Presidente della Repubblica nella forma di Governo italiana

Presidente della Repubblica nella forma di Governo italiana

 

 

 

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Presidente della Repubblica nella forma di Governo italiana

Per ridurre i rischi tipici del parlamentarismo è stato istituito l'organo del Presidente della Repubblica, come organo non meccanicamente rappresentativo della maggioranza parlamentare e, al tempo stesso, titolare di alcuni poteri particolarmente incisivi nei confronti sia del Parlamento che del Governo. Per quanto riguarda i rapporti con Parlamento e Governo, alcuni fra i poteri del Presidente della Repubblica accentuano la possibilità che esso svolga un ruolo rilevante: si pensi, ad esempio, alla nomina del Governo prima della fiducia parlamentare, al potere di scioglimento anticipato delle camere, alla possibilità di rinviare una legge al Parlamento manifestando i dubbi sorti in sede di promulgazione, al potere di messaggio alle camere, alla presidenza di due organi collegiali importanti come il consiglio superiore della magistratura e il consiglio supremo di difesa. La sua posizione complessiva resta quella del Presidente della Repubblica parlamentare, in quanto massimo garante del corretto e efficace svolgimento dei processi istituzionali posti in essere dai diversi organi e soggetti cui la costituzione affida funzioni di indirizzo politico o di garanzia.
Elezione e permanenza in carica del Presidente della Repubblica
Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune, solo a tal fine integrato da tre rappresentanti di ciascuna regione (salvo la Val d'Aosta che nomina uno solo), designati dai rispettivi consigli regionali in modo da garantire la rappresentanza delle minoranze. La durata in carica è pari a 7 anni, è eletto solo a scrutinio segreto e da maggioranze qualificate (nelle prime tre votazioni è richiesto il voto favorevole dei due terzi dei componenti dell'organo e successivamente la maggioranza assoluta). Il Presidente entra in carica dopo il "giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della costituzione", che deve pronunciare dinanzi al Parlamento in seduta comune. Un Presidente può vedere prorogati i propri poteri oltre i 7 anni a causa delle ritardo che si verifichi nell'elezione del suo successore, malgrado il Parlamento integrato debba essere convocato da parte del Presidente della Camera trenta giorni prima della scadenza del mandato presidenziale. Il Presidente della Repubblica ha il divieto di procedere allo scioglimento anticipato delle camere nell'ultimo semestre del suo mandato, chiamato per questo motivo "semestre bianco". Tuttavia la legge costituzionale 1/1991 ha modificato il secondo comma dell'articolo 88 della costituzione, consentendo al Presidente della Repubblica di sciogliere le camere anche nell'ultimo semestre del suo mandato nella particolare ipotesi del cosiddetto "ingorgo costituzionale" e cioè quando le camere, in quello stesso periodo, esauriscano il loro mandato, con il rischio che situazioni di crisi, più probabili in questo contesto, non possano essere adeguatamente affrontate. Il mandato presidenziale può essere interrotto con le dimissioni volontarie dalla carica oppure da destituzione (possibile sanzione penale accessoria irrogabile dalla corte costituzionale). In questi casi le funzioni presidenziali vengono esercitate dal Presidente del Senato e spetta al Presidente della Camera convocare l'organo per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Spetta al Presidente della Camera, nella sua qualità di Presidente del Parlamento in seduta comune, convocare l’organo per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con l'espressione "impedimento permanente" ci si riferisce a un prolungato stato di grave malattia del Presidente, tale da rendergli impossibile l'esercizio delle sue funzioni.
Le garanzie di autonomia e le responsabilità del Presidente della Repubblica
La necessità che il Presidente della Repubblica eserciti le sue funzioni in piena autonomia è alla base di alcune caratteristiche del suo status personale, che mirano a garantirlo da alcuni possibili rischi di impropri condizionamenti da parte di altri poteri dello Stato.
L’art. 90 riguarda le ipotetiche responsabilità del Presidente concesse all’esercizio delle sue funzioni; al di fuori di quest’area, egli risponderà come un comune cittadino.
Cossiga: “l’immunità del Presidente della Repubblica riguarda solo gli atti che costituiscono l’esercizio della funzione presidenziale e le dichiarazioni strumentali o accessorie rispetto a tale esercizio. Dal pari egli risponderà di ogni comportamento o azione compiuti nel periodo precedente il mandato presidenziale. Si è incerti sul fatto che il Presidente possa essere sottoposto, durante il suo mandato, a giudizio penale, con la conseguente possibilità che possa essere limitato nelle sue libertà personali o addirittura sospeso dall'esercizio delle sue funzioni da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria. È stato invece risolto il problema di stabilire se il Presidente debba adempie ai doveri di testimonianza presso le autorità giurisdizionali: l'articolo 205.1 del nuovo codice di procedura penale prevede esplicitamente questa ipotesi, con il solo privilegio che la testimonianza viene "assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di capo dello Stato". Per i reati di "alto tradimento" o "attentato contro la costituzione dello Stato", la costituzione li ha individuati come reati propri solo del Presidente della Repubblica. I comportamenti sanzionabili sono gli atti dolosi mediante i quali un Presidente della Repubblica, con l'eventuale complicità di altri soggetti, abbia abusato dei suoi poteri o violati i suoi doveri. La costituzione prevede che la legge assicuri al Presidente un assegno personale (cioè un compenso di tipo periodico per l'attività svolta), nonché una dotazione (in denaro, in beni mobili e immobili), destinata agli apparati organizzativi della presidenza per il miglior espletamento delle funzioni presidenziali. Il Presidente della Repubblica eserciti le sue funzioni in piena autonomia rispetto agli altri poteri dello Stato comporta che esso possa disporre liberamente di un apparato organizzativo autonomo. Il segretario generale della presidenza della Repubblica è alle dipendenze esclusive del Presidente. Il segretario generale, che sovrintende a tutti gli uffici e servizi della presidenza, è nominato e revocato dal Presidente della Repubblica.
Le funzioni del Presidente della Repubblica e quelle proprie del Governo
Per quanto riguarda i rapporti tra il Presidente della Repubblica di Governo, egli non è più configurabile come capo del potere esecutivo: tuttavia rimane l'organo monocratico rappresentativo dell'unità dello Stato, cioè il soggetto cui si imputano formalmente ancora una numerosa serie di atti statali di particolare rilevanza, pur nella sostanza sicuramente di competenza del Governo. Per garantire sugli atti governativi dio maggior rilievo una sorta di particolare controllo preventivo a rutela delle prescrizioni e dei valori costituzionali. La legge 13\1991 ha previsto un’elencazione di atti, governativi, che mantengono la forma di D.P.R. tale elencazione comprende non solo le nomine delle massime cariche dello Stato e delle forze armate, ma anche lo scioglimento anticipato dei consigli di comuni e province, la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, l’annullamento degli atti amministrativi illegittimi, gli atti di indirizzo e coronamento delle attività regionali e soprattutto “gli atti per i quali è intervenuta la deliberazione del consiglio dei ministri”.
L'articolo 89 della costituzione stabilisce che "nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità". Si distinguono, in genere, atti presidenziali corrispondenti alla lettera dell'articolo 89, caratterizzati da un sicuro potere governativo in materia e da un gol essenzialmente di controllo del Presidente (oltre a tutti i casi di atti governativi adottati nella forma del D.P.R., si possono fare rientrare in questa categoria i decreti di indizione delle elezioni e dei referendum, nonché tutti gli atti presidenziali in tema di relazioni internazionali); atti di esclusiva competenza presidenziale, in ordine ai quali l'intervento governativo non può che assumere un ruolo di mero controllo; infine atti in cui la funzione presidenziale appare preminente, ma in relazione ai quali il Governo o il Presidente del consiglio dispongono di un vero e proprio autonomo potere di valutazione, come il decreto di scioglimento anticipato delle camere e il decreto di nomina di un nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri. L'ordinamento costituzionale offre alcuni strumenti di risoluzione, in sede giuridica, di possibili conflitti tra Presidente della Repubblica e Governo: innanzitutto, quello rappresentato dall'intervento del legislatore; in secondo luogo, il ricorso alla corte costituzionale per conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato.
I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al corpo elettorale
Il riferimento al corpo elettorale, il Presidente dispone di poteri molto ridotti, da esercitare su proposta di organi governativi. In primo luogo, l'indizione della data delle elezioni e dei referendum, su tratta di un’attività in sostanza vincolata dalle disposizioni costituzionali e legislative. Contemporaneamente l'indizione delle elezioni delle camere, il Presidente della Repubblica fissa la data della loro prima riunione, che non deve svolgersi oltre il ventesimo giorno dalle elezioni.
I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al Parlamento
Ben più rilevanti sono i poteri di cui il Presidente dispone nei confronti del Parlamento. La nomina a Senatori a vita di "cinque cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario". Il messaggio formale al Parlamento rappresenta il più solenne e libero potere di stimolo del Presidente della Repubblica nei confronti dell'organo rappresentativo del corpo elettorale e titolare dei supremi poteri normativi e di indirizzo politico. Del tutto diverso è il messaggio motivato con il quale il Presidente rinvia al Parlamento una legge che ha esaminato in sede di promulgazione, richiedendo un suo riesame per presunti motivi di illegittimità costituzionale o di gravi inopportunità in relazione a principi o a valori costituzionali. Il messaggio rappresenta l’espressione di un eccezionale potere di temporaneo arresto della volontà legislativa del Parlamento, relativamente ad un oggetto su cui esso si è appena pronunciato.
La promulgazione rappresenta un importante forma di controllo preventivo che deve essere svolta dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione parlamentare o nel termine minore fissato per motivi di urgenza dalle camere, a maggioranza assoluta. La prescrizione dell'articolo 74.2 secondo cui "se le camere riapprovano nuovamente la legge, questa dev'essere promulgata" tende a ristabilire il principio fondamentale dell'esclusiva titolarità del potere legislativo da parte delle camere. Un vero e proprio rifiuto di promulgazione costituirebbe un illecito costituzionale assai grave, tant'è che lo stesso Parlamento potrebbe mettere in stato di accusa il Presidente. Il potere del Presidente della Repubblica di convocare in via straordinaria ciascuna Camera può essere disposta anche su iniziativa del Presidente di ciascun ramo del Parlamento o di un terzo dei suoi membri. Fondamentale tra i poteri presidenziali è quello di sciogliere anticipatamente le camere per consentire il superamento di un dannoso ed altrimenti insuperabile stato di disfunzionalità politica o istituzionale. Il potere può essere esercitato solo dopo aver sentito il parere dei Presidenti delle Camere, i quali possono autorevolmente rappresentare al Presidente della Repubblica le opinioni prevalenti nelle rispettive assemblee e all’interno dei gruppi parlamentari che vi operano. Un ruolo sostanziale e non meramente di controllo è svolto dal Governo, organo espressivo della maggioranza politica presente in Parlamento e dunque sicuramente idoneo ad attestare l’effettiva insuperabile difficoltà di funzionamento degli organi rappresentativi, indipendentemente dalla stessa permanenza in carica del Governo.
I poteri del Presidente della Repubblica rispetto al Governo
Per quanto riguarda i poteri che il capo dello Stato esercita nei confronti del governo, è da considerare innanzitutto il potere del presidente di risolvere le crisi di governo nominando "il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri", formando anche il nuovo governo, in sostituzione di quello dimissionario o decaduto. Il potere presidenziale di formare il nuovo Governo, in sostituzione di quello decaduto, appare tanto più delicato in quanto, nel nostro sistema costituzionale, non solo non esistono particolari vincoli per la composizione del Governo, ma si prevede che esso assuma le sue funzioni con il giuramento, prima quindi dello stesso conferimento della fiducia parlamentare (il nuovo Governo deve presentarsi entro 10 giorni dalla sua formazione alle Camere per chiedere la fiducia).
L’esercizio dei poteri presidenziali ha introdotto lo sviluppo degli istituti delle consultazioni, degli incarichi a formare il Governo, dei mandati esplorativi. Le consultazioni che il presidente della Repubblica svolge, al fine di acquisire le opinioni dei presidenti dei gruppi parlamentari, dei segretari dei corrispondenti partiti, nonché quella dei presidenti di camera e senato e degli ex presidenti della Repubblica, mirano a orientare la scelta del presidente della Repubblica nell'ambito delle ipotesi che possono realisticamente consentire al nuovo governo di conseguire la fiducia parlamentare. Gli istituti dell'incarico o del pre-incarico a formare il governo, affidato dal presidente a un esponente politico che egli reputa idoneo ad assumere l'incarico del presidente del consiglio, operazione che ha termine o con l'accettazione a formare il governo e quindi con la nomina, o con la rinuncia, o con la stessa revoca dell'incarico da parte del presidente della Repubblica. Il mandato esplorativo rappresenta un istituto cui il presidente della Repubblica ricorre ove reputi opportuno far svolgere da parte di un'alta carica dello Stato (in genere il presidente di una camera) un'ulteriore indagine sui gruppi parlamentari (oltre le consultazioni), al fine di acquisire informazioni sulle possibili vie di superamento della crisi.
Art. 1.2 legge 400/1988 controfirma da parte del nuovo Presidente del consiglio sia dell’accettazione delle dismissioni del precedente Governo, che del decreto di nomina del nuovo: appare evidente che la ragione di tutto ciò è da individuare nella necessità di mantenere una continuità fra i diversi Governi e nell’inopportunità di affidare la controfirma di atti di tale rilievo al Presidente del consiglio dimissionario.
Fra i poteri presidenziali è da annoverare anche il potere di autorizzare la presentazione dei disegni di legge governativi alle camere. Art. 76-77 Cost. il Presidente può opporre agli atti normativi del Governo rilievi di legittimità costituzionale ed anche di grave inopportunità, in relazione al rispetto dei principi o valori costituzionali e le uniche incertezze sono relative alle modalità mediante le quali il Presidente può far valere il suo dissenso. Il Presidente della Repubblica, in alcuni casi, rinvia al Governo i testi; in almeno qualche occasione, risulta che i testi vengano parzialmente modificate ad opera della presidenza del consiglio e successivamente emanati dal Presidente della Repubblica. Analoga soluzione è da adottarsi ai poteri presidenziali relativi a tutti quegli atti amministrativi del Governo che vanno adottati nella forma do D.P.R.
Ai poteri presidenziali si aggiungono quelli del cosiddetto potere estero e quello della politica militare (con il ruolo formale di comandante delle forze armate). Infine il presidente ha il potere della concessione della grazia o del provvedimento di commutazione della pena, che sembrano essere sostanzialmente governativi. È riconosciuto al Presidente un pieno potere di conoscenza della politica estera del Governo ed anche di impulso rispetto all’attuazione dei valori costituzionali relativi all’instaurazione di relazioni pacifiche con gli altri Stati. in materia di politica militare, il comando da parte del Presidente della Repubblica delle forze armate, viene integrato dall’affidamento al capo dello Stato della presidenza del consiglio supremo di difesa, come un singolare organo collegiale, presieduto dal Presidente della Repubblica e formato dal Presidente del consiglio, che svolge le funzioni di vice-presidente, da 5 ministri (esteri, interno, tesoro, difesa, industria), nonché dal Capo dello Stato maggiore di difesa, con il compito di esaminare “ i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale e determinare i criteri e fissare le direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che comunque la riguardano”.
Era il Presidente della Repubblica e non il Governo l’organo destinatario della speciale delega legislativa in tema di amnistia e di indulto. Il Parlamento determinava il contenuto di quello che sarebbe poi stato il decreto presidenziale, per di più da intendersi come atto dovuto e da adottarsi immediatamente. La stessa concessione della grazia o del provvedimento di commutazione della pena è sembrato un potere nella sostanza governativo.
Solo dopo l’introduzione di una legislazione 200/2006 la Corte Costituzionale ha deciso che il potere di grazia rientra nella titolarità dei poteri propri del Presidente della Repubblica e che quindi la necessaria proposta ministeriale deve essere predisposta dal ministro di giustizia, salva la possibilità di quest’ultimo di rendere noto il proprio dissenso.
I poteri del Presidente della Repubblica rispetto alla magistratura
Il presidente della Repubblica è anche, per l'articolo 104.2 della costruzione, presidente del consiglio superiore della magistratura, e dispone di ulteriori poteri relativi a questa sede. Tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformità delle deliberazioni del consiglio superiore, con decreto del presidente della Repubblica controfirmato dal ministro.
Gli atti che il Presidente della Repubblica compie, in quanto Presidente del C.S.M, per permettere il regolare funzionamento: sembra prevalere la tesi che non possa ipotizzarsi una controfirma di questi atti presidenziali, dal momento che egli agirebbe in veste di Presidente del C.S.M e non come Presidente della Repubblica; tesi sicuramente rafforzata dal fatto che, in caso di assenza del Presidente, essi possono essere posti in essere dal vice-presidente del C.S.M. Il comportamento del Presidente della Repubblica è suscettibile di essere sottoposto a critica.
I poteri del Presidente della Repubblica rispetto alla Corte Costituzionale
In riferimento al potere di nomina da parte del presidente della Repubblica di cinque giudici costituzionali, si è fin dall'inizio affermata la tesi che si tratti di una libera designazione da parte del presidente, pur soggetta alla controfirma del presidente del consiglio.

Importanza del ruolo e delle funzioni del Governo nel sistema costituzionale italiano
Il governo ha un ruolo assolutamente insostituibile e del tutto centrale del sistema politico.
Il Governo, “comitato esecutivo” del Parlamento, tende a porsi come suo “comitato direttivo”: sia per la presenza dei più autorevoli esponenti della maggioranza parlamentare, sia perché la fiducia parlamentare al Governo avviene attraverso l’approvazione della sua piattaforma politico-programmatica. La definizione del Governo quale organo di “vertice del potere esecutivo, da una parte è eccessivo, poiché il nostro sistema istituzionale prevede anche la presenza di enti dotati di autonomia amministrativa, ma, dall’altra, è riduttivo, poiché il nostri Governo appare non solo organo di vertice degli apparati amministrativi dello Stato centrale, ma anche l’organo preposto alle funzioni di Governo di una serie di interessi dell’intera collettività nazionale.
Nell'articolo 92 della costituzione, l'espressione "governo della Repubblica" è atta ad evidenziare il fatto che esso è chiamato a svolgere le sue funzioni, riferite, oltre che all'amministrazione, alla legislazione dello Stato centrale e allo sviluppo delle relazioni con gli altri stati e con le organizzazioni sovranazionali, anche alla tutela del buon funzionamento di tutte le istituzioni pubbliche (pur dotate di un grado di autonomia più o meno accentuato) e alla garanzia del corretto sviluppo delle relazioni fra i diversi gruppi sociali. Il ruolo del Governo tende a rafforzarsi con le trasformazioni dello Stato in Stato interventista e sociale. Le funzioni dello Stato sono cresciute; ciò ha portato all’adozione di complesse politiche d’intervento e di fornitura dei servizi pubblici, con il parallelo accrescimento e differenziazione dei relativi apparati. A ciò ha corrisposto un impegno finanziario che è andato anch’esso dilatandosi per far fronte al finanziamento dell’esercizio di funzioni in settori del tutto diversi rispetto a quelli che avevano visto l’impegno dello Stato liberale. Il mutamento delle funzioni pubbliche ha portato ad un aumento di tutti qui settori dove è preminente la responsabilità del Governo. La crescente interdipendenza fra gli Stati sul piano internazionale e la crescita degli organismi sopranazionali accentua il peso del “potere estero”, in larga misura riservato al Governo. Si assiste alla produzione di norme internazionali che sono destinate ad entrare nell’ordinamento interno mediante il recepimento ad opera del Parlamento o del Governo, se non in modo automatico, come alcune fonti comunitarie.
La formazione e l’entrata in funzione del Governo
La formazione del governo si realizza con l'adozione dei decreti presidenziali di nomina del presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri, controfirmati dal nuovo presidente del consiglio, al termine della fase delle consultazioni, ma l'articolo 93 della costituzione subordina esplicitamente l'assunzione delle funzioni governative al giuramento dei componenti del governo "nelle mani del presidente della Repubblica".
La diretta partecipazione dei ministri al giuramento costituisce la verifica dell'accettazione della loro carica. Il governo, prima della fiducia, è tenuto ad adottare atti di grande rilevanza politica e istituzionale (approvazione del programma del governo, attribuzione degli incarichi ai ministri senza portafoglio, nomina dei sottosegretari ed eventualmente del vice-presidente del consiglio). Poiché i governi dimissionari o sfiduciati continuano a esercitare le funzioni governative con il solo limite del disbrigo di affari correnti, nel momento in cui il nuovo governo sta apprestandosi a chiedere la fiducia alle camere dovrebbe disporre quantomeno degli stessi poteri. Nella prima fase di vita del governo si collocano la nomina da parte del consiglio dei ministri dei sottosegretari, che non fanno parte del governo ma sono i più stretti collaboratori del presidente del consiglio e dei ministri, e l'eventuale nomina, su proposta del presidente del consiglio, di uno o più vice-presidenti del consiglio.
(il Governo della Repubblica è composto del Presidente del consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri). Entro 10 giorni dalla sua formazione il Governo deve presentarsi alle Camere per il dibattito sulla fiducia.
La permanenza in carica del Governo e dei singoli Ministri
Il conferimento della fiducia parlamentare, mediante la solenne approvazione da parte di ciascuna camera, a voti palesi, delle apposite mozioni motivate di fiducia alla piattaforma politica e programmatica del governo, permette la permanenza in carica del governo per tutta la durata della legislatura. Salva la sola ipotesi di revoca della fiducia, mediante l’adozione di una mozione di sfiducia da parte di una Camera (le prescrizioni debbono essere sottoscritte da almeno 1/10 dei componenti della Camera e non possono essere messi in discussione prima di 3 giorni dalla loro presentazione in modo da garantire che tale istituto venga utilizzato solo nei casi in cui il comportamento del Governo risulta in grave contrasto con gli indizi contenuti nel suo programma. 
Secondo l'articolo 94.4 della costituzione "il voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non importa l'obbligo di dimissioni". Le norme regolamentari delle camere hanno disciplinato la "questione di fiducia" e cioè l'istituto mediante il quale governo dichiara di far dipendere la propria permanenza in carica dall'approvazione parlamentare in un determinato oggetto all'esame delle camere. Allorché il Governo “pone la fiducia”, si procede al voto per appello nominale direttamente sul testo ritenuto essenziale dal Governo e in tal modo la maggioranza parlamentare viene richiamata a confermare la fiducia e viene ridotta la possibilità di attivare tecniche ostruzionistiche.
Crisi extraparlamentare estranierebbero il Parlamento dal decisivo potere di giudizio sulla permanenza del rapporto fiduciario nei riguardi del Governo e anche alcune opinioni dottrinali relative ad una pretesa illegittimità costituzionale di una simile prassi.
Il presidente della Repubblica invita i governi dimissionari a presentarsi alle camere per verificare la sussistenza del rapporto fiduciario o almeno per fornire un'informazione esaustiva delle ragioni politiche della crisi. Alle crisi determinate dalle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, si aggiungono quelle determinate dalle dimissioni (o per la morte) del presidente del consiglio. I poteri dei governi dimissionari vengono prolungati in attesa della nomina del nuovo governo e vengono limitati al solo "disbrigo degli affari correnti".
Unico sicuro limite giuridico dell’attività del Governo dimissionario sembra essere l’impossibilità di richiedere la registrazione con riserva di un decreto governativo alla Corte dei Conti, mentre occorre far riferimento ai criteri di opportunità o di improrogabile necessità per valutare l’ammissibilità delle attività di un Governo dimissionario.
In questa valutazione dovrà tenersi conto anche della diversità di posizione giuridica intercorrente fra un Governo privo della fiducia e uno spontaneamente dimissionario e che quindi gode pur sempre della fiducia parlamentare. Le dimissioni di un ministro non provocano crisi del governo e obbligano semplicemente a colmare il vuoto attraverso la nomina di un nuovo ministro o l'attribuzione dell'interim (incarico provvisorio in attesa del nuovo titolare) a uno dei ministri già in carica. A ciò si procede con decreto presidenziale, su proposta del presidente del consiglio. Nel medesimo modo si opera anche per i cosiddetti rimpasti, consistenti nel mutamento di più incarichi ministeriali all'interno del governo in carica. Per quanto riguarda gli effetti di un voto di sfiducia individuale, la corte costituzionale ha previsto le dimissioni del ministro che ne sia fatto oggetto.
La corte ha ritenuto la sfiducia individuale istituto connaturato alla forma di Governo parlamentare voluta dai costituenti: esso rappresenta lo strumento attraverso il quale si fa salvo il rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo. Nell’ipotesi in cui sia messo a repentaglio dal comportamento di un solo ministro.
Le prassi e le norme dei regolamenti parlamentari al riguardo vanno considerate, secondo la corte, alla stregua di “fonti integrative alla Costituzione”.
La costituzione non prevede particolari requisiti soggettivi per poter essere nominati membri del governo, né prescrive che essi debbano essere parlamentari; in via di interpretazione sistematica, può ritenersi che sia indispensabile la cittadinanza, la capacità di agire e la condizione di alfabetismo.
Non sembrano esistere specifici casi di decadenza dalla carica di Presidente del consiglio o di ministro collegati ai loro status personali: la Cost. non prevede particolari requisiti soggettivi per poter essere nominati membri del Governo, né prescrive che essi debbano essere parlamentari. Trattandosi però di una carica ad un tempo politica e amministrativa, è indispensabile la cittadinanza, la capacità di agire e la condizione di alfabetismo. La soluzione del conflitto d’interesse, emersa con l’assunzione nel 1994 da parte dell’imprenditore Berlusconi della carica di Presidente del consiglio, ha prodotto la legge 215/2004. tale legge è intitolata “norme in materia di risoluzione dei conflitti d’interesse” sul dovere dei titolari di “cariche di Governo” di dedicarsi “esclusivamente alla cura degli interessi pubblici” e di astenersi “dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazioni di conflitto d’interesse”. A vigilare su ciò è l’autorità garante della concorrenza e del mercato, che può imporre il venir meno delle posizioni professionali o di lavoro incompatibili con le “cariche di Governo”. Anche situazioni di conflitto d’interesse nell’atto o nell’omissione di un titolare di cariche di Governo abbia “un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o delle società da essi controllate”. Sono chiamate a vigilare l’autorità garante della concorrenza e del mercato o, nello specifico, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Queste autorità indipendenti diffidano “l’impresa ad astenersi da qualsiasi comportamento diretto ad avvalersi dall’atto medesimo” e, in caso di inottemperanza alla diffida, infliggono all’impresa una sanzione pecuniaria.
Il Presidente del Consiglio
Il presidente del consiglio è indicato dall'articolo 95.1 della costituzione come l'organo che "dirige la politica generale del governo e ne è responsabile e mantiene l'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri". Non sussiste un rapporto gerarchico fra presidente del consiglio e singoli ministri, ma il presidente del consiglio può concretamente esercitare il suo primato politico sugli altri membri del governo. Spetta al presidente il potere di manifestare autonomamente verso l'esterno gli indirizzi politici generali del governo, approvare e autorizzare la diffusione del comunicato sui lavori del consiglio dei ministri, esporre alle camere il programma del governo, porre la questione di fiducia, assumere le decisioni proprie del governo nei procedimenti legislativi, controfirmare le leggi e gli atti con forza di legge, mantenere i contatti con il presidente della Repubblica. Dispone dell'importantissimo potere di fissazione della data delle riunioni del consiglio e di determinazione del relativo ordine del giorno, seppure sulla base delle proposte dei ministri. Presiede e dirige il consiglio di gabinetto, può istituire speciali comitati di ministri con funzioni istruttorie, presiede le conferenze permanenti per i rapporti fra lo Stato e il sistema delle autonomie territoriali (legge 400/1988: il potere di rivolgere ai ministri non solo le direttive politiche ed amministrative ma anche “quelle connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del Governo”, “quello di sospendere l’adozione di atti da parte dei ministri, sottoponendoli al consiglio dei ministri nella successiva riunione”, quello di riferire al consiglio dei ministri “la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti”, nonché quello di concordare con i ministri la dichiarazioni di rilevanza politica generale), può promuovere verifiche sul funzionamento di uffici pubblici e devono essergli comunicati, prima della loro adozione, tutti i regolamenti ministeriali ed interministeriali.
La legge 801/1977 ha affidato al presidente del consiglio "l'altra direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza" svolta dai cosiddetti servizi segreti.
Non soltanto attribuendogli il compito di presiedere il comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza, ma istituendo alle sue dirette dipendenze il comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza; è il Presidente del consiglio che “impartisce le direttive ed emana ogni disposizione necessaria per l’organizzazione ed il funzionamento delle attività.
La legge 400/1998 e il D.leg. 303/1999 hanno configurato le strutture organizzative della presidenza del consiglio ed hanno loro attribuito rilevanti poteri di conoscenza e di stimolo sull’intera amministrazione statale, per sostenere concretamente l’esercizio delle funzioni del Presidente del consiglio. Il regolamento interno del consiglio dei ministri stabilisce che “nessuna questione e nessuna proposta concernente disegni di legge, atti normativi o provvedimenti amministrativi generali può essere inserita nell’ordine del giorno de consiglio dei ministri”, se non è previamente valutata da un apposito organo formato dagli esperti legislativi dei diversi ministri e diretto ai vertici organizzativi della presidenza del consiglio.
Con il D.leg. 303/1999 si è attribuito al Presidente del consiglio un potere regolamentare vasto, anche in deroga alla legislazione vigente, su 2 versanti come l’ordinamento interno della presidenza e la disciplina dell’autonomia finanziaria e contabile della presidenza stessa.
Il Consiglio dei Ministri
Il Consiglio dei Ministri, organo collegiale composto da tutti i ministri e presieduto dal presidente del consiglio, è titolare delle fondamentali funzioni governative, come l'iniziativa legislativa, la predisposizione dei bilanci, l'adozione dei decreti legislativi, dei decreti legge, dei regolamenti governativi e l'esercizio del controllo sulle leggi regionali. In relazione ai settori in cui opera, i suoi compiti possono essere suddivisi nel modo seguente:

  • in tema di indirizzo politico, può dare direttive ai comitati interministeriali su richiesta del presidente del consiglio;
  • in tema di attività normativa, delibera i disegni di legge e adotta i decreti legislativi e i decreti legge;
  • in tema di politica internazionale e comunitaria, determina le linee di indirizzo e delibera "i progetti dei trattati degli accordi internazionali di natura politica o militare";
  • in tema di agenzie, enti, istituti e aziende di carattere nazionale, salvi gli enti pubblici creditizi, delibera la nomina dei rispettivi presidenti;
  • in relazione alle regioni, esercita le funzioni di controllo sulla legislazione regionale;
  • in relazione alle confessioni religiose, delibera gli atti concernenti i rapporti con la Chiesa cattolica;
  • in relazione alla tutela dei principi di costituzionalità, procede all'annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi.
  • In relazione ai rapporti con gli organi ausiliari del Governo, può deliberare che il ministro possa disattendere il parere del consiglio di Stato e può chiedere la registrazione di un decreto a cui la corte dei conti l’abbia negata. È il consiglio dei ministri che delibera, su proposta del Presidente del consiglio, la nomina di uno o più vice-presidenti del consiglio e dei commissari straordinari del Governo, mentre deve essere sentito per la delega di funzioni ai ministri senza portafoglio, la nomina dei sottosegretari e l’attribuzione di specifici incarichi ad un ministro.

I Ministri
I Ministri sono contemporaneamente componenti del Consiglio dei Ministri e organi di vertice degli apparati amministrativi in cui la legge ripartisce organicamente la pubblica amministrazione statale, denominandoli Ministeri (o Dicasteri).
Il numero dei ministri potrebbe essere anche inferiore a quello dei ministeri, dal momento che un ministro può essere preposto a più ministeri. Accanto a questi ministri, vi sono anche i cosiddetti ministri senza portafoglio, e cioè i ministri non preposti a ministeri. La nomina dei ministri senza portafoglio è facoltativa e svolgono le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio dei Ministri.
I ministri senza portafoglio sono preposti a strutture amministrative della presidenza del consiglio e dispongono di uffici di diretta collaborazione: spetta a loro, insieme al Presidente del consiglio, il potere di incidere sull’organizzazione di queste strutture.
I cosiddetti vice-ministri sono degli speciali sottosegretari. Per quanto riguarda il vice-presidente del consiglio, il presidente del consiglio può proporre al Consiglio dei Ministri la nomina di uno o più vicepresidenti, che hanno lo scopo di essere chiamati a supplire il presidente del consiglio in caso di assenza od impedimento temporaneo.
Qualche differenziazione di funzioni può derivare dall’esercizio da parte del Presidente del consiglio del potere di conferire ad un ministro incarichi speciali di Governo, per un tempo determinato: peraltro, dovrebbe trattarsi di incarichi soltanto di tipo politico o riconducibili alle funzioni presidenziali, dal momento che non sembra possibile sottrarre, attraverso questo istituto, ad un altro ministro funzioni che gli sono propri.
Il Consiglio di Gabinetto ed i Comitati fra i Ministri
Dal 1983 si è sperimentata la creazione informale del consiglio del gabinetto ad opera di alcuni dei presidenti del consiglio. Elemento caratterizzante è stata la flessibilità con cui si è proceduto a formare quest’organo, la sua funzione era solo quella di coadiuvare il presidente nella fase istruttoria delle questioni da sottoporre poi alle decisioni del consiglio dei ministri.
Con l'articolo 6 della legge 400/1988 si è previsto che il presidente del consiglio possa istituire, con ministri da lui designati, il consiglio di gabinetto per farsi coadiuvare nello svolgimento delle sue funzioni di direzione della politica generale del governo e di mantenimento dell'unità dell'indirizzo politico ed amministrativo. Per l'esercizio di vere e proprie puntuali funzioni istruttorie o di stimolo nei riguardi del governo, il presidente del consiglio può disporre, con proprio decreto, l'istituzione di particolari comitati di ministri, con il compito di esaminare in via preliminare questioni di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell'attività del governo e sui problemi di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio dei Ministri, eventualmente avvalendosi anche di esperti non appartenenti alla pubblica amministrazione. I comitati interministeriali sono organi creati perlopiù tramite apposite leggi, che attribuiscono loro rilevanti funzioni di governo in specifici ma importanti settori. In genere sono presieduti dal presidente del consiglio e sono composti dai ministri competenti nel settore, cui si aggiungono, in alcuni casi, funzionari ed esperti, e svolgono non solo attività di indirizzo, ma anche di tipo normativo o di tipo provvedimentale. Già nel periodo della ricostruzione postbellica, il sorgere di un significativo numero di comitati tra loro non coordinati aveva suscitato molte critiche per il conseguente frantumarsi dell’indirizzo politico. La legge 400/1988 ha stabilito che “i comitati dei ministri e quelli interministeriali istituiti per legge debbono tempestivamente comunicare al Presidente del consiglio dei ministri l’ordine del giorno delle riunioni. Il presidente del consiglio dei ministri può deferire singole questioni al consiglio dei ministri, perché stabilisca le direttive alle quali i comitati debbono attenersi, nell’ambito delle norme vigenti”.
Le norme speciali in tema di reati ministeriali
L'articolo 96 della costituzione prevedeva che il presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri potessero essere messi in stato di accusa da parte del parlamento riunito in seduta comune per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni. Questa disposizione costituzionale è stata sostituita dalla legge Cost. 1/1989, adottata dopo che un referendum popolare aveva abrogato le disposizioni legislative relative alla cosiddetta commissione inquirente e cioè alla commissione parlamentare bicamerale che istruiva le denunce pervenute a carico dei ministri.
Tuttavia la legge costituzionale che ha approvato un nuovo testo dell'articolo 96, afferma che sui reati commessi dal presidente del consiglio e dai ministri (anche non più in carica), nell'esercizio delle loro funzioni, giudica la magistratura ordinaria, previa semplice autorizzazione da parte della camera a cui l'inquisito appartiene, o del senato se sono coinvolti appartenenti a entrambe le camere o non parlamentari.
Le camere stesse devono autorizzare le necessarie misure limitative della libertà personale, come intercettazioni telefoniche o perquisizioni personali e domiciliari, salvo che siano colti nell'atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l'ordine di cattura.
I cosiddetti reati ministeriali, cioè i reati commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali, consistono in reati comuni (prevalentemente contro la pubblica amministrazione) commessi dal presidente del consiglio o da un ministro, utilizzando i loro poteri o comunque nell'ambito delle funzioni ministeriali. La particolare gravità di un reato ministeriale sembra essere all’origine della previsione che le pene previste dalla legge in relazione alle diverse fattispecie penali possono essere aumentate “fino a 1/3 in presenza di circostanze che rilevino l’eccezionale gravità del reato”. La competenza a richiedere l’autorizzazione a procedere è stata attribuita ad uno speciale collegio giudiziario istituito presso il tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello competente per territorio, cui spetta anche il compito di svolgere l’ordinaria attività istruttoria. Il collegio è formato da 3 magistrati, estratti a sorte fra i magistrati dei tribunali del distretto, che abbiano da almeno 5 anni la qualifica di magistrato di tribunale o superiore, e viene rinnovato ogni biennio.
L'organo parlamentare può negare l'autorizzazione alla continuazione del procedimento penale nel caso in cui l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo.
Il legislatore ha attribuito all’organo parlamentare un vero e proprio potere di esimerli dalle responsabilità penali in nome di presunti interessi pubblici superiori a quelli tutelati dalla legislazione penale (un potere insindacabile). La prassi ha evidenziato un non facile rapporto tra autorità giudiziarie e camere: la stessa corte costituzionale ha dovuto richiamare l’autorità giudiziaria a specificare in modo adeguato le fattispecie penali per le quali chiede l’autorizzazione; a loro volta, le Camere, nel negare non di rado l’autorizzazione, sembrano aver valutato anche la fondatezza delle accuse e non già solo la sussistenza di uno dei requisiti per il diniego dell’autorizzazione. Successivamente all’autorizzazione parlamentare, è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello che è chiamato a giudicare, secondo le norme ordinarie.
Gli Alti Commissari ed i Commissari straordinari
In alcune occasioni, apposite leggi hanno previsto la figura degli Alti Commissari, attribuendo loro la responsabilità di particolari settori amministrativi, estranei alle attribuzioni ministeriali e, a volte, un ruolo di importanza quasi paragonabile a quella di un ministro. L'articolo 11 della legge 400/1988 ammette, in generale, l'istituto del Commissario straordinario del Governo, ma la stessa disposizione chiarisce che "sull'attività del commissario straordinario riferisce al parlamento il presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato". Può essere nominato solo al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal parlamento o dal Consiglio dei Ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali.
I Sottosegretari
Questi organi, pur non facendo parte del governo, svolgono rilevanti funzioni di governo e di amministrazione, essendo i più stretti collaboratori politici rispettivamente del presidente del Consiglio dei Ministri e dei ministri (con e senza portafoglio) nell'ambito delle loro responsabilità governative. L'articolo 10 della legge 400/1988 configura i sottosegretari come collaboratori di un ministro o del presidente del consiglio, competente a esercitare i compiti a essi delegati con decreto ministeriale pubblicato sulla gazzetta ufficiale. Si giunge alla loro nomina mediante un decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri, in accordo con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei Ministri. Il sottosegretario assume le sue funzioni solo dopo il giuramento, che deve prestare dinanzi al presidente del Consiglio dei Ministri, con la stessa formula utilizzata dei ministri.
La legge 81/2001 ha previsto che non più di 10 sottosegretari possa essere “attribuito il titolo di vice-ministro”, ove siano loro state conferite deleghe particolarmente ampie: la delega è anche approvata dal consiglio dei ministri su proposta del presidente del consiglio.
Questi speciali sottosegretari possono essere inviati “a partecipare alle sedute del consiglio dei ministri senza diritto di voto, per riferire su argomenti e questioni attinenti alla materia loro delegata”.
Una posizione del tutto particolare è quella del sottosegretario alla presidenza del consiglio, nominato segretario del Consiglio dei Ministri, da cui dipendono l'ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri e anche quei dipartimenti e uffici della presidenza del consiglio per i quali il sottosegretario abbia ricevuto delega del presidente del Consiglio dei Ministri.
Le funzioni di indirizzo politico del Governo
La politica generale del governo si concretizza in una serie innumerevole di atti normativi e amministrativi, ma anche più tipicamente di indirizzo politico. Per quanto riguarda quest’ultimo, si fa riferimento agli atti relativi alla determinazione della piattaforma politica e programmatica sulla quale il governo chiede la fiducia, (atti che non hanno solo un rilievo politico, ma sono alla base del rapporto fiduciario col Parlamento e danno una chiave di lettura per la sua attività sul piano legislativo ed amministrativo; i trattati e gli accordi internazionali, gli atti attraverso i quali si assicura lo sviluppo dei rapporti all’interno dell’Unione europea, gli atteggiamenti assunti in relazione ai rapporti con gli altri Stati ed agli organismi sopranazionali) gli atti mediante i quali il governo esercita la sua azione nell'ambito delle relazioni internazionali, i poteri del consiglio supremo di difesa per l'organizzazione e il coordinamento delle attività che riguardano la difesa nazionale, i poteri del presidente del consiglio in ambito della pubblica sicurezza e delle questioni di ordine pubblico, le relazioni intrattenute dal governo con le confessioni religiose, il potere di iniziativa legislativa del governo, il disegno di legge relativo al bilancio preventivo e tutti gli atti governativi che lo precedono o lo accompagnano, il potere legislativo delegato o esercitato in via di urgenza.

  • politica militare vanno considerati i poteri del consiglio supremo di difesa in ordine alla determinazione dei criteri e delle direttive per l’organizzazione e il coordinamento delle attività che riguardano la difesa nazionale, nonché gli eventuali atti governativi di recepimento degli stessi.
  • Politica della sicurezza pubblica vanno annoverati i poteri del Presidente del consiglio, coadiuvato dal comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza, nella determinazione degli indizi e degli obiettivi da perseguire in questo settore.
  • Le relazioni intrattenute dal Governo con le confessioni religiose e con le organizzazioni sindacali del pubblico impiego.
  • Il potere di iniziativa legislativa del Governo.
  • Il disegno di legge relativo al bilancio preventivo e tutti gli atti governativi che lo precedono o lo accompagnano dal momento che in tali atti vengono operate scelte economiche e finanziarie, per lo più relative alla complessiva finanza pubblica e non solo a quella statale.
  • Con le autonomie regionali, il Presidente del consiglio adotta direttive per indirizzare l’attività dei prefetti del capoluogo regionale sulla base degli indirizzi determinati dal consiglio dei ministri.
  • La legislazione prevede che il Governo adotti atti di direttiva indirizzati ad altri organi o soggetti della pubblica amministrazione.
  • Il potere di direttiva agli enti di gestione delle partecipazioni statali, mediante il quale il ministro per le partecipazioni statali ha governato tale settore.
  • Il potere legislativo delegato o esercitato in via d’urgenza nell’ambito dello studio delle funzioni normative del Governo.
  • Spesso anche l’esercizio del potere di ricorso da parte del Governo agli organi della giustizia ordinaria, amministrativa o costituzionale, costituisce il frutto di scelte altamente discrezionali, espressive dei fini che il Governo si ripromette di conseguire.

 

Le funzioni amministrative
Il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di importanti funzioni amministrative. Alcune sono espressamente previste dalla legge 400/1988: quelle che mirano a dirigere e coordinare in modo unitario le funzioni ministeriali, a dirimere i conflitti di attribuzione fra i ministri, a dare direttive ai comitati dei ministri e a quelli interministeriali, a indirizzare e coordinare le funzioni amministrative regionali o a dirigere quelle delegate o a sostituirsi alle amministrazioni regionali, annullare in via straordinaria gli atti amministrativi illegittimi. Anche se non previsti dalla suddetta legge, il presidente del consiglio e il Consiglio dei Ministri sono titolari di altri numerosi poteri amministrativi: spetta al governo deliberare sulla nomina, su proposta del Ministro competente, dei segretari generali dei ministeri; è sempre il Consiglio dei Ministri che nomina la quota dei componenti della corte dei conti e del Consiglio di Stato di spettanza del governo; la gestione del bilancio statale e il corretto funzionamento del settore creditizio.
È il Governo il soggetto titolare di poteri significativi, sia che si riferisca alla fase dell’esercizio provvisorio, sia che si riferisca alla fase della gestione della legge di bilancio, che vede un ruolo rilevante affidato anche al ministro dell’economia, specialmente nell’utilizzo dei “fondi speciali”.
Nel Governo del settore valutario e di funzionamento del settore creditizio, il peso del Governo è decisivo, e passa prevalentemente attraverso un complesso rapporto tra ministro dell’economia, Banca D’Italia e CICR.
Ai poteri amministrativi dei singoli ministri, il ministro dispone degli strumenti giuridici per dirigere l’attività degli uffici da lui dipendenti e per garantire la piena conformità dei comportamenti di tali uffici alle prescrizioni legislative e regolamenti, nonché alle sue direttive. Il ministro presiede tutti gli organi collegiali di vertice o consultivi del ministro, nonché le aziende che siano costituite presso il ministro stesso.
Le funzioni normative
La nostra costituzione ha operato uno sforzo rilevante per circoscrivere entro limiti precisi la possibilità che il governo possa adottare atti normativi con forza pari a quella delle leggi: l'intervento del governo può avvenire o per motivi di improrogabile urgenza a provvedere, o per un atto espresso di volontà in tal senso dello stesso parlamento. Le leggi costituzionali che hanno adottato gli statuti speciali delle regioni ad autonomia particolare prevedono una forma del tutto eccezionale di delega legislativa al Governo per l’adozione delle rispettive norme di attuazione. Tutta la materia degli atti normativi del governo è stata disciplinata dalla legge 400/1988: è stato introdotto un obbligo di autoqualificazione per tutti questi atti normativi, e cioè un obbligo per essi di autodenominarsi di volta in volta "decreto legislativo", "decreto legge" o "regolamento".
I decreti legislativi
Si tratta di un atto normativo adottato mediante una decisione ("decretare" significa decidere) del governo. Con una legge chiamata "legge delega" il Parlamento, con una propria decisione, può affidare al governo il compito di emanare una norma giuridica, a patto che questa rispetti i principi generali stabiliti dal Parlamento nella legge-delega e il termine entro il quale il decreto deve essere emanato. I decreti legislativi devono essere successivamente controfirmati dal presidente della Repubblica. In alcune importanti materie (imposizione di tributi e ratifica di trattati di diritto internazionale) il governo non può emanare decreti e la competenza a decidere nuove norme è del Parlamento, il solo organo rappresentativo della volontà dei cittadini.
Assumono forma di decreti legislativi anche le norme di attuazione degli statuti speciali delle cinque regioni ad autonomia particolare; si tratta tuttavia di un caso del tutto anomalo di delegazione legislativa, tant'è che ci si trova dinanzi a una delega a tempo indeterminato, esercitabile più volte, l'unico caso nel quale il governo dispone di un vero e proprio potere legislativo. Un altro caso di delega legislativa del tutto anomalo è previsto dall'articolo 78 della costituzione che stabilisce che siano le camere a deliberare lo stato di guerra conferendo al governo i poteri necessari per agire.
I decreti legge
Si tratta in questo caso di un provvedimento governativo provvisorio che ha forza di legge. In casi straordinari di necessità e di urgenza il governo può infatti sostituirsi al Parlamento (che secondo la Costituzione italiana è l'organo legislativo dello stato) ed emanare con un decreto una norma giuridica che diventerà legge dello stato soltanto se entro 60 giorni il Parlamento ne voterà l'approvazione del contenuto. In caso di approvazione si dice che il decreto è "convertito", cioè trasformato, in legge. L'abuso dello strumento del decreto legge per disciplinare la vita dei cittadini è stato recentemente denunciato perché toglie all'organo che rappresenta la volontà popolare dei cittadini, ossia il Parlamento, una funzione essenziale (quella legislativa) alla vita democratica del paese.
I decreti legge
Decretazione d’urgenza solo in casi eccezionali, per periodi rigidamente delimitati, l’attribuzione da parte del Governo del potere di adottare, senza previa delega del parlamento, atti con forza di legge.
Il Governo, nello stesso giorno in cui il decreto legge è emanato e ne dispone al pubblicazione sulla gazzetta ufficiale, conseguendone l’immediata efficacia, ha l’obbligo di trasmetterlo alle Camere, chiedendone la conversione in legge; queste si devono appositamente riunire non più tardi di 5 giorni (anche se sciolte) per l’esame del disegno di legge di conversione. La conversione in legge deve intervenire entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto legge, pena la perdita di efficacia del decreto fino al momento in cui è stato adottato. Ove il decreto legge non sia convertito scattano le responsabilità dei singoli componenti del Governo che lo hanno adottato: né si tratta solo dell’ovvia responsabilità politica dinanzi alle Camere, ma di tutte le altre responsabilità in relazione alle lesioni prodotte dal decreto legge non convertito. L’opinione che il Parlamento può introdurre emendamenti al contenuto del decreto legge in sede di conversione.
Efficacia temporale degli emendamenti: hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente. Sono “inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto legge”. L’uso dei decreti leggi in alcuni periodi si è venuto sviluppando in modo del tutto abnorme derivante dalla lentezza del procedimento legislativo che si svolge in Parlamento, rispetto alle esigenze di cui è portatore il Governo. È stata registrata una palese elusione del presupposto legittimante la decretazione d’urgenza e l’emergere della tendenza a disciplinare con decreto legge le più diverse ed importanti materie. Da questa situazione è derivata l’ulteriore discutibile prassi di reinterare i decreti legge decaduti alla scadenza dei 60 giorni. Riadattandoli nello stesso od analogo contenuto. Ciò ha suscitato seri problemi di incertezza del diritto vigente nei settori nei quali i decreti legge decadevano ma venivano reinterati.
Modifiche dei regolamenti della Camera e del Senato hanno previsto la necessità che le rispettive commissioni competenti in materia costituzionale esprimano in termini abbreviatissimi il loro parere sulla sussistenza del presupposto della straordinaria necessità ed urgenza di ogni decreto legge, potendo le rispettive assemblee deliberare la reiezione dello stesso in via pregiudiziale. La corte costituzionale ha escluso la possibilità di reinterare decreti legge respinti e di far salvi gli effetti giuridici di un decreto decaduto, tramite un successivo decreto.
Peraltro ha prodotto un accrescimento dei settori disciplinari mediante catene di decreti legge, tanto da originare una nuova e più incisiva reazione da parte della corte costituzionale. La corte ha affermato di poter giudicare della “evidente mancanza” dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza sia in riferimento al decreto legge che alla stessa legge di conversione.
La corte ha affermato di poter trasferire il rilievo di costituzionalità sollevato contro un decreto legge nel frattempo decaduto al nuovo decreto legge che riproduca la medesima disposizione o ne contenga una analoga.
La sent. 360/1996 ha affermato l’illegittimità costituzionale della riproduzione in un nuovo decreto legge del contenuto normativo di un precedente decreto legge, a meno che nel frattempo si siano manifestate nuove straordinarie situazioni di necessità ed urgenza ed il Governo adegui la precedente disposizione al nuovo contenuto. Sul piano politico tale sentenza ha prodotto una drastica contrazione del numero dei decreti legge.
Da una nuova interpretazione sistematica della Costituzione, l’art.15.2 della legge 400/1988 ha enucleato altre materie da considerare sottratte alla decretazione d’urgenza: il ripristino dell’efficacia di disposizioni legislative dichiarate illegittime costituzionalmente per vizi sostanziali, l’attribuzione di deleghe legislative al Governo, la disciplina delle materie indicate nell’art. 72.4 Cost. (materia costituzionale, elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione a ratificare trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi).
Legge 400/1988: i decreti legge “devono contenere misure di immediata applicazione” e si esclude implicitamente che possano esistere regolamenti di esecuzione o di attuazione di decreti legge: si conferma in tal modo l’opinione che l’urgenza deve riguardare il provvedimento concreto e non già il provvedere mediante un atto dotato di forza di legge, che solo in un secondo momento sarebbe attuato.
I regolamenti
Il potere regolamentare del governo è stato di disciplinato dalla legge 400/1988. I regolamenti del governo sono deliberati del Consiglio dei Ministri, sono emanati con decreto del presidente della Repubblica, registrati presso la corte dei conti e pubblicati sulla gazzetta ufficiale. Sul piano delle tipologie, i regolamenti possono distinguersi tra loro o per l'ambito di discrezionalità di cui governo dispone in riferimento al sistema normativo primario, o per il loro particolare oggetto. Dal primo punto di vista, la legge si riferisce i regolamenti di esecuzione di leggi, decreti legislativi e regolamenti comunitari, ai regolamenti di attuazione e integrazioni di leggi e decreti legislativi, ai regolamenti indipendenti, ai regolamenti delegati. Attualmente sembra difficile ipotizzare l'esistenza di spazi liberi significativi per l'esercizio di un simile potere regolamentare, ove si considerino le numerosissime riserve di legge previste dalla costituzione, nonché il vero e proprio stato d'inflazione legislativa che caratterizza il nostro sistema normativo.
I regolamenti indipendenti intervengono in materie “in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate ala legge”. Da una parte si afferma l’illiceità di una normazione secondaria, ma, dall’altra, si obietta che questo potere, esercitatile solo in casi di modesta rilevanza, risponderebbe all’esigenza di regolare in via generale facoltà spettanti al Governo. È proprio in riferimento al fenomeno dell’inflazione legislativa che trovano giustificazione i regolamenti finalizzati a permettere l’avvio di un processo di delegificazione. Si possa procedere alla delegificazione di certe materie, purché esse non siano coperte da riserve assolute di legge, mediante apposite leggi che, “autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”. Si tratta  di una tecnica di delegificazione (abrogazione differita) cha appare rispettosa del primato della legge e che ipotizza che il ritiro del legislatore dalla materia in precedenza legiferata non sia assoluto, ma che questi mantenga il compito di determinare i principi fondamentali della nuova disciplina. Leggi più recenti sono giunte però a prevedere che sia il regolamento ad identificare le disposizioni di legge abrogate. “l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei ministri sono determinate con regolamenti” delegati da esercitare entro un termine  perentorio di 30 giorni.
Questa disposizione conferisce stabilmente al Governo il potere di disciplinare tutta questa materia mediante regolamenti delegati, che possono sostituirsi alle disposizioni legislative vigenti in materia.
L’art. 20 della legge 59/1997 prevede che all’inizio di ciascun anno il Governo presenti un apposito disegno di legge “per la delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi, anche coinvolgimenti amministrativi centrali, locali e autonome”. I regolamenti d’organizzazione rappresentano un importante e tipico esempio di regolamento operante ad integrazione delle prescrizioni di legge relative all’organizzazione dei pubblici uffici. I regolamenti di funzionamento costituivano lo strumento, ormai superato, per recepire nell’ordinamento statale il risultato della concentrazione collettiva nel pubblico impiego.
Dalla stessa legge vengono disciplinati i regolamenti ministeriali e interministeriali, che possono essere adottati dal presidente del consiglio dei ministri con l'obbligo ulteriore di autoqualificarsi come regolamenti. Fase tipica, nel procedimento di formazione dei regolamenti ministeriali è la necessaria trasmissione, prima dell’adozione, dello schema di regolamento al presidente del consiglio dei ministri perché questi possa esercitare i suoi poteri finalizzati al mantenimento dell’unità dell’indirizzo politico ed amministrativo in relazione agli atti normativi dei singoli membri del Governo. Il limite del potere regolamentare dei ministri: può essere esercitato “solo nelle materie di competenza del ministro o di autorità sott’ordinate al ministro”. Il potere regolamentare dei ministri può essere esercitato solo nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere; non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal governo.

 

Fonte: http://economiaunipa.altervista.org/wp-content/uploads/2013/05/Riassunto-Istituzioni-di-Diritto-Pubblico-Caretti-De-Siervo-11.doc

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