del sistema scolastico. Scende l’analfabetismo e compare per la prima volta il fenomeno della disoccupazione intellettuale. La borghesia dell’epoca iniziava a temere uno sconvolgimento dello statu quo sociale. Il dibattito di quegli anni, destinato sul momento a non avere conseguenze pratiche, è particolarmente vivace sui temi della proposta della istituzione di una scuola media unica e sulla questione della laicità della scuola.
Nel primo governo Mussolini (1922-1924) è Ministro della Pubblica Istruzione il filosofo Giovanni Gentile. La sua nomina ed il suo operato segnano la convergenza tra cultura neoidealista e buona parte degli ambienti cattolici. Espressione della sopracitata borghesia conservatrice, la riforma Gentile (definita da Mussolini "la più fascista delle riforme") prevedeva cinque anni di scuola elementare uguale per tutti, con scansione 3+2, ed un grado preparatorio di tre anni (scuola materna), la scuola media inferiore, con diversi percorsi (avviamento professionale di tre anni, il ginnasio con scansione 3+2 e i corsi inferiori, solitamente di quattro anni, degli istituti tecnici, istituti magistrali, istituti d'arte e conservatori), la scuola media superiore, di tre anni per il liceo classico, di quattro per il liceo scientifico, di tre o quattro anni per i corsi superiori dell'istituto tecnico, dell'istituto magistrale e dei conservatori.
Le scuole medie acquisivano un sistema a "doppio canale": da un lato il canale che consentiva il proseguimento degli studi alle scuole superiori, dall’altro un binario morto che al contrario non lo consentiva.
La riforma Gentile prevedeva quindi l'obbligo a 14 anni di età. Ciò fu fatto per aderire ad una convenzione internazionale di alcuni anni prima, ma di fatto anche questa volta rimase lettera morta per la stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi italiani fino al 1962-63, quando fu avviata la riforma dell'unificazione della scuola media. E questo nonostante dal 1948 anche un articolo della Costituzione della Repubblica imponesse un obbligo di frequenza scolastica di almeno otto anni.
La cosa è talmente vera che probabilmente se si chiedesse a tutti gli italiani quando è stato istituito l’obbligo scolastico a 14 anni la maggioranza risponderebbe nel 1963 con la scuola media unica.
In realtà in quel periodo vigeva per il percorso post elementare un rigido doppio canale: da un lato la scuola media, ginnasio dimezzato, con prosecuzione agli studi superiori e dall’altro l’avviamento professionale (tecnico, commerciale, agricolo) indirizzato al lavoro. Per un'eventuale prosecuzione dall’avviamento all’ITIS occorreva un esame di ammissione, quindi non si può proprio dire che l’avviamento fosse un canale tecnico: era, come sempre, la gronda di scarico degli alunni più poveri e più deboli verso il lavoro. Mentre, perché non ci fossero dubbi, a quel ginnasio dimezzato che era scuola media (con tre annualità di latino e solo due di lingua straniera, senza scienze e senza tecnica) si accedeva dopo un esame di ammissione alla fine della quinta elementare, molto rigido e selettivo.
I programmi delle elementari ripristinavano l'insegnamento della religione cattolica, salvo richiesta di esonero, e valorizzavano il canto, il disegno, le tradizioni popolari. Vi era anche una relativa valorizzazione dei dialetti dell'italiano, ma una netta chiusura verso le minoranze linguistiche (soprattutto verso quelle delle nuove provincie slavofone e germanofone).
La struttura del sistema scolastico italiano resterà sostanzialmente improntata al modello del 1923 anche dopo la fine del fascismo*, ed i programmi della scuola elementare non subiranno variazioni significative per oltre quarant'anni
Con la fondazione della costituzione italiana nel 1947 Viene stabilita l’istruzione pubblica, gratuita e obbligatoria per almeno otto anni. Viene sancita la libertà di istituire scuole "senza oneri per lo stato" formula che avrà una interpretazione controversa nei decenni successivi. Tuttavia restava il sistema scolastico precedente: scuola elementare quinquennale e i tre anni successivi divisi in “scuola media” (che permetteva di proseguire gli studi grazie alla materia del latino) e “scuola di avviamento professionale” (che senza l’insegnamento del latino, escludeva da qualsiasi proseguimento degli studi).
Agli inizi degli anni 70 Il problema della scuola dualista viene superato, ma persistono alti tassi di evasione scolastica; inoltre si manifesta in maniera drammatica il fenomeno della selezione esplicita (attraverso le “bocciature”). La gravità del nuovo metodo di “selezione classista” adoperato dalla ancora antica mentalità elitaria dei docenti, venne evidenziata da Don Lorenzo Milani in Lettera ad una professoressa (Firenze, LEF, 1967). I movimenti studenteschi degli Anni Sessanta e Settanta contribuirono al cambiamento di mentalità, e alla graduale diminuzione del fenomeno della “selezione esplicita”.
Si arena, agli inizi degli anni '70, il tentativo di riforma della scuola secondaria superiore. Una parte della storiografia specialistica ha però sottolineato come si sia comunque verificato un processo di lungo periodo di "cambiamento senza riforma" di cui sono aspetti più rilevanti il forte sviluppo della istruzione tecnica e il superamento dello storico gap tra istruzione maschile e istruzione femminile, almeno a livello di scuole secondarie.
Non mancano dei periodi di rialzamento dei livelli di bocciature selettive, ma il problema, in questi anni, è soprattutto la cosiddetta “dispersione scolastica”. Ovvero, il mancato conseguimento di livelli adeguati di apprendimento, nonostante la regolarità degli studi (assenza di bocciature).
Più volte nel corso degli anni Ottanta si abbozza l'elevamento dell'obbligo scolastico, senza mai andare a buon fine (ad esempio si ipotizza, soprattutto, di come strutturare il biennio, se propedeutico al triennio superiore od un semplice proseguimento della scuola media, se abbinarlo, o meno, a corsi di formazione professionale).
Non mancano tuttavia alcune innovazioni didattiche, come l'avvio dei Programmi Brocca indirizzati ai Licei ed in parte agli Istituti Tecnici, ed il Progetto '92 che riorganizza l'istruzione professionale.
Significativi invece i mutamenti della scuola elementare con i Programmi del 1985 e la legge del 1990, che ha come conseguenza la introduzione di una pluralità di docenti per la stessa classe.
Nel 1996 le elezioni politiche vengono vinte dalla coalizione dell'Ulivo. A capo del dicastero della Pubblica Istruzione viene posto l'ex rettore dell'Università di Siena Luigi Berlinguer, il quale si propone importanti obbiettivi: l'innalzamento dell'obbligo scolastico, la riforma dell'esame di maturità, l'autonomia scolastica ed il riordino dei cicli.
Berlinguer nel gennaio del 1997 pubblicò il primo Documento di discussione sulla riforma dei cicli di istruzione, che si dice fosse ispirato a un documento dal titolo Prospettive europee per il sistema formativo italiano fatto circolare fin dal settembre del 1996 da Attilio Monasta. In tale documento erano delineati i principi ispiratori dell'azione del ministro: fra questi, in primo luogo, la necessità di superare la distinzione, tipica del sistema formativo italiano tradizionale, fra cultura e professionalità e, quindi, fra formazione culturale e formazione professionale. Uno dei concetti fondamentali è quello di «nuova professionalità», come capacità di «controllo e direzione dei processi in cui ciascuno è inserito», un concetto frutto della cultura sindacale degli anni Settanta. Inoltre, l’articolazione del percorso scolastico non più per ordini e gradi di istruzione, bensì per obiettivi di apprendimento, con una sostanziale continuità dei cicli di istruzione. Due soli possibili modelli: o due cicli di istruzione (un ciclo di base, fino ai 13 o 14 anni, ed un ciclo secondario fino a 18 anni) o addirittura un ciclo unico, progressivo e comprensivo, dai 6 ai 16 o 17 anni. Ciò che avrebbe dovuto essere superato era la distinzione del percorso scolastico in tre cicli, fortemente separati fra loro ed altamente selettivi.
Così il 3 giugno 1997 il governo presenta la "Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione", con la quale doveva venire stravolto il sistema scolastico italiano, poiché erano previsti due cicli scolastici. Il ciclo primario ,di sei anni di durata, diviso in tre bienni, aveva come scopo di "concorre alla formazione dell'uomo e del cittadino nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. Esso favorisce la formazione della personalità degli alunni promuovendone l'alfabetizzazione per l'acquisizione dei linguaggi e dei saperi indispensabili, per lo sviluppo delle capacità critiche e di un atteggiamento positivo nei confronti dell'apprendimento, per il riconoscimento e la condivisione dei valori fondanti la convivenza civile e democratica", e più in particolare i primi due bienni era "lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità di base e della dimensione relazionale" ed il terzo biennio "il consolidamento, l'approfondimento e lo sviluppo delle conoscenze acquisite e la crescita di autonome capacità di studio, di elaborazione e di scelta coerenti con l'età degli alunni, mediante il graduale passaggio dalle grandi aree tematiche alle discipline. Anche il ciclo secondario durava sei anni e si articolava "nelle grandi aree umanistica, scientifica, tecnica, tecnologica, artistica e musicale ed ha la funzione di consolidare e riorganizzare le capacità e le competenze acquisite nel ciclo primario, di arricchire la formazione culturale, umana e civile degli studenti, sostenendoli nella progressiva assunzione di responsabilità, e di offrire loro conoscenze e capacità adeguate all'accesso all'istruzione superiore universitaria e non universitaria ovvero all'inserimento lavorativo", il primo anno si caraterizzava "per la prevalenza degli insegnamenti fondamentali [...]", il secondo ed il terzo anno "per l'approfondimento degli insegnamenti comuni e per la progressiva estensione dell'area degli insegnamenti disciplinari specifici dell'indirizzo prescelto [...]", ed infine il trienni finale riguardava gli insegnamenti specifici a ciascun indirizzo. Si accennava inoltre, alla formazione degli adulti, alla formazione continua ed all'istruzione tecnica superiore.
Nel frattempo Forza Italia* ed Alleanza Nazionale* presentano le loro proposte di riforma della scuola. Forza Italia propone di rimodulare la scansione, dopo la scuola d'infanzia, in tre gradi scolastici: primo grado, dai 6 ai 10 anni, secondo, dai 10 ai 14, terzo, dai 14 ai 18; inoltre abolizione del valore legale del titolo di studio, parità scolastica, formazione professionale a partire dai 12 anni di età, riforma della professione insegnante e l'elevazione dell'obbligo scolastico a 16 anni. Il testo di Alleanza Nazionale prevedeva la scansione Scuola Materna, Scuola di Base, Scuola Secondaria (biennio propedeutico agli studi del triennio), il Liceo unico, con cinque indirizzi, e l'Istituto Tecnico con molti indirizzi, la riforma dell'esame di maturità, l'autonomia della scuola, parità scolastica e l'istituzione dell'Ordine Nazionale dei Docenti (simile a quello dei medici, avvocati e notai).
Le elezioni del 2001 vengono vinte dalla coalizione di centro-destra guidata da Silvio Berlusconi. Viene nominato Ministro per la Pubblica Istruzione Letizia Moratti, che presenta una proposta di radicale riforma del sistema scolastico, suscitando consensi e dissensi accesi su fronti opposti.

LA SCUOLA DI BARBIANA

Sono ormai trascorsi quasi quarant'anni dalla morte di don Lorenzo Milani e ancora si continua a parlare di lui e della sua opera pastorale ed educativa. Nonostante il tempo passato, non è facile accostarsi alla sua complessa e stimolante esperienza umana e cristiana senza indulgere in facili classificazioni e senza rischiare strumentalizzazioni di parte. Di lui si è scritto e si è detto molto negli ultimi decenni; ne sono testimonianza gli innumerevoli saggi, l'enorme quantità di articoli pubblicati sui giornali, oltre alle decine di convegni e seminari dedicati alla sua figura. Rileggere gli scritti di don Lorenzo Milani (Esperienze pastorali, Lettera a una professoressa, L'obbedienza non è più una virtù - solo per citare i principali - e le innumerevoli lettere alla mamma e agli amici raccolte in vari volumi) rappresenta, ancora oggi, un'esperienza "formativa" per il lettore, che sollecitato dalle parole, a volte provocatorie e paradossali ma mai banali, è invitato ad interrogarsi in profondità senza seguire le strade dell'ovvio, alla ricerca della verità.

Don Lorenzo Milani arriva nella parrocchia di S. Donato a Calenzano (FI) nell'ottobre del 1947 con l'entusiasmo del neofita e del sacerdote novello. Porta con sé l'ansia di comunicare le proprie scoperte interiori. Ben presto l'entusiasmo del giovane cappellano si scontra con il disinteresse dei fedeli, la pratica religiosa è svuotata di ogni significato interiore, mancano gli «interessi degni d'un uomo». Questo stato di cose lo convince che soltanto la scuola può elevare gli interessi dei giovani; la causa dell'incoerenza religiosa del suo popolo è da ricercare nella mancanza di istruzione civile. Per questo don Milani inizia a radunare i ragazzi della parrocchia per fare loro scuola. Nasce così la Scuola popolare di S. Donato.

L'obiettivo della scuola popolare era quello di dare la parola ai poveri, non parlare ai poveri o dei poveri, ma fornire loro gli strumenti necessari per far sentire la propria voce e per esprimere il proprio pensiero. La scuola diviene una possibilità di condivisione della condizione del povero per instaurare processi di cambiamento, di emancipazione, in vista di una società più giusta. Don Milani insegnava ai ragazzi a comprendere il contenuto dei giornali, il significato delle parole; smascherava le incongruenze dell'informazione gestita per fini ideologici; cercava di far nascere nei suoi uditori quel senso critico che li avrebbe fatti diventare cittadini sovrani a pieno titolo. Ma leggere il giornale, oltre a sviluppare un forte senso critico, doveva permettere di prendere confidenza con la parola, strumento indispensabile di emancipazione.

L'importanza che l'insegnamento della lingua occupa nella scuola popolare nasce dalla consapevolezza che ciò che differenzia il povero contadino dal cittadino borghese non è la qualità del tesoro che ognuno ha chiuso in sé, ma la possibilità di esprimerlo. La padronanza del linguaggio è necessaria perché ogni persona si possa aprire a «interessi degni di un uomo», perché si possa creare un linguaggio comune tra il prete e il suo popolo, perché il povero possa colmare il divario che lo separa dal «partito dei laureati». Possedere la parola significa avere la possibilità di esprimersi, di comunicare con gli altri, ma significa anche entrare in dialogo con lo stesso Verbo, diventa condizione essenziale per penetrare il reale nel suo significato più recondito.

Il 6 dicembre 1954 don Milani viene nominato Priore di Barbiana, una minuscola parrocchia sul monte Giovi. La curia fiorentina aveva deciso di chiuderla a causa della continua emigrazione di quella popolazione verso la città. Venne tenuta aperta appositamente per ospitare lo scomodo sacerdote. Le cause di questo trasferimento sono da ricercare probabilmente nelle sue prese di posizione nei confronti delle elezioni politiche del 1953, nei suoi metodi pastorali, nelle invidie suscitate nei confratelli delle parrocchie vicine, nei cattivi rapporti con alcuni esponenti della curia. 

Nonostante il "confino" in questa piccola parrocchia di montagna, non cessa di approfondire il suo metodo pastorale. A Barbiana scopre nuove dimensioni della povertà; è la povertà di chi ha subito un isolamento secolare e non è capace di comunicare con gli altri. La vera dimensione religiosa è imbrigliata nei cuori dei montanari. La loro povertà è garanzia di quella potenziale religiosità e ha bisogno solo di strumenti adeguati per essere liberata e sviluppata. La scuola risponde a questa necessità. L'azione pastorale consiste solo nel dar loro la parola, mezzo necessario per poter esprimere questa loro ricchezza interiore.

Dalla scuola di Barbiana uscirono importanti documenti (Lettere ai Cappellani Militari, Lettera ai Giudici, Lettera a una Professoressa), prese di posizione che nascevano dalla riflessione comune, dalla coerenza e dalla serietà con cui il Priore affrontava ogni cosa affinché potesse diventare occasione di insegnamento.
L'impronta data alla scuola corrisponde ad uno sviluppo della fede in don Milani. Egli va verso una spoliazione interiore, ripudia la società borghese in cui è vissuto per abbracciare totalmente le condizioni di vita del suo popolo. Si fa povero tra i poveri.

Questa precisa scelta di campo è dovuta all'incontro di due linee di tendenza fondamentali nella vita spirituale di don Milani: l'incontro con Dio e il rapporto con gli altri. Solo la totale condivisione con gli ultimi, con i poveri, lo può portare a Dio.
Solo all'interno di questo contesto può essere compresa la figura e l'opera di don Lorenzo Milani. In lui l'educatore, il maestro, il sacerdote si sovrappongono, ma la motivazione del suo agire rimane profondamente religiosa. La scuola per don Milani è impegno, è assunzione di responsabilità, è adesione alla situazione dell'altro. Concetto ben espresso dal motto I care posto su una parete della scuola che significa «mi importa, mi sta a cuore». Il sentirsi responsabili e coinvolti nella situazione dell'altro rende possibili la conoscenza e l'ascolto. L'I care implica la capacità di uscire da sé per assumere i problemi dell'altro. Per don Milani far posto all'altro, attraverso la parola, la comunicazione, l'insegnamento, prima di essere un atto di generosità è un atto di giustizia e di alta eticità.

Non esiste possibilità di educare senza una corrispondente capacità di apprendere: per cui alla base del discorso educativo sta la riflessione sull'apprendimento.Per gli esseri umani l'apprendimento è un evento direttamente collegato con la sopravvivenza che coinvolge globalmente ogni organismo. Dalla sua efficacia dipende l'effettiva possibilità di adattamento ai mutamenti dell'ambiente. La nostra specie ha però affiancato all'apprendimento un processo in parte speculare, quello dell'insegnamento.
L'insegnamento consiste in una serie di comportamenti realizzati da individui esclusivamente allo scopo di far apprendere qualcosa ad altri individui. L'insegnamento ha per gli esseri umani una base naturale, dimostrato dal fatto che si produce spontaneamente fra adulti e bambini. Allo stesso tempo però l'insegnamento assume presto le caratteristiche "artificiali" di un processo razionalmente diretto e programmato per ottenere la massima efficacia di apprendimento. Tale efficacia è condizionata dalla capacità dell'insegnamento di corrispondere ai meccanismi naturali dell'apprendimento: tanto più l'insegnamento "segue" le modalità dell'apprendimento spontaneo, tanto più ha garanzie di produrre effettivamente apprendimento. Tuttavia è inevitabile che l'attività che l'attività dell'insegnare comporti comunque qualche cosa che va al di là delle modalità naturali dell'apprendimento. Quindi l'insegnamento produce in un altro senso un altro tipo di apprendimento, in qualche modo "artificiale". Il rapporto fra insegnamento e apprendimento spontaneo, o meglio ancora fra apprendimento spontaneo e apprendimento artificiale, è così una delle più grandi questioni della riflessione pedagogica. L'efficacia dell'insegnamento e dell'attività formativa in genere dipendono però anche dal potenziale formativo coinvolto.

* Per potenziale formativo si intende l'identificazione di quanto nell'uomo può essere sviluppato mediante l'educazione, oppure di quanto determinate agenzie o azioni possono produrre nell'ambito educativo.

* Per educazione si intende un' attività per mezzo della quale gli uomini cercano di promuovere la personalità di altri uomini sotto un qualche aspetto. Il termine viene spesso usato anche in contrapposizione ad istruzione per indicare la sollecitazione allo svolgimento "naturale" e globale della personalità ovvero la formazione degli aspetti socioaffettivi di essa.

* L'apprendimento è l'insieme dei processi psichici che consentono di acquisire in modo durevole abitudini, conscenze e competenze anche molto complesse.

Motivazioni e bisogni

Se per motivazione si intende ciò che attiva e dirige un individuo verso una meta, allora l'efficacia dell'insegnamento può essere spiegata come risultato di una motivazione corrispondente ad apprendere.
Si afferma perciò che uno studente ha buoni risultati perchè motivato allo studio, oppure che occorre incoraggiare con stimoli positivi la motivazione all'attività scolastica. I motivi del comportamento sono legati alla presenza di carenze che l'individuo cerca di compensare attivandosi.
Potremmo perciò affermare che l'analisi pedagogica delle motivazioni richiede il riconoscimento dei bisogni che ne sono alla base.
Una questione fondamentale a proposito della motivazione è anche quella della sua determinazione fra natura e cultura, ossia fra i bisogni naturalmente presenti nella nostra specie e i bisogni indotti dai processi sociali.
Si tratta di una separazione non spesso facile a causa della profondità con cui la società organizza la personalità e la visione del mondo degli individui. Infatti gli stili di vita possono essere trasmessi ai nuovi membri di una comunità in modo così profondo da apparire in seguito come determinati da bisogni innati. Occorre anche distinguere fra motivazioni intrinseche ed estrinseche.
Le prime sono interne all'individuo e producono apprendimenti spontanei e finalizzati solo al piacere che deriva dall'aver appreso, mentre le seconde collegano il contenuto dell'apprendimento ad altri eventi percepiti come piacevoli o spiacevoli.
Il problema già esaminato del rapporto fra apprendimento naturale e insegnamento diviene così anche problema del rapporto fra insegnamento e motivazioni.
La scuola è ormai un diritto per tutti ed anche un’occasione di riscatto sociale per coloro i quali provengono da ceti meno abbienti.
Lo stato ha interesse nel preparare i giovani per assicurare un futuro a tutti i settori produttivi.
L’istituzione scolastica oltre a garantire l’acculturazione dovrebbe permettere ai giovani di crescere imparando a stare assieme e collaborare per poter diventare un giorno degli adulti responsabili abili, capaci e soprattutto solidali.

 

NOTE:

  1. Socrate - in lingua greca Σωκράτης (Sōkrátēs) - (470 a.C. – 399 a.C.) è stato un filosofo greco. È uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale.
  2. Platone (in greco Πλάτων) (Atene, 427 a.C. - Atene, 347 a.C.), è uno dei maggiori filosofi   della storia del pensiero occidentale.
  3. Raimondo Lullo (Palma de Mallorca, 1235 – Palma de Mallorca, 29 giugno 1315) è stato   un filosofo spagnolo .   Il corpus lulliano comprende 243 opere riconosciute . La sua pedagogia ha  lo scopo di provvedere ai mezzi per conseguire la salvezza spirituale e, insieme, la cristianizzazione  degli infedeli.    
  4. Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 28 giugno 1712 - Ermenonville, Dipartimento dell'Oise, 2 luglio 1778) fu un filosofo franco-svizzero, esponente fra i più singolari dell'Illuminismo, le cui teorie ebbero anche notevole influenza sul successivo Romanticismo. Le idee politiche di Rousseau influenzarono la Rivoluzione Francese, lo sviluppo delle teorie socialiste, e la crescita del nazionalismo. La sua eredità di pensatore radicale e rivoluzionario è probabilmente espressa al meglio nella sua più celebre frase, contenuta nel Contratto sociale: "L'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene".

 5. Immanuel Kant (Königsberg, Prussia Orientale, 22 aprile 1724 - 12 febbraio 1804) è stato uno dei maggiori filosofi di lingua tedesca. La sua importanza è da attribuirsi all'innovativa metodologia di studio della gnoseologia, fondata sul criticismo.
La gnoseologia di Kant mette in discussione i fondamenti del sapere per poter appurare quali ambiti della conoscenza possano dirsi validi. Tali riflessioni sono contenute nella celebre opera Critica della ragion pura.
6. Ralph Waldo Emerson (Boston, 25 maggio 1803 - Concord (Massachussets), 27 aprile 1882) è stato un famoso saggista e uno dei più influenti filosofi e scrittori americani; è conosciuto anche per essere stato un noto poeta. Oggi il critico letterario Harold Bloom lo considera "la figura centrale nella cultura americana", e il filosofo di Harvard Stanley Cavell lo ritiene uno dei filosofi americani più sottovalutati in assoluto.
7. Émile Durkheim (Épinal, Francia 15 aprile 1858 - Parigi 15 novembre 1917) è stato un sociologo francese la cui opera è stata cruciale nella formazione della sociologia e dell'antropologia. Durkheim si richiama all'opera di Auguste Comte (sebbene consideri alcune idee comtiane eccessivamente vaghe e speculative), e può considerarsi, con Karl Marx, Max Weber e Herbert Spencer, uno dei fondatori della moderna sociologia. È anche il fondatore della prima rivista dedicata alle scienze sociali, l'Année Sociologique.
8. Maria Montessori (Chiaravalle, 31 agosto 1870 - Noordwijk aan Zee, 6 maggio 1952) è stata un'educatrice italiana, scienziata, medico, filosofa, femminista e volontaria. Il pensiero pedagogico montessoriano parte dallo studio dei bambini con problemi psichici, successivamente lo espande allo studio dell'educazione per tutti i bambini. Lei stessa sosteneva che il metodo applicato su persone subnormali aveva effetti stimolanti anche se applicato per l'educazione di bambini normali.
9. Anton Semionovic Makarenko, (Bielopolje, 1888 - Mosca, 1939), fu un pedagogista russo e dirigente di comunità. Il suo pensiero si basa sulla ideologia marxista-leninista presente in Unione Sovietica dopo il 1917, anno della rivoluzione di Ottobre.
10. La Compagnia di Gesù (in latino Societas Iesu), comunemente nota come i Gesuiti, è un ordine religioso della Chiesa cattolica. Fu fondata nel 1534 da un gruppo di studenti dell'Università di Parigi guidati da Ignazio di Loyola. La compagnia, con sede a Roma, continua oggi a coinvolgere nelle sue variegate attività apostoliche persone credenti e non credenti in più di 100 paesi differenti. I Gesuiti oggi in crisi a causa dell'elevato numero di defezioni e decessi in rapporto alle vocazioni. Elevata la loro età media.
11. La rivoluzione industriale è il processo di industrializzazione vissuto dall'Inghilterra alla fine del XVIII secolo, in seguito diffusasi ad altri Stati occidentali fino a coinvolgere ampie parti del mondo. Per rivoluzione industriale si intende un processo di trasformazione economica che da un sistema agricolo-artigianale-commerciale porta ad un sistema industriale moderno caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica, dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come ad esempio i combustibili fossili) e dalla diffusione della fabbrica come principale luogo di produzione nel quale si concentrano i mezzi di produzione (forza lavoro e capitale). Ne consegue un notevole incremento, quantitativo e qualitativo, delle capacità produttive di un Paese.
12. Il fascismo fu un movimento politico di estrema destra del XX secolo che sorse in Italia alla fine della prima guerra mondiale. Nacque in parte come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle forti lotte sindacali, operaie e bracciantili, culminate nel Biennio rosso, in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall'esperienza della guerra. Il nome deriva dalla parola fascio (lat.: fascis) e fa riferimento ai fasci usati dagli antichi littori come simbolo di unione. L'ascia presente nel fascio simboleggiava il loro potere, in particolare il loro potere giurisdizionale.
13. Forza Italia è un movimento politico italiano fondato il 18 gennaio 1994. Presidente e leader del partito è, sin dalla sua fondazione, Silvio Berlusconi. Forza Italia è il movimento aggregatore della coalizione di centrodestra denominata Casa delle Libertà. Il suo coordinatore nazionale è Sandro Bondi. A livello continentale aderisce al Partito Popolare Europeo, di cui costituisce il principale membro italiano. L'ideologia del partito varia dal liberismo all'economia sociale di mercato di ispirazione cattolico-liberale; il partito aspira ad essere il partito del rinnovamento e della modernizzazione. Il suo colore ufficiale è l'azzurro.
14. Alleanza Nazionale (AN) è un partito politico italiano di destra. Il partito è nato nel gennaio 1995 con la cosiddetta "svolta di Fiuggi", che ha creato all'interno del Movimento Sociale Italiano (MSI) un rinnovamento che lo ha condotto sulle posizioni del conservatorismo nazionale, rompendo i legami con un passato legato alle retroguardie del fascismo. Unica componente esplicitamente post-fascista è quella della "destra" di Francesco Storace, il quale è peraltro in aperta collisione con la maggioranza nazional-conservatrice che fa capo allo stasso leader del partito Gianfranco Fini. Il partito aderisce alla coalizione del centro-destra italiano, denominata Casa delle Libertà, già precedentemente impegnata, a fianco a Forza Italia, nella costruzione del Polo di centrodestra. A livello europeo, aderisce all'Alleanza per l'Europa delle Nazioni e al gruppo parlamentare dell'UEN. Ha dimostrato, tuttavia, l'intenzione di aderire al Partito Popolare Europeo, dando una ulteriore svolta in chiave moderata e stanziandosi su posizioni più marcatamente di centrodestra.

Fonte: http://www.humnet.unipi.it/~pedagogia/Roba%20cos%EC/JonathanGuida.doc

 

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