Concorrenza

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Concorrenza

 

LA CONCORRENZA PERFETTA

Nonostante il termine “concorrenza perfetta” generi l’idea di uno scenario di competizione e rivalità estrema fra le imprese, in realtà in questa forma di mercato la rivalità fra i produttori è ridotta al minimo e le imprese operano paradossalmente in modo del tutto indipendente consapevoli di non poter alterare gli equilibri di un mercato più ampio e più forte.
La concorrenza perfetta si basa su quattro ipotesi piuttosto estreme e difficili a verificarsi nella realtà:

  • nelle forme di concorrenza perfetta è costante l’idea di un mercato con moltissimi consumatori in cui ciascuno di essi non ha potere contrattuale nei confronti dei produttori. In questo tipo di mercato vi è anche un gran numero di imprese che sanno di poter perdere i propri acquirenti se praticano un prezzo eccessivo e, viceversa di poter conquistare un numero maggiore praticando prezzi adeguatamente bassi. Tuttavia l’idea di un’ampia pluralità di soggetti è relativa, potendola verificare in un mercatino rionale così come nei grandi mercati internazionali dove, per prodotti come il caffè, il cacao, il grano i prezzi vengono stabiliti in modo ufficiale. Per cui ciascun grosso produttore sa di non poter applicare un prezzo maggiore, ed ogni grande acquirente sa di non poter ottenere prezzi più bassi à si comprende così l’assenza di rivalità e l’incapacità di influenzare il prezzo.
  • all’interno del mercato in concorrenza perfetta, tutti i prodotti sono omogenei dal punto di vista del consumatore, il che significa che egli percepisce la presenza nel mercato di sostituti perfetti prodotti dalle altre imprese e pertanto non sarà disposto a pagare per i due beni prezzi diversi. Non è però necessario che i beni siano esattamente uguali, ma è sufficiente che i consumatori non attribuiscano nessuna importanza alle eventuali differenze; allo stesso tempo non è necessario che i due beni siano differenti perché il produttore li consideri tali (uno stesso bene venduto in un negozio vicino casa o in cui c’è l’aria condizionata durante l’estate è preferito dal consumatore il quale potrebbe anche essere disposto a pagarlo di più). Si può perciò dire che in concorrenza perfetta si esclude qualsiasi forma di differenziazione percepibile ai consumatori, pertanto ciascuna impresa non può alterare il prezzo di mercato se vuole sperare di vendere una quantità positiva del proprio prodotto à l’impresa che assume questo comportamento è detta price taker.
  • la perfetta mobilità dei fattori fa sì che le imprese siano ugualmente efficienti ed implica il pareggiamento dei loro costi visto che due fattori simili dal punto di vista della produttività devono ricevere dalle imprese che li utilizzano remunerazioni simili.
  • l’ipotesi della conoscenza perfetta fa sì che i consumatori devono conoscere tutte le imprese che vendono il prodotto e che le caratteristiche  dei beni venduti da imprese differenti sono perfettamente equivalenti; le imprese a loro volta devono sapere essere consapevoli di trovarsi all’interno di un mercato con un gran numero di concorrenti in grado di vendere lo stesso prodotto e devono conoscere il prezzo prevalente sul mercato.

Il profitto di un’impresa è dato dalla differenza fra i  ricavi totali e costi totali. I ricavi sono invece dati dal prodotto tra il prezzo di vendita e la quantità venduta (in concorrenza perfetta il prezzo viene determinato esternamente all’impresa, è esogeno e non relazionato alla quantità offerta).
P = R-C
R = p x q
La differenza tra ricavi e costi contabili rappresenta il profitto contabile che tuttavia non fornisce un’idea esaustiva della reale convenienza a svolgere un’attività produttiva poiché non include i costi opportunità, cioè i mancati guadagni che l’imprenditore avrebbe potuto realizzare svolgendo la più lucrativa delle attività alternative à pertanto la reale convenienza è data dal profitto economico costituito dalla differenza tra ricavi e costi, includendo in questi anche i costi opportunità.
L’idea che l’impresa cerchi di massimizzare il proprio profitto è largamente accettata dalla teoria microeconomica ma non è esente da critiche dato che alcuni economisti ritengono che per cogliere la realtà siano più adatte altre ipotesi. Si può infatti supporre che obiettivo dell’impresa non sia la massimizzazione del profitto, ma accrescere il fatturato o le dimensioni in termini di numero di lavoratori e di capitale investito. Tali obiettivi non sono tuttavia incompatibili con la ricerca del massimo profitto soprattutto nel lungo periodo: così le imprese con profitti elevati accumulano risorse per nuovi investimenti e nei loro confronti le banche sono meglio disposte a concedere prestiti per finanziare la crescita dimensionale, mentre se realizza scarsi profitti è improbabile che riesca a fronteggiare a lungo la pressione concorrenziale dei rivali.
Inoltre nelle economie moderne esistono vaste aree in cui i soggetti perseguono scopi sostanzialmente differenti, come nel c.d. terzo settore del quale fanno parte i produttori “no-profit” spesso organizzati in forma cooperativa che rispondono a obiettivi come il benessere sei soci, la cura di determinate categorie di persone, la cooperazione con aree svantaggiate del mondo. A tali soggetti non è perciò applicabile la teoria della massimizzazione del profitto visto che spesso i loro prodotti si collocano ai margini del marcato e, per caratteristiche di eticità e prezzo non entrano in competizione diretta con servizi simili offerti da soggetti “profit”.
Tale discorso vale anche per la produzione di servizi pubblici (la difesa, l’istruzione, la sanità, la giustizia), la cui fornitura rende moderno uno stato e contribuisce alla crescita, non solo economica, ma anche politica e civile del nostro paese.
Assunta l’ipotesi di massimizzazione del profitto è importante vedere quale è l’offerta della singola impresa nel breve periodo, cioè la quantità che all’impresa è più conveniente produrre per ogni livello del prezzo quando essa assume il comportamento di price taker.
La curva di costo marginale indica l’offerta dell’impresa a ogni livello di prezzo.
La curva di offerta di mercato è la somma delle offerte individuali di ciascuna impresa (si indica con una S “supply”).
L’equilibrio di un mercato in concorrenza perfetta nel breve periodo deriva dall’incontro tra domanda e offerta di mercato in corrispondenza del quale si stabilisce il prezzo di equilibrio p e la quantità prodotta dal complesso delle imprese e acquistata dai consumatori nella loro totalità.
in concorrenza perfetta nessuno ha il potere di condizionare l’equilibrio perciò il prezzo non può che essere quello di equilibrio e la quantità non può essere diversa da quella di equilibrio; se il prezzo fosse superiore le imprese vorrebbero offrire di più, ma i consumatori non acquisterebbero tutta la produzione e si avrebbe così un eccesso di offerta à quindi il prezzo non può essere maggiore del livello di equilibrio. Per prezzi inferiori invece si crea un eccesso di domanda e i consumatori che non riescono ad acquistare si dichiarano disposti ad acquistare anche a prezzi superiori, le imprese realizzano così che anche aumentando il prezzo, possono trovare acquirenti, e di fatti lo aumentano. Il fatto che vi sia conoscenza perfetta implica che sia le imprese che i consumatori siano in gradi di anticipare eventuali disequilibri assumendo sin dall’inizio un comportamento di equilibrio à per cui si può dire che l’equilibrio di breve periodo viene raggiunto istantaneamente.
Equilibrio della singola impresa à la domanda dell’impresa descrive il rapporto che l’impresa ha con i suoi clienti e quindi la relazione fra il prezzo che essa pratica e la quantità  che riesce a vendere, perciò in questo caso il punto di vista non è più quello dei consumatori, ma quello dell’impresa stessa. Per decidere quanto produrre essa ha bisogno di sapere quanti clienti riesce a mantenere se pratica un prezzo superiore ai concorrenti; oppure calcola di quanto cresce la sua produzione quando il suo prezzo è inferiore a quello dei rivali. Si intuisce che la quantità venduta è cmq elevata quando il numero dei concorrenti è piuttosto basso e che l’impresa è in grado di trattenere clienti quando il suo prodotto è in una certa misura diverso da quello dei rivali.
Inoltre l’impresa sa che i concorrenti sono talmente numerosi da essere in grado di soddisfare qualunque domanda aggiuntiva, per cui se il suo prezzo fosse più alto di quello prevalente sul mercato, i consumatori non disposti a pagare di più potranno essere catturati dai rivali à  pertanto se l’impresa decidesse di aumentare il prezzo oltre quello di equilibrio, anche se di poco, tutti i consumatori la abbandonerebbero e la quantità venduta crollerebbe a zero data l’omogeneità dei prodotti: la domanda della generica impresa è nulla per p>prezzo di mercato. Al contrario quando l’impresa si allinea al prezzo dei concorrenti, essa riesce a vendere qualsiasi quantità prodotta e cmq il mercato è in grado di assorbirla à per cui per p= p di equilibrio, il mercato domanda quantità anche infinitamente grandi rispetto alle dimensioni dell’impresa.
Graficamente la curva di domanda della generica impresa in concorrenza perfetta ha la forma a “L”, forma coerente con il comportamento di price taking per la quale l’impresa non ha la possibilità di praticare un prezzo differente da quello che si stabilisce sul mercato. L’equilibrio a livello dell’impresa si verifica dove la curva di domanda incontra la curva di offerta dell’impresa, cioè la Cma: dato il prezzo di mercato, l’impresa massimizza i profitti producendo la quantità per cui p=Cma.
Pertanto la quantità p assicura la massimizzazione dei profitti; alzare anche solo di poco il prezzo annullerebbe le vendite; abbassarlo al di sotto del prezzo di mercato non sarebbe razionale poiché cmq l’impresa può vender qualsiasi quantità al prezzo di mercato; produrre una quantità inferiore allo stesso prezzo non sarebbe ottimale perché con costi marginali inferiori al prezzo è conveniente aumentare la produzione; produrre invece una quantità maggiore significherebbe andare incontro a costi marginali superiori ai ricavi di vendita (prezzo) su ciascuna delle quantità al di sopra dell’equilibrio.
Equilibrio di mercato nel lungo periodo à nel lungo periodo possono essere impiantate nuove imprese che cercheranno di entrare nel mercato attratte dai profitti economici positivi realizzati dalle imprese già presenti.
Tuttavia l’entrata non continua indefinitamente, ma si arresta quando non ci sono più prospettive positive di profitto. Quindi con l’entrata aumenta il numero di imprese presenti sul mercato e la curva di offerta del mercato, che risulta dalla somma delle curve di offerta di un numero superiore di imprese, è progressivamente più a destra e in corrispondenza del vecchio prezzo di equilibrio si crea un eccesso di offerta à il prezzo inizia a ridursi e questo sposta verso il basso anche la curva di domanda della generica impresa. Con la riduzione del prezzo si esauriscono anche le opportunità di profitto per cui l’entrata continuerà fino a che queste non saranno completamente azzerate, il che avviene quando il prezzo raggiunge i costi medi (in questo caso il profitto unitario è zero).
Equilibrio della singola impresa nel lungo periodo à il prezzo tende a ridursi per effetto dell’entrata di nuove imprese e questo erode totalmente gli spazi per ottenere profitti positivi. Le imprese cercano di contrastare questa erosione riducendo i costi, sfruttando le economie di scala e portandosi nel punto di minimo della curva dei costi medi di lungo. Tuttavia questo tentativo non riesce in quanto, non appena si riaprono nuove prospettive di profitto, altre imprese accedono al mercato. Viceversa l’impresa che non opera nel minimo dei costi medi è destinata a subire delle perdite e uscire dal mercato nel lungo periodo.
Nel caso in cui aumenti la domanda di un prodotto venduto in condizioni di concorrenza perfetta, ad es perché è migliorato il gradimento del prodotto o è aumentato il reddito di consumatori:

  • nel breve periodo non c’è possibilità di ingresso di nuove imprese, per cui la curva di offerta è crescente, si sposta il punto di equlibrio, il prezzo aumenta e le imprese sul mercato conseguono profitti di breve;
  • sul lungo periodo questa situazione non è sostenibile, infatti il prezzo deve ritornare al livello minimo della curva dei costi medi e quindi si riabbassa fino al vecchio livello dato che, con l’entrata di nuovi produttori, la curva di offerta si sposta verso destra fino a che non incontra la nuova curva di domanda al livello del vecchio prezzo di equilibrio. Pertanto nel lungo se non ci sono ragioni di mutamenti dei costi medi, aumenti o diminuzioni della domanda porteranno ad aumenti o diminuzioni dell’offerta, ma non a variazioni del prezzo (e quindi la curva di offerta del lungo periodo è perfettamente orizzontale). La diminuzioni del prezzo sono possibili solo se si riduce il livello minimo della curva dei costi medi.

SURPLUS del produttore à rappresenta la misura del vantaggio che l’impresa ha nel produrre ed è dato dalla differenza tra ricavi totali e costi variabili.
Sapendo che i costi variabili sono costituiti dall’area sottesa dalla curva di costo marginale, è semplice individuare cui corrispondono i costi totali, che sono dati dal prezzo moltiplicato per la quantità prodotta; geometricamente l’area dei ricavi totali è il rettangolo corrispondente (p*q), il triangolo superiore rappresenta il surplus del produttore, ovvero la differenza tra ricavi e costi variabili. à quindi il surplus del produttore nel breve periodo è costituito dalla somma dei profitti e dei costi fissi.
Nel lungo periodo il surplus del produttore si ricava nello stesso modo ma, mentre nel breve l’impresa può anche operare in perdita se cmq riesce a ripagare i costi fissi almeno in parte, nel lungo periodo non ha senso continuare a produrre se i profitti sono negativi, in quanto i costi fissi possono essere azzerati chiudendo l’impresa. Pertanto occorre che il surplus di lungo sia sufficiente a coprire tutti i costi fissi.
Sommando tra loro tutti i surplus si ottiene il surplus aggregato dei produttori che, nel breve periodo, è uguale alla differenza tra i ricavi totali complessivamente realizzati dalle imprese sul mercato e la somma dei loro costi medi variabili; nel lungo periodo è invece pari ai costi degli impianti di tutte le imprese che partecipano alla produzione.
La misura del benessere sociale è la somma dei surplus dei consumatori e quello dei produttori e in concorrenza perfetta lo scambio è molto vantaggioso per entrambe le parti.

Se il governo introduce un’imposta che grava in misura fissa sulle imposte, indipendentemente dal loro volume di affari:

  • nel breve periodo la nuova imposta costituisce un aumento dei costi fissi dell’impresa e può capitare ad es che a causa della tassa il profitto economico diviene negativo e l’impresa sia in perdita. Tuttavia se il surplus dell’impresa è ancora positivi e consente di coprire parte degli altri costi, l’impresa rimane sul mercato continuando a produrre la quantità di output che già produceva. Se invece non è sufficiente a coprire la nuova imposta, il surplus diviene negativo e l’impresa esce dal mercato.
  • Nel lungo periodo in ogni caso l’impresa in perdita economica sceglie di uscire. Per le imprese che resistono occorre che nel nuovo equilibrio i ricavi siano sufficienti a coprire tutti i costi compresa la nuova imposta,  che è possibile solo se i prezzi sono aumentati in modo adeguato. L’aumento del prezzo nel lungo è possibile proprio grazie all’uscita delle imprese che sono andate in perdita dopo l’imposta.

Se invece viene introdotta un’imposta proporzionale al valore delle vendite (nel nostro paese un esempio classico è l’IVA), allora in questo caso i produttori percepisco un prezzo p, mentre i consumatori pagano un prezzo superiore (ad es. del 20%). Si nota come prima dell’imposta l’equilibrio era caratterizzato da un prezzo minore dal punto di vista dei consumatori e maggiore dal punto di vista delle imprese, pertanto i surplus di entrambe le categorie erano superiori. Il benessere dopo l’imposta è ridotto visto che i benefici che vengono erogati grazie al gettito del governo non sono in grado di compensare la perdita di surplus per produttori e consumatori.

 

LA CONCORRENZA MONOPOLISTICA

In molti casi reali i consumatori si trovano di fronte a beni che hanno la stessa capacità di soddisfare un certo bisogno e che si differenziano tra loro solo per aspetti di tipo qualitativo, come il gusto o l’odore o di tipo estetico, come il colore, la forma, la confezione. Se questi aspetti sono rilevanti per i consumatori, alcuni di essi privilegeranno una determinata gamma di colorazioni, di gusti, di forma etc..
Ciascun consumatore ha così la propria qualità preferita ed è disposto a spendere anche un po’ di più pur di acquistarla; se invece la differenza di prezzo con altri beni di qualità diversa fosse eccessiva, il consumatore abbandonerebbe la qualità preferita e acquisterebbe sostituti. Quando si hanno differenziazioni di questo tipo, che riguardano quindi caratteristiche che non comportano un miglioramento qualitativo riconoscibile da tutti ma che sono preferite solo da alcuni consumatori, allora si parla di differenziazione orizzontale à per cui i prodotti hanno la stessa capacità di soddisfare un determinato bisogno ma sono offerti con forme, colori, gusti diversi per venire incontro alle differenze nei gusti dei consumatori.
Quando invece la differenza nella capacità di soddisfare un certo bisogno è riconoscibile da tutti, per cui un prodotto è chiaramente di qualità superiore rispetto ad altri, allora si parla di differenziazione verticale.
Molto spesso i consumatori sono convinti che un prodotto sia di qualità superiore pur non essendoci ragioni oggettive per affermarlo à in questo caso una differenziazione di tipo orizzontale viene confusa non una di tipo verticale. Altre volte, la sensazione di differenziazione verticale è legata a un consumo consolidato che dà al cliente un’idea precisa della qualità del prodotto che acquista, per cui egli è disposto a spendere di più per il prodotto che compra di solito, pur di non correre il rischio di comprare un prodotto di qualità inferiore.
Il fatto che gli individui siano riluttanti a provare beni sostituti induce le imprese ad investire in pubblicità. Il marchio infatti è una caratteristica a cui i consumatori attribuiscono molta importanza, infatti molto spesso i consumatori sono sospettosi nei confronti dei prodotti “primo prezzo” o venduti nei c.d. “discount”. Per cui tramite la pubblicità le imprese che vendono prodotti di marca inducono nei consumatori la sensazione di una qualità superiore, provocando una fedeltà all’acquisto che si traduce in prezzi più alti: pertanto si può dire che la pubblicità è un’importante forma di differenziazione che in alcuni casi serve per segnalare al cliente potenziale l’effettiva superiorità del prodotto.
La spinta alla differenziazione del prodotto dà luogo a una nuova forma di mercato, intermedia rispetto al monopolio e concorrenza perfetta: la concorrenza monopolistica. In questa tipo di mercato i prodotti sono fra loro sostituti, anche se imperfetti e proprio le differenze percepite dai consumatori danno alle imprese produttrici la possibilità di pratica prezzi differenti rispetto alle concorrenti, per cui possono sottrarsi al comportamento di price-taker, acquisendo un leggero potere di mercato.
Esistono due tipologie di modelli che spiegano la concorrenza monopolistica: i modelli del consumatore rappresentativo e i modelli di concorrenza spaziale.
Nel modello del consumatore rappresentativo il consumatore considera tutti i beni venduti sul mercato come sostituti imperfetti della propria varietà. Le preferenze dei consumatori si distribuiscono uniformemente fra i beni disponibili sul mercato e ciascuna impresa di specializza nella produzione di una varietà, per cui qualora il prezzo dei beni fosse lo stesso, allora tutte le imprese avrebbero la stessa quota di mercato (quote diverse sono possibili solo in caso di diversità di prezzi).
Dal momento che ogni varietà è prodotta da una singola impresa, la curva di domanda della varietà coincide con la curva di domanda della singola impresa à pertanto nonostante vi sia sul mercato un numero elevato di produttori, ognuno di essi può contare su curve di domanda dotate di pendenza negativa e simili alla curva di domanda di un monopolista.
La differenza fondamentale sta tuttavia nel fatto che il monopolista produce un bene che non ha sostituti stretti; mentre nella concorrenza monopolistica tutti gli altri prodotti del mercato sono sostituti stretti del bene in questione. Pertanto la domanda di un bene differenziato dipende dai prezzi di tutti gli altri beni e si presenta piuttosto elastica.
Se il prezzo di una sola varietà si riduce e i prezzi degli altri sostituti rimangono invariati, un certo numero di consumatori che prima preferiva altre varietà si sposta verso il prodotto il cui prezzo è diminuito. Per cui l’impresa produttrice in questo caso cattura non solo un numero maggiore dei propri consumatori (che cmq preferiscono quella qualità ma che ne comprano una quantità maggiore a causa del minor prezzo), ma anche una certa quota di consumatori di altre imprese.
Va notato che l’aumento della quota di mercato dell’impresa può avvenire solo a patto che le altre imprese lascino invariato il loro prezzo; se invece anche gli altri produttori sul mercato riducono i loro prezzi, allora la singola impresa non può contare sui nuovi consumatori sottratti alle altre imprese per cui la sua quota di mercato rimane allo stesso livello e l’aumento delle vendite può essere dovuto solo alle maggiori vendite ai consumatori che a parità di prezzo preferiscono cmq quella varietà.
EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO del consumatore rappresentativo à se assumiamo l’idea che tutte le imprese adottino una tecnologia simile avremo la che la funzione di produzione presenta rendimenti marginali decrescenti ed esistono costi fissi: ciò dà origine a una curva di costo medio a “U”.
Le imprese massimizzano il profitto fissando una produzione a livello che consente di uguagliare ricavo marginale e costo marginale à quindi la quantità di equilibrio dà luogo al prezzo di equilibrio, ma se la singola impresa ritiene di fissare il prezzo ad un certo livello p, per simmetria non c’è motivo per cui le altre non facciano lo stesso. Questo significa che le imprese praticano tutte le stesso prezzo di equilibrio e quindi che ciascuna di esse vende la stessa quantità e che serve esclusivamente i consumatori che preferiscono quella varietà a parità di prezzo: le quote di mercato delle imprese sono tutte uguali. Pertanto il tentativo di sottrarre clienti abbassando di poco il prezzo non riesce a nessuna impresa perché tutti i rivali fanno esattamente lo stesso.
Nel breve periodo le imprese realizzano profitti nella misura in cui p>Cme, ma nulla esclude che nell’equilibrio di breve le imprese possano produrre in perdita poiché se il prezzo è inferiore ai costi medi variabili, l’impresa può ricavare un minimo surplus dalla copertura di parte dei costi fissi.

EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO à c’è piena recuperabilità dei  costi e libertà di entrata e di uscita: perciò nel caso in cui le imprese già presenti stiano traendo profitti dalla produzione di equilibrio di breve periodo, nuove imprese possono entrare nel mercato attratte dalle prospettive di guadagno.
L’equilibrio di lungo è innanzitutto un equilibrio di breve e quindi ne possiede tutte le caratteristiche.
Inoltre la libertà di entrata fa sì che nuove imprese continuino ad entrare fino a quando vi sono prospettive di profitto à quindi l’equilibrio richiede che i profitti di tutte le imprese siano nulli (p=Cme).
In definitiva si può dire che l’equilibrio di lungo deve avere luogo per una quantità che consente l’uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale e il prezzo di equilibrio è uguale per simmetria a tutte le imprese.
Lo scenario che si ottiene dal consumatore rappresentativo è poco più della concorrenza perfetta: infatti i prodotti sono differenziati, ma i prezzi sono uguali, i profitti sono nulli, le imprese adottano tutte lo stesso grado di differenziazione e pertanto non acquisiscono sul mercato una posizione migliore rispetto alle concorrenti; i consumatori comprano esattamente la qualità preferita e non sono indotti a spostarsi perché le imprese falliscono nel tentativo di sottrarre clienti ai rivali.
Si può fare una importante considerazione: nel lungo nessuna impresa sfrutta completamente i rendimenti di scala disponibili il che ha indotto gli economisti a porsi la questione del costo sociale della differenziazione, considerandola uno spreco sociale.

 

LA CONCORRENZA SPAZIALE à in questo modello i consumatori non ritengono necessariamente che i prodotti siano tutti ugualmente sostituibili, ma hanno preferenze specifiche e sono disposti ad acquistare altri prodotti sempre meno sostituibili dal loro punto di vista se il sacrificio viene adeguatamente compensato dalla differenza di prezzo. Si parla infatti di concorrenza spaziale proprio perché è facile ricavare un’analogia fra il sacrificio che il consumatore subisce per il mancato acquisto della varietà preferita e il costo dello spostamento fisico nello spazio per acquistare lo stesso prodotto da due negozi localizzati in aree geografiche differenti.
I modelli di concorrenza spaziale si possono rappresentare lungo un asse o una circonferenza: quanto più distanti sono tra loro i punti di due varietà diverse, tanto maggiore è il sacrificio che il consumatore sopporta spostandosi da una varietà all’altra.
Se i consumatori si distribuiscono per preferenza lungo l’asse delle varietà, le imprese hanno due strumenti per attrarre i clienti: produrre varietà che incontrano i gusti della maggior parte della clientela, oppure ridurre il prezzo in modo tale da compensare i costi di trasporto o le perdite di surplus dei clienti che a parità di prezzo preferiscono altre varietà.
Una versione semplice della concorrenza spaziale si deve a Hotelling il quale immagina che i prodotti differiscano per un solo aspetto (ad es. la distanza dal negozio o un diverso design) e che i consumatori si distribuiscano uniformemente lungo l’asse delle preferenze. Allora ciascun potenziale consumatore, qualora non potesse acquistare la qualità preferita, vorrebbe allontanarsi il meno possibile da quella varietà, a meno che il prezzo di una varietà lontana fosse talmente inferiore da compensare interamente il sacrificio.
Secondo Hotelling l’equilibrio è quella situazione in cui entrambe le imprese non desiderano cambiare la propria strategia (data la strategia del concorrente) e l’unico punto che corrisponde a questo requisito è posto esattamente al centro dell’asse delle preferenze. La conclusione che si ricava da questo semplice modello è che: se due imprese si fanno concorrenza diversificando il prodotto, finiscono col produrre la stessa varietà (si pensi a coca cola e pepsi; alla opel corsa e alla micra).
Quando le imprese possono fissare, oltre alla varietà, anche il prezzo, lo scenario cambia in modo sostanziale perché in questo caso un’impresa può reagire al minor prezzo praticato dai rivali differenziando in modo netto il proprio prodotto, la sua curva di domanda si irrigidisce e può mantenere un prezzo più elevato senza il rischio di perdere molti clienti. Questo modello si applica bene al caso di differenziazione verticale, dove la diversificazione ha per oggetto il miglioramento di caratteristiche oggettive del prodotto. Infatti nella realtà le imprese tendono a produrre beni simili, ma a livelli qualitativi diversi, riuscendo a praticare anche prezzi differenti.
Purtroppo è stato dimostrato che quando le imprese possono cambiare le caratteristiche del prodotto senza incorrere in costi di diversificazione, l’equilibrio non esiste e il mercato è soggetto a una costante dinamica di prezzi e varietà.
È stata proposta anche una illustrazione circolare nella quale i consumatori si distribuiscono uniformemente lungo la circonferenza i cui punti rappresentano possibili varietà del prodotto e si servono dall’impresa che produce la varietà più vicina a quella favorita. Tuttavia essi possono anche acquistare varietà molto lontane da quella preferita a patto che il costo dello spostamento venga compensato da una congrua riduzione di prezzo, oppure può non acquistarlo affatto decidendo di acquistare un bene esterno completamente diverso. Pertanto i consumatori acquistano la varietà che consente loro di ottenere il maggior surplus, anche tenendo conto dei costi di spostamento, ma in ogni caso non pagano oltre un prezzo di riserva, raggiunto il quale decidono di acquistare il bene esterno.
Le imprese devono decidere come differenziare i prodotti, cioè come collocarsi sulla circonferenza ed è evidente che esse tendono a servire il più ampio mercato possibile ma, contrariamente a quanto accade sull’asse delle preferenze (che porta alla totale scomparsa di differenziazione), nel modello della circonferenza le imprese hanno concorrenti alla loro destra e alla loro sinistra per cui, cercando la massima distanza dai rivali più vicini, finiscono con il collocarsi in punti equidistanti.
EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO à se il mercato servito da un’impresa fosse sufficientemente grande rispetto all’impresa stessa, questa potrebbe addirittura comportarsi da monopolista e fissare un prezzo molto alto, visto che la protegge proprio il basso livello di sostituibilità fra la sua varietà e le varietà vicine e il basso numero di concorrenti. Si potrà così avere un possibile equilibrio di breve periodo nel quale è può darsi che alcuni consumatori decidano di non acquistare affatto poiché reputano che un prezzo così alto, gravato degli alti costi di trasporto, produca un surplus troppo basso rispetto a quello che deriverebbe dall’acquisto del bene esterno.
Quando il numero delle imprese è elevato i mercati su cui ciascuna di esse può contare si restringono e nonostante ogni impresa si collochi il più lontano possibile dalle altre, potrebbe essere conveniente per un’impresa abbassare il proprio prezzo per conquistare consumatori dalle imprese vicine. L’equilibrio di breve in  questo case prevede che le imprese fissino lo stesso prezzo a un livello cmq inferiore a quello di monopolio.
EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO à si raggiunge con un numero di imprese equidistanti tra loro che fanno pagare un prezzo tale per cui nessun nuovo produttore desidera entrare o uscire, per cui i profitti sono pari a zero.
All’aumentare del numero di imprese il prezzo si abbassa e viceversa, per cui se i costi fissi aumentano occorre che le imprese in equilibrio siano in gradi di originare maggiori ricavi per mantenere i profitti pari a zero à ciò avviene attraverso l’aumento del prezzo che è possibile solo quando alcune imprese escono dal mercato.
In conclusione: se aumentano i costi fissi, nel lungo periodo si riducono le varietà prodotte; se aumentano solo i costi marginali, i prezzi crescono in modo equivalente ma il numero delle varietà prodotte rimane costante.

 

Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/146061/22984/LA%20CONCORRENZA%20PERFETTA.doc e http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/146061/22984/LA%20CONCORRENZA%20MONOPOLISTICA.doc

Sito web da visitare: http://lab.artmediastudio.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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