Ambito applicazione legge penale

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Ambito applicazione legge penale

L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE

Immunità personali.

Le immunità come eccezioni all’obbligatorietà della legge penale?

Art. 3 c.p.: la legge italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello stato, salve eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto comunitario.
Definiamo immunità le condizioni personali dalle quali dipende l’inapplicabilità di sanzioni penali ad un dato soggetto.
Le immunità, in quanto eccezioni al principio di obbligatorietà della legge penale, non possono sorgere che da specifiche norme di legge, le quali ne determinano l’ambito e i limiti. Possono essere sostanziali o processuali. Queste ultime attengono esclusivamente alla sfera della giurisdizione, hanno cioè l’effetto di sospendere o rinviare l’esercizio della giurisdizione; vengono meno quando cessa la funzione coperta dall’immunità, e, ove la legge lo preveda, quando sia concessa autorizzazione a procedere.
Le immunità sostanziali sono inquadrabili fra le cause personali di esclusione della pena. Si distinguono in immunità funzionali, che riguardano l’esercizio di determinate funzioni, e immunità extrafunzionali, che coprono qualsiasi attività di chi ricopra una determinata carica.

Immunità di diritto pubblico interno.

Il presidente della repubblica.

Il presidente della repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla costituzione (art. 90 Cost.).
L’irresponsabilità presidenziale è un’immunità funzionale sostanziale. Essa copre gli atti che si inseriscono funzionalmente nell’attività di ufficio.
Egli deve considerarsi, al pari di ogni altro cittadino, sottoposto all’obbligo di osservare la legge penale.
L’immunità non vale in caso di alto tradimento e di attentato alla costituzione. Competente a giudicare dei delitti presidenziali è la corte costituzionale.

 I membri del parlamento.

L’immunità dei membri del parlamento era disciplinata dall’art. 68 Cost.. La disciplina è stata modificata nel 1993. I membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse a dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
L’insindacabilità sostanziale delle opinioni espresse e dei voti dati fonda una sfera di libertà d’espressione nell’esercizio delle funzioni parlamentari.
Una legge del 2003 stabilisce che: l’art. 68 Cost. si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle assemblee e negli altri organi delle camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività d’ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del parlamento.
Vengono in rilievo non solo le funzioni tradizionali contemplate dalla costituzione, ma anche nuovi compiti via via assegnati dalla legge o dai regolamenti parlamentari.

Altre immunità funzionali.

I consiglieri regionali godono ex art. 122 Cost., di guarentigie corrispondenti a quelle dell’art. 68 Cost. (immunità funzionale per le opinioni espresse ed i voti dati).
I giudici della corte costituzionale non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
I componenti del consiglio superiore della magistratura non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, e concernenti l’oggetto della discussione.

Immunità di diritto internazionale.

Le immunità derivanti da norme del diritto internazionale generalmente riconosciute devono ritenersi inserite nell’ordinamento giuridico italiano, in forza dell’art. 10 Cost..
L’immunità totale è prevista per i capi di stato esteri e per le persone del seguito, nonché per il sommo pontefice.
L’immunità funzionale è prevista per gli altri organi di stato stranieri, limitatamente agli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni di cui sia investito il singolo organo, nonché per i rappresentanti di organi internazionali e degli stati presso organizzazioni internazionali. Trattandosi di immunità sostanziale, riconducibile all’esercizio di un potere, i suoi effetti sopravvivono alla cessazione delle funzioni.
Le immunità degli agenti diplomatici e consolari sono specificate nelle convenzioni di Vienna.

La legge penale nello spazio.

L’applicabilità della legge penale nel territorio dello stato.

I destinatari della legge penale. Cittadini e stranieri.

Principio di territorialità: la legge italiana obbliga tutti coloro che, cittadini  stranieri, si trovano nel territorio dello stato (art. 3 c.p.). Agli effetti della legge penale, è territorio dello stato il territorio della repubblica, e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello stato. Le navi e gli aeromobili sono considerati come territorio dello stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad una legge territoriale straniera (art. 4 c.p.).
La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale (art. 3 c.p.).
È cittadino italiano chi è tale secondo la legislazione generale sulla cittadinanza. Apolide residente è la persona sprovvista di qualsiasi cittadinanza, la cui permanenza nel territorio dello stato non si riduca ad un soggiorno occasionale o temporaneo, ma si concreti nell’abitualità della residenza.
La nozione penalistica di straniero si determina in via negativa, comprendendo chi non è cittadino, e quindi anche gli apolidi residenti all’estero.

Il reato commesso nel territorio dello stato.

Art. 6 c.p.: chiunque commette un reato nel territorio dello stato è punito secondo la legge italiana. Il reato si considera commesso nel territorio dello stato, quando l’azione o la omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.

Applicabilità della legge penale italiana a reati commessi all’estero.

Reati commessi all’estero punibili incondizionatamente.

Non esiste alcuna regola internazionale generalmente riconosciuta la quale circoscriva la competenza dello stato in materia penale alle azioni compiute nel territorio.
L’applicabilità incondizionata della legge penale italiana è sancita (art. 7 c.p.) per taluni delitti, anche commessi all’estero, che offendono taluni interessi dello stato italiano ritenuti bisognosi di una tutela a tutto campo.
Fuori di tali casi, l’applicabilità della legge penale italiana a reati commessi interamente all’estero è subordinata a date condizioni: la presenza del reo nel territorio dello stato, e/o la richiesta del ministro della giustizia o la querela della persona offesa.

Delitto politico commesso all’estero.

È punibile secondo la legge italiana (art. 8 c.p.) il delitto politico commesso all’estero se ne è fatta richiesta dal ministro della giustizia. La richiesta non è necessaria per i delitti contro la personalità dello stato. Per delitti che fossero punibili a querela della persona offesa, occorre anche la querela, in aggiunta alla richiesta del ministro.
l’art. 8 c.p. definisce il delitto politico: agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto che offende un interesse politico dello stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.
La legittimazione del diritto penale politico è rigorosamente delimitata: la tutela penale non può coprire fini politici, che sono oggetto del libero confronto di posizioni diverse, ma solo il ricorso a mezzi illeciti, di violenza o sopraffazione, che distorcono il libero confronto politico. Il carattere o il fine politico può definire la natura del reato, ma no è il fondamento della sua illiceità; il profilo offensivo, che solo legittima l’intervento penale, sta nella natura dei mezzi adottati, lesivi di beni o interessi inerenti alle modalità di organizzazione di una libera e pacifica convivenza.

Delitti comuni commessi all’estero.

Gli artt. 9, 10 c.p. prevedono una disciplina articolata, in ragione della gravità del reato e secondo che l’autore sia cittadino italiano o straniero.
Per i delitti commessi all’estero dal cittadino, nel caso di delitti puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni è condizione di punibilità la presenza del reo nel territorio dello stato. Per delitti per cui sia prevista una pena edittale che vada al di sotto di tale soglia, è ulteriore condizione di punibilità la richiesta del ministro della giustizia, ovvero l’istanza o querela della persona offesa. Qualora si tratti di delitto commesso in danno dell’unione europea, o di uno stato estero, o di uno straniero, la punibilità secondo la legge italiana presuppone inoltre che on vi sia stata estradizione.
Per i delitti comuni commessi all’estero dallo straniero, l’art. 10 c.p. prevede condizioni più restrittive: richiesta del ministro, presenza del reo nel territorio dello stato, pena non inferiore nel minimo a un anno qualora si tratti di delitto in danno dello stato italiano o di un cittadino italiano. Qualora si tratti di un delitto commesso in danno dell’unione europea, o di uno stato estero, o di uno straniero, la punibilità secondo la legge italiana presuppone inoltre che non vi sia stata estradizione, e che la pena prevista non sia inferiore nel minimo a tre anni di reclusione.

L’estradizione.

Istituto di natura processuale. Per estradizione intendiamo il procedimento e il conseguente provvedimento con cui uno stato consegna ad un altro stato una persona che si trova nel suo territorio, per fini di giustizia penale. Dal punto di vista dello stato che fa la consegna, parliamo di estradizione passiva. Dal punto di vista dello stato richiedente, parliamo di estradizione attiva.

Estradizione e delitti politici.

Limiti garantisti all’estradizione passiva sono posti da norme costituzionali. L’estradizione del cittadino è ammessa solo se espressamente consentita nelle convenzioni internazionali. È vietata l’estradizione per reati politici, sia del cittadino che dello straniero.
Nella nostra costituzione, il perseguitato politico ha diritto d’asilo ed il divieto d’estradizione dello straniero per reati politici completa questa disciplina.

Limiti all’estradizione.
Principio della doppia incriminazione (art. 13 c.p.). L’estradizione non è ammessa se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera.
La doppia qualificazione come reato ha come punto di riferimento il fatto concreto. Non è richiesta identità di discipline, né con riguardo alle fattispecie, né con riguardo alle pene previste.
Divieto di estradizione verso stati nei quali sia prevista la pena di morte, incompatibile con il nostro sistema costituzionale, e anche in altri casi in cui pure l’ordinamento dello stato richiedente consenta soluzioni in contrasto con principi costituzionali.
Principio di specialità: lo stato che ottiene l’estradizione non può sottoporre l’estradato, salvo il suo consenso, a restrizioni di libertà per fatti anteriori e diversi da quello per cui l’estradizione sia stata concessa. Questi divieti vengono meno, se l’estradato si sia volontariamente trattenuto oltre un certo lasso di tempo, o sia volontariamente ritornato nello stato cui era stato consegnato.
Ulteriori regole sono volte a garantire che l’estradizione non sia concessa quando vi sia pericolo, nello stato richiedente, di atti persecutori o discriminatori, o di mancato rispetto di garanzie processuali ritenute essenziali.

Il mandato d’arresto europeo.

Consiste in un provvedimento della magistratura di uno stato membro, finalizzato all’arresto e alla consegna da parte di altro stato membro di una persona ricercata. Collaborazione diretta fra le autorità giudiziarie, senza più il passaggio a livello governativo che caratterizza le procedure di estradizione. Superamento del principio della doppia incriminazione con riguardo ad un elenco di reati, indicati per tipologie generiche. Questa disciplina presuppone nei diversi stati uno standard sostanzialmente omogeneo.

La legge penale nel tempo.

I principi: irretroattività della legge penale e applicabilità della legge più favorevole.

L’irretroattività delle norme che fondano la responsabilità penale.

La irretroattività della legge è  un aspetto del principio di legalità. Ancorando la responsabilità penale a una legge entrata in vigore prima del fatto commesso, l’art. 25 Cost. attribuisce rango costituzionale a un principio comune a tutti gli ordinamenti penali moderni.
Art. 2 c.p.: nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.

La retroattività delle disposizioni più favorevoli.

Disposizioni più favorevoli, sopravvenute alla commissione del reato, hanno applicazione retroattiva.
Art. 2 c.p.: nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

 

 

Lex intermedia.

È una legge più favorevole successiva a quella vigente all’epoca del fatto, ma non più in vigore al momento del giudizio.
L’applicabilità della lex intermedia più favorevole, desumibile dall’art. 2 c.p., viene giustificata in nome del principio d’uguaglianza.
Non sono, in ogni caso, applicabili leggi intermedie illegittime o decreti legge che abbiano perso efficacia.

Ambito del principio d’irretroattività.

La portata generale del principio d’irretroattività.

Il principio di irretroattività vieta che una disciplina successiva più sfavorevole venga applicata a chi ha commesso il fatto sotto il vigore di una legge meno severa.
L’art. 2 c.p. esclude l’applicazione retroattiva di qualsiasi nuova disciplina di istituti di diritto penale sostanziale che abbia come conseguenza un trattamento più sfavorevole per un determinato fatto.

La questione delle norme sull’esecuzione della pena.

Norme che disciplinano l’esecuzione della pena. Le norme sulle misure alternative alla detenzione, contenute nell’ordinamento penitenziario, non sono considerate norme di diritto penale sostanziale, quindi non rientrano nella disciplina dell’art. 2 c.p., e sono governate dal principio processuale tempus regit actum. Le modifiche sono dunque applicabili anche ai condannati per fatti anteriori alla modifica normativa.

Irretroattività e misure di sicurezza.

L’applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo è disciplinata dall’art. 200 c.p.: le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione.
Vi è discussione circa l’applicabilità, ad un fatto previsto come reato dalla legge del tempo, di misure di sicurezza introdotte successivamente. La tesi dell’applicabilità, sostenuta in giurisprudenza, è contrastata in dottrina.

Tempo del commesso reato.

Il riferimento ala condotta.

Tempus commissi delicti. Momento in cui l’autore del reato ha violato la legge e la legge violata in quel momento deve avere applicazione.
La funzione di garanzia del principio di legalità impone di ritenere applicabile la legge vigente al momento della condotta: è quella la legge che poteva essere conosciuta dal reo, e poteva perciò svolgere funzione di guida del comportamento.

La questione dei reati permanenti.

L’indirizzo prevalente in dottrina e incontroverso in giurisprudenza, afferma la punibilità secondo la legge del tempo in cui la permanenza è cessata. Il soggetto agente è in grado di tenere conto della nuova legge, cessando l’azione.

Retroattività oltre il giudicato. Abolitio criminis e sostituzione della pena detentiva.

Abolitio criminis.

Nell’ipotesi di abolitio criminis, quando cioè per la legge successiva viene meno la qualificazione penalistica del fatto, la retroattività della legge più favorevole travolge anche il giudicato ed i suoi effetti penali.
L’eliminazione dell’illiceità penale deve derivare da una modificazione di portata generale, deve cioè ricorrer per tutti i fatti di un determinato tipo. A seguito della modifica legislativa deve venir meno il disvalore astratto espresso dalla prima legge con riguardo ad un dato tipo di fatti. In questo caso sussistono le ragioni e le condizioni della retroattività oltre il giudicato.

Abolitio criminis totale e parziale.

L’iperretroattività oltre il giudicato è indiscutibile quando vi sia totale abrogazione di un titolo di reato, e non sia applicabile alcuna altra norma penale. In tali ipotesi si ha un’abolitio criminis totale.
L’abrogazione secca non è l’unico caso in cui si possa dire che un fatto secondo una legge posteriore, non costituisce reato. Supponiamo che una fattispecie di reato sia sostituita con un’altra, che rispetto ad essa sia speciale. I fatti che erano compresi nella fattispecie generale abrogata, ma non più in quella speciale successiva, hanno perso la rilevanza penale che avevano ai sensi della norma abrogata. Altri fatti, che presentano gli elementi specializzanti di cui alla nuova norma, mantengono invece rilevanza. Se commessi in futuro, fatti di questo tipo saranno puniti ai sensi della nuova legge, in vigore all’epoca in cui sono commessi. In ipotesi del genere si parla di abolitio criminis parziale.

Sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria.

L’applicazione retroattiva di mutamenti di diritto penale sostanziale in senso favorevole al reo incontrava sempre il limite dell’intangibilità del giudicato. La sentenza è irrevocabile quando contro di essa non sia ammessa alcuna impugnazione o sia inutilmente decorso il termine per impugnare.
Al limite del giudicato è stata apportata una parziale deroga dal nuovo comma inserito nell’art. 2 c.p. nel 2006: se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 135 c.p..
Esclude che possa proseguire l’espiazione di una pena detentiva, dopo che una lex superveniens non preveda più un tale tipo di pena.
Retroattività nei limiti del giudicato.

Fuori dei casi di abolitio criminis e di sostituzione della pena detentiva, per qualsiasi altra modifica legislativa favorevole resta fermo il limite del giudicato.
Possono venire in rilievo, se più favorevoli, modifiche del sistema sanzionatorio, nel senso più ampio.
In ragione di una diversa distanza temporale fra il fatto e la sentenza di condanna, per reati dello stesso tipo commessi nel medesimo periodo, potrebbero trovare applicazione leggi diverse.
La corte costituzionale ha respinto un’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 2 c.p., sollevata con riferimento al principio d’uguaglianza, argomentando che l’applicazione delle disposizioni penali più favorevoli al reo può subire limitazioni o deroghe, sancite non senza una qualche razionale giustificazione da parte del legislatore ordinario, e che una pertinente ragione giustificativa consista nell’esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti, perseguita statuendo l’intangibilità delle sentenze divenute irrevocabili.
Il giudice dovrà idealmente valutare il caso concreto e, comparati i risultati, scegliere quella che comporta la soluzione più favorevole nel caso concreto.
La disposizione più favorevole non può essere ricostruita componendo gli elementi più favorevoli delle disposizioni via via succedutesi.

Ai confini fra abolitio criminis e successione di leggi penali.

Successione di leggi e sostituzione con leggi diverse.

L’ambito di applicazione del quarto comma dell’art. 2 c.p., comprende tutte le modifiche della disciplina penale, che non rientrino nelle previsioni dei commi precedenti.
Non può parlarsi di successione di leggi quando la norma abrogata e quella successiva prevedano fattispecie caratterizzate da elementi eterogenei.

La sostituzione di una norma generale con una norma speciale.

Là dove una fattispecie più ampia sia stata sostituita con una più ristretta, occorre distinguere.
Per i tipi di fatto che non rientrano nella nuova fattispecie speciale, è pacifico che si debba riconoscere l’abolitio criminis.
Per i tipi di fatto non coperti dalla parziale abrogazione, ma ricondotti ad una nuova e più ristretta fattispecie penale, troverà invece applicazione la disciplina più favorevole, entro il limite dell’intangibilità del giudicato.
Recenti tendenze giurisprudenziali e dottrinali spingono nella direzione opposta: ipotesi di abrogazione parziale vengono considerate, rispetto ai fatti pregressi, come abolitio criminis totale.
La discontinuità del tipo d’illecito, per mutamento del bene giuridico tutelato o delle modalità dell’offesa, comporterebbe l’inapplicabilità ai fatti pregressi sia della vecchia che della nuova norma penale.
In qualsiasi ipotesi di successione di una fattispecie speciale ad una fattispecie più generale, la nuova legge ha selezionato un ambito di persistente illiceità penale, delimitato da tutti gli elementi della vecchia fattispecie e dalla aggiunta di elementi nuovi.
Per l’insieme dei fatti rientranti sia nella fattispecie generale che nella legge speciale successiva, il giudizio di disvalore astratto, espresso dalla legge penale, resta confermato. In tutti i casi in cui l’abolitio criminis è esclusa per il futuro dalla applicabilità della nuova norma speciale, il principio di legalità impone di escluderla anche per il passato: la continuità della applicazione della legge ai medesimi tipi di fatto è assicurata, mentre la tesi contrapposta produce uno strappo.

Successioni di leggi e prescrizione.

È legittimo prevedere l’applicazione retroattiva di modifiche in malam partem, o di deroghe all’applicazione retroattiva di istituti più favorevoli?
Le peculiarità dell’istituto della prescrizione rendono plausibile addirittura un allentamento della rigidezza del divieto di retroattività in peius.
Non vi sono ostacoli costituzionali alla applicazione retroattiva di discipline meno favorevoli in materia di prescrizione, nel caso in cui i termini previsti dalla previa legge non fossero ancora scaduti.

Successione di leggi integratrici.

La modifica di una disposizione integratrice di una norma penale avrà o non avrà rilievo, secondo che incida o meno sul disvalore astratto del tipo di fatto.
Si ha successione di leggi penali nel caso di mutamento di precetti legali richiamati da una norma penale in bianco, o di atti normativi contenenti specificazioni tecniche del precetto.
La legge penale resta immutata nel caso di successione di leggi qualificatrici di elementi normativi della fattispecie, che, pur rilevanti ai fini della individuazione dei fatti tipici, non concorrono ad esprimere la scelta di politica del diritto penale racchiusa nella figura astratta di reato.

Leggi eccezionali e temporanee.

Il principio del favor rei, che regge la disciplina della successione di leggi penali, trova una deroga al quinto comma dell’art. 2 c.p.: per leggi eccezionali e temporanee vale il principio tempus regit actum, così da escludere l’applicazione retroattiva di leggi ordinarie successive più favorevoli.
Sono leggi eccezionali quelle che collegano la durata della loro validità al persistere di una situazione eccezionale.
Leggi temporanee sono quelle che hanno prefissato il termine in cui cesseranno di avere vigore.

Decreto legge non convertito, o convertito con modificazioni.

L’art. 2 c.p. prevedeva, al quinto comma, l’applicabilità della disciplina della successione di leggi. La corte costituzionale ha dichiarato la sua illegittimità costituzionale, con riferimento all’art. 77 Cost., nella parte in cui rende applicabile il secondo e terzo comma, cioè i principi sulla successione di leggi, al caso di mancata conversione per qualsiasi causa di un decreto legge e al caso di un decreto legge convertito con emendamenti che implichino mancata conversione in parte qua.
Riferimento alla sola applicazione a fatti pregressi. In tale ipotesi trova senz’altro applicazione la legge in vigore al momento del fatto; il successivo decreto legge, non convertito in tutto o in parte, non può trovare applicazione, pena lo scardinamento del sistema costruito sulla riserva di legge penale.
I decreti legge non convertiti si applicano, se più favorevoli, ai fatti commessi durante la loro vigenza.

Dichiarazione d’illegittimità costituzionale di leggi penali.

Efficacia temporale della legge dichiarata incostituzionale.
Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale è assimilabile all’annullamento, non all’abrogazione.
Una norma penale di favore dichiarata illegittima, sebbene privata d’efficacia e resa inapplicabile, mantiene rilievo per i fatti commessi durante la sua vigenza, prevalendo il principio che preclude la retroattività delle norme incriminatrici.
Se la legge dichiarata incostituzionale aveva abrogato disposizioni preesistenti? La reviviscenza della disciplina abrogata si avrà quando il vizio di legittimità costituzionale riguardi proprio l’abrogazione della disciplina previgente.

 

Fonte: http://www.studentibicocca.it/file/download/1103?license_confirmed=true

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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