Aggravanti e attenuanti nel processo penale

Aggravanti e attenuanti nel processo penale

 

 

 

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Aggravanti e attenuanti nel processo penale

AGGRAVANTI e ATTENUANTI
nel
processo penale

La circostanza vera e propria è un elemento di fatto di carattere oggettivo o soggettivo, che incide sulla gravità del reato, lasciandone inalterata la denominazione giuridica.
Occorre, però, fare attenzione a non confondere l’elemento costitutivo  di un reato con le circostanze, quando un dato fatto, normalmente considerato circostanza, è assunto ad elemento costitutivo di un determinato reato.
Così, ad esempio, l’abuso di poteri o la violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione non costituirà aggravante nel delitto di peculato (*), perché la qualità di pubblico ufficiale è, nel peculato, elemento costitutivo.

(*) Nota
secondo l’art. 314 c.p., il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.

Si possono avere varie distinzioni in seno al concetto di circostanza. Oltre, infatti, alle  circostanze aggravanti ed attenuanti, più conosciute, e delle quali parliamo più avanti,
vi sono anche:

Circostanze generiche
sulla natura di queste circostanze, la legge dice soltanto che esse devono essere diverse da quelle previste nell’art. 62 (del quale parliamo più avanti), per cui è stata introdotta nella nostra legislazione la possibilità di mitigare la pena per circostanze generiche non contemplate in modo specifico nella legge;
ce ne parla l’art. 62/bis del codice penale, che recita, appunto, così:

Art. 62/bis del codice penale
circostanze attenuanti generiche

     il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’art. 62 (delle quali parliamo più avanti), può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate, in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto art. 62.
     Omissis……………….

In pratica, vengono in considerazione: il carattere del reo, la sua vita, il contegno successivo, le condizioni di ambiente in cui vive, ecc: Insomma quegli elementi che caratterizzano la capacità a delinquere. La concessione del beneficio è senza dubbio facoltativa, nel senso che il giudice ha la facoltà, e non l’obbligo, di valutare le circostanze in parola. Qualora, però, la concessione sia richiesta, il giudice è tenuto ad esporre i motivi per cui non crede di accordarla.

Circostanze definite ed indefinite
a seconda della più o meno precisa indicazione dei momenti in cui esse devono venire ravvisate. Ad esempio, le circostanze generiche sono da ritenersi indefinite (è chiaro che un’aggravante indefinita non ha senso, mentre ne ha un’attenuante indefinita, per il principio del “favor rei”, che significa “in favore dell’imputato);

Circostanze comuni e speciali
sono da ritenersi comuni le circostanze aggravanti ed attenuanti, di cui agli articoli 61 e 62 c.p. e qui più avanti descritte; e sono invece speciali quelle previste in riferimento a singoli reati particolari,
(ad esempio, gli articoli 576 e 577, che elencano particolari circostanze aggravanti per il delitto di omicidio);

Circostanze oggettive e soggettive
agli effetti della legge penale (art. 70 c.p.) sono circostanze oggettive quelle che concernono la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell’offeso.
Sono, invece, circostanze soggettive quelle che concernono la intensità del dolo o  l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole.
Le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano la imputabilità e la recidiva.:

  • secondo l’art. 85 c.p. è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere, tenendo peraltro ben presente che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile;
  • secondo, infine, l’art. 99 c.p. è recidivo chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro e può, quindi essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena, da infliggere per il nuovo delitto non colposo.

Nota
La recidiva è solo impropriamente da considerarsi circostanza del reato, mentre per quanto riguarda l’imputabilità, solo quando questa per una determinata causa (vizio parziale di mente, sordomutismo, ecc.) sia venuta meno ma non esclusa, si può parlare propriamente di circostanza.
Quando l’imputabilità è esclusa si è di fronte ad una circostanza di esclusione della pena, avendo la causa della mancata capacità rilievo qualitativo e non quantitativo sul reato.

Le circostanze, ancora, possono essere:

  • antecedenti: è’ antecedente la previsione dell’evento nei delitti colposi
  • concomitanti: è concomitante la crudeltà nella perpetrazione del reato
  • susseguenti: è susseguente la riparazione del danno, cagionato dal reato, prima                      del giudizio.

circostanze
AGGRAVANTI
comuni

Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali (infanticidio e omicidio), le circostanze seguenti:

(1)
Avere agito
per motivi abietti o futili

Per motivo, o movente, si deve intendere lo stimolo che ha indotto l’individuo ad agire e cioè la causa psichica dell’azione. Il movente può essere consapevole, ma può anche essere inconscio.
In altre parole, il movente è il fatto che è stato la causa del comportamento;, la molla, insomma, che ha fatto scattare l’azione.
E’ chiaro che il movente ha enorme importanza, per meglio capire ed inquadrare nella sua giusta dimensione un reato (facciamo un esempio: un furto può essere commesso per procurarsi semplicemente un ingiusto profitto, oppure, ed allora avrebbe una diversa collocazione, pur essendo sempre un furto, per procurare il pane ai propri figli, e quindi per necessità).

Il motivo si considera abietto quando esprime una particolare depravazione o bassezza d’animo (ad esempio, il pedofilo che uccide la propria vittima perché questa gli ha opposto resistenza);

si considera futile quando lo stimolo che ha provocato l’azione appare così sproporzionato a questa da far ritenere che il delitto sia dovuto in grande prevalenza agli istinti criminali del reo (ad esempio colui che uccide solo per essere stato involontariamente urtato).

(2)
Aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro
ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto
o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato

Si tratta di tre ipotesi distinte:

  • reato commesso per compierne un altro
  • reato commesso per nasconderne un altro
  • reato commesso per ottenere o garantire a sé o ad altre persone i vantaggi di un precedente reato, oppure l’impunibilità

Tale aggravante ricorre se il reato viene commesso per uno dei fini indicati, e non è necessario che il colpevole abbia conseguito lo scopo che si era prefisso.
L’aggravante in tutti i casi sussiste, per quanto il reato diverso  difetti di una condizione di punibilità, oppure sia successivamente estinto; deve però trattarsi di un reato vero e proprio, perché un semplice reato putativo, cioè immaginario, non può ritenersi sufficiente.
(3)
Avere, nei delitti colposi, agito
nonostante la previsione dell’evento

Si tratta di ipotesi di colpa cosciente. Chi commette il reato, in altre parole, ha previsto l’evento antigiuridico, ma non lo ha voluto, nella convinzione che non si sarebbe verificato.
Questa aggravante, riferendosi al grado della colpa, è soggettiva, come le due precedenti. L’esistenza della colpa deve essere provata di volta in volta.

Ciò premesso, come si accerta  la presenza della colpa?
Bisogna anzitutto distinguere i casi di colpa che derivano da imprudenza o negligenza, dai casi che traggono origine da violazioni di leggi, regolamenti, eccetera.
Di imprudenza o negligenza generica, peraltro, si può parlare solo quando era prevedibile che dall’azione sarebbe derivato l’evento nocivo, perché, se il risultato non poteva essere previsto, nessun rimprovero si può muovere all’imputato.

Occorre però notare che, se la prevedibilità dell’evento causato è necessaria per la sussistenza della colpa, essa non è sufficiente.
Deve esserci anche la evitabilità dell’evento medesimo, perché il risultato, che il soggetto non è in grado di impedire, non gli può essere posto a carico, rappresentando nei suoi confronti una pura fatalità.

Il giudice, nel fare le sue valutazioni, dovrà poi anche tenere conto delle conoscenze del reo, della sua posizione sociale e dell’attività svolta; dovrà anche tenere conto delle particolari condizioni  del soggetto, come, ad esempio, la sordità, la miopia e quant’altro, a meno che queste non fossero tali da far apparire imprudente l’esercizio dell’attività svolta.

Se ne deduce che il giudizio sulla prevedibilità è relativo; l’evento, infatti, può essere prevedibile per una persona e non per un’altra.
Infine, nella colpa per inosservanza di leggi, regolamenti, ecc., è sufficiente l’accertamento della infrazione perché si abbia responsabilità.

D’altra parte, il rispetto delle norme medesime, sempre, però, che non siano violate altre regole dettate dall’esperienza, basta perché venga meno la responsabilità penale,
In conseguenza, una volta che l’agente abbia usato tutte le precauzioni del caso, non risponderà dell’evento, anche se questo era prevedibile.

Esempio:
l’automobilista, che marcia al centro della strada ed investe un ciclista, risponderà senz’altro di tale evento; se, invece, non tenendo la destra, urta in una pietra che, scagliata con violenza, ferisce un passante, di tale risultato non risponderà per la violazione del regolamento stradale; ma ne risponderà solo se nel suo comportamento si possa ravvisare una imprudenza o una negligenza e, quindi, solo se l’evento era prevedibile ed evitabile.

(4)
Avere adoperato sevizie
o l’aver agito con crudeltà verso le persone

Si hanno sevizie quando si infliggono alla vittima sofferenze fisiche o anche semplicemente morali, con mezzi tormentosi, che non sono necessari per commettere il reato (ad esempio: torture, digiuni forzati, spaventi, impedimento del sonno, eccetera).
Agisce con crudeltà, d’altra parte, chi dimostra con la sua azione, particolarmente cattiva e odiosa, assoluta mancanza di sentimenti umanitari. La crudeltà può anche riferirsi a persone diverse dal soggetto passivo del reato (ad esempio, la uccisione del figlio sotto gli occhi della madre).

 (5)
Avere profittato di circostanze
di tempo, di luogo o di persona
tali da ostacolare la pubblica o privata difesa

Profittare significa avvantaggiarsi intenzionalmente di una condizione favorevole e, perciò, bisogna dimostrare che il reo conosceva la condizione medesima e voleva trarne vantaggio.
Si approfitta di una circostanza di tempo, ad esempio, quando il reo si avvantaggia di una pubblica calamità, dell’oscurità, eccetera, per commettere un delitto.
Si approfitta di una circostanza di luogo, quando il reato è facilitato dall’abbandono, o dal semplice isolamento del luogo, in cui il reato è stato commesso.
Le circostanze di persona, infine, devono riguardare la vittima del reato, e consistono in uno stato di inferiorità in cui questa si viene a trovare per qualsiasi motivo, che può essere, ad esempio, l’età, una mutilazione, una deficienza psichica, l’ubriachezza, una particolare caratteristica caratteriale, eccetera.

 

(6)
Avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o carcerazione spedito per un precedente reato

Questa aggravante richiama la nozione di latitanza, di cui all’art. 296 c.p.c.  (*), e dal momento che tale disposizione equipara, “per ogni effetto”, al latitante l’evaso, si deve ritenere applicabile anche al secondo.
Secondo Il testo della legge, la latitanza si deve riferire ad un precedente reato, e così il semplice rendersi latitante non è, di per sé, una circostanza aggravante.
E poiché il colpevole si deve essere sottratto “volontariamente” all’arresto, alla cattura, ecc., non sussiste l’aggravante, se egli rimane irreperibile per cause diverse dalla volontà di rendersi latitante (esempio, perché ignorava l’emissione del mandato).
(*)
Art. 296 codice di procedura penale
latitanza

     E’ latitante chi volontariamente si sottrae alla custodia cautelare, agli arresti domiciliari, al divieto di espatrio, all’obbligo di dimora, o ad un ordine con cui si dispone la carcerazione.
     Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore d’ufficio al  latitante, che ne sia privo, ed ordina che sia depositata in cancelleria copia dell’ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore.
     Gli effetti processuali conseguenti alla latitanza operano soltanto nel procedimento penale nel quale essa è stata dichiarata.
     La qualità di latitante permane fino a che il provvedimento che vi ha dato causa sia stato revocato, a norma dell’articolo 299, o abbia altrimenti perso efficacia, ovvero siano estinti il reato o la pena per cui il provvedimento ò stato emesso.
     Al latitante, per ogni effetto, è equiparato l’evaso.

 

(7)
Avere, nei delitti contro il patrimonio
o che comunque offendono il patrimonio,
ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro
cagionato, alla persona offesa dal reato
un danno patrimoniale di rilevante gravità

 

L’aggravante è applicabile soltanto ad alcune categorie di delitti, e precisamente a quelli che hanno per oggetto il patrimonio, a quelli che in altro modo offendono  interessi patrimoniali (ad esempio: il peculato e la concussione, che sono reati contro la Pubblica Amministrazione);

ed infine ai delitti di altra specie, dai quali il colpevole si riprometta un vantaggio di natura patrimoniale (ad esempio: il ratto di una ragazza, con l’unico scopo di assicurarsi una ricca dote).

Il danno patrimoniale derivato al soggetto passivo deve essere di rilevante gravità. Per accertare questo requisito, secondo l’orientamento della Cassazione, si deve tener conto anche della capacità economica del danneggiato, ma solo quale criterio sussidiario di apprezzamento, quando il giudice non ritenga di per sé sufficiente la considerazione del valore intrinseco della cosa.

Nel caso, però, che l’entità obiettiva del danno causato sia molto rilevante, l’aggravante sussiste, quali che siano le condizioni del soggetto passivo.

Nota
i delitti, che hanno per oggetto il patrimonio, sono elencati nel codice penale agli articoli dal numero 624 in poi (ad esempio: il furto, la rapina, il danneggiamento, ecc.)

(8)
Avere aggravato o tentato di aggravare
le conseguenze del delitto commesso

Ricorre questa aggravante quando il colpevole, dopo aver commesso il delitto, ne aggrava gli effetti con un’altra azione, o tenta di aggravarne gli effetti (ad esempio: un individuo, che già si è macchiato del reato di diffamazione, comunica ai superiori dell’offeso il fatto, per metterlo in cattiva luce). E’ necessario che il colpevole abbia la volontà di aggravare le conseguenze del delitto e, quindi, la circostanza non esiste quando il fatto ulteriore sia compiuto per un altro scopo (esempio: il feritore che, per non farsi scoprire, nasconde il ferito in luogo che può favorire un’infezione).
La circostanza appare soggettiva, perché denota una maggiore persistenza nel proposito criminoso.

(9)
Aver commesso il fatto con abuso dei poteri
o con violazione dei doveri
inerenti a una pubblica funzione, o a un pubblico servizio
ovvero alla qualità di ministro di un culto

Perché tale circostanza possa trovare applicazione, occorre che il colpevole abbia la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio, ovvero di ministro di un culto; il semplice esercizio, quindi, di un servizio di pubblica necessità non fa scattare l’applicazione di questa aggravante (esempio: il libero esercizio di una professione sanitaria).Non basta, però, il possesso delle anzidette qualità; occorre l’abuso dei poteri o la violazione dei propri doveri e, fra l’abuso ed il reato, ci deve  essere una connessione, almeno nel senso che sia stata facilitata l’esecuzione del reato medesimo, (es..: atti di libidine commessi da un insegnante pubblico sulle proprie alunne).

(10)
Avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale, o una persona
incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro
del culto cattolico, o di un culto ammesso nello Stato
ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero
nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio

In questa ipotesi, l’efficacia della circostanza è in relazione ad una qualità del soggetto passivo del reato. Anche nell’ipotesi in cui tale qualità non sia espressamente considerata quale elemento costitutivo del reato, il legislatore intende che siano maggiormente tutelati, per via delle loro funzioni, certe categorie di soggetti. Perché l’aggravante possa trovare luogo, è necessario che il reato sia compiuto contro una delle persone indicate, il che esclude la sua applicabilità tutte le volte in cui l’evento non sia intenzionale. Occorre, poi, che il reato sia commesso a causa, ovvero nell’atto dell’adempimento delle funzioni o del servizio.

Sussiste, quindi, l’aggravante anche quando il reato sia commesso dopo cessata la qualità rivestita dalla persona offesa, purchè commesso a causa delle funzioni.
Per quanto riguarda il ministro del culto, si deve ovviamente trattare di un culto ammesso, quando non si tratti del culto cattolico.

 

(11)
Avere commesso il fatto con abuso di autorità
o di relazioni domestiche
ovvero con abuso di relazioni di ufficio
di prestazione d’opera ,di coabitazione, o di ospitalità

 

Questa aggravante riguarda gli abusi di autorità o di relazione e vi sono compresi gli abusi della patria potestà.

Le relazioni domestiche sono costituite dai rapporti esistenti nella famiglia tra i suoi componenti:

  • quelle di ufficio, dai rapporti che nascono, sia dal luogo in cui si esercita l’attività, sia dall’esercizio dell’attività stessa (esempio: tra il capo ufficio e l’impiegato di un’azienda commerciale)
  • quelle di prestazione d’opera, dai rapporti che sorgono dalla prestazione di un servizio di qualsiasi genere (esempio: tra committente e commesso; o tra prestatore d’opera e datore di lavoro)
  • quelle, infine, di coabitazione o di ospitalità, dai rapporti originati dalla convivenza in un medesimo luogo (non solo la casa di privata abitazione, ma anche un dormitorio pubblico, un convento, un collegio, un ospedale, una nave, eccetera), oppure dalla permanenza, anche di breve durata, presso altri per qualsiasi motivo (una visita amichevole, una visita di affari, un invito a pranzo, eccetera).

Nota

  • per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, punibili con pena diversa dal’ergastolo, la pena è aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato (legge 14/2/2003, misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica)
  • per i reati in materia di stupefacenti, aggravanti specifiche sono previste dal testo unico delle leggi in materia di sostanze stupefacenti (art. 80 del d.P.R. 9/10/1990 nr. 309)
  • la legge 13/5/1991 nr. 152, art. 7, sui provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata, prevede un aumento di pena da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo
  • infine, la legge 25/6/1993 nr. 122, sulle misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica o religiosa, prevede l’aumento della pena fino alla metà per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo, commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità.

 
circostanze
ATTENUANTI
comuni

Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: circostanze attenuanti

 

(1)
Aver agito per motivi
di particolare valore morale o sociale

Sono di particolare valore morale i motivi che, nella normalità di casi, determinano azioni moralmente nobili, e più precisamente i motivi che la coscienza etica della gente comune, in un dato momento storico, per la ragione suddetta, approva (ad esempio: l’onore familiare); per quanto riguarda gli stati emotivi e passionali, essi potranno essere considerati come circostanze attenuanti solo se alla loro base si trova un motivo di particolare valore morale o sociale.
Per quanto riguarda il motivo politico, si ritiene  che possa essere considerato come un motivo di particolare valore morale; e così pure il motivo economico, se è ispirato da sentimento di giustizia.

Nota
secondo l’art 90 c. p., gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità.

 

(2)
Aver reagito in stato di ira
determinato da un fatto ingiusto altrui

Si tratta del caso conosciuto con il nome di “provocazione”. Perché sussista questa attenuante, è necessario, anzitutto, uno stato d’ira. Non si richiede che la reazione avvenga immediatamente dopo il fatto determinante, ma è sufficiente che si verifichi in una condizione, appunto, d’ira. L’intervallo di tempo, quindi, tra l’offesa e la reazione non esclude l’attenuante, sempre che lo stato anzidetto permanga o comunque si riaccenda al momento del reato (ad esempio, alla vista dell’offensore). La situazione psicologica di cui si tratta, inoltre, deve essere determinata da un fatto ingiusto altrui. Non serve che tale fatto sia un reato, ma basta che sia ingiusto dal punto di vista morale.

La provocazione è assunta dalla legge come causa di esclusione della pena nei delitti di ingiuria e diffamazione, qualora la reazione, consistente in un reato dello stesso genere, sia intervenuta subito dopo il fatto.
La provocazione è considerata conciliabile con l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, con il vizio parziale di mente, con l’ubriachezza, eccetera

(3)
Avere agito per suggestione di una folla in tumulto
quando non si tratta di riunioni o assembramenti
vietati dalla legge o dall’Autorità
e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale
o professionale o delinquente per tendenza

 

Per folla si intende una moltitudine di individui che, agitati dalla medesima motivazione o da passioni contrastanti, si addensano in un dato luogo.
La folla deve essere in tumulto, e cioè in uno stato di confusione turbolenta, senza che occorra che questa sia necessariamente in sollevazione, in insurrezione o in sommossa.

Perché si possa parlare di attenuante, è necessario che il colpevole agisca per suggestione della folla; e così la predetta attenuante non è riconosciuta all’individuo, che si sia mescolato alla moltitudine di persone, per poter delinquere con maggiore facilità e neppure a colui che, presumibilmente, avrebbe commesso il fatto anche senza la detta suggestione.
Non sono esclusi dal beneficio i capi e gli agitatori, perché anch’essi possono subire l’influenza della folla.

Le limitazioni, stabilite dal codice sono ispirate allo scopo di rafforzare il principio di autorità e di evitare che possano fruire dell’attenuante gli individui che sono socialmente pericolosi,
e sono:
    -  una di carattere oggettivo (non si deve trattare di riunioni o assembramenti          vietati dalla legge o dall’Autorità)
     -   l’altra di carattere soggettivo (il partecipante non deve essere un delinquente o          contravventore abituale, o professionale, o un delinquente per tendenza),

Nota

  • è dichiarato delinquente abituale (art. 102 c.p.) chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti
  • è dichiarato delinquente o contravventore professionale (art. 105 c.p.) chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per un altro reato, qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta ed al genere di vita del colpevole ed alle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133 (*), debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato
  • è dichiarato delinquente per tendenza (art. 108 c.p.) chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l’incolumità individuale, anche non preveduto, che riveli una speciale inclinazione al delitto che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole. La disposizione di questo articolo non si applica nei confronti di chi sia affetto da vizio di mente.

 

Art. 133 codice penale
gravità del reato: valutazione agli effetti della pena

     Nell’esercizio del potere discrezionale…, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

  • dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione
  • dalla gravità del danno o dal pericolo cagionato alla persona offesa dal reato
  • dalla intensità del dolo o dal grado della colpa

     Il giudice deve tenere conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:

  • dai motivi a delinquere e dal carattere del reo
  • dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato
  • dalla condotta contemporanea o susseguente al reato
  • dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo

 

(4)
Avere, nei delitti contro il patrimonio
o che comunque offendono il patrimonio
cagionato alla persona offesa dal reato
un danno patrimoniale di speciale tenuità
ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro
l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito
un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso
o pericoloso sia di speciale tenuità

 

Il patrimonio è il complesso delle attività e delle passività, che si riferiscono ad una persona. Dal punto di vista strettamente giuridico, il patrimonio viene generalmente definito, anche, come il complesso dei rapporti giuridici, economicamente valutabili, che fanno capo ad una persona.

Per il diritto penale, il patrimonio comprende anche le cose che, pur essendo prive di scambio, hanno per il soggetto un valore di affezione (ad esempio: una lettera di una persona cara, o anche semplicemente un oggetto portafortuna) e quindi non è ammissibile che oggetti, appunto, di tale genere possano essere impunemente sottratti a colui che, possedendoli, ha un interesse, sia pure soltanto sentimentale, a conservarli.

D’altra parte, non fanno parte del patrimonio la capacità produttiva, e cioè la forza di lavoro, perché troppo intimamente connessa con la persona umana. Inoltre, non fanno parte del patrimonio le pretese che non hanno fondamento giuridico, ed a maggior ragione quelle che sono in contrasto con il diritto (ad esempio, la pretesa originata da una contrattazione effettuata sul mercato nero).

Per il diritto è “cosa” tutto ciò che può formare oggetto di diritti patrimoniali. Più precisamente, per il diritto sono “cose” tutti gli oggetti corporali e quelle altre entità naturali che hanno un valore economico e che sono suscettibili di appropriazione. In sostanza, la nozione giuridica di “cosa” corrisponde a quella economica di “bene”. Nella nozione di “cosa” rientrano anche le “energie”; e tali sono, non solo le energie elettriche, ma anche quelle termiche ed i gas.

Le “cose” si distinguono in mobili ed immobili (*). La distinzione ha grande importanza per il diritto penale, perché la maggior parte delle figure criminose si riferiscono all’una o all’altra categoria di cose (ad esempio, il furto è ammissibile solo per le cose mobili, mentre l’usurpazione può aver luogo unicamente per gli immobili).

(*)
Art. 812 del codice civile
distinzione dei beni

     Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e, in genere, tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
     Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti, quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.
     Sono mobili tutti gli altri beni.
 

La distinzione delineata dall’art. 812 del codice civile, fra le cose immobili e le cose mobili vale anche nell’ambito del diritto penale, ai cui fini, però, interessa tener presente che non si considerano più immobili le cose che siano distaccate dal complesso immobiliare a cui aderiscono e per tale modo rese mobili.
Per quanto riguarda il concetto di danno, è da intendersi la diminuzione del complesso dei valori che compongono il patrimonio; e poiché il contenuto del patrimonio è costituito da attività (cose e crediti) e da passività (debiti), se ne deduce che il danno possa consistere nella riduzione delle attività e nell’aumento delle passività.
Occorre ricordare, come già accennato più sopra, che il patrimonio non comprende soltanto i rapporti giuridici economicamente valutabili, ma anche quelli relativi a cose che hanno un puro valore di affezione (ricordi di famiglia).

Dato che anche queste cose fanno parte del patrimonio, la sottrazione di esse rappresenta una diminuzione patrimoniale e quindi siamo in presenza di un danno. Ma tale danno, peraltro, presenta un carattere particolare, perché non ha, come di solito avviene, un contenuto economico, ma può essere dal giudice valutato.
Per quanto riguarda, infine, il profitto, questo non è solo il vantaggio economico, e, più generalmente, l’incremento del patrimonio, ma qualunque soddisfazione o piacere che l’individuo si ripromette dalla sua azione criminosa.

(5)
Essere concorso a determinare l’evento,
insieme con la azione o l’omissione del colpevole,
il fatto doloso della persona offesa

Si tratta di una ipotesi del concorso di cause, regolato in genere dall’art. 41 del codice penale. L’ipotesi non ricorre quando il fatto doloso della persona offesa costituisce,  nelle particolari circostanze, un avvenimento eccezionale. In tale caso, infatti, manca il rapporto giuridico di causalità ed il risultato non può essere attribuito all’agente. L’attenuante in parola, quindi, trova applicazione nell’ipotesi, rara, in cui il fatto doloso della persona offesa non presenta il carattere indicato.

Art. 41 del codice penale
concorso di cause

     Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento-
     Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita.
     Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

 

Cause preesistenti
sono certi stati patologici della vittima che hanno, in unione all’agente, contribuito alla produzione dell’evento lesivo. Così un’anomalia organica o un’altra situazione patologica del soggetto, che renda mortale una semplice ferita: basti pensare ad una emofilia, ad un diabete, ad una particolare sottigliezza delle pareti craniche che, in unione ad un’azione lesiva, determinano la morte della vittima. Il nesso causale non va escluso, perché l’idoneità dell’azione va esaminata in concreto. Da un punto di vista astratto, una puntura non produce la morte di una persona, ma se tale puntura colpisce un ammalato di emofilia, ne può derivare la morte per emorragia.

Cause concomitanti
sono quelle situazioni che accompagnano l’agire della causa umana. Così, ad esempio, se Tizio ferisce Caio in una notte particolarmente gelida, e questi muore per un processo di assideramento, favorito dall’emorragia, che ha indebolito le possibilità di resistenza dell’organismo, Tizio dovrà rispondere a titolo di omicidio, in quanto sussiste un nesso di causalità tra l’azione e l’evento. La possibilità di una morte, favorita anche dall’assideramento, poteva essere calcolata dal soggetto che ha operato. Essa non si presenta come una conseguenza eccezionale rispetto alla situazione concreta nella quale l’azione umana è venuta alla luce.

Cause sopravvenute
sono quelle condizioni che hanno prodotto la loro efficacia dopo l’agire della causa umana. Così nell’ipotesi in cui la morte derivi da un’infezione, che una ferita d’arma da punta abbia provocato, in quanto l’arma ha introdotto nell’organismo dei germi patogeni. La legge dice che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento (esempio: il ferito che muore all’ospedale, in seguito al crollo dell’edificio; qui non ci sarebbe responsabilità penale dei sanitari).  

  (6)
Avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno
mediante il risarcimento di esso e
quando sia possibile mediante le restituzioni
o l’essersi prima del giudizio
e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso
dell’art. 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente
per elidere o attenuare
le conseguenze dannose o pericolose del reato

 

La ragione dell’attenuante sta nel ravvedimento del colpevole manifestatosi dopo la consumazione del reato e concretatosi in un’azione diretta a ripararne le conseguenze. Tale riparazione deve aver luogo prima del giudizio e perciò non è operativa, se si verifica successivamente all’apertura del dibattimento.

La circostanza si divide in due ipotesi, secondo che la riparazione del danno avvenga per mezzo del risarcimento, o delle restituzioni; oppure mediante l’elisione o l’attenuazione delle conseguenze del fatto criminoso.

Il risarcimento, che può essere effettuato anche da un incaricato del colpevole, e non da un estraneo, e deve coprire integralmente il danno. La rinuncia dell’offeso non  equivale alla riparazione del danno.

La restituzione del tolto, d’altra parte, deve essere volontaria, e quindi l’attenuante non è applicabile se sia avvenuta in seguito alla sorpresa in flagranza o comunque per intervento della polizia.

La seconda ipotesi si riferisce a quelle conseguenze del reato, che non possono essere eliminate mediante il risarcimento e le restituzioni, e si verifica, ad esempio, nel caso del feritore che si adoperi a legare l’arteria del ferito o a trasportarlo all’ospedale. L’opera riparatrice deve essere spontanea, cioè determinata da motivi interni e non da pressioni esteriori.

Il colpevole deve adoperarsi efficacemente ad eliminare o diminuire le conseguenze dannose del suo fatto, e cioè con serietà e adoperando mezzi idonei.

Questa attenuante non è applicabile quando l’azione riparatrice è imposta dalla legge, come negli investimenti automobilistici, nei quali l’abbandono dell’investito ed il darsi alla fuga sono di per sé puniti dal codice stradale.

Art. 56 c.p
“chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica………se volontariamente impedisce . l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato, diminuita da un terzo alla metà”.

Circostanze non conosciute
o erroneamente supposte

L’attribuzione delle circostanze al reo, nel nostro codice ha una disciplina del tutto diversa dagli elementi essenziali del reato.
Mentre, infatti, questi devono essere conosciuti e, trattandosi della condotta e dell’evento, anche voluti, perché l’agente risponda del reato a cui si riferiscono, le circostanze si imputano per il solo fatto della loro esistenza.
Tale principio si desume dal primo comma dell’art. 59 c.p., nel quale, fra l’altro, si legge: “le circostanze, che aggravano, ovvero attenuano…la pena, sono  valutate rispettivamente a carico o a favore dell’agente, anche se da lui non conosciute, o per errore ritenute inesistenti”.
Pertanto, se il colpevole non sapeva che la vittima del reato era un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, egli subirà l’aumento di pena previsto: Del pari, si avvantaggerà dell’attenuante del caso il ladro che, pensando di fare un bel colpo, riesca ad impossessarsi solo di pochi euro.
Se, però, l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.

 

Art 59 codice penale
circostanze non conosciute o erroneamente supposte

    Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
     Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
     Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
     Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena (*), queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (**).

(*)
le circostanze di esclusione della pena sono le seguenti:

Consenso dell’avente diritto
non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne (naturalmente ciò non vale  per chi cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, come previsto dall’art. 579 c.p.).

Esercizio di un diritto
o adempimento di un dovere
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.

Difesa legittima
non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Secondo la legge 13/2/2006, nr. 59, art. 1, sussiste il rapporto di proporzione se taluno, presente, usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo, al fine di difendere la propria o altrui incolumità, oppure i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione, e ciò vale anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Uso legittimo delle armi
non è punibile il pubblico ufficiale (vedi nota)  che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso, ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità o comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata o sequestro di persona, e la stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.

Stato di necessità
non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo; questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

Nota
ai sensi dell’art. 357 c.p., agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa; sono, invece, incaricati di un pubblico servizio, ex art. 358 c.p.,  coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, con una attività caratterizzata  dalla mancanza  dei poteri tipici della pubblica funzione

(**)
Il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

 

Circostanze in caso di
errore sulla persona dell’offeso

Si verifica questa ipotesi quando l’agente, volendo commettere il reato in danno di una determinata persona, cade in equivoco, confondendo un individuo con un altro. L’ipotesi di errore sulla persona dell’offeso (in latino: “error in persona”) è disciplinata dall’art. 60 del codice penale, e precisamente:

Art. 60 codice penale
errore sulla persona dell’offeso

     Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole.
     Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti.
     Le disposizioni di questo articolo non si applicano, se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità fisiche o psichiche della persona offesa.
Quindi, le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o le qualità del soggetto passivo o i rapporti fra questo ed il colpevole, non sono poste a carico dell’agente. Pertanto, se il reo voleva percuotere una determinata persona e ne percuote, invece, un’altra, che passava di lì per caso e che non centrava per nulla, non si applicherà l’aggravante del caso. Pertanto, le circostanze aggravanti, che siano erroneamente supposte, non vanno a carico dell’agente.
Invece,le circostanze attenuanti, erroneamente supposte, che riguardano le condizioni e le qualità, sono valutate a favore del reo (ad esempio, l’imputato voleva far evadere dalla prigione un suo parente, mentre, per sbaglio, fa evadere un altro). Da queste norme si desume che il reo è trattato come se lo scambio di persona non vi fosse stato, cioè come se il delitto si fosse svolto secondo il piano prestabilito.

Come si può notare, poi, dall’ultimo comma dell’art. 60 c.p., dallo scambio di persona bisogna distinguere l’errore sulle circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche della persona offesa (ad esempio, si applicherà l’aggravante a colui che istighi al suicidio una persona minore degli anni 18, ritenendo, per errore, che essa abbia superato tale età).
Le norme ora illustrate si applicano pure nel caso di offesa di una persona, diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, ai sensi dell’art. 82 del codice penale.

Art. 82 del codice penale
offesa di persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta

     Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell’articolo 60.
     Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà
     
   
Concorso di circostanze

Premesso che in un solo reato possono concorrere varie circostanze, si deve distinguere fra le seguenti ipotesi:
(A)
circostanze
o tutte aggravanti, o tutte attenuanti

In questo caso, si fa luogo a tanti aumenti o a tante diminuzioni di pena, quante sono le circostanze concorrenti (vedi articoli 63, 64, 65, 66, 67, 68 del codice penale) (*).

(*) Non si applica questa regola in questo caso:

quando la circostanza, in un determinato reato, è già  regolata per conto suo dal codice penale. Ad esempio il caso regolato dall’art. 605, nr. 2 c.p. (abuso di poteri), in relazione all’aggravante prevista nel numero 9 dell’art. 61.

Vediamo meglio:
Art. 605 codice penale
sequestro di persona

     Chiunque priva taluno della libertà personale, è punito con la reclusione da sei mesi ad otto anni.
     La pena è della reclusione da uno a dieci anni , se il fatto è commesso:
     1) in danno di un ascendente, di un discendente, o del coniuge
     2) da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni


Art 61 codice penale
circostanze aggravanti comuni
     omissis……..
l’aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, ovvero alla qualità di un ministro di un culto
     omissis………

 

(B)
circostanze
alcune aggravanti ed altre attenuanti

Quando nel medesimo reato concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, di regola, si procede ad un giudizio di prevalenza o di equivalenza (vedi art. 69 del codice penale). Se, cioè, le aggravanti sono ritenute prevalenti, non si tiene conto delle diminuzioni di pena stabilite per le attenuanti e si fa luogo solo agli aumenti di pena sanciti per le prime.
Se, invece, sono ritenute prevalenti le attenuanti, si applicano soltanto le relative diminuzioni di pena, e non si tiene conto delle aggravanti. Nel caso, poi, che fra le aggravanti e le attenuanti vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe stata inflitta, se non  concorresse alcuna circostanza. Il giudizio di prevalenza o di equivalenza è rimesso al giudice di merito, che vi provvede con apprezzamento insindacabile e, quindi, non soggetto al controllo della Cassazione.

 

ancora
Applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena

Esaminiamo ora come si applicano gli aumenti e le diminuzioni di pena. Premesso che nell’aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena (vedi anche art. 132 c.p.), le regole principali da seguire (articoli 63, 64, 65, 66, 67, 68 del codice penale) sono le seguenti:

Primo caso
quando la legge non determina l’aumento o la diminuzione della pena, se si tratta di circostanze aggravanti, è aumentata fino ad un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso, ma, in caso di reclusione, non possono essere superati gli anni trenta. Poiché non è fissato alcun limite minimo, la pena detentiva può essere aumentata anche di un solo giorno, e quella pecuniaria anche di un solo euro.
Se, invece, si tratta di circostanze attenuanti, la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo.

Secondo caso
quando la pena deve essere aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
Per esempio:
se vi è un furto, aggravato dalla situazione di ospitalità, il giudice determinerà, prima la pena che infliggerebbe al furto semplice, in base alle norme generali del codice, e poi, su questo quantitativo calcolerà ed applicherà l’aumento del caso.

Terzo caso
concorrendo più circostanze aggravanti, o più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.
Ad esempio: ricorrendo due circostanze aggravanti, si stabilisce prima la pena in concreto per il reato semplice; poi, su questa pena, che supponiamo sia di tre anni, si opera il primo aumento, giungendo in tal modo, per ipotesi, a tre anni e nove mesi; quindi, sulla pena così risultante si opera il secondo aumento.
Se, poi, per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa e ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non si opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.

Quarto caso
sempre nel caso di concorso di più circostanze, trattandosi di aggravanti, non possono essere superati i limiti stabiliti nell’articolo 66 del codice penale (*);
se, invece, si tratta di circostanze attenuanti, la pena non può essere inferiore ai limiti indicati nell’articolo 67 del codice penale (**).
Per il concorso di circostanze, per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa, o ne determina la misura in modo indipendente dalla pena ordinaria del reato, provvedono gli ultimi due capoversi dell’articolo 63 del codice penale (***).

(*)
Art. 66 del codice penale
limiti degli aumenti di pena nel caso di concorso di più circostanze aggravanti

     Se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare, per effetto degli aumenti, non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato, salvo che si tratti delle circostanze indicate nel secondo capoverso  dell’articolo 63, né comunque eccedere:
     1) gli anni trenta, se si tratta della reclusione;
     2) gli anni cinque, se si tratta dell’arresto;
     3) e, rispettivamente, euro 10.329 o euro 2.065, se si tratta di multa o dell’ammenda;           ovvero, rispettivamente, euro 3.987 o euro 6.987, se il giudice si avvale della facoltà di           aumento indicata nel capoverso dell’articolo 133/bis.
Art. 133/bis
condizioni economiche del reo
valutazione agli effetti della pena pecuniaria

     Nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda, il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall’articolo 133 (vedi a pagina 11), anche delle condizioni economiche del reo.
Il giudice può aumentare la multa o l’ammenda, stabilite dalla legge, sino al triplo, o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace, ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.

 

Art. 67 del codice penale
limiti delle diminuzioni di pena nel caso di concorso di più circostanze attenuanti

     Se concorrono più circostanze attenuanti, la pena da applicare, per effetto delle diminuzioni, non può essere inferiore a dieci anni di reclusione, se per il delitto la legge stabilisce la pena dell’ergastolo.
     Le altre pene sono diminuite. In tal caso, quando non si tratta delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’articolo 63 (vedi sotto), la pena non può essere applicata in misura inferiore ad un quarto.

 

Art. 63 del codice penale
applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena

     Quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che fa aumentare o diminuire-
     Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.
     Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo.
     Se concorrono più circostanze aggravanti, tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla.
     Se concorrono più circostanze attenuanti tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze; ma il giudice può diminuirla.

 

Fonte: http://www.bruzz.net/diritto/Lavori/AGGRAVANTI%20E%20ATTENUANTI.doc

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