Appunti teoria argomentazione giuridica

Appunti teoria argomentazione giuridica

 

 

 

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Appunti teoria argomentazione giuridica

 

Cosa si intende per Teoria dell'argomentazione giuridica?

Oggi cercherò di caratterizzare l'inizio del nostro corso soffermandomi sul sintagma che dà il nome alla nostra materia “argomentazione giuridica”; cercherò di dirvi cosa si intende. Il termine “argomentazione” ve lo traduco con sinonimi: commentare, motivare, giustificare, dare ragione. L'oggetto di questo motivare è il diritto, ecco perché parliamo di argomentazione giuridica, perché tenteremo di esaminare quali sono le condizioni che rendono possibili quel motivare che ha per oggetto il diritto. Il termine motivare, giustificare, commentare è un termine che intuitivamente tutti riusciamo a comprendere mentre invece quando iniziamo a chiederci cosa è il diritto, è opportuno delimitare le risposte. Noi ci soffermeremo solo su uno dei modi con cui il diritto si dà, e in particolare quel Diritto dei Giudici, e quindi il nostro argomentare avrà ad oggetto quel diritto che producono i giudici, quello che i tedeschi chiamano  RICHTERRECHT, quel diritto che tutti conosciamo con riferimento a quella norma individuale che chiamiamo  SENTENZA, e quindi il nostro corso sarà di logica del motivare quella norma chiamata sentenza.

Prima del diritto prodotto dai giudici (i quali x l’esegesi dovrebbero applicare il diritto che c'è, non devono produrlo) ci sono altri modi di essere del diritto:

  1. diritto prodotto dagli organi Legislativi, la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, ci si riferisce alle molte leggi prodotte da questi organi;
  2. diritto prodotto dagli organi di Governo;
  3. delibere della Pubblica Amministrazione;
  4. delibere che derivano dal consiglio delle imprese private, creano rapporti giuridici;
  5. diritto prodotto dagli organismi Internazionali e trattati tra gli Stati;
  6. diritto di costituzione Consuetudinaria;
  7. fenomeni giuridici chiamati da Rodolfo Sacco “CRITTOTIPI”; c'è una giuridicità diffusa nell'esperienza umana che a volte non necessariamente ha una sua produzione nomografica (alla quale non necessariamente corrisponde una codificazione), diffusa perché capace di regolare l'esperienza umana, crea rapporti giuridici ma rimane nascosta, legata ad una esperienza la cui spontaneità è irretrattabil. Faccio degli esempi:

- norma non scritta ma principio basilare della costruzione giuridica ed è la NORMA FONDAMENTALE di Kelsen: “si deve obbedienza alla Costituzione”; è un principio basilare in quanto non sarebbe pensabile l'ordinamento giuridico senza la medesima,ma la medesima non ha un espressione nomografica.

Principi logici della costruzione giuridica, non hanno bisogno di una espressione nomografica. Ci sono per esempio delle condizioni di validità che studieremo durante il corso che hanno altrettanta forza, perché sono dei veri e propri principi logici ad es. che ci debbano essere per un negozio di        compravendita, le due parti, l’accordo ecc. ci dicono tutto sommato qualcosa che appartiene all'idea stessa di compravendita, e non sono condizioni stabilite da un legislatore, ci sarebbero lo stesso in questo senso la spontaneità dei crittotipi. Trovo interessante questo passaggio?
Perché i crittotipi agiscono come esimente, cioè sono legati a DOVERI GIURIDICI che NON hanno espressione nomografica, appartengono al diritto perché sono principi basilari. I giuristi sanno che molta giurisprudenza chiama in causa questi principi dell'ordinamento giuridico, che sono essenzialmente PRINCIPI LOGICI dell'ordinamento. Non hanno necessariamente espressione nomografica, c'è la tesi di Cristina Romanò, che ha esplorato la giurisprudenza francese per scoprire quest'aspetto crittotipico, che nell'esperienza francese è una figura essenziale di molta giurisprudenza, dove il magistrato applica doveri giuridici che hanno solo un nesso logico con i doveri che hanno un espressione nomografica ma che di per sé non hanno espressione nomografica, ma altresì sono impliciti. Fenomeno quotidiano dei crittotipi lo rinveniamo per es. nella discussione con il relatore della tesi, nessuno chiede delle norme vigenti, e come si debba procedere e quali titoli deve avere il relatore. Noi agiamo rispettando doveri che per noi sono basilari per i rapporti giuridici, senza chiederci se siano effettivamente dei doveri scritti in qualche norma. In realtà sono nascosti, tele è la loro forza e la loro spontaneità di formazione che li fanno rientrare nella giurisprudenza perché hanno un nesso come esimente, hanno un nesso logico con qualcosa che è loro espressione.

Vi sono doveri formati da una cogenza, da una spontaneità che non hanno bisogno di essere tematizzati, perché questi doveri sono il prodotto di un esercizio spontaneo. La spontaneità, la ripetizione ha sostituito la necessità di dare un espressione nomografica a questi doveri.

8)Abbiamo un altro diritto che nel 900 è stato tragicamente al centro dell'esperienza giuridica ed è il diritto che GUSTAV RADBRUCH chiama DIRITTO SOPRALEGALE (UBERGESE TZLICHES RECHT), il diritto che è sopra alle leggi; “le leggi non sono tutto il diritto”. Ci sono per esempio sentenze della Corte Costituzionale  tedesca, sentenze che risalgono alla fine del 3° REICHT che stabiliscono che la Costituzione tedesca non è diritto. Da parte del giurista sarebbe una cosa priva di giudizio scientifico sostenere che la Costituzione tedesca non ha niente di giuridico. In realtà è la stessa Costituzione tedesca art.3 a dire: IL DIRITTO NON E' L'INSIEME DELLE NORME SCRITTE”, lasciando intendere che ci sia anche un diritto sopralegale. Non è il diritto del crittotipo, perché il crittotipo é si muto ma non al di sopra della legge (al contrario il crittotipo è relato alla legge; non è ciò che è scritto ma ciò che è collegato implicitamente a ciò che è scritto, e il giudice rende esplicito ciò che è implicito). Qui invece è un diritto sopra le leggi. Perché è importante dire “sopra”? Ecco anche qui, nessun giurista serio direbbe che la giurisprudenza tedesca dal '46  in poi sia da buttare a mare perché non ha niente di giuridico. La giurisprudenza tedesca che ha giudicato l'esempio dei crimini commessi nella Germania Nazista, e quindi la giurisprudenza che va subito dopo la 2° guerra, che ha affermato questo principio che ci sono delle leggi che il legislatore può porre ma che non hanno e non possono avere mai vera validità giuridica perché non possono essere diritto e al posto di queste c'è questo diritto sopralegale; cosicché  in innumerevoli processi gli imputati non hanno potuto difendersi sostenendo quel principio che è alla base del liberismo giuridico contemporaneo che dice “la legge è le legge”; questi non hanno potuto difendersi perché in quel contesto valeva un principio diverso “ciò che è giuridico non è necessariamente ciò che è scritto nelle leggi”. Molte tragedie del 900 sono sorte sulla base proprio della volontà di identificare la giuridicità con qualcosa che dentro di sé non ha nulla di giuridico, e non si comprenderebbe gran parte della giurisprudenza del 900 e di certi processi pervasivi se si sostenesse il principio  di mera e semplice legalità.

Noi affronteremo meglio questi aspetti, in questa prima lezione mi interessava richiamare la vostra attenzione a quel diritto che chiameremo RICHTERRECHT ( diritto prodotto dal giudice).

Dunque allora Argomentazione giuridica di per sé potrebbe significare, motivare, giustificare, noi ci occuperemo di un settore piccolissimo del diritto ossia il diritto prodotto dal giudice che si distingue da tutte queste altre forme di diritto, anche se il diritto prodotto dal giudice presuppone tutte le forme del diritto. Il nostro corso sarà indirizzato a meglio esplicitare la giustificazione razionale del diritto prodotto dai giudici, sarà incentrato sull'argomentazione in generale del processo.

La necessarietà di questo corso sulla teoria della motivazione delle sentenze si ricollega a mio parere ad un paradosso: da una parte appare impossibile che le facoltà giuridiche siano anche facoltà filosofiche, una facoltà che da una parte aspira a porre domande su ciò che fonda il diritto in rapporto alla ragione, dall'altra l’inevitabilità che una facoltà giuridica recuperi presto o tardi il tema del  nesso del diritto con la giustificazione. Mi rendo conto che è un tema difficile da presentare in un aula di giurisprudenza, specie nella nostra tradizione occidentale molto intasata di giuspositivismo (idea del diritto come prodotto della volontà del legislatore). Io sosterrò una tesi che riprende una tradizione diversa da quella occidentale. La tesi è semplice: parto da una domanda, voi direste che una norma del tipo “O LA BORSA O LA VITA”, è una norma giuridica? L'evidenza è che questa non sia una norma giuridica, chi la pronuncia esprime il contenuto di un ordine delinquenziale che non è il contenuto di una norma giuridica. Cos'è? E' sicuramente un fenomeno diverso dalla norma giuridica. Possiamo distinguere su un piano ideale l’ORDINAMENTO GIURIDICO dall'ORDINAMENTO DELINQUENZIALE. Cosa non c'è in quel ordine “o la borsa o la vita” e che invece c'è nel ordinamento giuridico è fondamentale? La differenza la possiamo cogliere operando come fossimo fenomenologi, ossia andando a vedere come stanno le cose. L'idea di legalità senza limiti che non si controbilancia con un istanza di giustizia minima, sia d'esempio da rimanere ottusamente e banalmente di riflesso dinanzi a norme odiose, ma secondo voi se un nostro legislatore oggi ci ponesse come norme le leggi razziali, cosa che si è fatto, se riproponesse questo, davvero ci sarebbe qui un professore di diritto che a un’aula come questa viene a spiegare che “ la legge è la legge”, ingorando l'esperienza storica di un passaggio cruciale e irreversibile quale quello della seconda guerra mondiale. Torniamo allora a quell'ordine, cosa gli manca? E’ un ordine, un’espressione non presuppone un DIALOGO, presuppone la chiusura di un dialogo, non presuppone una teoria dell'argomentazione giuridica, una teoria del rendere conto di ciò che chiede. Se ti sto dicendo “o la borsa o la vita”, e perché voglio ottenere un effetto dogmatico punto e basta. Il discorso è semplice, non è diritto una normatività che non si apre ad una motivazione, che esclude già all'inizio una spiegazione, che mette fuori da subito qualunque ragione, non è diritto ma è ciò che noi chiamiamo fenomeno delinquenziale. Sono due fenomeni diversi, hanno un ontologia diversa, c'è una normatività che non è giuridica ed è quella che non si apre a nessuna motivazione, anzi la esclude categoricamente sicché se si chiede il perché, la risposta sarebbe: è nell'evidenza della verità di quel fenomeno che non c'è nessuna motivazione.

Il fenomeno giuridico si distingue da quello delinquenziale in quanto non sarebbe pensabile diversamente, la nostra nozione del diritto è una nozione che non può non implicare il tema della motivazione, proprio questo è il punto cruciale, non saremmo compresi né come uomini che vivono la loro storia personale né come studiosi di diritto, non saremmo compresi se non facessimo questa distinzione basilare, e cioè che ci sono due ordini normativi diversi che si contrappongono, l'ordine delinquenziale che non si apre a nessun dialogo e l'ordine giuridico che attende una giustificazione una motivazione. Allora perché è inevitabile che ci sia un corso di argomentazione giuridica, ma perché il diritto è questo, è soprattutto argomentazione giuridica, il diritto è soprattutto in questo senso filosofia del diritto. Chi non sa argomentare non è in grado di innovare il diritto, è nell'ontologia del diritto questo richiamo alla motivazione, alla giustificazione razionale. Se le cose non stanno così o non seguono la strada, non è che cambia la natura del diritto, gli uomini non possono opporsi a questa evidenza, non si può eludere l'evidenza fenomenologiaca delle cose, quella che decide in modo basilare delle nostra esperienza storica. Il prodotto della nostra umanità non ci permette di poter immaginare un ordine giuridico che contenga dentro di sé leggi come le leggi razziali; è da folli partire da un idea di giuridicità che non apprenda nulla dall’esperienza drammatica che l'umanità ha vissuto con la 2°guerra, è cosa che può avere senso per quella contemporaneità del 1938 ma non per la nostra contemporaneità nel 2008, questo è il punto, e non c'è legalità che tenga dinanzi a questa preposizione, e non c'è nemmeno nozione scientifica che tenga, perché una nozione scientifica che sia robusta sa partire da un presupposto molto chiaro che è la giurisprudenza. Ripeto: nell'occidente europeo la Germania post-nazista è un fenomeno giuridico, nessuno di noi riterrebbe da giurista serio che quelli non sono fenomeni giuridici, quelle sentenze contengono dentro di sé un principio basilare che è il principio dell'UBERGESETZLICHES RECHT. Naturalmente se c'è una sentenza che si poggia sull’ ubergesetzliches recht è perchè c'è anche un torto legale lo GESETZLICHES UNRECHT, un ingiustizia prodotta dalle leggi, che diventa rilevante quando questo torto è particolarmente odioso, irriconoscibile per la nostra coscienza storica, ripeto faccio l'esempio delle leggi razziali, se mai queste possono essere prodotte da un qualsiasi legislatore, la nostra coscienza potrebbe recepirle come contenuto di norme possibili? Non lo ritengo possibile, e non c'è principio di legalità che tenga. Non è possibile, né ammissibile, se ci si vuole fare carico in senso scientifico, umano, storico del processo umano e sociale che ha riguardato la nozione di diritto negli anni della seconda guerra mondiale.

Quindi un altro sintagma che si contrappone all UBERGESETZLICHES RECHT è IL GESETZLICHE UNRECHT.  L' ubergesetzliches recht dice che c'è un diritto sopra alle leggi però non è detto che le leggi siano aderenti al diritto statutario, però ci può essere il problema che ci siano leggi che esprimano un torto, un ingiustizia radicale, cosa fare dinanzi a ciò, qual'è il principio di validità?? L'attività del legislatore è quella di porre norme e presuppone che sia giusta; il giudice presuppone non la giustizia delle norme ma la validità delle norme. Es. Art 544 ter. c. p punisce chi maltratta gli animali, questa norma può generare due giudizi che sono:

  1. l'art 544 è una norma valida;
  2. l'art 544 è una norma giusta.

Secondo voi quale dei due giudizi appartiene al legislatore? Ovviamente il secondo. Il primo presuppone l’attività del giudice, non del legislatore.

Il problema che deve risolvere il giudice è quello del valore delle leggi che si può risolvere solo in un modo, sostenendo che appartiene alla validità anche il valore, sicché ad esempio alcune leggi non sono più proponibili e la giurisprudenza tedesca questo ha detto. Il giudice ad esempio del tribunale amministrativo tedesco nel 1946 giunge a stabilire che le leggi sulla confisca sui beni degli ebrei, stabilite in modo unilaterali dallo stato del 3° REICHT, non hanno mai avuto validità; non erano leggi, né tantomeno l’imputato per aver applicato questa legge può difendersi dicendo <<io ho rispettato la legge>>, perché quelle leggi non avevano alcun valore. Ci sono momenti cruciali anche dell'esperienza giurisprudenziale, dove il giudice sostiene che la validità coincide con la giustizia. E ci sono invece momenti altrettanto cruciali come l'art.3 della Costituzione tedesca  e le sentenze della Corte Costituzionale tedesca che ci aiutano a dire che il diritto non è l'insieme delle leggi scritte; c'è un diritto sopralegale e questo lo dice la giurisprudenza tedesca.

Voglio dare ancora degli ulteriori elementi introduttivi dopo aver ribadito le questioni discusse fino ad ora, questioni fondamentali:

  1. ci siamo chiesti che cosa intendiamo per teoria dell'argomentazione giuridica, ed abbiamo detto che la nostra sarà una motivazione della sentenza, sapendo anche che quando parliamo di diritto il tema potrebbe essere molto più ampio, perché potrebbe riguardare il diritto in sé e perché la stessa teoria del diritto prodotto dai giudici può essere o teoria generale del processo oppure teoria della topica giuridica ecc.
  2. ci siamo chiesti che cosa motiva la necessità di un corso di teoria dell'argomentazione giuridica; qui ve l'ho presentato con un paradosso dell'impossibilità di rinunciare allo stesso, ma nello stesso tempo è un’inevitabilità reale. Abbiamo detto che l'inevitabilità la riconduciamo a ciò che è diritto, ad una prima ontologia di base di che cosa è il diritto. Il diritto senza motivazione razionale non è diritto.

Prima di lasciarvi e di darvi appuntamento alla prossima lezione, voglio aggiungere un altro argomento che fino ad ora ho solo accennato, e che riguarda ciò che distingue l' ATTIVITA' LEGISLATIVA dall' ATTIVITA' GIURISDIZIONALE. Mi confronto con l'attività legislativa per meglio evidenziare i tratti specifici dell'attività giurisdizionale. Naturalmente capite bene che l'attività legislativa non potrebbe coprire tutti gli spazi della giuridicità, ciò è impossibile. Pensare che il legislatore occupi gli spazi giurisdizionali e così anche lo spazio amministrativo, degli atti privati, notarili è impensabile, salvo immaginare il legislatore come il cartografo che realizza una carta geografica grande quanto il territorio che vuole rappresentare, cosa non possibile. Occorre quindi che le attività giuridiche siano diverse. Cosa le differenzia? L'attività legislativa pone norme e presuppone la giustizia di esse; l'attività giurisdizionale invece presuppone le norme,e la loro validità. Altro fattore di differenziazione: il legislazione da soluzioni a problemi sociali, politici attraverso risposte che tendenzialmente possono essere ILLIMITATE, sullo stesso caso il legislatore può dare più soluzioni, c'è questa possibilità ma è meglio che non ci fosse. Il giudice invece deve dare una sola soluzione al caso che affronta, si possono succedere vari gradi del processo e giudici diversi, comunque in un numero limitato, non c'è un ordinamento razionale che dà un numero illimitato di appelli, anzi tende a restringere il numero di attriti previsti già, una cosa è certa o per un senso logico o per un senso che si riconduce all'ordinamento vigente la risposta del giudice deve essere una; poi quando si giunge al sentenza definitiva, detta definitiva perché non se ne possono creare altre. Così da una parte c'è la possibilità di dare risposte anche in un numero illimitato dall'altra parte invece la risposta dev'essere una. Terzo aspetto: l'attività giurisdizionale è legata, mi riferisco alla forma giuridica, ad una forma esterna, cioè ad un assetto dell'attività giurisdizionale disciplinato da norme, è legata alla MOTIVAZIONE. Ci sono norme della nostra Costituzione e norme dei nostri codici che vincolano la validità della sentenza alla motivazione; cito soltanto l'art 111 della Costituzione, che dispone che i provvedimenti giurisdizionali hanno l'obbligo della motivazione. Questa forma giuridica della motivazione io ritengo che presenti una stranezza, e cioè che non è prevista la stessa forma per l'attività legislativa. Perché la trovo una stranezza? Perché non c'è una norma che dice che le leggi poste dal legislatore devono avere una motivazione, ed è senza dubbio una stranezza, si tratta di un mio giudizio teorico su questa differenza, perché io mi aspetterei una motivazione, soprattutto dall'attività legislativa, perché questa ha a che vedere con la giustizia delle norme. Abbiamo detto che il legislatore pone norme e presuppone  la giustizia di esse mentre l'attività giurisdizionale ha che fare con l'applicazione di norme, quindi mi aspetterei da una parte un collegarsi dell'attività giurisdizionale alle norme, così stretto tanto da rendere necessaria la motivazione. Ci sono ordinamenti  come quello anglosassone dove non è prevista la motivazione dei verdetti prodotti da giurie di giudici, ma vale l’INTIME CONVINCTION, che di fatto è una motivazione. Io mi aspetterei, appunto, che sé mai una motivazione venga richiesta è in quel momento più politico della produzione di norme che è necessaria, in quanto il legislatore pone norme. Ma le cose stanno diversamente, quindi inutile discernere in proposito. Nella prossima lezione cercherò di introdurre il sillogismo, che è importante, cercate di non mancare.

 

Teoria dell'argomentazione giuridica
2°Lezione del 07.03.08

La trattazione di oggi riguarderà l’analisi di una tesi sorprendente sul processo, una sorta di confine ideale di tutta la nostra teoria sul processo. Una tesi che non ho timore a definire scandalosa, ma che merita apprezzamento perché ci pone subito come studiosi del diritto dinnanzi alle questioni decisive. In queste lezioni iniziali l’analisi verte sull’introduzione di una teoria generale del processo, e quindi si tratta di spunti ideali, nei quali vi è la ricerca non tanto di fenomeni storicamente avvenuti, quanto più la possibilità che possano accadere, come il caso di Schulze che introdurremo, probabilmente mai avvenuto. In questa ricerca della possibilità noi svolgiamo il vero compito filosofico, perché alla filosofia interessa l’universale: non ciò che è realmente accaduto, ma ciò che potrebbe accadere, così da ricavare da questa possibilità quelli che sono i limiti possibili dell’azione giuridica o della decisione giuridica, insomma un compito filosofico- metafisico, perché il suo oggetto dipende da ogni ragione possibile.

La tesi scandalosa di cui si è parlato sopra è quella presentata da Kelsen, relativamente al processo, e alla critica dei modi di Hein Filgher, sostenitore di tesi opposte e al quale ci rifaremo per spiegare le condizioni praxeologiche. I due si occupano dello Stato, che in realtà ripercorre tutta l’opera di Kelsen. Tale tesi è stata presentata già in uno scritto del 1928, uno dei suoi primi saggi:“ I fondamenti filosofici del diritto naturale e del positivismo giuridico”. Riproposta infine nella sua opera pubblicata postuma, nel 1978, e che è un po’ l’ultimo scritto di Kelsen: “Teoria generale delle norme”. Ma tale tesi è citata anche in una delle sue più importanti opere “Dottrina pura del diritto”  edita 1934 e 1960. Kelsen non ripete proprio lo stesso esempio, cambia i nomi, ma la sostanza è la stessa.

Al centro c’è la forma tipica del processo che è il sillogismo. Il fondamentale ragionamento giudiziale (che copre il giudizio del giudice) è una forma di inferenza tipica, che conosciamo già dai tempi di Aristotele ed è teorizzata attraverso l’inferenza del sillogismo caratterizzato da due premesse  e da una conclusione.Per capire si consideri il famoso es. che Aristotele fa nella sua famosa opera l’ “Organon” il sillogismo

Tutti gli uomini sono mortali       premessa maggiore
Socrate è un uomo              premessa minore
Socrate è mortale                                   conclusione

Caratteristica di queste due premesse è che c’è un cosiddetto  “termine medio”, una sorta di termine che fa da cerniera alle due premesse ed è grazie a questo che le premesse si possono considerare collegate ad una conclusione. In questo caso il termine medio è “uomo” perché ricorre in entrambe le premesse ed è proprio in virtù di questo che possiamo giungere ad una conclusione che ha la stessa forza di verità delle premesse. Potremmo anche dire: “siccome tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un  uomo, allora Socrate è mortale”, anche in questo caso il termine medio “uomo” collega le due premesse portandole alla conclusione.

Anche nel processo abbiamo il sillogismo che si definisce sillogismo giudiziale che è strutturato allo stesso modo, si compone di premesse e da queste dipenderà una conclusione che sarà il contenuto del giudizio del giudice. Nella premessa maggiore del sillogismo giudiziale si trova quella che i giuristi chiamano la quaestio iuris cioè la norma generale che nell’esempio “sconvolgente” di Kelsen è:

“Tutti i ladri devono essere puniti”                  Premessa maggiore che ha le caratteristiche 
della semplicità e trasversalità perché Kelsen usa le parole ripetute in tutti gli ordinamenti penali. Una sorta di limite logico di tutto il nostro pensiero.

La premessa minore nella teoria di Kelsen è la questio facti e cioè il fatto realmente accaduto, nella  premessa minore si dice quello che è realmente accaduto, si cerca di provare un evento storico che diventa oggetto, proposizione, giudizio. Quindi il contenuto della premessa minore è dato dal tribunale competente che dice: posta la norma generale “Tutti i ladri devono essere puniti” il fatto storico è:

“Schulze è un ladro”                    Premessa minore    

In base alla filosofia aristotelica, la conclusione dovrebbe essere che:

“Schulze deve essere punito”                     Conclusione aristotelica    

Ma è qui che la tesi di Kelsen diventa sconvolgente perché la conclusione del tribunale competente è decisamente contraddittoria con le premesse:

“Schulze non deve essere punito”                            Conclusione kelseniana.

Ricapitolando la tesi di Kelsen:

“Tutti i ladri devono essere puniti”                                Premessa maggiore
“Schulze è un ladro”                                                        Premessa minore
“Schulze NON deve essere punito”                                Conclusione

Ora, Kelsen si chiede se la sentenza è valida; se il tribunale competente , per aver pronunciato questa sentenza è meno competente.  Secondo Kelsen questa è una sentenza valida, certo potrebbe essere riformata nei gradi successivi, è anche vero che in cassazione le cose potrebbero apparire meno lucide. Se si facesse un’indagine ed un esame storico dei processi in Italia si scoprirebbe che il momento politicamente più odioso dei processi non è tanto il primo grado di giudizio, ma i gradi successivi: infatti, nella storia dei nostri processi ci sono stati dei magistrati della cassazione condannati per aver “ammazzato” sentenze.

In una sentenza valida quali sono i limiti della resistenza giuridica?
Nella scorsa lezione abbiamo visto che ci sono dei magistrati che sentenziano sulla base non di un diritto legale, ma di un diritto sovralegale, ci chiedevamo se il principio di legalità può reggere la vita giuridica delle sentenze, scoprivamo che c’è una storia dei processi che si concludono proclamando una giurisprudenza che ha fondamento in un diritto sopralegale, e addirittura ci sono sentenze della Corte Costituzionale tedesca, ed in particolare una del 14 febbraio del 1973 che interviene nell’interpretazione dell’articolo 20 comma 3 della Cost. federale tedesca  che statuisce: “ La giurisdizione tiene conto non soltanto della Legge, ma anche del diritto” quindi distingue la legge dal diritto,  e la Corte Cost. tedesca dice che il diritto non è l’insieme delle leggi scritte. Non si può, dunque sottovalutare questa dimensione della giuridicità perché se facciamo una ontologia della giuridicità sappiamo che un ordine tipo “la borsa o la vita” non è un ordine giuridico, appare subito come un ordine privo di ontologia giuridica e cioè delle condizioni minime di giuridicità. Questo è un limite che deriva  dall’eternità in riferimento ad un diritto sovralegale, diritto che riconosciamo, al di là della giurisprudenza tedesca, quando facciamo un’ontologia minima della giuridicità e diventa tema rilevante del processo.

Qui ci troviamo in un punto opposto, e dobbiamo porci la domanda se la sentenza, proprio in ragione di un principio di legalità che richiama il fondamento di validità della sentenza e del potere del magistrato, se una sentenza con le caratteristiche suddette è valida.

Per rispondere bisogna entrare nella logica del processo, capire come stanno le cose anche da un punto di vista tecnico, unire alla riflessione logica sulla struttura di inferenza del processo la conoscenza dei fenomeni giuridici e cercare di capire come stanno le cose. Vedere come stanno le cose significa da una parte cercare di sviluppare una logica rigorosa del processo (le caratteristica della forma inferenziale del sillogismo giudiziale), e dall’altra parte non perdere di vista i fenomeni che possono accadere.

Secondo la teoria dell’argomentazioni giuridica ci sono stati tre modelli tipici della stessa logica inferenziale, ma che portano a 3 esiti diversi:

  • Modello analitico o formale
  • Modello dialettico o retorico
  • Modello Fuzzy    (logica fuzzy, sviluppatasi a partire dagli anni 70 soprattutto nella                  

                                        letteratura anglosassone. Uno dei primi studiosi del calcolo fuzzy               
Loftl Zaden che scrisse, nel 1973, un articolo scientifico, di logica                                                     
molto  importante “Fuzzy logic and approximated reason”.)

Il modello analitico o formale si sviluppa alla fine del ‘700, inizi dell’800 (metodo dovuto all’opera di codificazione napoleonica effettuata dalla scuola dell’esegesi), stagione caratterizzata dall’idea che il diritto si potesse tradurre in norme chiare ed in modo tale da poter rendere recepibile in modo certo l’indirizzo del magistrato dinnanzi ai casi che è chiamato a giudicare. La codificazione nasce per assicurare certezza al diritto, ed è proprio questo che determina la motivazione della sentenza; sicchè il giudice deve essere solo la “bouche de loi”. Dunque il sillogismo analitico-formale nasce con le premesse storiche della codificazione, dell’ideale della certezza del diritto che si ritiene possa essere attuata attraverso una codificazione delle leggi che sia chiara, univoca e che non si presti alla molteplicità dei sensi, in modo tale che il giudizio possa derivare deduttivamente e direttamente dalla legge, dai testi dei codici.  Con queste premesse si sviluppa un’idea dell’inferenza che governa il sillogismo giudiziale che, secondo i giuristi dell’800 , si basa su premesse che sono sicuramente vere e identificabili nella teorizzazione di un fatto certo e oggettivo che è la norma generale e che costituisce il contenuto della premessa maggiore. 
La norma generale, in questo modello, si presenta come un dato oggettivo che in quanto tale si sottrae alla disponibilità discrezionale del magistrato, la codificazione delle leggi ha lo scopo di escludere la valutazione soggettiva del giurista.

Pertanto vi è un dato oggettivo che è la norma generale, e che costituisce il contenuto della premessa maggiore, e abbiamo un fatto storico realmente accaduto che è il contenuto di un’asserzione di fatto da parte del magistrato. Da queste due premesse non può che scaturire, secondo la Scuola dell’Esegesi, una conclusione consequenziale.

Il compito del magistrato è quello di esplicitare queste premesse, e quindi le norme già esistenti, e non quello di creare delle norme (compito, invece, del legislatore). Quando la scuola dell’esegesi sostiene questo fa riferimento ad un modello di inferenza giudiziale che è sovrapponibile ad una forma di sillogismo che Aristotele chiama “analitico-formale”. Il filosofo greco sosteneva che nella conclusione si rende esplicito il contenuto di verità sostenuto nelle premesse: la conclusione “Socrate è mortale” è solo il contenuto di verità della premessa maggiore, “Tutti gli uomini sono mortali”, e della premessa minore “Socrate è un uomo”. Anzi secondo Aristotele la conclusione è così cogente che è già pensata da chi pronuncia le premesse, infatti nel soggetto della premessa maggiore, “tutti”, è gia contenuto, si sta già pensando a Socrate, perché Socrate è un uomo. “Tutti” è un quantificatoio universale che contiene già l’individuo Socrate, quindi la conclusione.

La Scuola dell’Esegesi pensa che il processo debba svolgersi attraverso una forma inferenziale che parte da premesse sicuramente vere giunge a conclusioni ugualmente vere. Infatti si parte da un dato oggettivo, che è la norma generale, e si arriva ad una conclusione altrettanto oggettiva che è il prodotto della relazione tra norma generale ed un fatto storico, anch’esso oggettivo perché è un fatto accaduto. Mediante inferenza sillogistica si arriva ad una conclusione. Esempio pratico della spiegazione che la Scuola dell’Esegesi dà relativamente al processo potrebbe essere: una norma giuridica che vieta la vendita di beni alterati nella sostanza e nella funzione, e la cui alterazione non è rilevabile attraverso un’ispezione ordinaria; la questio facti è la scoperta della vendita al Caffè Viennese di Bari Vecchia di un bevanda con acido fenico (alterazione non rilevabile con un’ispezione ordinaria); la conclusione è che vi è stata la violazione di una norma giuridica con la conseguenza della condanna di chi ha venduto un bene con queste caratteristiche.

La forma inferenziale del sillogismo giudiziale è rigorosa, se così non fosse si violerebbero i principi cardine del processo e cioè che il giudice non è legislatore, deve quindi applicare le leggi, senza nessuna dimensione creativa da parte sua; si violerebbe, inoltre, il principio basilare della certezza del diritto perché le norme hanno la funzione di essere applicate secondo un contenuto che non deve essere abbandonato alla discrezionalità e alla valutazione soggettiva di chi applica le norme. Questa forma di inferenza si potrebbe anche tradurre in quell’altra forma di inferenza (elaborata nel corso della Scuola Stoica del ‘300 a.C., immediatamente successiva alla Scuola aristotelica) del modus ponens  e del modus tollens. Il sillogismo analitico-formale di Aristotele, quello che la Scuola dell’Esegesi pone al centro del sillogismo giudiziale, ha la stessa forma  inferenziale di quello che gli stoici chiamavano modus ponens .

Il modus ponens traduce il sillogismo analitico formale di Aristotele. Si parte da un nesso tra una proposizione condizionale ed una proposizione conseguente e tra le due sussiste un nesso che si può tradurre in:

se c’è A ci deve essere β è una proposizione possibile solo se vi è un nesso necessario tra α e β. Considerando la proposizione principale di Kelsen: “tutti i ladri devono essere puniti” se c’è un ladro ci deve essere una punizione, allo stesso modo se AX I— β; cioè che c’è stato xA, un furto di cui autore è Schulze, dunque la βconclusione è β, la punizione per Schulze.

Questa forma di inferenza del modus ponens traduce la forma di inferenza del sillogismo analitico-formale, se c’è un nesso tra α e β ed è un nesso necessario, tutti gli uomini sono mortali e l’essere uomo implica l’essere mortale dove α indica l’essere uomo di Socrate, β indica l’essere mortale, allora la conclusione è l’essere mortale di Socrate.

Gli stoici  hanno aggiunto a questa forma di inferenza del modus ponens la forma di inferenza del modus tollens la differenza tra queste due forme di inferenza è che nel modus tollens si nega l’antecedente. La nostra proposizione è sempre se α I— β, ma cosa succede se non α? 
Quindi cosa succede se Schulze non è un ladro, ovvero se Socrate non è un uomo? 
La proposizione diventa:che Schulze non può essere punito.

Queste forme traducono l’articolazione del sillogismo giudiziale, ma traducono anche l’attività processuale tra cui rientra l’attività probatoria. Esempio pratico: “Tutte le volte che viene un estraneo a casa mia il cane abbaia” succede che viene rubato il cavallo tenuto nella stalla, ma quel giorno il cane non ha abbaiato, conseguenza è che sicuramente “Chi ha rubato il cavallo non era un estraneo”.

Quali sono le implicazioni che non sono presenti nella logica di questo sillogismo analitico-formale? Quali sono i limiti? Cosa non tiene sufficientemente in considerazione la Scuola dell’Esegesi? Come visto la teoria parte dal considerare sicuramente vere le premesse e, quindi, sicuramente vera sarà la conclusione. Quindi non prende in considerazione il fatto che le premesse potrebbero non essere sicuramente vere. La forma inferenziale del sillogismo ha validità anche se le premesse sono qualitativamente diverse da quelle che la Scuola assume come sicuramente vere. Esempio:

“Tutti gli uomini sono lupi”   Premessa maggiore
“Socrate è un uomo”          Premessa minore
">“Socrate è un lupo”            Conclusione

La premessa maggiore sembrerebbe sicuramente falsa, ma in realtà Hobbes sosteneva che ogni uomo è un lupo per l’altro uomo “homo homini lupus”, quindi questa proposizione finisce per essere vera per alcuni e falsa per altri; quindi premessa possibilmente vera.
Questa forma inferenziale non ha perso nulla del suo rigore, giacché la conclusione risulta collegata alle due premesse, fermo restando il problema della verità delle due premesse. 
Altro limite del sillogismo della Scuola dell’Esegesi è dato dal fatto che possono esserci tre proposizioni tutte vere, ma che non rispettano la forma inferenziale del sillogismo, perché non sono l’una la conclusione dell’altra Esempio:

“Ogni corpo è esteso” : proposizione assolutamente vera, giudizio analitico secondo Kant 
“Ogni scapolo è un non sposato”: proposizione assolutamente vera
“Tutto ciò che si muove è mosso da altro”: proposizione di Tommaso d’Aquino per dimostrare l’esistenza di Dio . Queste tre proposizioni sono tutte vere, ma non sono il contenuto di una forma inferenziale che è il sillogismo. Dunque prima considerazione: potremmo avere una forma inferenziale sillogistica valida anche se le proposizioni non sono sicuramente vere;
seconda considerazione: non per il solo fatto che le proposizioni siano vere entrano in una forma inferenziale di tipo sillogistico.

La prima considerazione è anche il problema che pone il sillogismo detto retorico-dialettico sostenuto soprattutto dalla nuova retorica di Chaϊm Perelman. Il sillogismo giudiziale non è solo quello che parte da proposizioni sicuramente vere, il discorso del giudice quando dice “tutti i ladri devono essere puniti” è, secondo Perelman, un discorso che può essere vero per alcuni e falso per altri. Pertanto il giudice sia quando dice qual è il contenuto della norma generale, sia quando dice cosa è realmente accaduto produce proposizioni che non necessariamente sono vere, ma sono vere per alcuni e false per altri. Somiglia al discorso che fa il prete quando pronuncia l’omelia, le sue parole sono vere per l’assemblea che lo ascolta, ma se quelle stesse parole fossero ascoltate da un’altra assemblea ( esempio un’assemblea di filosofi scettici) quelle parole, sino ad allora vere, sono messe in dubbio. Ciò vale non solo per le parole del prete, ma anche per altri casi . Quindi le proposizioni del giudice non sono paragonabili, ad esempio, al discorso di un allievo di Pitagora quando parla di un quadrato e della sua area costruita sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo relativamente ai quadrati costruiti sui cateti in quel caso non ci sarà bisogno di un giudice per la conclusione di quel teorema.

Nel caso invece, dell’attività giudiziale il discorso del giudice sembra più essere un discorso retorico, un discorso di cui alcuni sostengono la brevità altri no. Il discorso del magistrato non è paragonabile al discorso formale che è molto meno univoco rispetto al primo (quello del magistrato). Il discorso del magistrato è un po’ diverso. Perelman fa degli esempi clamorosi; es. pratico:secondo la costituzione belga del 1831 all’art. 97 si dice che la corte dei conti deve motivare le sue sentenze e le deve pronunciare in una seduta pubblica. Perelman però rileva che fino al 1956 non ha mai pronunciato le sue sentenze pubblicamente eppure la corte di cassazione non le ha mai cassate. Questo è quello che si chiama diritto vivente ed è questo che succede nel processo: il fulcro è nella certezza del diritto che risiede nella codificazione. 
Il modello analitico-formale della scuola dell’esegesi spiega bene che cosa succede in tutti quei processi che prevedono un giudizio formulato da una giuria, senza motivazione, dove la sentenza è un voto di maggioranza sena una motivazione. Il modello retorico-dialettico è quel modello che ritiene che la forma inferenziale sillogistica del processo giudiziale ha come peculiarità delle premesse che non sono sicuramente vere e dunque anche la conclusione è non sicuramente vera, questo perché la conclusione è molto condizionata dalla qualità di verità delle premesse. In questo modello le premesse sono possibilmente vere e dunque anche possibilmente false e di conseguenza anche la conclusione può essere possibilmente vera o possibilmente falsa.

Il modello fuzzy, che si è sviluppato con la logica fuzzy, afferma l’esistenza di proposizioni che non sono né sicuramente vere e dunque sicuramente false, né possibilmente vere e dunque possibilmente false, ma ci sono delle proposizioni che sono soltanto in parte vere e in parte false. Es. pratico: quando nel processo si rileva una motivazione insufficiente (che non è assenza di motivazione), la corte di cassazione rileva che la motivazione è in parte vera e in parte falsa e quindi riprende tale motivazione per completare la verità che la motivazione è chiamata a raggiungere. Questo fenomeno tiene conto di una forma inferenziale dove le premesse non sono né sicuramente vere né sicuramente false, né possibilmente vere né possibilmente false, ma sono in parte vere e in parte no.    

Quando si pensa al nostro sistema penale, soprattutto in riferimento alla sanzione, ci si trova di fronte una sanzione che non produce un risultato fisso. Ci sono nei nostri ordinamenti delle sanzioni che sono pensate secondo una scala di gradazione alla quale il magistrato deve associare una particolare sanzione al caso particolare distinguendo altri casi. Se ciò si dovesse tradurre nel modus ponens noi non troveremmo necessariamente che 
α    I—     βche a deve essere b, ma che α    I—   βββ3  β4, a deve essere una serie di conseguenze diverse.

Sicché dire che a è b in un sistema di questo tipo, un sistema che si costruisce su una scala di valori diversi relativamente alla sanzione, è in parte vero ma anche in parte falso. Quindi la logica fuzzy applicata al processo ci propone un terzo modello dell’inteferenza giudiziale, un modello nel quale le proposizioni utili non sono sicuramente vere o sicuramente false, non sono possibilmente vere o possibilmente false, ma sono soltanto in parte vere e in parte false. 
Questo è quello che dovete sapere, è sufficiente per oggi.

 

è una sorta di limite logico entro cui riflettere perché ci troviamo di fronte alla vera questione filosofica del processo, ed evidenzia la struttura del processo e i limiti logici entro cui il giurista deve operare se vuole far parte del processo giuridico e non di altro, alla filosofia interessano solo i fatti. C’era una favola di Fedro “Lupus et Agnus” che iniziava dicendo “Superior stabat lupus” ed il cui senso era quello di far capire che il lupo era tale perché ubicato sopra, ma questa topica non è solo luogo fisico, è anche metafisico, giuridico, spirituale, è una sorta di status.

In particolare la Scuola dell’Esegesi, questa fa riferimento alla certezza del diritto, a norme che trovano un’espressione chiara, sì da poter assicurare anche un giudizio certo del giudice, una giustizia automatizzata. Questa scuola ha teorizzato e presentato questo modello della giuridicità come concentrato intorno all’opera della codificazione Napoleonica come certezza del diritto.

“Omne quod movetur ab alium movetur” ciò porterà a sostenere che ci deve essere una causa prima che non è mossa da altro ed è ciò che chiamiamo Dio.

La “Somma teologica” di S. Tommaso d’Aquino sono ancora oggi fonte di un aperto dibattito

 

Teoria dell'argomentazione giuridica

3°Lezione del 14.03.08

Abbiamo toccato due punti estremi in questi primi passi che abbiamo fatto emblematicamente nello  spazio logico della validità della sentenza : da una parte si ha una sentenza che fonda se stessa su un diritto non legale ma sopralegale, dall’altra la teoria di Kelsen

Riassumiamo brevemente quanto detto nelle precedenti lezioni. Repetita juvant. Pensate a tutta la giurisprudenza tedesca della Germania post-nazista, non avremmo forse potuto immaginare quel principio di legalità che sembra essere un principio al quale ci riferiamo continuamente  per potere pensare come unica condizione possibile la  giuridicità, il rispetto delle leggi  ci ponesse davanti a una vicenda storica della giurisprudenza così clamorosa. Quindi la domanda sulla condizione di validità delle leggi che il giudice applica nella Germania post-nazista, post- comunista , le sentenze dei tribunali amministrativi e del tribunale delle Corti Costituzionali dicono che certe leggi , quelle del terzo Reich, non avevano nessuna validità giuridica. Con questo principio questi tribunali producono sentenze di colpevolezza, che sanzionano non perché si invocano norme in diritto penale  con efficacia retroattiva (non c’è bisogno di scomodare quel principio altrettanto forte e inviolabile come il principio della non retroattività delle leggi penali), ma in virtù  del principio che quelle leggi non avevano validità ex tunc. È  importante questo passaggio della giurisprudenza e non stiamo parlando di un momento secondario della vita e della  storia, del diritto del’900 ma stiamo parlando di in momento cruciale della storia del  900, se volete dell’umanità.

“Come fai a sottovalutare questa possibilità , noi che vogliamo capire fino in fondo cosa conta  la validità di una sentenza?” Questo è un fenomeno, il metodo fenomenologico ci permette di capire come stanno le cose. Ursel quando presenta la fenomenologia del ‘900  definisce quest’ultima come “andare verso le cose stesse” , questo è un fenomeno ineludibile, un estremo che ci porta alla  reicht uber- gesetzlich (diritto sopra legale) e che ci fa capire quel fenomeno costituito dalle tante sentenze pronunciate soprattutto in Germania  ma anche altrove. Ci occuperemo di fenomeni che hanno contraddistinto la cultura tedesca del ‘900 che ad un certo punto si è inabissata “in to that darkness”, nel buio dell’olocausto. 

Quindi abbiamo da una parte questo estremo reicht uber- gesetzlich e dall’altra part vi è Kelsen  che dice “ ma se un tribunale assume come norma generale Tutti i ladri devono essere puniti, accerta che Schulze è un ladro e poi il tribunale produce la sentenza che Schulse non deve essere punito questa è una sentenza valida?” 
Questo è un problema. Secondo Kelsen non è necessario discutere, essa è una sentenza valida , non è che il tribunale competente se produce una sentenza con qualche problema di motivazione è meno competente , rimane un  tribunale competente.  Ma se vediamo la storia dei processi di Italia , la funzione che hanno avuto gli altri gradi del processo, dall’appello alla Cassazione, sappiamo bene che hanno avuto molte volte una funzione storico-politica, di  affossare sentenze ben costruite. Nonostante ciò l’esistenza di vari gradi di giudizi avrebbe una funzione di garanzia, di contribuire a costruire le sentenze , ma io direi  storicamente perché per chi conosce la storia di certi processi e soprattutto della magistratura della Cassazione si sa bene che la funzione storica degli altri gradi del processo non è tranquillizzante.

In queste condizioni quella sentenza è valida? Kelsen non ha difficoltà a dire che essa è valida  e qui ci troviamo dinanzi a un punto : c’era una legge che doveva fare i conti con un  reicht uber- gesetzlich ma sembrerebbe, se uno vuole parafrasare, che c’è una legge che deve fare i conti con un  reicht che produce effetti reali- Schulse viene assolto, lo vediamo davanti a noi pur sapendo che è un ladro che tutti conoscono, quindi gli effetti li sentiamo, ecco perché si potrebbe pensare che c’è un reicht , anche qui, unter-gesetzlich (sottolegale)- neologismo in lingua tedesca. Questi  sono i due estremi che bisogna tener presenti:

                                                     VALIDITA’ DEL PROCESSO 

REICHT                                                                                                 REICHT
UBER – GESETZLICH                                                             UNTER-GESETZLICH

Questo fenomeno della validità della sentenza, dal punto di vista logico, si muove all’interno di due estremi:

  • da una parte l’estremo Reicht Uber (sopra) Gesetzlich (legge) che è il diritto sopralegale che è al centro della giurisprudenza tedesca , reicht significa diritto, qui la nozione di diritto ci serve per distinguerla dalla legge .Quando  parliamo di diritto possiamo pensare (ed è quello che stiamo cercando di sostenere) ad un diritto che non coincide con la legge scritta , sicché da una parte c’è una legge che dice ciò che dice, ma afondare la sentenza  non c’è la legge scritta ma c’è questo diritto che si distingue dalla legge scritta .

Il diritto sopralegale è un fenomeno che ci conferma una sorta di ontologia minima di cosa   è il diritto, che ci ha portato a dire che l’ordine o la borsa o la vita non è un ordine giuridico. Se il legislatore dice “la norma apicale dell’ordinamento giuridico è o la borsa o la vita”, noi ci poniamo la questione “ fino a che punto devo obbedire questa legge,  questa è una legge ? Questo non lo chiamerei un ordine giuridico.
Ecco da dove nasce il problema della distinzione tra reicht gesetzlich e il problema della validità della sentenza  quando si fonda su un Reicht Uber –Gesetzlich. Quindi da una parte abbiamo questo estremo  che va verso l’alto  e dall’altra parte c’è un estremo che ci porta in basso, il Reicht Untergesetzlich

  • Reicht  Unter – Gesetzlich. C’è quella sentenza del magistrato che dice che nonostante che la premessa maggiore sia espressione di quella norma generale “ tutti i ladri devono essere puniti, il tribunale accerta che Schulze è un ladro”, la sentenza dice “che Schulze deve essere assolto”, si ha quindi un Reicht  Unter-Gesetzlich (questi concetti, specie questo versante è stato subito approfondito in Germania dopo la tragedia del terzo reicht, tutti i problemi che si sono posti per la magistratura alla fine della seconda guerra mondiale e Gustave Radbruch, citato nelle sentenze della magistratura tedesca, propone un articolo nel ’46 in una Gazzetta dei giuristi intitolato “Gesetzlich un-reicht”, il torto legale, che è impensabile rispetto ad un concetto di giustizia legale).

Nella modernità , nel positivismo giuridico si è fatta strada un concetto ritenuto insuperabile di giustizia che è quello di giustizia legale, cioè la giustizia è soltanto quella che produce la norma . 
Si è nella modernità sperimentato l’impossibilità di definire oggettivamente che cosa sia la giustizia, in modo da rendere oggettivo come unico concetto di giustizia quello legale .
Di qui Gustave Radbruch con l’uso di un paradosso sente di introdurre il torto legale reso necessario dalla storia dell’umanità con la quale noi dobbiamo fare i conti ( non possiamo vivere astrattamente rispetto a quello che è accaduto nel cuore del ‘900). Non si può fare a meno di perdere di vista questa esperienza storica, se non la si perde si arriva a questa conseguenza rilevante per la scienza giuridica , Radbruch dice “badate c’è un torto legale”, il titolo dell’articolo è proprio questo Gesetz un-recht. 
Non è presente in Radbruch, mentre è presente in Kelsen, l’idea che c’e anche un reicht non solo uber–gesetzlich ma traduco un concetto di Kelsen  che però lui non usa, l’esempio di Kelsen è quello che porta al sillogismo giudiziario, e quindi che porta all’assoluzione di Schulze  dove si farebbe strada un concetto di diritto che io chiamerei (per dialogare con il concetto di diritto di Radbruch) unter (sotto)- gesetzlich, nel senso che quella sentenza di assoluzione lo vedo come un diritto che sta sotto i piedi in quanto è il prodotto di un arbitrio , di un’assenza di logica nel processo.  
Qui si deroga alla legge non per fare un’opera che noi ricondurremmo a una visione celestiale  del diritto, qui si deroga alla legge (dato che di fatto è questo che accade, il tribunale competente non tiene conto della legge vigente almeno per gli effetti giacché la assume come premessa ma non ne tiene conto per gli effetti e quindi produce un diritto che ha una dimensione non metafisica ma direi molto fisica) .
Noi ci muoviamo tra gli estremi suddetti , la cui delineazione ci ha consentito di avvicinarci ad un problema scientifico rilevante: che cosa è la validità giuridica di una sentenza. 
In questo modo ci siamo avvicinati anche alla questione esistenziale legata all’esperienza giuridica, ad un ruolo che ha il diritto rispetto all’esistenza dell’uomo che ha bisogno di aprirsi alla felicità, un diritto che non abbia questa funzione (lo dico per brevi intuizioni) è pressoché inutile, di un diritto che non abbia la funzione di assicurarci un po’ di felicità, un diritto che faccia di tutto per negare l’esistenza dell’uomo .

Come già visto vi sono tre modelli del sillogismo giudiziario, sintetizzando molto, attraverso le linee generali, quella che è la teoria classica della argomentazione giuridica.  Qual è il presupposto di questi tre modelli?
Il presupposto è che il ragionamento giudiziale , l’argomentazione giudiziale , il processo giudiziale ripete una forma inferenziale che è quella del sillogismo classico  teorizzato da Aristotele nella sua opera , nel suo “Organon”  che è caratterizzato da due premesse ed una conclusione. Secondo la teoria dell’argomentazione giuridica, quella tradizionale, il ragionamento giudiziale, il processo ripete questa forma inferenziale,stabilisce due premesse per giungere ad una conclusione, le due premesse si identificano in quello che si chiama in senso tecnico questio iuris, cioè si parte affermando quella che è la norma generale. Nel sillogismo di Kelsen ,  affrontato per porre una delle questioni sulla validità della sentenza , la premessa maggiore sarebbe “tutti i ladri devono essere puniti”, che è la premessa che identifica la norma generale vigente.  
La premessa minore , invece,coincide con l’asserzione che identifica quello che i giuristi chiamano questio facti , cioè l’asserzione relativamente all’evento storico che è accaduto. Da queste due premesse-nel sillogismo di Kelsen si ha che  Schulze è un ladro, e l’evento accaduto è che Schulze abbia rubato- da qui deriva la conclusione che è il contenuto della sentenza.

Quali sono le questioni che voglio sottolineare rispetto a questi tre modelli ?
Mi sembra che una prima osservazione è l’esaustività di ciascuno di questi modelli rispetto al problema che pongo. Ciascuno di questi modelli intendono dire come stanno le cose rispetto al sillogismo giudiziario. La mia OSSERVAZIONE, fermo restando il presupposto implicito in questi tre modelli è che il ragionamento giudiziale ripete la forma inferenziale del sillogismo aristotelico, classico. Ma con quale differenza?

Il sillogismo classico è una forma inferenziale che si può realizzare anche attraverso premesse che hanno un valore diverso rispetto alla verità che traducono, cioè ci possono essere premesse che sono vere , premesse possibilmente vere o possibilmente false, e  premesse non del tutto vere non del tutto false. Ma arrivati a questo aspetto che caratterizza la verità che includono le premesse ,la forma inferenziale è sempre quella del sillogismo classico che è un presupposto fondamentale di questi tre modelli. Confermando questo presupposto, la prima osservazione è questa :

Questi tre modelli giudiziari sono soltanto congiuntamente una condizione necessaria e sufficiente per comprendere il sillogismo. Se presi separatamente sono semmai una condizione necessaria ma non sufficiente per comprendere il sillogismo giudiziario. In altri termini , abbiamo scoperto che ci sono fenomeni giuridici diversi dove per alcuni vale un modello , per altri ne vale un altro. Ecco perché dico se dovessi confermare questo presupposto logico , questi tre modelli messi insieme riescono esaustivamente a spiegare il fenomeno del sillogismo giudiziario, invece, presi separatamente riuscirebbero a spiegare alcuni fenomeni e non altri.
Una  osservazione che parte dal confermare il presupposto interno logico che c’è in questi tre modelli, e cioè che il sillogismo giudiziario ha una forma inferenziale che è quella del sillogismo classico: due premesse ed una conclusione. Sia delle premesse che della conclusione si può affermare la verità , naturalmente se le premesse producono un vero che sicuramente è tale , se le premesse sono sicuramente vere , esse produrranno una conclusione sicuramente vera . Se le premesse sono possibilmente vere porteranno ad una conclusione possibilmente vera. Se  le premesse dicono la verità falsa anche la conclusione sarà falsa .       

L’altra OSSERVAZIONE contesta il presupposto e cioè che la forma inferenziale sia quella del sillogismo classico . Su quali basi questa mia osservazione finisce per contestare quello che sembrava essere un presupposto solido, logico di questi tre modelli? Perché , in altri termini, la forma inferenziale del processo non  mi sembra che sia quella del sillogismo classico? Vorrei partire da una domanda: secondo voi delle norme possiamo dire che sono vere o false o delle norme diciamo se sono valide o invalide?  L’art 544 terche punisce il maltrattamento degli animali è una norma valida , è una norma che esiste nell’ordinamento giuridico. Nel sillogismo giudiziale , noi abbiamo  asserzioni e proposizioni diverse da proposizioni che sono norme?

Prendiamo la sentenza, che chiamiamo la conclusione del sillogismo giudiziale (tutti i ladri devono essere puniti- Schulze  è un ladro - Schulze non deve essere punito), essa è una norma o no? Mi sembra che la conclusione del sillogismo giudiziale sia una norma .

Probabilmente, stando a quello che dice Kelsen, anche la premessa maggiore è una norma, non è una proposizione che descrive un fatto .

  • La premessa maggiore “ tutti i ladri devono essere puniti” è una norma o una proposizione? Questo potrebbe essere un problema. Cioè il giudice che assuma la norma generale, assume davvero la norma generale o il suo giudizio sulla norma generale? Insomma della premessa maggiore forse si potrebbe discutere , non è scontato che la premessa maggiore sia una norma , anzi alcune polemiche che affronteremo relativamente alla dimensione politica del processo stanno  nel fatto che  il giudice non assume nella sua purezza una norma , il giudice attraverso un’attività ermeneutica dice egli stesso quale è la norma generale vigente. Egli, quindi, produce non immediatamente la norma generale ma quello che è il giudizio sulla norma generale .

La premessa maggiore “tutti i ladri devono essere puniti” la possiamo discutere. Secondo Kelsen  essa è la norma generale , probabilmente ,osservo, non è la norma generale , ma il giudizio del giudice sulla norma generale .Non credo che il giudice quando cita la norma generale non la cita senza una sua  attività interpretativa .
In sostanza non è la premessa maggiore “tutti i ladri devono essere puniti” ma la proposizione del giudice secondo cui c’è una norma che dice “tutti i ladri devono essere puniti” . Questa è probabilmente un ‘asserzione di un fatto che si può dire che è vero o falso. Il giudice dice che è valida la norma 544 ter, l’art 544 ter è una proposizione di cui si può predicare la verità .

Non siamo distanti dalle premesse del sillogismo aristotelico. 
Laddove, invece, pensassimo, che la premessa maggiore non è una norma, allora si rafforzerebbe l’idea che stiamo utilizzando una proposizione di cui non è possibile predicare la verità o la falsità, sarebbe una norma, quindi non suscettibile di una valutazione suddetta. Ma in questo modo si  sostiene  che il sillogismo giudiziale non è la forma inferenziale del sillogismo classico. Posto eventualmente che la premessa maggiore sia la norma generale, potremmo dare per scontato una cosa a  cui Kelsen non ci pensa  e cioè che nella norma generale si assuma un’asserzione su una norma .

La norma  “tutti i ladri devono essere puniti” non è una norma , ma è l’asserzione del giudice “ è valida la norma tutti i ladri devono essere puniti”. È una asserzione sulla norma, di essa  si può dire che è vera o falsa. Il concetto di verità che stiamo adoperando è la corrispondenza tra una proposizione e il fatto. La proposizione “gli studenti dormono durante la lezione di teoria” è una proposizione vera se vi è la corrispondenza tra la proposizione e il fatto che essa descrive, se essa manca la proposizione è falsa. 
“ Tutti gli uomini sono mortali” è una proposizione vera per la corrispondenza suddetta. Delle norme non si può predicare il vero perché esse descrivono qualcosa , di esse si può dire solo se esistono o meno nell’ordinamento giuridico, se sono state prodotte da un ‘organo di produzione delle norme . Allora la premessa maggiore nel nostro sillogismo giudiziario ci permette una piccola discussione, sul fatto se è o non è una norma?, la proposizione che assume il tribunale quando dice “tutti i ladri devono essere puniti” è una norma? Vedremo che il giudice, attraverso una sua attività ermeneutica, traduce la norma attraverso un suo giudizio sull’esistenza di un significato piuttosto che un altro della norma. Sulla premessa maggiore stiamo discutendo, forse arriveremo alla conclusione che la premessa maggiore non è una norma  ma un giudizio su una norma.

La proposizione “tutti i ladri devono essere puniti” corrisponde in pratica al giudizio del giudice secondo cui esiste la norma x che dice “tutti i ladri devono essere puniti” e questa diventa  un’ asserzione di cui si può predicare il vero o il falso. Kelsen  dice che un tribunale competente che assume come norma generale  la norma “tutti i ladri devono essere puniti”, la premessa maggiore del sillogismo giudiziale è una norma giuridica. Se  è una norma , e non una proposizione che descrive qualcosa, ma il prodotto di un potere legislativo che presuppone una norma valida nell’ordinamento giuridico, non possiamo predicare il vero o falso ma la validità o meno. Una proposizione per essere vera deve corrispondere ad uno stato di cose che descrive, questo stato di cose è indipendente dalla proposizione , sicché  se io dico “in questa lezione non c’è nessuno”, indipendentemente dalla mia volontà, questa proposizione si falsifica rispetto al fatto . Nel caso della validità basta che ci sia un potere costitutivo.
Quindi la premessa maggiore la possiamo discutere , con quali conseguenze?

  • Se fosse una norma generale, la premessa maggiore sarebbe una proposizione impredicabile di verità o falsità. I modelli classici, invece, trattano la premessa maggiore   come una proposizione di cui non si può predicare una verità assoluta o possibile , oppure in parte sì e in parte no.
  •  Se fosse un’asserzione sulla norma, se l’enunciato “tutti i ladri devono essere puniti” fosse l’enunciato che è valida la norma “tutti i ladri devono essere puniti”, questa sarebbe un’asserzione su un fatto di cui sarebbe predicabile la verità o meno (corrispondenza o meno tra l’asserzione e il fatto normativo.)
    • La premessa minore è una proposizione predicabile o meno di verità?

Sì, perché è un asserzione relativamente ad un fatto, l’asserzione fatta da Kelsen “Schulze è un ladro” è predicabile di vero o di falso .

  • La conclusione : il magistrato che dice “Schulze deve essere punito”  è una norma o no? In realtà, il magistrato sta prescrivendo, sta costituendo il dovere che prima non c’era, prima delle parole non c’era la sentenza che sorge con le parole suddette  ed è il contenuto della norma individuale che prescrive una punizione per Schulze .

Se le due premesse sono predicabili di vero o falso, ammesso che lo siano, la conclusione è una proposizione che è impredicabile di verità o falsità ma di cui si può predicare la validità o meno, infatti ci chiediamo se la sentenza (dunque la conclusione) è valida o meno. Per essere valida, dice Kelsen, deve essere prodotta da un atto giuridico qualificato. L’osservazione discute ciò che è implicito in quei tre modelli della teoria tradizionale relativamente al sillogismo giudiziario.

Che cosa dice di quei tre modelli? Che se quei tre modelli avessero la forma inferenziale del sillogismo classico il sillogismo giudiziario dovrebbe giungere a proposizioni tutte predicabili di vero o di falso , nelsillogismo giudiziale noi scopriamo , invece, che al limite ci sono due proposizioni, le premesse, predicabili di vero o falso e c’è una proposizione , la conclusione, che è una norma, impredicabile di vero o falso. Se la conclusione fosse predicabile di vero o falso , la verità o la falsità di quella proposizione non dipenderebbe  dalla volontà di qualcuno.  Se un allievo di Aristotele, partendo dalle premesse “tutti gli uomini sono mortali”, dicesse “Socrate è un uomo, ma non è mortale” tutti direbbero che quella proposizione è sempre falsa, il fatto che tutto confermi la non mortalità non va a modificare la falsità di quella proposizione rispetto alle premesse. Invece nel sillogismo giudiziale le cose vanno diversamente, il tribunale che dice “Schulze non deve essere punito” , quella proposizione corrisponde ad una norma valida e il tribunale competente non è meno competente, nessuno direbbe  ciò, qui diciamo che quel tribunale  competente è  il tribunale competente  e quella norma è valida perché le proposizioni del sillogismo giudiziale non hanno un unico predicato logico, il vero o il falso, ma hanno un altro predicato , che è quello del valido e del invalido ed è il predicato delle norme e la conclusione del sillogismo giudiziale è una norma .

Conclusioni:

  • Una prima osservazione parte dal presupposto implicito di quei tre modelli, cioè il sillogismo giudiziale ripete la forma inferenziale del sillogismo classico. La prima osservazione è che i tre modelli solo congiuntamente sono condizione   necessaria e sufficiente di  spiegazione del processo giuridico.
  • La seconda osservazione è radicale , contesta il presupposto logico ed implicito ai tre modelli e dice che il sillogismo giudiziale non ha la forma inferenziale del sillogismo classico perché nella forma inferenziale del sillogismo classico si parla di proposizioni di cui puoi predicare il vero o il falso ed è per questo che la conclusione non è soggetta alla disponibilità di una decisione,  perché la verità in una proposizione consiste nella corrispondenza della proposizione ad un fatto e il fatto o c’è o non c’è, non dipende dalla volontà del soggetto che produce quella proposizione . Invece nel sillogismo giudiziale c’è almeno una proposizione, questo caso è quello che diciamo essere la conclusione del sillogismo giudiziale.

 

Potremo discutere sulla premessa maggiore, voi sapete che possiamo usare un enunciato che ha la stessa semantica ma una funzione pragmatica diversa, ad esempio l’enunciato :
È vietato fumare
Soll –norm            Soll-satz

Con questo enunciato, usando le stesse parole , io posso ottenere effetti diversi o comunque avere da questo enunciato funzioni pragmatiche diverse .

  • Io posso dire “è vietato fumare” per dire che queste sono le parole con cui il legislatore dice “è vietato fumare”, il legislatore quando pone questa norma usa la frase “è vietato fumare”.

In questo caso la funzione pragmatica dell’enunciato è quella di essere la norma prodotta dal legislatore , è il caso questo di una soll- norm , è la norma che esprime un divieto, soll è il dovere che è il contenuto della norma .

Con le stesse parole, senza alcuna variazione, assumendo l’enunciato con la stessa valenza semantica , esso può svolgere una funzione pragmatica diversa , ad esempio con tali parole posso riferirmi a quello che dice il giurista quando vuole dare una notizia e la notizia è che nel nostro ordinamento c’è la norma “è vietato fumare”.  Per dare questa notizia , io dico “guardate che è vietato fumare”, uso sempre lo stesso enunciato ma con funzioni pragmatiche diverse, è una soll- satz dove per sats si intende un’asserzione su qualcosa .
Usato come soll-satz , questo enunciato serve a dire che  esiste la norma “è vietato fumare”. Si hanno, dunque, funzioni pragmatiche diverse.

Perché è importante questa distinzione ?
Perché l’equivoco in cui si cade quando si parla del sillogismo giudiziale è che non si comprende che le parole usate in questo modo possono avere funzioni pragmatiche diverse, sicché se io parto dicendo nel sillogismo giudiziale la premessa maggiore dice “tutti i ladri devono essere puniti” non si considera che quell’enunciato normativo può avere funzioni pragmatiche diverse: quella di identificare l’enunciato una norma generale oppure un enunciato sulla norma. Con quelle parole io dico esiste la norma “tutti i ladri devono essere puniti”. La distinzione è importante perché:

  • Se è una norma è una proposizione impredicabile di verità o falsità, ma predicabile di validità
  • se invece è un ‘asserzione su una norma è una proposizione predicabile di verità o falsità. Se l’enunciato significa che esiste nel nostro ordinamento la norma è “ vietato rubare”, l’altro potrebbe dire questo tuo enunciato è falso perché in realtà nel nostro ordinamento c’è una norma diversa .
  • ma se fosse una norma , se fossero le parole del legislatore quando dice  “ è vietato rubare”, queste parole non stanno descrivendo qualche cosa ma stanno costituendo un qualche cosa  e ciò che fonda l’esistenza della norma è la volontà , la decisione di chi produce quella norma.

In ultima analisi nel sillogismo giudiziale forse la premessa maggiore non è una norma , è dunque è una proposizione predicabile di verità o falsità. In realtà già dicendo questo non tengo conto di quello che è il pensiero tradizionale , quello che identifica nella premessa maggiore del sillogismo giudiziale la norma generale. E se fosse una norma generale la prima osservazione sarebbe “ma se è una norma , quella proposizione non è predicabile di vero o falso”. Ma ammettiamo che la premessa maggiore sia una proposizione predicabile di vero o falso perché è una sall-satz, un enunciato su di una norma, la premessa minore è sicuramente un’asserzione su di un fatto, con la  conclusione- le parole Schulze deve essere o non deve essere punito - però, non ci troviamo dinnanzi a una possibilità di  funzioni pragmatiche diverse  che non sia la funzione pragmatica di una norma , qui è il magistrato che sta descrivendo un effetto giuridico rispetto alla posizione di Schulze, quelle parole sono le parole del legislatore che prescrive qualche cosa, le parole che costituiscono il contenuto di una soll-norm  e questa conclusione è impredicabile di vero o falso , predicabile semmai di valido o invalido.
La complessità sta nel fatto che ci troviamo in una forma inferenziale che ci potrebbe suggerire che forse non è una forma inferenziale perché siccome la proposizione è predicabile di valido o invalido, la conclusione è nella disponibilità del soggetto che produce quella proposizione. La sua validità dipende dalla decisione di chi produce quella decisione e non attende la corrispondenza tra quella proposizione e quel fatto .

Quali sono le ulteriori conseguenze che io traggo? 
La tesi di Kelsen è una tesi che in parte si può confermare perché Kelsen ha ragione quando dice , “badate che le proposizioni che ricorrono nel sillogismo giudiziale non hanno lo stesso predicato logico e quindi la conclusione può determinare degli effetti che sono contraddittori rispetto alle premesse”. C’è una questione che io osserverei: Kelsen fa derivare da questa tesi una conseguenza in virtù della quale se le cose stanno così, non c’è una logica nel processo. Prima dicevamo il sillogismo giudiziale non è una forma inferenziale, perché se la conclusione ha un predicato diverso dal vero o del falso, la conclusione potrebbe determinare quelle conseguenze che abbiamo visto con l’esempio di Kelsen cioè la conclusione che addirittura va a contraddire le premesse stesse, si da poter dire che probabilmente non c’è una logica  nel processo , che il processo alla fine è nella disponibilità  di una decisione, che è quella del giurista che produce la sentenza.

La questione che io solleverei è: “è vero nel sillogismo giudiziale ci sono proposizioni che hanno predicati logici che non sono omogenei, ci sono da una parte tutti i predicati del vero o del falso e dall’altra parte c’è il predicato del valido o dell’invalido, ma bisogna vedere se così come c’è una logica del vero , c’è anche una logica del valido. Se l’esistenza di qualche cosa non abbia anch’essa una logica. Le condizioni di validità di una sentenza sono davvero nella totale disponibilità della decisione del giurista , cioè il giurista può dire quello che vuole quando produce una sentenza oppure se la sentenza suppone una logica, la logica delle condizioni di validità di una norma? Perché c’è questa esigenza? 
Probabilmente, essa è legata ad un’ osservazione fatta quando abbiamo incominciato a svolgere un ontologia minima della giuridicità. Ci siamo detti ma davvero il diritto è il mero prodotto della volontà , davvero non c’è nel diritto un ontologia minima che corrisponderebbe sempre a questa ricerca di condizioni di esistenza che noi adesso associamo all’esistenza di una norma individuale? Davvero, in altri termini, è norma giuridica un qualsiasi enunciato normativo, anche l’enunciato che produce dentro di sé un contenuto  che noi abbiamo visto anche riconducibile ad ordini normativi che non hanno per noi nessun significato giuridico ?

La sentenza ha una sua logica, quale è? Questa domanda è l’obbiettivo di tutto il corso di lezioni che affronteremo. Kelsen arriva a un esito totalmente irrazionalistico , da questa analisi del sillogismo giudiziale arriva alla conclusione che la sentenza è quanto prodotto dalla decisione , è il prodotto di qualsiasi decisione , non c’è un limite a tale decisione. La domanda mia è: e se anche la validità di una norma ha una sua logica che suppone delle condizioni che non dipendono e non sono nella disponibilità esclusiva del giurista? D’altronde l’esperienza storica che l’umanità ha fatto, specie nel ‘900, ha portato ad una conclusione che non possiamo dimenticare e cioè quando l’umanità si è ostinata ad affermare che la giuridicità è il mero prodotto della volontà del legislatore (con riferimento soprattutto ai sistemi totalitari del ‘900) non è che in realtà semmai c’è un ontologia della giuridicità questa ontologia è stata alterata, cioè il diritto continua ad essere, ad esempio, qualcosa di diverso dall’ordine “ o la borsa o la vita” . Quello che è successo è che l’umanità probabilmente disconoscendo questa ontologia minima è andata incontro a questo buio della coscienza che poi è anche la sua infelicità. Il diritto è sempre lì, vedo questa umanità, questi omini che si danno da fare per non osservare questa logica minima della giuridicità, con quali effetti? La giuridicità sta sempre lì, integra , non subisce alcuna alterazione, sono gli omini che vivono quella condizione di infelicità per la loro coscienza.

Ritengo che Kelsen abbia ragione quando osserva che la conclusione può  agire nella direzione che contraddice le premesse. Non credo che abbia torto nel dire che la conclusione potrebbe avere un esito diverso da quello che potremo attenderci relativamente alla verità delle premesse. Da un punto di vista strettamente logico la tesi di Kelsen pone una questione reale, ineccepibile perché se si vede bene come stanno le cose il sillogismo giudiziale non ripete la forma inferenziale del sillogismo classico. Questa è la prima tesi di Kelsen, c’è almeno una proposizione che è impredicabile di verità o falsità, essa è il risultato di una decisione e non il risultato della corrispondenza tra l’assetto e il fatto che l’assetto descrive per tutte queste ragioni il sillogismo giudiziale non ripete la forma inferenziale del sillogismo classico).  L’altra tesi di Kelsen è che non c’è una logica del processo, cioè il sillogismo giudiziale non è una forma inferenziale , quindi il sillogismo giudiziale non è sovrapponibile al sillogismo classico (come la teoria dell’argomentazione sostiene, tutti quei tre modelli partono da questo presupposto logico – della sovrapponibilità)L’altra tesi è che forse il sillogismo giudiziale non è una forma inferenziale in senso stretto perché la forma inferenziale è quella che può produrre una sola conclusione rispetto a quelle premesse. E’ sicuramente una forma inferenziale il sillogismo che si presenta in questo modo “ Tutti il ladri sono mortali. Socrate è un uomo. Socrate  è mortale” 
Questa è una forma inferenziale perché la conclusione non può essere se non questa. Anche se ci si ostinasse a porre una conclusione diversa , sarebbe comunque una conclusione falsa . La conclusione decide la verità in questo sillogismo indipendentemente dalla volontà di chi asserisce quella proposizione .
Invece il sillogismo giudiziale sembra non essere una forma inferenziale , di qui la tesi di Kelsen che arriva al cosiddetto nichilismo ,  irrazionalismo giuridico e cioè  che il processo non ha una logica , esso fa leva sulla idoneità di alcuni atti qualificati di produzione di norme , e una volta che si è qualificato l’atto come atto competente a produrre norme (sarebbe l’atto del magistrato competente) , questo potrebbe produrre una sentenza anche opposta; proprio in questo è l’assenza di una logica, di una conseguenza inferenziale nel giudizio. Dire che basta che il potere sia qualificato da una norma di competenza può portare ad esiti che sono quelli per cui la sentenza può essere x ma anche la negazione di x ed in questo consistel’irrazionalismo giuridico applicato al processo. La domanda che pongo è: “davvero il processo non ha una logica come sostiene Kelsen? In altri termini, noi parliamo della validità della sentenza , essa non ha una logica? Perché voglio andare sino in fondo a questa questione? perché vive in me questa intuizione ontologica fondamentale che il diritto non è una qualsiasi cosa e che la tragedia dell’umanità del ‘900 è stata segnata, forse, dall’ equivoco sul significato di giuridicità.

Quali sono le conseguenze sul piano pratico se sosteniamo l’assenza di una logica della validità della norma giuridica ?” 
Le conseguenze sarebbero che il diritto potrebbe essere qualsiasi cosa , che esso non ha una sua ontologia di base ( il diritto non è qualcosa che sappiamo riconoscere distinguendo da altre cose, noi sappiamo distinguere una norma da un cavallo, un ordine giuridico da una norma delinquenziale. Se la validità giuridica non avesse nessuna logica e fosse il prodotto della decisione si tornerebbe a discutere  di questa ontologia di base). Questi sono i problemi che cercheremo di affrontare cercando di svolgere una possibile logica del processo .
Con quale metodo? Prima cosa non ci deve essere un solo metodo , ce ne devono essere diversi.

  • il primo è  l’estetica. I metodi hanno una loro teoreticità , cioè il metodo, prima ancora di essere applicato dice qualcosa sull’oggetto su cui sto indagato (naturalmente ciò si verifica se il metodo è corretto). Dunque se l’estetica è un metodo per comprendere il diritto  è perché il diritto è anche emozione, è pathos che non è che non entra nella esperienza giuridica . io sono convinto che i giuristi , in genere, prima di interrogarsi di quali siano le regole relativamente ad un fatto dinanzi a sé vive una sua emozione giuridica fondamentale e io vorrei svolgere una sorta di fenomenologia di questo pathos prima ancora di entrare nei tecnicismi del processo.

L’estetica come scienza delle emozioni giuridiche fondamentali, nonostante sia insolito per la scienza giuridica .

  • L’ altro metodo è la retorica con cui esploro quali sono le condizioni che rendono possibile , attraverso un indagine molto tecnica , la decisione giuridica. È la scienza della decisione giuridica.

 

  • Un terzo metodo possiamo chiamarlo metafisica, volto ad indagare se il processo ha dei principi, delle regole e se ogni atto giuridico ha delle regole- necessarie perché quella norma sia una norma giuridica e quella sentenza sia una sentenza giuridica- che non dipendono dalla nostra disponibilità , dalla volontà del soggetto che produce la sentenza.  Allora tenterò di individuare questa ragione delle condizioni universali e necessarie che rendono possibile un atto giuridico come la sentenza .

Per emozioni giuridiche fondamentali, non intendo il prodotto di una particolare impressione, noi abbiamo la percezione di certi valori giuridici fondamentali indipendentemente da una particolare riflessione semmai filosofica , ad es  io dico -con un pathos, con l’idea della forza quasi teoretica di certe emozione- “ tu mi devi rispetto “, questa pretesa morale – giuridica non credo che io la supporti sulla base di raffinate argomentazioni, corrisponde al contenuto di un’emozione giuridica  o morale fondamentale.
Ad es. dico “ non hai il diritto di offendermi”, questa affermazione di un diritto mi sembra che non abbia necessariamente un fondamento particolarmente sofisticato in particolari riflessioni filosofiche , è il frutto di un’emozione giuridica fondamentale,di un pathos che è la prima intuizione della giuridicità. Dico ad es. “ è giusto darti ciò che ti spetta” , “ è doveroso vivere onestamente”, anche queste frasi sono cariche di un‘intuizione giuridica fondamentale. Tutte queste proposizioni sono idealmente alcuni frammenti di una possibile fenomenologia delle emozioni giuridiche fondamentali  che io chiamo estetica.

Kant , nella “Critica della ragion  pura”, ritiene che non è un caso che a noi si riveli questo valore giuridico in modo così immediato, la sua considerazione è questa: ma davvero voi ritenete che la natura – intendiamo dire quest’ordine naturale di cui ne siamo parte – abbia pensato che rispetto a certi bisogni fondamentali, come sono quelli  che noi colleghiamo alla giuridicità e alla validità, abbia fatto di tutto per nascondere i valori coinvolti? Secondo Kant sono così importanti tali valori per la natura e per il nostro esistere che la natura ha fatto di tutto per svelarli immediatamente e rendere conoscibili anche ai fanciulli queste verità. Le emozioni giuridiche sono questa intuizione prima di parlare del valore giuridico, io condivido quello che dice Kant e cioè che sarebbe strano per la nostra natura che essa abbia fatto di tutto per nasconderci questo contenuto di valore decisivo per i nostri studi-

Ricordo alcune pagine dell’ontologia di Platone che ricorda che Socrate testimoniava di sentire una voce interna che in ceri momenti cruciali della sua esistenza gli diceva cosa era bene che non facesse (demoniun). Kant usa in modo ricorrente la parola dayskind , la parola fanciullo, lui parla se vi è una metafisica della legge morale, se ci sono dei principi primi di essa che vanno scoperti dalla ragione e che sono principi che governano la volontà dell’uomo e Kant insiste sulla dimensione creaturale della legge morale , cioè anche i bambini conoscono essa.
Ecco vi sono delle emozioni giuridiche particolari che non sono il prodotto di una riflessione ma sono il risultato di intuizioni del soggetto, queste entrano nella valutazione giuridica anche quando essa appartiene al processo.

Fonte: http://www.studiando.altervista.org/UNIVERITY/5%20anno/LEZIONI%201-%2012%20.ZIP

Sito web da visitare: http://www.studiando.altervista.org

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