Corso di gestione della innovazione tecnologica

Corso di gestione della innovazione tecnologica

 

 

 

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Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Corso di gestione della innovazione tecnologica

Notizie  generali
Il corso è inserito al primo anno del programma formativo per il conseguimento della Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale ed il superamento della prova finale prevede l’assegnazione di 6 CFU. Il corso è articolato su due moduli di 6 settimane e prevede 30 ore di lezioni e 30 di esercitazioni incluso lo sviluppo di un project work su un tema a scelta dello studente. L’esame finale prevede una prova orale.

Perché un corso di gestione dell’innovazione tecnologica?
Perché la base tecnologica dell’impresa e la gestione della filiera dell’innovazione si è rivelata una insostituibile fonte di vantaggio competitivo per le imprese nel mercato globale e, più in generale, per l’innalzamento del benessere nella società.

Inquadramento
L’attuale contesto economico internazionale, caratterizzato da crescenti livelli di competizione indotti da una maggiore permeabilità ed interdipendenza dei mercati e da nuovi modelli di divisione del lavoro, pone nuove sfide competitive alle imprese di  produzione di beni e servizi. In Europa, ed in genere nelle economie più avanzate caratterizzate da alti valori di PIL pro-capite e da alti costi del lavoro, le industrie sono costrette ad evolvere verso produzioni, o segmenti delle catene produttive, connotate da più elevati contenuti di studio e ricerca mettendo al centro delle strategie di sviluppo delle imprese il tema della innovazione come principale fonte di vantaggio competitivo e di generazione di valore. Innovazione che, anche grazie ad un’impressionante accelerazione degli sviluppi delle conoscenze, si connota sempre di più come innovazione science-based in cui cioè le conoscenze scientifiche, patrimonio di lavori e lavoratori a sempre più alta qualificazione, vengono utilizzate in modo creativo per fornire nuove soluzioni tecnologiche ed economicamente sostenibili ai bisogni spesso inediti della società.
Si parla sempre più spesso di ecosistema dell’innovazione, infatti, oltre alla emergente natura di un’innovazione a forte contenuto scientifico, l’innovazione nei contesti più avanzati è il frutto di network organizzati di gestione dell’innovazione in cui creatività imprenditoriale, combinazione interdisciplinare della conoscenza, finanza di supporto, sistemi locali per lo sviluppo, nuovi modi di uso di tecnologie esistenti, interagiscono per accelerare e rendere più efficienti i processi di innovazione e cioè, in estrema sintesi, la capacità di tradurre conoscenze scientifiche e tecnologiche di frontiera in prodotti e servizi competitivi, generatori di profitti sul mercato e strumenti di miglioramento della vita.
Il corso si propone di fornire i principali riferimenti metodologici per la gestione dell’innovazione tecnologica nelle imprese per le sfide che queste dovranno affrontare nei mercati dei prossimi anni.

Programma del corso
I rapporti tra scienza, tecnologia e innovazione – La catena del valore della conoscenza
Prospettive storiche
Ricerca, Invenzione e Innovazione
Imprenditorialità e Innovazione
Innovazione, diffusione e mercato
I diversi tipi di innovazione
Il contesto economico internazionale
Il modello lineare dell’innovazione e quello chain-linked
Crescita economica e innovazione
Competizione e crescita delle imprese attraverso l’innovazione
Gestione dell’innovazione nel sistema impresa
Tutela della proprietà intellettuale

Argomenti opzionali:
Finanza per l’innovazione
Start-up tecnologiche
Sistemi locali per l’innovazione
Il modello di Etzkowitz della tripla elica
Il Mezzogiorno e l’innovazione
Il sistema produttivo italiano
Le politiche per l’innovazione dell’Europa
Il caso francese: dal rapporto Beffa ai pole de competitivitè
Il caso spagnolo: Barcellona Activa e il trampolino
European Innovation Scoreboard  2010

Linee guida per la stesura del project work
La stesura del project work è parte integrante del corso ed è oggetto di valutazione per il superamento dell’esame finale.

Finalità

Il project work è un documento redatto in autonomia dagli allievi ed è l’occasione per approfondire un tema di loro specifico interesse. Negli anni scorsi la maggior parte degli allievi hanno scelto di studiare specifici prodotti, tecnologie, servizi e di studiare la natura dei processi di innovazione collegati in cui aspetti scientifici, tecnologici, economico-gestionali e di mercato sono fortemente integrati. Altri allievi hanno invece preferito approfondire le situazioni di contesto che contraddistinguono gli scenari in cui le imprese si trovano ad operare e che certamente influenzano modalità e natura dei processi innovativi delle imprese. Altri hanno approfondito gli approcci all’innovazione in alcune grandi aziende.
I project work svolti negli anni precedenti sono a disposizione degli allievi per la consultazione.
Attraverso la presentazione dei project work gli allievi potranno reciprocamente integrare le conoscenze apprese. E’ pertanto importante partecipare attivamente alle presentazioni in aula.

Articolazione del documento

Nel caso di project work individuale il documento prevederà 25 – 30 cartelle precedute da un executive summary in lingua inglese di una pagina.
Nel caso di project work di gruppo (max tre allievi) la lunghezza del documento ed i risultati presentati dovranno essere estesi in maniera commisurata alla numerosità del gruppo.
In funzione del materiale bibliografico e sitografico reperito, il project work dovrà presentare in modo bilanciato aspetti tecnologici ed economici delle innovazioni studiate. Nel caso dello studio di prodotti/servizi dovranno essere descritte sia le caratteristiche tecniche innovative che i benefici per gli utenti che ne inducono l’acquisto e ne influenzano il prezzo di vendita. Sarà importante acquisire dati di mercato tendenti a interpretare le modalità di diffusione dell’innovazione.

Tempi di svolgimento

Al corso sono associati 6 CFU, equivalenti a circa 150 ore di impegno in aula e studio individuale. Tenuto conto che le attività di aula prevedono 60 ore tra lezioni, seminari e presentazione dei project work, si ritiene ragionevole attribuire 40 - 50 ore alle attività di stesura del project work.
Durante le prime 4 settimane del corso tutti gli allievi dovranno scegliere il tema del project work.
Le presentazioni dei risultati avverranno a partire dalla 1° settimana del 4° modulo e saranno distribuite durante le ore previste dall’orario ufficiale secondo un calendario predeterminato e concordato con gli studenti.

Presentazione

15 slide in Power Point per una durata della presentazione di 10 minuti e 2 minuti per eventuali osservazioni e/o discussione.

Consegna della versione finale

La versione finale cartacea verrà consegnata in sede di svolgimento dell’esame finale insieme ad un formato Word cognome.doc ed al file di presentazione cognome.ppt

 

Alcune citazioni per iniziare a ragionare di innovazione
“Non c’è niente di più difficile, di più pericoloso o di più incerto che assumere la responsabilità di un nuovo ordine di cose, perché l’inventore ha per nemici tutti coloro che si trovano bene nella situazione precedente e blandi sostenitori in tutti coloro che potrebbero fare bene nella nuova.
Questa resistenza deriva in parte dalla paura degli uomini che non credono prontamente nelle cose nuove fino a quando non ne divengono esperti.”  (Niccolò Macchiavelli)

“Il profitto è strettamente connesso all’innovazione nella combinazione dei fattori, nelle tecnologie e nei prodotti. In una economia sana, il profitto aziendale su un dato prodotto è destinato a scomparire; la sopravvivenza dell’impresa è strettamente legata alla sua capacità di saper rigenerare, attraverso forme innovative, quel profitto che il mercato, attraverso la concorrenza, tende a far scomparire.“ (Guido Carli)

Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. (San Francesco)

Le interazioni tra scienza, tecnologia, innovazione, economia hanno trasformato la società americana nel corso del XX secolo innalzando enormemente il livello di benessere. I dati contenuti in Stephen Moore, Julian L. Simon, The Greatest Century That Ever Was: 25 Miracolous Trends Of The Past 100 Years, Policy Analysis, No. 354, Dicembre 1999 danno la misura dell’entità dei cambiamenti. Lo studio ci fa anche capire come nelle economie avanzate la domanda di beni durevoli sia in gran parte motivata non dal bisogno primario di un bene specifico, bisogno spesso già soddisfatto, ma dal desiderio di sostituire quel bene che già si possiede con uno con caratteristiche “migliori”. Provate a fare degli esempi sulla base di vostre esperienze di acquisto e spiegate le ragioni che vi hanno indotto a sostituire un bene ancora funzionante con uno nuovo.

1. L’ingegneria e l’innovazione
1.1 Alcune considerazioni sul ruolo degli ingegneri nella società
L’ingegneria è un ponte tra le scienze e la società e riveste un ruolo cruciale nei processi di innovazione tecnologica. Il suo scopo primario è quello di rendere utilizzabile la conoscenza scientifica per il progresso della società e per il benessere di tutti. L’ingegneria ha contribuito, attraverso processi di miglioramento continuo, allo straordinario sviluppo della società moderna rendendo disponibili manufatti e sistemi per il miglioramento della qualità della vita. Il cambiamento tecnologico, su cui si basa buona parte della crescita economica, è in gran parte affidato alla capacità e alla creatività degli ingegneri. Nella storia industriale gli ingegneri hanno contribuito, nei più svariati ambiti, allo sviluppo ed alla diffusione di prodotti con prestazioni sempre più elevate e a costi reali sempre più bassi rendendone così possibile la loro adozione da fasce sempre più ampie di popolazione. Quei paesi che possono contare su una buona dotazione di ingegneri in termini sia qualitativi che quantitativi sono più competitivi sui mercati internazionali. Utilizzando i risultati scientifici, l’ingegneria, mediando tra rigore scientifico e approssimazione ragionata, è stata in grado di progettare, ingegnerizzare, fabbricare e distribuire prodotti che hanno contribuito in modo deciso alla crescita economica, alla creazione della ricchezza dei popoli e delle nazioni, alla diffusione di migliori condizioni di vita.
Il metodo e gli studi di ingegneria, orientati al raggiungimento di risultati concreti, basandosi su metodi di analisi rigorosi, sulla continua ricerca di misurazioni quantitative, su una struttura disciplinata del pensiero si sono rivelati strumenti fondamentali per soddisfare le aspettative crescenti della società. Come ha recentemente osservato il premio Nobel per l’economia Edmund S. Phelps: alla straordinaria crescita del XX secolo “hanno contribuito non poco anche gli ingegneri, ma il processo è stato guidato dagli imprenditori.”

Riquadro 1 – Sul ruolo dell’ingegnere nella società possiamo in qualche modo fare nostra la frase dello scrittore milanese Pietro Verri (1728 – 1797): “Tra il sapere teorico e il talento tecnico i nuovi problemi di efficienza nella produzione impongono una nuova figura di mediatori tra il dotto fisico e il meccanico operatore. A noi viene commessa la cura di rendere facili le verità utili, segregarle dalla nobile e architettata teoria e presentarle all’agricoltura e all’artigiano al livello della di lui capacità.” Tratto dal saggio introduttivo di Claudio M. Tartari, “La Fabrica del Mondo” p. 27 in “L’ingegno e le opere – Esperienze di produzione nel Milanese”, Jaca Book, 2005.

1.2 Le origini dell’ingegneria gestionale in Italia
Nella società è tuttora diffusa l’idea che l’ingegnere sia soprattutto un progettista trascurando due questioni fondamentali:
a) la fase della progettazione di un prodotto è solo una piccola parte della filiera che dalla utilizzazione della conoscenza porta alla diffusione del prodotto sul mercato;
b) numerose altre attività che contribuiscono a formare la catena del valore richiedono approcci e competenze di tipo ingegneristico. La formazione del valore del prodotto percepito dal cliente, la definizione del prezzo di vendita sul mercato, la struttura e i valori dei costi di produzione sono attività che richiedono specifiche competenze economiche e gestionali che, nei prodotti technology based, ricadono in prevalenza sotto la responsabilità degli ingegneri.
Meno coscienza esiste invece del fatto che un approccio di tipo ingegneristico, basato quindi su un pensiero disciplinato, caratterizzato da un forte orientamento ai risultati, da capacità di analisi e di misura, di attenzione ai rendimenti nell’uso delle risorse, sia in grado di fornire importanti contributi negli aspetti organizzativi, gestionali, economici e finanziari che caratterizzano la gestione dell’intera catena del valore di tutte le imprese di produzione di beni e servizi.
Per contribuire a superare queste idee, per la verità oggi più sfumate che nel recente passato, all’inizio degli anni ottanta furono messe in campo nell’università italiana alcune innovazioni curriculari per disegnare un percorso formativo più adeguato alle esigenze delle imprese ed agli effettivi ruoli rivestiti dagli ingegneri nelle imprese. A questa idea lavorarono, quasi trenta anni fa, tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, non senza preoccupazioni per gli esiti delle scelte, alcuni docenti universitari italiani superando anche le perplessità di molti colleghi più propensi a considerare la professione dell’ingegnere prevalentemente orientata agli ambiti progettuali.
L’ingegneria gestionale nasce come risposta dell’università italiana ad una esigenza diffusa da parte dell’industria - pochi ingegneri progettano, molti di loro gestiscono persone, progetti, impianti, risorse economiche ecc. con una insufficiente preparazione economico-organizzativa. Questa risposta, in parte tardiva, arriva solo nei primi anni ottanta mentre nei paesi anglosassoni la figura dell’ industrial engineer già da alcuni decenni copriva questa esigenza (v. riquadro 2). Tuttavia l’esperimento del progetto formativo, avviato non senza timori e, come già detto con perplessità da parte di molti, si rivela da subito un successo.

Riquadro 2 – Negli Stati Uniti nel 1929, nella prima relazione sull’insegnamento dell’ingegneria, il direttore dello studio William Wickenden scriveva: “L’ascesa dell’ingegnere come organizzatore e dirigente è un processo naturale che ha riguardato l’ultimo mezzo secolo…. L’interesse dell’industria è passato dagli attrezzi e dalle lavorazioni isolate a una concezione organica della produzione e del lavoro nel suo insieme, all’interno del quale gli elementi di meccanica pura non possono venir separati dai problemi finanziari, legali, di marketing e di gestione del personale, in modo tale che l’ingegnere, quando progetta, si trova a fare i conti con il denaro e con gli uomini quasi altrettanto spesso di quanto accada con i materiali e con le macchine… Guardando al futuro è difficile pensare che le scuole di ingegneria possano limitare i loro interessi alle scienze matematiche e fisiche, ai problemi della progettazione e della fabbricazione e ai particolari specialistici dell’economia della progettazione. L’ingegneria finirà per includere tra i suoi attrezzi tutte le scienze, una per una, mano a mano che esse saranno diventate abbastanza affidabili da offrire dei risultati economicamente prevedibili.” Tratto da David P. Noble, Progettare l’America, Einaudi, 1987, p.349.

 

1.3 I mutamenti nello scenario dell’economia internazionale
Uno degli aspetti che contraddistingue l’economia di oggi è la violenta accelerazione dei fenomeni di globalizzazione economica che si è verificata negli ultimi dieci anni. Questa viene così definita in Jagdish Bhagwati, Elogio della globalizzazione, Laterza, 2005: “In sintesi, la globalizzazione economica consiste nella integrazione di economie nazionali nell’economia internazionale attraverso scambi commerciali, gli investimenti diretti esteri (da parte delle corporations e delle multinazionali), i flussi di capitale a breve termine, i flussi internazionali di lavoratori e di persone in genere e i flussi di tecnologia”.
Le economie dei singoli paesi presentano crescenti livelli di interconnessione con quelle di altri paesi. Le distanze tra le varie aree del mondo, misurate in termini economici anziché in termini geografici, si riducono progressivamente (Bernanke). Le barriere che erano di ostacolo al commercio mondiale cadono progressivamente. Cambia velocemente il peso nel commercio mondiale delle diverse aree del mondo (Brown). Paesi emergenti sullo scenario economico come Cina, India, Russia, Brasile (conosciuti come BRIC), prima esclusi dalla predominanza della triade USA, Europa, Giappone contribuiscono in modo deciso alla crescita del commercio mondiale e alla crescita economica. Da dieci anni a questa parte il PIL mondiale cresce ad un ritmo del 4%, un punto in più rispetto ai venti anni precedenti.

Riquadro 3 – La recente crisi finanziaria
Nel 2009, per gli effetti della crisi finanziaria che si è violentemente manifestata dalla fine del 2008 - uno degli eventi più devastanti per la tenuta dei mercati è stato il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers – la crescita del PIL mondiale ha subito un rallentamento. Tuttavia mentre i paesi tradizionalmente avanzati hanno visto nel 2009 una significativa flessione del PIL (Italia -5%) i processi di crescita economica dei paesi emergenti, per esempio nella Cina, hanno mantenuto ritmi sostenuti.
Sulle origini e le evoluzioni della crisi finanziaria sono interessanti alcuni capitoli del libro di Marco Panara, La malattia dell’Occidente, Laterza, 2010.

I fenomeni della globalizzazione economica inducono crescenti livelli di competizione tra le imprese. L’affermarsi di un mercato globale dei prodotti e delle tecnologie esaspera la concorrenza sui prezzi e sulla qualità dei prodotti e ciò impone una continua reingegnerizzazione dei modelli gestionali ed una ricalibrazione dei fattori della produzione.
Per operare in questo nuovo scenario le imprese adottano strategie di innovazione di prodotto, e strategie di delocalizzazione produttiva e di global sourcing. Nelle prime sono fondamentali le attività di ricerca e sviluppo e le capacità di tradurre conoscenza in prodotti e servizi con un valore commerciale. Nelle seconde è fondamentale la capacità di cogliere le migliori opportunità su scala planetaria in termini di reperimento dei fattori della produzione in funzione dello specifico settore in cui l’azienda opera (manodopera a costi più bassi, fonti di approvvigionamento competitive, eccellenze tecnologiche funzioni di specializzazioni produttive).
L’Italia è stata particolarmente esposta alle forze della globalizzazione e risente, più di altri paesi europei e, in particolare, della Germania, della scarsa propensione all’innovazione del suo tessuto produttivo. Il modesto tasso di crescita economica del Paese, pur in un contesto economico internazionale che prima della crisi del 2008 era positivo, è segno di una risposta inadeguata del Paese alle sfide della globalizzazione economica.
Molte delle produzioni italiane mature e labour intensive sono state facile preda dei produttori dei paesi emergenti che presentano costi del lavoro di un ordine di grandezza inferiore a quelli europei (gli Aachen Colloquia del 2008 sono dedicati al Manufacturing in high wage countries). In questo quadro destabilizzante è necessario accelerare il cambiamento tecnologico nella produzione e virare su produzioni sempre più vicine alla frontiera tecnologica. Altri paesi e, in primo luogo gli Stati Uniti, e, per esempio in Europa, la Finlandia, hanno ridefinito la loro missione produttiva spostandosi su produzioni ad alto valore aggiunto che possono sostenere gli alti livelli retributivi delle economie occidentali.
Occorre puntare sull’innovazione, che, come ha osservato Pasquale Pistorio nella Lectio Magistralis tenuta a Palermo in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Ingegneria gestionale,  “permette di spostarsi continuamente su fasce più elevate di prodotto, che consentono di mantenere, attraverso margini più remunerativi, la competitività dell’azienda. Si tratta, è ovvio di una corsa continua per contrastare, attraverso l’arricchimento di valore di processi e produzioni, da un lato l’enorme differenziale nei costi del lavoro e, dall’altro, il vivacissimo progresso tecnologico dei paesi in via di rapido sviluppo”.  Il tema ha assunto piena rilevanza in Europa dopo il Consiglio di Lisbona del marzo 2000 ed è al centro delle politiche economiche della UE.
Questo quadro presenta caratteristiche significativamente diverse rispetto allo scenario in cui trenta anni fa fu concepita la figura dell’ingegnere gestionale. L’Italia e l’Europa presentavano un livello di integrazione nell’economia mondiale molto più basso rispetto a quello di oggi e la competizione internazionale non presentava livelli di aggressività paragonabili a quelli di oggi. Il nuovo scenario certamente impone la necessità di un’approfondita riflessione sulla attribuzione di nuove competenze ma anche sulla necessità di nuovi metodi di insegnamento tesi ad esaltare la componente creativa della professione di ingegnere gestionale. Possiamo oggi affermare che i segnali del mercato e la nuova realtà della competizione internazionale hanno cambiato il paradigma dell’ingegneria gestionale, cioè quell’insieme stabilito di esempi, metodi, convinzioni e fenomeni che formano il nocciolo duro dell’area disciplinare.

Letture consigliate:
B.S. Bernanke, Global Economic Integration: What’s New and What’s Not? Jackson Hole, U.S.A., 25 agosto 2006, www.federalreserve.gov/boarddocs/speeches/2006/20060825/default.htm
G. Brown, Global Europe: full-employment Europe, 2005
P. Pistorio, Creazione di valore, shareholder e stakeholder: il nuovo modello di gestione dell’impresa responsabile nei confronti dell’ambiente e della comunità in cui opera, Lectio Magistralis tenuta presso l’Università di Palermo in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Ingegneria gestionale il 12 giugno 2002

1.4 Implicazioni per il futuro dell’ingegneria gestionale
I cambiamenti nello scenario economico alimentano la domanda di nuovi profili professionali anche nel campo ingegneristico. In particolare, nel settore industriale, emergono come dominanti i temi di gestione dell’innovazione divenuti strategici per la sopravvivenza e la competitività dell’impresa. Alcuni aspetti sembrano particolarmente rilevanti:
a) la necessità di accelerare la traduzione delle nuove conoscenze scientifiche in nuovi prodotti o servizi da immettere sul mercato con profitti sufficienti a poter sostenere un costante impegno di ricerca e sviluppo per mantenere le produzioni sulla frontiera della tecnologia;
b) la capacità di cogliere le opportunità disponibili sui mercati globali attraverso una segmentazione e redistribuzione su base geografica della catena del valore del prodotto allocandone le attività là dove risulta più efficace per poi ricombinarla su basi informative e logistiche;
c) la necessità di sviluppare una visione imprenditoriale nell’impegno professionale adeguata alla velocità con cui minacce (innovazioni ostili, nuovi entranti, ecc.) e opportunità (nuovi mercati, nuovi partner, ecc.) si manifestano sui mercati internazionali;
d) la urgenza di guardare con una visione bilanciata e integrata agli aspetti tecnologici, economici e gestionali, anche nei settori delle tecnologie di punta, dove spesso prevale l’idea che detenere una tecnologia di frontiera sia di per sé una garanzia di successo sul mercato (infatti una tecnologia non si vende, si vende un prodotto o un servizio che soddisfa specifici bisogni o desideri dei clienti, poi i clienti non cercano i produttori ma, in un contesto sempre più competitivo, è piuttosto vero il contrario e quindi le vendite ed il marketing devono lavorare a stretto contatto con lo sviluppo prodotto. Infine gli aspetti organizzativi e la gestione delle operations e del servizio al cliente spesso fanno la differenza ai fini del successo di un prodotto/servizio e dell’impresa).
Queste caratteristiche determinano un radicale cambio di prospettiva dell’ingegneria gestionale che prima doveva concentrarsi maggiormente sui temi dell’integrazione delle attività delle diverse funzioni aziendali all’interno dell’impresa mentre, oggi, dopo internet e nella attuale fase della globalizzazione, è costretta a guardare oltre (e talvolta molto oltre) i confini dell’impresa e con una prospettiva ancora più attenta alle intersezioni tra dimensioni economiche e tecnologiche dei fenomeni d’impresa. 
In estrema sintesi possiamo dire che l’ingegnere gestionale impegnato in attività industriali ha come missione fondamentale quella di supportare i vertici aziendali nello studiare, prevedere e realizzare, quelle che potremmo definire, nuove forme di “congiunzione organica tra tecnologia, economia e mercato” alla base di tutte le innovazioni di successo. Essere in sostanza uno dei principali attori dell’innovazione. In Italia questa figura è ancora in fase di sviluppo attraverso un percorso, certamente difficile, che si sviluppa per approssimazioni successive e che vede impegnati allievi, laureati, docenti strutturati e non strutturati in molte delle università del Paese. Comune denominatore del curriculum è la ricerca di uno sviluppo equilibrato delle varie competenze che caratterizzano la catena del valore del prodotto e il percorso della “innovazione intesa come il trasferimento di idee nuove sul mercato con il giusto profitto” (Michellone).
Altro aspetto dominante, questo più legato alla dimensione tecnologica della gestione d’impresa, è lo sviluppo di competenze tese a innalzare costantemente i livelli di produttività dei fattori della produzione. Questo tema è oggi fortemente influenzato dalle applicazioni delle tecnologie informatiche aperte (dopo internet) sia alla gestione delle informazioni interne che a quelle di comunicazione con l’esterno (fornitori e clienti, singoli consumatori della supply-chain). Nel nostro Paese esistono margini per forti recuperi nella produttività grazie ad applicazioni di informatica gestionale (è questa una delle aree di maggior assorbimento dei laureati in ingegneria gestionale).
Gli scenari e le ricadute sulla formazione degli ingegneri gestionali sopra tratteggiati potrebbero essere analizzate nel settore dei servizi ed in particolari di quelli relativi alla pubblica amministrazione e alla sanità. Moltissimo c’è da fare in questo ambito e grande bisogno ne ha il Paese. Alcune incoraggianti sperimentazioni sono state avviate (Master in Ingegneria della Pubblica Amministrazione) in questi anni, anche a Palermo con una interessante interazione con la Prefettura.

Lettura consigliata:
G. Michellone, Economia e Management dell’Innovazione, in Ingegneria, azienda e società – Una riflessione sul ruolo dell’ingegnere a cura di G. Esposito, G. Pastore, M. Raffa, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007, p. 225
K. Keniston, La crisi dell’algoritmo degli ingegneri, Conferenza tenuta il 17 ottobre 1996 al Politecnico di Torino

2. Le relazioni tra scienza e tecnologia

Mentre il dominio delle attività dell’ingegnere è legato alla utilizzazione della conoscenza per fini di utilità pratica, il dominio delle attività dello scienziato si orienta verso la ricerca della verità sui fenomeni della natura. Nella prospettiva di una innovazione che si caratterizza sempre più come science-based è opportuno fare alcune considerazioni sui rapporti tra scienza e tecnologia.
La prima è prevalentemente stimolata dalla curiosità sui fenomeni della natura, la seconda dal desiderio di risolvere problemi pratici e dall’interesse nello sfruttamento commerciale delle opportunità individuate.
Il seguente brano è stato tratto e adattato da David N. Weil, Economic Growth, Pearson, 2005, p. 253.
La scienza è una forma di conoscenza orientata ad individuare le regolarità della natura, rappresenta la nostra comprensione su come funziona il mondo e cioè i processi chimici, fisici o biologici. La tecnologia invece rappresenta la conoscenza orientata alla soluzione di specifici problemi e allo sviluppo delle tecniche di produzione. Che relazioni esistono tra scienza e tecnologia ed è vero che la tecnologia è sempre scienza applicata ?
Per la maggior parte della storia dell’uomo gli avanzamenti nella tecnologia sono stati indipendenti dalla comprensione scientifica delle regole della natura. Le tecnologie di produzione furono scoperte attraverso innumerevoli tentativi, spesso casualmente, piuttosto che attraverso la comprensione del perché una certa procedura conducesse ad un dato risultato. Infatti, se c’era qualche connessione tra scienza e tecnologia questa era dovuta al fatto che gli avanzamenti tecnologici aprivano la strada ad una migliore comprensione dei fenomeni naturali.
Ci sono almeno due importanti modalità per cui avanzamenti nelle conoscenze scientifiche sono ottenuti grazie a miglioramenti tecnologici.
Primo, la tecnologia ha posto molti problemi che gli scienziati sono stati chiamati a risolvere. In uno dei casi più famosi, lo scienziato francese Sadi Carnot scoprì le leggi della termodinamica nel 1824 cercando di capire perché un motore a vapore ad alta pressione era più efficiente di un motore a bassa pressione. Allo stesso modo, il mistero per cui i cibi in scatola non si avariavano spinse Louis Pasteur ad avviare gli studi di microbiologia.
Secondo, i miglioramenti tecnologici hanno consentito di pervenire a scoperte scientifiche mettendo a disposizione degli scienziati strumenti per condurre esperimenti e osservazioni più accurati. Strumenti come il microscopio (inventato nel 1590) o il telescopio (inventato intorno al 1600) schiusero letteralmente un nuovo mondo per le indagini scientifiche. In un esempio recente la decodifica del genoma umano è stato largamente accelerato dalle macchine ad alta velocità per il sequenziamento del DNA.
Durante la prima metà del XIX secolo gli scienziati incominciarono a ripagare il debito della scienza nei confronti della tecnologia. Le tecnologie della rivoluzione industriale (1760 – 1830), tra cui la filatura del cotone e l’energia dal vapore, non dipendevano da scoperte scientifiche ma soprattutto dalle capacità di trovare soluzioni pratiche da parte di persone creative che difficilmente potevano essere considerati scienziati. Ma le tecnologie della seconda rivoluzione industriale (1860 – 1900) tra cui le innovazioni nell’acciaio, nella chimica e nell’elettricità non sarebbero state possibili senza le nuove conoscenze scientifiche.
Si passa quindi da una situazione in cui l’invenzione e la sua diffusione sul mercato stimolano un successivo lavoro scientifico ad una situazione, che oggi si rafforza, in cui nuove conoscenze scientifiche sono alla base delle invenzioni (Colombo e altri, 1988).
Nel XX secolo, questa tendenza verso l’avanzamento tecnologico guidato dalla scienza è continuato ed anzi si è rafforzato. Innovazioni radicali come i semiconduttori, il laser e l’energia nucleare si basano fondamentalmente su nuove conoscenze scientifiche. Infatti il rapporto tra scienza e tecnologia cambia completamente nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale (v. nel seguito V. Bush). Lo sfruttamento della fissione nucleare è dovuto essenzialmente alle ricerche sulla fisica nucleare che gettarono le fondamenta per la dimostrazione pratica delle reazioni di fissione. La stessa tesi può essere sostenuta per lo sviluppo del transistor, nato dopo anni di studio della fisica dello stato solido. Oggi molte nuove tecnologie sarebbero di certo irrealizzabili senza avere a disposizione le conoscenza scientifiche che ne stanno alla base (Colombo e altri, 1988).
Con questo non possiamo dire che la scienza si è tolta ogni debito con la tecnologia. Avanzamenti nella fisica dipendono in maniera significativa da dispositivi ad alta tecnologia come gli acceleratori di particelle. E ancora rimangono molti esempi di avanzamenti tecnologici che non derivano da nuove conoscenze scientifiche. Per esempio, il passaggio che consentì l’invenzione della stampante a getto di inchiostro – che usa fonti di calore miniaturizzate per spruzzare piccole bolle di inchiostro sulla carta – ebbe luogo nel 1977 quando un ricercatore toccò accidentalmente una siringa piena di inchiostro con un saldatore caldo.
Una delle caratteristiche fondamentali della scienza moderna è la sua dipendenza dalla tecnologia (ma è vero anche l’inverso).
Tuttavia in molti ambiti, come i nuovi materiali o le biotecnologie, i confini tra aspetti scientifici e tecnologici diventano sempre meno evidenti dando luogo ad esempi di spirale scientifico-tecnologica tipica dell’attuale ondata di progresso (Colombo e altri, 1988).

Lettura consigliata:
Umberto Colombo ed altri, Scienza e Tecnologia verso il XXI secolo, Edizioni comunità, 1988

Sebbene i confini tra scienza e tecnologia non siano netti, non bisogna però confondere la natura delle due attività: l’una attinge all’altra, ma ognuna segue i propri metodi ed è guidata dalle proprie verità. Se la scienza, in quanto ricerca di una verità riproducibile, è fine a se stessa, la tecnologia è invece il mezzo per un fine utile a soddisfare bisogni o desideri dell’uomo (comunicare, volare, spostarsi, avere energia disponibile, ecc.). La scienza osserva la natura, ne misura i fenomeni, astrae l’informazione essenziale, generalizza le sue scoperte sotto forme di teorie e controlla la verità di una teoria attraverso la validità delle predizioni che essa consente. La tecnologia invece opera con fini utilitaristici, spesso guidata da considerazioni di efficienza e di costi (irrilevanti invece per la scienza) e non può con altrettanta facilità controllare sperimentalmente le sue teorie né modificare i risultati.  Tratto da George Bugliarello, alla voce Tecnologia, p. 386, Enciclopedia del Novecento, vol. VII, Istituto della Enciclopedia Italiana.
Sulla natura delle relazioni tra scienza e tecnologia si consiglia la lettura “In quale misura la scienza è esogena?” Cap.8 del libro di Nathan Rosenberg, Dentro la scatola nera: tecnologia ed economia, il Mulino, 2001. La tesi sostenuta dall’autore è che le questioni tecnologiche plasmano in vari modi l’iniziativa in campo scientifico (p.246, impulso alle ricerche nel campo dell’ottica originato dalle tecnologie laser e della fibra ottica).

3. Il sistema della ricerca ed il sistema industriale

Ad un diverso livello, il rapporto tra scienza e tecnologia ci porta a fare alcune considerazioni sul sistema della ricerca legato alle attività scientifiche e sul sistema industriale prevalentemente legato ai temi della tecnologia.
In una recente dichiarazione, Mario Moretti Polegato, presidente di Geox, ha affermato:
“L'Italia è un Paese di grande cultura, manca però della cultura per usarla.”.
Questa espressione può essere usata per sintetizzare in modo efficace lo stato dei rapporti tra sistema della ricerca e sistema produttivo a livello nazionale.
Mentre altri Paesi, e sicuramente per primi, gli Stati Uniti, hanno puntato sulla qualità delle relazioni tra sistema di generazione e diffusione della conoscenza e sistema produttivo per conseguire posizioni di vantaggio competitivo sui mercati internazionali, l’Europa (strategia di Lisbona – marzo 2000) e il nostro Paese (Piano Nazionale della Ricerca – aprile 2002 / 1° Giornata nazionale sulla Ricerca, Confindustria – ottobre 2002) riscoprono, solo in seguito a una oggettiva perdita di competitività delle loro produzioni,  l’importanza di questo tema per il futuro (per inciso l’art. 9 della Costituzione Italiana recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”).
Non mancano in Europa, in Italia e nella nostra regione le risorse per generare nuova conoscenza. Siamo carenti soprattutto nella capacità di trasformare la conoscenza in innovazioni per sostenere la competitività del sistema industriale. Alla base di questi limiti è la ancora troppo marcata separazione tra sistema di generazione, sistema di utilizzazione della conoscenza, sistema imprenditoriale. Mondi paralleli che, nell’economia della conoscenza, devono intersecarsi per alimentarsi mutuamente.

Il rapporto tra sistema della ricerca e sistema industriale o più in particolare tra formazione, ricerca, innovazione e capacità competitiva dell’impresa è diventato cruciale nell’economia dei nostri giorni. Nei paesi avanzati il 30% della crescita economica è dovuta ai settori ad alta tecnologia, settori in cui cioè il ritardo tra scoperta scientifica e utilizzazione della conoscenza in chiave di mercato è basso. In tali settori l'occupazione cresce a tassi 4 volte superiori a quella nei settori tradizionali (v. anche Innovation Report del governo britannico).
Altro aspetto che conferma l’affermarsi del concetto di economia della conoscenza è il fatto che le regioni più dinamiche del pianeta, quelle che presentano i tassi di sviluppo economico maggiori, si addensano in prossimità dei più importanti centri di generazione della conoscenza in grado di alimentare con continuità i processi di innovazione delle imprese esistenti e la nascita di nuove imprese. La Silicon Valley  (v. il filmato Silicon Mind sul sito www.consorzioarca.it) e la Route 128 sono casi emblematici a livello mondiale per la concentrazione di conoscenze scientifiche di frontiera, per il forte dinamismo imprenditoriale e per la disponibilità di capitali di rischio – i pilastri su cui si fonda oggi l’innovazione su base territoriale.
Questa circostanza è alla base di una rinnovata attenzione alle università e al loro ruolo nell’economia della conoscenza. La UE a partire dalla strategia di Lisbona sostiene il ruolo delle università nello sviluppo dei sistemi regionali, da un lato riconoscendo il ruolo propulsivo delle università nello sviluppo civile, economico e sociale, dall’altro cercando di finalizzare sulle specificità regionali le attività di gestione della conoscenza per una maggiore efficacia degli interventi.

Il rafforzamento della competitività delle imprese passa attraverso la capacità di gestione della conoscenza e infatti i guadagni di produttività e di competitività sono sempre più legati a:
a) l'impiego di tecnologie innovative di prodotto e di processo;
b) le innovazioni organizzative;
c) la disponibilità di capitale umano formato ai più alti livelli.
Le produzioni più standardizzate, quelle a maggior contenuto di lavoro, non possono più reggere in paesi come l’Italia dove i costi del lavoro sono elevati. La leadership di costo non è più perseguibile nei paesi avanzati e occorre puntare sulla leadership nell'innovazione per accrescere il valore intrinseco dei prodotti/servizi, posizionandoli quindi su fasce di prezzo più alte e più remunerative.
L' impresa basata sulla conoscenza è sempre più l’impresa del futuro. La conoscenza è lo strumento per aggiungere valore al prodotto/servizio percepito dal cliente e per conseguire vantaggio competitivo. La conoscenza è lo strumento per ottimizzare, per affinare le decisioni combinando in modo creativo e innovativo tecnologie e conoscenze che si rendono disponibili sul mercato a ritmi crescenti. L’innovazione diventa di tipo combinatorio e richiede una base di conoscenza sempre più ampia e specialistica.
D’altro canto una forte interazione scienza, tecnologia, economia diventa oggi un formidabile acceleratore di sviluppo che consente di raggiungere in tempi più brevi uno stato più avanzato della conoscenza scientifica e progressi tecnologici che servono ai bisogni della società.
La competizione in campo economico è uno stimolo ai processi di  innovazione tecnologica. La tecnologia senza scienza non è in grado di sostenere processi di sviluppo di lungo termine. La tecnologia pone stimoli e nuovi obiettivi alla ricerca scientifica. Nello sviluppo economico dei paesi avanzati diventa dominante il modello di Pasteur citato da Stokes (v. in seguito).

La forte correlazione competitività-conoscenza e più esplicitamente formazione, ricerca, innovazione è ormai ampiamente accertata e accettata tanto che le istituzioni, ai massimi livelli, le imprese attraverso le associazioni più rappresentative non mancano occasione per sottolineare la importanza della relazione tra sistema delle imprese e sistema di generazione della conoscenza ogni qualvolta si delinea il futuro dell'economia italiana e del suo sistema industriale. Nonostante ciò permane nel nostro Paese e ancora di più nel Mezzogiorno e nella nostra regione uno scollamento tra ricerca scientifica e impresa, tra attività di pensiero ed economia, tra sapere e fare.
Italia 21° in Europa – La Repubblica 27 febbraio 2007
Gli analisti del CER (Center for European Reform) scrivono: “ L’Italia deve fare molto di più se vuole evitare un ulteriore declino nella prosperità” e ancora  “Per un Paese con un largo settore manifatturiero la spesa in ricerca e sviluppo è bassa, appena l’1,1% del PIL.” Per la verità su questo punto andrebbero valutati i tassi di intensità di R&D nei settori industriali del Paese (un paese con una forte industria farmaceutica ha un’intensità di R&D molto maggiore di quella di un paese con una forte industria tessile).

Riquadro 4 – Ruolo delle istituzioni e rapporti tra sistema della ricerca e sistema industriale, brano tratto e adattato da Nicola Gullo, Il ruolo del CNR per la promozione dell’innovazione tecnologica, pp. 457 – 503, in G. Corso e A. La Spina, Il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Struttura e funzioni, il Mulino, 1994.
Durante il secolo scorso (XIX), quando ancora non si era manifestata in pieno quella continuità tra ricerca fondamentale, ricerca applicata ed innovazione che contraddistingue lo scenario tecnologico attuale, non si avvertiva la necessità di un controllo politico della scienza per sostenere la crescita economica dei paesi.
L’incorporazione di nuove soluzioni tecnologiche nelle attività produttive si presentava sostanzialmente come un fenomeno endogeno all’apparato industriale e consisteva in una modulazione tecnica delle conoscenze scientifiche realizzata quasi esclusivamente da laboratori privati. Nella concezione liberale “il progresso era l’opera della libera unione o della coincidenza armonica tra scienza e industria.”
La situazione attuale è profondamente mutata e agli stati è chiesto un ruolo attivo nelle politiche della scienza e dell’innovazione. Questo è importante soprattutto a livello locale per lo sviluppo di sistemi locali di innovazione.

Tuttavia, le correlazioni sempre più strette tra produzione del sapere scientifico e avanzamento tecnologico del sistema industriale – a tal punto che l’innovazione relativa a qualsiasi comparto produttivo si presenta sempre più spesso come il risultato della applicazione sistemica delle conoscenze generali della ricerca scientifica, anziché dell’empirismo e della intuizione inventiva – hanno sollecitato una ulteriore e qualificata presenza delle istituzioni pubbliche come soggetto regolatore dei rapporti tra sistema della ricerca e sistema industriale.
Tenuto conto che una considerevole quota parte dell’innovazione scaturisce da ambiti di ricerca extra industriali, specialmente nei settori science-based, le capacità innovative del sistema delle imprese risultano direttamente proporzionali alla efficacia/efficienza dei flussi informativi (diffusione) e delle azioni mirate alla conversione applicativa dei risultati della ricerca (trasferimento).
Non vi è dubbio che di fronte alle crescenti interazioni tra scienza e tecnologia, oramai tutti i paesi industrializzati presentano – pur con alcune rilevanti differenze – un approccio comune ai problemi dell’innovazione nel senso degli strumenti di promozione dello sviluppo tecnologico.
Il tema delle interazioni tra scienza e tecnologia deve far parte delle politiche industriali del Paese (per esempio occorre un legame più stretto tra i ministeri dello sviluppo economico e quello dell’università e della ricerca). Queste relazioni devono essere strutturate e non affidate alla casualità  e alla volontà dei singoli ricercatori o degli imprenditori.
Accanto ai tradizionali interventi di carattere erogatorio, cioè agli incentivi a quelle imprese che svolgono ricerca o che gestiscono processi innovativi, viene incoraggiata sempre più frequentemente l’attivazione di forme di collegamento tra il sistema-ricerca che produce indagini tecnico-scientifiche e le strutture economiche chiamate a realizzare l’innovazione, in modo da innalzare il livello tecnologico delle imprese grazie ad un trasferimento diretto del saper fare tecnico da parte delle istituzioni scientifiche.
Questo aspetto è sempre più importante a livello locale dove sono più contigue le relazioni tra sistema di produzione della conoscenza e sistema produttivo.
Tre sono le soluzioni gestionali a cui è necessario guardare:
a) rapporto di coordinazione, forme di diffusione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche attraverso attività informativa;
b) cooperazione in senso stretto, cioè attività di ricerca svolta dalle istituzioni scientifiche per conto di privati;
c) l’integrazione, attività di ricerca gestita congiuntamente dagli organismi pubblici di ricerca e dagli operatori privati attraverso la creazione di strutture comuni come ad esempio i technology park.
Queste situazioni funzionano se esiste una simultanea motivazione degli attori che entrano in gioco nei processi di trasferimento tecnologico.
Le imprese sono portate a stabilire un collegamento con gli organismi di ricerca quando, non potendo più fare ricorso alle innovazioni di miglioramento - innovazioni di tipo incrementale-  devono puntare sull’implementazione di innovazioni che cambiano radicalmente le basi tecnologiche di certi prodotti e processi di produzione.
A loro volta, le istituzioni di ricerca e le università tendono a intensificare le attività innovative nel momento in cui devono compensare la riduzione delle risorse finanziarie pubbliche destinate alla ricerca.
La via italiana allo sviluppo tecnologico - L’indagine ISTAT CNR del 1988 sulla diffusione dell’innovazione tecnologica rivela che i 4/5 delle innovazioni introdotte nell’industria italiana sono state di tipo imitativo o incrementativo e hanno rappresentato una novità solo dal punto di vista dell’impresa (concetto di innovation to the firm v. manuale di Oslo) e non certamente per il mercato.
Senza dubbio questa debole intensità di R&S non garantisce il mantenimento di adeguati ritmi di crescita economica e fa temere che il nostro modello di sviluppo non riesca ad adattarsi al nuovo contesto economico internazionale in cui la scienza risulta sempre più determinante per i processi innovativi, per la competitività e la crescita economica.

 

Letture consigliate:
P. Greco, S. Termini, Contro il declino, Codice edizioni, 2007

L. Gallino, L’Italia dal Novecento ad oggi: ricerca, tecnologie e sviluppo economico, relazione al convegno “Il futuro della ricerca in Italia, Milano, 30 settembre 2004

Statistiche Inno –metrics su European Innovation Scoreboard 2010

 

4. Invenzione, innovazione e processo imprenditoriale

“An innovation is always the estensive or significant adoption of some new practice in the society or in some community. It is never the invention of something that fails to be adopted.”
Edmund Phelps, Supporting Innovation: Why and How, intervento alla Camera dei Deputati, 2 febbraio 2011

L’invenzione è la creazione di qualcosa di nuovo.
L’innovazione è un’invenzione immessa sul mercato con profitto. Perché questo avvenga è necessario che qualcuno sia disposto a pagare un corrispettivo, l’invenzione deve perciò soddisfare un bisogno o un desiderio di qualcuno (chi saranno i clienti?).
Spesso molte invenzioni rimangono tali senza avere alcuno sbocco sul mercato. Talvolta ciò avviene e, spesso, con notevole ritardo una invenzione si traduce in innovazione. La natura della conoscenza sottostante un’invenzione è diversa da quella sottostante un’innovazione che si sostanzia nella capacità di tradurre idee in beni o servizi vendibili sul mercato con tutto il bagaglio di conoscenze che ciò comporta (progettazione di dettaglio, ingegnerizzazione, prototipazione, test di mercato, produzione, controllo di qualità, promozione, distribuzione, assistenza, rete di fornitura, rete di distribuzione, aspetti economici e finanziari). Dall’insieme di queste attività discende che l’innovazione è un processo complesso che richiede il coinvolgimento, la pianificazione, il coordinamento ed il controllo di molteplici risorse. Diverso è il caso dell’invenzione che talvolta è frutto di intuizione (ovviamente non sempre). In ogni caso il processo innovativo è un processo di conversione di conoscenza, attraverso altre conoscenze, in conoscenza economicamente utile.
Innovazione è trasferimento di idee nuove sul mercato con il giusto profitto (Michellone, 2006). Con questa definizione si intende che l’innovazione comprende l’invenzione, la realizza e la diffonde sul mercato. Inoltre essa ha valore solo in quanto è trasferita ai clienti che la utilizzano: conta l’innovazione_in_uso, quasi una parola sola.
Al cliente va dato un valore superiore al prezzo che paga e il prezzo deve essere superiore ai costi sostenuti V > P > C.

La traduzione di una invenzione in innovazione è il risultato di un processo imprenditoriale in cui risorse materiali e immateriali (conoscenza) vengono combinate dall’imprenditore, soggetto in grado di percepire i segnali deboli delle opportunità sul mercato, di vedere cioè quello che altri non vedono, di valutare il potenziale di successo ed eventualmente di assumersi rischi (sostenere costi certi oggi per ricavi incerti in futuro) per sfruttare l’opportunità per conseguire un giusto profitto. L’imprenditore è un soggetto solitamente distinto dall’inventore, ha diverse abilità e motivazioni. Il valore aggiunto della produzione genera occupazione e contribuisce alla crescita economica.

Lettura in aula:
Commentare le voci in grassetto con la lettura “Il genio che sogna l’elicottero” p. 31 – 37 in A. Galdo, Fabbriche, Einaudi, 2007.

Joseph Schumpeter (1883 – 1950), è l’economista austriaco che ha avviato gli studi dell’economia dell’innovazione indagando sulla natura della relazione tra imprenditorialità ed innovazione nella competizione tra le imprese. Egli evidenzia che chi sviluppa una innovazione di successo viene ricompensato con il controllo di un monopolio temporaneo su ciò che ha introdotto sul mercato. Questo controllo a sua volta è la leva che consente all’imprenditore-innovatore di guadagnare una posizione migliore sul mercato e di conseguire profitti temporanei o rendite economiche attraverso l’attività innovativa intrapresa. Questa posizione si mantiene finché i concorrenti non recuperano il ritardo tecnologico. Ciò innesca, in un mercato fortemente competitivo, processi innovativi di sistema che progressivamente innalzano il livello di soddisfazione dei consumatori trasferendo loro sempre maggior valore.
Gli imprenditori sono stati decisivi per la commercializzazione di importanti innovazioni del XX secolo si pensi all’automobile, all’aeroplano, all’aria condizionata, al personal computer (Bill Gates), agli odierni smart phones (Steve Jobs), alla gestione dell’informazione su internet Google (Sergey Brin e Larry Page). Gli imprenditori ci inducono a cavalcare le onde dell’innovazione in una direzione positiva (v. Understanding entrepreneurship, Kaufmann Foundation, 2005).
Schumpeter ha avuto il merito di considerare il cambiamento tecnologico e l’attività innovativa come una caratteristica endogena della dinamica della competizione tra le imprese e della crescita economica.
Uno dei contributi più noti di Schumpeter è relativo alla introduzione del  “processo di distruzione creativa”.

Il processo di distruzione creativa
La seguente parte è tratta ed adattata da Joseph A. Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy, Routledge, 1992, pp. 81 – 86 (la versione originale dell’opera è del 1942).
Il punto da cogliere è che la natura dell’economia capitalistica è essenzialmente rappresentata da un processo evolutivo. Il capitalismo è per sua natura una forma od un metodo di cambiamento economico che non è ne può essere stazionario. Il suo carattere evolutivo non è dovuto solamente al fatto che la vita economica si svolge in un ambiente sociale e naturale che cambia; il fatto è importante ma questi cambiamenti (guerre, rivoluzioni, ecc.) non sono i fattori primi del cambiamento. Ne il carattere evolutivo è da attribuirsi all’incremento quasi automatico della popolazione e del capitale.
L’impulso fondamentale che regola e tiene in movimento il motore capitalistico deriva da nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione e di trasporto (oggi aggiungeremmo anche di comunicazione), nuovi mercati, nuove forme di organizzazioni industriali che l’impresa capitalistica crea.
Tutta la storia della più recente tecnologia è una storia di profondi mutamenti indotti dall’affermarsi di innovazioni. Le mutazioni industriali, utilizzando un termine biologico, incessantemente rivoluzionano le strutture economiche dall’interno, distruggendo incessantemente le vecchie e creandone incessantemente di nuove. Questo processo di Distruzione Creativa è il fatto essenziale della natura del capitalismo e di cui deve essere conscio ogni capitalista per poterci convivere. Le rivoluzioni non sono continue; si verificano in fasi accelerate che sono separate l’una dalle altre da periodi di relativa quiete. Ma i processi di cambiamento continuano incessantemente in un susseguirsi di rivoluzioni e adattamenti dei risultati della rivoluzione che determinano quelli che vengono chiamati cicli di business. Una buona descrizione delle innovazioni più significative del XX secolo si trova in George Constable e Bob Somerville, A Century of Innovation: Twenty Engineering Achievements that Transformed Our Lives, Joseph Henry Press, 2003.
Per Schumpeter, nell’economia capitalistica è soprattutto importante capire come si creano e si distruggono le strutture economiche sul mercato. Gli economisti solitamente si concentrano sulla competizione sui prezzi ma nella realtà la competizione più importante è quella che deriva da un nuovo prodotto, da una nuova tecnologia, da nuove fonti di approvvigionamento, da nuovi modi di organizzazione. Queste forme di competizione hanno un impatto decisivo sui vantaggi di costo o di qualità; non colpiscono semplicemente i margini di profitto e gli output delle aziende esistenti ma ne scuotono le fondamenta e influenzano le loro prospettive di sopravvivenza  (in molti casi con l’obsolescenza di un prodotto scompare l’azienda). Questo tipo di competizione è molto più feroce di quella tradizionale sui prezzi, è come un bombardamento confrontato con il forzare una porta.
La seguente citazione di Guido Carli, governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1975, è strettamente collegata alle precedenti considerazioni.
“Il profitto è strettamente connesso all’innovazione nella combinazione dei fattori, nelle tecnologie e nei prodotti. In una economia sana, il profitto aziendale su un dato prodotto è destinato a scomparire; la sopravvivenza dell’impresa è strettamente legata alla sua capacità di saper rigenerare, attraverso forme innovative, quel profitto che il mercato, attraverso la concorrenza, tende a far scomparire.“

Riquadro 5 – Genio, miopia, casualità il lungo cammino di un’invenzione. Marco Cattaneo su La Repubblica, 8 febbraio 2008. Oggi l’innovazione è sulla bocca di tutti, come motore dello sviluppo e della crescita economica. Ma l’innovazione è una brutta bestia. Figlia dell’innata curiosità umana e dell’intuizione, oltre che di adeguati investimenti in ricerca, è parente stretta della sorpresa, dell’ostinazione, della pazienza. In altre parole, è difficile dire se una scoperta porterà ad applicazioni utili – e redditizie – o se se ne perderanno le tracce nelle pieghe della storia. L’innovazione può essere guidata, ma fino ad un certo punto, perché nessuno può dire davvero di sapere cosa serve alla gente. Le cronache sono lastricate di previsioni disastrose sul futuro dell’innovazione. A cominciare da Charles Duell, funzionario dell’Ufficio Brevetti americano, che alla fine del XIX secolo pare abbia detto: “Ormai tutto ciò che poteva essere inventato è stato inventato”. Qualche anno prima una nota interna della Western Union motivava il rifiuto di acquisire la licenza per una strana invenzione con poche lapidarie parole: “Questo cosiddetto telefono ha troppi difetti per essere seriamente considerato come mezzo di comunicazione. Oggettivamente, per noi non è di alcun interesse commerciale”.
Il peggio però lo si è sentito con l’avvento del computer. Il primo fu Thomas Watson, fondatore e presidente della IBM, cui viene attribuita l’affermazione (1943): “Penso che nel mondo ci sia un mercato per cinque computer”. Venticinque anni più tardi, un ingegnere dell’azienda, osservando il primo transistor, si chiedeva: ”Ma a che serve?”. Per non essere da meno, nel 1977 il presidente della Digital, Ken Olson, affermava di non vedere alcuna ragione per cui una persona avrebbe dovuto volere un computer in casa. Forse convinse i concorrenti della IBM che non valeva la pena di investire in sistemi operativi e software. E loro cinque anni dopo rifiutarono con sdegno un’offerta di acquisto.”Cento milioni di dollari? Sono veramente troppi per la Microsoft”. Bill Gates si tenne la Microsoft e adesso può offrire 45 miliardi di dollari per Yahoo, ma anche lui ha preso le sue cantonate. Come nel 1981, quando sosteneva che 640K di memoria, sarebbero bastate per tutte le esigenze. Se a volte l’innovazione viaggia più veloce del pensiero – oppure arriva per caso, come la scoperta della penicillina – più spesso passano decenni prima che si raccolgano i frutti di un’idea. …Per esempio nel caso del Laser, l’idea che si potesse costruire uno stretto fascio di luce di un solo colore nacque dal principio fisico dell’emissione stimolata ipotizzata da Einstein nel 1917, ma ci vollero più di 40 anni per arrivare al primo prototipo realizzato nel 1960 da Theodore Maiman. Dai laboratori Hughes, a metà degli anni ’60 il laser sbarca nelle sale operatorie, dove trova le prime applicazioni, e intanto sollecita la fantasia di futurologi e scrittori di fantascienza e suscita timori per il suo possibile uso bellico. E la spada laser diventa nel 1977 l’arma dei cavalieri Jedi di Guerre Stellari. Cinque anni più tardi il laser diventa l’ingrediente principale di un oggetto molto più pacifico, il lettore di compact disc. E da lì in poi prosegue la sua cavalcata vincente nelle nostre case.
E’ passato quasi un secolo dall’intuizione di Einstein e – trascurando le innumerevoli applicazioni del laser nell’industria, nelle telecomunicazioni e nella medicina – non c’è lettore di codici a barre che non funzioni con un laser. Non c’è un mouse senza laser. Non c’è venditore ambulante che non venda puntatori laser. E tanto per sconsigliare altre previsioni sull’innovazione, non ci sono spade laser.
Sul sito www.2spare.com/item_50221.aspx è possibile trovare 87 previsioni errate sul futuro.

 

Il percorso che porta dalla conoscenza alla crescita economica
Scienza + Tecnologia à Nuova Conoscenza à Invenzione à Processo Imprenditoriale à Innovazione à Valore aggiunto à Crescita economica

La sfida che oggi devono affrontare tutti i paesi industrializzati è quella di inventare nuove istituzioni che incoraggino nel settore privato un più alto livello di attività di ricerca applicata e commercialmente rilevante (P. Romer, Economic growth, The Concise Enciclopedia of Economics, 2007).

L’ accelerazione del processo di globalizzazione economica e quella del progresso scientifico sono elementi distintivi dell’economia dei nostri giorni. In virtù del primo fenomeno si assiste ad una crescente pressione competitiva sulle imprese mentre, il secondo, è responsabile di un aumento della importanza dei fattori immateriali, e più in particolare del patrimonio delle conoscenze, impiegati nella produzione di beni e servizi. I due fenomeni modificano sostanzialmente l’approccio ai temi della innovazione sia sotto il profilo della velocità degli interventi che sotto quello delle risorse necessarie per sostenerla in modo duraturo.
In queste nuove condizioni è da tempo andato in crisi il tradizionale approccio all’innovazione che si affidava alla libera congiunzione dei vari anelli che determinano la catena dell’innovazione. Nell’emergente contesto economico è necessario organizzare in maniera efficiente e veloce le nuove filiere della conoscenza e i nuovi processi e le risorse da cui scaturiscono le attività innovative. La crescita economica dei paesi avanzati dipenderà dalla capacità di indirizzare la produzione di conoscenza e di raccogliere il più velocemente possibile i frutti dei nuovi saperi traducendoli in prodotti e servizi innovativi competitivi sui mercati internazionali. In questi paesi la capacità realizzativa di prodotti ad alto valore aggiunto è diventata essenziale per sostenere gli attuali livelli di reddito. Non ci sono infatti altre opzioni per i paesi avanzati per far fronte alla competizione dei paesi che hanno reso competitive le loro produzioni puntando sul basso costo del lavoro pena la perdita degli attuali livelli di benessere.
Gli Stati Uniti hanno maturato una consolidata esperienza nella organizzazione della filiera della conoscenza che li ha condotti a guidare i processi innovativi a livello mondiale ed a sostenere elevati tassi di crescita economica nel lungo periodo. L’Europa, a partire dalla definizione della Strategia di Lisbona, ha realizzato che, pur in presenza di diffuse capacità di ricerca scientifica di alto livello, pur disponendo di capitale umano ad alta qualificazione, soffre nelle attività di traduzione delle conoscenze disponibili in prodotti e servizi innovativi in grado di sostenere la competitività delle sue imprese sui mercati internazionali e quindi la sua crescita economica.
Questa condizione è dovuta al ritardo con cui in Europa è stata avviata una stabile azione di raccordo tra i sistemi di produzione e distribuzione della conoscenza e i sistemi di utilizzazione della conoscenza e cioè tra università, enti di ricerca ed imprese. Al ritardo nella organizzazione nelle filiere della conoscenza europee hanno contribuito anche ad altre cause tra cui qui si vogliono segnalare un deficit di capacità imprenditoriali nei settori a più alta intensità di conoscenza e la mancata disponibilità di capitali di rischio in grado di finanziare le attività imprenditoriali maggiormente innovative. Se il secolo scorso si è concentrato sulla produttività di capitale e lavoro, il secolo che viviamo sarà il secolo della produttività della conoscenza.
Innovazione è capacità di portare sul mercato nuovi prodotti. L’imprenditore è il responsabile. L’imprenditore è responsabile della produttività della conoscenza. C’è necessità di nuovi imprenditori più vicini ai luoghi di produzione della conoscenza e di imprenditori dentro le istituzioni di ricerca.

4.1 Il profitto come incentivo per gli investimenti in R&S
Tratto e adattato da Weil p.209 e 210
Nelle economie più avanzate la maggior parte degli investimenti in R&S sono privati. La velocità del cambiamento tecnologico dipende dalle decisioni di investimento in R&S. Ma perché un’impresa investe in ricerca e sviluppo e su quali basi decide la quantità di denaro da investire?
Un’impresa affronta investimenti in R&S nella speranza di inventare un nuovo prodotto o un modo nuovo o più efficiente di produrre prodotti esistenti. Se l’impresa ha successo nell’attività di ricerca potrà raccogliere i profitti dell’invenzione. Nel caso migliore (dal punto di vista dell’impresa) l’invenzione darà all’impresa un monopolio sulle vendite di quel prodotto e in questo caso le consentirà di percepire profitti al di sopra della norma. L’invenzione può anche consentire all’impresa di produrre un dato prodotto ad un costo più basso. In ogni caso, i profitti aggiuntivi che nascono da questo vantaggio competitivo costituiscono il miglior incentivo perché un’impresa investa in R&S.
Tanto maggiori saranno i profitti associati al fatto di aver inventato qualcosa, tanto più l’impresa vorrà investire nello sforzo inventivo. Questa osservazione suggerisce molte considerazioni su fatti che determinano quanto un’impresa sia disposta ad investire in R&S.

4.1.1 La tutela della proprietà intellettuale
Primo, l’entità di un investimento in R&S dipenderà da quanto vantaggio competitivo un’impresa riceve da una invenzione. Se le imprese concorrenti possono copiare facilmente la nuova tecnologia e usarla nelle proprie produzioni allora l’azienda che ha sostenuto l’investimento in ricerca non riceverà i benefici attesi dalla spesa (da qui la necessità di meccanismi di protezione dell’attività inventiva per non scoraggiarla). Per molte invenzioni, la chiave per mantenere vantaggi competitivi deriva dall’avere un’invenzione che può essere brevettata e pertanto protetta dalle imitazioni. E’ responsabilità delle istituzioni di un paese definire e far funzionare i meccanismi di tutela. Le imprese che operano in paesi che tutelano bene questo diritto sono incentivate ad investire in R&S. Il tema è di antica data. Nel 1474 Venezia emana una legge sui brevetti “..se per il lavoro o per dispositivi realizzati da uomini di grande genialità fossero assicurate delle norme di tutela in modo che altri uomini che vedono queste novità non possano imitarle o appropriarsi dell’onore degli inventori allora un maggior numero di uomini saranno incentivati ad applicare il loro genio…e costruire dispositivi di grande utilità per la nostra comunità.”

Riquadro 6 - Ibm cambia pelle con 4 mila brevetti di Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 15 gennaio 2009 (per coerenza didattica alcune parole del testo originale sono state modificate). Nel 2008 Big Blue ha registrato 4186 brevetti americani, quasi il triplo di quelli depositati da Hewlett-Packard (1424) e oltre il doppio di quelli di Microsoft (2030), diventando la prima azienda nella storia a superare quota 4 mila brevetti in un solo anno, secondo i dati dell’Ufficio marchi e brevetti degli Stati Uniti.
Nella speciale classifica, che Ibm guida da 16 anni (l’anno scorso si era fermata a 3125 brevetti), figura al secondo posto la coreana Samsung (3515 brevetti) ed al terzo la giapponese Cano. Microsoft è 4°, seguita da Intel, Matsushita (Panasonic), Toshiba, Fujitsu, Sony e Hp.
Quello che i numeri non dicono, però, è l’approccio diverso nei confronti del tema della brevettazione da parte delle grandi società tecnologiche. Prendiamo il caso di Hp, che quando era guidata da Carly Fiorina competeva con Ibm per essere il produttore più prolifico di brevetti (nel 2005 era al 3° posto). Ora “puntiamo alla qualità dei brevetti piuttosto che alla quantità”, sostiene Kevin Light, vicepresidente per la proprietà intellettuale della società californiana. Cioè ai  brevetti collegati con i business principali, evitando così i costi di registrazione di quelli riguardanti i processi più specifici. Non solo. Hp sembra quasi preferire tenere segrete certe invenzioni, per conservare un vantaggio competitivo proprietario.

4.1.2 La dimensione del mercato
Secondo, l’impresa sarà influenzata dalla dimensione del mercato in cui potrà vendere il suo prodotto. Più grande sarà il mercato potenziale maggiori saranno i profitti collegati all’invenzione. Pertanto, l’integrazione dell’economia internazionale, consentendo agli inventori di vendere i loro prodotti in più paesi aumenta l’incentivo a condurre attività di R&S. Sotto questo profilo la dimensione del mercato nord americano ha certamente favorito l’avanzamento tecnologico in quel paese.

4.1.3 La durata del vantaggio
Terzo, l’impresa prenderà in considerazione la durata del vantaggio conferitole dall’invenzione. Le imprese concorrenti saranno in grado di fabbricare un prodotto similare? Ci sarà qualcuno in grado di introdurre sul mercato un prodotto migliore entro pochi anni? Se l’invenzione può essere brevettata, quanto dura il brevetto? Quanto più lungo sarà il vantaggio competitivo dovuto a un’invenzione tanto più un’impresa sarà disposta ad investire in R&S.

4.1.4 La  suddivisone del rischio e il venture capital
Quarto, l’impresa valuterà l’incertezza associata con l’investimento. Se un’impresa investe 10 M€ in una nuova fabbrica potrà attendersi un ritorno di una quota dell’investimento alla fine della sua vita utile. Invece se investe la stessa cifra in un progetto di ricerca potrà realizzare un prodotto dominante sul mercato ma potrà anche, in caso di insuccesso, non ottenerne alcun vantaggio. Questa osservazione suggerisce che le aziende che sono capaci di suddividere i rischi degli investimenti in R&S, o ,in genere, le economie dove questi rischi sono suddivisi saranno più portate a sostenere investimenti ad alto rischio. La recente espansione dei fondi di venture capital che indirizzano i loro investimenti in start-up tecnologiche ha incrementato in maniera significativa il flusso degli investimenti in R&S. Questa condizione è particolarmente presente nella Silicon Valley (HP 1940, Microsoft 1980, Google 2000, Facebook). I venture capitalist investono in attività che presentano alti livelli di rischio ma anche grandi ritorni potenziali.

4.1.5 La allocazione del budget di R&S
Sulla base di quanto sopra si possono individuare le variabili che possono guidare un’impresa nella allocazione del budget di R&S a diverse attività o a un portafoglio di idee:
a) la capacità di difendere l’invenzione; b) la dimensione del mercato potenziale; c) la capacità di mantenere un vantaggio competitivo; d) il rischio associato al progetto di ricerca.

 

4.2 L’imprenditorialità

La fiducia nel futuro
Visione del futuro, la speranza - pietra fondante e lievito del sogno americano - v. discorso di Barak Obama dopo il risultato del voto in Iowa, La Repubblica, 5 gennaio 2008 “Tra qualche anno, ripensando a questa notte ricorderete che questo è il momento, questo è il posto, nel quale l’America si è ricordata di che cosa significa sperare. Abbiamo sempre saputo che la speranza non è cieco ottimismo, non significa ignorare l’enormità dei compiti che dovremo affrontare o gli ostacoli che intralceranno il nostro cammino. Non significa sedersi in disparte e sottrarsi a una battaglia. La speranza è quella cosa che dentro di noi insiste, malgrado tutto lasci intuire il contrario, che il futuro ci riserva qualcosa di meglio se avremo il coraggio di tendergli la mano, di lavorare per esso, e di combattere per esso…. La speranza è la culla di questa nazione, la fede che il nostro destino non è scritto per noi ma da noi, da tutti gli uomini e le donne che non sono soddisfatti di come va il mondo, che hanno il coraggio di volerlo cambiare.”

L’imprenditore
Chi vede le opportunità e scopre i bisogni o i desideri della gente.
Chi fa accadere le cose rischiando in virtù di un atteggiamento positivo verso il futuro (si impegna perché si attende che il domani sarà migliore dell’oggi) e, provandoci, riesce a vederle realizzate.
Chi prende rischi affrontando per la sua idea costi certi oggi per ricavi incerti domani.
Chi crea lavoro per altre persone.
Chi crea ricchezza e benessere per se e la società in un gioco a somma positiva.
Il principale attore della crescita economica attraverso processi di accumulazione (investimenti) di ricerca continua di miglioramenti della produttività attraverso gli avanzamenti tecnologici e la continua ricerca di livelli più alti di efficienza (offrire il meglio al consumatore al prezzo più basso –  fare di più con meno)

Letture consigliate:
Reinold Wurth, Entrepreneurship in Germany: Ways toward responsability, Swiridoff Verlag, 2001

Lectio Magistralis Reinold Wurth allo Steri del 27 aprile 2011 al 1° Corso Imprenditorialità e lavoro nell’economia della conoscenza

Costruire Business plan affidabili, Il business road test, (v. Seminario Ing. Paolo Coniglio)

Oggi, in un ambiente economico caratterizzato da rapidi e drastici cambiamenti, è più che mai necessario sviluppare una visione imprenditoriale nell’impegno professionale per potere reagire velocemente alle minacce (innovazioni ostili, nuovi entranti, ecc.) e alle opportunità (nuovi mercati, nuovi partner, ecc.) si manifestano sui mercati internazionali.
Questa attitudine è richiesta sia a chi svolge un lavoro autonomo che dipendente.
Norbert Bensel, già direttore delle risorse umane di Daimler-Chrysler (oggi Daimler-Benz dopo la cessione di Chrysler ad un Fondo americano) ha dichiarato: I collaboratori dell’impresa fanno parte del suo capitale. La loro motivazione,.., la loro capacità di innovazione e il loro scrupolo per i desideri della clientela costituiscono la materia prima dei servizi innovatori. Il loro comportamento, la loro competenza sociale ed emotiva hanno un peso crescente nella valutazione del loro lavoro. Questo non sarà più valutato in numero di ore di presenza, ma sulla base degli obiettivi raggiunti e della quantità dei risultati. Sono degli imprenditori. In André Gorz, L’immateriale, Bollati Boringhieri, 2003, p. 11.
Costruire negli studenti attitudini e visione imprenditoriale va incontro alle esigenze delle imprese.
Nelle giornate della primavera 2007 su Economia e Società organizzate a Milano dal Corriere della Sera un top manager della Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari del mondo, ha dichiarato (si riporta il senso della dichiarazione): quando assumiamo qualcuno, teniamo sotto osservazione il suo lavoro per sei mesi. Se in questo periodo il nuovo assunto ha eseguito correttamente le direttive del suo capo e però non ha avuto un atteggiamento propositivo alla fine del periodo verrà licenziato. Non abbiamo bisogno di esecutori ma di persone con capacità di iniziativa, con capacità di interpretare i segnali provenienti dal mercato e di cogliere le opportunità sul mercato, che apportino nel lavoro il loro contributo attivo, creativo alle attività della impresa.
E ancora in “Innovare fa bene anche al lavoro” sul Il Sole 24 Ore del 26 agosto 2007, Edmund Phelps, premio Nobel per l’economia: “Istituzionalizzare un alto livello di dinamismo così che l’economia sia galvanizzata dalle nuove idee degli imprenditori, serve anche a trasformare il posto di lavoro, sia nelle imprese che sviluppano innovazione, sia nelle imprese che hanno comunque a che fare con le innovazioni. Le sfide che sorgono dallo sforzo di sviluppare una nuova idea e di garantire il suo successo di mercato comunicano anche a chi lavora un elevato livello di stimoli mentali, accrescono la capacità di risolvere i problemi, sviluppano nei lavoratori il senso dell’impegno e della crescita personale. Un individuo che lavori da solo non può tenere facilmente il passo con il continuo flusso di nuove sfide.

4.2.1 Un quadro concettuale sul fenomeno dell’imprenditorialità
Un quadro concettuale sul fenomeno dell’imprenditorialità è ben rappresentato in un citatissimo lavoro del 2000: Scott Shane e Sankaran Venkataraman, The Promise of Entrepreneurship as a Field of Research, The Academy of Management Review, 2000, Vol. 25, No. 1, pp.217-226
La parte seguente è tratta ed adattata da questo lavoro.

Definizione di imprenditorialità
Il lavoro è incentrato sul fatto che il concetto di imprenditorialità riguarda essenzialmente la scoperta, la valutazione e lo sfruttamento di opportunità profittevoli.
L’imprenditorialità, più in particolare è una modalità di connessione tra opportunità profittevoli e soggetto imprenditoriale.
La novità dell’approccio proposto da Shane e Venkataraman consiste nella definizione di imprenditorialità come quell’ambito degli studi che indaga su come, da chi, e con quali effetti, sono scoperte, valutate e sfruttate opportunità di creare futuri prodotti o servizi.

Una breve digressione sulle origini e sul significato del termine
Opportunità – qualità, condizione di ciò che si ritiene opportuno
Opportuno – dal latino opportunus derivato da portus “porto” col prefisso ob, propriamente “che spinge verso il porto” detto del vento
Vocabolario della lingua italiana - Treccani

COME?                                 
DA CHI?                               
CON QUALI EFFETTI?

                                      OPPORTUNITA’ DI
CREARE FUTURI
PRODOTTI O SERVIZI

                                                                                     SCOPERTA
VALUTAZIONE
SFRUTTAMENTO

In conseguenza di questa schematizzazione il campo di studio riguarda le fonti delle opportunità; i processi di scoperta, valutazione e sfruttamento delle opportunità; e gli individui che le scoprono, le valutano, e le sfruttano.

Gli studiosi di organizzazione hanno a cuore tre set  di domande di ricerca sull’imprenditorialità:

1) perché, quando e come si manifestano opportunità di creazione di nuovi prodotti o servizi (certamente la disponibilità di nuova conoscenza amplia gli orizzonti);

2) perché, quando e come alcune persone piuttosto che altre identificano e sfruttano queste opportunità (che caratteristiche hanno queste persone?);

3) perché, quando e come diversi modi di agire sono utilizzati per sfruttare le opportunità imprenditoriali.

Le risposte a queste domande sono diverse.
una riguarda gli attributi delle persone e per esempio alcuni rispondono che gli imprenditori sono quelle persone che preferiscono condizioni di incertezza; a questa risposta però alcuni obiettano che poiché gli imprenditori sono una larga fascia della popolazione il fenomeno dell’imprenditorialità non può essere spiegato solo attraverso gli attributi delle persone ma anche sulla base delle situazioni in cui si trovano ad operare. (Le caratteristiche dell’ecosistema dell’innovazione)

Perché studiare il fenomeno dell’imprenditorialità?
Esistono almeno tre ragioni per lo studio di questo argomento:
1) la conoscenza tecnica è sostanzialmente incorporata nei prodotti e nei servizi e l’imprenditorialità è un meccanismo per mezzo del quale la società converte informazioni tecniche in prodotti e servizi. (sempre più oggi la conoscenza tecnica è collegata a conoscenze scientifiche e quindi attraverso le attività imprenditoriali le nuove conoscenze scientifiche sono trasferite nella società. Quelle società caratterizzate da un alto dinamismo imprenditoriale sono le prime  a cogliere i frutti della disponibilità di nuove conoscenze scientifiche – è emblematico il caso della Silicon Valley);
2) l’imprenditorialità è un meccanismo attraverso il quale nell’economia vengono scoperte e attenuate inefficienze temporali e spaziali (si pensi alle origini del commercio internazionale e ai fenomeni di delocalizzazione produttiva).
3) l’innovazione nei prodotti e nei processi guidata dall’imprenditorialità è il motore principale dei processi di cambiamento.

L’esistenza, la scoperta e lo sfruttamento delle opportunità imprenditoriali
a. L’esistenza di opportunità imprenditoriali
Non si può parlare di imprenditorialità senza opportunità imprenditoriali. Proviamo a dare una definizione. Le opportunità imprenditoriali sono quelle situazioni in cui nuovi prodotti, servizi, materie prime, metodi  organizzativi possono essere vendute (c’è quindi qualcuno disposto a pagare un prezzo in funzione dei benefici che ne ricava) ad un valore maggiore del loro costo di produzione.
Se il processo di riconoscimento delle opportunità imprenditoriali è un processo soggettivo (spesso si dice che l’imprenditore è colui che riesce a vedere più lontano di altri o a vedere quelle opportunità che altri non vedono (capacità) forse perché cerca più intensamente di altri (impegno)),
le opportunità imprenditoriali sono fenomeni oggettivi che non sono noti a tutti contemporaneamente (caso del ricercatore che per primo intuisce le opportunità di sfruttamento commerciale di un suo trovato). Per esempio la scoperta del telefono ha creato nuove opportunità di comunicazione indipendentemente dal fatto che le persone abbiano scoperto queste opportunità (infatti inizialmente sembrava un gioco, come i personal computer, come le e-mail, come i telefonini lo sono stati per molte persone).
Le opportunità imprenditoriali differiscono da un più ampio insieme di opportunità perché sono generatrici di profitti potenziali.
Possono essere individuate tre differenti categorie di opportunità (Drucker, 1985):
1) opportunità derivanti dalla creazione di nuove informazioni come accade con la messa a punto di nuove tecnologie sulla base di nuovi o nuove combinazioni di principi scientifici;
2) opportunità legate allo sfruttamento di inefficienze di mercato derivanti dalla asimmetria delle informazioni come accade attraverso lo spazio ed il tempo (commercio internazionale);
3) opportunità legate alla reazione a cambiamenti nei costi relativi e nei benefici nell’uso di risorse in seguito a cambiamenti di natura politica, legislativa o demografica (settore dell’energia).

Gli individui della società hanno attese variabili sul valore relativo delle risorse. Una scoperta imprenditoriale si verifica quando qualcuno si accorge che un set di risorse non è utilizzato al meglio (per esempio le risorse sono vendute a prezzi troppo bassi e se invece fossero vendute in un altro posto o momento (spazio e tempo) o in un’altra forma potrebbero spuntare prezzi maggiori (ancora una volta commercio internazionale, commercializzazione di prodotti agricoli, ecc.). Se la opportunità è colta ed è corretta l’individuo realizzerà un profitto. Se l’opportunità è perseguita ed è errata l’individuo subirà una perdita.
Un processo imprenditoriale implica la combinazione di risorse per creare un nuovo prodotto o un servizio. L’imprenditore deve ottenere il controllo delle risorse in modo da combinarle in modo profittevole. Se le informazioni dell’imprenditore fossero note ai detentori delle risorse questi non se ne priverebbero ai prezzi che sono giudicati profittevoli dall’imprenditore ma chiederebbero prezzi più alti per appropriarsi del profitto dell’imprenditore. Pertanto per attivare processi imprenditoriali chi detiene le risorse non possiede le stesse informazioni dell’imprenditore. Inoltre se tutti i potenziali imprenditori avessero le stesse informazioni essi competerebbero per ottenere il profitto che però si ridurrebbe progressivamente fino a rendere non incentivante lo sforzo di cogliere l’opportunità.
Nel caso di nuove tecnologie, chi le sviluppa, possiede, in anticipo rispetto agli altri, alcune informazioni che possono determinare un importante vantaggio competitivo che può essere difeso attraverso gli strumenti di tutela della proprietà industriale. In sostanza le vere opportunità imprenditoriali sono il risultato dell’esistenza di asimmetrie informative tra gli individui. Coinvolgere il mondo della ricerca, le comunità scientifiche sui temi della imprenditorialità innovativa ha enormi potenzialità per un Paese perché l’imprenditorialità dalla ricerca è un formidabile convertitore di conoscenza in risultati economici ed in genere benessere e progresso della società.

b. La scoperta delle opportunità imprenditoriali
Sebbene possano e sicuramente esistono molte opportunità imprenditoriali nel senso sopra definito, un individuo può conseguirne i profitti associati se ne riconosce l’esistenza ed il valore del profitto.
In un dato momento solo un sottoinsieme della popolazione imprenditoriale potrà scoprire una data opportunità in funzione delle asimmetrie informative esistenti.
Perché alcune persone e non altre scoprono una particolare opportunità imprenditoriale?
Ci sono due fattori che influenzano la probabilità che una particolare persona possa individuare le opportunità:
1) il possesso delle informazioni necessarie ad identificare l’opportunità;
2) la conoscenza necessaria per valutarne i profitti possibili.
Sia il primo che il secondo non sono distribuiti in modo uniforme nella popolazione. Lo sviluppo di internet può dare un esempio concreto. Soltanto un sottoinsieme della popolazione ha avuto un’idea imprenditoriale in risposta allo sviluppo di questa tecnologia e il sottoinsieme si è progressivamente ampliato con lo sviluppo e la diffusione della tecnologia. Ancora oggi esistono persone che non sanno cosa è internet (si ricorda che il lavoro da cui è tratto il brano è del 2000) e che possano esistere opportunità imprenditoriali legate allo sfruttamento di questa tecnologia.
Inoltre anche se una persona possiede le informazioni per scoprire una opportunità non è detto che sia in grado di valutarla o di sfruttarla. La storia della tecnologia è piena di inventori che non hanno riconosciuto le opportunità commerciali associate alle loro invenzioni (telegrafo, laser; ecc.) o perché non ne hanno previsto i possibili sbocchi commerciali o perché non avevano le possibilità o le capacità di sfruttarle.
Le persone hanno abilità diverse nel combinare nuovi concetti con nuove idee. Gli imprenditori di successo sono coloro che riconoscono opportunità dove altre persone vedono rischi e sono più determinati di altri nel raggiungere i propri obiettivi impegnando tempo e risorse senza farsi scoraggiare dalla possibilità di incorrere in situazioni negative.
Un giusto e delicato equilibrio tra sentimenti di coraggio e di paura regolano le attività imprenditoriali (una giusta dose di paura previene errori).

c. La decisione di sfruttare le opportunità imprenditoriali
La scoperta di opportunità imprenditoriali è una condizione necessaria ma non sufficiente per portare avanti un progetto imprenditoriale. In seguito alla scoperta, un imprenditore potenziale deve decidere se sfruttare l’opportunità. Certamente molte opportunità che esistono non vengono sfruttate per difetto di imprenditorialità. Perché, quando e come alcune persone e non altre sfruttano le opportunità che scoprono? La risposta è ancora una volta nelle caratteristiche congiunte delle opportunità e della natura degli individui.
La natura delle opportunità
La natura delle opportunità ed in particolare il suo profitto atteso deve essere sufficientemente alto da un lato per compensare i costi di opportunità delle altre alternative (valutazione dell’uso del tempo libero, possibili investimenti alternativi, privarsi di liquidità monetarie) e dall’altro per attendersi un premio che compensi l’accettazione di rischi. Tutte le attività imprenditoriali sono infatti caratterizzate da rischi derivanti dal fatto che vengono inizialmente sostenuti costi certi in previsione di ricavi futuri incerti.
Numerose ricerche hanno dimostrato che gli imprenditori tendono a sfruttare le opportunità che hanno elevati valori dei profitti attesi (quando cioè sono ampie le dimensioni del mercato e i margini di profitto). Spesso le opportunità si manifestano in modo attraente nella parte iniziale dei nuovi cicli tecnologici. Ci possono essere interessanti opportunità quando la concorrenza non è ne troppo alta ne troppo bassa (il fatto che esista un adeguato livello di concorrenza identifica un mercato interessante da presidiare).
Le differenze tra gli individui
Non tutti i potenziali imprenditori decideranno di sfruttare opportunità con gli stessi valori attesi. La decisione di sfruttare un’opportunità implica un confronto tra:
a) il valore dell’opportunità;
b) i costi necessari per generare tale valore;
c) i costi per generare valore in altro modo.
In funzione di questo confronto si decide se perseguire l’opportunità o utilizzare le eventuali risorse di cui si dispone in altro modo.


Questo nel caso dell’imprenditore razionale cosa che, per fortuna, non sempre accade. Vale la pena di leggere un famoso brano del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi:”…migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.
Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investano tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.”

Alcune ricerche hanno dimostrato che lo sfruttamento di opportunità è più comune tra gli individui che hanno buone disponibilità finanziarie o tra gli individui che hanno più stretti legami sociali con i fornitori delle risorse da impiegare.
Altre ricerche hanno dimostrato che gli individui che hanno acquisito conoscenze specifiche in precedenti attività lavorative sono più propense di altre nello sfruttare opportunità imprenditoriale (questo fatto spiega perché in territori più dinamici sotto il profilo imprenditoriale c’è una maggiore propensione verso attività imprenditoriali).
La decisione di sfruttare opportunità imprenditoriali è anche influenzata dall’ottimismo delle persone che spesso le porta a minimizzare i rischi e ad agire prima ed analizzare dopo. Supporti come gli incubatori di impresa possono essere utili strumenti per minimizzare i rischi d’impresa e per incoraggiare lo sfruttamento di opportunità imprenditoriali soprattutto tra i giovani ed i ricercatori.
Non necessariamente l’aumento della probabilità di sfruttamento di opportunità imprenditoriali incrementa le possibilità di successo. Un eccesso di ottimismo è associato ad una più alta probabilità sia di sfruttamento di opportunità che di fallimento. D’altro canto un eccesso di pessimismo è da freno allo sfruttamento di opportunità imprenditoriali.
Modi di sfruttamento
Due sono i principali modi di sfruttamento delle opportunità imprenditoriali:
a) la creazione di nuove imprese;
b) la vendita delle opportunità ad imprese esistenti.
Molte start-up tecnologiche legate principalmente ad opportunità collegate alla conoscenza scientifica e tecnologica dei promotori seguono questa seconda strada per esempio per beneficiare delle relazioni commerciali di organizzazioni più grandi, delle loro capacità finanziarie e gestionali (quelli che vengono chiamati assets complementari).

5. Un inquadramento storico delle relazioni tra scienza e tecnologia (sapere e fare)
I rapporti tra sapere e fare, tra teoria e pratica e, in qualche modo tra scienza e tecnologia, hanno attraversato la storia recente dell’umanità. Alcuni spunti importanti per una prospettiva storica di come questi rapporti si sono evoluti si trovano in alcuni dei passi di seguito riportati e tratti ed adattati dal libro di Alexandre Koyré, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Einaudi, 2000.

Il blocco mentale della scienza greca  (p. 37)
Un punto di partenza è quello che viene definito il blocco mentale della scienza greca.
“L’interazione fra la teoria e la pratica, la penetrazione della seconda da parte della prima, e viceversa, l’elaborazione teorica della soluzione di problemi pratici…. Gli sembrano essere un fenomeno essenzialmente moderno”.
L’antichità ed il Medioevo non ce ne offrono esempi: dobbiamo riconoscere che “le tecniche antiche sono tutt’altra cosa che scienza applicata. Per quanto ci si possa apparire sorprendente, si possono edificare templi, palazzi, ed anche cattedrali, scavare canali e costruire ponti, sviluppare la metallurgia e la ceramica, senza possedere alcun sapere scientifico, o non possedendone che i rudimenti. La scienza non è necessaria alla vita di una società, allo sviluppo di una cultura, all’edificazione di uno stato o anche d’un impero. Vi furono imperi, fra i più grandi, civiltà, fra le più belle, (pensiamo alla Persia o alla Cina) che ne hanno interamente, fatto a meno; come ve ne furono altri, (pensiamo a Roma) che, avendone ricevuto il retaggio, non vi hanno  aggiunto nulla o quasi nulla. Non dobbiamo dunque sopravvalutare il posto della scienza come fattore storico: nel passato, anche quando essa esistette effettivamente come in Grecia o nel mondo occidentale premoderno, il suo posto fu minimo”.
Gli esempi usati in questa discussione metodologica ci riconducono al dibattito aperto da Schul con la sua tesi “del blocco mentale” subito dalla scienza greca nel suo sviluppo e ci chiariscono in modo eccellente i principi sui quali Koyré costruì la sua interpretazione della questione.

L’esistenza della schiavitù ed il disprezzo verso le attività pratiche (pp. 64-66)
“…. Inoltre l’esistenza della schiavitù non creava soltanto condizioni tali per cui la costruzione di macchine che risparmiassero la manodopera appariva poco desiderabile dal punto di vista puramente economico; essa comportava una particolare gerarchia dei valori che portava al disprezzo del lavoro manuale”. Questo disprezzo, tratto comune delle civiltà aristocratiche era talmente diffuso presso i greci che il termine “…artigiano, diviene sinonimo di spregevole e si applica a tutte le tecniche: tutto ciò che è proprio dell’artigiano o del manovale, porta vergogna e deforma l’anima oltre che il corpo”: il corpo perché l’esercizio di un mestiere determinato ostacola ed impedisce il suo sviluppo armonioso; l’anima, perché l’industria ha per fine di “soddisfare ciò che c’è d’inferiore nell’uomo, il desiderio della ricchezza..” “Così il disprezzo che si ha per l’artigiano si estende al commerciante: in rapporto alla vita liberale occupata da ozi studiosi il negozio, gli affari non hanno spesso che un valore negativo; la vita contemplativa, dice Aristotele, è superiore alle forme più alte dell’attività pratica. La contemplazione, scriverà Plotino, è il fine supremo dell’azione; l’attività non ha che l’ombra, l’indebolimento, l’accompagnamento”.
“Anche l’ingegnere e lo stesso sperimentatore non sono più considerati dell’artigiano; la teoria si oppone alla pratica ed invano, al principio del suo trattato di architettura, Vitruvio proclama la necessità di unirli. Il grande merito di Pitagora, per Eudemo, è di aver fatto delle matematiche una disciplina liberale studiandole dal punto di vista dal punto di vista immateriale e razionale. E Plutarco ci ha raccontato come Platone si adirò contro Archita e Eudosso che avevano intrapreso la soluzione di certi problemi geometrici , come quello della duplicazione del cubo, con l’aiuto di apparecchi meccanici: “Poiché Platone si era corrucciato con loro dichiarando che essi corrompevano e guastavano la dignità e ciò che v’era d’eccellente nella geometria, col farla discendere dalle cose intellettive e incorporee alle cose sensibili e materiali, e col farle usare materia in cui bisogna impiegare troppo vilmente e troppo bassamente l’opera della mano: da quel tempo, io dico, la meccanica o l’arte degli ingegneri venne separata dalla geometria ed essendo lungamente tenuta in disprezzo dai filosofi, divenne una delle arti militari”.
Ahimè, pur diventando militare l’ingegnere non ha potuto lavarsi dall’obbrobrio della meccanica. Proprio come il suo collega civile, di cui riconosceva l’utilità, disprezzandone però la professione, egli in fondo non era che un manovale.

Giordano Bruno – un’apertura alla modernità (p. 132)
In un passo dello Spaccio della bestia trionfante Giordano Bruno scrive: ”Gli dei aveano donato a l’uomo l’intelletto et le mani, e l’avean fatto simile a loro, donandogli facoltà sopra gli altri animali acciò, formando o possendo formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l’impegno venesse a serbarsi dio de la terra…. Et per questo ha determinato la provvidenza che venga occupato ne l’azione per le mani e contemplazione per l’intelletto, de maniera che non contemple senza azione, e non opre senza contemplazione”.. “Onde sempre più e più per le sollecite ed urgenti occupazioni allontanandosi, dall’esser bestiale, più altamente s’approssimano a l’esser divino”. Questa concezione, ispirata a una tradizione antica, è già la concezione moderna.

Inizia il cambio di atteggiamento (pp. 68-69)
Ma le città nascono e crescono; il commercio e, dopo di esso l’industria si sviluppano; le corporazioni si organizzano; le cattedrali vengono edificate; le tecniche si perfezionano; la bardatura attraverso la spalla, che permette di utilizzare appieno la forza motrice del cavallo, fa la sua comparsa, come anche il timone che trasforma le condizioni della navigazione (nel secolo XIII) e che due secoli dopo renderà possibile la scoperta dell’America e i due grandi viaggi di esplorazione che all’improvviso allargano il pianeta, danno alle energie degli uomini uno slancio folgorante e riversano sull’Europa le ricchezze del Nuovo Mondo. Un po’ prima “le rivolte e le guerre, alle quali vengono ad aggiungersi carestie ed epidemie, provocano delle crisi, riducono la manodopera: così si spiega che i secoli XIV e XV siano ricorsi in più larga misura, alle macchine, alla forza del vento e soprattutto a quella dell’acqua”, che ormai non serve soltanto a triturare il grano, ma anche a gualcare i drappi, a fabbricare la carta, a mettere in moto i martinetti delle fucine, e così via.
Infine “ la scienza comincia a penetrare a poco a poco nell’interno di tutte queste pratiche puramente empiriche”. O per lo meno gli esperti pretendono, con più o meno ragione, che la loro arte sia governata dalla scienza. Così Bernard Palissy afferma che, per governare bene il fuoco, occorre “una filosofia” ed una “geometria singolare”. Così, Leonardo da Vinci, ingegnere militare come i grandi ingegneri dell’antichità, proclama il valore dell’esperienza ed insegna che “la scienza della meccanica è la più nobile e la più utile di tutte… La meccanica è il paradiso delle scienze matematiche”. Schul, inoltre, invoca “il ritorno ad Archimede”, l’invenzione dell’artiglieria “la quale, mentre rovina la feudalità a vantaggio del potere centrale sta trasformando la fisica” poiché pone ai sapienti il problema della balistica, dal quale sorgerà la nuova scienza del movimento di Galileo Galilei.

L’inizio della rivoluzione scientifica e il Collège Royal (p. 51)
Purtroppo per spargere sul mondo i loro vantaggi, Demetra e le ninfe hanno atteso una dozzina di secoli e solo nel XVI e nel XVII l’utilizzazione della macchina e in particolare l’utilizzazione della forza idraulica cominciarono a diffondersi e ad esercitare una funzione di una certa importanza. Di importanza sufficiente, comunque, perché Cartesio, constatando “quanti diversi automi o macchine mobili può fare l’industria dell’uomo”, contemplando “le grotte e le fontane che sono nei giardini dei nostri re”, “gli orologi, le fontane artificiali, i mulini ed altre simili macchine”, concepisca … l’idea di una scienza (o anche di una filosofia) attiva, operativa, di una filosofia “pratica attraverso la quale, conoscendo il forno e le azioni del fuoco, dell’acqua, dell’aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente come conosciamo i diversi mestieri dei nostri artigiani”, potremo “renderci come padroni e possessori della natura”, della natura esteriore attraverso la “meccanica” e della natura del nostro corpo attraverso la medicina.
Si comprende bene che, animato da questo sogno grandioso di una scienza che sarebbe al tempo stesso saggezza e potenza, Cartesio abbia creduto di non potere nascondere al mondo “senza peccare gravemente contro la legge che ci obbliga a procurare, per quanto dipende da noi, il bene generale di tutti gli uomini”, e che non soltanto si sia deciso a sollecitare il pubblico appoggio per le esperienze che stava facendo, ma abbia pensato anche di “creare una scuola di arti e mestieri” e consigliato di “far costruire nel Collège Royal e negli altri luoghi dedicati al pubblico diverse grandi sale per gli artigiani, a destinare ogni sala a un corpo di mestieri, a fornire ogni sala di un laboratorio pieno di tutti gli strumenti meccanici necessari o utili alle arti che vi si possono insegnare, a stanziare fondi sufficienti non solo per le spese imposte dalle esperienze, ma anche per mantenere i maestri o i professori, il cui numero dovrà essere uguale a quello delle arti che vi saranno insegnate. I professori dovranno essere abili in matematica e in fisica, al fine di rendere loro ragione di ogni cosa, e dare loro luce per fare nuove scoperte nelle arti.

Il ruolo del concetto di misura per passare dal mondo del pressappoco a quello della precisione  (pp. 90-91)
In effetti, fare della fisica nel nostro senso del termine – non nel senso che Aristotele dava a questo vocabolo- vuol dire applicare al reale le nozioni rigide, esatte e precise della matematica e , in primo luogo, della geometria. Impresa paradossale, se mai ve ne furono, poiché la realtà, quella della vita quotidiana in mezzo alla quale viviamo e stiamo, non è matematica. E neppure matematizzabile. Essa è il dominio del movente dell’impreciso, del “più o meno”, del “pressappoco”. Ora, nella pratica, importa pochissimo sapere se – come ci dice Platone, quando fa della matematica la scienza per eccellenza – gli oggetti della geometria possiedono una realtà più alta di quella degli oggetti del mondo sensibile; o se – come ci insegna Aristotele, per il quale le matematiche non sono che una scienza secondaria e “astratta” – essi non hanno che un essere “astratto” d’oggetti del pensiero: nei due casi, fra la matematica e la realtà fisica c’è un abisso. Ne risulta che volere applicare la matematica allo studio della natura è commettere un errore e un controsenso. Nella natura non ci sono cerchi, ellissi, linee rette. E’ ridicolo voler misurare con esattezza le dimensioni di un essere naturale: il cavallo è senza dubbio più grande del cane e più piccolo dell’elefante, ma né il cane né il cavallo, né l’elefante hanno dimensioni strettamente e rigidamente determinate: c’è dunque un margine di imprecisione, di “giuoco”, di “più o meno”, di “pressappoco”.
Queste sono idee (o atteggiamenti) cui il pensiero greco è restato ostinatamente fedele, quali che fossero le filosofie dalle quali le deduceva; esso non ha mai voluto ammettere che l’esattezza possa essere di questo mondo, che la materia di questo mondo, del mondo nostro proprio, del mondo sublunare possa incarnare gli esseri matematici (a meno che non vi sia forzato dall’arte). Il pensiero greco ammetteva in compenso che nei cieli fosse del tutto diverso, che i movimenti assolutamente e perfettamente regolari delle sfere e degli astri fossero conformi alle leggi della geometria più rigorosa e più rigida. Ma appunto, i cieli sono altra cosa dalla terra. E per questo l’astronomia matematica è possibile, ma la fisica matematica non lo è. Così la scienza greca ha soltanto costituito una cinematica celeste, ma ha anche osservato e misurato il cielo con una pazienza e un’esattezza sorprendenti, servendosi di calcoli e di strumenti di misura che essa ha ereditato o inventato. In compenso essa non ha mai tentato di matematizzare il movimento terrestre e – con una sola eccezione – di impiegare sulla terra una strumento di misura, ed anche di misurare esattamente una cosa qualunque al di fuori delle distanze. Or è attraverso lo strumento di misura che l’idea dell’esattezza prende possesso di questo mondo e che il mondo della precisione arriva a sostituirsi al mondo del “pressappoco”.

 

Nell’arte militare la velocità di spostamento degli eserciti è rimasta invariata da Alessandro Magno a Napoleone – Sviluppo lento delle tecnologie a causa della contrapposizione tra sapere e fare.

 

Il superamento della contrapposizione tra sapere e fare avviene quando l’uomo fa un passo indietro e sostituisce al principio di autorità (v. lezione del Prof. Pagliaro inaugurazione anno accademico) il riscontro dell’esperimento, il principio della verità.

p. 11 p. 14 e 15 da Feldman, The Economics of ……

5.1 La scienza come motore dell’innovazione e della prosperità di una nazione
Sir Francis Bacon nel Novum Organum scriveva: “La scienza deve essere lucifera e fruttifera”.
Deve cioè illuminare il mondo per disvelare i segreti della natura e rendere disponibili i risultati della ricerca scientifica per accrescere il benessere dell’umanità.
Mai come oggi è vera questa affermazione. Recentemente Bill Gates ha affermato: “C’è un movimento costante per accrescere e valorizzare le tecnologie nell’economia”.

Vannevar Bush, Science: the Endless Frontier - 1945

Il tema dei rapporti tra ricerca di base e ricerca applicata e cioè tra avanzamento della conoscenza, indipendentemente dalle applicazioni pratiche, e invece utilizzazione della conoscenza per la messa a punto e il  successivo sfruttamento commerciale di nuovi prodotti e servizi e, alla fine per il progresso della società, è stato affrontato in modo sistematico nel secondo dopoguerra da Vannevar Bush nel suo rapporto Science: the Endless Frontier.
Il rapporto fu commissionato a Bush dal Presidente Franklin Delano Roosvelt. Bush era stato nominato, nel 1941, direttore dell’ Office of Scientific Defence Research and Development. La struttura era stata istituita nella convinzione che, mettendo in rete le eccellenze scientifiche e tecnologiche presenti nel Paese (Università, centri di ricerca, industrie), fosse possibile sfruttare i punti di forza del Paese per mettere fine al conflitto mondiale. Il laboratorio di Los Alamos nel New Mexico fu istituito e tutti noi sappiamo quale fu il risultato finale.
Il 17 novembre 1944  in prossimità della fine del conflitto Roosvelt scriveva a Bush: … “non c’è nessuna ragione perché le lezioni apprese nell’esperimento (OSDR) non possano essere utilizzate in tempo di pace”. E ancora:… “l’esperienza deve essere utilizzata in tempi di pace per migliorare lo stato del Paese, per la creazione di nuove imprese portatrici di nuovi posti di lavoro e per il miglioramento degli standard di vita”.
Il 25 luglio 1945 Bush invia il suo rapporto al Presidente Truman (Roosvelt era morto il 12 aprile 1945). Rileggendo il documento, estremamente attuale ancora oggi, Bush afferma:
1) il progresso dipende dal flusso di nuova conoscenza scientifica;
2) la ricerca di base (definizione attribuita a Bush) (cioè quella condotta senza pensare a specifiche applicazioni) conduce a nuova conoscenza. Mette a disposizione capitale scientifico. Nuovi prodotti e nuovi processi non appaiono in modo definito. Essi sono basati su nuovi principi e nuovi concetti che a loro volta sono sviluppati con fatica nel campo della scienza pura;
3) La responsabilità per la creazione di nuova conoscenza scientifica è affidata a uomini e donne che comprendono le leggi fondamentali della natura e che conoscono il metodo della ricerca scientifica;
4) Una nazione che dipende da altre per la conoscenza scientifica di base sarà lenta nel progresso industriale e scarsamente competitiva nel commercio mondiale;
5) Il Governo dovrebbe assumersi nuove responsabilità nella promozione della conoscenza scientifica  e nello sviluppo di talenti tra i nostri giovani;
6) Se le università e gli istituti di ricerca devono andare incontro alla crescente domanda di conoscenza scientifica da parte dell’industria e del Governo la loro attività di ricerca di base deve essere rafforzata attraverso fondi pubblici;
7) Per sostenere queste attività propongo la istituzione di una nuova agenzia (quella che sarà la National Science Foundation istituita 5 anni dopo nel 1950 anche a seguito dell’intervento Science and Public Policy di Steelman, Direttore del Consiglio per la ricerca scientifica del Presidente degli Stati Uniti).

5.1.1 Il modello lineare  dell’innovazione
Le riflessioni di Bush sono alla base del cosiddetto modello lineare dell’innovazione:

Basic Research à Applied Research à Development à Enhanced Production à Economic Growth

Un modello di cambiamento tecnologico a stadi, di tipo sequenziale o lineare, è quello tratto e adattato da Gerard Rosegger, The Economics of Production and Innovation, 3rd Ed., 1996, Butterworth Heinemann, pp. 11-12

 

Fase 1

Fase 2

Fase 3

Fase 4

Fase 5

Attività

Ricerca di base

Ricerca applicata

Sviluppo

Investimento e apprendimento

Adattamento e investimento

Output

Scoperte

Invenzioni

Informazioni tecniche ed economiche

Innovazioni

Diffusione

Esplicitati in

Conoscenza scientifica

Idee tecniche
(brevetti)

Prototipi e conoscenze economiche preliminari

Impianti e macchinari, processi, prodotti

Standard tecnici, produttività, prestazioni economiche, effetti nella società

Naturalmente si tratta di schemi semplificati dei processi di trasformazione della realtà in cui i confini tra gli stadi non sono chiaramente definiti. Le attività producono degli output che a loro volta influenzano lo stock totale di conoscenza ai vari stadi. Così, la ricerca di base conduce a scoperte che incrementano la conoscenza scientifica disponibile. La ricerca applicata genera invenzioni che si aggiungono alle idee di natura tecnica disponibili, ma ancora non testate. Poi alcune di queste idee, eventualmente protette (brevetti), sono selezionate per le attività di sviluppo e se queste incontrano i favori del mercato, alla fine conducono a innovazioni. Appena le innovazioni si diffondono si producono effetti economici nella società.
Quello che manca in questo modello sono i molteplici e complessi effetti di feedback di ogni stadio sui precedenti che alterano la natura sequenziale del modello. Nella realtà l’azione finale non è il risultato di una semplice un’azione di push di conoscenza da monte verso valle, ma di azioni combinate di push and pull. Per esempio le performance di una innovazione possono stimolare ulteriori invenzioni che mirano a migliorare la tecnologia (guardiamo a quello che in questi anni sta succedendo con l’auto elettrica, batterie, sistemi diffusi di plug-in, economie di scala per abbattere i costi, ecc.). Oppure l’enorme successo di una innovazione, l’accoglienza favorevole da parte del mercato, può orientare ulteriori investimenti per migliorare le prestazioni riducendo allo stesso tempo i costi ed ampliando gli effetti della diffusione. E’ quello che è avvenuto con le automobili durante il fordismo, ma anche in tempi più recenti con i personal computer o con la telefonia mobile.

Il modello, pur nella sua schematicità, è però interessante per capire come si distribuiscono le responsabilità degli investimenti lungo la filiera dell’innovazione e come varia la natura della conoscenza nei processi di innovazione.
La ricerca di base è una attività svolta senza specifici fini di utilità, è solitamente il risultato della curiosità dei ricercatori e del loro desiderio di interpretare le regolarità della natura, di spiegarne i fenomeni o di testare alcune ipotesi. Quando una scoperta è stata conseguita, (e molte volte nelle attività di ricerca non si perviene ad alcun risultato) spesso la sua applicazione sul mercato, per innumerevoli ragioni (costi, impreparazione del mercato, impossibilità di scalare la produzione su volumi sufficienti per la sostenibilità economica), è ampiamente trasposta in avanti nel tempo (abbiamo prima visto l’esempio del laser) o addirittura non trova alcuna utile applicazione.
E’ chiaro che si tratta quindi di attività che spesso non producono ritorni economici e, quando li producono, spesso si tratta di ritorni fortemente ritardati rispetto alle date in cui gli investimenti sono stati sostenuti. Aleatorietà dei risultati e differimento temporale del ritorno degli investimenti connotano la ricerca di base tra le attività umane a più alto rischio ma della cui necessità c’è assoluto bisogno per il progresso della società perché la ricerca di base alimenta le innovazioni più dirompenti. Sono poche le imprese, solitamente possono permettersela quelle di grandi dimensioni, che decidono di investire in attività a così alto rischio. E’ per questa ragione che le attività di ricerca di base, nei paesi avanzati, sono fortemente sostenute con fondi pubblici. Una nazione che sostiene fortemente la ricerca di base sviluppa più velocemente di altre il suo stock di conoscenze fondamentali ed il valore del suo capitale umano sostenendo la capacità del paese nella produzione di innovazioni di frontiera. 
Man mano che ci si sposta verso valle assistiamo ad una progressiva focalizzazione dello sforzo di produzione di conoscenza, si restringono gli ambiti e si concentrano gli investimenti su punti specifici di interesse per il particolare settore industriale. Già nello stadio della ricerca applicata si costruisce nuova conoscenza su conoscenza già acquisita con le attività di ricerca di base che hanno avuto esiti positivi. E ancora di più nelle fasi di sviluppo, in cui si ingegnerizzano i risultati per sottoporli a test preliminari per valutare la risposta del mercato, si costruisce nuova conoscenza tecnologica su un consolidato stock di conoscenza di base e applicata. Per arrivare poi agli investimenti su scala industriale, che si effettuano dopo una ampia sperimentazione di laboratorio che rassicura sulla sostenibilità dell’investimento. Man mano quindi che ci spostiamo da monte verso valle, verso il mercato e la società, le aleatorietà del successo si riducono e così i tempi di ritorno degli investimenti. Riducendosi i rischi aumenta quindi la propensione agli investimenti da parte del privato e vengono meno le ragioni del sostegno pubblico allo sviluppo di nuova conoscenza che si connota sempre di più come conoscenza di natura applicativa ed orientata al profitto.
In questo processo la percentuale d’incidenza dei fondi pubblici decresce man mano che ci si sposta verso valle nella catena del valore di sviluppo prodotto poiché il rischio degli investimenti si riduce progressivamente e i ritorni economici sono più veloci. La natura inizialmente pubblica della conoscenza, diffusa liberamente nelle comunità scientifiche di riferimento, diviene progressivamente privata, man mano che aumenta la quota di finanziamento dei soggetti privati che innalzano le barriere per la sua appropriabilità (segreto industriale o brevettazione) con lo scopo di tutelare i profitti attesi dagli investimenti in conoscenza.
La natura della conoscenza sviluppata nei diversi stadi della filiera dell’innovazione giustifica la ratio delle leggi di supporto pubblico all’innovazione che prevedono percentuali decrescenti di supporto man mano che dalla fase di ricerca industriale (fase 2) e di sviluppo precompetitivo (fase 3) ci si sposta verso le attività di industrializzazione (fasi 4 e 5).
Man mano che ci si muove da monte verso valle, la natura della conoscenza subisce un processo a imbuto, di progressiva convergenza verso conoscenze sempre più specialistiche e di natura applicativa e legate alla natura delle tecnologie e del mercato dello specifico settore industriale in cui si sviluppa. La conoscenza sviluppata nelle attività di ricerca di base man mano che procede verso le applicazioni sul mercato perde progressivamente di generalità ma si integra con nuovi elementi che la rendono direttamente spendibile sul mercato. Su questi temi si veda Amar Bhidé, The Venturesome Economy, Princeton University Press, 2008, p. 6, in cui a proposito dei livelli di conoscenza incorporata nelle innovazioni, l’autore cita il caso del microprocessore in cui si può distinguere:
a) una conoscenza di alto livello, le leggi della fisica dello stato solido (conoscenza di base);
b) una conoscenza intermedia, quella relativa quella relativa alla progettazione dei circuiti e al layout del chip (risultato di ricerca applicata e di seguenti attività di ingegnerizzazione);
c) una conoscenza di ground-level (direi operativa) necessaria per massimizzare l’efficienza e la qualità in un impianto per la fabbricazione di semiconduttori.
In questo processo di progressiva specializzazione delle conoscenze si realizzano intersezioni sempre più stringenti tra istanze tecnologiche ed economiche, intersezioni che costituiscono la reale natura dei processi innovativi (v. in seguito il modello di Kline e Rosenberg).
Vi invito alla riflessione su questi temi quando svolgerete il project work sulle specifiche innovazioni di vostro interesse.

In una recente intervista pubblicata sul Magazine del Corriere della Sera, il Ministro Gelmini, dice che: “E’ giusto premiare chi, oltre a cercare, trova anche qualcosa”.
ed è un sintomo della necessità di accrescere l’efficienza della spesa nella ricerca pubblica che si scontra contro il paradigma della libertà della scienza.

La traduzione di nuova conoscenza in capacità competitiva non è infatti automatica.
“It is no longer believed that a heavy investment in pure, curiosity-driven research will by itself guarantee the technology required to compete in the world economy...Britain, for example, issued a May 1993 White Paper on science and technology policy which flatly stated, << The Goverment does not believe that it is good enough simply to trust to the automatic emergence of applicable results (from basic research) which industry then uses >>” (Stokes, pp. 58 – 59)
Nei paesi avanzati il dibattito per favorire la competitività e l’innovazione vede due fazioni. Ci sono coloro che sostengono che bisogna investire di più in ricerca di base e alta formazione in scienze ed ingegneria e ci sono coloro per cui è necessario investire nei processi che traducono ricerca e talenti in innovazioni che a loro volta creano nuove industrie e crescita di occupazione. Alcuni approfondimenti sul tema della politica dell’innovazione negli Stati Uniti d’America possono trovarsi in Lewis M. Branscomb, Research Alone Is Not Enough, Science, Vol. 321, 2008.

Investimenti per diversi settori industriali – tesi Rea, Booz Allen, Innovation Handbook

5.2 Il superamento della distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata
Stokes – Pasteur’s quadrant - 1997
Il modello lineare è stato oggetto di indagine a parte di Donald Stokes nel suo studio del 1997 Pasteur’s Quadrant: Basic Science and technological innovation – Brooking Institution. Il principale contributo di Stokes riguarda il fatto che la ricerca nei prossimi anni verrà valutata anche in funzione della capacità di coniugare la produzione di risultati pratici con la comprensione di fenomeni naturali prima non spiegati, in sostanza con la capacità di intersecare utilità pratica con ampliamento degli orizzonti della conoscenza scientifica.
Nello studio, Stokes riporta come esempio di ricerca di base gli studi di Bohr sul modello della struttura dell’atomo che hanno come motivazione esclusiva il desiderio di conoscenza (quella che Bacone definiva scienza lucifera). Altresì si riferisce alle ricerche di Edison come esempio di ricerca applicata essendo finalizzate principalmente allo sfruttamento delle conoscenze teoriche già disponibili per la realizzazione tecnica di nuovi dispositivi da sfruttare commercialmente. Infine Stokes riporta gli studi di Pasteur come esempio di ricerca motivata da ragioni di curiosità scientifica ma finalizzata anche a fornire soluzioni a problemi reali irrisolti soprattutto nel campo della filiera alimentare. La commistione di queste due esigenze è presente nei lavori di Pasteur in modo così inscindibile che è impossibile apprezzare i suoi risultati scientifici senza pensare alle possibili applicazioni che motivavano i suoi studi. E’ celebre la frase di Pasteur: “No, mille volte no; non esiste una categoria della scienza a cui si possa dare il nome di scienza applicata. Ci sono la scienza e le applicazioni della scienza unite come il frutto all’albero che lo produce.”
Nelle Università di tutto il mondo il dibattito su questi temi è oggi particolarmente vivace perché rimette in discussione la missione fondamentale assolta dalle università fino adesso e che in molti casi ha prodotto uno scollamento tra ambito conoscitivo e applicativo.

Quadrant Model of Scientific Research
(Stokes, p. 73)

Research is inspired by:

Consideration of use?
No                                 Yes
Pure basic research             Use-inspired
Yes            (Bohr)                     Basic Research
(Pasteur)
Quest for
fundamental                                                             Pure applied
understanding    No                                                     research
(Edison)

 

Basic e applied research  (Stokes, p. 11) , Murray committee 1957
“It is obvious that most of the basic secrets of nature have been unravelled by men who were moved simply by intellectual curiosity, who wanted to discover new knowledge for its own sake. The application of the new knowledge usually comes later, often a good deal after; it is usually achieved by other men, with different gifts and different interests.”

“The Manhattan Project (Skokes, pp. 15-16) was a gigantic exercise in applied research and development, and not as a remarkable effort in basic research as well. J. Robert Oppenheimer, who directed the Los Alamos Scientific Laboratory, declared:
the things we learned (during the war) are not very important. The real things were learned in 1890 and 1905 and 1920, in every year leading up to the war, and we took this tree with a lot of ripe fruit on it and shook it hard and out came radar and atomic bombs... The whole spirit was one of frantic (frenetica) and rather ruthless (dura) exploitation of the known; it was not that of the sober, modest attempt to penetrate the unknown.”
Gli ultimi due brani sottolineano le difficoltà di superare la strozzatura che ostacola la conversione di nuova conoscenza scientifica in innovazione. Nel primo si parla infatti della necessità di coinvolgere persone “with different gifts and different interests”, esemplari le attitudini e le motivazioni di Edison. Nel secondo brano si parla delle attività di “exploitation of the known” (sfruttamento), in quel caso condotte in modo frenetico sotto la pressione della guerra.
La ricerca pura alimenta il futuro della tecnologia, ma non è sempre stato così, anzi.  (Stokes, pp. 19 – 20) “In every preceding century the idea that technology is science based would have been false. For most of human history, the practical arts have been perfected by “improvers of technology”, in Robert P. Multhauf’s phrase, who knew no science and would not have been much helped by if they had. This situation changed only with the second industrial revolution at the end of the nineteenth century, as advances in physics led to electric power, advances in chemistry to the new chemical dyes (tinture), and advances in microbiology to dramatic improvements in public health. But a great deal of technological innovation, right down to the present day, has proceeded without stimulus of advances in science.

Nel passato la scienza ha spiegato le realizzazioni della tecnologia. (Stokes, p. 20)
There was a reverse flow, from technology to science, from the time of Bacon to the second industrial revolution, with scientist modeling successful technology but doing little to improve it. Multhauf notes that the eighteenth-century physicist were “more often found endeavoring to explain the workings of some existing machine than suggesting improvements in it.”.....Sadi Carnot took an important step toward thermodynamics by studying steam engines but found that engineering practice had anticipated the prescriptions from the theory he worked out.

Chi miete il raccolto tecnologico dalla scienza? (Stokes, pp. 23 – 24)
La competitività dell’economia giapponese negli anni ’80 e ’90 ha posto questa domanda in modo evidente.
“But the world could scarcely miss this lesson now that the Japanese have all over again shown that the greatest strides in productive technology can be made by a country that is well behind in basic science, with Japan cast in the technological role earlier played by the United States and America cast in the scientific role earlier played by Europeans.” Il problema è in parte riconducibile alla diversa natura della conoscenza che interviene nelle diverse fasi della filiera dell’innovazione come visto precedentemente (high level, mid level, low level – Bhide paragrafo 5.1.1.)

Letture opzionali:

Benoit Godin – The linear model…. – Triple Helix Conference

Margherita Balconi, Stefano Brusoni, Luigi Orsenigo, In defence of the linear model: An Essay, Research Policy, 39 (2010) pp.1 – 13

David Edgerton, “The Linear Model” Did not Exist – Reflections on the History and Historiography od Science and Research in Industry in the Twentieth Century, in The Science-Industry Nexus, Science History Publication/USA, 2004

 

5.3 Il successo dell’innovazione dipende dagli investimenti in R&D?
Lettura e commento in aula:
Michael Schrage, For innovation success, do not follow where the money goes,  Financial Times, 8/11/2005

5.4 Dalla ricerca all’innovazione
Tratto e adattato da George Bugliarello, alla voce Tecnologia, p. 391-392, Enciclopedia del Novecento, vol. VII, Istituto della Enciclopedia Italiana.
Il binomio ricerca e sviluppo è un elemento particolarmente importante del processo di trasformazione tecnologica: la produzione di conoscenza e di idee creative – e la loro incorporazione nei prototipi sperimentali – sono infatti fondamentali per lo sviluppo di nuove tecnologie.

La ricerca di base.- Il primo passo, in materia di ricerca e sviluppo, consiste nello scoprire nuovi fenomeni – nel fornire spiegazioni di fenomeni noti – del mondo fisico, chimico, biologico o sociale. La ricerca di base può essere effettuata per scopi puramente scientifici, senza alcun proposito di applicazione pratica, oppure può essere intrapresa fin dall’inizio con uno scopo pratico. I due approcci sono inevitabilmente in contrasto tra di loro, ed è compito di una politica efficace in campo scientifico e tecnologico trovare un equilibrio illuminato e produttivo. La ricerca di base è spesso un investimento a lunga scadenza, specialmente quando non è soggetta a vincoli, possono trascorrere parecchi anni prima che sia riconosciuta la sua rilevanza per un dato sviluppo tecnologico. E’ un’attività ad alto rischio, nel senso che l’intrapresa di un progetto di ricerca di base non garantisce il raggiungimento di risultati.
In molti paesi, proprio per la natura connessa ai tempi lunghi di ritorno degli investimenti ed all’alto livello di rischio, la ricerca di base trova la principale fonte di finanziamento in risorse pubbliche e l’accesso ai risultati è libero. La libertà di accesso ai risultati ha consentito a paesi come il Giappone di sviluppare una tecnologia avanzata senza corrispondenti investimenti nella ricerca di base. Naturalmente alcune attività di ricerca di base per ragioni militari o commerciali vengono mantenute segrete.
I luoghi in cui si svolge in modo prevalente la ricerca di base sono le università e gli istituti di ricerca.

La ricerca applicata. – Dalle questioni di fondo affrontate dalla ricerca di base possono talvolta essere tratti spunti per nuove idee in ambito tecnologico. Dal canto suo, la ricerca applicata si concentra sulla soluzione di quei problemi da cui dipende l’applicazione di una nuova idea.
E’ errato credere che la ricerca applicata si fondi esclusivamente sulla ricerca di base; in molti casi la prima precede la seconda, cui può anche fornire lo stimolo e indicare direttrici di indagine.
I risultati della ricerca applicata spesso vedono la luce in tempi più rapidi e presentano un livello di rischio minore. Per questo le attività di ricerca applicata, anche se spesso ricevono un sostegno pubblico, possono essere condotte da soggetti privati. (v. definizioni di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo nel manuale di Oslo).

Lo sviluppo. – Quando la ricerca applicata ha successo, si rende possibile il passaggio allo stadio successivo, ossia alla elaborazione di progetti, modelli o prototipi che, dopo il controllo delle prestazioni e dei costi, porteranno al prodotto finale. Tale attività può prendere il nome di sviluppo precompetitivo. Lo sviluppo di un artefatto meccanico o elettrico, un’automobile, un aeroplano, un calcolatore, un telefonino che sarà prodotto in grandi quantità richiede approfonditi controlli delle sue caratteristiche tecniche e del suo potere di penetrazione nel mercato. Prima di iniziare la produzione su larga scala può essere necessario sottoporre anche gli impianti destinati alla sua produzione a ricerche e sperimentazioni con prototipi.
Il percorso dalla ricerca applicata a quella applicata e poi alla produzione e alla commercializzazione è accompagnato da spese crescenti. Già solo per questa ragione, senza tenere conto di altre considerazioni, le nuove idee di prodotti tecnologici che appaiono promettenti dovrebbero, prima di passare alla successiva fase dello sviluppo, essere sottoposte a un vaglio e a una selezione severi (processo a imbuto e metodologia Stage and Gate – v. seminario ing. Francesco Butera). Il prezzo del blocco, in questa fase, di un’idea può essere notevole, ma è sempre inferiore a quello del fallimento dopo che si è avviata la produzione su larga scala. Un’intelligente strategia di ricerca e sviluppo cercherà quindi di produrre inizialmente una gran quantità di idee nuove, per poi ridurne progressivamente il numero, selezionando quelle atte alle successive fasi di sviluppo.

Innovazione. – Il binomio ricerca sviluppo è solo un aspetto del processo di innovazione, che comprende la totalità delle azioni da intraprendere per la creazione di un nuovo prodotto o artefatto. L’innovazione comporta dei rischi, sia economici sia di altra natura, ma, quando ha successo è altamente remunerativa.
L’innovazione nasce o dal desiderio di trovare uno sbocco applicativo a un nuovo concetto o prodotto tecnologico (technology push), oppure dalla necessità o dalla domanda del mercato di una nuova tecnologia (market pull). Esempi di innovazioni technology push sono i raggi X o il calcolatore nei suoi primi stadi: entrambe queste due tecnologie dovettero crearsi un mercato prima inesistente. Il calcolatore invece nei suoi stadi successivi è un esempio di innovazione market pull e infatti la sua evoluzione tecnologica nasce dalla spinta di un mercato che richiede ormai nuove tecnologie in grado di rispondere a domande ben differenziate (v. caso Apple nel film I pirati della Silicon Valley).

La diffusione dell’innovazione. – Questa è l’ultima fase del processo di produzione e di diffusione delle nuove idee. Anch’essa, come l’innovazione, è governata da fattori tecnici, finanziari, politici e sociali. Questi ultimi sono in generale i più difficili da prevedere, poiché poche persone sono in grado di immaginare in maniera realistica gli scenari che possono determinare il ritmo di accettazione di una nuova tecnologia. Alcuni modelli di diffusione delle tecnologie Bass (1969) e Rogers.

Man mano che le attività industriali, spesso inizialmente avviate su basi empiriche, si sono progressivamente arricchite di contenuti di conoscenza costruita su rigorose basi scientifiche è cresciuta la disponibilità di beni e servizi a più alto valore aggiunto andando incontro al soddisfacimento di crescenti aspettative della società e di consumatori sempre più evoluti.
L’effetto combinato dei fenomeni di globalizzazione e di competizione ha enormemente accelerato le dinamiche innovative delle imprese creando le condizioni per l’affermarsi di un nuovo modello di economia indicato come economia della conoscenza. L’innovazione è diventata oggi un fattore fondamentale di sopravvivenza nei mercati internazionali globalizzati e competitivi come anticipato più di 50 anni fa da Bush nel suo rapporto.
L’economia della conoscenza è un’economia in cui la generazione, diffusione e sfruttamento della conoscenza giocano un ruolo primario nella creazione della ricchezza e del benessere collettivo delle nazioni. Per ogni impresa la conoscenza, il vero motore della innovazione, diventa il fattore fondamentale per conseguire vantaggi competitivi duraturi.

Riquadro 7 - Sulle definizioni di tecnologia e sui rapporti tra scienza e tecnica vale la pena leggere questo articolo del 1967 scritto dal Prof. Emilio Gatti.

CORRIERE DELLA SERA       Milano, Mercoledì 5 aprile 1967 – L. 50

Ogni giorno più stretto il legame tra scienza e tecnica
Perfino la fisica teorica e la matematica possono diventare strumenti tecnologici. A che cosa si debbono imputare certe deficienze scientifiche e industriali in Italia

Oggi tutti parlano di <<divario tecnologico>> riferendosi all’iniziativa del ministro Fanfani. Ma non so se tutti, usando queste due parole che sono diventate uno slogan, intendano riferirsi ai medesimi concetti. Non voglio qui discutere sulle modalità di intervento, su quello che l’Italia prima, l’Europa poi, dovranno fare con le loro forze, né su quanto determinante possa essere l’aiuto degli Stati Uniti d’America.
Voglio riflettere insieme coi lettori su ciò che dobbiamo intendere per tecnologia, come recentemente mi ha fatto riflettere un collega del Politecnico di Milano. Negli anni 40 tecnologia significava, almeno in Italia, un insieme di nozioni piuttosto specializzate, tratte generalmente da un’esperienza pratica, fenomenologica, quasi priva di considerazioni che si riallacciassero a conoscenze scientifiche generali, e relative ad un particolare processo industriale: ad esempio tecnologia della saldatura, della fonderia, della chiodatura delle lamiere, delle diverse lavorazioni dei materiali. Ancor oggi per molte persone, anche per molti tecnici, è così.
In realtà, la parola sta cambiando inavvertitamente e profondamente di significato: la tecnologia da empirica sta diventando scientifica. Ad esempio, il metodo di produzione dei transistori è tipicamente una tecnologia, una tecnologia elettronica: ma ogni passo del processo di produzione, dalla purificazione a zone del germanio e del silicio alla drogatura per diffusione, all’applicazione dei contatti, richiede la più approfondita conoscenza della struttura della materia. La messa a punto di una nuova tecnica è raramente frutto di empirismo, ma di dettagliata analisi dei fenomeni che  conduce poi al progetto ovvero alla sintesi del modificato e migliorato processo tecnologico. Ogni operazione che conduce alla costruzione dell’oggetto finito, nel caso specifico il transistore, va <<compresa>> nel senso che va inquadrata nelle recentemente acquisite conoscenze della fisica dello stato solido e una volta compresa è perfezionata valendosi dei suggerimenti dati dalla teoria. E addirittura la fisica teorica e la matematica possono divenire strumenti tecnologici.
L’alternarsi degli strati con proprietà elettriche è dosato attraverso processi che involvono la più sottile conoscenza dei processi di diffusione di atomi e ioni nella materia quando addirittura, secondo una tecnologia in via di sviluppo, non si introducano alla profondità voluta gli atomi desiderati con la tecnica della <<ion implantation>>, cioè del bombardamento con ioni accelerati da un fucile ionico, con un’operazione fatta con gli ioni che è l’analogica, in campo macroscopico, a quella della chiodatura a sparo o a quella di un giardiniere che configga nel terreno il seme alla voluta profondità. In questo senso la tecnologia attinge alla scienza e ai rami più moderni della scienza e non vi è processo, anche classico, che non abbia dovuto subire questo approfondimento, soprattutto quando tecnologie già classiche, come quella della saldatura o della lubrificazione si sono dovute applicare in condizioni peculiari ambientali del tutto diverse da quelle usuali, come di regola capita nel campo dell’energia nucleare e delle tecniche spaziali.
Ma allora il lettore si chiederà: la tecnologia non è tutto: scienza, tecnica, produzione? No, tecnologia è solo il modo di fare coscientemente, non solo in base ad esperienza o a buon senso, operazioni elementari sui materiali, ai fini di una realizzazione tecnica in base alla conoscenza scientifica sinora conseguita, con la possibilità di tutte le estensioni e le estrapolazioni che la comprensione consente: è l’antitesi della ricetta di cucina. E non si creda che l’applicazione delle conoscenze scientifiche a questi problemi concreti sia cosa semplice, sia cioè tecnica o scienza di seconda qualità: spesso il compito è più arduo, per la sua complicazione, di quello di ideare e sperimentare sulla <<pulita>> esperienza che porta contributo alla scienza fondamentale: il compito è più difficile, il risultato è più modesto, ma il risultato è un contributo all’innalzamento dell’homo faber, all’ingegneria.
E l’homo faber migliora le condizioni di vita e allarga gli orizzonti dell’ homo sapiens.
Così la tecnologia, considerata una volta con la sufficienza espressa dall’appellativo <<vile meccanico>>, è oggi invece quella parte della ingegneria più vicina e più dipendente dall’allargarsi delle nostre conoscenze chimiche e fisiche della materia.
C’è anche da domandarsi  se, a parte questa evoluzione direi storica del concetto di tecnologia, non si voglia intendere all’americana, con tecnologia l’insieme delle scienze applicate e cioè dell’ingegneria e della chimica industriali, eccetera: certo, negli Stati Uniti d’America è così, e due delle più prestigiose università americane portano il nome di Massachusetts Institute of Technology e California Institute of Technology.
Quasi certamente, parlando di divario tecnologico, il nostro mondo politico ha inteso riferirsi a quest’ultima interpretazione anche se, probabilmente per caso, le deficienze scientifiche e industriali italiane sono localizzate spesso in una deficiente moderna tecnologia su base scientifica. Intesa nel senso sopra spiegato.

                   Emilio Gatti
Ordinario di Fisica al Politecnico di Milano

Questi processi di trasformazione dell’economia si riscontrano in tutti i settori industriali, inclusi quelli considerati maturi, e hanno come denominatore comune l’impiego di nuove conoscenze e l’implementazione innovativa di nuove tecnologie. O, come dice lo storico Valerio Castronovo, Corriere della Sera, 18 gennaio 2008, “…dietro i prodotti c’è tecnologia, innovazione, laboratori di sperimentazione che hanno come orizzonte la competizione internazionale: appunto le caratteristiche di modernità e di evoluzione legate all’impresa e al lavoro”.

6. Inquadramento dell’ innovazione: Rapporti tra istanze economiche e tecnologiche nei processi innovativi

L’innovazione è il motore della crescita economica e una delle principali risorse competitive delle imprese. Purtroppo sul concetto di innovazione è diffusa una visione che attribuisce un peso eccessivo alla base tecnologica, mentre la tecnologia è solo una delle determinanti dell’innovazione. 
E’ bene quindi ricordare il significato vero della parola innovazione. Una innovazione è un’ idea nuova portata nel mercato con il giusto profitto. Questa definizione conduce ad identificare nell’impresa e, alla fine, nell’imprenditore, nella sua accezione più ampia, il responsabile finale del processo innovativo. Dietro il verbo portare si celano infatti tutte le azioni che sono sotto il controllo dell’imprenditore, che lo motivano nel suo agire, che determinano le convenienze ad assumere rischi e che determinano alla fine il successo o l’insuccesso di una innovazione. Le imprese sono i soggetti che competono sul mercato globale, sono la prima linea del sistema competitivo dei Paesi e per competere devono accelerare i processi innovativi.
Emerge quindi, associato al concetto di innovazione, la necessità di integrare istanze tecnologiche, economiche ed imprenditoriali. Da qui l’evidenza che, pur in presenza di elevate capacità tecnologiche (che riguardano anche disponibilità di capitale umano, bagaglio di conoscenze e capacità di ricerca scientifica di alto profilo), non è certo che si realizzino le condizioni per realizzare una innovazione di successo che richiede, per potersi concretizzare da un canto in una positiva risposta da parte del mercato e dall’altro un ambiente favorevole per l’economia e per le imprese.

Il brano seguente è tratto e adattato da Stephen J. Kline e Nathan Rosenberg, An Overview of Innovation, http://www.nap.edu/openbook/0309036305/html/275.html 

6. 1 Introduzione
L’innovazione commerciale (non quella militare che risponde ad altre esigenze) è controllata da due forze che interagiscono tra loro in modo sottile e imprevedibile. Da un lato abbiamo le forze del mercato e cioè fattori come le variazioni nei redditi, i prezzi relativi delle merci e gli andamenti demografici che si combinano per produrre cambiamenti continui nelle opportunità commerciali per le varie categorie di innovazioni. Dall’altro abbiamo le forze del progresso sulle frontiere tecnologiche e scientifiche che spesso suggeriscono nuove possibilità per concepire prodotti innovativi o di migliorare le prestazioni di vecchi prodotti o di produrre gli stessi prodotti a costi più bassi. Pertanto per ottenere risultati di successo nell’innovazione è necessario agire sia sulla leva commerciale che su quella tecnologica.
Poiché l’innovazione per definizione implica la creazione e il marketing del nuovo, queste leve, singolarmente o in combinazione, rendono il risultato innovativo un processo caratterizzato da un alto livello di incertezza. In questo senso può essere utile pensare al processo innovativo come a un esercizio nella gestione e nella riduzione dell’incertezza. In generale, maggiori sono i cambiamenti introdotti, maggiori sono le incertezze non soltanto sulle prestazioni tecniche ma anche sulla risposta del mercato e sull’abilità dell’organizzazione di assorbire i cambiamenti richiesti. Questa stretta correlazione tra entità dei cambiamenti e grado di incertezza ha importanti implicazioni per la natura della appropriata innovazione in corrispondenza a diversi stadi della conoscenza disponibile e in diversi punti del ciclo di vita di un prodotto.
I sistemi usati nei processi innovativi sono tra i più complessi e le condizioni per realizzare innovazioni di successo variano caso per caso. Pertanto una discussione di carattere generale sull’innovazione richiede l’esplorazione di alcune dimensioni e molta prudenza nel decidere ciò che può essere generalizzato. Una tale discussione deve anche assicurare che i modelli di innovazione siano adeguati poiché l’impiego di modelli eccessivamente semplificati possono condurre a conclusioni errate.

6.2 Fattibilità tecnologica e utilità economica

Nell’ambito esclusivamente tecnologico è possibile restringere il pensiero a specifiche misure di prestazione. Se per esempio potessimo essere indifferenti a considerazioni di costo, si potrebbero immaginare diverse alternative, tutte tecnicamente fattibili per incrementare la velocità di un aereo o la vita utile di un’autovettura o la purezza di un prodotto chimico. Ma il successo tecnico (o una misura di prestazione puramente tecnica) è soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente per stabilire una forma di utilità economica. Le analisi di molte storie di fallimenti hanno evidenziato che una eccessiva o una esclusiva preoccupazione dedicata alle prestazioni tecniche può avere conseguenze economiche disastrose.
Vale la pena ricordare che la stragrande maggioranza delle invenzioni registrate presso l’ufficio dei brevetti americano (U.S. Patent Office) non ha avuto applicazioni commerciali. Uno studio (Tushman e Moore, Readings in the Management of innovation, Marshfield, Mass.: Pitman, 1982) riporta che su 1800 innovazioni di successo ¾ sono state avviate in seguito ad analisi di bisogni percepiti sul mercato (market pull)  e soltanto ¼ in seguito al manifestarsi di una nuova opportunità tecnica (technology push). Contemporaneamente molte caratteristiche che potrebbero avere successo sul mercato non possono essere realizzate con la attuale tecnologia o sono ostacolate dalle leggi della natura. Per esempio le leggi della termodinamica fissano un limite assoluto sui rendimenti delle macchine termiche e quindi sui consumi di carburante di aerei o autovetture. I limiti della metallurgia conosciuta fissano dei limiti sulle temperature che è possibile raggiungere in molte macchine o processi industriali e questi limiti crescono lentamente sotto la spinta di attività di ricerca e sviluppo.
Come è stato osservato, per una innovazione di successo devono essere rispettati requisiti sia di natura tecnica che commerciale. Una innovazione di successo richiede un progetto che tenga conto delle specifiche tecniche, funzionali e di design dell’oggetto ma anche dei processi di produzione. Deve essere orientata a soddisfare i bisogni del mercato e deve essere sostenuta da un’organizzazione che può continuare a supportare tutte queste attività in modo efficace.
Se un miglioramento tecnologico deve avere un impatto economico significativo deve combinare caratteristiche di design che si avvicinano ai bisogni e ai gusti dei potenziali consumatori, deve tenere conto dei vincoli di costo e spesso di vincoli derivanti da specifiche legislazioni. Un successo commerciale si basa sul raggiungimento di livelli di costi che sono al di sotto dei prodotti sostitutivi oppure sulla creazione di un prodotto superiore che non è di molto superiore con i possibili sostituti di standard qualitativi inferiori. Solitamente ad alte prestazioni corrispondono prezzi più alti. Scegliere la combinazione ottimale di prezzo e prestazioni alla quale deve puntare un’impresa richiede una approfondita conoscenza del mercato ed anche capacità di giudizio sulla scelta del timing più appropriato per il percorso innovativo. Il successo richiede infatti non soltanto la scelta ottimale della combinazione costo prestazione ma anche della individuazione del momento giusto in cui introdurre il prodotto sul mercato.
Uno dei casi più evidenti del fallimento di una innovazione basata su alta tecnologia e legata alla storia del Concorde. Questo è un esempio di come una preoccupazione eccessiva verso le prestazioni può essere una ricetta per un disastro finanziario. Il Concorde è un risultato di alta ingegneria ma anche un fallimento molto costoso sotto il profilo commerciale. Sebbene possa (ora poteva) attraversare l’Atlantico in metà tempo rispetto a un Boeing 747, il suo costo per passeggero miglio è 15 volte maggiore. I domini tecnologici ed economici sono fortemente interconnessi nel determinare il successo di una innovazione tecnologica.
I potenziali consumatori possono non attribuire un valore adeguato ad una prestazione di livello più alto conseguente all’applicazione di una tecnologia particolarmente avanzata. Il numero di persone disposte a pagare un prezzo più alto di migliaia di dollari per risparmiare qualche ora in un volo transatlantico è molto basso. Perfino un innovatore per eccellenza, Thomas Edison, fallì con la sua prima invenzione. Creò una macchina che era in grado di calcolare quasi istantaneamente i voti al Congresso e si sentì dire dai membri del Congresso  che questa era l’ultima cosa che volevano. Per questo Edison scrisse sul suo giornale che non avrebbe speso del tempo in un’invenzione finché non avesse acquisito una ragionevole fiducia sull’accoglienza dell’invenzione sul mercato.
Sotto un altro profilo è un grave errore (che diventa sempre più comune nelle società in cui operano industrie ad alta tecnologia) collegare l’importanza economica dell’innovazione alla tecnologia sottostante. Uno dei miglioramenti di produttività più significativi nel settore dei trasporti dalla Seconda Guerra mondiale è legato all’introduzione del container caratterizzato da una tecnologia estremamente semplice. La principale resistenza a questa innovazione derivò dai sindacati e ciò illustra un’ altra dimensione legata ai sistemi sociotecnici.
La sofisticazione tecnologica non ha un valore intrinseco sul mercato. Alcune innovazioni che conducono a riduzioni di costi sono valutate indipendentemente dalla base tecnica o dal livello della tecnologia.
Gli economisti analizzano le innovazioni tecnologiche come una scatola nera – un sistema che contiene componenti e processi sconosciuti. Hanno cercato di identificare e misurare gli input principali che entrano nella scatola nera e con maggiore difficoltà hanno identificato e misurato gli output della scatola. Hanno inoltre trascurato i complessi processi con cui certi input sono trasformati in output.
D’altro canto i tecnologi si sono preoccupati in modo preminente del processo tecnico interno alla scatola. Hanno troppo spesso trascurato, o anche ignorato sia le forze del mercato con cui il prodotto si deve confrontare sia gli effetti sulla società.
Non c’è nessun dubbio tuttavia che le innovazioni tecnologiche sono assolutamente centrali per la crescita economica. Se ci fosse qualche dubbio basterebbe chiedersi se andando indietro di 100 anni: Un’impresa che operasse come 100 anni fa sopravviverebbe nell’economia di oggi? La domanda rilevante non è se l’innovazione è necessaria per migliorare l’efficienza o per sopravvivere ma piuttosto: Quale tipo di innovazione? Con quale velocità? E, possiamo comprendere in modo più approfondito la natura dell’innovazione per poterla impiegare più efficacemente e come produttrice di benefici?

6. 3 Caratterizzazione dell’innovazione
Sfortunatamente gli effetti dell’innovazione sono difficili da misurare. Le dimensioni dell’innovazione sono molteplici. Possiamo infatti pensare all’innovazione con riferimento a:
a) un nuovo prodotto;
b) un nuovo processo di produzione;
c) la sostituzione di un materiale in un prodotto con uno meno costoso che sostanzialmente lascia inalterato il prodotto originale;
d) la riorganizzazione della produzione, delle funzioni interne, degli approvvigionamenti e della distribuzione;
e) un miglioramento negli strumenti o metodi di fare innovazione.
Inoltre le innovazioni spesso generano benefici in altri campi rispetto a quello in cui nascono. Per esempio l’industria dell’abbigliamento che è considerata un settore maturo sta assorbendo innovazioni dall’elettronica, dalla chimica, fa uso di tecnologia laser. I più importanti sviluppi nell’industria delle macchine utensili sono derivati dalle applicazioni informatiche. Praticamente nessun settore dell’economia non è stato influenzato in qualche modo dalle applicazioni dell’informatica (anzi oggi ICT con internet e la telefonia cellulare). Il computer è un dispositivo di applicazioni generali in tutti i settori dell’economia. I processi di R&S sono stati influenzati profondamente dalla diffusione dei computer.
Se ci concentriamo su una singola industria, per esempio quella aeronautica, possiamo identificare una varietà di fonti di innovazioni. Molti progressi nella progettazione aeronautica sono da attribuire agli ingegneri aeronautici che conducono sperimentazioni nelle gallerie del vento. L’accumulo di questo tipo di conoscenze non è scienza in senso stretto né è il risultato di lavoro di scienziati. Tuttavia questa conoscenza è parte essenziale delle innovazioni aeronautiche. Il punto è che l’innovazione spesso richiede la raccolta e l’accumulo di informazioni differenti da quelle raccolte dagli scienziati e questi processi richiedono lo sviluppo di metodologie indipendenti, di teorie, di procedure, di test che sono tutte parte integrale della conoscenza ingegneristica.
Sia l’industria informatica che quella metallurgica hanno fornito spunti essenziali di progresso tecnologico dell’industria aeronautica. I progressi della metallurgia hanno consentito di realizzare materiali sempre più resistenti e sempre più leggeri migliorando le prestazioni sia della struttura degli aerei che dei motori. I nuovi materiali compositi stanno entrando pesantemente nell’industria aeronautica. I computer hanno cambiato in maniera drastica l’industria aeronautica: i sistemi di guida, la determinazione dei piani di volo, il sistema di prenotazione su scala planetaria. L’avionica (incorporazione dell’elettronica tra la componentistica di un aeromobile) costituisce ormai una parte rilevante del costo totale di produzione di un aeromobile.

Un altro aspetto dell’innovazione è relativo agli effetti di una industria in rapida espansione sui fornitori. Una industria in forte espansione genera quasi sempre una domanda verso altre industrie che producono semilavorati o componentistica per essa. Questo incremento nella domanda innesca rapidi cambiamenti tecnologici nelle industrie fornitrici. Per esempio il rapido sviluppo dell’industria automobilistica nei primi decenni del secolo scorso ha posto le condizioni per innovare i metodi di raffinazione del petrolio. Il petrolio veniva prima usato per scopi di illuminazione mentre con lo sviluppo della motorizzazione di massa è stato destinato all’alimentazione dei motori a scoppio. Nel corso del XX secolo l’industria automobilistica ha incentivato lo sviluppo tecnologico nell’industria del vetro, della gomma, dell’acciaio, della plastica.
Come si è visto l’impatto di una innovazione tecnologica è spesso difficile da seguire perché il suo impatto non è costretto in confini di attività industriali ben definiti. Talvolta gli effetti del cambiamento tecnologico portano a ridisegnare completamente i confini tra industrie. Alcuni decenni fa era chiara la distinzione tra l’industria delle telecomunicazioni e quella dei computer. Lo sviluppo della tecnologia dei semiconduttori e lo sviluppo dei circuiti integrati ha praticamente dissolto i confini tra le due industrie. Pensiamo all’uso della rete telefonica fissa e mobile per internet.
Un’altra questione riguarda la misura dell’importanza di una innovazione. Due sono gli aspetti che è opportuno sottolineare.
Primo, c’è una tendenza a identificare le innovazioni tecnologiche con quelle più visibili: l’elettricità, le automobili, gli aerei, la televisione, gli antibiotici, i computer. Ma ci sono molte altre innovazioni che sono meno visibili. Una gran parte delle innovazioni tecnologiche prendono la forma di piccoli cambiamenti sotto forme varie. Alcune piccole modifiche nel progetto di una macchina possono servire a migliorare l’uso della stessa da parte dell’utente finale, altre possono servire a rendere più semplice e quindi più economica la sua produzione. Le prestazioni di una macchina possono essere incrementate introducendo particolari in materiali più resistenti o più leggeri. Si può risparmiare sul costo scegliendo materiali meno costosi o utilizzando meno materiale attraverso una progettazione più accurata. Si possono introdurre accorgimenti per ridurre vibrazioni o attriti per allungare la vita utile di una macchina. Si può ottimizzare la sequenza di operazioni per migliorare gli indici di prestazione di un impianto di produzione. Molte di queste innovazioni non sono evidenti se non agli specialisti e spesso nemmeno a loro.
Si consideri cosa è accaduto alla generazione di energia elettrica. Nel corso del secolo scorso è stata una delle tecnologia che ha migliorato enormemente i suoi rendimenti. Tuttavia non si è registrata nessuna innovazione di prodotto o di processo particolarmente significativa. E però attraverso piccoli, cumulativi e continui miglioramenti nella efficienza delle centrali termiche si sono generate enormi economie nell’uso dei combustibili migliorando l’energia prodotta per unità di input. Per esempio si sono potute innalzare pressioni e temperature nelle turbine a causa dei progressi nella metallurgia che ha consentito di realizzare componenti più resistenti alle alte temperature. Si sono migliorati i disegni delle caldaie, l’efficienza delle turbine. L’entità di questi miglioramenti possono essere indicate così: nel 1910 erano necessarie 7 libbre di carbone per generare un kWh di energia mentre nel 1960 ne bastavano 0.9 libbre. La maggior parte di noi avremmo difficoltà a identificare le singole innovazioni che stanno dietro questi grandi incrementi di produttività.
Secondo, è un grave errore trattare una innovazione come qualcosa di ben definito che si affaccia sullo scenario economico in un preciso momento. Questa visione è ovviamente tipica di un ufficio brevetti o da scrittori di testi elementari di storia. Ma le invenzioni come entità economica sono cosa ben diversa dalle invenzioni come entità giuridica.
Il fatto è che le invenzioni nelle loro fasi iniziali sono spesso molto primitive. Si considerino le prestazioni di un telefono nel 1880, di un’automobile del 1900 o il primo volo dei fratelli Wright. Si trattava di invenzioni di nessun valore economico. Lo stesso si può dire per il computer nel 1950. E’ nel processo di innovazione continua che si genera il valore economico di una innovazione. In molti casi l’apprendimento associato alla produzione di un specifico prodotto/servizio ha determinato una progressiva riduzione dei costi che ha consentito una diffusione sempre più ampia di una innovazione (vedi oggi telefoni cellulari). Lo sviluppo di una innovazione di natura commerciale (in ambito militare sono altre le ragioni) è sempre ispirato da criteri economici.
Le caratteristiche di novità non costituiscono di per se un vantaggio economico. Le vecchie tecnologie spesso sopravvivono anche in presenza di nuove opportunità tecnologiche perché la vecchia tecnologia rimane competitiva perché basata su risorse a basso costo o perché presenta specifici vantaggi in alcuni usi particolari. E’ interessante la storia della evoluzione del motore a scoppio che con oltre un secolo di storia ancora promette bene (v. The McKinsey Quarterly, Tomorrow’s car, today’s engines, 2002, n. 3, p. 40 – 53).

6.4 Modelli di innovazione
Negli ultimi anni ci sono stati numerosi tentativi di definire un ordine concettuale nel processo di innovazione con lo scopo di meglio comprenderlo per definire le migliori strategie. Sfortunatamente questi tentativi danno una rappresentazione falsata del processo innovativo assimilandolo a un processo di tipo lineare. La discussione precedente dovrebbe aver evidenziato che i processi innovativi non sono semplici, non sono lineari e sono difficili da misurare.

6.4.1 Il Modello Lineare
Dalla Seconda Guerra mondiale il modello di innovazione consolidato è stato quello che alcuni autori hanno chiamato il modello lineare. In questo modello la ricerca precede lo sviluppo che precede la produzione che a sua volta precede il marketing:
Ricerca à Sviluppo à Produzione à Marketing
Il modello lineare distorce la realtà, che come abbiamo visto prima, è molto più complessa e legata ad aspetti economici e, tuttavia, tale modello viene ancora oggi preso in considerazione.
In questo modello non ci sono feedback dalle vendite o dai singoli utenti che invece sono essenziali per valutare le prestazioni, per definire i prossimi passi, le direzioni di miglioramento, eliminare le criticità.
In un mondo ideale si potrebbe pensare di creare una innovazione che funziona al primo colpo, già ottimizzata. Nel mondo reale dobbiamo avere a che fare con informazioni inadeguate, alta incertezza, persone fallibili. Guasti e difetti sono parte del processo di apprendimento alla base di una qualunque innovazione. Feedback accurati e conseguenti azioni correttive sono parte integrante del processo innovativo.
Un altro aspetto che porta a criticare il modello lineare è che il processo centrale della innovazione è il progetto e non la scienza. Anzi i problemi che si pongono nel progetto e nel collaudo di nuovi prodotti spesso sono all’origine di nuovi campi di indagine scientifica. Oggi sempre più la scienza dipende dalla tecnologia per i suoi avanzamenti. Nel corso della storia è discutibile il fatto che la scienza sia dipesa dalla tecnologia o che l’innovazione si basi sulla scienza.
Molte delle spinte verso la ricerca di nuovi materiali sono il risultato di feedback di problemi incontrati nella definizione di turbine a vapore, moto a reazione, semiconduttori, celle a energia solare. Nel lavoro sui sistemi di illuminazione elettrica Edison fu costretto, nonostante diffidasse della scienza, a pagare un matematico per analizzare i circuiti paralleli. Nella soluzione di problemi di flusso sulle ali Prandtl fu costretto a inventare dei metodi matematici che poi generarono una nuova branca chiamata teoria delle perturbazioni asintotiche.
Pertanto dobbiamo riconoscere che sempre più non soltanto l’innovazione si basa sulla scienza ma che la domanda di innovazioni conduce ad aprire nuovi fronti di investigazione scientifica (questo concetto è stato poi ribadito da Stokes con il suo quadrante di Pasteur).
La scienza è assolutamente importante ma dobbiamo riconoscere che la maggior parte delle innovazioni si realizza con la conoscenza disponibile nella testa delle persone e in modo minore con altre informazioni facilmente accessibili. Quando l’insieme di queste informazioni non sono sufficienti a risolvere un determinato problema allora si pone il bisogno della ricerca per completare una data innovazione.
Pertanto l’affermazione che l’innovazione è basata sulla ricerca è errata nella maggior parte dei casi. Sono pochi i casi in cui la ricerca genera innovazioni. Quando succede sono innovazioni spesso rivoluzionarie come i semiconduttori, i laser, l’ingegneria genetica. Ma anche in questi casi l’innovazione deve passare attraverso una fase di progetto e deve essere sottoposta a verifiche sul mercato se si vuole portare a compimento. Nella prima fase, solitamente chiamata fase alfa, il progetto innovativo ha di solito un impatto economico trascurabile. Prima di avere un impatto economico significativo deve passare attraverso la fase detta Beta, che richiede soprattutto l’applicazione delle conoscenze disponibili nella organizzazione innovativa.
Un’altra osservazione è che anche quando la scienza non fornisce risposte adeguate si possono creare importanti innovazioni. Un membro dell’accademia nazionale degli ingegneri non è riuscito ad analizzare la stabilità di una bicicletta con il suo guidatore. Tuttavia la mancanza di una teoria non ha evitato l’invenzione della bicicletta e non ha limitato lo sviluppo di biciclette di standard qualitativi sempre più alti per un’ ampia categoria di utilizzazioni. Così come la mancanza di una teoria non evita che un bambino di 5 anni non possa in poco tempo imparare ad andare in bicicletta stabilizzando il sistema uomo-macchina. Se fosse stata vera l’idea che la scienza è alla base dell’innovazione non avremmo inventato la bicicletta.
E’ tuttavia evidente che quanto maggiore è lo stock di conoscenza teorica e pratica disponibile tanto più fluido è il processo innovativo.
Se questi sono i limiti evidenti del modello lineare di innovazione che cosa si può pensare al suo posto?

 

6.4.2 Il modello a catene collegate

Ricerca

Conoscenza

Mercato potenziale

Invenzione e/o produzione del progetto analitico

Progetto di dettaglio e verifica

Riprogettazione e produzione

Distribuzione e mercato

Una possibile alternativa al modello lineare è il modello a catene collegate, oggi noto come modello di Kline e Rosenberg. Nella figura sono evidenziati gli elementi del modello a catena.  In questo modello di innovazione non c’è un  solo percorso come nel modello lineare ma cinque.
Il primo percorso del processo di innovazione è la catena centrale dell’innovazione. E’ indicata da una lettera C. Il processo cominicia con il progetto e passa attraverso lo sviluppo, la produzione e il marketing. E’ importante notare che il secondo percorso è costituito da una serie di feedback indicati con f ed F. Questi feedback provenienti dai bisogni percepiti sul  mercato determinano miglioramenti potenziali nelle prestazioni del prodotto nella successiva fase di progettazione. In questo senso il feedback è parte della cooperazione tra le specifiche del prodotto, lo sviluppo del prodotto, il processo di produzione, il marketing e la componente di servizio di una linea di prodotto.
Un bisogno di mercato percepito verrà soddisfatto solo se possono essere risolti i problemi di natura tecnica associati e il guadagno di performances verrà implementato solo se apprezzato dal mercato. In questa visone gli argomenti che spingono verso una distinzione tra market pull e technology push sono in qualche modo artificiali poiché ogni bisogno di mercato che interviene nel ciclo innovativo determina nel tempo un nuovo progetto e a sua volta ogni nuovo progetto di successo a sua volta determina nuove condizioni del mercato.
Abbiamo già visto che la moderna innovazione è spesso impossibile senza la conoscenza scientifica e che a sua volta il lavoro di sviluppo spesso richiede nuovi sviluppi scientifici per risolvere specifici problemi (Prandtl). Pertanto il legame tra scienza e innovazione non è solo all’inizio di una tipica innovazione ma si estende piuttosto lungo tutto il processo. La scienza può essere visualizzata come distribuita lungo tutto il processo di sviluppo per essere usata quando richiesta. Questo collegamento lungo la catena centrale dell’innovazione è il terzo percorso è mostrato nella figura dalla freccia D e dai collegamenti K-R. Per questa ragione il modello prende il nome di modello a catene collegate.
Una visione molto più chiara dell’innovazione si ottiene quando noi comprendiamo non solo che il legame verso la scienza giace lungo il processo di sviluppo ma anche che l’uso della scienza avviene in due stadi corrispondenti alle due parti principali della scienza che abbiamo chiamato conoscenza e ricerca. Quando ci imbattiamo in un problema di innovazione tecnologica per prima cosa ci basiamo sulla scienza costituita dalle conoscenze acquisite. Soltanto quando non riusciamo a trovare le informazioni richieste, come spesso accade, si passa alla secoda fase della scienza, la ricerca di nuova conoscenza. Naturalmente questa attività è sempre un processo costoso che richiede tempo.
Vale la pena sottolineare la distinzione tra invenzione e progetto analitico. Per invenzione intendiamo un nuovo modo per svolgere qualche funzione che non risulta ovvia per qualcuno esperto nel settore. Sottolinea perciò un significativo distacco dalla pratica precedente. Il progetto analitico invece è una pratica di routine che consiste nell’analisi di varie combinazioni di componenti esistenti o modifiche del progetto entro i confini dello stato dell’arte per compiere una  nuova funzione, o per svolgere vecchie funzioni in modo più efficiente o a costi più bassi. La progettazione analitica è una forma di innovazione incrementale ed è un attivatore della catena centrale dell’innovazione molto più frequente rispetto all’invenzione.
Il quarto percorso è sempre lungo il percorso D. Ma questa volta è l’attività di ricerca che rende possibili alcune innovazioni radicali. Queste innovazioni sono rare ma quando si realizzano creano un nuovo settore industriale. Esempi recenti sono i semiconduttori, i laser, l’energia nucleare, l’ingegneria genetica.
Il quinto percorso, indicato dalla lettera I è il feedback dall’innovazione alla scienza. Senza il microscopio non sarebbe stato possibile il lavoro di Pasteur e senza quel lavoro non avremmo avuto la medicina moderna. Senza il telescopio non avremmo avuto il lavoro di Galileo e senza quel lavoro non avremmo una moderna astronomia né sarebbero state possibili le esplorazioni spaziali. Lo sviluppo e la diffusione dei computer ha consentito di aprire nuovi campi di indagine (nell’ingegneria la simulazione numerica nelle sue varie forme).
Alla fine, tutte quelle interpretazioni degli aspetti tecnici dell’innovazione che suggeriscano un cammino centrale per l’innovazione in cui la scienza gioca un ruolo centrale come origine dell’innovazione sono troppo semplici e limitati e distorcono il nostro modo di pensare sulla natura del processo di innovazione. Il modello a catene collegate, sebbene apporti un considerevole miglioramento al modello lineare, è solo un modello schematico e pertanto omette una serie di dettagli significativi.

Riquadro – 8. “S” does note equal “T” and “T” does not equal “I”, The first United Kingdom Innovation Lecture, by Akio Morita, Chairman Sony Corporation delivered at the Royal Society in 1992.

Introduction
.... Speaking for innovation is a lot like speaking for education and peace – who can argue against you? But, as with issues like education and peace, everyone approve the goals but no one is quite sure how to reach them. A classic example of “easier said than done”. Nonetheless, I shall attempt tonight to bring some ideas –both new and fundamental – to the table in the hope of shedding more light on the elusive path to innovation. ... Let me begin by explaining the title of my lecture. As a student of physics, I often prefer to conceptualize a problem in the style formula. Here, the symbol “S” stands for Science – basic science – “T” means Technology; “I”, Innovation. So to translate my title into a layman’s terms it would be: “Science alone is not Technology” and “Technology alone is not Innovation”.

Science alone is not technology
This nation, better than any other, understands the vital role science has played throughout the course of human history. Michael Faraday, James Watt,  Sir Frank Whittle (motore a reazione) are heroes to all of us who know science....However, whereas men like these were able to extend their scientific theories a step further into the field of working technology, it seems today that this step is harder to take. And to an industrialized economy, failure to make this step underlies the difficulty in trasforming world-class science into viable, commercial technology. Why the difficulty? I believe we can say that it basically stems from an imbalance in priorities. While certainly it is good and noble to place emphasis on basic research and science, placing to many eggs in this basket takes away from important work done by commercial engineers and applied researchers. This imbalance is not only a financial one, it is also a question of prestige; the image society has of engineers versus scientists ..that are held in high esteem. .....Basic scientific research provides us with information which, though previuosly unknown, only offers hints (una debole traccia) at the future. It is the engineer who can take these theories and basic building blocks and from them create a technology. I believe that technology comes from employing and manipulating science into concepts, processes and devices. These in turn can be used to make our life or work more efficient, convenient and powerful. So it is technology, as an outgrowth of science, which fuels the industrial engine. And it is engineers, not scientists, who make technology happen. And the true visionaries who can really capture technology and use it to chart the future course of industry are what I call  “technologist”. I understand that in UK this term mean something like “commercial scientist”: but I define it differently. By “technologist” I am referring to those rare individuals who have a wide understanding of science and engineering, as well as a broad vision and true commitment to the needs of society. People with this depth of understanding can adapt and apply technology with imagination, wisdom and humanity.

The role of the technologist
Thus, in order to succeed in maintaining and strengthening the vital manufacturing base of the economy, it is crucial that society helps to encourage the development of more engineers and “technologist”. The key to competitiveness in a borderlines, “high tech” world does not lie beneath the microscope lens of the laboratory scientist, but on the drawing boards and computer screens of electrical engineers, software developers and design experts. At the same time, I believe we should not only encourage more young people to pursue engineering studies, but we must also – on corporate level – advance young technologists through the managerial ranks. Manufacturing and high technology corporations must be led by those who understand not just business but technology as well. Manufacturing and high technology corporations must be led by those who understand not just business but technology as well. Just as you wouldn’t have a rugby coach who never played the game, how can someone who doesn’t understand the workings of technology take the reins of a manufacturing operation? How could that kind of person make the correct, intuitive judgement regarding R&D budgets, factory automation and the unseen potential of a new technology? In Japan, you will notice that almost every major manufacturer is run by an engineer or technologist. However, here in the UK, I am told some manufacturer are led by CEOs who do not understand the engineering that goes into their own products. Someone once mentioned to me that many UK corporations are headed by Chartered Accountants. This strikes me as very curious. Though I have a great deal of respect for accountants and financial professionals I do nor believe they should be at the helm of industry. For an accountant, the central concern is statistics and figures – of PAST performance. So how can an accountant reach out and grab the future if he is always looking at LAST quarter’s results. Now if we can agree that science alone is not technology, amid it is technology which drives industry, and it is the engineer who guides technology, we must also agree that the role of the engineer deserves more respect from society and a higher priority by industry. For no matter how many important initiatives government bodies like the DTI are able to launch, it is the corporate world which must take up the banner on this issue.
Industry must encourage amid advance the engineers within its own ranks in order to draw young talent back into manufacturing. By placing greater value on engineers, we demonstrate our commitment to place greater value on high and new technologies. But before I concentrate too much emphasis on the importance of technology, let me move to my second formula.

Technology alone is not innovation
I find this point to be fundamental though some people may disagree. From a corporate perspective, just having innovative technology is not enough to claim true innovation. I see true  innovation to be made tip of three key elements which I call “the three creativities”. Creativity in technology, of course, plus creativity in product planing and marketing as well.
Creativity in product planing is so important, tough many do not seem to recognise this. What difference does it make how fantastic and innovative your new technology is if you do not have the ability to design a useful, attractive, “user friendly” product? Videotape recording technology was first introduced to the consumer market in 1965, but the home video market was not born until 1975. That was when innovative product planners took the tape out of the reels (bobine) and put it into a convenient Betamax cassette for home use.
Creativity in marketing also cannot be overlooked. Again, if you have great technology and even a great product, you will only find success if the market is informed to welcome your product. If I may again borrow an example from Sony’s history, take a look at the case of the Walkman. Many have called it an innovative marvel, hot where is the technology? Frankly, it did not contain any breakthrough technology. Its success was built on product planning and marketing .....But to emphasise that even if you achieve excellence in technology that alone will not ensure that an industry or a single company will become innovative. True innovation requires all three types of creativity and again, from a corporate perspective, this is going to require innovative management.

Innovation in management
On a structural level, innovative management demands that all phases of the operation be seen as links in a single chain of innovation. Each link allowed to pursue its own challenges. By links I am talking about applied research, development, design, production engineering, manufacturing, sales and services. Each link vitally important but equally so. It is important that the “prestige level” of each link it is be similar in order to keep high achievers motivated in each group. And the creation and promotion of this approach is the responsability of top management.

The innovation mandate
The innovation process does not begin by bubbling up from the research and development laboratory, or from brainstorming sessions by the product planners. The innovation process begins with a mandate which must be set at tine highest levels of the corporation by identifying goals and priorities: and once identified these must be communicated all the way down the line. The targets you set must be clear and challenging because you cannot wait for innovation to just show up at your company one day. But you need not, and should not, possess the entire solution to the challenge you set. You just have to be sure that the target you raise is realistic, though it might appear impossible. The classical, and still the best, example of this is when President John Kennedy proclaimed that the United States would have a man on the Moon before the end of the decade. He raised the target, some called it fantasy, but a man did walk on the Moon in the summer of 1969.
The innovation mandate, as determined by top management, can only succeed in an environment which nurtures it. That corporate environment must promote goal sharing, unity of purpose, and the sense that everyone from the CEO to the factory operator are “all on the in the same boat”. To sail, or sink, as one. Creating this environment is not an easy task, but without it innovation does not have much of a chance.......I still find the challenge exciting and here in the UK, I can see that these issues are receiving the highest priority. (AND IN ITALY?)

Riquadro – 9. Interazioni tra R&S e marketing tratto da M. Kotabe e K. Helsen, Global Marketing Management, Wiley, 2004, p.308.  La conoscenza dei bisogni dei consumatori da parte degli uomini di marketing è indispensabile nello sviluppo di nuovi prodotti. Senza una approfondita interpretazione dei bisogni dei consumatori i progettisti e gli ingegneri propendono a imporre le loro specifiche tecniche dei  prodotti piuttosto che adeguarsi a ciò che i consumatori chiedono. Dopo tutto sono i consumatori e non i progettisti o gli ingegneri che hanno l’ultima parola sulla decisione se acquistare o non acquistare un prodotto. (Come dice von Hippel in Democratizing Innovation: “i clienti e non i fornitori guidano l’innovazione.”)
Le aziende giapponesi eccellono nel management dell’interfaccia tra marketing e R&S, nella capacità cioè di far dialogare efficacemente la cultura tecnica con quella commerciale per alimentare i processi innovativi. Una delle fonti di vantaggio competitivo si basa sulla volontà delle due divisioni di coordinare le loro rispettive attività in modo concorrente. In un ambiente tradizionale in cui un nuovo prodotto o viene spinto dai reparti di R&S attraverso il manufacturing e il marketing verso le vendite o, al contrario, lo sviluppo di un nuovo prodotto è trainato dai reparti di marketing che intercettano sul mercato nuovi bisogni. Questi due approcci unidirezionali all’innovazione di prodotto R&S à Marketing o Marketing à R&S richiede troppo tempo e rallenta le decisioni in tempi di competizione accelerata. Le imprese giapponesi adottano invece un approccio concorrente.
Le divisioni di R&S e di marketing delle imprese giapponesi sono sempre alla ricerca di applicazioni di tecnologie emergenti che possano soddisfare meglio i bisogni dei consumatori. Questa attività consente loro di acquisire esperienza da parte dei concorrenti, scoprire falle nella tecnologia, ridurre costi, migliorare le prestazioni e adattare i progetti per un uso su scala mondiale.
In altre parole il mercato diventa per le imprese giapponesi un laboratorio virtuale di R&S per acquisire esperienze di produzione e di marketing e per perfezionare le tecnologie. Ciò richiede uno stretto contatto con i consumatori sugli input dei quali migliorano continuativamente i loro prodotti introducendo un prodotto dopo l’altro con design, prestazioni, affidabilità e prezzi sempre migliori.
Per esempio la Philips commercializzò il primo videoregistratore nel 1972, tre anni prima che i giapponesi entrassero in questo mercato. Ma la Philips impiegò 7 anni prima di sostituire la prima generazione di videoregistratori  mentre i produttori giapponesi durante un periodo di cinque anni lanciavano un attacco con almeno tre generazioni di videoregistratori sempre migliori.

6.5 L’incertezza nell’innovazione
La dimensione centrale dell’innovazione è l’incertezza. Per definizione l’innovazione implica creare qualcosa di nuovo e il nuovo contiene elementi che solitamente all’inizio non comprendiamo. Inoltre il grado di incertezza è fortemente collegato con l’entità dell’avanzamento che proponiamo con una data innovazione.
E’ utile pensare al range delle innovazioni possibili partendo da quelle che non determinano incertezza a quelle che generano grande incertezza.  Nel primo caso abbiamo piccolo cambiamenti; possiamo decidere di scegliere un nuovo colore per la verniciatura di un’autovettura. Non c’è nessuna incertezza nel cambiare il colore di una autovettura ma tuttavia può avere importanti conseguenze commerciali. Nella competizione tra Ford e General Motors quest’ultima usò questa leva per contrastare la leadership della Ford.
All’altra estremità dello spettro possiamo avere dei cambi rivoluzionari. Vogliamo mandare l’uomo sulla Luna, sviluppare amplificatori a basso costo abbandonando le valvole per i transistor. Qui l’incertezza è molto ampia e i costi di sviluppo iniziali possono essere tanto alti che nessuna azienda voglia correre questo rischio. In questi casi, interventi pubblici o la costituzione di consorzi possono essere necessari per ridurre i rischi e per procurare le risorse necessarie.
Per questa ragione è bene concettualizzare questi due tipi di innovazione come radicale ed incrementale.
Il modello a catena mostra chiaramente che ci sono molti punti in cui l’incertezza del prodotto finale, del processo di produzione e del marketing può essere ridotto. Si possono usare dei computer per studiare un nuovo prodotto e per ottimizzarne le prestazioni (tutte le applicazioni della simulazioni numerica vanno in questa direzione). Tutte le attività di testing vanno in questa direzione. Si possono effettuare dei test sui metodi di produzione di un nuovo prodotto. Si possono eseguire test sul gradimento di un prodotto da parte dei consumatori. In ultimo ci sono diversi metodi per ridurre l’incertezza ad ogni passo e in ogni feedback del modello a catene collegate. E’ anche possibile ridurre il tempo di sviluppo del prodotto parallelizzando alcune attività ma questo può essere rischioso quando l’incertezza sul progetto finale è alta.
Diversi sono i problemi e le focalizzazioni dei processi innovativi lungo il ciclo di vita del prodotto. Durante le prime fasi, l’incertezza è molto alta e la competizione si concentra sui miglioramenti delle prestazioni in riferimento al soddisfacimento dei bisogni del consumatore. Quando questi problemi sono risolti ed emerge un progetto dominante o una classe di progetti dominanti l’industria matura e la natura delle innovazioni si focalizza sulla riduzione dei costi di produzione. In questa fase dominano quindi le innovazioni di processo.
Sempre in tema di incertezza, esistono chiare risultanze che prodotti tecnologici complessi possono avere nei primi anni difficoltà. In questi casi l’innovatore schumpeteriano rischia di frequentare le aule di tribunali per fallimento mentre il rapido imitatore o il veloce secondo che sta indietro e impara dagli errori del pioniere può avere grandi successi commerciali.

6.6 Integrazione di aspetti tecnici ed economici
L’intero processo dell’innovazione tecnologica deve essere concepito come una attività di ricerca – una ricerca indirizzata a prodotti che hanno nuove e migliori combinazioni di caratteristiche di performance o nuovi modi di fabbricazione di prodotti esistenti. Questa attività di ricerca è indirizzata non soltanto dalle forze economiche che riflettono considerazioni sui costi ma anche dallo stato dell’arte della tecnologia e dalla domanda sul mercato da parte dei consumatori. Una innovazione tecnologica di successo è il risultato di una efficace combinazione del livello tecnologico con quello economico e cioè di combinare lo stato della conoscenza tecnologica disponibile con quelli che sono i bisogni e i desideri dei consumatori. Ma quello che costituisce bisogno o desiderio per il consumatore oggi è talvolta differente da quello che sarà in futuro (basti pensare a quello che è successo nel settore della telefonia partendo dal telefono fisso che sembrava una cosa solo divertente, un gioco, al cellulare che a molti di noi sembrava inizialmente una cosa poco utile, all’i-phone). Le innovazioni veramente importanti spesso sono arrivate in anticipo rispetto ai loro tempi e hanno creato mercati che prima non esistevano e che non erano stati previsti se non da alcuni innovatori che avevano una visione che li portava a guardare lontano.
Il processo di ricerca e sviluppo spesso viene assimilato all’innovazione. Se ciò fosse vero l’innovazione sarebbe molto più semplice di quello che in effetti è. Una innovazione di successo richiede una stretta integrazione tra il livello tecnico e quello economico in modi che possono essere sostenuti dall’organizzazione mentre si soddisfano i bisogni del mercato. Ciò implica una stretta integrazione  tra diverse funzioni aziendali, marketing, R&S, produzione.

6.7 Conclusioni
Un secolo fa l’innovazione organizzata era rara e l’innovazione era pertanto molto più lenta. L’innovatore di successo poteva acquisire significativi vantaggi competitivi. Oggi l’innovazione è necessaria per stare sul mercato, senza innovazione continua si viene estromessi dal mercato. Nella parte precedente si è cercato di mettere in luce la complessa natura dell’innovazione.
Vediamo alcune conclusioni.
Il modello a catena evidenzia che l’innovazione è un processo incerto, in qualche modo disordinato, complesso e soggetto a cambiamenti. L’innovazione è difficile da misurare e richiede una stretta coordinazione di conoscenze tecniche adeguate e di lettura del mercato con l’obiettivo di soddisfare contemporaneamente vincoli tecnologici ed economici. Un modello che descriva l’innovazione come un solo processo o ne attribuisca l’origine ad una sola causa dà una rappresentazione distorta della realtà e quindi inficia la bontà di un processo decisionale.
Al contrario del pensiero comune il passo iniziale di una innovazione non è la ricerca ma piuttosto il progetto. Questo progetto iniziale può prendere la forma di invenzione o di progetto analitico.
La scienza ha due ruoli principali che influenzano l’innovazione. Una parte, la conoscenza consolidata sulla natura è un ingrediente essenziale nella maggior parte delle innovazioni. E’ impensabile oggi pensare a innovazioni tecnologiche di successo senza utilizzare un input significativo di conoscenza scientifica o di altre forme di pensiero. Persino gli inventori che denigrano la scienza (persiste ancora oggi la diffidenza tra sapere e fare) hanno introiettato forme di pensiero legate alla conoscenza scientifica. Ma questa conoscenza si trasforma in innovazione in modo principale attraverso la conoscenza esistente nella testa delle persone che lavorano in un’organizzazione e in modo meno diretto attraverso informazioni rapidamente accessibili a loro. Si ricorre ad attività di ricerca soltanto quando tutte queste risorse di conoscenza consolidata sono inadeguate.
La attività di ricerca supporta tutto il percorso dell’innovazione. Tuttavia con modalità differenti a seconda degli stadi di sviluppo dell’innovazione. Nella prima fase della catena, soprattutto per le innovazioni più importanti, la ricerca è spesso indistinguibile dalla ricerca di base. In seguito la ricerca si sposta verso questioni di sistema (combinazioni di dispositivi) e poi di processo (come industrializzare un processo di produzione). Queste forme di ricerca non sono considerate come scienza ma sono tuttavia necessarie per completare il processo innovativo. L’importanza di questo tipo di ricerca è spesso stata sottostimata.
Il modello a catene collegate indica cinque percorsi che contribuiscono a definire il processo innovativo. Oltre al percorso centrale è possibile individuare:

  • numerosi feedback che collegano e coordinano l’attività di ricerca e sviluppo con la produzione e il marketing;
  • collegamenti laterali alla ricerca lungo tutta la catena centrale dell’innovazione;
  • ricerca di base di lungo termine che determina innovazioni significative;
  • potenziamento del componenti, del sistema e dei processi attraverso la ricerca e supporto alla scienza stessa attraverso i prodotti delle attività innovative attraverso gli strumenti resi disponibili dalla tecnologia.

L’incertezza caratterizza l’attività innovativa. Il livello di incertezza è correlato con l’entità del cambiamento. Mentre nelle prime fasi del ciclo di vita del prodotto i problemi principali riguardano la individuazione di un progetto soddisfacente e di organizzare una produzione stabile e il marketing, nelle fasi successive del ciclo di vita del prodotto l’enfasi si sposta sulle modifiche nei processi che conducono a riduzioni di costo. Ciò serve per innalzare i margini di profitto o per compensare le riduzioni nei prezzi di vendita che possono seguire il lancio del prodotto.
Il grado di incertezza dipende anche dal livello delle conoscenze scientifiche e ingegneristiche sottostanti. Quando la base scientifica consente accurate previsioni l’innovazione può essere più rapida e meno incerta. Viceversa la mancanza di una base scientifica consolidata non permettendo previsioni, aumenta l’incertezza legata all’innovazione.
Alcune organizzazioni sono molto efficaci nella gestione di processi innovativi ad alto rischio, nella gestione di innovazioni radicali altre invece si specializzano in piccoli e cumulativi cambiamenti che riducano i costi e adattano meglio i prodotti a specifiche nicchie di mercato. Entrambi i tipi di innovazioni sono importanti. Il controllo dei costi è importante per rimanere competitivi nel breve periodo mentre il movimento verso prodotti radicalmente innovativi è la chiave per la competizione nel lungo periodo.
Alla fine possiamo concludere che il processo innovativo deve essere visto come un insieme di cambiamenti che riguardano non solo l’hardware ma anche il mercato, gli impianti di produzione, la conoscenza e i contesti sociali della organizzazione innovativa.

7. Innovazione e crescita economica

Gli indirizzi della politica economica dei paesi mirano ad accrescere il benessere delle popolazioni che è strettamente collegato ai livelli della crescita economica. E’ per questo che i dati della crescita economica di ogni paese vengono costantemente monitorati. Una delle misure più impiegate  è la variazione di periodo del Prodotto Interno Lordo (PIL) che esprime il valore globale dei beni e dei servizi prodotti dagli operatori economici del paese in un fissato intervallo temporale. Il nostro Paese, dopo anni di accelerata crescita economica che gli ha consentito di essere inserito tra i paesi del Gruppo dei 7 (G7- Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Stati Uniti), negli ultimi anni registra valori annuali di crescita del PIL vicini all’1%. Tali valori, confrontati con quelli di altre economie, posizionano l’Italia tra i paesi a più lenta crescita economica minando nel futuro la posizione del paese nell’economia internazionale.


Riquadro 9 - Innovazione e Competitività dell’Italia nel breve periodo. Se si assume come misura della competitività di un paese il tasso di crescita del PIL pro-capite nel lungo periodo, il nostro paese non sfigura nel confronto con gli altri grandi paesi europei. Nel periodo 1970 – 2006 si registra una crescita media del valore del PIL pro-capite del 2.0%. Le cose cambiano in maniera significativa se si osserva invece l’andamento nel breve periodo, in particolare, concentrandosi sulla crescita degli ultimi anni. Nel periodo 2000-2006 la crescita si attesta su valori che sono di un ordine di grandezza inferiore (0,2%) a quelli registrati nel lungo periodo. Gli altri grandi paesi europei mantengono invece i dati del lungo periodo (v. Ignazio Visco, Investire in conoscenza per la crescita economica, il Mulino, 2009, Fig. 1 p. 11).
I primi anni del XXI secolo sono quelli in cui i fenomeni della globalizzazione economica hanno dispiegato con maggior forza i loro effetti sulle dinamiche dell’economia mondiale. In questo periodo l’Italia non è riuscita a mantenere la propria quota nel commercio mondiale in corrispondenza dell’ affacciarsi di nuovi protagonisti sull’arena economica internazionale (vedi dati sul commercio internazionale dell’Italia – ICE, WTO).
Il Paese ha sofferto maggiormente sulle manifatture tradizionali ed a basso valore aggiunto in cui la competizione, basandosi in prevalenza sul fattore prezzo, non poteva che vedere soccombere i produttori italiani rispetto a quelli di paesi come la Cina in cui da un lato l’operatività su un mercato globale ha consentito la realizzazione di forti economie di scala  e dall’altro il basso costo dei fattori della produzione (in primo luogo il fattore lavoro, ma anche energia, scarsa attenzione ai fattori ambientali, condizioni di lavoro (sicurezza), ecc.) hanno consentito di immettere sul mercato prodotti a prezzi imbattibili e irraggiungibili dai sistemi produttivi localizzati nei paesi a economia avanzata (USA, Europa, Giappone).
Il Paese si è invece ulteriormente rafforzato sulle produzioni caratterizzate da più alta intensità tecnologica o più innovative, sotto il profilo del design, cioè in quelle produzioni in cui la competizione si basa sul fattore qualità o sul livello di servizio al cliente (capacità di customizzare il prodotto grazie ad una alta flessibilità produttiva) in cui l’ampliarsi del mercato consente aumenti nei volumi di produzione senza penalizzare i margini di profitto. Ci si riferisce in particolare a quei settori in cui il know-how tecnologico e produttivo (reti e distretti produttivi) o  l’ italian style hanno determinato gap qualitativi incolmabili per i nuovi entranti.
Tuttavia i vantaggi competitivi conseguiti con le produzioni innovative non hanno però compensato a sufficienza la perdita di capacità di stare sui nuovi mercati delle produzioni più tradizionali.

Le sfide della globalizzazione che investono i singoli paesi pongono seri problemi alla crescita economica degli stessi che devono tener conto nella elaborazione delle politiche nazionali di un quadro economico internazionale in rapido mutamento.
Lo studio della crescita economica è un settore dell’economia che negli ultimi anni ha ricevuto grande attenzione. 

Molti degli studi, a partire da quello di Solow (1957), hanno evidenziato il fatto che il principale determinante della crescita economica dei paesi avanzati è il progresso tecnologico. L’innovazione è il motore della crescita economica e l’innovazione è incentivata dalla competizione.

Il secolo scorso ha visto nascere l’industria su basi scientifiche - Noble (Capitolo I) - che ha fondato il suo sviluppo sull’impiego delle conoscenze scientifiche. Ecco allora che a sua volta il principale determinante del progresso tecnologico diventa il capitale umano e la capacità di ampliare i confini delle conoscenze scientifiche (formazione e ricerca).

Nel nostro paese le attività di ricerca e di formazione sono prevalentemente sotto il controllo pubblico. Tuttavia: “la sfida che oggi devono affrontare tutti i paesi industrializzati è quella di inventare nuove istituzioni che incoraggino nel settore privato un più alto livello di attività di ricerca applicata e commercialmente rilevante” (P. Romer, Economic growth, The Concise Enciclopedia of Economics, 2007).

Emerge quindi in maniera stringente una correlazione tra patrimonio di conoscenza scientifica di un paese e crescita economica secondo una catena che vede:

SCIENZA à TECNOLOGIA e INNOVAZIONE à CRESCITA ECONOMICA

Se nell’attuale scenario competitivo la base scientifica di un paese è condizione necessaria per accelerare la crescita economica, la presenza di una solida base scientifica non è una condizione sufficiente.
Chi tiene insieme questa catena? Gli imprenditori e il sistema delle imprese di un paese e, in particolare, gli imprenditori con una forte propensione all’innovazione e il sistema delle imprese innovative, quelle cioè che stanno sulla frontiera della tecnologia a livello internazionale.

Ma non solo, conta anche il contesto in cui operano gli imprenditori e le imprese in un paese e in particolare tre pilastri che stanno alla base dello sviluppo economico su basi scientifiche:
a) un sistema nazionale della formazione e della ricerca allineato ai più alti standard internazionali ed un ambiente che stimola la creatività scientifica (v. Bush, Science: The Endless Frontier e Stokes, Pasteur’s Quadrant);
b) un efficiente sistema di finanziamento delle attività di produzione innovative basato sulla disponibilità di capitale di rischio (Marino, L’innovazione attraverso la creazione di start-up ad alta tecnologia, Egea – Sviluppo Italia e Branscom, Death Valley;
c) un sistema di tutela della proprietà intellettuale che incoraggi gli investimenti in ricerca e innovazione assicurando diritti sullo sfruttamento dei risultati (seminario ing. Marco Calì). 
E infine la infrastruttura sociale che significa il sistema delle leggi che regolano l’economia e il lavoro, le convezioni e il clima sociale (visione del futuro, la speranza - pietra fondante e lievito del sogno americano). Se la infrastruttura sociale incoraggia l’imprenditorialità, la produzione e gli investimenti, l’economia prospera, se il merito e l’impegno nel lavoro sono riconosciuti dalla società, in modi sia tangibili che intangibili, la produzione cresce quantitativamente e qualitativamente. Se l’ambiente è competitivo in modo sano l’innovazione viene accelerata e così la crescita economica (la competizione tra le imprese è il miglior incentivo all’innovazione – Samuelson p. 653 “La necessità è madre dell’invenzione”). Invece la diffusione di pratiche di corruzione, i furti, la criminalità possono avere conseguenze devastanti per la crescita economica. Così regole e un’oppressiva burocrazia che limitano la libertà economica, cattivo funzionamento e lentezze nella pubblica amministrazione contribuiscono a rallentare la crescita economica.
Su questi aspetti è interessante Douglass North e Robert Thomas, The rise of the western world, Cambridge University Press, 1973 citato a p. 148 su  Charles Jones, Introduction to Economic Growth, Norton, 2002.

Ecco allora che per parlare oggi di innovazione a 360° è bene conoscere questi aspetti (quelli sottolineati in neretto) e le connessioni che determinano il funzionamento di un sistema di innovazione di un paese avanzato, o come viene chiamato oggi in modo più appropriato, un ecosistema dell’innovazione.

Riquadro 10 -  Un messaggio dell’ex Ambasciatore USA in Italia Ronald Spogli da il Sole 24 Ore del 21 marzo 2010 “Bene la creatività ma serve più spazio per l’innovazione.
“…Come ho ripetuto per tutto il mio mandato, lo sviluppo delle imprese ad alto contenuto tecnologico rappresenta una delle chance di sviluppo più importanti per questo paese, che negli anni scorsi è cresciuto meno degli altri e adesso che c’è da uscire dalla crisi rischia di perdere ulteriore terreno rispetto a tutti i suoi competitor.  … Qui ci sono tutti gli ingredienti per creare un ecosistema hi-tech, in grado di generare ricchezza: persone brillanti con ottime idee, buoni centri di competenza, un fattore determinante come la creatività. Sono questi gli elementi fondamentali per costruire un ecosistema efficiente, e in Italia sono tutti rappresentati.”
Va dato merito all’ex Ambasciatore Spogli di aver avviato il programma Partnership for Growth per rafforzare la cooperazione economica tra Italia e USA in particolar modo nel settore dell’imprenditorialità dalla ricerca.

Provate a schematizzare le relazioni tra gli aspetti evidenziati.

7.1 La Crescita economica (tratto e adattato da David N. Weil, Economic Growth, Pearson Education, 2005)
Le Disuguaglianze nel mondo
Viviamo in un mondo di ricchi e poveri. I 6,4 miliardi di persone che abitano la terra vivono in un range molto ampio di condizioni economiche.
Nei paesi in via di sviluppo 826 milioni di persone non hanno abbastanza cibo, 1 miliardo non hanno accesso ad acqua da bere sicura e 2,4 miliardi hanno difficoltà ad accedere a condizioni igieniche accettabili. Circa 10000 bambini muoiono ogni giorno per malattie causate da acqua inquinata. All’estremo opposto, nei paesi industrializzati, le malattie da eccesso di alimentazione hanno sostituito quelle causate da scarsa nutrizione diventando tra i principali problemi sanitari. Tra i paesi classificati come altamente sviluppati dalle Nazioni Unite e in cui vivono 1,1 miliardi di persone l’aspettativa di vita  è di 77 anni. Il valore scende a 67 per i 4,05 miliardi che vivono in paesi a medio sviluppo e a 53 per gli 840 milioni che vivono nei paesi a basso sviluppo.

Le differenza negli standard di vita sono enormi.
Nei paesi ad alto reddito ci sono 443 automobili ogni 1000 abitanti mentre in quelli a basso reddito la media è 9.
In Canada nel 2000 c’erano 677 linee telefoniche ogni 1000 abitanti mentre nel Bangladesh erano 4.
L’intero continente africano con il 13% della popolazione mondiale ha consumato il 2,9% dell’energia elettrica prodotta nel mondo. Gli Stati Uniti, con il 5% della popolazione mondiale, hanno invece consumato il 25% dell’energia elettrica prodotta.
Un quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi più ricchi produce il 62% del reddito. La banca mondiale stima che 1,2 miliardi di persone sopravvive con meno di un dollaro al giorno e che tra 2,5 e 3 miliardi vive con meno di due dollari al giorno.
Un lavoratore dell’Etiopia deve lavorare un mese e mezzo per guadagnare quello che un americano o un europeo guadagna in un giorno (Jones p. 193)

Queste differenze fanno sorgere la domanda sul perché alcuni paesi siano ricchi ed altri poveri.

Simili differenze le possiamo riscontrare nella storia di uno stesso paese, in particolare di quelli che hanno avuto un forte sviluppo. Un bambino giapponese nel 1880 aveva un’aspettativa di vita di 35 anni mentre oggi si arriva ad un valore di 81 anni. Nel Regno Unito, a seguito di una migliore nutrizione, l’altezza media degli uomini è cresciuta di 9,1 centimetri tra il 1775 e il 1975. Nel 1958 un lavoratore americano che riceveva un salario medio doveva lavorare 333 ore per comprarsi un frigorifero mentre oggi gli bastano 60 ore. La percentuale del reddito che gli americani spendono nel tempo libero è triplicata negli ultimi cento anni e al contempo la frazione del reddito destinata al cibo si è ridotta di 2/3.
La crescita nella ricchezza materiale si è accompagnata da una significativa riduzione nel lavoro. Negli Stati Uniti nel 1861 l’orario della settimana lavorativa prevedeva 61 ore mentre oggi la media è pari a 34.
Crescita e velocità della crescita – Un lavoratore medio giapponese ha un reddito che è circa 10 volte quello dei suoi nonni mentre un lavoratore americano ha oggi un reddito che è il doppio di quello dei suoi nonni (Jones p.193).
Per la maggior parte della storia dell’umanità leggere in assenza di luce solare era un privilegio riservato ai più ricchi. Oggi il 73% della popolazione mondiale può usare a casa l’energia elettrica.

In Warsh, La conoscenza e la ricchezza delle nazioni, Feltrinelli, 2007 a pagina 360 è riportato il grafico dell’andamento del costo dell’illuminazione dal 1750 A.C. ad oggi espresso in ore di lavoro necessarie per 1000 lumen x ora e a pag. 362 le variazioni intercorse negli ultimi 200 anni.

Crescita nelle economie del mondo. (Vedi il sito www.aw-bc.com/weil  ppt sul capitolo 1)

7.2 Sylvania e Freedonia. Una storia per capire un po’ di più sulle cause della crescita economica
Immaginate di essere il presidente di una prestigiosa azienda di consulenza economica incaricata dal re del paese di Sylvania per rispondere ad una semplice domanda: Perché la Sylvania è molto più povera della vicina repubblica di Freedonia?
Per prima cosa dovete capire quanto è ampia la differenza tra la ricchezza prodotta dai due paesi. Per fare questo occorre misurare il PIL dei due paesi. La misura dice che il PIL di Freedonia à 8 volte quello di Sylvania. I due paesi hanno però quasi la stessa popolazione e allora è semplice concludere che il livello del PIL pro capite di Freedonia è 8 volte quello di Sylvania.
Adesso che le dimensioni del problema sono note bisogna cercarne la spiegazione. Supponete che gli osservatori incaricati di esaminare le condizioni dei due paesi facciano la seguente osservazione. In entrambi i paesi i beni ed i servizi sono prodotti usando due input: il lavoro e gli strumenti che i lavoratori hanno a disposizione cioè: macchine, veicoli, edifici ed altri artefatti che complessivamente sono chiamati capitale. Gli osservatori notano che, in media, ogni lavoratore di Freedonia ha più capitale a disposizione del corrispondente lavoratore di Sylvania. Inoltre in entrambi i paesi, più capitale ha a disposizione un lavoratore maggiore è l’output che egli produce (questa condizione non sempre è verificata, per esempio la produttività del capitale nel Mezzogiorno è più bassa di quella di altre parti del Paese a causa degli effetti distorsivi introdotti da regimi di aiuti inefficienti).

Accumulazione di capitale (tassi di investimento)
Questa osservazione suggerisce che le differenze nel capitale disponibile per ogni lavoratore potrebbe spiegare le differenze nel PIL pro capite tra i due paesi. Ma quale è la fonte di questa differenza nel capitale disponibile per ogni lavoratore? Gli osservatori hanno una possibile risposta. Osservano infatti che la quantità di investimenti, cioè la percentuale di beni e servizi destinati alla produzione di nuovo capitale piuttosto che al consumo è molto più alto in Freedonia che in Sylvania e infatti gli osservatori calcolano che ogni anno gli investimenti in Freedonia sono 32 volte più alti che in Sylvania (nella nostra regione purtroppo questa percentuale è molto bassa, la struttura del bilancio della Regione è sovraccaricata di spese correnti e dedica poche risorse agli investimenti, a questo scopo dovevano essere destinati i fondi del POR 1994 – 1999, 2000 – 2006, chissà cosa succederà con i fondi 2007 – 2013?).
L’economia ci spiega che il livello del risparmio dei cittadini determina gli investimenti in nuovo capitale di un paese. Il fatto che Freedonia risparmi di più di Sylvania non è un mistero poiché Freedonia è un paese molto più ricco. Ma guardando ai numeri e cioè che mentre il PIL di Freedonia è 8 volte maggiore di quello di Sylvania e gli investimenti in Freedonia sono 32 volte maggiori di quello di Sylvania se ne deduce che il tasso di investimento di Freedonia, cioè la frazione del PIL destinato ad investimenti, è 4 volte maggiore di quello di Sylvania. La differenza nella ricchezza tra i due paesi potrebbe essere determinata da questo fatto e cioè che Sylvania risparmia e investe una frazione del PIL 4 volte più bassa di Freedonia. Poiché il tasso di investimento è più basso il capitale disponibile per lavoratore è più basso e così è più basso il PIL.
Ma l’applicazione di modelli di crescita economica (Solow, v. p. 65) ci dice che una differenza nel tasso di investimento pari a 4 volte determinerebbe il fatto che il PIL di Freedonia sarebbe soltanto il doppio di quello di Sylvania (ricordiamo che il numero di abitanti, e il numero dei lavoratori, è lo stesso) e non otto volte maggiore. Ci deve essere quindi qualche altra causa che distingue i due paesi.

Produttività  (l’efficacia con cui i fattori della produzione sono convertiti in output).
La differenza residua, misurata in un fattore 4, dicono gli osservatori dipende da un altro fattore, il fattore produttività del capitale e cioè la quantità di output prodotta con ogni unità di capitale che in Freedonia sarà certamente maggiore. Certamente la produttività è molto importante ma da che cosa dipende? Perché la produttività di Freedonia è molto più alta di quella di Sylvania?
Gli osservatori spiegano ciò col fatto che la tecnologia (e cioè la conoscenza disponibile su come gli input possono essere combinati per produrre output - significa anche il livello della formazione dei lavoratori) di Sylvania è molto più arretrata rispetto a quella di Freedonia e in particolare che Sylvania dispone, mediamente, della tecnologia che Freedonia aveva a disposizione 35 anni fa. E se Freedonia avesse oggi la stessa tecnologia di 35 anni fa quanto produrrebbe di meno. E’ possibile dimostrare (V. capitolo 7 e 10) che la risposta sarebbe la metà e questo significa che il livello della tecnologia è raddoppiato in 35 anni. Ma ci deve essere qualche altra causa, infatti la produttività è responsabile di un fattore pari a 4.
Oltre ad avere più capitale e migliore tecnologia in Freedonia le persone si impegnano di più nel loro lavoro, la qualità dei prodotti è più alta e si  perde meno tempo. Se si confrontano fabbriche nei due paesi che usano lo stesso capitale per lavoratore e la stessa tecnologia, le fabbriche in Freedonia producono di più.
Gli osservatori chiamano le ragioni di ciò efficienza e dicono che le differenze di produttività che non possono essere spiegate tramite la tecnologia possono essere spiegate tramite l’efficienza. Propongono quindi di definire la produttività = tecnologia x efficienza.
Poiché la produttività tra Freedonia e Sylvania differisce di un fattore pari a 4 e la tecnologia differisce per un fattore 2, l’efficienza deve differire di un fattore pari a 2.

In sintesi gli osservatori preparano un report che spiega che la povertà di Sylvania ha tre cause:
a) un tasso di investimento più basso che determina bassi valori di capitale;
b) una tecnologia arretrata;
c) una più bassa efficienza.
Ognuno di questi problemi contribuisce alla povertà relativa di Sylvania con un fattore 2. Pertanto se fosse possibile eliminare uno di questi problemi Sylvania avrebbe un quarto della ricchezza di Freedonia; se fosse possibile eliminarne due la ricchezza di Sylvania sarebbe metà di quella di Freedonia e se fosse possibile eliminarle tutte e tre Sylvania sarebbe ricca come Freedonia.
Il presidente della società di consulenza presenta i risultati al re di Sylvania ma il re non è pienamente soddisfatto perché anche se avete capito che cosa non va non avete spiegato le ragioni del problema. Il re dice: “E’ come se mi aveste detto che il cavallo reale non ha vinto una gara perché ha dei muscoli deboli o uno zoccolo dolorante. Non mi avete detto quali sono le cause di questi problemi: una dieta povera, un allenamento troppo intenso. Voglio conoscere le cause più profonde dei problemi del mio paese.”
Il presidente a questo punto riconvoca la squadra di osservatori e analisti per individuare i fondamentali della differenza di crescita tra i due paesi.

Il ruolo delle istituzioni
Le cause possono essere tante:
a) differenze nella cultura e nell’atteggiamento della popolazione nei confronti del lavoro;
b) differenze nelle politiche economiche (tassazione, tariffe, leggi);
c) condizioni geografiche (clima, risorse naturali, prossimità ai mercati).

Per fortuna alcune di questi fattori sono comuni tra i due paesi (per esempio hanno la stesso clima). C’ è però una sostanziale differenza tra i due paesi. E a questo punto viene presentato al re un secondo report.
Le cause della povertà di Sylvania sono da ricercarsi nella forma di governo. Il confronto tra la democrazia di Freedonia e la monarchia di Sylvania evidenzia il fatto che la monarchia fa pagare un prezzo troppo alto allo sviluppo del paese. Gli abitanti di Sylvania sono naturalmente parsimoniosi ma non sono incoraggiati a risparmiare e ad  accumulare capitale perché il re in qualunque momento può espropriarli. In Freedonia invece la proprietà è protetta e i cittadini sanno che saranno in grado di godere dei frutti della loro propensione al risparmio. In Freedonia gli inventori sono ricompensati bene quando creano nuove tecnologie (politiche per la tutela della proprietà intellettuale) mentre in Sylvania, scienziati di altrettanto talento sono dedicati allo sviluppo di nuove armi per le futili guerre volute dal re. Infine, in Sylvania la via più affidabile per ottenere una relativa agiatezza e uno status sociale è quella di ottenere i favori del re e a ciò si dedicano gli uomini e le donne più capaci (V. Barucci sull’intermediazione impropria). In Freedonia invece la via al successo è il raggiungimento di risultati concreti facendo bene il proprio lavoro. E ciò spiega perché le cose funzionano in modo più efficiente in Freedonia. Pertanto tutte le cause che noi abbiamo individuato nel primo report – scarsa accumulazione di capitale, ritardo tecnologico ed inefficienza possono essere ricondotte alla singola radice della forma di governo ed in particolare della specifica monarchia (ovviamente esistono moderne monarchie illuminate v. Spagna o Regno Unito).
Consegnato il rapporto venite inseguiti dalle guardie del re fino alla frontiera riflettendo che forse il vostro lavoro di analisi sarebbe stato apprezzato in un paese come Freedonia.

Lettura consigliata:
R. Glenn Hubbard e William Duggan, Roots of Prosperity, Strategy+business, 18 Gennaio 2010

La crescita economica e la prosperità dipendono dal progresso scientifico e tecnologico ma anche dalle regole negli affari, dalla giustizia, dal sistema fiscale, in generale dalla infrastruttura sociale. E’ utile richiamare che la Russia mandò lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale della storia, nello spazio il 4 Ottobre 1957. Gli U.S.A. mandarono nello spazio l’Explorer 1 il 31 Gennaio 1958. La Russia però con un sistema scientifico di primo ordine aveva standard di vita della popolazione molto più bassi degli U.S.A..

8. Le diverse forme dell’innovazione
Sempre in tema di rapporti tra innovazione e crescita economica Joseph Schumpeter in L’imprenditore e la storia dell’impresaScritti 1927-1929, Universale Bollate Boringhieri, 1993 pp. 21- 22 scrive: “Ora tre sono i modi attraverso i quali un paese passa da una data situazione economica come questa ad un’altra, e attraverso i quali si modificano i <<dati della condizione di equilibrio>> e si attua lo <<sviluppo economico>>: primo, attraverso una crescita costante specialmente della popolazione e dell’apparato dei mezzi di produzione dei prodotti (lavoro e capitale); secondo attraverso circostanze extra economiche che influenzano profondamente l’economia come gli eventi naturali, i rivolgimenti sociali, gli interventi politici; terzo, attraverso l’individuazione e l’attuazione di nuove possibilità entro i rapporti oggettivi della vita economica da parte di alcuni individui che rompono con l’esperienza economica e con la collaudata e abituale routine. Questo terzo tipo di sviluppo è senz’altro il più importante giacché anche i primi due si attuano in parte per mezzo di esso, offrendo lo spunto alla nascita di nuove possibilità. Questa funzione di guida economica si realizza concretamente in una serie di compiti che possiamo raggruppare nei seguenti tipi:
1) creazione e realizzazione di nuovi prodotti o nuove qualità di prodotto (innovazione di prodotto);
2) introduzione di nuovi metodi di produzione (innovazione di processo);
3) creazioni di nuove organizzazioni nell’industria (innovazione organizzativa);
4) apertura di nuovi mercati di sbocco (innovazione di mercato);
5) aperture di nuove fonti di approvvigionamento (innovazione di mercato).”
La funzione di guida economica, di rinnovamento dell’economia, viene esercitata dagli imprenditori. Scrive ancora Schumpeter: “…..Per trascinare una intera economia nazionale su questi nuovi binari e riplasmare dal fondo la sua esperienza economica occorre dunque che questi individui (i promotori dell’innovazione, gli imprenditori) assumano la guida dell’economia.”

Esempi sulle 5 forme dell’innovazione di Schumpeter possono essere reperite nell’Annex 2 – Examples of innovations dell’OSLO MANUAL.

Una seconda classificazione per le innovazioni è tra innovazione incrementale e innovazione radicale.
L’innovazione incrementale consiste in un serie di piccoli miglioramenti che però applicati persistentemente nel tempo possono portare a grandi variazioni di performance. Si pensi all’evoluzione del motore a scoppio in termini di efficienza energetica, prestazioni, costi, pesi, ecc. durante un secolo di vita.
L’innovazione radicale consiste invece nell’introduzione di qualcosa di totalemente nuovo. (telefono cellulare rispetto a quello fisso, macchina fotografica digitale rispetto a quella a pellicola, ecc.)

9. Ancora sulle relazioni tra innovazione e crescita economica
Questo paragrafo è tradotto ed adattato da Nathan Rosenberg, Innovation and Economic Growth, OECD, 2004
9.1 L’innovazione tecnologica, una delle principali cause della crescita economica
E’ ormai accertato che l’attività innovativa è stata la più importante componente della crescita economica di lungo periodo. Per iniziare ci si riferirà ad un lavoro del Prof. Abramovitx degli anni cinquanta che ha ricevuto grande attenzione.
Ci sono solo due modi per incrementare l’output in economia:
1) si possono incrementare gli input del processo di produzione; o
2) se si è bravi, si può pensare a nuovi modi con cui ottenere più produzione (output) con lo stesso valore di input.
E, se si è un economista si sarà curiosi di sapere quale tra i due modi è più importante e di quanto più importante. Abramovitx sostanzialmente misurò la crescita dell’output dell’economia americana tra il 1870 e il 1950. Quindi misurò la crescita in capitale e lavoro (gli input) nello stesso periodo. Quindi fece delle assunzioni ragionevoli su quanto la crescita di una unità di lavoro e su quanto la crescita di una unità di capitale potrebbero aggiungere alla crescita dell’output dell’economia. Il risultato di queste valutazioni fu che la crescita degli input (capitale e lavoro) poteva spiegare solo il 15% della crescita economica. In senso statistico questo risultato attestava che c’era un residuo inspiegabile dell’85% della crescita dell’economia.
Abbastanza sorprendentemente nessun economista aveva mai fatto una simile valutazione anche perché non erano prima disponibili dati attendibili sui fattori di input e sull’output. Ora è chiaro che un residuo non spiegato non è giustificabile. Da allora altri economisti tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60 provarono a fare simili valutazioni, usando anche diverse metodologie, differenti periodi di tempo e differenti settori dell’economia ottenendo risultati in qualche modo simili. Robert Solow, che poi vinse il Premio Nobel per l’Economia, fu uno di questi economisti che scoprì un residuo anche da lui valutato nell’85%. La dimensione di questo residuo convinse la maggior parte degli economisti che l’innovazione tecnologica doveva essere la causa principale della crescita dell’output nelle economie ad elevata industrializzazione.
Si potrebbe essere tentati di dire che il residuo dell’85% fu un risultato negativo, ma i risultati negativi certe volte possono essere estremamente utili. In questo caso l’ampio valore del residuo suonò come una sveglia per la comunità degli economisti perché la maggior parte di loro nei precedenti 200 anni avevano costruito modelli in cui la crescita economica era principalmente trattata come dipendente dall’aggiunta di maggiori input nel processo produttivo, specialmente capitale. L’elevato residuo suggerì agli economisti che dovevano guardare altrove per comprendere la crescita economica.
Per capire le caratteristiche distintive delle attività innovative mi baserò sull’esperienza americana. La prima caratteristica dell’attività innovativa è l’incertezza.

9.2 Trattare con l’incertezza
E’ facile pensare che, nei paesi tecnologicamente avanzati, con grandi e potenti aziende le incertezze non dovrebbero preoccuparci. Dopo tutto, negli USA oggi (2004) ci sono più di 16000 aziende che hanno propri laboratori di ricerca e ci sono almeno 20 aziende che hanno un budget annuale in R&D che supera il miliardo di dollari. Nel 2000 le prime venti industrie americane ordinate per investimenti in R&D hanno investito 54 miliardi di dollari. Potreste essere indotti a pensare che queste aziende non dovrebbero essere preoccupate dai temi dell’incertezza.
E invece se pensate in questo modo sareste in errore, in un grave errore, e ciò per due ragioni. La prima ragione è che le attività di R&D nei settori high tech dei paesi OECD sono diventate estremamente costose. La seconda ragione è che il risultato della spesa in R&D ha un collegato rischio finanziario che deriva da diverse cause. Quali sono queste cause?
1) La spesa nella ricerca scientifica può fallire nella scoperta di nuova conoscenza scientifica che possa avere una qualunque potenziale utilità.
2) Anche se la nuova conoscenza scientifica emerge da risultati di ricerca di frontiera non è detto che possa essere utilizzata per un nuovo prodotto da portare sul mercato. Oppure, cosa altrettanto importante, potrebbe richiedere un periodo talmente lungo  di spese sul progetto e lo sviluppo del nuovo prodotto che i decisori aziendali potrebbero concludere che la realizzazione del nuovo prodotto sarebbe inaccettabilmente costoso (i.e. unprofitable).
Ma anche se la ricerca dovesse condurre ad un nuovo concetto di prodotto, rimangono aperte molte altre questioni:
3) Come reagirà il prodotto, non solo sotto il profilo tecnologico, ma in termini economici? I processi di diffusione saranno in linea con le attese che hanno determinato gli investimenti? Alte prestazioni verranno ottenute solo a costi proibitivi? Il Concorde fu una meravigliosa conquista tecnologica in termini di alta ingegneria e di prestazioni in termini di velocità. Ma fu un inqualificabile disastro finanziario. Si era calcolato che per coprire i costi dovevano essere venduti 300 esemplari per coprire i costi di sviluppo. Ne furono venduti in tutto 16.
4) L’impresa che innova sarà appropriarsi dei vantaggi dell’innovazione o ci saranno altri che sfrutteranno indebitamente gli investimenti in R&D sostenuti dall’impresa? Il tema è legato alle attività di brevettazione ed ai possibili fenomeni di contraffazione.
5) E poi quanto rapidamente un competitor risponderà con un prodotto superiore o con una nuova tecnologia (si pensi a quanto è avvenuto a Sony con l’avvento dell’iPod da parte di Apple o al mercato delle fotocamere digitali)?
E’ pertanto necessario comprendere che l’incertezza è al cuore delle attività innovative sebbene innovare sia diventato un imperativo in un mondo sempre più competitivo. Nuove forme di innovazione come la cosiddetta Open Innovation tendono ad attenuare queste condizioni di incertezze. H. Chesbrough, The Era of Open Innovation, Harvard Business School Press, 2003.
Il fatto principale è che è estremamente difficile prevedere come il mercato risponderà all’introduzione di una nuova tecnologia. Questo è anche dovuto al fatto che nelle società ricche in cui i consumatori sono sommersi dalle offerte più diverse è veramente difficile anticipare se un nuovo prodotto incontrerà le preferenze e le priorità dei consumatori.

9.3 Alcuni esempi di innovazioni
E’ possibile citare alcuni assurdi errori di previsione sulle reazioni dei consumatori anche compiuti da persone intelligenti e ben informate come lo staff editoriale del New York Times. Nel 1939 il New York Times riportò la notizia di un esperimento che annunciava un prodotto totalmente nuovo: la televisione. Il NYT non pensava che la televisione potesse avere un futuro, almeno negli Stati Uniti. Questo importante giornale solennemente dichiarò:”La televisione non diventerà mai un serio prodotto sostitutivo della radio, perché le persone dovranno sedersi e tenere i loro occhi incollati allo schermo; la famiglia media americana non ha tempo per ciò.” Come spiegare l’errore di anticipare che la TV era destinata a diventare il prodotto di consumo più influente e largamente usato nel XX secolo? Sinceramente non so rispondere alla domanda ma questa è una caratteristica di molte innovazioni del XX o XXI secolo per cui non si è riuscito a prevedere correttamente il loro futuro impatto (Facebook, Internet, cellulari). Fatto sta che oggi, per finire con la TV, una preoccupante alta percentuale delle famiglie americane tiene gli occhi attaccati alla TV e sembra avere poco tempo per altre attività.

Supponiamo adesso di considerare una innovazione molto più recente: il telefono cellulare. Nel 1983, quando AT&T era impegnata in una causa con l’anti-trust, doveva valutare se trattenere le frequenze che sarebbero state necessarie per il funzionamento della rete mobile. AT&T chiamò una delle più famose società di consulenza per prevedere il numero di americani che avrebbero scelto di utilizzare un telefono cellulare nell’anno 1999. La società di consulenza previde che nel 1999 ci sarebbero stati un milione di sottoscrittori. In realtà nel 1999 il numero di utilizzatori aveva superato i settanta milioni.
Come possiamo spiegarci una così assurda sottostima di utilizzatori? In parte vi fu un errore nella percezione dei possibili modi di uso di questo nuovo tipo di telefono. Ma la sottostima è stata anche il frutto di un  altro fatto che determina la domanda di una innovazione. E cioè il fatto che molte innovazioni entrano sul mercato in una condizione molto primitiva e poi subiscono un lungo processo che da un lato ne migliora la tecnica e le prestazioni e dall’altro ne riducono i costi.
L’aeroplano fece il primo volo nel 1903. Il primo volo fu più corto della lunghezza di un campo da calcio e l’aeroplano non era un’innovazione valida sotto il profilo commerciale fino al 1930 (veniva invece impiegato per usi militari). E perché? Ci volle quasi un terzo di secolo per realizzare migliaia di progetti di miglioramenti prima che gli aeroplani diventassero abbastanza sicuri ed affidabili per essere accettati dal pubblico. Penso che se avessimo assistito al volo del 1903 non avremmo avuto una visione del futuro con voli che vengono schedulati regolarmente e che in sei o sette ore ci avrebbero fatto attraversare l’Oceano Atlantico con sicurezza, relativo confort  ed a costi ragionevoli.

La situazione del telefono cellulare nel 1983 era abbastanza simile. Quei telefoni erano primitivi. Erano così pesanti ed ingombranti che difficilmente potevano essere considerati mobili. La qualità della trasmissione della voce era scadente. E, cosa importante, il telefono del 1983 era venduto a 3000 $ confrontati con quelli di oggi che vengono venduti a meno di 100 $ e che funzionano molto meglio, sono più piccoli, hanno molte più funzioni ecc..
Si consideri un’altra recente tecnologia: il laser. Nel 1960 il laser era una meraviglia scientifica di nessuna utilità. Ma in seguito ad una forte pressione competitiva nelle economie avanzate e orientata a sviluppare ed introdurre nuovi prodotti, il laser divenne una piattaforma per una varietà di nuove applicazioni. Intanto diventò uno strumento di laboratorio nella ricerca chimica. Iniziò ad essere applicato in alcune tipologie di interventi chirurgici o pratiche della medicina (dermatologia, oculistica, chirurgia, ecc.). Divenne un prodotto di largo consumo quando fu utilizzato per la riproduzione della musica attraverso i Compact Disc.  Ebbe un’enorme diffusione nelle casse dei supermercati accelerando enormemente la velocità dei pagamenti grazie alla capacità di lettura dei codici a barre (codici EAN) applicati sui prodotti. Contribuì a migliorare qualità e velocità di stampa con le stampanti laser. Laser e fibre ottiche hanno rivoluzionato il sistema mondiale delle telecomunicazioni. Perfino i mouse più economici usano il laser. Ha trovato applicazioni nella manifattura nei processi di taglio e di saldatura.
Ma il funzionamento dei laser era stato predetto nel 1916, su basi puramente teoriche, da Einstein, usando niente più che un pezzo di gesso su una lavagna. Ci vollero più di 40 anni prima che un raggio laser fosse emesso (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation). E’ questa una classica innovazione science – push esemplificativa in qualche modo del modello lineare dell’innovazione e che si configura sicuramente come innovazione radicale, ma i tempi tra la soperta scientifica e la diffusione dell’innovazione sono stati veramente lunghi. Ovviamente non sono da sottovalutare i continui miglioramenti in termini di prestazioni e di riduzione dei costi che ne hanno consentito la enorme diffusione odierna.

E infine il computer. Il primo computer elettronico digitale entrò in funzione nel 1945 alla Facoltà di Ingegneria dell’Università della Pennsylvania. Già nel 1950 un certo numero di aziende fabbricavano e vendevano computer. Tuttavia, fino al 1956 Howard Aiken, un brillante fisico di Harvard ed uno dei gradi pionieri nello sviluppo dei computer continuava a pensare al computer come uno strumento scientifico. Durante un congresso affermò: “ se dovesse mai accadere che la logica di base di una macchina progettata per risolvere numericamente equazioni differenziali dovesse coincidere con la logica di una macchina per fare il conto in un supermercato, considererei ciò una delle più incredibili coincidenze.” Questo è quello che esattamente avvenne. Naturalmente con questo non intendo assolutamente considerare ridicola la affermazione di Aiken. Egli fu un brillante scienziato e tuttavia non aveva idea dell’enorme impatto potenziale dell’invenzione a cui diede fondamentali contributi.

9.4 L’impatto dell’innovazione tecnologica
L’impatto di una innovazione tecnologica non dipende solo dai suoi inventori ma anche, e spesso in modo determinante dalla creatività degli utenti potenziali della tecnologia.
Consideriamo l’elettrificazione delle fabbriche. Finché le fabbriche dipendevano dal vapore come fonte primaria di energia, l’organizzazione ed il layout dei reparti doveva essere vincolata alla vicinanza alla fonte di energia: il motore a vapore. Ogni macchina riceveva il moto attraverso sistemi di trasmissione con alberi, pulegge e cinghie di trasmissione di pelle. L’introduzione dell’elettricità con un motore elettrico  dedicato ad ogni macchina consentì di realizzare layout molto più flessibili e più funzionali ai processi produttivi che dovevano essere eseguiti. Il parallelo con il computer è abbastanza ovvio. Specialmente se pensiamo al passaggio dai mainframe ai PC.
Nel pensare all’innovazione tecnologica spesso siamo eccessivamente preoccupati della componente ricerca, del lavoro degli scienziati e degli ingegneri dal cui lavoro di R&D è dipeso la sviluppo della tecnologia. E’ un caso di enfasi mal posta. I benefici che sono stati ottenuti dal laser, dai microprocessori, dai computer, dalle tecnologie informatiche generalmente non dipendono soltanto dagli inventori ma anche dalla creatività dei potenziali utilizzatori della nuova tecnologia.
Ritornando al computer è importante ricordare che i giganti mainframe inizialmente furono integrati e poi in parte sostituiti dai personal computer. Il risultato è stato una vera esplosione di nuove opportunità determinate dal fatto che l’elaborazione e la trasmissione di dati può oggi essere svolta in modi, posti e con un grado di flessibilità e di semplicità d’uso e di bassi costi che non era possibile pensare con i soli mainframe.
L’impatto sul lavoro, sull’organizzazione del lavoro, sulla produttività del lavoro, sulla gestione del tempo libero, sulle abitudini, sugli stili di vita dei giovani è stato dirompente andando molto oltre quello che era ragionevole prevedere all’inizio dello sviluppo delle tecnologie informatiche. Ma questi cambiamenti sono stati il risultato della creatività di tante componenti della società: scienziati, ingegneri, tecnici, imprenditori, consulenti, utenti, lavoratori negli ambiti più disparati. Ognuno ha giocato un ruolo importante ed ancora lo giocherà.

10. La posizione dell’Italia nel Commercio Estero
Il made in Italy in il volo del calabrone – su che cosa si basa il successo del made in Italy?

La graduatoria WTO-Unctad colloca l’Italia al secondo posto alle spalle della Germania, Il Sole-24 Ore, 10 dicembre 2007,  Il risultato è basato su dati 2005.
WTO-Unctad hanno esaminato 14 macrosettori del commercio internazionale e per ogni comparto di ciascun Paese è stato costruito un indice composito basato su 5 sottoindicatori: saldo commerciale; esportazioni pro capite; quota nell’export mondiale; livello di diversificazione di ogni macrosettore in termini di prodotti in esso contenuti; diversificazione dei mercati. In tal modo l’indice, denominato TPI (Trade Performance Index), tiene conto non solo del valore assoluto dell’interscambio, ma anche della dimensione dei vari paesi e della loro specializzazione, nonché di eventuali elementi di debolezza derivanti dall’eccessiva concentrazione dell’export su pochi prodotti o mercati di destinazione.
I tedeschi dominano nei mezzi di trasporto, nella chimica, e nella meccanica elettrica e non.
L’Italia si colloca al secondo posto con tre medaglie d’oro nel tessile, abbigliamento e cuoio e tre medaglie d’argento (meccanica non elettrica, meccanica elettrica, inclusi elettrodomestici, e nei prodotti miscellanei che includono gioielli e occhiali).
(v. studi della Fondazione Edison)

Riquadro 11 – Innovazione e crescita nel manifatturiero: il caso tedesco. Il seguente brano è apparso sul Corriere della Sera il 15 febbraio 2008.
E la Germania sorprende: l’industria spinge lo sviluppo.
Quest’anno in Germania, verranno creati 300 mila posti di lavoro, prevede l’Associazione delle Camere di commercio tedesche. Bene: di questi, centomila saranno nell’industria e altrettanto nei servizi direttamente dipendenti da essa. Due terzi della nuova occupazione, in altri termini, saranno legati all’attività delle imprese manifatturiere. Visto con altri numeri, il fenomeno è lo stesso: l’attività manifatturiera tedesca, che negli anni settanta superava il 40% del Prodotto interno lordo, è declinata meno del 25% fino ad un paio di anni fa, ma ora ha ripreso a salire ed è attorno al 27%.
Succede insomma che la Germania sta mettendo in confusione teorie e teorici della vita delle economie avanzate nella globalizzazione: sostenevano che per l?America ed Europa l’unica chance fosse il salto post-industriale nei servizi, per lasciare la produzione ai Paesi emergenti, Cina, Sudest asiatico, India, Est europeo. La Germania dice che non è così. O, almeno, che un’eccezione – ma di successo – c’è. La crescita del Paese, che anche quest’anno dovrebbe essere accettabile, fatta salva una recessione mondiale, è infatti quasi completamente trainata dall’industria manifatturiera. La quale, anziché una palla al piede, un resto dell’Ottocento, in Germania è il punto di forza, il motore della crescita. Modello opposto, ma a questo punto altrettanto interessante, a quello britannico.
Gli imprenditori, soprattutto quelli medi, sostengono nei sondaggi che quest’anno sarà ottimo, che gli ordini si accumulano, che assumeranno, che continueranno ad esportare nonostante l’euro forte. Anche il primato tedesco di maggiore esportatore del mondo – numero due dopo la Cina, a seconda delle fonti – è trainato dalla spinta dell’industria verso l’estero: a metà degli anni Novanta, meno del 30% dei manufatti tedeschi usciva dalla Germania; nel 2007, la quota è stata superiore al 43%. Le ragioni della formidabile rinascita sono numerose.
La prima, però, sta proprio nel fatto che i tedeschi non hanno dato troppo retta ai consigli dell’accademia e sono stati, pancia a terra, a fare quello che meglio sanno: industria e prodotti. Hanno ristrutturato, certo: abbassato i costi, ridotti gli sprechi e, in molti casi, decentrato in Paesi a basso costo della manodopera, soprattutto nel vicino Est europeo. Molti, però, stanno anche riportando le produzioni in Germania: si sono accorti che non sempre è vantaggioso produrre in Paesi dove le difficoltà di fare formare i dipendenti o le incertezze legali sono costi nascosti. Fatto sta che, oggi, la maggioranza delle imprese tedesche vede crescere i fatturati, spesso a due cifre, e riesce, grazie agli aumenti di produttività, ad aumentare i salari dei lavoratori: fenomeno opposto a quanto accade nei servizi, dove infatti è forte la richiesta di un salario minimo che legge dal momento che le paghe orarie tendono a calare.
La seconda ragione del boom sta nella struttura dell’economia. I servizi, che pure sono cresciuti nei decenni scorsi, non sono un settore a sé: per il 40% dipende dalla manifattura. Chi vende un macchinario o parti di ricambio per automobile o impianti chimici mette nel pacchetto anche il servizio che accompagna il bene. In più, la qualità dei prodotti di maggior successo tedeschi – quelli ad alto valore aggiunto – è qualcosa sul quale, per ora ma presumibilmente per anni a venire, i Paesi emergenti non sono in grado di competere. Infine, negli anni scorsi c’è stata qualche utile riforma sul mercato del lavoro. Risultato: il grande ritorno del Made in Germany. Da studiare, forse, anche in Italia.

 

Fonte: http://innovationmanagment.weebly.com/uploads/9/2/0/4/9204711/appunti_innovazione_rev._06062011.doc

Sito web da visitare: http://innovationmanagment.weebly.com

Autore del testo: Università degli Studi di Palermo

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