Atti di destinazione

Atti di destinazione

 

 

 

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Atti di destinazione

La disposizione introdotta dell’art. 2645 ter c.c.

Come è noto l’art. 39 novies, d.l. 30.12.2005, n. 273, convertito, con modificazioni, in l. 23.02.2006, n. 51, ha inserito nel codice civile l’art. 2645 ter, con la rubrica Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche.
La nuova disposizione così recita «Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, co. 2, c.c. possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso.
I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, co. 1, c.c., solo per debiti contratti per tale scopo».

Per effetto di tale normativa, mediante un atto di volontà, il titolare può sottrarre uno o più beni immobili o mobili registrati alla garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., imprimendo su di esso un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela.
Il vincolo di destinazione non potrà peraltro eccedere i novanta anni ovvero la durata della vita del beneficiario. Esso deve risultare da atto avente forma pubblica e può essere trascritto ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi.
E’ inoltre previsto che possa agire per la realizzazione dello scopo, oltre al destinante (impropriamente definito “conferente”), anche qualsiasi altro interessato.
Più in particolare, con l’art. 2645 ter c.c. è possibile destinare un proprio bene per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela di un beneficiario, con la conseguenza che i beni destinati ed i loro frutti possono essere esecutati - salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma I, c.c. - per i soli debiti contratti per tale scopo.
Si tratta di una separazione solo unilaterale e temporanea: i beni vincolati non possono essere oggetto di esecuzione per scopi estranei a quello di destinazione, ma non viene espressamente esclusa l’espropriabilità degli altri beni per le obbligazioni contratte al fine di destinazione.
Tale disposizione è stata oggetto di critiche non soltanto per l’approssimativa tecnica legislativa adottata, ma anche perché sono apparsi misteriosi i motivi per i quali essa è stata infilata in un decreto omnibus, c.d. milleproroghe, che con la trascrizione degli atti non aveva nulla a che vedere. Non è parsa soddisfacente la spiegazione secondo cui il motivo sarebbe quello di offrire un’alternativa coerente, razionale e basata sulla legge, all’uso improprio del trust, con fini eminentemente speculativi ed elusivi di norme imperative, dato che non si comprende per quale ragione sarebbe stato introdotto uno strumento affine, ma diverso rispetto al trust, «a tal punto extravagante rispetto ai principi che disciplinano la materia, da suscitare più problemi di quanti, forse, non ne risolva» .
Al di là delle critiche, è indubbio che la disposizione ha una notevole portata innovativa e sembra venire incontro a quelle istanze della dottrina che riteneva opportuna l’introduzione di una norma che, aggiornando la disciplina dettata in tema di atti trascrivibili, comprendesse un nuovo negozio di destinazione atipica . Non v’è dubbio neppure che essa richiami alla mente dell’interprete il trust per le affinità, effettive o presunte, che ha con questo istituto. L’interrogativo è se si tratti di uno strumento vagamente affine al trust ovvero di una coerente alternativa all’uso improprio che di quest’ultimo è stato recentemente fatto nell’ordinamento ovvero ancora che, come sembra, debba trattarsi di un istituto diverso e concorrente.
D’altronde, il dibattito sulla penetrazione del trust nel sistema civilistico, non deve consentire di porre in secondo piano il dibattito sulla esistenza di strumenti idonei a configurare, coerentemente con il sistema medesimo, una categoria generale di atti di destinazione in grado di imprimere sulla res un vincolo per il perseguimento di interessi meritevoli .
All’interprete non può infatti sfuggire il radicale impatto che l’art. 2645 ter produce nell’ordinamento, fondato com’è sulla tipicità delle ipotesi di patrimonio separato, sul numerus clausus dei diritti reali e sulla unitarietà della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c..
La nuova normativa, nonostante la collocazione sistematica nell’ambito delle regola sulla opponibilità, assume comunque un forte rilievo di carattere sostanziale e come tale deve essere esaminata, anche se ciò va fatto con estrema cautela utilizzando i primi contributi della dottrina e le poche pronunce della giurisprudenza.

La destinazione.
La prima questione che deve essere affrontata è quella relativa all’atto di destinazione di beni ad uno scopo determinato. Esso sembra essere una particolare estrinsecazione del generale potere di disposizione del titolare come alternativo al potere di attribuzione. Mentre, quest’ultimo consiste nella disposizione del proprio patrimonio attraverso l’alienazione o comunque il trasferimento di un diritto personale o reale sul bene medesimo , la destinazione non produce né contribuisce da sola a produrre un effetto traslativo del diritto sul bene, ma si limita a definire una particolare organizzazione e gestione del bene.
Con l’atto di destinazione si realizza la funzionalizzazione di un bene ad uno scopo. Il proprietario o il titolare di un diritto reale non fa altro che scegliere una fra le sue tante utilizzazioni affinché il godimento del bene sia sottoposto ad una particolare funzione e pertanto ad una speciale regolamentazione .
Un bene viene così dal suo titolare destinato alla realizzazione di una determinata finalità o di un interesse particolare, sì che, non perdendo la sua attitudine ad essere oggetto di effetti dispositivi.- traslativi, gode di una particolare autonomia rispetto agli atti di esercizio della proprietà ed al titolare è impedito di distrarre il compendio patrimoniale dallo scopo cui è funzionale .
Peraltro la destinazione non influisce sulla immediata titolarità del bene, che rimane nella sfera giuridica del destinante, e non è idonea ad articolare il patrimonio, ma costituisce soltanto una sua modalità di organizzazione, dato che non è tanto caratterizzata dall’effetto traslativo, quanto dal vincolo funzionale imposto sul bene.
Prima della novella legislativa in discorso, colui che avesse voluto destinare una parte del proprio patrimonio al perseguimento di un interesse personale era costretto a ricorrere a figure tipiche e nominate di patrimoni separati o autonomi . Dette figure rimanevano tuttavia a) costrette da vincoli formali ovvero vincolate alla costituzione di una nuova e diversa persona giuridica e b) comunque legate alla ricorrenza di presupposti determinati e specifici che non sempre garantivano la piena aderenza alla finalità impressa ai propri beni dal titolare-destinante.
L’alternativa era costituita dai tradizionali negozi gestori (es. mandato gestorio) ovvero dal negozio fiduciario, che assicuravano al singolo maggiore elasticità di amministrazione e presentavano tuttavia evidenti carenze di tutela reale, limitandosi ad un mero “patto interno” ad efficacia obbligatoria con il mandatario-fiduciario .
Non appare d’altronde ragionevole che sia dato all’autonomia negoziale di scegliere esclusivamente tra a) un negozio attributivo, che, nonostante la finalità destinatoria, non è in grado di esprimere in modo compiuto l’operazione programmata dal disponente e b) un patto, di carattere puramente interno, che, pur avendo la funzione di assicurare la realizzazione dell’assetto di interessi oggettivamente voluto, risulta privo di quella rilevanza ed efficacia, che sarebbero al riguardo necessarie.
Il legislatore sembra aver ora configurato, attraverso il nuovo art. 2645 ter c.c., un sistema improntato sulla libertà di scegliere un dato interesse tra quelli meritevoli di tutela e sulla facoltà di imprimere un vincolo sui propri beni per garantirne la piena realizzazione .
Si può ora ragionevolmente postulare l’esistenza di una nuova categoria di atti di destinazione ex art. 2645 ter, distinta ed alternativa a quelle già conosciute nel sistema privatistico . Con ciò proiettando sul piano reale un atto negoziale che, con soli effetti obbligatori, già avrebbe avuto riconoscimento nell’ordine giuridico.
L’art. 2645 ter ha recepito istanze avanzate da più parti, attribuendo loro veste normativa e consentendo all’interprete di superare quegli ostacoli che si frapponevano al pieno riconoscimento della portata reale del vincolo destinatorio impresso dal disponente attraverso l’atto di destinazione .
Sotto questo profilo sembra che il legislatore abbia voluto configurare una categoria generale di destinazione da realizzare al di fuori di modelli predeterminati e che pertanto, anche da un punto di vista strutturale, essa possa essere unilaterale o bilaterale, inter vivos o mortis causa .
Per converso, un’altra opinione afferma che, indipendentemente dalla forma negoziale adottata, la destinazione deve considerarsi per sua natura unilaterale . Essa può bensì essere prevista all’interno di una fattispecie contrattuale e ad effetti traslativi-attributivi: tuttavia la scelta di imprimere un vincolo sui propri beni spetta pur sempre ed in via esclusiva a colui che abbia il potere di disporre dei medesimi .
Quanto invece al contenuto del vincolo, in ossequio alla atipicità degli scopi perseguiti con l’atto destinatorio, esso appare piuttosto vasto: può pertanto consistere in un qualsiasi vincolo di inalienabilità ovvero di indisponibilità nel rispetto della norma imperativa.

Il frazionamento del patrimonio e la meritevolezza.
Se è vero che, in linea di principio, dalla destinazione negoziale non deriva automaticamente, come conseguenza necessaria, la separazione patrimoniale, è altrettanto vero che l’operatività del vincolo destinatorio ex art. 2645 ter c.c. potrebbe comportare, a seguito della trascrizione, il frazionamento del patrimonio del titolare-destinante, il quale verrebbe a scomporsi in distinte entità diversificate secondo le finalità cui i singoli beni sono destinati. Ciò in deroga all’art. 2740, comma II, c.c., che invece preclude all’autonomia privata l’adozione di forme atipiche di limitazione della responsabilità patrimoniale.
In particolare, il principio della generale ed illimitata responsabilità del debitore può trovare limitazione soltanto quando ciò risulti necessario per l’attuazione di interessi generali la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al legislatore.
Detto principio risulta peraltro fortemente depotenziato dal recente proliferare di meccanismi di limitazione della responsabilità basati sulla creazione di persone giuridiche, ovvero mediante le tipologie di separazione patrimoniale previste dal legislatore .
Sotto questo punto di vista, l’art. 2645 ter c.c. formalizza il diverso principio per cui l’atto di destinazione, redatto in forma pubblica e debitamente trascritto, può realizzare una limitazione della responsabilità patrimoniale non più con riferimento a scopi predeterminati dalla legge, bensì con riferimento a qualunque interesse meritevole di tutela.
L’atto di destinazione sarà pertanto sottoposto ad un controllo di meritevolezza che comporta, in ipotesi, un raffronto tra l’interesse sotteso all’operazione, perlopiù di carattere personale e solidaristico, ed il diverso principio della tutela delle garanzie del credito e della libera circolazione dei beni .  Principi generali dell’ordinamento che eventualmente possono subire gravi limitazione dall’imposizione sul bene ovvero sul compendio patrimoniale destinato di vincoli di inespropriabilità ovvero di indisponibilità.
E’ peraltro chiaro che la compressione dell’interesse dei creditori non risulta totale ed assoluta, residuando pur sempre i tradizionali rimedi dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c. e, con riferimento alla tutela dei legittimari del destinante, dell’azione di riduzione per lesione, cui l’atto di destinazione resta pur sempre sottoposto.
Riguardo al controllo di meritevolezza in generale si precisa che esso non esclude la verifica della liceità dell’atto, la quale ne verifichi la compatibilità con l’ordinamento e l’eventuale frode alla legge , per cui la meritevolezza di cui discorre l’art. 2645 ter c.c. non esclude che l’atto di destinazione sia sottoposto alla verifica di liceità, anche se appare quanto mai improbabile che una destinazione meritevole possa essere disposta da un atto contra legem. Non si deve tuttavia escludere che l’atto, benché perfettamente lecito, debba ritenersi tuttavia immeritevole, in quanto non ritenuto idoneo a resistere a quel giudizio di relazione (tra interesse perseguito e valori alternativi espressi dall’ordinamento e sacrificati in relazione alla destinazione medesima), che risulta presupposto sostanziale dell’atto negoziale ed altresì funzionale al dispiegamento dell’effetto separatorio del patrimonio.
Sul punto si è osservato che il controllo di meritevolezza atterrebbe soltanto ai requisiti per la trascrizione e per l’opponibilità del vincolo .
Diversamente si ritiene che il controllo di meritevolezza, lungi dal costituire puramente e semplicemente un requisito formale finalizzato alla trascrizione ed all’opponibilità del vincolo, assume il ruolo di vero e proprio requisito che permette al negozio medesimo di dispiegare gli effetti suoi propri . Come correttamente osservato, il filtro di meritevolezza non costituisce un mero limite all’autonomia negoziale, ma giustifica e legittima, alla luce delle dinamiche sociali ed economiche, l’assetto negoziale predisposto dalle parti.
D’altronde, il legislatore ha voluto delineare una forma destinatoria astratta ed affidarne la concretizzazione all’autonomia privata. Il controllo di meritevolezza risulta pertanto indispensabile al fine di giustificare (anche causalmente) l’intera operazione destinatoria e per legittimare, da un punto di vista sostanziale ed assiologico, il sacrificio imposto alle prerogative creditorie .
Stante il dettato normativo dell’art. 2645 ter c.c. non sembra potersi condividere l’approccio di coloro che ritengono di appiattire la verifica di meritevolezza alla stregua della non illiceità del negozio di destinazione, né, d’altra parte, l’approccio di coloro che, per l’inverso, leggono nella norma la necessità di uno scopo di pubblica utilità . Si ritiene invece sufficiente che lo scopo appaia meritevole nel senso di positivamente apprezzato dall’ordinamento giuridico e pertanto idoneo ad essere tutelato .
Sul punto, v’è chi ritiene la norma in discorso espressione di una autonomia negoziale della solidarietà , ritenendo meritevoli quegli interessi attinenti ai bisogni della persona e che trovano nell’ordinamento quell’apprezzamento sociale ed etico in grado di consentirne la prevalenza su istanze di ordine economico e speculativo.
Ciò anche in relazione alla specifica situazione del disponente-conferente, cosicché il giudizio di meritevolezza andrà svolto in concreto e la valutazione dovrà altresì estendersi alla congruità del conferimento alla realizzazione dello scopo con esso perseguito .
Ad una prima lettura della norma, sembra doversi concludere che, in caso di difetto di meritevolezza, l’atto di destinazione deve ritenersi affetto da nullità viste le evidenti carenze di giustificazione causale. Diversamente argomentano coloro che vedono nella meritevolezza richiamata dall’art. 2645 ter un mero requisito per la trascrivibilità dell’atto, il cui difetto verrebbe sanzionato con l’impossibilità di rendere il vincolo opponibile e la conseguente caduta dell’effetto reale .
In assenza di altre indicazioni normative, detto controllo di meritevolezza sembra spettare al notaio rogante, con le gravi complicazioni derivanti dalla responsabilità ex art. 28 Legge Notarile per l’ipotesi di rogito di atto espressamente proibito dalla legge o manifestamente contrario al buon costume o all’ordine pubblico, ed al giudice in caso di controversia.

La natura del vincolo.
Riguardo all’effetto separatorio del patrimonio prodotto dall’atto destinatario ex art. 2645 ter c.c., se non desta particolari problemi il rapporto interno di natura obbligatoria che lega il destinante (e l’eventuale gestore) ed il beneficiario della destinazione, di maggiore complessità è il profilo della rilevanza esterna del vincolo impresso dall’atto destinatorio .
Riconosciuta la meritevolezza e la liceità di quest’ultimo, onde garantire al negozio il dispiegamento degli effetti suoi propri, risulta necessario assicurare con la trascrizione certezza ed opponibilità al vincolo siffatto nei confronti dei terzi, creditori ed aventi causa.
A tale scopo appare predisposto l’art. 2645 ter c.c. che, consentendo al disponente la trascrizione dell’atto destinatorio, non soltanto ne sancisce la piena legittimità nell’ordinamento, purché tendente alla realizzazione di interessi meritevoli, ma attraverso l’opponibilità del vincolo destinatorio consente l’effetto di separazione reale verso i creditori diversi dai creditori della destinazione, che perdura fintanto che perduri la destinazione .
Si deve peraltro precisare che la norma prevede una separazione soltanto unilaterale e temporanea: i beni vincolati non possono essere oggetto di esecuzione per scopi estranei a quello di destinazione, ma non viene espressamente esclusa l’espropriabilità degli altri beni per le obbligazioni contratte al fine di destinazione, a differenza della completa “segregazione” patrimoniale, invece configurabile in materia di trust .
La problematica in discorso non afferisce tanto al numero chiuso dei diritti reali, quanto alla possibilità per i privati di imprimere ai beni una disciplina particolare in deroga al principio di libera alienabilità ed espropriabilità dei beni medesimi . In particolare, lungi dal configurare un nuovo vincolo reale (attraverso la creazione di una serie di obbligazioni propter rem, ad esempio), l’art. 2645 ter c.c. prevede la costituzione di un vincolo destinatorio opponibile ai terzi attraverso la sua trascrizione .
Sul punto, merita attenzione la dottrina che si oppone all’asserzione che il vincolo obbligatorio si trasformi in vincolo reale per il fatto di essere suscettibile di trascrizione e poi effettivamente trascritto . L’argomento dal quale si trae siffatto orientamento riguarda la necessaria tipicità dei vincoli alla proprietà che, in assenza di una fattispecie legale tipica (e non sembra essere tale quella descritta dall’art. 2645 ter c.c. per le sue evidenti lacune disciplinari), rimangono sul piano meramente obbligatorio. Ciò che la nuova normativa tipizza è il modello, lo schema, non il contenuto del vincolo che è lasciato all’autonomia contrattuale di definire. La norma sulla trascrizione sarebbe pertanto posta per risolvere problemi conflittuali e circolatori, non invece per caratterizzare sul piano sostanziale un vincolo di natura reale.

La trascrizione dell’atto di destinazione.
Come detto, ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., l’effetto di separazione patrimoniale si produce a seguito della trascrizione dell’atto di destinazione. La trascrizione produce infatti l’effetto separatorio con riferimento ad uno specifico ceto creditorio (creditori diversi da quelli della destinazione).
In particolare, anche alla luce del tenore letterale della norma, la quale sembra rendere facoltativa la trascrizione dell’atto di destinazione e limitarne la funzione all’opponibilità del vincolo ai creditori , pare si debba ritenere che tale trascrizione abbia natura di pubblicità dichiarativa . Tale vincolo nasce comunque e con effetti obbligatori in capo al titolare del bene vincolato, salva l’inopponibilità ai terzi in difetto di trascrizione, sempre che il terzo acquirente non ne abbia avuto aliunde conoscenza .
Si deve peraltro registrare l’orientamento di parte della dottrina, la quale riconosce a tale nuova forma di pubblicità un valore costitutivo del vincolo reale, che altrimenti non si sarebbe prodotto. A ben vedere, la sola volontà destinatoria del disponente non sarebbe di per sé sufficiente, in assenza di idonea pubblicità e dei conseguenti strumenti di tutela, a costituire il vincolo reale di destinazione. Il procedimento di separazione, in breve, si perfeziona con la trascrizione dell’atto pubblico di destinazione .
Senza per questo porre in dubbio la piena validità ed efficacia del negozio destinatorio, non si può non riconoscere che, dal punto di vista meramente effettuale , alla nascita del vincolo reale deve contribuire un ulteriore atto di autonomia privata, ora autorizzato dalla legge e di natura formale, unico idoneo alla produzione dell’ulteriore effetto sulla res .
Ex adverso, si deve sottolineare che, nonostante l’effetto della separazione patrimoniale consegua direttamente dalla trascrizione dell’atto destinatorio, quest’ultima non è prevista dalla norma come elemento di completamento della fattispecie, che appare di per sé completa ed efficace. La costitutività della trascrizione deve essere allora riferita all’elemento effettuale della separazione e non al perfezionamento della fattispecie destinatoria già sorta, anche se non opponibile .
A ben vedere, la trascrizione prevista dalla nuova fattispecie normativa sembra attenere non tanto all’atto di destinazione del quale si intende attribuire pubblica notizia ed in sé completo, quanto all’opponibilità dell’effetto di separazione prodotto dal vincolo destinatorio .

 

La recente giurisprudenza.
La nuova norma in esame ha chiaramente destato l’attenzione della giurisprudenza ed è stata oggetto di sparute pronunce di merito, le quali non sempre sembrano aver colto nel segno nell’interpretare un istituto, quale quello della destinazione negoziale, che forse avrebbe meritato maggiore approfondimento da parte dei Tribunali.
In particolare, una prima pronuncia sull’art. 2645 ter c.c. si deve al Tribunale di Trieste (Giudice dott. Arturo Picciotto), con il decreto, datato 7 aprile 2006 , di rigetto dell’intavolazione di un atto di dotazione di un bene immobile a vantaggio di un trust. In tale occasione il Giudice tavolare osservava il difetto di causa tipica o atipica meritevole di tutela dell’atto di cui era stata richiesta la trascrizione nei registri immobiliari.
Non solo, nell’escludere la applicabilità nel caso di specie dell’art. 2645 ter c.c., in via di interpretazione conservativa, il Tribunale ha affermato che «la norma viene a introdurre nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione (che per i beni immobili e mobili registrati postula il veicolo formale dell’atto pubblico), accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi» e che pertanto «non costituisce la giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela».
Tale impostazione sembra tuttavia peccare nel limitare la portata innovativa dell’art. 2645 ter c.c. al solo piano degli effetti, trascurandone in tal modo la natura sostanziale ed assiologia, ovvero i limiti che essa impone al generale potere di destinazione riservato all’autonomia negoziale. Non può infatti revocarsi in dubbio che, se la norma non descrive una nuova figura negoziale, essa certamente ha il pregio di circoscriverne il contenuto e di ratificarne l’utilizzo in via generale. Non può altresì negarsi che, almeno per coloro che ritengono di appiattire il generale giudizio di meritevolezza della fattispecie negoziale su quello della sua mera non illiceità , il richiamo all’art. 1322, comma II, c.c. contenuto nella norma in esame, come poc’anzi interpretato, assume i contorni di una vera e propria novità, tale da qualificare, anche da un punto di vista causale ed assiologico, l’intero istituto, limitandone e qualificandone l’operatività.
Il Giudice triestino prende infine posizione sul problema della trascrizione dell’atto affermandone l’insufficienza a rendere il vincolo opponibile nei confronti dei terzi a causa della mancanza di un chiaro riferimento all’art. 2644 c.c., che limita agli atti indicati dal precedente art. 2643 c.c. l’opponibilità riguardo ai terzi che, a qualunque titolo, abbiano acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto successivamente.
Nel ribadire i concetti poc’anzi evidenziati, è chiara l’intentio legis di voler garantire all’atto di destinazione trascritto la necessaria opponibilità volta sia alla conservazione del vincolo nei confronti degli aventi causa del titolare, che alla realizzazione di una separazione patrimoniale, che, benché solo unilaterale, assicura la migliore realizzazione dello scopo che il bene medesimo è così destinato a realizzare. La clausola di salvezza dell’applicabilità dell’art. 2915, comma II, c.c. evidenzia con tutta chiarezza il ruolo che il legislatore ha riservato al congegno trascrittivo, funzionale alla opponibilità erga omnes della destinazione negoziale.
Maggiormente aderente a quanto poc’anzi sostenuto appare piuttosto la pronuncia del Giudice tavolare di Cortina d’Ampezzo (Giudice dott. Federico Montalto), con decreto del 22 marzo 2006, n. 23, in cui veniva rigettata la domanda di intavolazione di un atto di conferimento di beni immobili in un trust precedentemente costituito. Nella (peraltro scarna) motivazione, il Giudice escludeva altresì che alla fattispecie fosse applicabile il nuovo art. 2645 ter c.c., in quanto ritenuto asseritamente limitato «alla costituzione di patrimoni destinati alla tutela di interessi riferibili al settore sociale nelle sue varie esplicazioni (ricerca scientifica, cura di persone disabili, tutela e promozione della cultura, dell’ambiente e simili)». Ciò in perfetta aderenza con quella parte di dottrina che ritiene l’articolo in esame espressione di una autonomia negoziale prettamente altruistica e solidaristica, ritenendo in proposito che il riferimento agli interessi delle persone con disabilità e della pubblica amministrazione permeasse l’intero istituto, tanto da caratterizzarne il contenuto sostanziale.
Di particolare rilievo è infine la pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia del 23-26 marzo 2007 (Giudice relatore dott. Giovanni Fanticini) , in cui veniva accolta l’istanza risultante dal verbale di udienza da due coniugi separati per veder riconosciuto l’adempimento degli obblighi di mantenimento in capo al marito con il trasferimento di un immobile di sua proprietà esclusiva alla moglie con un vincolo di destinazione al mantenimento ed all’istruzione dei figli. Il Collegio non aveva infatti ritenuto il semplice trasferimento della proprietà dell’immobile alla moglie sufficiente a tutelare le prerogative dei figli ed aveva segnalato ai coniugi l’opportunità di adottare lo strumento destinatorio ora offerto dall’art. 2645 ter c.c..
Nessun dubbio quanto alla meritevolezza di tutela degli interessi alla cura, mantenimento ed istruzione dei figli, né con riferimento alla forma pubblica (ed alla formale trascrivibilità) del verbale d’udienza dal quale risulta detta destinazione. La giurisprudenza di merito sembra così aver opportunamente recepito lo scopo e la funzione che il legislatore ha rassegnato al nuovo strumento destinatorio, ratificandone il legittimo utilizzo in ambito familiare ed, in particolare, per la definizione della crisi coniugale.

 

Rapporti con l’istituto del trust.
Il dibattito acceso intorno all’introduzione dell’istituto del trust nell’ordinamento civilistico trova oggi un ulteriore argomento di analisi a partire dall’art. 2645 ter. Ciò a prescindere dalla ritenuta ammissibilità o no di un trust interno nel nostro sistema.
Non sfugge all’interprete la diversità (concettuale ed operativa) del trust rispetto alla figura negoziale ora delineata dall’art. 2645 ter. Non si può infatti tacere come, ad eccezione del discusso trust auto-dichiarato , l’istituto del trust presuppone un fenomeno di carattere attributivo-traslativo, dal quale prescinde invece l’atto di destinazione .  Come già detto in precedenza, infatti, il trasferimento a terzi del bene destinato può essere o no presente ed in ogni caso non assume rilevanza rispetto alla natura destinatoria dell’atto.
Anzi, con riferimento al nuovo art. 2645 ter, si afferma che non sia tanto l’attribuzione, bensì la destinazione a caratterizzare l’atto .
Il trust inoltre privilegia, da un punto di vista sostanziale e rimediale, la rilevanza esterna dell’aspetto gestorio che può invece mancare del tutto nell’atto di destinazione di cui all’art. 2645 ter. Non è infatti necessaria la nomina di un gestore, poiché il destinante potrà riservare a sé l’attività gestoria ovvero demandarla al beneficiario. Elemento centrale del negozio di destinazione è infatti la mera “funzionalizzazione del bene allo scopo”.
Infine si sottolinea che il trust realizza una vera e propria segregazione (piena e bilaterale) nel patrimonio del trustee, mentre l’atto di destinazione trascritto ex art. 2645 ter, in quanto opponibile, comporta una separazione soltanto unilaterale nel patrimonio del destinante (rispetto al solo ceto creditorio diverso da quello della destinazione).
A ben vedere, il trust, mutuando quasi per intero la disciplina vigente in altri Paesi, offre, secondo quale è la normativa richiamata, una protezione diversificata e sovente meno lacunosa di quella offerta dalla novella legislativa in esame (limitata all’opponibilità del vincolo ad uno specifico ceto creditorio ed alla tutela offerta a qualunque interessato al rispetto del vincolo medesimo) .
Certo è che, prevedendo la trascrizione degli atti di destinazione e consentendone l’opponibilità ai terzi, ora si può ritenere in gran parte sopito, almeno in via di principio, il dibattito sulla trascrivibilità dei trusts riconosciuti in Italia . Ciò indipendentemente dalla sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma richiesti dall’art. 2645 ter: perché trattandosi comunque di istituto mutuato da un sistema straniero e recepito dall’ordinamento per effetto della ratifica della Convenzione de L’Aja del 1985, esso resta pur sempre disciplinato nei suoi requisiti formali e sostanziali dalla legge estera richiamata. Non avrebbe senso, ad esempio, pensare di limitare la trascrivibilità del trust alla ricorrenza dell’atto pubblico, ove non richiesto dalla norma straniera richiamata.
Resta peraltro aperto l’annoso problema relativo all’ammissibilità del c.d. “trust interno” nel sistema privatistico e sui limiti di liceità e meritevolezza dello stesso. A tale interrogativo non è certamente l’art. 2645 ter che può dare una risposta, proprio perché disciplinante una fattispecie di separazione patrimoniale diversa e concorrente.
Semmai, l’espresso richiamo alla meritevolezza degli interessi renderà ancora più arduo l’ingresso nel sistema italiano di quei trusts rispetto ai quali tale requisito venisse per qualsiasi ragione a mancare. E’ infatti chiaro l’intento del legislatore di voler subordinare l’efficacia esterna degli atti destinatori a contenuto atipico alla meritevolezza degli interessi con essi perseguiti, non dovendosi ritenere di per sé sufficiente la sola verifica di liceità del negozio.
E’ altrettanto chiaro che la volontà del legislatore non può confinarsi nell’obiettivo di trovare una legittimazione normativa interna alla trascrizione del trust nel sistema privatistico: l’art. 2645 ter, infatti, non attiene al trust: esso regola una intera categoria di atti negoziali che al massimo possono ritenersi solo vagamente affini al trust .
Non a caso, più di un autore ritiene che, anche laddove venisse riconosciuta l’ammissibilità del trust nell’ordinamento e la sua conseguente trascrivibilità , esso rappresenterebbe pur sempre una ulteriore forma predefinita di destinazione con rilievo esterno e disciplinata dalla legge di altro Stato richiamata ai sensi della Convenzione de L’Aja del 1985. Ciò al pari delle altre ipotesi di separazione patrimoniale disseminate nel panorama della legislazione speciale di diritto privato e comunque in concorrenza con il nuovo generale atto negoziale di destinazione trascritto e disciplinato dall’art. 2645 ter.
In conclusione si segnala, condividendone ampiamente le ragioni, l’impostazione espressa da chi ravvisa proprio nel filtro di meritevolezza la peculiarità dell’art. 2645 ter e l’elemento distintivo rispetto all’istituto del trust .
Quest’ultimo è infatti suscettibile di essere asservito, per sua natura, alla realizzazione di qualunque interesse, anche speculativo e comunque al di fuori delle ipotesi tipiche previste dal legislatore.
L’elemento qualificante del nuovo atto di destinazione è, come detto, identificabile nella volontà di prevedere uno schema negoziale idoneo a rendere ragione e tutelare (anche attraverso la separazione di parte del patrimonio) quegli interessi personali, di natura perlopiù solidaristica e comunque attinenti alla persona, che non trovano adeguato rilievo nelle fattispecie tipiche previste dalla legge.
Far rientrare il trust nell’ambito disciplinare dell’art. 2645 ter rischierebbe infatti di “fare della destinazione un deforme succedaneo del trust, a servizio di qualunque finalità, con sostanziale abrogazione dell’art. 2740 c.c. e sabotaggio di un sistema che esibisce destinazioni nominate e variamente vincolate negli scopi” .

 


F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. Civ., 2006, II, p. 165 ss..

G. Palermo, Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione, in Destinazione di beni allo scopo, 2003, Roma, p. 246

G. Palermo, Contributo allo studio del Trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, in Riv. Dir. Civ., 2001, p. 391 ss..

P. Spada, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione Nazionale per il Notariato, 2007, p. 121 ss..

A. Di Simone, Prime riflessioni in merito agli effetti conseguenti al fenomeno della funzionalizzazione dei beni ad uno scopo nei vincoli tipici e atipici, in Notiziario C.N.N., 6 aprile 2006; sul vincolo di destinazione, v., Confortini, Vincoli di destinazione, in Dizionario del diritto privato, a cura di N. Irti, Diritto civile, Milano, 1980, p. 877.

Discorre di «funzionalizzazione» della cosa, il cui regime giuridico però non viene modificato, ., E. Moscati, Vincoli di indisponibilità e rilevanza dell’atto traslativo, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 298 ss.

Si pensi, tra le altre, al fondo patrimoniale della famiglia, alle fondazioni ovvero ai patrimoni destinati delle S.p.A. ed alle società di capitali unipersonali.

F. Santoro-Passerelli, Dottrine generali di diritto civile, IX ed., Napoli, rist. 1986.

A. Di Simone, Prime riflessioni in merito agli effetti conseguenti al fenomeno della funzionalizzazione dei beni ad uno scopo nei vincoli tipici e atipici, cit., 2006.

M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, in Atti del Convegno su Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter c.c., Milano, 19 giugno 2006; G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. Dir. Civ., 2006, II, p. 181 ss..

G. Palermo, Ammissibilità e disciplina del negozio di destinazione, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche di innovative, Atti del Convegno, Roma, 2003, p.243 ss..

A. Falzea, Riflessioni preliminari a: La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice civile, 2007, Roma, p. 5; G. De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Atti del Convegno su Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter c.c., Milano, 19 giugno 2006; M. Nuzzo, Atto di destinazione, interessi meritevoli di tutela e responsabilità del notaio, in Atti del Convegno su Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter c.c., Milano, 19 giugno 2006.

Così P. Spada, Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Quaderni della Fondazione Nazionale per il Notariato, 2007, p. 121 ss.; A. Doria, Relazione introduttiva a: Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, Atti del Convegno, Roma, 28/29.09.2006. contra, F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. Civ., 2006, II, p. 165 ss., il quale ritiene doversi piuttosto adottare per il negozio di destinazione la struttura contrattuale, stante il principio di tipicità delle promesse unilaterali ex art. 1987 c.c..

Argomentando dall’art. 817 c.c., il potere di destinazione compete al proprietario ovvero al titolare di un diritto reale di godimento sul bene destinato, G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. Dir. Civ., 2006, II, p. 165.

Sul punto, v., M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996; sulla progressiva relativizzazione del principio della illimitata responsabilità patrimoniale, v., G. Oppo, L’esperienza privatistica, in Atti dei Lincei del Convegno sul tema: I principi generali del diritto, Roma, 1991; A. Gambaro, Il diritto di proprietà, Milano, 1995; contra, tra gli altri, v., L. Barbiera, Garanzia del credito e autonomia privata, Napoli, 1971; R. Nicolò, Responsabilità patrimoniale, concorso di creditori e cause di prelazione, Bologna, 1945; E. Roppo, Sulle limitazioni della responsabilità patrimoniale del debitore.

In giurisprudenza, v., Cass. Civ., 10 luglio 1979, n. 3969, in Vita Not., 1979, p. 654. In argomento, M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 68, attribuisce rilievo relazionale al giudizio di meritevolezza, inteso come risultato di una valutazione comparativa tra l’interesse sacrificato (dei creditori generali) e l’interesse realizzato con l’atto di destinazione.

P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, II, Napoli, 2007, p. 346 ss. e p. 611, laddove si postula «la necessità di non arrestare la valutazione dell’atto al mero giudizio di liceità e di richiederne anche la meritevolezza, ove si consideri che i valori costituzionali impongono piena attuazione: non basta dunque, in negativo, la non invasione di un limite di tutela, ma occorre in positivo, che il fatto sia rappresentabile quale realizzazione pratica dell’ordinamento giuridico dei valori, quale coerente sviluppo di premesse sistematiche poste nella Carta Costituzionale».

Sulla base della premessa per cui il controllo di meritevolezza atterrebbe esclusivamente ai requisiti per la trascrizione e l’opponibilità del vincolo destinatorio, M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., ritiene che il filtro di meritevolezza attenga ad un livello diverso e separato da quello della liceità che afferisce in via esclusiva all’atto di destinazione. Quest’ultimo, in assenza di un interesse meritevole, vedrebbe comunque intatta la sua efficacia obbligatoria.

G. De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Atti del Convegno intitolato Atti notarili di destinazione di beni: articolo 2645 ter c.c., Milano, 19.06.2006. Contra, M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 68, per il quale la meritevolezza, attenendo al profilo dell’opponibilità (fattispecie secondaria) e non all’atto (fattispecie primaria), determinerebbe soltanto la caduta dell’effetto “reale”, ma non la nullità dell’atto di destinazione.

Analogamente rispetto a quanto avviene con il riconoscimento dei trusts nel nostro ordinamento alla luce dell’art. 13 della Conv. L’Aja del 1985. Sul punto, G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., 2006, p. 179 ravvisa nella meritevolezza un vero e proprio limite intrinseco alla configurabilità di vincoli di destinazione con efficacia erga omnes.

Per una prima analisi sul concetto di meritevolezza, v., F. Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 52 ss.; G.B. Ferri, Ancora in tema di meritevolezza dell’interesse, in Riv. dir. civ., I, p. 1 ss.; G. Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970; G. Panza, Buon costume e buona fede, Napoli, 1973; L. Lonardo, Meritevolezza della causa e ordine pubblico, Napoli, 1978; P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 2007; G. Biscontini, Assunzione del debito e garanzia del credito, E.S.I., Napoli, 1993, p. 316, nota 828. Che la meritevolezza ex art. 2645 ter c.c. vada interpretata nel senso della pubblica utilità è stato sostenuto da F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. Civ., 2006, II, p. 165 ss..

Il legislatore sembra aver qui richiamato la concezione bettiana secondo cui il contenuto del negozio può manifestare non una volontà qualunque, vuota ed incolore espressione di un capriccio individuale, bensì una volontà mossa da una causa. Vale a dire un “interesse sociale oggettivo e socialmente controllabile… almeno di carattere ideale e di contenuto morale … ammesso dalla coscienza sociale, durevole e come tale degno di tutela giuridica”. Sul punto, v., altresì C. Cataudella, Il contratto, p. 100 ss..

La menzione delle persone disabili e della Pubblica Amministrazione permea la norma di una caratterizzazione solidaristica assolutamente imprescindibile in sede di selezione degli interessi meritevoli. Sul punto, P. Spada, nelle opere citate, trova in tale peculiarità dell’art. 2645 ter la radicale differenza con il trust, suscettibile com’è di essere asservito alla realizzazione di qualunque interesse, anche speculativo, al di fuori delle ipotesi tipiche disciplinate dal Legislatore. In tema, v., F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., 2006; A. De Donato, Il negozio di destinazione nel sistema delle successioni a causa di morte, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 42 ss., effettua una precisa disamina casistica delle categorie di interessi meritevoli cui l’art. 2645 ter deve fare riferimento. Sulla rilevanza degli interessi personali e solidaristici nella dinamica negoziale, v., altresì L. Di Bona, I negozi giuridici a contenuto non patrimoniale, Napoli, 2000.

G. De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., in Atti del Convegno intitolato Atti notarili di destinazione di beni: articolo 2645 ter c.c., Milano, 19.06.2006.

In proposito, v., M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 72.

Auspicava un intervento normativo in materia, R. Montinaro, Trust e negozio di destinazione allo scopo, Milano, 2004, la quale tuttavia non riteneva la trascrizione del negozio di per sé sufficiente a fondare il carattere reale del vincolo di destinazione sul bene.

Sul punto, v., M. D’Errico, La trascrizione del vincolo di destinazione nell’art. 2645 ter c.c.: Prime riflessioni, in La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 121 ss.. Propendono altresì per la realità del vincolo destinatorio, G. Palermo, opere citate, il quale ritiene che il negozio di destinazione si traduce in un  atto configurativo di un programma e nel contempo dispositivo in vista di un’attribuzione ulteriore e G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., 2006. Analogamente, M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, in Atti del Convegno su Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter c.c., Milano, 19 giugno 2006.

G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 200. In dottrina, ante riforma, è contrario ad ammettere la possibilità di costituire vincoli di destinazione atipici pieni (bidirezionali) sulla base delle sole leggi speciali che consentono una separazione unidirezionale R. Quadri, La destinazione patrimoniale, Milano, 2004. Per un tentativo di ammettere in via negoziale la facoltà dell’autonomia privata di costituire vincoli di destinazione atipici comportanti una separazione patrimoniale piena, v., A. Di Simone, Prime riflessioni in merito agli effetti conseguenti al fenomeno della funzionalizzazione dei beni ad uno scopo nei vincoli tipici e atipici, cit., 2006.

Sull’impossibilità per i privati di creare vincoli di destinazione ad efficacia reale sui beni: M. Spinelli, Le cessioni liquidative, I, Napoli, 1959; C.M. Bianca, Diritto civile, 5, Milano, 1999; in tema di vincoli di indisponibilità e sulla “funzionalizzazione” della cosa all’interesse del terzo, v., E. Moscati, Vincoli di indisponibilità e rilevanza dell’atto traslativo, in Riv. dir. civ., 1972, I, p. 269 ss.. Da ultimo, v., F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., 2006.

M. Bianca, L’atto di destinazione: problemi applicativi, in Atti del Convegno su Atti notarili di destinazione dei beni: art. 2645 ter c.c., Milano, 19 giugno 2006, riconoscendo la natura reale del vincolo destinatorio, intende la realità come rilevanza esterna della destinazione e quindi opponibilità ai terzi di un vincolo che nasce dalla volontà di uno o più soggetti. Cfr. altresì, M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, cit., 1996, p. 207 ss.. Sul punto, M M. D’Errico, La trascrizione del vincolo di destinazione nell’art. 2645 ter c.c.: Prime riflessioni, in La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 121 ss., sostiene come, da un punto di vista terminologico, l’utilizzo del termine vincolo reale non può che significare vincolo opponibile, intendendosi in tal modo riferire la realità all’opponibilità trascrittiva, a prescindere dalla configurazione giuridica del vincolo stesso. Da ultimo, G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 167 vede nell’art. 2645 terun vero e proprio divieto convenzionale di alienazione, opponibile ai terzi grazie alla trascrizione, ogni qualvolta detta alienazione si ponga in contrasto con il fine di destinazione”.

Sulla scorta del principio di tipicità dei diritti reali, collegato al principio di tipicità della trascrizione e con riferimento ai limiti dell’art. 1372, co. 2, c.c., non riconosce alcuna posizione reale al beneficiario della destinazione F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., p. …. L’A. sottolinea come proprietario pieno ed incondizionato rimanga pur sempre il conferente, il quale, se limita con la destinazione, in via meramente obbligatoria, il proprio godimento della res, non rinuncia comunque al potere di disporne. Esclude inoltre che dall’art. 2645 ter possa in alcun modo desumersi la previsione normativa di un nuovo vincolo reale tipico.

Ciò argomentando dal richiamo all’art. 2915, co. 1, c.c. in tema di conflitto tra vincolo di indisponibilità e pignoramento; v. M. D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione, cit., 2006.

In materia di trascrizione, v., Natoli, Della trascrizione, in Comm. al cod. civ., Torino, 1971; Nicolò, La trascrizione, II, Milano, 1973; F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, in Comm. Schlesinger, Milano, 1998.

Analogamente nella cessio bonorum. Cfr., G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 191.

P. Spada, Destinazioni patrimoniali ed impresa, in Atti del Convegno su Nuove forme di organizzazione del patrimonio, Roma, 28 settembre 2006.

Sempre che si aderisca alla impostazione per cui la separazione patrimoniale non incide sulla qualificazione dell’atto destinatorio, né sull’assetto di interessi programmato, ma rileva esclusivamente alla stregua degli effetti che con esso il disponente intende produrre. Sul punto, v. U. La Porta, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale; G. Palermo, Contributo allo studio del Trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano.

Non può negarsi come tale meccanismo negoziale fondato su una serie progressiva di atti giuridici, ciascuno produttivo di effetti ulteriori al fine di realizzare la fattispecie destinatoria e l’opponibilità del vincolo, riecheggia la concezione procedimentale del diritto. La teorizzazione delle regole procedimentali dell’autonomia privata si deve a Santi Romano, Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, p. 14 ss.; V. altresì, Salv. Romano, Autonomia privata (Appunti), Milano, 1957; Id, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano, 1961, p. 77 ss.. Si veda altresì il recente contributo di P. Perlingieri, La concezione procedimentale del diritto di Salvatore Romano, in Rass. Dir. Civ., 2006, p. 425 ss..

Così, M. D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione, cit., 2006, il quale esclude che, nella fattispecie in discorso, possa coerentemente parlarsi di pubblicità costitutiva; F. Roselli, Atto di destinazione del patrimonio e tutela del creditore, cit., 2006.

F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, cit., 1993; v. altresì, F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, cit., 2006, il quale ritiene la fattispecie destinatoria produttiva unicamente di effetti obbligatori, opponibili a terzi creditori solo con la trascrizione dell’atto. L’effetto della separazione conseguente alla trascrizione non sarebbe peraltro idonea a trasformare il vincolo obbligatorio in vincolo reale, dando luogo esclusivamente alla predetta opponibilità ai terzi.

Tribunale di Trieste, Decreto 7 aprile 2006, cit., p. …., annotato da M. Bianca, Il nuovo art. 2645 ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice tavolare di Trieste, in Giust civ., 2006, II, p. 190 ss.

In proposito, la pronuncia del Giudice Tavolare di Trieste testualmente riconosce che «quanto all’individuazione dei parametri per l’apprezzamento del programma negoziale, il giudizio di meritevolezza andrebbe confinato nel mero esame della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume».

Tribunale di Reggio Emilia, Sentenza 23-26 marzo 2007, in Guida al Diritto, 2007, f. 18, p. 58 ss., con nota di A. Tonelli, Con l’istituzione di un trust garantita una tutela maggiore, p. 64 ss..

Sulla cui ammissibilità più di un autore avanza forti dubbi. V., in proposito, M. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645 ter cod. civ. quale frammento di trust, in Trust e attività fiduciarie, 2006, p. 171.

Sulla distinzione tra l’atto negoziale di destinazione disciplinato dall’art. 2645 ter e il trust, v., M. Bianca, Il nuovo articolo 2645 ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice Tavolare di Trieste, in Giust. Civ., 2006, II, p. 187 ss.. In particolare la sentenza annotata ha ritenuto che l’art. 2645 ter fosse privo di contenuto sostanziale e quindi non consentisse l’esame di una qualificazione dell’atto di trust alla luce di detta normativa. L’A. appare decisamente critico rispetto all’approccio adottato dal Giudice Tavolare, ritenendo che la norma in discorso abbia natura sostanziale, in quanto regola, “oltre alla pubblicità, altri aspetti che sono la durata del vincolo, la forma, l’azione del beneficiario e la meritevolezza, che sono elementi che non hanno nulla a che vedere con la pubblicità”; ad analoghe conclusione giunge G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 162.

M. Bianca, Il nuovo articolo 2645 ter. Notazioni a margine di un provvedimento del Giudice Tavolare di Trieste, cit., 2006, p. 190.

In argomento, v. M. Lupoi, Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645 ter cod. civ. quale frammento di trust, in Trust e attività fiduciarie, 2006, p. 169 ss., il quale, facendo rilevare la differenza tra trusts e atto di destinazione ex art. 2645 ter, considera quest’ultimo un frammento di trust, poiché “tutto ciò che è nell’atto di destinazione è anche nei trust, ma i trust si presentano con una completezza regolamentare e una collocazione nell’area della fiducia che l’atto di destinazione non presenta”. Tale maggiore completezza deriva, a parere dell’A., dall’utilizzo dello schema fiduciario che il trust consente di porre in essere contestualmente all’effetto di segregazione patrimoniale. Contra, M. D’Errico, Trust e destinazione, in Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Roma, 2003, il quale ritiene il negozio di destinazione quale essenza del trust. In argomento, lo stesso A. (M. D’Errico, Trascrizione del vincolo di destinazione, cit., 2006), richiamando l’impostazione di F. Gazzoni, sottolinea la diversità delle caratteristiche strutturali, rimediali ed effettuali del trust rispetto a quelle del negozio di destinazione, ed esclude la riconducibilità del primo nella categoria generale delineata dall’art. 2645 ter c.c..

Sul punto, G. De Nova, Esegesi dell’art. 2645 ter c.c., cit., 2006; G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 211; contra, F. Gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645 ter, in Giust. Civ., 2006, II, p. 165 ss., il quale prende posizione sulla riconducibilità del trust nella disciplina descritta dall’art. 2645 ter, escludendone “la compatibilità e la possibilità stessa di ottenere la trascrizione del primo attraverso l’applicazione della nuova disciplina, men che meno in materia di trascrizione”.

Contra, G. Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, cit., p. 203 ss., rinviene nell’art. 2645 ter gli elementi essenziali caratterizzanti il trust “convenzionale”, con l’effetto di legittimare una forma di “trust di diritto italiano”, alternativo, benché dalla disciplina più lacunosa rispetto alle consolidate figure internazionali.

In assenza di pronunce di legittimità, la giurisprudenza di merito assolutamente maggioritaria e la dottrina prevalente riconosceva la trascrivibilità dei trust, ritenendo all’uopo sufficiente la previsione dell’art. 12, Conv. L’Aja del 1985. Contra, F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (Osservazioni di un giurista non vivente su Trust e Trascrizione), in Riv. Not., 2001, p. 11 ss.; Id., Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del Trust, in Riv. Not., 2002, p. 1107.

P. Spada, opere citate.

P. Spada, Riflessioni conclusive a: La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645 ter del codice cilvile, Roma, 17 marzo 2006, p. 201.

 

Fonte: http://www.notaioricciardi.it/UFFICIO/TRUST/Atti%20di%20destinazione.doc

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