Corso per operatori sportivi

Corso per operatori sportivi

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Corso per operatori sportivi

La dispensa seguente è  parte del Programma Multimediale Per Operatori Sportivi, realizzata dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano nel 1984. Anche se  la stessa è indirizzata a quanti operano come istruttori, allenatori e insegnanti di Ed fisica, sarebbe opportuno che anche genitori e gli stessi giovani praticanti lo sport ne fossero a conoscenza.
Conoscere le motivazioni profonde che portano a scegliere la attività fisica come mezzo di espressione sicuramente mi avrebbe aiutato a vivere lo sport e la mia adolescenza in modo più consapevole.
Andrea Mismetti

MOTIVAZIONI, ABILITA E COMPORTAMENTI MOTORI

Con il termine motivazionesi indica in psicologia l'agente fisiologico, emotivo e cognitivo, che organizza il comportamento individuale verso uno scopo.
In questo processo dinamico l'organismo e la personalità sono fattori che danno origine al comportamento motivato. La personalità guida tale condotta sulla base di una precedente e successiva interazione selettiva con l'ambiente.
Il termine motivazione si accompagna a parole come bisogno, desiderio, pulsione, interesse, rispettivamente riferite a segmenti organici, energetici, affettivi, cognitivi, che concorrono alla formazione della motivazione.
Le motivazioni possono essere classificate in tre categorie:
(1) Psicofisiologiche, a loro volta distinte in:
(a) motivazioni fondamentali dipendenti da esigenze biologiche: la fame, la sete, il sonno, la pulsione sessuale;
(b) motivazioni proprie dell'organizzazione nervosa antropomorfa: il bisogno di attività, di manipolazione, di esplorazione percettiva, riassumibili nella ricerca attiva di stimoli da parte dell'organismo. A questo proposito va detto che oggi si è portati a porre sempre più l'accento sull'attività spontanea del sistema nervoso (centrale e periferico). Contrariamente a quel che si pensava fino a diversi anni fa, la cellula nervosa non ha bisogno, per essere attiva, di una stimolazione che venga dall'esterno; essa non è fisiologicamente inerte, e la sua attività naturale costituisce un sistema automotivazionale.

(2) Psicodinamiche, la cui natura affettiva è la traduzione, a livello dei vissuto personale, delle pulsioni sessuali e aggressive. Queste
pulsioni sono presenti fin dalla nascita e successivamente colorite e plasmate dalle particolari e diverse esperienze di relazione con la madre, il padre e le altre figure parentali.
Durante lo sviluppo affettivo, queste pulsioni vanno incontro a innumerevoli vicissitudini tipo:
(a) l'interiorizzazione degli 'oggetti' su cui sono state proiettate;
(b) il conflitto di fronte alle norme morali interne;
(c) l'adeguamento alle regole e ai divieti dei principio della realtà; la rimozione parziale e la loro trasformazione in desideri socialmente accettabili.
La motivazione sarebbe, quindi, il risultato di un compromesso tra la scarica pulsionale originaria e la mediazione con la realtà da parte della personalità e delle sue istanze. Gran parte della vera natura della motivazione sarebbe inconscia: aspetto emergente di desideri e conflitti rimossi, da qui la sua somiglianza o vicinanza al concetto di  ‘nevrosi segreta'.
(3) Psicosociali: sono il riflesso interiorizzato (secondo alcuni appreso consapevolmente) dei modelli di comportamento, dei valori, degli atteggiamenti e opinioni, che l'individuo assorbe durante il lungo processo di socializzazione primaria (famiglia, coetanei) e secondaria (scuola, lavoro, mass-media).
La cultura, il sistema sociale, le istituzioni educative concorrono a sedimentare nell'individuo le norme, le conoscenze e i valori-guida.  L'insieme di prescrizioni comportamentali, elaborate soggettivamente da ogni individuo, danno luogo a gusti, bisogni, interessi, orientamenti e quindi a motivazioni.
Le motivazioni psicosociali sono senz'altro le più importanti; sia perché mediano gli altri due tipi di motivazioni, sia perché permeano tutto il comportamento umano.
Inoltre rivestono grande importanza per l'educatore data la loro plasticità e la facilità con cui possono essere modellate e dirette.
L'orientamento psicologico cosiddetto 'cognitivista', pur non contestando l'importanza dei fattori inconsci nei processi di apprendimento, rileva che le variabili cognitive (sensazione, percezione, immaginazione, memoria, pensiero, linguaggio, intelligenza) interagiscono significativamente con il processo motivazionale, e che il comportamento umano è in gran parte motivato da intenzioni esplicite, programmi e aspettative coscienti. Il percepito, il ricordato, il pensato tendono a ricondurre le motivazioni umane a ciò che il soggetto vede, ricorda, immagina. Tutto ciò che l'individuo conosce risulta medíato, non solo dagli organi di senso, ma anche da quel complesso sistema che interpreta e reinterpreta l'informazione sensoriale.
L'indirizzo 'transazionale' della psicologia pone l'accento sul fatto che nei processi di percezione della realtà la strutturazione del campo percettivo è in larga parte condizionata da elementi motivazionali, cioè da fattori affettivi presenti nel soggetto percipiente (bisogni, attese, timori, ecc.) e indotti dal contesto socio-culturale nel quale l'individuo vive. Il contenuto di ogni singola percezione sarebbe quindi in un certo senso il risultato di una transazione, ossia di un rapporto di reciproca influenza tra organismo e ambiente.
Il problema della motivazione, di per sé complesso e articolato, chiama, dunque, in causa non solo scuole e indirizzi psicologici diversi, ma anche modalità di approccio che tengano conto della pluralità di aspetti che il concetto di motivazione sottende.
Nella situazione concreta il processo motivazionale, che ha luogo nell'individuo, non è facilmente percepibile da un osservatore esterno, e talora neppure dall'individuo stesso. Il medesimo motivo può essere espresso da una grande varietà di comportamenti, a volte contrastanti tra loro (ad es., si può essere aggressivi sia attaccando che ignorando l'avversario, oppure addirittura colmandolo di doni come fanno alcune tribù indiane della Columbia Britannica).
Molte motivazioni, tra loro eterogenee, sono frequentemente espresse dal medesimo comportamento (un ragazzo gioca a pallone in una squadra, sia perché così può muoversi e divertirsi, sia perché pensa di diventare ricco e famoso).
Spesso, inoltre, le motivazioni, anziché manifestarsi direttamente per quello che sono, assumono travestimenti e comportamenti opposti (un giovane insicuro si iscrive a un corso di paracadutismo per dimostrare a sé e agli altri un coraggio che teme di non avere).
Il problema della motivazione, ossia del perché si verifichi un dato comportamento, è un terreno di riflessione e di ricerca, aperto non solo agli psicologi, ma a tutti coloro i quali sono chiamati a svolgere ruoli di coordinamento, di educazione, di orientamento; in particolare all'operatore sportivo, che letteralmente lavora sulle 'motivazioni', più che sui corpi.
L'operatore sportivo deve saper trovare motivazioni valide e adatte alle singole personalità, riconoscendo a ognuna di esse una specificità in ordine all'età, al sesso, alla classe sociale, alla biografia personale, al patrimonio di esperienze e di cultura.
Il comportamento dell'uomo che fa sport non cessa mai di sorprendere e di far sorgere interrogativi. Qual è, per es., la molla interiore che spinge le persone ad affrontare fatiche, rischi, situazioni conflittuali, ansie, traendone allo stesso tempo divertimento, soddisfazione e appagamento? Come mai talune persone sembrano trovare nell'attività sportiva un tipo di realizzazione che nessuna delle migliori e più remunerate routines quotidiane sembra riuscire a offrire?
Un tempo, quando i termini della psicologia non erano ancora familiari al linguaggio comune, tutto questo era chiamato 'passione'. Correre per delle ore, sollevare pesi, arrampicarsi su una montagna, e via discorrendo, era spiegato con il termine passione. L'allenatore stesso era propenso a usare come categorie descrittive e valutative, termini come 'passione', ,grinta', 'impegno', 'serietà', 'attaccamento': ogni atleta finiva sempre per ritrovarsi giudicato come sportivo, non solo sulla base dei risultati, ma anche in virtù della dedizione alla propria disciplina (impegno negli allenamenti, continuità nel tempo, volontà agonistica, autodisciplina, capacità di soffrire, ecc.), considerata   requisito fondamentale per ogni tipo di performance.
Ciò che l'allenatore di una volta chiamava 'passione', oggi è noto come 'motivazione allo sport'. Non si tratta, come potrebbe apparire di una parola al posto di un'altra fuori moda, quanto di un orientamento diverso volto a indagare la natura delle cose, allo scopo di spiegarla e padroneggiarla. Spesso l'allenatore o l'istruttore, di fronte ai continui e numerosi abbandoni dei giovani dai vivai atletici, rimangono interdetti come dinanzi a un tradimento. La conoscenza delle motivazioni può far comprendere a ogni istruttore come l'orientamento e la persistenza di un determinato comportamento e scelta, se compresi, possono essere guidati, aiutati, favoriti seguendo i bisogni precisi dei giovane. Dato che l'attività atletica, specie quando è svolta a livello di attività primaria, e in sport particolarmente assorbenti, richiede un tale impegno e una tale disponibilità da rendere evidente la presenza di una motivazione specifica e dominante. Per questo lo studio delle motivazioni, la capacità di comprenderle, sono dati fondamentali nel contesto della pedagogia e della psicologia applicate allo sport.
Per comodità di studio e di ricerca, si usa dividere le motivazioni allo sport in due gruppi :

(a)   le motivazioni primarie (gioco e agonismo);

(b) le motivazioni secondarie (fattori della personalità).

La suddivisione in primarie e secondarie non è da considerarsi gerarchica, né indica una minor importanza delle seconde.
Le primarie raccolgono alcune motivazioni - sottostanti al gioco e all'agonismo - comuni tra tutti gli sportivi, seppure con differenze legate all'età, al sesso, all'ambiente, alla costituzione. Queste motivazioni attengono principalmente alle sfere biopsichica, cognitiva ed emotiva.
Le motivazioni secondarie si riferiscono più alle sfere di tipo psico-sociale (interpersonale), culturale e socioeconomico, presenti sia come variabili soggettive e interpersonali, sia come condizioni esterne, comunque sempre attinenti alla scelta consapevole o meno dell'individuo.
Le motivazioni secondarie, costituiscono delle variabili assimilate dall'ambiente, e interiorizzate, elaborate soggettivamente, caricate di significati simbolici, emotivi e cognitivi, che sfumano con i tratti più personali dell'atleta. L'individuo è tanto più legato all'attività sportiva prescelta, quanto maggiore è la possibilità di realizzare, attraverso di essa, quelle motivazioni che in lui sono rilevanti come intensità e come natura.
Il gioco e l'agonismo sono le motivazioni primarie che caratterizzano lo sport. Il rapporto tra questi due fattori è in funzione sia della personalità, che dell'età. L'attività sportiva infantile o preadolescenziale, ad es., deve contenere ampie opportunità di gioco, rispetto a quelle agonistiche che sono meno importanti. In età adolescenziale invece le componenti di gioco sono meno richieste, in quanto è prevalente nel giovane la spinta a misurarsi e a confrontarsi; di conseguenza l'elemento agonistico presente nello sport diventa un fattore decisamente importante. Per comprendere quali siano gli_ elementi psicologici del gioco e dell'agonismo presenti nello sport, è necessario procedere all'analisi della natura, del significato e della funzione di questi due fattori motivazionali.

Le motivazioni allo sport
Primarie
Gioco(motivazioni psicologiche, cognitive ,affettive)
Agonismo(motivazione aggressiva e modelli di condotta socializzati)
Secondarie
Motivazione al successo
Motivazione affiliativa
Motivazione estetica
Motivazioni psicopatologiche(compensative)
Fattori inibenti le motivazioni allo sport
Sentimenti di inferiorità
Ansia da prestazione
Sovraccarico da frustrazione

 

 

Motivazioni primarie al movimento: il gioco
Il gioco, relegato da una diffusa ed errata convinzione  tra le attività prettamente infantili, è invece una esigenza fondamentale comune a tutti gli individui dei due sessi di qualsiasi età e cultura. Nell'individuo adulto la disponibilità a giocare non viene meno, come si crede comunemente. I o sport è un gioco, e per di più un gioco istituzionalizzato, in cui si rintracciano espressioni ludiche ritualizzate,  organizzate culturalmente, finalizzate socialmente, alimentate da profondi vissuti affettivi e da espliciti bisogni conoscitivi.
Il gioco si presenta come un'attività dalle caratteristiche complesse, sempre più organizzate simbolicamente man mano che si va verso l'età adulta. I caratteri dei gioco sono dati da:
(a) elementi d'incertezza parzialmente controllabili, in cui l'emozione possa far leva sull'aleatorietà della situazione e sulla possibilità  di vivere la situazione stessa in termini di piacevole ansietà e di rischio misurato;
(b)  una normativa semplice e da tutti accettata, temporalmente e  spazialmente  stabilita che possa essere inventata,  abbandonata, ricostruita, senza che da questa derivino ruoli stabili o penalità irrevocabili; 
(c)  una condizione in cui l'individuo possa edificare in termini simbolici (culturali ed emotivi) una realtà  fittizia capace di massimalizzare la realizzazione di bisogni soggettivi.
Il gioco fantastico dei bambino, a occhi aperti o nella completa possibilità di utilizzare la realtà per  proiezioni allucinatorie, è l'espressione classica e originaria di ogni forma di gioco.
E’ evidente come questi caratteri di ‘gioco' siano rintracciabili in molte situazioni sportive. Pensiamo, ad es., a un adolescente che scia solitario lungo un pendio di montagna, fuori pista: qui è evidente 1’ elemento di aleatorietà e di ansia piacevole, come del resto l’elemento trasgressivo del 'fuori pista', unitamente alla possibilità di sperimentare in termini conoscitivi e normativi una situazione nuova, offre la possibilità al ragazzo di immaginarsi capace e potente come un campione affermato.
Ci sono giochi a prevalente contenuto motorio, simbolico, normativo e creativo, e quindi giochi piu’ o meno idonei ad assorbire ed esprimere bisogni biopsichici piuttosto che socioemotivi o viceversa.
Il piacere che un bambino può trarre da una attività di animazione sportiva (sedute di ginnastica ludica preparatoria) è da collegarsi a una situazione di gioco, nella quale vengano soddisfatti i bisogni di movimento (biopsichici), e di relazione (psicosociali).
Se l’animatore sportivo è a conoscenza di questo, deve aver cura di programmare l’attività, da una parte diversificando ampiamente gli esercizi di  gioco in modo che risultino sempre nuovi e stimolanti, dall’altro organizzando i medesimi esercizi all’interno di un momento relazionale soddisfacente.
Più’ i bambini sono grandi, maggiore è l’interesse che l’animatore deve porre  sulla situazione di gruppo; in questo modo un elemento motivazionale come ‘’il  bisogno di movimento’’ può essere finalizzato e mantenuto all’interno di una situazione sociale gratificante e d’apprendimento.

(a)   La motivazione psícobiologíca al gioco

Il gioco è anche un'attività biologica finalizzata e utilizzata dall'individuo per ripristinare l'equilibrio neurodinamico mediante una scarica motoria (principio omeostatico in cui si libera un surplus energetico).
Questa motivazione è ritenuta importante  - anche se oggi ridimensionata - perché a essa si collegherebbero i primi apprendimenti motori complessi, i rudimenti iniziali dei gioco e il piacere motivante al gioco stesso. Studi più recenti sono concordi nel ritenere che l'organismo non tende solamente a ridurre gli impulsi interni o a raggiungere uno stato di quiete, quanto a cercare attivamente nuovi stimoli.
E noto a questo proposito l'esperimento, secondo il quale, ponendo dei soggetti in una situazione di   deprivazione sensoriale (eliminazione controllata di qualsiasi tipo di stimolo percettivo-motorio) si verifica l'accentuarsi delle fantasie di  : movimento, della fame di stimoli sensoriali, al punto di provocare allucinazioni compensative. Esistono quindi delle buone ragioni per integrare la teoria dei meccanismi omeostatici con quella dell'attivazione nervosa, riconoscendo che parte della motivazione al movimento e al gioco deriva dalla necessità dell'individuo di mantenere un livello ottimale di attivazione nervosa. Nei soggetti in età evolutiva, tale livello è sempre in equilibrio precario. L'aumento, o l'abbassamento, di questa condizione ottimale provocano nell'individuo l'immediata ricerca di stimoli atti a rendere nuovamente costante il livello dell'attivazione nervosa: il gioco in quanto attività polimorfa, flessibile, regolabile a piacimento, si presta efficacemente a questo scopo. Ogni cultura ha elaborato un'infinità di momenti ludici più o meno organizzati e istituzionali, per consentire l'estrinsecazione di questo bisogno primario. Un ragazzo annoiato, che riceve una minore quantità di stimoli, è portato alla ricerca di situazioni ludiche competitive nuove, che in qualche modo gli sono offerte standardizzate sotto forma di intrattenimenti, giochi, sport, dalla società o anche dal gruppo di coetanei.
Accade che taluni dispositivo culturali per controllare la 'fame' di stimoli e il livello ottimale di attivazione nervosa possono farsi reciproca concorrenza. Esempio tipico è quello dei bambino di oggi, che, catturato dalla forte sollecitazione sensoriale percettiva del messaggio televisivo, tende a perdere l'orientamento esplorativo, l'iniziativa motoria e la curiosità sensoriale.
(b) La motivazione cognitiva al gioco
La motivazione cognitiva può essere definita come ricerca attiva delle condizioni che consentono all'individuo la comprensione, il controllo e la modificazione delle situazioni di vita rispetto all'adattamento all'ambiente e alla risoluzione dei problemi che questo processo comporta.
L'esperienza psicomotoria presente nei giochi e di converso nello sport soddisfa le motivazioni cognitive dell'individuo; questi si esplicano in condotte che vanno dalla pura esplorazione dell'ambiente all'attività immaginativa di tipo ideo- motorio, ossia alla manipolazione reale o fantastica degli oggetti e al padroneggiamento del corpo, delle situazioni e dello spazio fisico. Tale esigenza esplorativa coinvolge le funzioni sensopercettive e intellettive che trovano la prima verifica e il primo sviluppo nell'esperienza psicomotoria.
Le prime esperienze sensomotorie sono alla base di tutti i successivi stadi di apprendimento e di sviluppo dell'intelligenza.
Il bambino fin dalla nascita sviluppa le proprie facoltà psichiche passando attraverso varie fasi, tra loro strettamente connesse. Da una prima fase di motricità pura, globale, sottocorticale, tipica delle prime settimane di vita, il bambino passa nei primi mesi di vita a una capacità di ricezione delle stimolazioni sensoriali e, per mezzo di queste, alla regolazione degli atti motori. Verso la metà del primo anno di vita, sollecitato da 'motivazioni elementari di tipo cognitivo' - consentite gradualmente dalla progressiva maturazione neuropsicologica - comincia a spostarsi verso gli oggetti, a manipolarli, ad attuare giochi embrionali d'esercizio. Successivamente il movimento stesso stimola nel bambino l'arricchimento delle esperienze sensoriali, il padroneggiamento  della realtà e la realizzazione di ulteriori rinforzi tendenti a orientare sempre di più questo processo di adattamento attivo all'ambiente. La conquista di una padronanza sensomotoria della realtà ha come punto di partenza la continua interazione tra il corpo come scienza immediata di se stessi e l'ambiente come proiezione della propria intenzionalità conoscitiva.
In ciascuna attività sportiva è assicurata una grande abbondanza di apporti percettivi e di memoria: visivi, uditivi e tattili e, in particolare, cinestesici (relativi alla percezione de proprio corpo in movimento),così da impegnare l'individuo in modo ampio e dettagliato nella propriocezione e nella esterocezione (percezione interna ed esterna): ciò soddisferà sia l'esigenza di ricevere stimoli che quella di verificare la capacità di esplorazione del proprio corpo nell'ambiente.
La spinta interiore che sollecita l'interesse del bambino verso le cose, le situazioni nuove e la sperimentazione motoria, è in fondo la stessa che compare in taluni giochi e, in maniera talvolta esemplare o velata, in molte discipline sportive. Accanto all'esplorazione e all'arricchimento dell'esperienza conoscitiva, l'individuo, mediante il gioco, cerca di sperimentare in maniera simulata, in parte controllata e anche ripetitiva, situazioni e vissuti, apprendimenti e atti cognitivi legati all'immaginazione e alla risoluzione di problemi .
Il gioco, sotto questo aspetto, consente di scoprire nuove possibilità, di provare l'attrattiva del rischio, di darsi in balia all'illusione, di esprimersi, di raggiungere un risultata nuovo e originale. In questo senso lo sport fa sua l'esigenza cognitiva attraverso la continua invenzione di discipline, di tecniche, di mutamenti, di opportunità, in cui compare l'elemento creativo, sia
(a)   come bisogno dominante (si pensi alla pallacanestro o all'alpinismo, o alla pesca subacquea), sia
(b)  (b) come esigenza secondaria meno percepibile (come nel canottaggio o nelle corse di fondo, dove l'elemento di sperimentazione creativa avviene più sul piano tattico e di attività di controllo interiore e psico-fisico). L'istruttore sportivo o l'animatore dovrebbero sapere che il gioco e l'attività fisica del ragazzo sono sottomessi al bisogno dell'immaginazione e della fantasia. L'espressione ludica, soprattutto se lasciata libera (ma anche se organizzata), risulta sempre ricca di potenzialità creative individuali, in quanto il ragazzo deve inventare, attraverso la gestualità e l'uso di schemi motori nuovi, dei comportamenti capaci di stabilire una continua modificazione dell'azione in rapporto al mondo circostante. Per questo talune discipline sportive, in cui l'elemento della noia e dell'automatica ripetitività del gesto è particolarmente presente mentre è   assente quello creativo-cognitivo, sono abbandonate con tanta frequenza dagli adolescenti.
Il ragazzo che cerca di far rimbalzare sull'acqua una pietra o che tenta di saltare un fosso, non fa altro che porsi dinanzi a precisi problemi psico-motori in cui è fortemente impegnato sul piano cognitivo. In questa prospettiva lo sport, quando è intriso di situazioni di gioco, non rappresenta affatto una serie di inutili espressioni motorie, bensì un'attività di riflessione, di scelta, di reinvenzione. In particolare durante la preadolescenza la pratica sportiva deve essere organizzata, proposta e arricchita di elementi di gioco a carattere cognitivo, altrimenti rischia di saturare rapidamente l'interesse dei ragazzo e di far diminuire altrettanto rapidamente la motivazione.
I giochi dei preadolescenti (soprattutto della fascia d'età da 9 a 13 anni) si orientano verso attività psicomotorie in cui l'impegno esplorativo e ideativo è particolarmente presente e sentito. In essi si fa ricorso ampiamente alle attività intellettive (memoria, valutazione, espressività), ai contenuti ideativi (figurativi, simbolici, semantici, comportamentali) e alle operazioni mentali (unione, relazione, trasformazione, seriazione). In genere molte attività sportive contengono, seppur in maniera non esplicita, tutti questi fattori cognitivi: si pensi, ad es., alla semplice partita di pallone, alla ginnastica attrezzistica, ecc. Esistono sport i cui contenuti di gioco sono più o meno saturi di fattori cognitivi adatti a tutti quei giovani, per i quali l'elemento ludico della pratica sportiva serve a realizzare un'attività prevalentemente cognitiva; mentre negli altri soggetti l'elemento ludico motivante può essere più di natura squisitamente affettiva, caratterizzato da dinamiche emotive. Si pensi, ad es., a quelle attività sportive, in cui l'elemento di gioco è dato dall'alternanza di emozioni, di imprevisti, di rischi calcolati. Le scorribande de ragazzi in campagna, al mare, nei quartieri cittadini; i giochi tra ruderi antichi e le battaglie simulate sono il corrispettivo della escursione alpina, della partita di calcio, della speleologia sportiva o della pesca subacquea.

Aspetti cognitivi nell'attività ludica, volti alla risoluzione di problemi di relazione e di schema di gioco
(1) il problema si presenta definendo l'area di soluzione e i possibili schemi di comportamento.
Per esempio un centrattacco si trova nella condizione di intercettare un tiro a mezz'aria. Non potendo utilizzare le mani deve scegliere tra la testa, il tronco o le gambe per impossessarsi della palla. Tale scelta è in funzione: (a) della previsione della traiettoria della palla e della sua velocità; (b) della posizione degli avversari più vicini; (c) della posizione dei compagni di squadra.
(2) L'individuo procede alla selezione e categorizzazione' delle informazioni attinenti al problema.
Il centrattacco effettua una rapida selezione tra le informazioni più importanti ai fini del problema (impossessarsi della palla e utilizzarla con successo), valutandole e ponendole in gerarchia (in questo momento è più importante il terzino o il vento che sposta la traiettoria), e presagendo ciò che faranno i compagni e gli avversari.
(3) L'individuo sceglie la strategia (tipo d'azione) da perseguire utilizzando modelli appresi (strategia conservativa) o nuovi modelli (strategia rischiosa).
Il nostro ipotetico centrattacco potrà o fermare la palla e passarla a un compagno di squadra, o far finta di intercettarla per richiamare su di sé l'attenzione della difesa avversaria, lasciando quindi la palla ai compagni meno controllati.
(4) L'individuo attua il processo di decisione.
Successo finale che dipende, nel caso dei nostro centrattacco, non solo dall'abilità nei movimenti ma anche, e soprattutto, da quella di utilizzare le informazioni ai fini di una scelta adeguata alla soluzione del problema (scelta della strategia più idonea).
(5) L'individuo autoconvalida o meno la decisione sulla base di una serie di informazioni di ritorno (feed-back), che permettono il controllo del típo di soluzione adottata.
Poniamo che il calciatore in questione abbia scelto la strategia rischiosa, effettuando una finta e lasciando la palla ai compagni. Ma ancor prima che l'azione si sia interamente conclusa l'atleta verifica la validità della soluzione prescelta attraverso la valutazione di come la situazione sta evolvendo, preparandosi per eventuali correzioni ad interventi su un nuovo problema.
L'azione del centrattacco viene così a configurarsi secondo una decisione probabilistica in un processo intuitivamente statistico.
Il processo di categorizzazione si basa sulla capacità anticipatoria dell'attività cognitiva, che prospetta le conseguenze di un'azione sulla base delle informazioni a sua disposizione

(c) La motivazíone affettiva al gioco
Nell'infanzia accade che la scelta o l'abbandono di un particolare gioco sembrano obbedire a finalità diverse: soprattutto quando l'attività ludica ricostruisce simbolicamente all'esterno i bisogni e i vissuti corrispondenti alla realtà interiore. Indubbiamente senza il meccanismo della proiezione e del transfert affettívo, l'attività ludica perderebbe per l'individuo ogni fascino.
Il gioco, contrariamente all'opinione comune, non è una attività relegabile all'infanzia e incapace di sopravvivere nella maturità. L'adulto per tollerare la presenza del gioco nella propria realtà ha dovuto relegarlo alle finzioni ritualizzate del tempo libero e inventare teorie capaci di dimostrarne l'utilità per il bambino. La pratica sportiva che accoglie, nazionalizzandole, le pulsioni emotive più propriamente libidiche fa sì che il gioco possa perdurare in un'attività seria nascondendo le sue profonde implicazioni affettive.
Le caratteristiche psicodinamiche dell'attività di gioco ne fanno uno spazio sia privato sia pubblico, in parte fantastico in parte immesso nel reale, dipendente dalle leggi logico-formali che costituiscono la cornice ai fatti affettivi. Sotto tale aspetto il gioco è di per sé una attività fittizia, accompagnata cioè da una coscienza specifica della propria realtà secondaria o della propria completa irrealtà rispetto alla vita quotidiana e al senso comune. In relazione ai meccanismi psicodinamici che inducono l'individuo, in particolare il giovane, a trovare nella situazione ludica momenti di profonda gratificazione affettiva, è necessario riflettere sul fatto che essi permangono anche nello sport, seppure amalgamati all'agonismo e nascosti dal senso razionale e realistico dell'attività sportiva.
Facciamo l'esempio di un giovane di 15 anni, che pratica con passione e da poco tempo la pallacanestro. Molto probabilmente questo giovane, se fosse intervistato, non saprebbe dire cosa lo spinge a praticare questo sport e cosa in particolare lo diverte. Gran parte delle motivazioni rimangono oscure al soggetto stesso, legate come sono ai dinamismi affettivi più profondi che, pur esercitando un importante ruolo nell'orientare il comportamento, rimangono estranei alla sua coscienza. Per questo giovane il gioco della pallacanestro avrà tra l'altro una funzione rassicurante, in quanto gli consente di liberare notevoli cariche emotive attraverso la fantasia e l'attività motoria. Queste fantasie sono in primo luogo rappresentative di pulsioni libidiche e aggressive. Lo sport gli consente di drammatizzare simbolicamente situazioni interpersonali passate, di risolvere tensioni con le figure parentali, di trovare e superare sentimenti di dipendenza, d'insicurezza, di affermazione dell'io, di provarsi e di sperimentarsi sul piano delle proprie capacità, di riconoscersi come individuo portatore di una trasformata corporeità rispetto al- l'infanzia.
Il gioco, soprattutto sportivo, comporta anche l'avventura: questa è intesa come perseguimento di situazioni ansiogene da dominare.
In passato, per varie ragioni, sia in sede clinica sia in sede più generale, l'ansia veniva presentata soprattutto nei suoi aspetti negativi, per cui era necessario ricorrere a meccanismi di riduzione e di difesa.

Ciò contrasta, peraltro, con l'esperienza genuina del gioco, dello sport e di molteplici situazioni di vita attivamente ricercate dal soggetto adulto o dal bambino, pur ben adattati: i quali rifuggono dalla piattezza e dall'unilateralità emotiva di una distensione protratta. Oggi si tende sempre di più ad attribuire un valore positivo alla condizione di eccitazione emotiva, quando si trovino sistemi di gratificazione e di sfogo. Quando il gioco o l'agonismo consentono situazioni nelle quali il rischio e l'incertezza, la novità e la paura possono essere vissute come operazioni controfobiche, allora il controllo del tasso e della portata delle situazioni ansiogene consente di esorcizzare la paura latente degli imprevisti della vita quotidiana. L'adolescente, confessando la propria debolezza e incertezza di fronte al rischio del gioco, lo supera e da ciò trae un'esperienza di maggiore conoscenza di sé. La drammatizzazione del rischio, unita al controllo dell'ansia e all'autoaffermazíone attraverso la prova, rappresenta il meccanismo psicologico che spiega le valenze emotive che spingono verso gli sport ad alto tasso ansiogeno.

Motivazioni primarie al movimento: l'agonismo

L'attività sportiva è un gioco caratterizzato da finalità agonistiche. La  psicologia dello sport tende a definire l'agonismo come un comportamento razionale, specifico, intenzionale e culturalizzato del dinamismo aggressivo.

L'aggressività si manifesta nell'individuo come il risultato di un complicato processo d'integrazione fra una disposizione generica all'atto aggressivo e i modelli di comportamento, introiettati durante la socializzazione primaria e secondaria; modelli che determinano o inibiscono la stessa socializzazione a
seconda delle circostanze e delle norme fornite dall'ambiente. L'aggressività del pugile, del lottatore, in fondo, è il risultato di questa integrazione, in cui l'azione agonistica non fa che conformarsi al modello più generale di condotta (ruolo di pugile e situazione: il combattimento o l'allenamento) e a quello più particolare della personalità dell'atleta. Alcune ricerche hanno rilevato che:
(a) la percentuale dei bambini mediamente aggressivi, aggressivi e molto aggressivi, cresce via via che si passa dalle famiglie, con educazione autorevole a quelle autoritarie, permissive e incoerenti; .
b) i bambini non aggressivi sono del tutto assenti nelle famiglie che impartiscono un'educazione permissiva e incoerente;
( c) la scelta da parte della famiglia di uno stile pedagogico non è casuale; essa è legata non solo alla storia personale dei genitori, ma anche ai valori propri della cultura in cui essi vivono;
( d) i meccanismi di inibizione dell'aggressività si fondano ( e in questo etologia e psicanalisi sono d'accordo) sulla capacità di identificazione del soggetto con l'altro. La motivazione che confluisce nell'agonismo è, come si è detto, intessuta di elementi psicologici e dinamici di natura aggressiva,
anche se l'agonismo, a una più attenta considerazione, non può essere totalmente identificato con l'aggressività.
Lo sport, com'è noto, è un dispositivo sociale che consente di istituzionalizzare, in forma simbolica e
ritualizzata, il modello comportamentale competitivo proprio della nostra cultura e civiltà.
Tale modello competitivo attinge in parte da quella che abbiamo chiamato 'disposizione all'atto aggressivo'. Ricorrendo a un'analogia, può essere formulato un parziale modello di rappresentazione della dinamica aggressiva: una cascata le cui acque (potenziale aggressivo-biologico) sono state:
(a)   sbarrate da una diga (inibizioni interiorizzate e divieti sociali);
(b)  lasciate defluire entro condutture (comportamenti culturalmente appresi e personalità);
( c) utilizzate da una centrale elettrica ( aspettative sociali, situazioni, ruoli e risorse emotive).
L'agonismo è quindi la manifestazione matura, costruttiva e creativa dell'aggressività, utilizzata culturalmente per l'autorealizzazione di un individuo, in grado sia di contrastare le tendenze regressive interiori, sia di superare le difficoltà e le minacce dei mondo esterno. I meccanismi intrapsichici che rendono possibile il passaggio dall'aggressività all'agonismo sono:
(1) la rimozione, ossia la censura emotiva volta a respingere nell 'inconscio quanto moralmente non
accettabile dall'individuo (ad es., sentimenti di colpa e di responsabilità);
(2) la sublimazione, ossia la capacità di trasformare questo impulso in motivazioni socialmente accettate; (3) la ritualizzazione, cioè il soddisfacimento catartico e stereotipato del surplus aggressivo;
(4) l 'inibizione per identificazione, ossia la possibilità di trasformare l'impulso dell'aggressione in un ostacolo emotivo e di avviare quindi l'ostilità verso forme di condotta reattive (protezione, affetto, gioco, ecc. ).
Nella condotta sportiva, al di là della prescrizione normativa e dei modelli di condotta competitivi, si ritrovano (sul versante squisitamente psicologico in particolare) la ritualizzazione dell'aggressività e la sua
sublimazione.
L'agonismo, in definitiva, è un compromesso, in cui le variabili psicologiche sono ulteriormente guidate entro i valori e le norme che regolano le diverse forme di competitività sportiva. La motivazione agonistica, pertanto, subisce non solo il condizionamento delle variabili di personalità individuale, ma anche le variazioni etico-normative dei diversi contesti sportivi. Fatto questo che acquista una particolare importanza sotto il profilo psicopedagogico, là dove si voglia fare dello sport un momento fondamentale di valorizzazione delle dinamiche che lo rendono possibile, quali l'atteggiamento ludico e l'atteggiamento agonistico.
Esistono due orientamenti pedagogici riguardo all'opportunità di rinforzare o meno le motivazioni agonistiche presenti nei valori della prestazione sportiva. Il primo punto di vista sostiene che l'agonismo tende a fare dello sport una forma di gioco deformata in senso produttivistico, in cui viene ulteriormente confermata la condizione umana fondata sull' ineliminabile diseguaglianza sociale, che riserva la ricompensa esclusivamente ai più importanti e ai più forti.
Da qui derivano l'enfasi sulla competizione, sullo spettacolo sportivo, sul risultato e il rischio di dilatare il ruolo dell'agonismo e di deformarlo per fini meramente strumentali, che niente hanno a che vedere con i bisogni e le motivazioni di fondo dell'atleta; tutto ciò tende ad accentuare risposte aggressive, soprattutto quando il modello comportamentale dell'agonismo non garantisce un minimo di difesa dalle frustrazioni e dall'imperativo della vittoria e del risultato positivo.
Il secondo orientamento pedagogico sostiene che l'aggressività è nell'individuo un dato primario, non sopprimibile ricorrendo a semplici decreti moralistici. Lo sport deve consentire, attraverso opportune
mediazioni normative, la libera espressione dell'aggressività, poiché la sua negazione o la sua rimozione può causare turbamenti nevrotici o autodistruttivi. Lo sport si rivela, quindi, una delle poche attività umane in cui la pulsione aggressiva può essere liberata completamente e può manifestarsi in maniera non repressa e deformata.
Dal punto di vista della socioanalisi, lo sport è ritenuto una garanzia di sicurezza: i grandi riti collettivi realizzati negli stadi rappresenterebbero un sistema difensivo dalle ansie paranoiche e depressive. Lo sport sarebbe quindi motivato, in termini personali e collettivi, dalla necessità di creare situazioni istituzionali adatte a liberare profonde ansie, quali appunto quella persecutoria e quella depressiva. L'atleta ,manifesta il nucleo aggressivo dell'agonismo contro i seguenti fattori:
a)      la natura, intesa come difficoltà insite nella specialità sportiva (ad es., una montagna da scalare, un peso da sollevare, un attrezzo su cui destreggiarsi, ecc.) .il superamento delle difficoltà permette all'atleta la propria affermazione;
b)     se stesso, tramite duri sacrifici, fatti di intensi allenamenti e indirizzati a una meta rigorosa, in cui l'elemento competitivo si instaura tra il se reale e quello ideale;
(c) l'avversario, in quanto persona reale o immagine fantasmatica, considerata più come mezzo che come obiettivo: elemento da emulare e da superare più che da annichilire.
Alcuni studiosi hanno riscontrato che talune situazioni competitive ad alto livello accentuano l'aggressività: agendo in un circuito chiuso di frustrazioni, proiezioni delle proprie tendenze ostili sul rivale, percezione dei competitore come malvagio e pericoloso, viene ad accentuarsi la motivazione aggressiva.
Quest'ultimo rilievo consente di attenuare l'ottimismo di quanti sono disposti a vedere, comunque, lo sport e l'agonismo come panacee psicologiche e tecniche di igiene mentale in grado di ridurre la conflittualità umana.

Motivazioni secondarie al movimento

Se il nucleo principale delle motivazioni allo sport è individuabile nelle dinamiche psicologiche presenti nel gioco e nell'agonismo, è altrettanto vero che esse sarebbero insufficienti per spiegare le particolarità individuali e le differenze motivazionali tra atleta e atleta. Mentre le due motivazioni precedentemente considerate costituiscono una spiegazione generale di tipo psicologico al «perché lo sport?», quelle che
saranno analizzate ora permettono di cogliere una pluralità di fattori, soggettivi e psicosociali, che svolgono un ruolo importante e differenziato nell 'affiliazione sportiva.

(a) L 'achievement (o motivazione al successo) è la spinta all'autorealizzazione e come tale è un'importante caratteristica della personalità. I soggetti portatori di questa motivazione sono orientati a comportamenti contrassegnati dal «bisogno di far bene, di riuscita, di affermazione personale e sociale, di
interesse e costanza nel progetto di vita come nel compito lavorativo». Alcuni ricercatori statunitensi hanno trovato un alto coefficiente di achievement nei partecipanti alle selezioni preolimpiche, confermando il fatto che il livello di achievement è sempre correlato con quello dei genitori: gli atleti e i rispettivi genitori sono caratterizzati da un alto desiderio «di appartenenza alla comunità attraverso la propria affermazione e di contribuire a fondarla attivamente in uno sforzo a far bene» E stato constatato che i soggetti con elevata motivazione al successo sono di fatto autonomi e in grado di affrontare e risolvere positivamente le situazioni di competizione e di realizzazione, mentre una bassa motivazione
all' autorealizzazione è tipica dei soggetti insicuri e timorosi delle situazioni di competizione. .
I fattori di base che possono favorire un orientamento all' autorealizzazione sono da ricercare in un'educazione familiare:
( 1) finalizzata a suscitare nei figli un intenso desiderio di realizzazione dei
compiti loro affidati;
(2) incentrata sullo sviluppo dell'autonomia personale, in grado di consentire
ai figli la risoluzione di situazioni competitive;
(3) basata sull'approvazione e sull'entusiasmo per le iniziative dei figli e
fortemente connotata di 'positiva attesa'.
Da questo identikit dell 'educazione familiare emerge che spesso gran parte dei genitori di bambini avviati alla pratica sportiva interferiscono negativamente sulla fiducia dei bambini in se stessi, e sull'orientamento all’ autorealizzazione dei propri figli, attraverso un eccesso di protezionismo, di presenza, di critica negativa, di coartazione dell'iniziativa e, per converso, di svalutazione di fronte all'insuccesso. "
(4) La motivazione all'affiliazione, si manifesta con il bisogno sentito da ogni adolescente di associarsi a un gruppo. Tale bisogno psicologico, quando si incontra con una forte esigenza all 'individualizzazione del se e all'approvazione sociale, fa si che l'adolescente, portatore di queste caratteristiche psicologiche, tenda a scegliere gruppi istituzionalizzati, socialmente significativi, in cui svolgere un ruolo, poter acquisire un'identità, essere riconosciuto come membro di un insieme organizzato. Una motivazione del genere si manifesta fortemente nell'aggregazione sportiva. Il giovane atleta o il semplice neofita, una volta inseritosi in una squadra o in un club, si trova gradualmente esposto a ciò che i sociologi chiamano
‘’socializzazione secondaria’’: cioè alla interiorizzazione dei valori, delle norme e degli atteggiamenti che caratterizzano la cultura sportiva in genere e un determinato ambiente agonistico in particolare. Sotto questo aspetto la personalità del giovane tende ad assimilare lo schema ideologico (norme + mete + valori) del proprio gruppo ideale di riferimento, divenendone parte attiva, capace di dar vita non solo al fatto sportivo, ma anche di riprodurre nel tempo il gruppo stesso in termini di proselitismo, di mantenimento dei fini e dei valori propri dello sport e della sua disciplina in particolare.
A questa motivazione. originaria vanno associati, come "nel caso di atleti professionisti, altri consapevoli e razionali motivi di natura economica e sociale. L'incentivo economico acquista allora un valore motivante superiore a quello semplicemente affettivo o d'identificazione. Lo sport che si trasforma in lavoro diviene uno status symbol e quindi una misura del valore personale, oltre che sportivo, e un mezzo per l'elevazione sociale. L'affiliazione è in questo caso determinata da concreti interessi, in cui svolge sempre un ruolo rilevante l'importanza e l'attribuzione di uno status. In talune. Discipline sportive l'elemento affiliativo e determinato, almeno inizialmente, dal prestigio che le stesse discipline occupano in ambito sociale e sportivo. Taluni sport d' élite debbono a questo aspetto non confessato, ma legittimo, la loro forza aggregante-

( c) La motivazione estetica è presente prevalentemente nelle personalità in cui hanno una particolare rilevanza i valori estetici; in tutti coloro che, più o meno consapevolmente, trovano il più alto grado di soddisfazione nella forma e nell'armonia. "
Mentre tutti possono trovarsi concordi nel rintracciare in certe attività umane il segno di una motivazione o comunque di un interesse alla produzione estetica, questo aspetto sembra essere ancora privo di un reale
riconoscimento nello sport. Sia che lo sportivo vada in barca a vela, sia che si dedichi alla canoa da discesa, oppure alla ginnastica, all'atletica o alla cultura fisica, non sfugge, a una attenta indagine psicologica, il fatto che le categorie del godimento, del giudizio e della comune emozione si rifanno a motivi estetici: in parte di tipo cognitivo, in quanto condivisione di forme e d'armonie comunemente accettate, e in parte di tipo sessuale, come ha ben messo in evidenza la psicanalisi.
Questa dimensione psicologica, pur essendo poco. presente nella consapevolezza dell'atleta e di coloro che sono motivati allo sport, ha un peso e un'importanza che può essere apprezzata, oltre che nell'espressione dinamica del se corporeo o nella performance tecnicamente esatta, anche nella ricerca di una più intima e personale collocazione della percezione fisica di se, dei propri vissuti emotivi, nell'ambito di un rapporto armonico con la natura. Questo tipo di motivazione e scarsamente presente nell’ operatore sportivo.
Essa giace inutilizzata come mezzo pedagogico, al punto che anche nello sportivo più sensibile può essere dimenticata dall'imperativo della prestazione, giungendo fino all'alienazione del vissuto sportivo.
Dai dati disponibili (ricerche finalizzate e osservazioni dirette) risulta che sempre di più i giovani - appena terminata la preadolescenza - penalizzano, attraverso abbandoni precoci, disinvestimenti affettivi, disturbi psicosomatici e reazioni psicogene particolari, proprio quelle discipline sportive, in cui la mortificazione di motivazioni di questo genere si verifica appunto attraverso una pedagogia dell’addestramento atletico scarsamente sensibile alle esigenze più profonde della personalità.

(c)  Le motivazioni compensative.

Lo sport come ogni attività umana può essere alimentato da bisogni psicologici che traggono le loro sollecitazioni da conflitti interiori, forn1e di disagio emotivo, tratti anomali del carattere, disadattamento sociale, ecc. La scelta di praticare una determinata disciplina sportiva può servire all'individuo come mezzo per compensare, risolvere, esprimere tal une valenze nevrotiche della propria personalità. Sia chiaro che ciò non deve indurre a ritenere che la popolazione sportiva sia un insieme di psicopatici o di nevrotici. E da tenere presente che, accanto a vettori motivazionali, possono comparire nell'atleta, con un ruolo più o meno rilevante, spinte d'origine nevrotica, molte volte non ascrivibili a un quadro di personalità particolarmente disturbato, le quali, inserendosi perfettamente nel tipo di prestazione e di coinvolgimento emotivo richiesto, riescono a trovare un loro adattamento nella situazione sportiva.
La pratica ludica e agonistica funziona o da meccanismo difensivo (ed è il caso più frequente) o da situazione catartica e liberatoria. E per questo che intuitivamente sembra che i portatori di un particolare disagio interiore riescano a orientarsi verso la disciplina sportiva a loro più congeniale. Tra i motivi più ricorrenti, in cui lo sport funziona da situazione compensativa, possono essere annoverati i seguenti:
(I) sentimenti d'inferiorità. Taluni deficit di natura fisica, psichica o anche sociale, vissuti con una re attività abnorme, possono portare il giovane a impegnarsi in attività, come quella sportiva, capace di smentire o compensare queste vere o presunte inferiorità. Inoltre, il timido, l'insicuro, l'ansioso, l'iper-
critico verso se stesso possono sentirsi motivati allo sport proprio dal desiderio di verificare continuamente - attraverso un banco di prova obiettivo - le proprie capacità e possibilità. Che comunque l'atleta di successo sia un individuo in genere 'sicuro', nel senso che si rifà a un capitale di certezze
depositato nei vissuti infantili, da cui può sempre attingere, è un dato che si può desumere dai risultati ottenuti attraverso la somministrazione di una serie di questionari sulla personalità a un gruppo di campioni .olimpici. Alcuni ricercatori hanno costatato come questi campioni fossero caratterizzati da
autosufficienza, da un'immagine idealizzata del sè, da una buona resistenza alle frustrazioni e da un atteggiamento fiducioso e ottimistico verso la vita.
(2) Desiderio di potenza. Può verificarsi che il portatore di un sentimento latente di inferiorità cerchi, reattivamente, di negarlo nel suo opposto (superiorità) attraverso situazioni che gli consentano l'affermazione ipertrofica  del sé. Lo sport diventa in questo caso il palcoscenico ideale in cui l'atleta,
cosi motivato, cerca di appagare questo desiderio, con tutti i rischi e le frustrazioni psichiche che questo tentativo comporta (ad es., l'alternanza vittoria sconfitta). Questa motivazione, .laddove non sia reattiva a sentimenti d'inferiorità, tende a colorirsi in senso narcisistico: nel culto del proprio corpo e della propria immagine, cosa che può indurre l'individuo, fisicamente favorito, a intraprendere la carriera sportiva come occasione di massima valorizzazione esibizionistica di se stesso.
(3) il modello sociopatico della virilità aggressiva si fonda sul desiderio di adeguarsi il più possibile ai modelli di coraggio, grinta, aggressività e bravura proposti come ideale maschile esasperato. lì voler assimilarsi agli eroi tracotanti, rissosi, sicuri di sé, di una certa mitologia cinematografica, rivela nella struttura della personalità del giovane un'insufficiente sicurezza della propria identità sessuale, l'assenza di vissuti confermativi e valorizzanti nella primissima infanzia, la mancanza di un se ideale costruito realisticamente attraverso l'interiorizzazione di figure adulte ideali, emotivamente significative e reali.
Alcune discipline sportive, rispondendo a tali bisogni, possono trovare un  gran numero di neofiti tra i giovani così motivati. Alcuni studi su ragazzi praticanti il karatè sembrano confermare, ad es., una certa diffusione di questi tratti tra gli sport di combattimento, in particolare le arti marziali. Lo sport offre a questi soggetti anche la possibilità di ricostruire una salda autoimmagine di sé, o quanto meno, di contenere le proprie problematiche psicologiche.

Fattori inibenti o perturbanti le motivazioni allo sport

È possibile riconoscere che una larga fascia di soggetti in età evolutiva, pur essendo motivati, non giungono mai a fare sport, oppure tendono ad abbandonare la pratica sportiva dopo un certo periodo. In genere, gli psicologi indagano solo su chi pratica lo sport, mentre ben poco si fa per conoscere i motivi psicologici del rifiuto dello sport o del suo abbandono precoce. Proveremo perciò nel prosieguo dell'analisi a illustrare i principali fattori inibenti .o perturbanti le motivazioni allo sport.

(a)   I sentimenti d'inferiorità infantile
Oggi non si può non riconoscere l'importanza dei sentimenti d'inferiorità, specialmente nello sport, che è un'attività dove essi possono evidenziarsi o addirittura aver inizio. I sentimenti d'inferiorità possono essere incautamente alimentati dall'allenatore, dall'ambiente sportivo, dalla famiglia, ogniqualvolta si faccia sentire il fanciullo o il preadolescente diverso, rispetto ai coetanei, o inadeguato rispetto alle aspettative di eccellenza o di normalità. Sentirsi non approvato, non essere all'altezza delle attese, ritrovarsi valutato
negativamente sperimentare incapacità  a livello di destrezza motoria: tutto questo può produrre nel ragazzo sentimenti d'inferiorità che si manifestano in comportamenti inibiti, incerti, timidi rinunciatari.
Una ricerca nordamericana su un campione selezionato e omogeneo di bambini dei primi gradi della Basic Nine Years School, ha accertato il livello di reazione ansiosa in situazioni di addestramento ludico agonistico. Nell’esperimento un gruppo A di  bambini era intenzionalmente allenato in vista di una competizione, mentre un gruppo B era allenato secondo un normale programma di educazione fisica. Dopo solo 15 sedute di allenamento si è misurato nei due gruppi il livello di efficienza e di ansietà. Negli esercizi i  bambini del gruppi A "hanno dimostrato abilità e impegno, ma anche riluttanza e inibizione motoria. I bambini del gruppo B hanno invece rivelato un più basso livello di ansietà e l'assenza di inibizioni.
Il problema dei sentimenti d'inferiorità infantili e adolescenziali, molte volte insospettati, può essere accentuato e messo in evidenza allorché il genitore porta il figlio a fare una qualche attività sportiva. Contrariamente a quanto si possa pensare, i fanciulli e i preadolescenti sono cosi attenti alla loro immagine fisica e alla loro abilità motoria, da esserne fortemente condizionati. Il sentimento d'inferiorità può affiorare e manifestarsi attraverso atteggiamenti di fuga, disimpegno, ostilità e 'negativismo' verso la situazione: Altrettanto può verificarsi nei ragazzi precocemente avviati alla competizione: l'insicurezza di fronte alla prova e il timore dell'eventuale sconfitta possono attivare un disagio psicologico, soprattutto quando i genitori tendono a stimolare l'adolescente mettendo a confronto i suoi risultati con quelli dei coetanei. Nel caso di sentimenti d'inferiorità, tali da pregiudicare l'interesse e le motivazioni del ragazzo, occorre che l'istruttore sportivo intervenga con qualche piccolo artificio, in modo da offrire al giovane situazioni di successo e confronti positivi. Vanno anche attivate una serie di iniziative: una costante
opera di valorizzazione e di partecipazione ai piccoli progressi, la rimozione di gerarchie tra ragazzi, legate alla destrezza o alla prestazione, l'allontanamento dei genitori ipercritici, ansiosi e giudicanti, dalla palestra, dal campo o dalla piscina. L'educatore fisico può cogliere, nell'imbarazzo o nella vergogna i sintomi di un qualche sentimento d'inferiorità, mentre nell'adolescente questo turbamento psicologico e rilevabile, soprattutto, nella rigidità, incertezza, auto svalutazione di fronte all'esibizione motoria

(h) L 'ansia adolescenziale da prestazione

L'adolescente sperimenta, in maniera più o meno profonda, situazioni di crisi, da cui nascono una serie di reazioni emotive, di atteggiamenti e di condotte problematiche incongruenti, come l'aumento dell'instabilità, la diminuzione della perseveranza, la fluttuazione degli interessi, l'inadeguata valutazione di se, la ricerca di protezione e di autonomia al tempo stesso, ecc. Tutto questo genera difficoltà al giovane atleta o ragazzo impegnato in attività ludico-motorie organizzate; in particolare ne risente la motivazione al confronto, all'agonismo, all'autorealizzazione: il tasso di ansia che ne deriva può portare alla rinuncia dell'attività. A queste difficoltà emotive e di relazione, l'adolescente può reagire con comportamenti di reazione, tra cui
( l) la capricciosità e la teatralità degli atteggiamenti;
(2) la somatizzazione ansiosa e la caduta del rendimento fisico;
(3) la tendenza a vivere la situazione agonistica come prova-esame e a sottrarsi a tale impegno;
( 4) oppure il bisogno di rifugiarsi morbosamente ed esclusivamente nella pratica sportiva in sostituzione d'ogni altra esperienza.
Dagli anni Cinquanta si è incominciato ad abbandonare progressivamente l'idea che la 'crisi adolescenziale (le cui espressioni sarebbero disadattamento, aggressività verso i genitori, distacco dalla famiglia, ecc.) fosse una conseguenza diretta delle trasformazioni biologiche connesse con la pubertà. I dati forniti da più di mezzo secolo di ricerche degli antropologi, nello studio di culture diverse da quella occidentale, hanno dimostrato come in molte società primitive il fenomeno 'adolescenza' sia pressoché
sconosciuto. L'imponente mole di ricerche oggi esistente ha messo in evidenza come l'insieme dei comportamenti e delle caratteristiche , psicologiche siano considerate variabili storico-socio-culturali collegate con il tipo di organizzazione della società. Il problema del giovane atleta che abbandona una promettente carriera atletica e una spinosa questione dibattuta da tutti gli allenatori che spesso, riduttivamente, la imputano a fattori della personalità del ragazzo o a fattori extrasportivi. La realtà è diversa: le motivazioni del giovane, entrando in conflitto con quelle interiorizzate , nell'ambiente agonistico, generano una tensione che si tramuta in ansia e stress emotivo. L'adolescente, ad es., che sceglie di praticare un certo tipo di sport per le ricompense affettive che può trarne (in termini di 'esperienza ludica', di 'ruolo sociale', d’individualizzazione', di 'catarsi affettiva ed estetica'), e in virtù delle sue buone capacità, è costretto a perseguire mete di prestazione, che necessitano 'sicurezza', 'aggressività', 'motivazione al successo, ecc., rischiando così di deludere le aspettative personali e di venir
meno ai propri orientamenti sportivi. Sul versante femminile alcuni recenti studi hanno affrontato la questione dell'abbandono precoce dello sport da parte di atlete impegnate nella ginnastica e nella pallacanestro. Le conclusioni di queste indagini sono state che ogni particolare contesto sportivo non solo
recepisce, ma alimenta nelle ragazze talune motivazioni piuttosto che altre: ad es., il risultato e l'abilità individuale, piuttosto che la valorizzazione affettiva e sociale nell'ambito di una attività di gruppo. Nelle ragazze, la sensibilità della valutazione risulta collegata a forme d'insicurezza personale, e la
valorizzazione personale in funzione del risultato agonistico crea forti stati di ansietà, che in breve tempo intaccano le motivazioni iniziali al punto da giustificare la scelta dell'abbandono.
Le atlete e gli atleti in età giovanile sono particolarmente soggetti all'eccessivo stress emotivo con cui vivono l'esperienza agonistica. Possono  generarsi così disturbi dell'affettività, che a loro volta danno origine, oltre ai fatti ansiosi già accennati, a reazioni di allarme psicoastenico (malessere a carico dei vari organi accompagnato da astenia mentale e fisica), di allarme fobico (paura, sentimenti di incapacità di fronte alla prova, ecc.) e di atimia (ritiro emotivo, scarso coinvolgimento, progressivo disinteresse). L'ansia disturba non solo il livello di gratificazione, che l'atleta vuole raggiungere attraverso la pratica sportiva, ma può incidere negativamente sul rendimento atletico, ed entro certi limiti può essere ben tollerata anche dal giovane atleta, soprattutto quando essa non sia reattiva a situazioni imposte, ma conseguente al livello di aspirazione e di motivazione. A questo proposito è stato detto giustamente che l'ansia è una creatura bifronte e, a seconda della situazione, può spingere l'individuo al miglioramento di sé, alla realizzazione, alla completezza, oppure può, all'opposto, distorcerne e impoverirne le potenzialità e gli interessi.
Un ottimo indicatore che consente all'allenatore di valutare la reattività ansiosa soggettiva è quello di osservare la cosiddetta ansia-preagonistica, ossia il turbamento emotivo (talvolta psicosomatico) che coglie l'atleta nell'imminenza della gara. Se il livello ditale ansia, oltre che essere visibile, pregiudica nel giovane atleta il sonno, l'appetito, il rendimento motorio abituale, è possibile rilevare un rischio di caduta o perdita motivazionale alla pratica sportiva, direttamente proporzionale al numero delle competizioni e
all'anzianità sportiva. In questi casi è possibile attuare un intervento adeguato mediante una terapia
psicologica, evitando di drammatizzare il problema attraverso inadeguati e molte volte controproducenti trattamenti medicopsichiatrici. L'operatore sportivo, sia esso educatore o allenatore, rimane comunque la persona più importante ed idonea a collaborare con lo psicologo per la modifica delle situazioni ansiogene che interferiscono sull'equilibrio emotivo del ragazzo.

(c) il sovraccarico di frustrazione
La frustrazione è quella situazione psicologica in cui l'individuo sperimenta l'impedimento alla soddisfazione di un suo particolare desiderio, aspirazione, bisogno o motivazione. Lo stato di frustrazione può essere causa o effetto di stress psicofisici, generare reazioni depressive, processi difensivi, reazioni
aggressive, perdite di interesse, ecc. Una condizione di lieve frustrazione può favorire, invece, lo sviluppo della personalità, la maturazione psicofisica, il miglioramento di abilità e capacità. La pratica sportiva, intesa come attività organizzata e finalizzata al raggiungi mento di certe abilità motorie, è continuamente intessuta di situazioni frustranti; l'agonismo tende a togliere all'atleta il controllo delle esperienze di frustrazione psicologica: esso produce sempre un'emozione spiacevole che può essere vissuta in termini di tensione o di ansia. il livello  difensivo è determinato dalla tolleranza o capacità di sopportare pressioni
emotive, blocchi motivazionali, conflitti, ecc. La frustrazione può essere attenuata dalla disponibilità di sostituti su cui dirottare i propri bisogni insoddisfatti; ciononostante si può verificare un accumulo di situazioni frustranti, che da modeste diventano, alla fine, un carico decisamente insopportabile.
Gli atleti, soprattutto quelli in età adolescenziale, oltre a mal sopportare il sovraccarico di frustrazioni, tendono a reagire in maniera sbagliata, tanto da arrivare ad aggiungere altri carichi alla situazione già compromessa. La forma più tipica è la reazione aggressiva: cioè lo spostamento su altre situazioni
(famiglia, circolo sportivo, scuola, ecc.) della delusione, della stanchezza, della tensione emotiva accumulata, dell'insuccesso, ecc. Altre volte la reazione aggressiva esplode' (secondo il ben noto modello della pentola a pressione) in maniera improvvisa e apparentemente ingiustificata di fronte a una qualsiasi contrarietà anche minima e banale. La forma più pericolosa è la reazione autoaggressiva: ovvero una situazione di depressione, autosvalorizzazione, autoaccusa, che coinvolge il giovane  atleta, fino a spingerlo a reagire punitivamente verso di se (ad es., abbandono della carriera sportiva).
Di fronte al sovraccarico di frustrazione, le altre manifestazioni reattive sono quelle regressive. In questo caso l'adolescente non riesce più a rassicurare se stesso, perché la frustrazione è troppo forte e l'io troppo debole. Il giovane tenta di ritrovare un equilibrio attraverso una regressione comportamentale ed
emotiva che si manifesta con il ritiro dalla realtà, la ricerca protettiva e l'isolamento. Le reazioni di fissazione compaiono quando l'adolescente, preso nella spirale del proprie motivazioni frustrate, finisce per isolarne una, in genere la meno minacciata (ad es., il narcisismo, i contenuti ludici, l'affiliazione), facendone il centro dei "suoi interessi sportivi in maniera ripetitiva e stereotipata e, in definitiva, ossessiva. L'importanza determinante della frustrazione nell'età evolutiva impone un'educazione che sappia rendere l'adolescente tollerante verso la frustrazione: in grado, cioè, di affrontare una frustrazione senza ricorrere a modalità reattive inadeguate. Tolleranza alla frustrazione non significa inibizione delle reazioni o passività, ma valutazione realistica della natura dell'ostacolo e delle possibilità oggettive di superarlo. La tolleranza alla frustrazione costituisce un tratto caratteristico della personalità, che si costruisce lungo l'età evolutiva; essa è espressione di un lo sufficientemente maturo e forte. E evidente a questo proposito che compete all'educatore fisico, al tecnico sportivo, assumersi parte della responsabilità di valutare realisticamente l'entità delle frustrazioni che il giovane atleta deve affrontare e le risorse della sua personalità.

BIBLIOGRAFIA

F. Antonelli-A. Salvini, Psicologia dello sport, Lombardo, Roma 1978.
J.S. Bruner-A. Jolly-K. Sylva, Il gioco, 4 voli., Armando, Roma 1981.
Z.P. Dienes, Uno studio sperimentale sull'apprendimento della matematica,  Feltrinelli, Milano 1971.
G.P. Guasch, L 'adolescente e il suo corpo, Cittadella Ed., Assisi 1975.
P. Meazzini, La conduzione della classe, Giunti Barbera, Firenze 1978.
G. Miller-E. Galanter-K. Pribram, Piani e strutture del comportamento, Angeli, Milano 1973.
G.F. Minguzzi, Dinamica psicologica dei gruppi sociali, Il Mulino, Bologna 1973.
J. Nash, Psicologia dello sviluppo, Giunti Barbera, Firenze 1975.
A. Nichols-H. Nichols, Guida pratica all'elaborazione del curricolo, Feltrinelli, Milano 1975.
J. Piaget, Psicologia dell'intelligenza, Giunti Barbera, Firenze 1952.
J. Piaget, La nascita dell'intelligenza nel bambino, Giunti Barbera, Firenze 1968.
J. Piaget, La rappresentazione dello spazio nel bambino, Giunti Barbera, Firenze 1968.
A.     Salvini, Identità femminile e sport, La Nuova Italia, Firenze 1982.
L.S. Vygotskij-A.R. Lurija-A.N. Leontjev, Psicologia e pedagogia, Editori Riuniti, Roma 1970.
H. Wallon, L 'origine del carattere nel bambino, Editori Riuniti, Roma 1974.

 

 

Fonte: http://volleyinviaggio.altervista.org/download/il_minivolley/Dispensa%20per%20operatori%20sportivi%20-%20Coni.doc

Sito web da visitare: http://volleyinviaggio.altervista.org

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Corso per operatori sportivi

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Corso per operatori sportivi

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Corso per operatori sportivi