Corte Costituzionale

Corte Costituzionale

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Corte Costituzionale

Le origini della giustizia costituzionale
Solo nei regimi a Costituzione rigida le norme costituzionali sono poste al vertice della scala gerarchica sulla quale si collocano le diverse fonti di cui si compone il sistema normativo, sì che solo in essi si pone il problema di prevedere appositi meccanismi di reazione di fronte a possibili violazioni di tale regola gerarchica o a possibili violazioni delle regole costituzionali che disciplinano i rapporti tra i diversi poteri dello Stato. È con una famosa sentenza del 1803 del giudice Marshall che al riconoscimento della superiorità delle norme costituzionali rispetto ad ogni altra fonte normativa sub-costituzionale, e in particolare rispetto alla legge, si accompagna l'affermazione dell'esigenza che tale superiorità venga garantita non solo sul piano politico, ma anche su quello giuridico. Con riferimento alla decisione delle questioni relative alla legittimità costituzionale delle leggi, opera il principio dello "stare decisis", ossia del valore vincolante del precedente giudiziario, un principio che ha in grado di vincolatezza direttamente proporzionale al livello cui appartiene il giudice che ha avuto una decisione. Questo sistema di giustizia costituzionale, che vede chiamati in causa tutti i giudici è chiamato sistema diffuso, in contrapposizione al sistema che con un secolo di ritardo, comincerà ad essere sperimentato in Europa e che è detto sistema accentrato, giacché affida non ai singoli giudici bensì a un organo appositamente creato a questo fine, il compito di assicurare la conformità delle leggi alla Costituzione. Questo secondo sistema fu previsto dalla Costituzione austriaca del 1920; e nasceva soprattutto dall’esigenza di risolvere i possibili conflitti in ordine al riparto del potere legislativo fra federazione e singoli lander. La soluzione di tali conflitti richiedeva, infatti, l’individuazione di un organo imparziale cui affidare l’interpretazione delle norme costituzionali relative al riparto delle competenze tra organi federali e locali. Di qui la creazione del tribunale costituzionale.
Il ritardo con cui i primi sistemi di giustizia istituzionale hanno fatto il loro ingresso negli ordinamenti europei è dovuto ad un duplice ordine di ragioni; all'assenza di un vero pluralismo politico, sociale e istituzionale o comunque di un pluralismo tale da porre l'esigenza di immaginare una sede imparziale di soluzione giuridica dei conflitti che possono nascere dalla dinamica interna del sistema. In secondo luogo, alla difficoltà, comune a tutti gli ordinamenti europei a staccarsi dal principio della "sovranità" della legge, intesa quale atto sovrano per eccellenza. Solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale (insieme al principio di rigidità della Costituzione) è divenuto, in Europa un principio generalmente accolto.
Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti
Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida i due modelli, cui i Costituenti possono fare riferimento, sono: quello "diffuso", proprio della tradizione americana, e quello "accentrato" proprio dell'esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito fu l'introduzione di un modello di giustizia costituzionale che tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Del modello accentrato il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale, con tutte le garanzie di autonomia e di indipendenza proprie di organi di questo tipo, il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello diffuso accolse il principio dell'estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni. I motivi che determinarono questa scelta furono motivi di natura tecnico- giuridica e di natura politica. Quanto ai primi, giocarono un ruolo importante non solo le esigenze legate alla struttura regionale dello Stato ma anche l'inesistenza nel nostro ordinamento di un principio analogo a quello dello "stare decisis". In assenza di un vincolo di questo tipo, affidare la decisione delle questioni di legittimità costituzionale ai singoli giudici avrebbe, infatti, comportato il rischio di inevitabili difformità di giudizio, con altrettanto inevitabili conseguenze negative sul piano della certezza del diritto.
Quanto ai motivi di natura politica, vanno ricercati in un atteggiamento di diffidenza nei confronti del corpo dei magistrati. I quali, in larga parte,si erano formati sotto il regime fascista: si temeva,dunque, che non offrissero sufficienti garanzie per una piena e sollecita applicazione di principi costituzionali, come quelli contenuti nella nuova carta repubblicana, così profondamente innovativi rispetto a quelli cui si era ispirato l’ordinamento precedente.
Quella che viene disegnata dal Costituente è un'alta magistratura, che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell'attività che essa è chiamata ad esercitare (giurisdizionale e politica) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni quanto i singoli cittadini, attraverso l'intermediazione del giudice.
Struttura e funzionamento della corte
L'art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri della giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti). Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite, all'istituzione della Corte è invalsa una regola convenzionale ovvero quella di riservare la designazione di questi 5 giudici ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono. Una regola analoga ha guidato anche l'esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato. Nel senso che, anche in questo caso, si tratta di nomine che spesso, anche se non sempre, non vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della rappresentanza delle diverse aree politiche.
L'indubbia politicità delle nomine di origine parlamentare e presidenziale è bilanciata dalla durata in carica particolarmente lunga (9 anni), dalla non rieleggibilità e dalla previsione di precisi requisiti di professionalità. Oltre a questi requisiti positivi, sono previste numerose cause di incompatibilità, alcune dettate direttamente dalla Costituzione, altre previste dalla legge quali il divieto di ricoprire ogni altro impiego pubblico o privato, il divieto di svolgere qualunque forma di attività professionale, il divieto di svolgere funzioni di sindaco. La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, uno dal Consiglio di Stato e uno dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio, la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti. In caso di parità risulta eletto il più anziano. Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei suoi membri eletto a maggioranza di componenti (ove tale maggioranza non venga raggiunta nei primi due scrutini, si procede al ballottaggio e risulta eletto chi ha raggiunto la maggioranza dei voti).
Il Presidente dura in carica 3 anni ed è rieleggibile, entro i limiti del suo mandato novennale. Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non sono in ordine allo svolgimento della discussione del collegio (a cui spetta, tra l’altro, il voto decisivo in caso di parità dei voti espressi dagli altri giudici) ma anche in ordine alla definizione del calendario delle cause da decidere. Il presidente è in grado non solo di far o parare la corte più o meno intensamente, ma anche di scegliere il momento più opportuno nel quale chiamarla a pronunciarsi su questioni particolarmente controversie e di forte impatto politico.
Non appena eletti i giudici della corte costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Allo scadere del termine dei 9 anni, i giudici costituzionali cessano dalla carica e dall’esercizio delle loro funzioni, si che non si applica alla corte l’istituto della “prorogatio”, che invece abbiano visto essere espressamente previsto per le camere. Quella ora descritta è la composizione per così dire ordinaria della corte; essa muta nel caso in cui l’organo di giustizia costituzionale sia chiamato a esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di alto tradimento e attentato alla costituzione del presidente della Repubblica: la composizione della corte viene in questo caso integrata dai 16 giudici non togati, estratte a sorte dalla lista di persone nominate dal parlamento in seduta comune.
Come ogni altro organo costituzionale, la corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l'autonomia e l'indipendenza. Per ciò che attiene alle garanzie esse consistono: nel potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del processo dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale; nel potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità; nel potere di decidere la rimozione della carica dei propri membri; nell'autonomia finanziaria; nell'autonomia amministrativa, che consente alla Corte non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione con essa a questi rapporti di impiego; nell'autonomia regolamentare, attraverso la quale la corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione; nel potere di polizia interna assegnata al Presidente della Corte. Per quanto attiene alle garanzie assicurate ai giudici costituzionali esse consistono: nella inamovibilità di impedimento per incapacità sopravvenuta o gravi mancanze nell'adempimento delle proprie funzioni; nella insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni; nella non sottoponibilità a limitazione delle libertà personali, salva l'autorizzazione della stessa Corte; nell'assegnazione di una retribuzione che la legge determina in misura non inferiore a quella del più alto magistrato della giurisdizione ordinaria. I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della pubblicità e quello della collegialità. Le sedute della Corte sono pubbliche; sentenze e ordinanze sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale. Il principio di collegialità stabilisce che la corte opera alla presenza di almeno 11 giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.
Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto
La prima funzione della Corte Costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi, a garanzia della rigidità della Costituzione.
Si tratta di un controllo successivo all’entrata in vigore della legge, da non confondere con quel controllo, sempre di conformità alla Costituzione ma preventivo, che viene esercitato dal presidente della Repubblica, in sede di promulgazione delle leggi e di emanazione degli atti con forza di legge.
Oggetto di tale controllo non sono le sole leggi approvate dal Parlamento ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Non sono stati ricompresi nella categoria degli atti sottoponibili a giudizio della corte i regolamenti, nella convinzione che essendo fonti secondarie subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione.
Va tuttavia precisato che l’attuale esclusione dei regolamenti dal novero degli atti sottoponibili al controllo di legittimità costituzionale alla corte non esclude che alcuni fra essi possono essere sindacati dalla corte stessa in sede di decisione dei conflitti di attribuzione, nonché, sempre per profili attinenti alla loro conformità alla Costituzione, dallo stesso giudice comune, trasformandosi il vizio di costituzionalità in vizio di legittimità dell’atto regolamentare.
Non rientrano tra gli atti sottoponibili del giudizio della corte neppure i regolamenti parlamentari, pur fonti primarie, in contrasto con parte della dottrina e analoga regola è da ritenersi operante anche per i regolamenti degli altri organi costituzionali. Vi rientrano sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari, anche se non direttamente, bensì per il tramite della legge di esecuzione dei Trattati istitutivi delle comunità. In relazione a quest’ultimi la corte ha avuto modo di affermare in più di una occasione la propria competenza a verificare la perdurante compatibilità dei trattati rispetto a quelli che essa chiama i “principi supremi” dell’ordinamento costituzionale italiano, nonché rispetto ai diritti inalienabili della persona umana.
Esistono, infine, alcune ipotesi dubbie, come quella che riguarda l’atto (decreto del presidente della Repubblica) che contiene l’esito positivo, cioè abrogante, del referendum di cui all’art. 75 Cost. è da sottolineare che la corte non ha escluso, in linea di principio, questa eventualità, ma al controllo l’ha affermata in una serie di sentenza. In linea con la sua giurisprudenza sulla collocazione delle leggi di esecuzione dei trattai internazionali allo stesso livello delle altre leggi (e dunque vincolate al rispetto dei principi costituzionali), la corte ha risolto in senso positivo l’interrogatorio circa la loro sottoponibilità al suo sindacato, ovvero quelle in tema di esecuzione interna di trattati di estrazione verso paesi in cui ordinamento prevede la pena di morte.
Sempre in ordine all'oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte ovvero anche sulle norme e se ne possono desumere. La legge 87/1953 quando disciplina il modo di porre le questioni di legittimità costituzionale alla Corte, nonché il modo in cui quest'ultima deve deciderle, allude solo alle disposizioni: così il giudice che propone la questione deve indicare il testo delle specifiche disposizioni impugnate; così la Corte in sede di decisione deve indicare quali siano le disposizioni che essa ritiene illegittime. Oggi nessuno mette in discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni, quanto le norme da esse comunque desumibili.
I vizi sindacabili e le norme parametro
Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è un controllo formale: la Corte può sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all'approvazione e all'entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge.
Queste regole sono in parte contenute direttamente nella Costituzione o in altre fonti sulla produzione cui la Costituzione rinvia e la corte ha affermato la propria competenza ad accertare l’avvenuto rispetto delle prime, facendo così cadere, molto parzialmente, il principio della insindacabilità degli “interna corporis” del parlamento.
Il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne la conformità o meno rispetto alla Costituzione. Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili dalla corte sono di tre ordini: violazione della Costituzione: ogni vizio di legittimità costituzionale di una legge si traduce in una violazione della Costituzione, ma qui il termine è usato in un significato più puntuale e sta ad indicare il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale; incompetenza: è il vizio che riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe aspettato adottarli; vizio, dunque, che si risolve nella violazione dei criteri di riparto della funzione legislativa previsti dal dettato costituzionale e che attiene, essenzialmente, ai rapporti tra legge statale e legge regionale (o provinciale); eccesso di potere legislativo: si tratta di un vizio, la cui definizione si deve alla giurisprudenza della Corte costituzionale.
In relazione agli atti amministrativi, esso sta ad indicare l’adozione di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione alla legge,esso sta ad indicare l’adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa risulta violata. La stessa corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni criteri guida, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge rispetto ai suoi presupposti; l’incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al raggiungimento delle finalità che stanno alla base della disciplina legislativa impugnata; infine, ed è il criterio di cui si è più discusso, la ragionevolezza del contenuto della legge, sempre misurata alla luce delle sue finalità nel quadro dei principi costituzionali.
Il parametro del controllo di costituzionalità della legge rimane sempre un parametro costituzionale, sia esso rappresentato da norme espressamente previste dalla Costituzione ovvero da principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale.

E lo stesso vale per quelle ipotesi in cui, oltre alla Costituzione e alle leggi costituzionali, vengono utilizzate come parametro norme di legge ordinaria, la cui violazione, da parte della legge impugnata davanti all’organo di giustizia costituzionale, si traduce in una violazione indiretta della Costituzione. È il caso delle leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto previsto dall’art.76 Cost., tutta una serie di limiti cui il governo deve attenersi nell’adottare i conseguenti decreti delegati: ove questi ultimi non rispettino le indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti alla corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa, previsti dall’art.76 Cost.
In secondo luogo, è il caso delle norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del trincio affermato dall’art. 10 Cost., il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività di tali norme nell’ambito dell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale.
In terzo luogo, è il caso delle “leggi cornice”, quelle destinate, a dettare i principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in questa ipotesi l’eventuale violazione è soggetta al sindacato della corte, in quanto violazione della norma interposta. Infine, è stato a lungo il caso delle norme comunitarie, la cui violazione da parte del legislatore nazionale la corte riteneva di dover sindacare in quanto violazione indiretta dell’art. 11 Cost., inteso quest’ultimo come disposizione che autorizza la diretta applicabilità delle norme comunitarie nell’ordinamento interno. Successivamente essa, aderendo alla posizione assoluta dalla corte di giustizia, ha cambiato indirizzo e ha affermato la competenza del giudice comune ad operare questo raffronto e, se del caso, disapplicare la legge nazionale che risulti in contrasto con le norme comunitarie. Queste norme di legge ordinaria, o di atti ad essa equiparati, sono norme interposte: perché si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano una specifica attuazione, e la norma di legge impugnata davanti alla corte, si che quest’ultima, per accertare l’eventuale violazione della norma costituzionale, dovrà fare riferimento innanzitutto alla norma che ne rappresenta l’applicazione.
L'accesso alla corte in via incidentale
La Costituzione non detta a una disciplina circa i modi di accesso alla Corte Costituzionale. È alla legge cost. 1/1984 che è necessario fare riferimento per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell'organo di giustizia costituzionale. Tali regole danno vita a due distinti procedimenti: un procedimento in via incidentale e un procedimento in via principale. Il procedimento in via incidentale nasce da un'iniziativa di un giudice comune la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere. Uno degli aspetti procedurali sui quali la corte ha dovuto intervenire con numerose pronunce ha riguardato l'esatta definizione della nozione di giudice "a quo", del soggetto cioè abilitato a promuovere una questione di legittimità costituzionale.
L’art. 23 della legge 87/1953 parla di “autorità giurisdizionale”, alludendo a quei soggetti in possesso dei requisiti formali necessari per appartenere all’ordine giudiziario, e di “giudizio”, alludendo al processo quale sede naturale nella quale può essere sollevata (dalle parti) o rilevata(di ufficio) una siffatta questione. La corte costituzionale ha avuto modo di occuparsi in numerose occasioni di questo problema, risolvendo sempre sulla base di una nozione di “attività giurisdizionale” (e di “giudizio”) non astratta, ma specifica, ossia legata alle finalità particolari del processo costituzionale, il quale deve consentire la più ampia possibilità di sottoporre le leggi vigenti al vaglio di costituzionalità. In questo modo, essa ha potuto andare al di là del dato formale e affermare un’interpretazione estensiva dei termini utilizzati dal legislatore, ricomprendendo nella nozione di “giudice a quo”, oltre a sé medesima, la commissione disciplinare del consiglio superiore della magistratura, la corte dei conti, sia in sede di giudizio di parificazione del bilancio dello Stato, sia in sede di controllo sugli atti del governo, il giudice di sorveglianza, in sede di esecuzione della pena, l’arbitro rituale, e così via.
Nel corso del giudizio può avvenire che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per quel processo, sia di dubbia legittimità costituzionale. Convinzione alla quale il giudice può intervenire per iniziativa propria o perché indotto da un'istanza di una delle parti in causa, ovvero dal pubblico ministero. In questo caso, il giudice sospende il processo creando così un incidente nel corso del medesimo (procedimento in via incidentale) e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla corte, l'unica abilitata a deciderla. L'atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti all'organo di giustizia costituzionale è un'ordinanza motivata di rinvio, la quale deve contenere: l'indicazione della disposizione legislativa della cui legittimità costituzionale si dubita; l'indicazione delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere la questione di legittimità costituzionale sottoposta alla corte rilevante ai fini della decisione del processo che pende davanti a lui (giudizio di rilevanza). Il giudice deve cioè convincersi, e motivare di conseguenza, che la decisione del processo richiede necessariamente l’applicazione della disposizione legislativa impugnata, si che la soluzione della questione di legittimità costituzionale, di cui essa è oggetto, diviene pregiudiziale rispetto alla decisione finale del processo in corso. I motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità costituzionale non sia manifestamente infondata 8è giudizio di non manifesta infondatezza), ossia a ritenere che esistano davvero dei dubbi circa la conformità a Cost. di quella disposizione. Le ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale sono soggette ad un regime di pubblicità: sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale al duplice scopo di consentire a chiunque di conoscere i profili di dubbia costituzionalità e di consentire ad altri giudici che si trovino nella stessa situazione di espandere la loro decisione.
Le ordinanze sono inoltre notificate alle parti in causa, al pubblico ministero, al presidente del consiglio o al presidente della giunta regionale. Si tratta, dunque, di un procedimento che realizza quella combinazione tra elementi del modello diffuso di giustizia costituzionale e elementi propri del modello accentrato di cui si è detto, coinvolgendo anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi, con un ruolo non decisionale (esso è riservato alla corte), ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni che possono nascer in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche controversie. Una volta esclusa l’introduzione di un accesso diretto alla corte da parte dei singoli cittadini si è fatto del giudice comune il limite necessario di ogni istanza relativa alla legittimità costituzionale delle leggi: un tramite necessario, ma non meccanico e automatico, giacché esso, prima di chiamare in causa l’organo di giustizia costituzionale, deve vagliare (ecco la funzione di filtro) che la questione che gli viene proposta non solo sia, come si è detto, rilevante per la decisione di quella specifica controversia, ma anche non manifestamente infondata.
L’accesso in via principale (o diretta)
L'unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte per un giudizio sulla legittimità costituzionale o meno di una legge, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione o in contrasto con i criteri costituzionali fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte. In seguito all'approvazione delle leggi costituzionali 1/1999 e 2/2001, l'impugnazione da parte dello Stato può riguardare la legge di approvazione degli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria o la legge delle Regioni ad autonomia speciale: tali leggi possono essere impugnate dal Governo davanti alla Corte, entro 30 giorni dalla loro pubblicazione notiziale.

Per ciò che attiene alle altre leggi delle regioni, in base al nuovo art. 127 Cost., l’impugnazione da parte del governo, deliberata dal consiglio di ministri, deve intervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione delle leggi regionali sul bollettino ufficiale della regione.
I motivi che possono determinare l'impugnazione delle leggi regionali davanti alla corte da parte del governo sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni.
Analogamente, anche la regione può impugnare in via diretta una legge o un atto con forza di legge dello Stato entro 60 giorni dalla sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, ma solo nell’ipotesi in cui ritenga che l’atto statale “leda la sua sfera di competenza” (art. 127.2 Cost.).
Oltre che da parte dello Stato una legge regionale può essere impugnata anche da parte di un altra Regione. Sul versante regionale, legittimato a promuovere l'impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un'apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro 30 giorni dalla pubblicazione della legge.
In analogia a quanto previsto per i conflitti tra Stato e regione, la legge 131/2003 ha attribuito alla corte il potere di sospendere le leggi statali o regionali impugnate, qualora essa “ritenga che l’esecuzione dell’atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave e irreparabile per i diritti dei cittadini.
L'esame della questione da parte della Corte
Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la costituzione delle parti ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte.
L’esame di questo deve attenersi strettamente ai termini nei quali essa è stata posta nell’ordinanza di rinvio, attraverso l’indicatore delle disposizioni di legge, ritenute di dubbia legittimità e delle norme costituzionali di riferimento, e può essere esteso dalla corte solo alle disposizioni di legge connesse a quelle indicate nell’ordinanza. Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione del processo “a quo”. Il giudizio di rilevanza è riservato al giudice comune, si che l’intervento della corte deve limitarsi (ma non sempre questo limite è stato rispettato) ad accertare l’esistenza di una motivazione, su questo punto, sufficiente, non palesemente erronea o contraddittoria dell’ordinanza di rinvio, e non arrivare fino a un riesame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice “a quo” a certe conclusioni.in caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla corte,essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione, per difetto di rilevanza, e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà gli atti al giudice 2° quo” (ordinanza di inammissibilità).
Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice "a quo", nel caso in cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata (ordinanza di manifesta infondatezza). Nell’ipotesi opposta, viceversa, la corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità costituzionale espressi nell’ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestamente infondati, siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità delle norme impugnate. Se al giudice “a quo” spetta solo accertare l’esistenza di dubbi non manifestamente infondati circa la legittimità delle norme impugnate, alla corte spetta, invece, in va esclusiva e inappellabile, il compito di decidere circa l’esistenza o meno del contrasto ipotizzato dall’ordinanza di rinvio.la decisione della questione avviene in camera di consiglio, ma può essere preceduta da un’udienza pubblica. In genere, tutte le decisioni di carattere processuale della Corte rivestono la forma dell'ordinanza non, là dove assumono la forma della sentenza le decisioni che investono il merito della questione di legittimità costituzionale sollevata.

 

 

Le modalità di conclusione del processo costituzionale

  1. La conclusione del processo in via incidentale

La sentenza della corte può esprimere o l’accoglimento dei dubbi espressi nell’ordinanza di rinvio in relazione alle norme impugnate, ovvero il loro rigetto. Nel I caso, la corte adotta una sentenza che è detta, appunto, di accoglimento. Nel II caso, una sentenza del rigetto.
Le sentenze si compongono di tre parti: nella prima ("in fatto") vengono riassunti i termini della questione così come proposti nell'ordinanza di rinvio, ed esposte le posizioni espresse dalle parti che si sono costituite; nella seconda ("in diritto") la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione proposta, sia in ordine della sua fondatezza o meno; nella terza ("dispositivo") la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione.
Le sentenze di accoglimento recano nel dispositivo la dichiarazione di incostituzionalità delle norme impugnate; le sentenze di rigetto, la dichiarazione dell’infondatezza dei dubbi di costituzionalità espressi nell’ordinanza di rinvio.
Sia le sentenze, che le ordinanze sono depositate presso la cancelleria della stessa Corte. Il dispositivo delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella gazzetta ufficiale (ovvero nel bollettino della regione interessata, se riguardano leggi regionali).
Le sentenze di accoglimento producono l'annullamento della norme di legge dichiarate incostituzionali. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti “erga omnes”. La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici che vengono a formarsi nel periodo successivo alla pubblicazione della sentenza di accoglimento, ma anche quelli ad essa precedenti che non siano giuridicamente esauriti con l’unica eccezione rappresentata dai rapporti giuridici decisi con sentenza di condanna penale irrevocabile (si prevede che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità delle norme di legge, in base alle quali tale condanna è stata pronunciata, ne produca la cessazione degli effetti a carico del condannato).
Un altro limite alla retroattività delle sentenze di accoglimento è divenuto affermandosi in quella giurisprudenza della Corte nella quale essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo il momento da cui essi dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). In questo modo la corte finisce per attribuirsi un potere nell’esercizio nel quale possono facilmente giocare valutazioni di ordine sostanziale,non strettamente legate alla logica del processo costituzionale, con il rischio di determinare disparità di trattamento, non sempre facilmente giustificabili. Come per gli effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la corte ha messo a punto una serie di meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze connesse all’accertamento dell’incostituzionalità della legge impugnata.
Con le sentenze di rigetto precario ovvero di costituzionalità provvisoria, la Corte accerta l'incostituzionalità della legge ma rinvia ad un momento successivo la declatoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi alle sentenze di incostituzionalità differita, che sono delle sentenze di accoglimento, con le quali la corte dichiara l’incostituzionalità della legge, ma, contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un “dies a quo”, futuro, che, in certi casi, viene lasciato indeterminato, in altri viene puntualmente determinato dalla stessa corte. L’esigenza cui quest’ultimo tipo di sentenze risponde è quella di evitare che una pronuncia di accoglimento “tout-court” produca una lacuna particolarmente grave nell’ordinamento giuridico, cui solo l’azione creativa del legislativo può ovviare: il differimento degli effetti della pronuncia in incostituzionalità serve appunto a dar tempo al parlamento di intervenire ad eliminare la situazione di illegittimità riscontrata dalla corte.le norme dichiarate incostituzionali cessano di esistere e ciò spiega perché si parli, in relazione agli effetti delle sentenze di accoglimento, della creazione di “lacune” nel sistema normativo. Colmare queste lacune spetta al legislatore (sia quello nazionale o quello regionale), ovviamente attraverso la predisposizione di una disciplina che non presenti gli stessi aspetti di incostituzionalità che hanno portato alla caducazione delle norme sottoposte al controllo di legittimità costituzionale della corte.
Il presidente del consiglio riferisca periodicamente al consiglio stesso (dandone comunicazione alle camere) circa lo Stato del contenzioso costituzionale, ma anche che il presidente promuova le iniziative legislative che, in relazione a questioni di legittimità costituzionali pendenti, risultino opportune.
A differenza di effetti delle sentenze di accoglimento, quelli delle sentenze di rigetto si riverberano nei confronti del processo "a quo": il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati nell'ordinanza di rinvio. Ed ovviamente le stesse norme potranno continuare ad essere applicate da altri giudici comuni, nonché dagli organi amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude che la stessa possa essere riproposta alla corte, accompagnata da diverse motivazioni, e che possa andare incontro ad un esito diverso. Sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte costituzionale. Quest’ultima, infatti, nel corso della sua lunga attività, ha messo a punto un apparato di strumenti decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto con i soggetti istituzionali destinatari delle sue pronunce (legislatore e giudici comuni) meno schematico di quello che il solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbe consentito.
Un primo arricchimento degli strumenti decisori della Corte si è avuto con l'introduzione delle sentenze interpretative. Con esse, la corte, sciogliendo in senso positivo l’interrogativo circa la possibilità di esercitare il controllo di legittimità costituzionale non solo sulle disposizioni, ma anche sulle norme da esse desumibili, valuta la conformità di queste ultime rispetto alla Costituzione, si che su queste e non sulle disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Se la corte giudica incostituzionale la norma desunta in via di interpretazione dalla disposizione impugnata (sentenza interpretativa di accoglimento), la disposizione rimarrà nell'ordinamento senza che si determini alcuna lacuna, ma essa non potrà trovare applicazione nell'interpretazione sulla base della quale la Corte ne ha dichiarata l'incostituzionalità.
Può anche avvenire che la corte giudichi infondati i dubbi di legittimità costituzionale avanzati in relazione alla disposizione impugnata, qualora essa ritenga che la norma da essa desumibile, sempre in via di interpretazione,non consenta di arrivare ad una pronuncia di accoglimento (sentenza interpretativa di rigetto) e in questo caso l’effetto sarà, di nuovo, quello di consentire non solo la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche la sua applicazione nell’interpretazione datane dalla corte. Anche in questo caso, oggetto della pronuncia della corte non è tanto la disposizione, quanto una sua particolare interpretazione. L’obiettivo della corte intendeva raggiungere nel dare il via alla prassi delle sentenze interpretative (quello di evitare troppe “lacune” nel tessuto normativo) incontra, nel nostro sistema, il limite rappresentato dalla inesistenza di un obbligo giuridico per il giudice comune di confermare le proprie decisioni alle interpretazioni delle disposizioni legislative sostenute dall’organo di giustizia costituzionale. Tali interpretazioni possono avere al più un valore persuasivo nei confronti degli altri giudici, ma non certo quello proprio di un vincolo giuridico. Ciò spiega il perché, in numerose occasioni, la corte, di fronte al mancato seguito giurisprudenziale delle proprie sentenze interpretative, una volta chiamata di nuovo a pronunciarsi sulle medesime disposizioni di legge, abbia cambiato strada e imboccato quella delle sentenze di accoglimento in senso proprio.
Diritto vivente è il diritto che risulta dalla consolidata interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni di legge.
Un secondo tipo di sentenze è rappresentato dalle sentenze additive, da quelle ablative e da quelle sostitutive. Si tratta in tutti e tre i casi di sentenze di accoglimento.
Con le I, la corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualche cosa che invece dovrebbe prevedere; con le II, la corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui prevede” un qualche cosa  che invece non dovrebbe prevedere; con le III, la corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa “anziché” un qualcos’altro. L’effetto delle I sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, giacché dal giorno successivo a quello della pubblicazione della sentenza, la parte mancante diverrà norma applicabile dal giudice e andrà così a integrare il contenuto della disposizione impugnata (di qui la definizione di sentenze additive). L’effetto delle II sarà, invece, quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale dalla corte, lasciandone in vita la parte restante (sentenza ablative). L’effetto delle III sarà quello di imporre al giudice comune l’applicazione della norma individuata dalla corte incostituzionale di quella dichiarata illegittima. Il ricorso a questo secondo tipo di sentenze è stato soggetto a critiche soprattutto per i problemi che esso pone in relazione alla definizione dei rapporti tra Corte costituzionale e legislatore. Per superare le critiche la corte ha messo a punto una nuova tecnica decisoria rappresentata dalle sentenze additive- di principio: il giudice costituzionale si astiene dal formulare la norma "mancante" ma si limita ad enunciare i principi, applicando i quali tale lacuna va colmata o ad opera del giudice comune o ad opera del legislatore. Tra i problemi derivati sul piano dei rapporti tra corte e parlamento, vanno ricordate le sentenze-delega e le sentenze di incostituzionalità differita delle disposizioni impugnate. A differenza delle sentenze additive, la legittimità di questi ulteriori tipi di sentenze non è stata messa in discussione, bensì per l’effetto condizionante che esse intendono produrre sul piano dell’esercizio successivo della funzione legislativa da parte dei soggetti che ne sono titolari e, in primo luogo, del parlamento. Con le sentenze-delega, la corte nel motivare la propria decisione si preoccupa di indicare al legislatore quali dovrebbero essere, alla luce del dettato costituzionale, le linee generali alla normativa della materia oggetto di esame. E parimenti, con le sentenze di incostituzionalità differita, la corte, nel riconoscere la legittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salve tuttavia, transitoriamente, l’applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato, anche in questo caso, ad intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall’organo di giustizia costituzionale.
b) La conclusione del processo in via principale
Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l'effetto sarà quello di determinare l'annullamento della legge statale impugnata ovvero quello di impedire la promulgazione della delibera legislativa regionale o provinciale. Nei casi in cui la Corte adotti una sentenza di rigetto, l'effetto sarà quello di consentire l'ulteriore applicazione della legge statale impugnata ovvero la promulgazione, e la successiva entrata in vigore della legge regionale o provinciale.
Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
La seconda funzione che l'art. 134 Cost. attribuisce alla Corte costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni, e tra Regione e Regione. L'art. 37 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra gli "organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono" ed hanno ad oggetto "la delimitazione della sfera di attribuzione determinata per i vari poteri da norme costituzionali". Innanzitutto, quello dell'esatta individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. Trattandosi di conflitti aventi ad oggetto attribuzioni direttamente conferite dalla Cost., non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad aderire la corte fossero non solo gli organi che impersonano, dal punto di vista organizzativo, i 3 tradizionali poteri dello Stato (il parlamento, quello legislativo; il governo, quello esecutivo; i giudici, quello giudiziario, fatta salva, tuttavia, l’esigenza di analizzare, anche in relazione a tali organi, le specifiche disposizioni costituzionali che li riguardano), ma anche gli organi che abbiano ricompresso nella categoria degli organi incostituzionali, ossia il presidente della Repubblica e la corte costituzionale stessa.
A questi, la corte ha successivamente assimilato questi organi che, pur non appartenendo allo Stato-appararto, ma essendo esterni ad esso, sono tuttavia titolari di “funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite,concorrenti con quelle attribuite a poteri e organi statali in senso proprio”.la questione riguardava il comitato promotore del referendum che, in quanto frazione del corpo elettorale, svolgente una pubblica funzione costituzionalmente garantita, è stato ritenuto titolare della legittimazione  chiedere alla corte di risolvere l’eventuale conflitto che lo contrapponga ad altri organi dello Stato, titolari di funzioni concorrenti con quelle attribuite al corpo elettorale in tema di referendum.
L'art. 134 Cost. e l'art 37 della legge 87/1953 escludono che il conflitto sollevabile davanti alla Corte possa essere quello che nasce tra organi appartenenti allo stesso potere.
La corte costituzionale ha riconosciuto, proprio in relazione a tale specifica attribuzione di funzioni, la legittimità a sollevare il conflitto da parte del ministro (nel caso di specie, nei confronti del consiglio superiore della magistratura). Ancora, con al successiva sentenza, sempre la corte ha ammesso legittimazione dei singoli ministri nell’ipotesi in cui siano colpiti da una mozione di sfiducia individuale, dovendosi ritenere l’atto contestato idoneo a distinguere e a isolare la responsabilità individuale del ministro, al di là del conferimento di specifiche attribuzioni da parte della Cost. Analogamente si è ammesso che un ex presidente della Repubblica sia legittimato a essere pare di un conflitto, ove questo si riferisca al periodo del suo mandato e sia in gioco una prerogativa costituzionale. La corte ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione a ciascuna camera del parlamento e alle commissioni d’inchiesta parlamentari (in quanto organi titolari di una propria sfera autonoma di attribuzioni costituzionali, distinte da quelle dell’organo cui appartengono); così la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale, dovendosi ritenere il potere giudiziario un potere diffuso, privo, in quanto tale, di un organo di vertice, e la cui “volontà” dunque tutti i singoli organi giudiziari, soggetti solo alla legge, sono in grado di esprimere in via definitiva.
Un ulteriore ordine di problemi ha riguardato la definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva.
Nel senso di ritenere ammissibili non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni, ma anche quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio all’esercizio di competenze spettanti ad un altro organo. Mentre nel I caso vi sarà un organo che chiede alla corte che questa riconosca che l’adozione di quell’atto rientra nell’ambito delle proprie attribuzioni. Nel II caso vi sarà un organo che chiederà alla corte di dichiarare incostituzionale il comportamento (positivo o negativo) impugnato e di determinare così quel corretto esercizio di competenze altrui, che si ritiene necessario per l’esplicazione delle attribuzioni proprie. La corte, prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato decidere con ordinanza circa l'ammissibilità del medesimo. Solo successivamente alla dichiarazione di ammissibilità del ricorso, la Corte procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: determina a quale dei poteri confliggenti spettino le attribuzioni in contestazione; in secondo luogo, può determinare l'annullamento dell'atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze, così come interpretati, in relazione alla specifica fattispecie, della stessa Corte. Nel caso di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi, la pronuncia della Corte comporterà l'accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all'organo interessato.
Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regione e tra Regioni
I conflitti nascono da interferenze, ritenute anch’esse illegittime, ma dovute ad atti non legislativi: ad atti amministrativi, in I luogo, ma anche normativi (di livello regolamentare) o giurisdizionali là dove questi ultimi comportino una invasione o una menomazione della sfera di competenza regionale o provinciale.
L'interpretazione estensiva accolta dalla Corte in ordine alla definizione della nozione di conflitto ha interessato anche la sfera dei conflitti tra enti. Sono così ritenuti ammissibili non solo i conflitto nascenti da un atto specifico di esercizio di un’altrui competenza, ma anche quelli nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con competenze negative in ordine al corretto esercizio di competenze costituzionalmente assegnate allo Stato o alla regione. Analogamente a quanto avviene per i conflitti tra poteri dello Stato, la pronuncia della Corte vale a sciogliere i dubbi circa l'appartenenza allo Stato o alla Regione della competenza contestata e a determinare l'annullamento dell'atto illegittimamente adottato o il mutamento del comportamento omissivo illegittimo. Una particolarità di questo procedimento è rappresentata dalla possibilità per la parte interessata di chiedere alla corte la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato, in attesa che questa si pronunci sul merito del conflitto.
Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica
Terza funzione attribuita alla Corte è quella di giudicare sulle accuse promosse dal Parlamento nei confronti del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione. Quanto al procedimento che si svolge davanti alla corte nella composizione integrata dai 16 giudici aggregati, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale diretta alla contestazione delle accuse, si conclude con una decisione presa in camera di consiglio, alla presenza dei giudici che hanno partecipato a tutte le udienze. Nella votazione finale, non è ammessa l’astensione e, in caso di parità di voti, prevede la soluzione più favorevole all’imputato. La sentenza che conclude il giudizio d'accusa, anch'essa soggetta alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, è irrevocabile; tuttavia può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte nell'ipotesi in cui emergano fatti o elementi nuovi. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare per le accuse.
Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo
L' attribuzione alla Corte costituzionale della funzione relativa al giudizio sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo non deriva da un'espressa previsione costituzionale. Si tratta dell'unica ipotesi in cui la corte decide in assenza di parti. La Corte decide in camera di consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica, nell'ipotesi di giudizio negativo, la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.

 

Fonte: http://economiaunipa.altervista.org/wp-content/uploads/2013/05/Riassunto-Istituzioni-di-Diritto-Pubblico-Caretti-De-Siervo-11.doc

Sito web da visitare: http://economiaunipa.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Corte Costituzionale

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Corte Costituzionale

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Corte Costituzionale