Gesti (umani)

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Significato di Gesti (umani)

 

Gesti (umani)

La comunicazione paraverbale ed extraverbale dell’uomo consente di comunicare con la gamma della voce e con tutto il corpo: l'interesse scientifico per tutte le azioni che accompagnano ogni manifestazione comunicativa (compreso il silenzio) si è sviluppato soltanto da alcuni decenni grazie ad alcuni studiosi, tra i quali Desmond Morris, etologo prima, studioso dei comportamenti umani poi, e autore di opere a grande diffusione che hanno reso un importante contributo allo studio della paralinguistica e della gestualità in particolare. Non sempre i nostri gesti sono volontari: spesso, nel nostro modo di fare, accade che il corpo e le espressioni facciali non seguano esattamente il nostro volere e ci tradiscano nei momenti più impensati. Una persona imbarazzata cercherà di apparire disinvolta, per mascherare il suo imbarazzo, ma il tremolio del piede, il muovere nervosamente le mani o non riuscire a guardare fissamente negli occhi gli interlocutori tradiranno la situazione. Più che un segno, dunque, sarà meglio definire il gesto così come lo ha definito Desmond Morris: "azione osservata", e quindi vista e interpretata dagli astanti non sempre con lo stesso significato attribuitogli originariamente da colui che la ha compiuta. La scienza ancora si chiede se le azioni che l'uomo compie abbiano una origine innata, istintuale, oppure siano apprese dall'ambiente che ci circonda, le differenze culturali suffragherebbero la seconda ipotesi, mentre ad esempio i comportamenti dei ciechi andrebbero a favore della teoria dell'innatismo. In realtà le nostre azioni possono essere apprese attraverso varie modalità: per eredità genetica, per scoperta personale, per assimilazione sociale o per apprendimento deliberato. L'origine di ogni gesto va analizzata caso per caso e il più delle volte è molto difficile stabilirla. Viene definita "assimilazione sociale" ciò che determina le "azioni assimilate", quelle azioni che inconsciamente vengono copiate dal gruppo di appartenenza di un individuo: i figli, nella maggior parte dei casi, assumono la stessa gestualità dei genitori o di uno di essi, così come un gruppo di amici di vecchia data ha spesso modi di fare o di esprimersi comuni. Per "gruppo di appartenenza" si può anche intendere la propria regione o la stessa nazione nella quale si vive. Il modo di dire "no" dei vecchi siciliani (quel caratteristico schiocco della lingua tra i denti superiori, alzando il capo lievemente in alto) non si ritrova in altre regioni, se non strettamente confinanti. Alcuni gesti spontanei sono il corrispettivo delle interiezioni verbali ("un attimino", "diciamo", "niente", "cioè") così presenti nella nostra comunicazione quotidiana. E' un gesto spontaneo grattarsi la fronte quanto riflettiamo su come impostare una frase, o grattarsi il mento, o mordicchiare una penna, si tratta di gesti meccanici che inviano dei messaggi che potremmo definire secondari, in quanto non voluti. Un largo spazio hanno poi i gesti mimici e quelli schematici, cioè le imitazioni di oggetti o azioni. Due dita che imitano una forchetta che arrotola gli spaghetti, sostituiscono la verbalizzazione "Vorrei un piatto di pastasciutta". Rientra in questa categoria anche il "fare la faccia adatta all'occasione", ossia la classica "faccia di circostanza". Al contrario dei gesti mimici, i gesti simbolici tentano invece di riprodurre il mondo dell'astrazione, indicando qualità, concetti e stati d'animo. In questo caso le differenze culturali sono particolarmente evidenti e infatti, forse, nessun altro tipo di gesto varia così tanto da paese a paese. Un gesto tipico in Italia è quello di tamburellare l'indice sulla tempia per indicare che un individuo è un po' "toccato in testa": in Arabia Saudita, invece, per simboleggiare lo stesso concetto ci si tocca la palpebra inferiore con un dito. Tra i segnali di accentuazione vi è tutta la gamma gestuale di un oratore: se le dita sono rivolte verso il pubblico indicano una certa aggressività, mentre se sono rivolto verso l'oratore indicano richiesta di partecipazione. Le mani non oltrepassano mai l'altezza delle spalle, tranne in casi di oratoria piena di foga e di grande enfasi. Sono segni di minaccia le dita chiuse a pugno, brandito in alto o l'indice puntato verso il pubblico e abbassato con forza, come una bastonata. Il palmo delle mani è "esortativo" se è all'insù, mitigante se è all'ingiù, di protesta e rifiuto se i palmi sono in fuori, teso a ricercare conforto se i palmi sono in dentro o indica volontà di negoziazione con i palmi di lato. Il nostro corpo esegue pedissequamente i comandi inviati dal cervello, e questo si sa. Ciò che è un po' più difficile da immaginare è che dalle posture assunte dal nostro corpo si è in grado di intuire perfettamente se siamo allegri oppure tristi, sicuri di noi o perdenti, esuberanti o depressi. Se siamo tristi, insicuri o depressi, inconsciamente tenderemo ad apparire più piccoli, ricurvi su noi stessi ed invieremo in tal modo dei segnali di sottomissione. Al contrario, se il nostro stato d'animo è completamente positivo, automaticamente mostreremo nel modo di fare una certa sicurezza, quasi spavalderia e assumeremo posture estremamente erette, innalzando il capo quasi a voler sfidare il prossimo. In effetti, socialmente parlando, la dimensione di una persona assume il più delle volte una valenza simbolica per cui si dirà di una persona di successo che si tratta di un "grand'uomo", mentre del perdente che è un "ometto da poco". Nel mondo dei segnali di sottomissione rientrano anche, ovviamente, tutti quei messaggi volontari che, pur tramandati fino ai giorni nostri, hanno attraversato il loro momento di auge nei secoli scorsi: si tratta di segni di rispetto, com'è per gli inchini e tutte le riverenze in generale (il baciamano, l'atto di scoprirsi il capo per salutare, l'alzarsi in piedi all'ingresso di una persona importante, ecc.). Insultare, denigrare o disprezzare una persona non significa necessariamente prenderla a male parole, anzi, più spesso si riesce nell'intento (o si cade nell'errore, a seconda delle intenzioni) inviando un semplice sguardo o assumendo un determinato atteggiamento. Immaginiamo un gruppo di persone sedute intorno ad un tavolo durante una riunione: chi sbadiglia apertamente, chi si appoggia con i gomiti sul tavolo o chi guarda insistentemente l'orologio sta "insultando" l'oratore in maniera molto più pesante che se lo interrompesse dissentendo polemicamente su tutte le sue argomentazioni. Normalmente questo tipo di comportamento nasconde un certo senso di superiorità latente o anche, più semplicemente, una sensazione di noia profonda o di impazienza. E' certo che denota per lo meno un chiaro disinteresse per ciò che si sta svolgendo in quel momento unito ad una scarsa educazione e ad una mancanza di rispetto nei confronti dell'interlocutore. Parzialmente collegati a quelli di insulto i gesti di minaccia rappresentano delle azioni aggressive "a vuoto", ovvero delle azioni che non prevedono l'attacco fisico vero e proprio dal momento che questo viene semmai in parte mimato. Il gesto di minaccia (agitare il pugno, la "bastonata", l'indice teso, l'atto di torcere il collo ecc.) è inevitabilmente accompagnato da varie espressioni facciali che vanno dalla ostilità alla paura a seconda dell'atteggiamento che si assume in quel particolare momento. Con il termine segnali di barriera si intende indicare il fatto che l'uomo è continuamente alla difesa di sé: anche l'aggressione o l'insulto rivelano il desiderio di salvaguardare se stessi da una soverchieria, una prepotenza o dal semplice timore di subirla. Ma più spesso si avverte un vago senso di "minaccia" in ogni situazione sociale in cui l'individuo si sente in qualche modo "esaminato", il contesto può essere quello di un colloquio di lavoro, di una riunione, o anche quello di un incontro casuale con un amico che si è perso un po' di vista. Noteremo che il più delle volte le persone tendono a nascondersi dietro gesti che in qualche modo le possano proteggere: se un individuo, camminando, si sente osservato, ecco che compirà piccole azioni che lo aiuteranno a sentirsi libero dall'imbarazzo: frugherà in una tasca fingendosi molto impegnato nella ricerca, si aggiusterà il polsino della camicia oppure incrocerà le braccia. Il tutto perseguendo un unico scopo inconscio: quello di distogliere l'attenzione degli altri, ma anche quella propria, dai movimenti che il suo corpo sta eseguendo meccanicamente in quel momento. Altrettanto inconsciamente, però, con questi piccoli gesti non farà altro che inviare chiari messaggi che sveleranno non solo il suo imbarazzo, ma anche e soprattutto il tentativo mal riuscito di non lasciarlo trasparire. Il desiderio di "protezione" può anche essere espresso sotto forma di " non mi va di essere giudicato dagli altri e quindi chiudo la comunicazione con l'esterno", oppure "ho bisogno di alcuni apporti esterni per sembrare più sicuro di me". Il messaggio "voglio rimanere da solo" si manifesta spesso in tutte le occasioni in cui una persona è posta suo malgrado a contatto con altra gente: sale d'aspetto, mezzi di trasporto, ascensori o panchine in giardinetti pubblici. Normalmente chi non vuole comunicare incrocerà braccia o gambe, magari si sposterà anche con il corpo inclinandosi leggermente di lato, e in ogni caso farà palesare la propria voglia di rimanere solo con se stesso. Poiché la zona del corpo più difficile da auto-controllare è quella inferiore, è comune cercare di "mascherarsi" dietro scrivanie, cattedre o tavoli. Per una persona di un certo status, lo stare al di là del tavolo non solo gli conferisce autorità e prestigio, ma gli permette anche di "celare", sottraendola alla vista, una consistente parte del proprio corpo (non a caso la più difficile da dominare) rendendolo automaticamente più sicuro di sé. Stesso discorso per le aule scolastiche, la cui struttura è stata il più delle volte studiata in modo da tutelare il ruolo del professore "barricandolo" dietro cattedre imponenti che emanano un senso di autorità e dominio, al contrario, gli allievi normalmente usufruiscono di banchi che li rendono più visibili e dunque "esposti". Con il termine segnali di antonimia si indica il fatto che ci può capitare di emettere dei segnali contraddittori: succede quando non siamo completamente sinceri. In tal caso si dice una cosa ma il nostro corpo segnalerà che in realtà non la stiamo pensando affatto. Naturalmente esistono vari gradi sia di finzione, sia di trasparenza della finzione stessa e ciò dipende, come si è accennato, da quali parti del corpo riusciamo meno a controllare allorché mentiamo. Per far luce su un aspetto così interessante, Desmond Morris ha addirittura approntato acutamente una "scala di credibilità" dei diversi tipi di azione con lo scopo di poter meglio valutare la veridicità di quanto ci viene detto. E' così emerso che, come abbiamo visto, le parti del corpo di cui ci sfugge maggiormente il controllo sono quelle più lontane dal nostro viso il quale al contrario attira tutte le nostre attenzioni, cosicché sarà facile intuire che se il nostro interlocutore ci dichiara apertamente il suo assenso con sorrisi e segnali di affermazione ma contemporaneamente compie con la gamba inequivocabili gesti di nervosismo, probabilmente ci vuole nascondere la sua opinione reale. Un po' più facile da controllare è il tronco e via via sempre più dominabili sono le mani e soprattutto quelle che sono le espressioni facciali. L'unica ragione di ciò risiede nel fatto che le mani sono sempre in vista e che sul volto esercitiamo un dominio notevole che ci permette di mentire facilmente con il suo ausilio. Particolarmente rilevante è lo sguardo: gli occhi, si dice, non sanno mentire. La loro espressione raramente può essere fraintesa. Lo sguardo innamorato o, al contrario, quello aggressivo e minaccioso sono inequivocabili, entrambi si manifestano quasi sempre quando due individui sono a distanza ravvicinata ed entrambi vengono in genere prolungati per un buon lasso di tempo. Se ci troviamo in una situazione alquanto imbarazzante, magari mentre stiamo subendo un rimprovero sul lavoro che abbiamo svolto, tenderemo a distogliere lo sguardo da chi ci sgrida nel momento in cui questi ci starà fissando, al contrario, nel caso di un responso positivo che speriamo con tutte le nostre forze di ottenere, scruteremo, avidi di notizie, chi è in grado di fornircelo. In entrambi i casi saremo perfettamente consapevoli dei nostri moti oculari. In altre occasioni, soprattutto quando si è in situazioni facili o comunque tranquille, si tende ad ignorare ciò che diventa un semplice movimento meccanico paragonabile ad ogni altra espressione facciale o corporale. Lo sguardo, e la sua durata, mostrano con chiarezza tutta una gamma di stati d'animo: simpatia, vergogna, odio, paura, interesse, amore, disprezzo, ammiccamento e ogni altra sorta di umano sentimento. Si parla di attività dislocata ogni qual volta l'individuo si trova a dover affrontare una situazione particolarmente stressante o comunque carica di tensione. Per ottenere una ampia gamma di esempi di attività dislocate basta dare un'occhiata ad una qualunque sala d'aspetto di un reparto maternità: all'interno di essa si potranno ammirare indefessi camminatori dall'aria stravolta, colletto e cravatta allentati, e se sono fumatori, divoratori di sigarette l'una dietro l'altra, oppure tutti coloro che solo dodici ore prima vantavano un'aria distinta e irreprensibile, accasciati su una sedia fregandosi nervosamente le mani tra un sospiro e l'altro, e per finire, ci sono anche quelli che si fingono immersi in una lettura della quale invece non recepiscono neanche una parola. Ma non c'è bisogno dell'arrivo di una creatura per provocare attività dislocate: basta spiare dal buco di una serratura lo svolgimento di un ricevimento un po' noioso: sbadigli, grattatine di testa, bicchieri e tartine costantemente in mano, lisciatine sui vestiti per controllare che tutto sia in ordine, bastano a dare un'idea di che cosa siano e in cosa consistano queste "azioni di riempitivo". Perché "dislocate"? Perché, come è facilmente intuibile, sono azioni che servono a trasferire la propria attenzione dalla situazione stressante che le ha provocate verso atti dall'indubbio potere calmante e diversivo. I movimenti di intenzione sono quei piccoli movimenti che effettuiamo ogni volta che "siamo sul punto di...". Se stiamo per alzarci da una sedia inevitabilmente afferreremo, prima di farlo, i braccioli di essa accennando appena, anche con il busto, quello stesso atto. Ogni qual volta stiamo per compiere un'azione, inconsapevolmente la stiamo preparando. Altrettanto inconsapevolmente riusciamo ad interpretare questi piccoli movimenti quando li vediamo compiuti dagli altri. Spesso la loro "funzione" è quella di far capire al nostro interlocutore un po' prolisso e noioso e che vogliamo andare via. Movimenti di intenzione sono anche le cosiddette "finte" utilizzate in particolare in alcuni sport. Per "autocontatto" si intende il toccare o sfiorare il nostro corpo, come sorreggersi la testa, toccarsi il mento, incrociare le gambe e le braccia, accovacciarsi a "uovo". Per quale ragione pratichiamo l'autocontatto? Perché in questo modo stiamo tentando di procurarci autonomamente quel conforto che normalmente ci proviene dagli altri, un modo quindi di "farci le coccole" che può scaturire da situazioni le più diverse: se cerchiamo concentrazione saremo portati a toccarci la bocca, il mento, i capelli e così via, ma se abbiamo un grave problema e ci sentiamo soli, tenderemo ad accovacciarci su noi stessi auto-abbracciandoci e mimando il contatto ipotetico che avremmo con un'altra persona. Indistintamente, tutte le numerose forme esistenti di autocontatto servono a rilassare l'individuo apportandogli un po' di quel beneficio necessario nei momenti carichi di tensione, si dice anche che esse siano il surrogato di quel senso di sicurezza che si è provato solo durante l'infanzia accanto ai propri genitori. Con l'eco posturale si intende "il rifare il gesto di un altro", come in una specie di eco gestuale. Proviamo ad osservare un gruppetto di persone: noteremo che dopo poco queste tenderanno ad assumere tra loro posture se non identiche, per lo meno molto simili, imitandosi a vicenda. Questo automatismo inconscio rende le persone maggiormente a proprio agio e inoltre stabilisce fra esse una piena armonia quasi che, assumendo la stessa posizione, si riuscisse a discorrere sulla stessa lunghezza d'onda. Ecco quindi che una osservazione attenta della gestualità può fornire insospettabili strumenti di analisi, a tutto vantaggio di una miglior "codifica" e "decodifica" della comunicazione.

 

Fonte: http://www.cognoassociati.it/studenti/decodi/decodi.pdf

Sito web da visitare: http://www.cognoassociati.it/

Autore del testo: ©Centrostudi Comunicazione Cogno & Associati

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