Corso comunicazione pubblicitaria

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Corso comunicazione pubblicitaria

DISPENSA DEL CORSO DI TEORIA E TECNICA DELLA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA

paola papakristo

 

  • LA STORIA DELLA PUBBLICITA’
    • Le origini della pubblicità moderna

Fissare una data di nascita precisa per la pubblicità moderna è un impresa difficoltosa. Innanzi tutto non è così semplice chiarire a cosa ci si riferisce con il termine pubblicità, ad un manifesto, ad uno spot televisivo, al volantini nella cassetta delle lettere? Se per pubblicità intendiamo una comunicazione volta a persuadere qualcuno di qualcosa dobbiamo chiederci quale comunicazione umana non abbia questo scopo. La comunicazione quotidiana che ognuno di noi sperimenta è intenzionalmente volta a provocare un cambiamento per quanto minimo nel nostro interlocutore, anche se non sempre ne siamo consapevoli.
Se invece intendiamo una comunicazione con uno scopo commerciale ad esempio incrementare le vendite, migliorare l'immagine di un prodotto, contrastare le concorrenza o altro, la pubblicità nasce  con i primi mercati nelle piazze, dove la forma più comune di pubblicità è ancora oggi quella verbale, il richiamo del venditore, nasce con le fiere, nasce con il commercio. La merce si mette in scena nelle piazze nei mercati fin dall’antichità. Forme di pubblicità sono anche le insegne dei commercianti: nell'antica Pompei l'entrata dei negozi era delimitata da due pilastri sormontati da insegne, alcune scritte, altre figurative come la capra per la latteria. Anche i timbri o marchi usati per contrassegnare i prodotti artigianali come le tegole, i mattoni e le derrate alimentari sono una prima indicazione della provenienza di un prodotto, un segno grafico che oggi potremmo chiamare "marca". La merce ha avuto fin dalle sue origini la necessità di comunicare, di attirare a sé gli sguardi, di farsi desiderare.
Nel Rinascimento poi, tra il XV e il XVI secolo, si sviluppano i traffici commerciali internazionali che rendono necessario far conoscere le virtù di un prodotto; i venditori ambulanti e gli imbonitori nei mercati declamano le virtù dei prodotti. Nasce la figura del mercante-imprenditore che vende  sui mercati internazionali merci create in volumi superiori rispetto all'artigiano. Compaiono sul mercato  beni di lusso e prodotti esotici, importati da luoghi lontani grazie ai progressi della navigazione. Progressivamente il luogo di produzione e quello di consumo si allontanano: la produzione aumenta e nasce quindi la necessità di vendere anche lontano, dove è necessario però che il prodotto sia identificato per provenienza e caratteristiche, che venga distinto dagli altri attraverso la “marca”.


Ma a ben vedere, se delimitiamo il significato del termine “pubblicità” e ci riferiamo ad una comunicazione volta alla vendita ed effettuata tramite i mezzi di comunicazione di massa, allora spostiamo la data di nascita di diversi secoli, alle origini dell'epoca moderna, in particolare nell'Ottocento. Ed è proprio dal XIX secolo che prende il via il nostro racconto.
Il primo media di massa, per la verità destinato allora ad un esiguo pubblico, che la pubblicità incontra è la stampa. Nel Seicento nei principali Paesi europei si diffondono le gazzette, in genere settimanali di notizie e informazioni utili, con un pubblico d'élite. Presto compaiono i primi annunci pubblicitari che verso la fine del Settecento diventano a pagamento.
L'incontro tra stampa e pubblicità non è indolore, come dimostra il celebre duello che si svolse a Parigi il 14 giugno del 1836 tra Emile de Girardin, che pubblicava annunci economici sulla quarta pagina del giornale La Presse, suscitando scandalo presso i colleghi, e Armand Carrel giornalista che passò dalla polemica all'insulto tanto che Girardin si trovò costretto a sfidarlo a duello.
Sulla stampa compaiono delle inserzioni, piccoli annunci di privati per vendita di qualcosa, di libri, di prodotti curativi. Inizialmente sono inserzioni gratuite che solo in un secondo momento diventano a pagamento. La pubblicità arriva ad occupare stabilmente la quarta pagina dei quotidiani, che diverrà sinonimo di pubblicità almeno fino alla seconda guerra mondiale. Il pubblico dei lettori non era ancora esteso poiché erano in pochi a saper leggere. Anche in Italia tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento troviamo queste prime forme di réclame.
Nell'Ottocento cominciano a nascere le concessionarie di pubblicità che in alcuni casi si occupano anche della produzione di annunci.
Agli inizi dell'Ottocento la pubblicità incontra sulla sua strada un supporto che ne segnerà il destino, soprattutto nelle seconda metà del secolo e all'inizio del novecento. E' il manifesto che, grazie alle tecniche della litografia prima e della cromolitografia poi, consentirà il fiorire di una nuova forma di espressione, spesso considerata territorio di confine tra arte e pubblicità. Nato nel XV secolo, il manifesto era stato utilizzato inizialmente dal potere politico per gli avvisi ufficiali, con rare eccezioni come quella di William Caxton per promuovere le cure termali a Salisbury nel 1477, primo esempio di manifesto commerciale.
Nei primi decenni dell'Ottocento i muri delle principali città europee, Londra e Parigi, iniziano ad essere tappezzati di manifesti in bianco e nero, in cui prevale la parte scritta. I principali investitori sono gli editori che pubblicizzano i loro romanzi e cominciano a farsi illustrare le locandine dagli artisti  dell'epoca.
A Parigi tra il 1820 e il 1840 nacquero numerosi passages, gallerie commerciali coperte, che anticiparono quelle monumentali come la Galleria Vittorio Emanuele a Milano(1858). Erano strade coperte da ferro e vetro per far entrare la luce del sole, luoghi in cui la borghesia poteva passeggiare ammirando le vetrine dei negozi e le immagini dei manifesti sui muri.


 

Metropoli e nuovi luoghi di consumo

L'Ottocento è il secolo del cambiamento nel senso di progresso, evidente nella tecnologia, e di conseguenza nella crescita della produzione materiale e delle comunicazioni. La ferrovia e le navi a vapore avevano reso gli spostamenti più rapidi e avevano consentito di effettuare viaggi transcontinentali in settimane anziché mesi. Il telegrafo e poi il telefono consentivano la comunicazione a distanza. L'automobile gli spostamenti dalle campagne alle città e poi ancora la lampadina, il grammofono, innovazioni che modificarono la vita quotidiana di milioni di persone. Dal 1890 alla prima guerra mondiale l'Europa conobbe un periodo di prosperità, la belle époque. La crescita demografica e dei redditi, insieme all'urbanizzazione, diedero il via alla nascita di consumi di massa non più limitati ad alimentari e vestiario, ma estesi ai beni di consumo.
Nella seconda metà dell'Ottocento troviamo le basi storiche economiche e culturali per la nascita della pubblicità moderna. Lo sviluppo industriale e il progresso tecnologico, e in un secondo momento l'organizzazione scientifica del lavoro, riversarono sul mercato una ingente quantità di merce che  andava mostrata e fatta conoscere ai potenziali consumatori, inizialmente costituiti dall'alta borghesia ma presto destinati a diventare una massa, seppur con tempi e modi diversi da Paese a Paese. La produzione di massa origina quindi una vendita di massa, un mercato enorme e anonimo in cui si moltiplicano i prodotti offerti. Il consumatore ha bisogno di coordinate per orientarsi tra le  molte offerte: le sue bussole diventano la marca, punto di collegamento tra chi produce e che acquista e la pubblicità, che fornisce una conoscenza virtuale del prodotto prima di averlo incontrato.
L'Ottocento vede anche il moltiplicarsi delle metropoli, agglomerati urbani gonfiati dai flussi migratori attratti dal lavoro nelle fabbriche e nel terziario. E' proprio nell'Ottocento che le città assumono forme e contorni che ci sono familiari anche oggi: le gallerie commerciali, le stazioni ferroviarie, i grandi magazzini, i lungomare e i quartieri di edilizia popolare. Parigi contribuisce più delle altre città a definire il modello metropolitano con le esposizioni universali, i passages, i boulevard e gli spazi dedicati al commercio. Questo modello di vita e di consumo si irradia poi dalle metropoli alle periferie attraverso le riviste illustrate, la pubblicità, le esposizioni universali, i cataloghi di vendita per corrispondenza che diffondono il nuovo stile di vita. Da Parigi, Londra, Berlino, si irradiano la moda, il gusto e le tendenze culturali dell'epoca.
La prima esposizione nazionale dell'industria avviene proprio a Parigi nel 1798, mentre la prima Esposizione universale a Londra nel 1851. Le Esposizioni, che si susseguiranno nelle principali città europee ed americane, sono un occasione per comunicare il progresso tecnologico di una nazione ma sanciscono anche una nuova relazione tra uomini e merci.
I grandi magazzini, innovazione nel campo della distribuzione destinata ancora ad un pubblico ristretto, apparvero nelle grandi città di Francia, Stati Uniti e Inghilterra. Nel 1872 nasce a Parigi  Au bon marché, il


primo grande magazzino con lo slogan "dallo spillo all'elefante" varietà di merce quindi, con un tocco di esotico. Disposto su tre piano collegati da scale a vista e articolato intorno ad un vuoti centrale da cui proviene la luce, più di 4000 mq di esposizione di merci, quasi mille addetti alla vendita, per lo più donne.
Il primo grande magazzino italiano sarà Aux villes d'Italie, nato nel 1877 e che diventerà qualche anno  più tardi La Rinascente. Mentre in precedenza le merci venivano stipate nei retrobottega, nel grande magazzino vengono esposte, mostrate allo sguardo del consumatore senza obbligo di acquisto. Il prezzo è fisso e ben visibile, viene a cadere la pratica della contrattazione tra venditore e acquirente. D'altro canto la nuova organizzazione di vendita permette di abbassare i prezzi e allargare la fascia di consumatori.
Le trasformazioni di fine secolo della borghesia diedero maggior spazio alle donne che acquisirono maggiore libertà nella vita sociale e si ritrovarono protagoniste anche del mondo dei consumi e della pubblicità.
Alla fine dell'Ottocento anche l'arte si apre al mercato di massa e incontra il progresso tecnologico nel cinema, straordinario diffusore di immagini e immaginario collettivo, almeno fino all'avvento della radio prima e televisione poi. Il 28 dicembre 1895 al Gran Café des Capucines di Parigi i fratelli Lumière proiettarono alcuni brevissimi film e qualche anno più tardi realizzarono quello che può essere considerato il primo spot pubblicitario su commissione per il sapone Sunlight di Lord Lever. Il cinema ebbe da subito un successo straordinario. Dopo le prime sperimentazioni in Francia, già all'inizio del Novecento circa il 20% della popolazione americana si recava ogni settimana nei nikelodeons, e anche nell'arretrata Italia c'erano circa 500 cinematografi. Il cinema era diventato in tempi rapidi una vera e propria industria ed era nato lo star-system.

L'epoca d'oro del manifesto

Nei primi decenni dell'Ottocento, grazie alla litografia, compaiono i primi manifesti con immagini in bianco e nero in cui prevale il testo scritto. Intorno al 1830 gli editori cominciano a far realizzare locandine per promuovere la vendita di libri. Nella seconda metà dell'Ottocento viene sfruttata la cromolitografia, che consente stampe a colori.
A disegnare i soggetti dei manifesti si dedicano gli artisti dell'epoca, attratti dal nuovo mezzo per i guadagni elevati, per la notorietà che davano loro i nomi sui muri delle nascenti metropoli, ma anche  per una sorta di democratizzazione dell’esperienza estetica. L’obiettivo era di rendere le strade delle metropoli veri e propri musei all’aperto. Al manifesto ricorrono teatri e cabaret, opere liriche e circhi equestri.
Nella città ottocentesca il manifesto deve fare i conti con una fruizione distratta e disturbata dai flussi di traffico  per  cui  elabora  forme  sintetiche,  immediate,  essenziali.  Protagonista  di questa  pubblicità è


l'artista, il cartellonista che fa comunicazione ad alto livello. Ceserani parla di una "comunicazione tra omologhi" poiché non c'è frattura tra chi parla e chi ascolta, emittente e ricevente hanno la stessa posizione sociale, appartengono all’alta borghesia. A venir pubblicizzato nei manifesti è proprio lo stile di vita dell’alta borghesia che si ritrova nei teatri, alle corse dei cavalli, nei caffè, nei luoghi di villeggiatura, che guida le prime automobili, le prime biciclette, che ascolta i primi fonografi.
I primi manifesti di rilievo furono prodotti in Francia. In particolare ricordiamo i manifesti di Jules Chéret (1836-1932), innovatore nello stile e nelle tecniche litografiche, con le sue donnine stilizzate e trasgressive, che ammiccano al passante nei colori del rosso, blu e giallo. Chéret è considerato il padre del manifesto moderno poiché vi introduce sintesi visiva e armonia tra immagine e testo. Disegna oltre 1000 manifesti che sono un’esplosione grottesca sui muri di Parigi.
Altro celebre artista che realizzò anche manifesti pubblicitari è Henri de Toulouse Lautrec. Suoi alcuni celebri manifesti per il Moulin Rouge e per altri cabaret parigini. Anche il celebre illustratore Alphons Marie Mucha (1860-1936), padre dell’Art Nouveau, realizzò alcuni pregevoli cartelloni in cui prevale l’elemento decorativo.

 

I primi passi della pubblicità in Italia

La pubblicità italiana nasce alla fine dell'Ottocento con le inserzioni sulle ultime pagine dei giornali, all'interno dei primi tram a cavallo. Vengono fondate le concessionarie. Nel 1863 Attilio Manzoni, farmacista bresciano, fonda la prima concessionaria di pubblicità, attiva ancora oggi, cominciando a comprare spazi per sé ed altri sui giornali.
Nei primi del Novecento l'industria italiana ha fatto giganteschi passi avanti ma non si è ancora operata una trasformazione profonda della vita quotidiana, come avverrà invece nel secondo dopoguerra. La maggior parte della popolazione consuma solo il necessario per vivere.
A cavallo del secolo cominciano ad operare i cartellonisti che alzano il tono della comunicazione pubblicitaria. Il prodotto viene posto raramente in primo piano nel manifesto. Ad essere pubblicizzato è più lo stile di vita borghese, fatto di teatri e caffè, di corse di cavalli e villeggiature al mare. Nei manifesti non esiste il tono competitivo della pubblicità odierna, spesso non vi sono slogan ma solo l'immagine e il nome del prodotto.
In Italia il manifesto conosce il suo massimo splendore qualche anno più tardi rispetto alla Francia, con Leonetto Cappiello (1875-1942), livornese che opera soprattutto in Francia, inventore del personaggio- idea come “Il cameriere arrampicato sul lampione” per Bitter Campari (1921). Cappiello è l’erede della tradizione francese, respinge i dettami dell’Art Nouveau a favore di semplici metafore del prodotto.


Altro importante cartellonista è Marcello Dudovich, che ritrae nelle sue opere la bella vita del primo Novecento: le splendide donne, le corse dei cavalli, gli abiti eleganti, i raduni mondani. Lavorò molto per la casa di mode Mele di Napoli e per la Rinascente.
Nel 1919 Luigi Casoni Dal Monte, a capo dell’ufficio pubblicità di Profumeria Vermondo Valli lancia un concorso con in palio 10.000 lire per trovare lo slogan per il dentifricio Kaliklor. Vince “A dir le mie virtù basta un sorriso”. Dura venti anni e viene a lungo impiegato nel linguaggio quotidiano. Le prime agenzie pubblicitarie nate negli anni Venti, come l’ACME dal Monte, furono però spazzate via dalla crisi del 1929. Di fatto gli unici uffici organizzati nel settore erano le concessionarie di pubblicità. A partire dagli anni Trenta nacquero soprattutto studi grafici come Nizzoli, Carboni e Buggeri.
Nel 1924 l’URI da il via alle prime trasmissioni radiofoniche su tutto il territorio nazionale e nel 1926 comincia la pubblicità radiofonica con la nascita della SIPRA. Qualche anno più tardi i programmi cominciano ad essere sponsorizzati dalle aziende inserzioniste, su modello delle radio americane. La nascita della pubblicità radiofonica da nuovo impulso all’uso della parola, messa in ombra dal manifesto. Negli anni Trenta il regime fascista avvia una politica di autarchia, utilizzando la pubblicità per sostenere i prodotti nazionali. Anche le aziende non mancano di riferirsi nelle loro pubblicità alle origini italiane dei prodotti, esaltandoli come “nazionali”. In generale durante il Fascismo ci fu un rallentamento della cultura pubblicitaria, condizionata dal regime.
Boccasile (1901-1952) può essere considerato il cartellonista più rappresentativo degli anni Trenta, creatore delle “signorine grandi firme” per la copertina di un settimanale. La sua fama è ora oscurata dal fatto che realizzò diversi manifesti per la propaganda fascista, anche durante la Seconda Guerra Mondiale. L’Italia che rappresenta nei manifesti è meno sofisticata di quella dei suoi predecessori: le donne sono popolari e hanno forme abbondanti.
Nel secondo dopoguerra l’Italia era alle prese con la difficile ricostruzione, per cui la pubblicità risentì delle difficoltà economiche del Paese. Negli anni Cinquanta nacquero tuttavia le prime associazioni di categoria. Nel 1950 fu organizzato a Torino il primo congresso nazionale della pubblicità e nel dopoguerra arrivarono in Italia le agenzie americane, con la loro cultura fatta di marketing e ricerche di mercato, lontana dalla dimensione ancora artigianale degli studi grafici degli anni Trenta.
Armando Testa è l’uomo che rappresenta il passaggio dalla pubblicità d’artista a quella professionale. Grafico, pittore e pubblicitario, nel 1946 apre uno studio che nel 1956 diventa un’agenzia di pubblicità. Crea celebri manifesti per il Punt e Mes, per Pirelli, caratterizzati dai fondi bianche e dall’uso dei colori primari. Ma soprattutto è in grado di cogliere il passaggio dal manifesto alla pubblicità televisiva. Inventa per Carosello una serie di personaggi indimenticabili: Caballero e Carmencita per Lavazza, il pianeta Papilla per Philco, Pippo per la Lines, la Bionda Peroni. Alcuni di questi personaggi, seppur creati negli anni Sessanta, continuano a vivere (come Carmencita) o ci hanno lasciato da poco tempo (come la Bionda Peroni o l’ippopotamo Pippo). Per lui Gillo Dorfles conia la definizione di “visualizzatore globale”,


sicuramente è un uomo di rottura che comincia a lavorare in maniera multimediale. Negli anni  Cinquanta le aziende si accorgono dell’importanza della pubblicità e in Italia cominciano a funzionare le filiali delle grandi agenzie americane e inglesi.

Carosello

Carosello fu per molti anni l’unico spazio che la televisione italiana dedicò alla pubblicità. Tutto ebbe inizio il 3 febbraio del 1957, alle 20.50. Carosello era strutturato in quattro episodi preceduti e seguiti da un siparietto musicale: le prime aziende inserzioniste furono Shell, Oreal, Singer e Cynar. Andò in onda dopo il telegiornale dell’unico canale televisivo Rai.
Nel palinsesto televisivo di quegli anni Carosello è un elemento di rottura, una ventata di divertimento  in una televisione nata per educare e acculturare gli italiani. La televisione aveva cominciato le trasmissioni regolari sul territorio nazionale qualche anno prima, nel 1954, ma essendo televisione di Stato si autofinanziava con il canone, per questa ragione poté aspettare ben tre anni prima di aprirsi alla pubblicità, non senza qualche resistenza.
L’apparecchio televisivo era ancora poco diffuso a causa degli alti costi – circa il triplo dello stipendio di un impiegato -, la gente seguiva quindi i programmi nei locali pubblici, al bar o a casa di un vicino facoltoso. E’ proprio con la nascita di Carosello che la televisione passa da oggetto di consumo occasionale, collettivo e ancora molto limitato nel tempo, ad un ascolto domestico di massa, ed è a questo punto che diventa utile inserirvi la pubblicità.
Carosello terminerà venti anni più tardi, il primo gennaio 1977. In venti anni andranno in onda        quasi
40.000 episodi, tutti i giorni tranne il venerdì santo, il 2 novembre e i tre giorni di lutto per la strage di piazza Fontana nel 1969.
L’etimo della parola è incerto, forse deriva da un gioco con la palla o dai salvadanai a forma sferica chiamati “carusielli”. Alcuni dicono che fu chiamato così per il film “Carosello napoletano” con Paolo Stoppa e Sophia Loren. Comunque il termine indica la varietà delle scenette che si susseguivano.
Carosello doveva sottostare a rigide norme imposte dalla Sacis in seguito all’accordo tra Rai e Ministero delle Poste. Le regole erano contenute nelle “Note per la realizzazione della pubblicità televisiva”. La Sacis aveva il compito di controllare e coordinare i filmati, mentre la Sipra raccoglieva gli introiti pubblicitari. All’inizio si era pensato addirittura di far leggere i comunicati alle annunciatrici, per non turbare troppo l’andamento dei programmi.
Le principali regole cui doveva sottostare Carosello erano:

  • una netta separazione tra parte di spettacolo, il “pezzo”, e parte pubblicitaria, il “codino”;
  • nella parte di spettacolo non si poteva accennare in alcun modo al prodotto reclamizzato;
  • il nome del prodotto o della marca non potevano essere pronunciati o scritti più di sei volte;
  • la parte di spettacolo non poteva essere interrotta;

  • nessun pezzo poteva andare in onda più di una volta;
  • non potevano comparire marche produttrici dei medesimi beni di consumo nella stessa trasmissione.

Lo Stato chiedeva già il canone per l’abbonamento quindi non poteva affliggere lo spettatore con una pubblicità invadente.
Poi c’erano i limiti della censura: la Sacis aveva il potere assoluto di censura preventiva per cui i pubblicitari dovettero sviluppare l’arte di negoziare con la Sacis. Alcuni esempi famosi di censura sono che l’olio d’oliva non poteva essere “vergine”, che l’artista non poteva avere “estro”, termine che indica l’amore primaverile degli animali.
Carosello ebbe un enorme successo di pubblico. Gli episodi vennero vissuti come veri e propri programmi, riuscivano ad attirare l’attenzione dei bambini e dei ragazzi. Erano piccole storie, spesso concepite a puntate, con gli stessi personaggi che si ripresentavano di giorno in giorno.
In realtà per la realizzazione dei caroselli, l’agenzia pubblicitaria lavorava sulla collocazione ideologica e sull’immagine del prodotto, ma la parte di spettacolo veniva creata altrove, spesso a Cinecittà. Non esisteva una strategia di marketing, non c’era ricerca, venivano utilizzate molte trovate.
Girarono episodi di Carosello i maggiori registi dell’epoca: Ermanno Olmi, Francesco Maselli, Pupi Avati, Sergio Leone, i fratelli Taviani, solo per citarne alcuni. Gli interpreti erano spesso attori famosi, cantanti, personaggi della televisione e anche molti pupazzi animati creati appositamente: Caballero e  Carmencita, gli abitanti del pianeta Papilla, Jo Condor, il gigante buono, l’Omino coi baffi, Cimabue, Tacabanda e molti altri ancora. Forse il più famoso ancora oggi rimane Calimero, che tuttavia diede uno scarsissimo contributo all’identità del detersivo che pubblicizzava, Ava, sconfitto dai concorrenti con campagne meno famose.
Carosello rappresentò la via italiana alla pubblicità televisiva, nato da un compromesso tra le esigenze pedagogiche della televisione di Stato e le esigenze di un Paese che andava rapidamente verso la modernità. Anticipò anche la tendenza alla pubblicità-spettacolo, teorizzata poi negli anni Ottanta da Séguéla, catturando l’attenzione dello spettatore attraverso il divertimento. Tuttavia in quei venti anni  di messa in onda l’Italia conobbe un periodo di forti cambiamenti che portarono anche alla fine di Carosello, non senza qualche rimpianto.
L’epoca di Carosello era stata segnata dagli alti costi che le aziende inserzioniste avevano dovuto affrontare per fare pubblicità televisiva, in parte perché dovevano pagare uno spazio in cui non parlavano del prodotto, lo “spettacolo”, che rappresentava una storia chiusa, senza riferimenti diretti al prodotto. In alcuni casi ciò poteva distogliere l’attenzione dalle finalità commerciali, che venivano “vampirizzate” dalla parte spettacolare. Nessuno ha mai verificato quali campagne abbiano funzionato davvero.


Ma in venti anni si modifica anche l’atteggiamento antindustriale e antimoderno da cui  la  società italiana era connotata negli anni Cinquanta. Nel 1976 il Presidente della Rai decide di sospendere Carosello, suscitando una serie di reazioni negative sulla stampa, mentre i pubblicitari gioiscono della notizia. L’Associazione dei pubblicitari italiani aveva infatti chiesto alla Rai di sopprimerlo per dare spazio anche alle aziende che non potevano permettersi i costi elevati. Le aziende chiedevano spot breve, che si potessero ripetere, che si potessero concentrare sul prodotto.
Inoltre con la sentenza del 1976 della Corte Costituzionale venivano liberalizzate le emittenti private in ambito locale, primo passo per la nascita delle televisioni commerciali. Nel 1977 cominciano anche le trasmissioni a colori.
Carosello fu una trasmissione molto amata dai bambini. Alcuni sostengono che abbia sostituito la favola della nonna, da cui il detto “ a letto dopo carosello”. Delle favole Carosello ha la natura ripetitiva, la stereotipia della formula, la ripetizione del tempo del racconto. Il pubblicitario finalizza la narrazione all’entrata in scena del prodotto in una sorta di lieto fine. Ma Carosello non è stato soltanto una favola per bambini. Prima l’Italia aveva vissuto la pubblicità attraverso i manifesti, gli annunci stampa, i pochi film pubblicitari nelle sale cinematografiche, la radio: la televisione diffonde prodotti fino ad allora sconosciuti, impone nuove marche, nuove abitudini di consumo e di vita. Nell’Italia povera del dopoguerra Carosello fece apparire il mondo dei consumi come un mondo di magia, traghettando gli italiani in modo delicato verso la modernità.
Nella pubblicità italiana attuale possiamo trovare tracce dell’eredità di Carosello nella pubblicità seriale, dal Paradiso gavazza di Bonolis e Laurenti ai Paguri di Poste Italiane fino alle varie campagne Tim e Vodafone.

Il dopo Carosello e gli anni Ottanta

Gli anni Settanta furono contraddistinti da una grave crisi economica e culturale, che mise in discussione i modelli di vita tradizionali. Anche la pubblicità fu investita da questa crisi, accusata di essere creatrice  di bisogni falsi e superflui. I pubblicitari erano indicati come servi del potere per antonomasia. Nel 1973, la crisi petrolifera provocò un rallentamento negli investimenti in pubblicità. Nel 1970 nasce Pubblicità Progresso, associazione che raccoglie diversi operatori del settore volta a sensibilizzare il pubblico su tematiche sociali. La pubblicità cavalca l’onda dell’emancipazione femminile e della “rivoluzione sessuale”, diventando più ammiccante. Ne sono esempi le campagne pubblicitarie per la Birra Peroni, con la Bionda protagonista che invita: “Chiamami Peroni, sarò la tua birra.” E le ormai famose immagini della campagna per i jeans Jesus che ritraeva un fondoschiena “Chi mi ama mi segua” e un busto di donna con i jeans slacciati, “Non avrai altro jeans all’infuori di me”, contestati però più per i richiami religiosi accostati a immagini provocatorie. Negli anni Sessanta e Settanta poi la pubblicità si accorge dei


giovani come potenziale target di riferimento e comincia a destinare una parte importante della comunicazione proprio a loro.
Nel 1974 la Corte Costituzionale liberalizza la trasmissione locale via cavo, due anni più tardi dichiara legittime le televisioni e le radio via etere, purché agiscano in ambito locale. I grandi editori cominciano ad interessarsi alla televisione: Rusconi, Rizzoli, Berlusconi. Nel 1978 nasce Telemilano, che diventa Canale 5 nel 1980. Nel 1978 nasce Publitalia, concessionaria delle reti Fininvest. Ha un’organizzazione efficiente che va a cercare i clienti, spesso scavalcando l’intermediazione delle agenzie e trattando direttamente con le aziende a colpi di sconti e passaggi gratuiti. Le conseguenze nel mondo pubblicitario sono notevoli: il mercato si allarga, molte aziende che erano rimaste fuori da Carosello cominciano a  fare pubblicità televisiva. Aumenta l’investimento globale in pubblicità. Nelle televisioni private gli spot si moltiplicano, creando sovraffollamento. La stampa entra in crisi a causa del calo degli investimenti pubblicitari, che passano da un 65% sul totale negli anni Settanta al 50% nei primi anni Ottanta.
Cambia anche il mestiere del pubblicitario, prima incentrato sull’impaginazione di un annuncio stampa, ora alle prese con lo spot.
Negli anni Ottanta il rapporto tra pubblicità e televisione si fa sempre più stretto. Con la nascita delle televisioni commerciali. I contenuti delle tv si adeguano alle necessità degli investitori. I conduttori stessi si portano dietro in dote una serie di sponsor. Nel 1985 comincia anche la saga pubblicitaria dei buoni sentimenti di Barilla, con lo spot “Treno” ideato da Gavino Sanna.
Crescono gli investimenti pubblicitari, sull’onda del falso boom economico. Le agenzie multinazionali diventano più grandi, allargano lo spettro di servizi anche a promozioni, direct marketing e PR. Il “Made in Italy” ha successo nell’abbigliamento e nel design. Il consumo assume un ruolo importante poiché la marca esprime lo status sociale del consumatore, “possiedo dunque sono”. Dopo la contestazione degli anni Settanta e la crisi degli anni di piombo si ritorna ai valori occidentali, all’estetica personale, alle griffe, alla ricerca del benessere individuale.

Dagli anni Novanta ai nostri giorni

Negli anni Novanta nascono le televisioni tematiche. La marca industriale entra in crisi con la crisi economica dei primi anni Novanta, nascono gli hard discount. Emerge una nuova figura di consumatore, più attento non solo alla qualità dei prodotti e al loro prezzo, ma anche alle valenze etiche del consumo. Come avviene la produzione? Si rispetta la natura? Viene sfruttata manodopera? L’azienda è attenta all’ambiente e alle risorse umane che vi operano? Anche le aziende decidono di investire nel sociale attraverso il Cause Related Marketing.
La pubblicità italiana degli anni Novanta riscopre la serialità tipica di Carosello con la saga Telecom di Massimo Lopez condannato a morte “Una telefonata allunga la vita”, Christian de Sica e il Parmacotto, il Paradiso Lavazza, prima con Solenghi e poi con la coppia Bonolis Laurenti.


Si sviluppano forme di comunicazione commerciale diversa dalla pubblicità classica, quella veicolata dai mass media. Si espande l’area grande della comunicazione: promozioni, direct marketing, relazioni pubbliche. Seth Godin parla di Permission Marketing, di una comunicazione commerciale che rispetta i tempi dei fruitori, li raggiunge quando chiedono di essere informati e non interrompe le loro attività, non invade i loro spazi come l’Interruption Marketing. Ciò è reso possibile anche dallo sviluppo di nuove tecnologie - Internet e la telefonia cellulare - che consente di raggiungere il consumatore con una comunicazione personalizzata, mirata alle sue esigenze, in alcuni casi richiesta come servizio.
Anche il termine “consumatore” sembra superato dall’idea di “persona che compie scelte di consumo”, come tutti facciamo, in modi diversi e non prevedibili nell’arco della giornata e della vita. Allora per le aziende diventa fondamentale “fidelizzare”, creare un rapporto stabile con i clienti, quasi un rapporto di affezione. Pensiamo al “marketing della memoria” o “retromarketing”, che rispolvera vecchi brand pieni di fascino per riproporli in chiave attuale. Prodotti come il Borotalco Roberts, le Pastiglie Leone, l’acqua Sangemini, l’Acqua di Parma, con cui i consumatori hanno un legame affettivo poiché ricordano  l’infanzia vengono conservati o rilanciati.
Le aziende e gli istituti di ricerca si avvalgono di una nuova figura professionale, quella del cool hunter, il cacciatore di tendenze che fotografa e registra nelle grandi città di tutto il mondo le tendenze appunto, i nuovi modi di vivere, di pensare, di trascorrere il tempo libero. Il cool hunter si occupa di consumi emergenti e trasmette le informazioni raccolte all’azienda o all’istituto di ricerca per cui lavora.
La sfida tra le aziende si sposta sul terreno delle emozioni, sul reciproco scambio di valore tra azienda produttrice e consumatori. Compito del “marketing esperienziale” è coinvolgere emotivamente, generando un vantaggio competitivo non più basato sulle differenze tangibili tra i prodotti, ormai standardizzati per prestazioni e qualità, ma sulla relazione con il consumatore che non può limitarsi al momento dell’acquisto.
Con in nuovi mezzi di comunicazione la pubblicità diviene “su misura” e interattiva. Anche se gli investimenti pubblicitari in Internet sono ancora contenuti, le aziende sono convinte che quello sarà il futuro della comunicazione con i propri clienti, per i costi contenuti, per la possibilità di interazione, per i nuovi linguaggi che è in grado di sviluppare, per la comunicazione ad personam. Oggi tuttavia Internet non è ancora un mezzo per raggiungere le grandi masse come avviene ancora con la televisione.

 

I MESTIERI DELLA PUBBLICITA’

 

L’agenzia di pubblicità è una società di consulenza che si occupa di ideare e pianificare una campagna pubblicitaria per un cliente, sia esso un’azienda o un ente pubblico.
Rientrano tra i compiti dell’agenzia:


      • la pianificazione strategica
      • la strategia creativa
      • la produzione della campagna pubblicitaria
      • la gestione della campagna

L’agenzia raccoglie intorno a sé diverse professionalità e competenze. Pur esistendo differenze sostanziali l’organizzazione delle diverse agenzie, possiamo individuare alcuni ruoli e funzioni che rintracciamo nelle agenzie tradizionali di dimensioni medio-grandi:

      • ACCOUNT
      • STRATEGIC PLANNER
      • COPYWRITER E ART DIRECTOR
      • RICERCATORE
      • MEDIA PLANNER
      • MEDIA BUYER
      • ART BUYER, TV PRODUCER

Il compito principale dell’account è quello di tenere i contatti con i clienti, che materialmente si traduce in:

      • raccogliere e filtrare le richieste dei clienti
      • interpretare i loro bisogni
      • stilare il documento di programmazione della comunicazione, il “piano di comunicazione”
      • coordinare gli altri reparti dell’agenzia perché il piano venga attuato nel modo e nei tempi voluti.

Per far ciò l’account si avvale di alcuni strumenti:

      • riunioni esterne
      • riunioni interne e brainstorming
      • meeting report
      • documenti di briefing
      • ordini di lavoro
      • memorandum
      • rapporti scritti e presentazioni
      • store check
      • copy analysis
      • documento di strategia (account o strategic planner)

Lo strategic planner ha il compito di guidare lo sviluppo strategico della comunicazione di un prodotto, un servizio o un marchio. Partendo dal posizionamento della marca o del prodotto lo strategic planner deve individuare uno o più concept, concetti, su cui impiantare l’idea creativa.


La messa a punto di una strategia di comunicazione efficace richiede l’analisi di una notevole massa di informazioni sul consumatore, sulla concorrenza, sul mercato in generale e sulla comunicazione del settore. Di ciò si occupa il ricercatore all’interno dell’agenzia, avvalendosi di ricerche condotte appositamente e di rilevazioni omnibus, che vari istituti di ricerca mettono sul mercato periodicamente. Una volta raccolte le informazioni e individuata una strategia di comunicazione la coppia creativa formata da art director, che si occupa della parte visiva, e copywriter, che si occupa della parte testuale, iniziano i loro lavoro, producendo alcune proposte. Le proposte vengono poi vagliate internamente dall’account e in seguito sottoposte al cliente.
Una volta approvata l’idea creativa questa viene declinata nei vari formati necessari ad adattarla ai  mezzi scelti dal reparto media, che si occupa anche dell’acquisto degli spazi su stampa, radio, tv, affissioni, ecc.
Art buyer e tv producer si occupano rispettivamente delle location, trovando gli oggetti necessari per il set fotografico o cinematografico, e di seguire la realizzazione dello spot video, che può essere fatta internamente all’agenzia o affidata esternamente ad una società di produzione cinematografica.
L’attenzione per i nuovi media ha poi creato la necessità di competenze specifiche in termini comunicativi, quindi sono nate agenzie specializzate nella comunicazione via web, così come concessionarie e società che di occupano di marketing on line e posizionamento dei siti internet.

 

I LINGUAGGI DELLA PUBBLICITA’

Analizzare la comunicazione pubblicitaria: definizioni e formati

Quando di parla di testo pubblicitario in primo luogo dobbiamo specificare a cosa ci riferiamo, uno spot televisivo o cinematografico, un annuncio stampa, un comunicato radiofonico, un manifesto, oggi anche un banner in un sito Internet. La comunicazione pubblicitaria può assumere molte forme sia sui media tradizionali come stampa radio televisione e cinema, sia su mezzi più recenti come Internet e i telefoni cellulari. Non solo, ci sono poi i vari formati da considerare (la durata dello spot, le dimensioni del manifesto, ecc.).  Eccone alcuni esempi:

Tabella 3.1: Alcune tipologie di formati pubblicitari

Tipo di pubblicità

Media

Formato

annuncio

stampa periodica o quotidiana

doppia pagina, pagina intera, mezza pagina, moduli, ecc.

Radiocomunicato

Radio

a parole o a tempo

spot o telecomunicato o commercial

tv o cinema

standard 30 sec., ma anche 5,10, 15, 20, 40, 45, 60

manifesto

Murale

misura standard  70 X 140 cm e multipli

Poster

Murale

6X3m


Un campagna pubblicitaria può essere costituita da più pezzi: annunci stampa, spot, manifesti, che sviluppano uno stesso discorso, hanno un obiettivo comune e si basano su una stessa strategia di comunicazione.
A seconda del tipo di supporto utilizzato anche i criteri di analisi del testo potranno variare. Analizzare uno spot richiede, ad esempio, competenze di analisi di un testo audiovisivo diverse da quelle  necessario per un annuncio stampa. Alcuni elementi di analisi potranno rimanere invariati, ad esempio l'individuazione del target e della strategia che sta dietro la campagna pubblicitaria e la valutazione della coerenza del testo pubblicitario.

Analizzare la comunicazione

L'analisi del testo pubblicitario è per alcuni versi un percorso a ritroso rispetto alla sua creazione. Si può partire dal testo per rintracciare obiettivi, strategia, target, tono di voce che l'agenzia e il committente della campagna hanno pensato e per verificare la coerenza con gli intenti di comunicazione, con ciò che si intendeva dire.
Ogni campagna pubblicitaria è frutto di un brief, strumento indispensabile per costruire un buona strategia di comunicazione, che l'account ha dato ai creativi in base alle esigenze del cliente. Il brief è un documento che fornisce informazioni sul prodotto, sul mercato, sui potenziali consumatori e sugli obiettivi dell'azienda. In base a quel documento la coppia creativa formata da art director - colui che si occupa delle immagini - e copywriter - colui che si occupa dei testi - elaborano un concept per la campagna, un'idea creativa su cui basare la comunicazione. Nel percorso di analisi dovremmo essere in grado di rintracciare quell'idea, quella lampadina che si è accesa nella mente dei creativi.
Come tutti i processi di comunicazione il testo pubblicitario può essere analizzato secondo lo schema:  chi - comunica cosa - a chi - quali mezzi - per ottenere cosa.  Diversi  ambiti  disciplinari  si  sono interessati di analizzare il testo pubblicitario: dalla semiotica allo studio dei mass media elaborando diversi strumenti di analisi più o meno complessi e più o meno soggettivi nelle loro applicazioni.
La lettura del testo pubblicitario deve avvenire in primo luogo in maniera complessiva, lasciandosi trasportare dalle sensazioni e intuizioni immediate per poi procedere ad una scomposizione e poi nuovamente ad una visione d'insieme del testo.
Possiamo ipotizzare un percorso di questo tipo per analizzare un testo pubblicitario: 1.il primo impatto: cosa suscita in noi la vista del testo?
2.la scomposizione del testo: da che elementi è costituito e che relazione esiste tra questi? 3.l'analisi delle singole parti;

  • la valutazione complessiva: c'è coerenza nel testo, ovvero tutte le sue parti contribuiscono alla significazione nella medesima direzione?

Prodotto e tipologia di campagna

La prima domanda da porsi di fronte ad una pagina pubblicitaria: è cosa viene pubblicizzato? Può sembrare un interrogativo banale ma la risposta è immediata solo se i creativi hanno fatto bene il loro mestiere. Dovrebbe bastare infatti una prima occhiata per capire di che prodotto, servizio, marca, promozione in corso, ecc. Alcune informazioni in proposito si possono trarre dal testo, per altre bisogna cercare informazioni da altre fonti. In molti casi sul sito Internet dell'azienda o dell'agenzia pubblicitaria che ha realizzato la campagna forniscono informazioni ulteriori sull'azienda, sull'agenzia, sulla realizzazione della campagna, sul testimonial.
La seconda domanda da porsi è: che tipo di campagna pubblicitaria ci troviamo ad analizzare? Le classificazioni dipendono da cosa viene pubblicizzato, dagli obiettivi della comunicazione, dall'uso di uno o più media, dal soggetto emittente.
Proviamo a vedere le principali classificazioni:

 

Tabella 3.2: Tipologie di campagne pubblicitarie

sociale

affronta tematiche sociali di comune interesse (aids, donazione sangue, sicurezza stradale, ecc.)

commerciale

ha come obiettivo di vendere un prodotto o sevizio

di prodotto

è focalizzata su un singolo prodotto o servizio

di linea

parla di una linea costituita da più prodotti

istituzionale

parla dell'immagine di un'azienda nel suo complesso e non di un prodotto o servizio

di lancio

Per introdurre un nuovo prodotto o servizio sul mercato

di mantenimento

intende conservare ciò che è già stato raggiunto e a sostenere l'immagine della marca

comparativa

confronta direttamente le qualità di un prodotto o servizio con quelle di un concorrente.

collettiva

mira a favorire un'intera categoria o alla diffusione di un prodotto in generale (birra…e sai cosa bevi)

monosoggetto

è costituita da un unico annuncio

multisoggetto

utilizza più annunci in genere con lo stesso format

monomezzo

si avvale di un unico media per veicolare il messaggio

Multimedia

prevede l'uso di più media contemporaneamente


      • Contesto sociale e di mercato

Le informazioni relative al prodotto, alla marca, al mercato in cui sono inserite e al contesto sociale sono estremamente utili per scende in profondità nell'analisi, anche se richiedono spesso l'intervento di altre fonti, che trascendono i l testo pubblicitario in esame. Pensiamo ad esempio se l'analisi riguarda un annuncio stampa di una lavatrice dei primi anni Sessanta, conoscere il contesto storico sociale (boom economico, introduzione degli elettrodomestici che modificano la vita quotidiana delle famiglie, in particolare quello della donna-casalinga, ecc.) mi sarà molto utile per capire meglio alcune cose. D'altronde posso procedere in senso inverso e dedurre dal testo pubblicitario alcune considerazioni sulla realtà sociale dell'epoca. In tal caso l'analisi delle pubblicità di un periodo ci può aiutare ad interpretare meglio un'epoca storica, attraverso l'immagine che essa stessa si da.

Gli elementi di un annuncio stampa

Negli annunci stampa la pagina pubblicitaria è spesso costituita dai medesimi elementi, organizzati in maniera simile anche a livello spaziale.
Nella coppia creativa il copywriter si occupa della parte verbale dell'annuncio mentre il l'art director si occupa della parte visiva, in particolare dell'organizzazione spaziale dell'annuncio il cui visual può essere costituito da una fotografia o da un'illustrazione appositamente commissionati o già esistenti, per esempio presi da una banca dati di immagini.
Gli elementi di un annuncio stampa sono:

  • Headline; in genere posto in alto nella pagina, è il titolo dell'annuncio. In caratteri più grandi rispetto alla bodycopy. Ha un legame molto stretto con il visual di cui contribuisce a definire il senso.
  • Visual: l'immagine dell'annuncio che può essere una fotografia, un disegno, una vignetta, ecc.
  • Bodycopy: il testo, in genere in carattere minore, che può contenere informazioni ulteriori sul prodotto.
  • Packshot: l'immagine del prodotto o della confezione. E' presente spesso per i prodotti di largo consumo. Ha la funzione molto importante di far riconoscere il prodotto ai consumatori nei luoghi di acquisto. Quando andrò al supermercato, saprò già come è fatta la scatola di biscotti o la confezione del dentifricio. La confezione ha quindi un'importante valenza comunicativa che si esplica sul punto vendita e attraverso l'uso di forme e colori, non solo comunica il contenuto, ma lega anche il momento dell'acquisto agli altri momenti della comunicazione di marca o prodotto.
  • Logotipo e trademark: il logotipo è il nome dell'azienda o della marca mentre il trademark è il simbolo del marchio aziendale. La marca può essere rappresentata visivamente da un simbolo iconico  e  da  un  logotipo  che  attraverso  colore  e  lettering  distinguono  la  personalità della

marca. Rappresenta l'emittente, il "chi" del processo di comunicazione. Sempre più egli ultimi anni la marca ha assunto un ruolo di preminenza del prodotto. I valori legati ad essa infatti sono mantenuti stabili nel tempo e anche se possono subire dei cambiamenti, sono comunque adattamenti ponderati e lenti. I prodotto invece per esigenze di mercato hanno vita più breve, le caratteristiche possono essere modificate in base ai gusti del pubblico, alle mosse dei concorrenti, ad innovazioni tecnologiche che subentrano. Si parla sempre più di comunicazione di marca.

  • Payoff o baseline: la frase conclusiva che riassume il posizionamento di marca. E' la frase che termina l'annuncio, una sorta di firma, in genere collocata in basso a destra. E' l'ultima cosa che si legge dell'annuncio.

Analisi dell'organizzazione spaziale

Oltre all'individuazione degli elementi che costituiscono l'annuncio stampa è utile capirne anche la funzione e la relazione tra essi.
Headline e visual richiamano l'attenzione, sintetizzano il contenuto dell'annuncio e stimolano la memorizzazione. Sono i primi elementi che emergono dalla lettura di un annuncio stampa. In genere tra loro esiste un legame molto forte da cui si può risalire all'idea che i creativi hanno in mente. L'interpretazione del legame che esiste tra immagine e titolo deve essere di lettura quasi immediata, deve poter essere decodificato in tempi rapidi senza tuttavia essere banale. Qui sta una delle difficoltà maggiori del lavoro di creativo, essere originale senza diventare incomprensibile, aggiungere qualcosa di nuovo rimanendo comprensibili.
La bodycopy spiega il contenuto di headline e visual. Non è sempre presente, in genere ha un contenuto più informativo e meno suggestivo, è scritta in caratteri più piccoli. E' la parte testuale che punta più sulle motivazioni razionali all'acquisto di un prodotto. In alcuni casi vi si possono rintracciare reason why, consumer benefit e supporting evidence. In genere contengono un invito più o meno esplicito all'acquisto.
Il payoff è la frase conclusiva, che in genere è posta dopo il logotipo e sintetizza i valori e la mission di cui l’azienda si fa portatrice. Ne sono esempi, solo per citarne alcuni: “Life is now” di Vodafone, “La natura che fa per te” di Antica Erboristeria, “Vivi di gusto” di Misura, “La natura di primma mano” di Valfrutta, “Italian pleasure experience” di Teuco, “Più la ascolti, più la senti” per Radio R101, ma anche “Ti facilita la vita” per il settimanale Donna Moderna, “Tutto quello che devi sapere” per Panorama.
Gli elementi sopra indicati non sempre sono presenti al completo. Nelle pubblicità di moda ad esempio spesso l'immagine della modella o del testimonial è accompagnata semplicemente dal logo, dalla rappresentazione grafica della marca. La mancanza di elementi verbali è determinata da una serie di motivi, dalla frequenza con cui escono le campagne, dalla necessità di comunicare un mondo più che   le


caratteristiche tangibili e materiali di un prodotto. Tra Chanel e Armani non scegliamo tanto in base alla qualità o ai tessuti, ma all'immaginario che la marca è riuscita a costruire intorno a sé. Questo discorso è molto evidente in alcuni settori, meno in altri come i prodotti di largo consumo. Ci sono poi tipologie di prodotti nelle cui campagne pubblicitarie di tende a spiegare a parole i benefici che il consumatore  potrà ottenere, ad esempio le assicurazioni. Quello delle automobili è un settore particolare poiché ci sono le spiegazioni razionali ma conta molto anche l'aspetto emozionale e di immagine.

Analisi dell'immagine

Il visual di un annuncio stampa è spesso costituito da una fotografia realizzata appositamente per quella campagna da un fotografo professionista, che in alcuni casi lavora in esclusiva per l’agenzia ma molto  più frequentemente è un collaboratore esterno. Esistono poi anche banche dati fotografiche cui si può attingere acquistando i diritti sulle immagini che ci interessano.
In alcune pubblicità viene ripresa un’immagine dello spot televisivo, in altre possiamo trovare un’illustrazione, un fumetto, un’elaborazione grafica del logo.
La scelta dei colori è importante quando si pensa una campagna pubblicitaria. Un colore può essere associato ad una marca - il blu Barilla o il rosso Vodafone - ad una categoria merceologica (il giallo oro dei prodotti da forno, ad esempio), ad una sensazione, ad una funzione del prodotto. Il primo compito dei colori può essere quello di attirare l'attenzione, di creare una certa atmosfera richiamando ricordi e associazioni in colui che guarda, ma può anche essere utilizzato per mettere in risalto alcune parti dell'annuncio o stabilire percorsi di lettura.
Il significato dei colori è dovuto in parte alla nostra esperienza soggettiva, in parte ai meccanismi della percezione, in parte ai significati simbolici che in una certa cultura vengono attribuiti. Ad esempio il nero può significare raffinatezza e rarità, eleganza ma è anche il colore del lutto. Il bianco è purezza, il rosso è sangue, aggressività ma anche seduzione e passione. Inoltre il colore cambia significato anche per il contesto in cui è inserito.
I colori attivi e chiari, rosso e giallo, provocano movimento o azione che può essere anche irritante, con un forte impatto carico di aggressività. I colori scuri e passivi, blu e verde, sono statici e provocano un'azione rilassante, con proprietà di armonia, tranquillità e benessere, suscitando il bisogno di realizzare desideri.

Analisi del testo

Analizzare la comunicazione verbale è un passaggio fondamentale per la comprensione dell’annuncio:

  • che tipo di linguaggio usa? Italiano comune, ricercato, linguaggio tecnico, lingue straniere: inglese, francese;
  • nella bobycopy si individua una struttura composta da apertura, corpo e conclusione?

  • il tono è informativo, emotivo, suggestivo?
  • ci sono neologismi, doppi sensi, giochi di parole, forme grammaticali insolite, figure retoriche, modi di dire.

In generale possiamo individuare alcune caratteristiche del linguaggio pubblicitario:

  • Sintesì (o così, o Pomì)
  • Tendenza ad andare sopra le righe (“100% freschezza” per il deodorante Neutro Roberts)
  • Uso di neologismi (lavasbianca, digestimola, mangiaebevi, biobenessere)
  • Uso disinvolto di grammatica e sintassi (metti un Tigre nel motore, chi Vespa mangia le mele)
  • Ricorso alla rima (Ava come lava).

A seconda del tipo di prodotto e anche del pubblico che si vuole raggiungere con la comunicazione pubblicitaria vengono scelte argomentazioni razionali o piuttosto il richiamo ad emozioni e sensazioni.
Anche il testo subisce un trattamento grafico, diventa immagine esso stesso, a partire dalla scelta del carattere e delle dimensioni, alla posizione. Uno stratagemma utilizzato ad esempio in alcuni annunci stampa, come quello Breil (2004), prevede una scritta tagliata, non visibile per intero. Il nostro sistema percettivo tenterà di completarla, anche senza una scelta volontaria. E' una scelta creativa che può essere efficace, soprattutto se fatta da una marca conosciuta che non rischia di rendere il messaggio incomprensibile. Nel caso di Breil l'headline è il claim degli spot pubblicitari ormai da molto tempo, quindi nessun problema per il fruitore nel ricostruirne ile parti mancanti (don't touch my breil).
La scelta del carattere tipografico da utilizzare per l'annuncio stampa dipende da una serie di fattori: che tono vogliamo dare alla comunicazione, se esiste già un carattere che identifica la comunicazione di prodotto o di marca. Comunque poiché nel testo pubblicitario tutto comunica qualcosa, anche la scelta del carattere ha un significato. Ad esempio quando si vuole riportare la testimonianza diretta di una persona si può adottare un carattere che simuli una grafia a mano.

 

Rapporto tra immagine e testo

Tra immagine e testo si possono stabilire diverse relazioni. Possono entrambi  contribuire  alla costruzione di un messaggio coerente ma possono anche non andare nella stessa direzione di  significato. Possiamo schematizzare in questo modo la relazione tra testo e immagine in un annuncio stampa:

        • Il testo fornisce un ancoraggio ad un significato per la potenziale polisemia dell'immagine.
        • Tra immagine e testo c'è convergenza: la parola descrive e l'immagine esemplifica.
        • Tra immagine e testo c'è parziale divergenza: si alternano divergenze e punti di contatto.
        • Tra immagine e c'è opposizione totale: nel caso del paradosso e dell'ironia.

Target

Il linguaggio e i media scelti per la campagna di comunicazione devono tenere conto del target, il bersaglio, il pubblico a cui è rivolto un annuncio stampa. Il target può essere definito secondo parametri socio-demografici (età, sesso, grado di istruzione, tipologia della località in cui abita) o secondo parametri psicografici, come gli atteggiamenti verso il consumo o la pubblicità, gli orientamenti valoriali, ecc. Non sempre il target di una pubblicità coincide con i consumatori del prodotto (target primario), ma può riguardare gli acquirenti che non sono fruitori – una moglie che compie un acquisto per fare un regalo al marito -, gli opinion leader, i fruitori come i bambini che non acquistano direttamente ma influenzano le scelte delle mamme. L'azienda potrebbe ad esempio volersi rivolgere ad un pubblico più ampio per estendere i consumi.

Lettura d'insieme

Un volta analizzate le singole parti si torna alla visione di insieme del testo. Elemento fondamentale da valutare è la coerenza tra le varie parti. Ci poniamo la domanda: tutte le parti dell'annuncio contribuiscono a dare una lettura univoca, senza contraddizioni, volta a comunicare un certo messaggio? Tutte le parti sono necessarie a questo scopo? L'equilibrio è tra l'essere sintetici senza  essere criptici. Il creativo di dovrebbe chiedere cosa posso togliere senza cambiare il senso dell'annuncio?

3.3 Lo spot

Nel caso dello spot pubblicitario l'analisi diventa più complessa poiché entrano in gioco diversi livelli di comunicazione e diversi linguaggi: mimico, prossemico, iconico, verbale, sonoro, filmico, dei colori.
Proponiamo di seguito una scheda per la lettura di uno spot pubblicitario, precisando che si tratta di spunti di riflessione senza pretese di esaustività:

 

SCHEDAPER LA LETTURA DI UNO SPOT PUBBLICITARIO

 

prodotto pubblicizzato
informazioni di base (azienda, anno, agenzia, casa di produzione, regia, fotografia, colonna sonora, testimonial, luoghi di ripresa) tipo di campagna (di lancio, di mantenimento, di prodotto, di linea, istituzionale, comparativa, multisoggetto, multimedia…) struttura del messaggio:
linguaggio visivo:

 

  • inquadratura: campo lunghissimo, campo lungo, campo medio, figura intera, piano americano, piano ravvicinato,  primo piano, primissimo piano,
  • angolo di ripresa: obiettivo di fronte al personaggio, asse ottico inclinato verso il basso, asse ottico inclinato verso l’alto,
  • Illuminazione
  • messa a fuoco
  • colori

 

sonoro:

 

  • rumori
  • linguaggio verbale

musica
claim (frase che chiude lo spot e caratterizza la campagna pubblicitaria) storia (chi, dove, come, quando, perché)

 

  • personaggi
  • ambientazione
  • svolgimento della vicenda

citazioni (cinematografiche, letterarie, pittoriche, ecc…) target
coerenza del messaggio

4. TEORIE E CONTAMINAZIONI

 

Effetti ed efficacia della pubblicità

Partiamo dal presupposto che è molto difficile misurare gli effetti della pubblicità, sia per studi sociali sia per finalità commerciali. In primo luogo dobbiamo distinguere gli effetti a breve termine della singola campagna pubblicitaria da quelli a lungo termine, su tutto il sistema sociale, provocati dal fenomeno pubblicità nel suo complesso. In passato il ruolo del destinatario della comunicazione pubblicitaria era stato spesso sottovalutato, enfatizzando invece la posizione dell’emittente.
Una campagna pubblicitaria poi può avere obiettivi diversi e quindi ottenere risultati diversi. In particolare possiamo distinguere tre categorie di obiettivi:

    • obiettivi cognitivi: informare il target, sviluppare consapevolezza e attenzione;
    • obiettivi emotivo/attitudinali: suscitare emozioni e creare atteggiamenti favorevoli verso il prodotto;
    • obiettivi comportamentali: indurre all’acquisto, al passaparola, alla collaborazione.

A seconda degli obiettivi che ci siamo prefissati possiamo valutare l’efficacia o meno di una campagna pubblicitaria. Anche gli effetti della campagna possono essere distinti in:

  • effetti cognitivi: conoscenza, ricordo, notorietà, memorizzazione del prodotto o della marca;
  • effetti comportamentali: acquisto, passaparola, collaborazione.

Nel corso degli studi sulla pubblicità sono stati elaborati diversi modelli per spiegarne il funzionamento. Il più conosciuto è il modello AIDA (acronimo di Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione), primo a far tesoro della psicologia. I limiti di AIDA sono che è un modello schematico, generico, che non vale per tutti i beni, ad esempio quelli ad acquisto frequente. Nel 1923 Starch dice che la pubblicità deve   essere


vista, letta, creduta, ricordata e indurre all’azione. Questa teoria viene elaborata per spiegare il funzionamento della pubblicità sulla carta stampata.
Altro modello interessante è il DAGMAR (dalle iniziali delle parole che compongono il titolo del libro in cui l’autore lo ha proposto: Defining Advertising Goals for Measured Advertising Result), elaborato da Russel H. Colley che ritiene fondamentale il ricordo della marca. L’efficacia della pubblicità non si può misurare tramite le vendite ma misurando gli indici relativi alle quattro fasi del suo modello –  conoscenza (il consumatore deve essere informato dell’esistenza di un prodotto), comprensione (il consumatore deve capire ciò che il prodotto gli offre), convinzione (il consumatore deve ritenere conveniente l’acquisto del prodotto), azione (il consumatore deve decidere di effettuare l’acquisto) - prima e dopo la realizzazione della campagna pubblicitaria.
Infine Fabris elabora il modello delle 4 i (impatto, interesse, informazione, identificazione) e 4 c (comprensione, credibilità, coerenza, convinzione), più flessibile e adattabile dei precedenti. Queste  sono le principali variabili che entrano in gioco nel processo pubblicitario; i fattori non sempre compaiono tutti e non sono uno di seguito all’altro.
Ma come possiamo calcolare la pressione esercitata da una campagna pubblicitaria su di un certo target? Gli studiosi di hanno elaborato il Gross Rating Point, ovvero l’indice di copertura lorda, espresso dalla formula GRP = C x F. L’indice di copertura è dato dalla Frequenza (F) – quante occasioni di contatto ha con il messaggio in media ciascun individuo raggiunto - per la Copertura (C) – quante persone del target sono state esposte almeno ad un messaggio.
Al di là degli studi e delle teorie il mestiere del pubblicitario richiede due doti fondamentali: mettersi sulla lunghezza d’onda di coloro con i quali si vuole comunicare ed essere curiosi verso tutto e tutti, senza snobismi verso ciò che è popolare o viene dalla strada. La pubblicità oggi deve giocare d’anticipo, senza precorrere troppo i tempi, ma anticipando tendenze e orientamenti valoriali che emergeranno. Oltre al lavoro di analisi quantitativa dei dati, è necessario quindi un lavoro sull’aspetto qualitativo degli input sociali, a cui si stanno adeguando anche alcuni istituti di ricerca, come il Future Concept Lab di Francesco Morace.

La pubblicità sociale

Possiamo definire la pubblicità sociale come l’insieme dei messaggi e delle comunicazioni creati con i metodi e diffusi con i mezzi della pubblicità commerciale, ma finalizzati a scopi di utilità sociale e di interesse generale.
Come distinguere allora la pubblicità sociale da quella commerciale? Innanzi tutto dai contenuti, dai soggetti promotori e dalle finalità. I soggetti promotori possono essere:

  • Pubblica Amministrazione nei suoi organi centrali, come i ministeri o la Presidenza del Consiglio, o periferici, come Regioni Province e Comuni;

  • Organizzazioni no profit;
  • Privati.

Le finalità generali della comunicazione sociale sono:

  • la sensibilizzazione su tematiche di interesse generale,
  • una funzione didattico pedagogica,
  • incentivare o disincentivare alcuni comportamenti.

Uno dei soggetti che maggiormente si è adoperato in Italia per le campagne sociali è Pubblicità Progresso, associazione senza fini di lucro nata agli inizi degli anni Settanta su modello dell’Advertising Council americano creato nel 1941. La finalità di Pubblicità Progresso è promuovere una corretta comunicazione sociale e sensibilizzare la coscienza civile dei cittadini su problemi morali e civili. Pubblicità Progresso ha realizzato campagne sociali che hanno affrontato diverse tematiche: dai diritti delle minoranze, alla difesa dell'ambiente, ai problemi dell'infanzia, ai diritti e doveri dei cittadini. Per la realizzazione delle sue campagne l'Associazione si avvale dei professionisti del settore, i quali mettono gratuitamente      a      disposizione       la       loro       esperienza,       le       risorse       e       i       mezzi.      La diffusione delle campagne avviene gratuitamente con l'ausilio di tutti i mezzi di informazione: quotidiani, periodici, televisioni, radio e affissioni.
Nel passato troviamo anche esempi di comunicazione promossa da aziende che richiama tematiche sociali. Famoso è il caso della collaborazione tra Benetton e il fotografo Oliviero Toscani, che produsse immagini scioccanti al limite della denuncia sociale, dal malato morente di AIDS ai condannati a morte nelle carceri degli Stati Uniti, immagini molto contestate poiché mostrate al di fuori del contesto giornalistico informativo come visual di manifesti pubblicitari, quindi con finalità commerciali. La domanda che ricorreva era: è lecito mostrare tutto ciò per vendere maglioni? Nelle intenzioni di Toscani c’era una volontà di denuncia di alcune ipocrisie, utilizzando un canale di comunicazione diverso e per certi versi innovandone il linguaggio, togliendo la centralità al prodotto per affidarla ad una visione del mondo suggellata da una firma “United Colors of Benetton”. Tra le conseguenze di questa strategia c’è stata sicuramente una moltiplicazione dell’effetto pubblicitario, prodotta dalle polemiche e dalle discussioni avviate sugli altri media di massa ma anche tra il pubblico a livello internazionale.
Finito il sodalizio con Benetton, Toscani ha continuato a seguire la strada della provocazione, della sfida alla censura con la campagna pubblicitaria per il marchio di abbigliamento maschile Ra-Re (2005) che ritrae due uomini seduti sul divano in atteggiamento scherzosamente erotico, vietata dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.
La pubblicità sociale utilizza quindi mezzi e strumenti della pubblicità commerciale con finalità del tutto diverse. In questa diversità risiede anche uno dei suoi punti di maggior debolezza: la pubblicità sociale mostra infatti situazioni problematiche e sgradevoli, lontane dall’orizzonte positivo che permea la pubblicità commerciale e che ne costituisce infondo anche la sua natura stessa, la mancanza della  parte


oscura, del negativo in un mondo fatto di bellezza e buon i sentimenti. Inoltre la pubblicità sociale si pone obiettivi ambiziosi, come modificare alcune opinioni o valori che possono essere radicati nel profondo di un individuo, disposto con più facilità probabilmente a modificare un comportamento d’acquisto che un abitudine radicata come ad esempio quella del fumo.
Il tono della comunicazione sociale diverge spesso in modo netto da quello della pubblicità  commerciale. In alcuni casi cerca di spiegare o di mostrare gli effetti di un certo comportamento non corretto, cadendo a volte in toni paternalistici, ma in alcuni casi tende a scioccare, come avviene per le campagne sulla sicurezza stradale che mostrano immagini crude e drammatiche del fenomeno per convincere ad adottare comportamenti più sicuri e responsabili soprattutto un pubblico giovane.
Altro nodo cruciale della pubblicità sociale sono gli scarsi fondi di cui dispone, controbilanciati in parte dai passaggi gratuiti offerti dalle principali emittenti televisive.

La comunicazione aziendale e l’impegno sociale

La pubblicità è solamente uno dei modi attraverso cui un’azienda comunica verso l’esterno. Si usa dire che la pubblicità classica rappresenta l’area piccola della comunicazione d’impresa mentre l’area grande è costituita da tutti gli altri strumenti del comunicare. La pubblicità fa parte quindi di un sistema più complesso di comunicazione integrata, che deve essere coerente e pianificato secondo strategie di  lungo periodo. In particolare ogni azienda dovrebbe avere risorse umane e finanziarie da destinare alla comunicazione interna ed esterna, sia per affermare la propria identità, sia per relazionarsi con  il mondo. Al fine di rendere la comunicazione verso l’esterno coerente è necessario che ci sia armonia tra il linguaggio, i contenuti e i canali di comunicazione utilizzati dall’azienda.
L’impresa comunica internamente con:

  • dirigenti;
  • impiegati;
  • tecnici;
  • operai;
  • venditori.

Gli obiettivi della comunicazione interna riguardano il fornire informazioni sul sistema impresa e sulle sue attività, ma anche motivare al senso di appartenenza e coinvolgere attraverso forme di partecipazione le proprie risorse umane. Esempi di strumenti della comunicazione interna sono le riunioni, le convention, la formazione in aula, i manifesti affissi, la stampa aziendale, la pubblicazione del bilancio annuale.
L’impresa comunica con vari pubblici esterni:

  • soci;
  • finanziatori;

  • clienti;
  • fornitori;
  • pubblica amministrazione;
  • enti locali;
  • associazioni e partiti;
  • sindacati.

A metà strada tra pubblici interni ed esterni si collocano gli agenti e i rappresentanti, i consulenti e le società controllate e collegate.
La comunicazione esterna si avvale di una serie di strumenti:

  • la pubblicità tradizionale su stampa, radio, cinema, tv, manifesti;
  • le promozioni: consistono in una riduzione di prezzo, in omaggi, premi, dimostrazioni sul punto vendita, concorsi, volti all’aumento delle vendite in un dato periodo di tempo, ad esempio in occasione del lancio di un nuovo prodotto. Sono azioni di marketing che prevedono la temporanea offerta di un vantaggio economico a un definito gruppo di destinatari, nel quadro della strategia commerciale dell’impresa;
  • le sponsorizzazioni: si tratta del finanziamento di un evento di pubblico interesse, ad esempio un evento culturale come un concerto (il Cornetto free music festival) o sportivo (il trofeo Birra Moretti), di una singola persona (un artista o uno sportivo ad esempio), per un gruppo di persone (una squadra sportiva, un’orchestra, ecc.) da cui ci si aspetta un ritorno in termini di immagine e consenso;
  • le rp e l’ufficio stampa: le pubbliche relazioni sono uno strumento di politica aziendale finalizzate a comunicare un’immagine corretta dell’azienda a pubblici generici o specifici;
  • le pubblicazioni;
  • i cataloghi e il materiale di presentazione;
  • il direct marketing: l’azienda stabilisce in questo caso un rapporto diretto con il cliente mediante  una comunicazione interattiva che include una proposta di vendita. Si avvaleva tradizionalmente di posta (direct mail) e telefono (telemarketing), cui si aggiungono ora internet (e-mail marketing) e telefono cellulare. E’ necessario creare un database, un archivio di nominativi a cui inviare una comunicazione mirata e personalizzata;
  • la partecipazione a fiere e mostre;
  • le iniziative rivolte al sociale: il Cause Related Marketing è una formula recente che unisce la pubblicità commerciale a iniziative di carattere sociale. Ad esempio parte delle vendite di un prodotto può essere destinato a una causa sociale.

Il marketing sociale o CRM è una delle nuove frontiere della comunicazione aziendale che consentono all’azienda un ritorno in termini di immagine, a patto che ci sia coerenza tra i valori dell’azienda e   quelli


dell’iniziativa appoggiata. Ne è un esempio l’iniziativa di Dash Missione Bontà – Ospedale Amico che aveva come obiettivo la realizzazione di sale giochi e accoglienza negli ospedali pediatrici, per migliorare la qualità della degenza dei bambini.
La globalizzazione ha messo a confronto sistemi economici governati da regole diverse, facendo emergere la necessità per l’impresa di assumersi la responsabilità delle conseguenze economiche, sociali e ambientali dell’attività che svolge. Il rapporto tra aziende e società si sta quindi modificando a causa dell’internazionalizzazione dei mercati e della consapevolezza delle aziende che la loro immagine gioca un ruolo fondamentale nel successo imprenditoriale. La Corporate Social Responsability (CSR) si traduce per le imprese più sensibili nella necessità di una comunicazione trasparente e socialmente responsabile con i propri interlocutori.
Telecom ad esempio ha avviato nel 2003 il “Progetto Italia” con lo scopo di contribuire alla crescita del Paese attraverso iniziative in campo culturale per la divulgazione del patrimonio artistico, progetti di solidarietà per le fasce più deboli, come il Servizio 114 Emergenza Infanzia, il sostegno per la raccolta fondi per la ricerca medica, (Telethon e Giornata per la Ricerca sul Cancro organizzata da AIRC), la formazione, lo sport.

 

Fonte: http://docenti.unimc.it/paola.papakristo/teaching/2014/13848/files/dispensa-corso-pubblicita-2014-2015

Sito web da visitare: http://docenti.unimc.it

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