Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”

 

L’Impenditore

Sono soggette allo statuto generale dell’imprenditore tutte le imprese, mentre alcune altre sono soggette a dei regimi normativi particolareggiati, cioè sono soggette a STATUTI SPECIALI.
Sono soggetti a questi statuti gli imprenditori commerciali, e quelli agricoli, divisi poi in piccoli o meno, il piccolo imprenditore opera in uno statuto che lo esonera dalle procedure concorsuali.
L’articolo 2135 identifica l’imprenditore agricolo come quell’imprenditore che produce colla sua famiglia i beni da scambiare col mercato direttamente dalla terra.
Sui dice che l’imprenditore agricolo è soggetto ad un regime di favore perché è sottoposto a due tipologie di rischi, quella propria dell’imprenditore, e quella aleatoria della nature.
L’attività d’impresa ex 2135 deve essere in stretta connessione coi cicli biologici della terra.
L’agricoltura c.d. industrializzata, avulsa dalla terra, pone rischi ermeneuti in quanto l’imprenditore in questione dovrebbe poi essere assoggettato allo statuto dell’imprenditore commerciale.
Ogni qualvolta si spezza il ciclo biologico colla terra, si avrà un’impresa commerciale.
Ora è pacifica l’attribuzione di impresa commerciale per le colture in acqua, mentre alcuni problemi, ora sorpassati, venivano dalla coltura in serra, in quanto è si vero che i rischi naturali sono ridotti, ma comunque restano.
Altri problemi sono quelli della silvicoltura, che pure se espressa nella lettera del 2135 deve possedere particolari requisiti, quelli del rispetto dei cicli biologici della foresta, per cui la silvicoltura è attività agricola solo quando al taglio è stato anticipato l’impianto di nuove piante, altrimenti si avrà un’impresa commerciale.
Pure l’allevamento di bestiame è particolare in quanto sempre si deve rispettare il processo naturale per cui  animali in batteria e nutriti senza il frutto della terra dell’agricoltore, non daranno diritto alle agevolazioni per l’impresa agricola.
E’ certa l’esclusione di  tale disciplina per gli allevamenti di cavalli da corsa, animali da pelliccia, cani di razza.
Molti altri problemi sull’identificazione della norma contenuta nel 2135 si prestano per quando si tratta di attività connesse all’impresa agricola, che vengono distinti in tipiche e d atipiche.
Le tipiche classicamente conosciute sono le trasformazioni casearie, altre attività connesse per essere considerate tipiche devono possedere il requisito della normalità e tipicità della produzione nella zona in cui vengono effettuate, ed inoltre deve essere rispettata la proporzionalità tra prodotto ottenuto finale e impiego di fattori tipici dell’agricoltura.
Esistono però alcune attività tipiche connesse in deroga a quest’ultimo principio e riguardano soprattutto il latte e l’olio.

Attività connesse atipiche.
Sono particolari le attività di bonifica e di agriturismo.
Per l’agriturismo si è molto discusso  ribadendo il principio della complementarità, ovvero l’imprenditore agriturista per essere assoggettato al regime degli imprenditori agricoli deve svolgere l’attività turistica a latere di quella agricola, e quest’ultima deve sempre essere prevalente.
Ci sono stati casi di attività agrituristiche in nascita che poi hanno relegato ad un ruolo marginale la coltura del fondo.

IMPRESE COMMERCIALI.

2195 sono soggette all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese …..
Si ha l’attività industriale quando i fattori immessi nel ciclo produttivo alla fine del processo lavorativo non sono più identificabili e distinguibili l’un l’altro.
In realtà questa distinzione giurisprudenziale deve essere espressa dal punto di vista funzionale, altrimenti il panettone domestico avrebbe il requisito altri beni industriali non l’avrebbero.
Nel distinguere le imprese agricole da quelle commerciali, si avrebbe una sacca residuale d’impresa  che vengono definite civili.
Il CB per evitare problemi normativi suggerisce di identificare con precisione l’impresa agricola, tutte le altre poi saranno identificate come commerciali.
Riguardo la voce del 2195 sull’intermediario di beni e servizi, la giurisprudenza è copiosissima di sentenze diversificate sul ruolo del farmacista, che a volte è definito libero professionista, altre imprenditore commerciale dotato di particolare licenza.
Le attività ausiliarie alle precedenti sono quelle di deposito agenzia, spedizione.
A questo punto pare evidente che la razio è quella di isolare dalla totalità delle imprese quelle agricole, identificare così quelle commerciali, ed identificarle dal processo industriale a quelli distributivi finali.
L'articolo 2083 identifica invece il piccolo imprenditore specificandoli in coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti, esercitanti attività professionali coll’aiuto al massimo dei propri familiari, questi tutti non sono tenuti all’iscrizione al registro delle imprese e non sono assoggettai alle procedure concorsuali.
I piccoli imprenditori venivano inquadrati pure dall'articolo 1 co.2 l. fallimento, poi ritenuta incostituzionale in quanto il limite meramente quantitativo che identificava il picco imprenditore era insufficiente ad identificarlo, basti pensare alle imprese logistiche i cui investimenti erano minimi e permettevano grossi introiti.

IMPRESA ARTIGIANA:
Vista espressamente come elemento che identifica il  piccolo imprenditore, era ben disciplinata dalla norma del 1956,  questa nel dettaglio andava ad identificare l’artigiano ed era valevole ai fini civilistici.
Colla novellazione del 1985 intitolata alle agevolazioni fiscali per le imprese artigiane, la figura artigiana si allarga a dismisura e vengono considerate imprese artigiane quelle con un numero di dipendenti non superiore a 60 unità, è permesso l’utilizzo dei semilavorati, può l’impresa essere costituita pure in forma societaria.
Il problema è sapere se gli artigiano uscenti dalla legge del 1986 sono gli stessi del codice civile, ovvero se i requisiti della legge sono validi ai fini civilistici.
La Corte costituzionale ha ribadito che invero non ci sono contrasti, ma nel senso che la prevalenza del lavoro proprio e della famiglia deve esserci anche nella legge di agevolazione fiscale all’artigianato.

IMPRESA FAMILIARE. (art. 230bis)
Sono considerati familiari il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Se i familiari prestano lavoro nell’impresa, per questi si ha particolare tutela, pure restando la forma imprenditoriale unica e non societaria, imprenditore resta comunque chi ha organizzato l’attività.
I familiari hanno diritto al mantenimento, e agli utili salvo che non siano presenti diversi rapporti, come l’impresa coniugale.

Nelle decisioni su atti ordinari dell’impresa il potere resta tutto all’imprenditore, nel caso invece di atti straordinari, questo è obbligato a sentire il parere dei familiari pure non essendo obbligato all’attuazione.
Gli atti straordinari compiuti senza il parere dei familiari o in loro dissenso hanno nei confronti degli ultimi soggetti efficacia obbligatoria.

 Impresa e lavoro autonomo
Problemi nel definire ed inquadrare il lavoro autonomo in quanto alcuni lo considerano attività imprenditoriale o meglio attività svolta dal piccolo imprenditore in quanto c’è l’organizzazione del lavoro proprio.
IN realtà è fallace questa definizione in quanto ci si organizza per conto proprio e non per conto d’impresa, e la stessa lettera del 2083 parlando della prevalenza del lavoro proprio e della propria famiglia, lascia intendere che devono esserci anche elementi capitalistici, pure se poveri in quanto c’è la prevalenza del lavoro, che però danno un’unicità al processo d’impresa.
Se si volesse accettare la logica di chi vede il lavoratore autonomo imprenditore, il requisito dell’organizzazione del 2082 diventerebbe un pseudo-requisito.
Per aversi un’attività d’impresa occorre la c.d. eteroorganizzazione.

Economicità dell’attività
A volte il fine teleologico dell’impresa, l’attività produttiva, è stato confuso coll’economicità della stessa.
In realtà questo concetto deve essere autonomo dall’attività produttivo ed è quello che economicamente distingue l’impresa di produzione da quella di erogazione.
Il requisito di economicità deve permettere all’imprenditore di coprire nel lungo periodo i costi per mezzo dei ricavi.
Qualora non ci fosse il principio dell’economicità nell'attività produttiva non si potrebbe parlare di attività di impresa.

Attività d’impresa e scopo di lucro

Requisiti ex lege per avere impresa sono l’economicità l’organizzazione, la professionalità.
Ci si chiede se lo scopo di lucro sia essenziale ad inquadrare la figura dell’imprenditore.
E’ necessario cogliere che essendo nel nostro sistema concepite imprese pubbliche e private, l’essenza dell’istituto è nella parte normativa che accomuna le due figure, ed è nella fattispecie il lucro oggettivo, cioè l’economicità dell’impresa, e non il lucro soggettivo, ovvero il surplus del pareggio. LO stesso pensiero vale pure per le società cooperative dove il lucro soggettivo si concretizza in un minore prezzo dei beni e servizi da acquistarsi all’interno della coop.

L’imprenditore per conto proprio
Alcuni esponenti della dottrina ritengono che colui che produce per soddisfare direttamente i propri bisogni non è imprenditore, che la produzione deve essere finalizzata allo scambio.
In realtà la risposta è quella contraria in quanto nel 2082 è espressamente prevista l’impresa finalizzata al consumo proprio senza lo scambio, inoltre il CB fa notare che in pratica le figure di imprenditori per conto proprio sono pochissime, infatti già facendo distinzioni sulla personalità giuridica delle società cooperative nn si può prospettare una impresa per conto proprio, come non lo è lo scambio tra organismi autonomi di uno stesso ente pubblico.
Potrebbe invece esserla la costruzione di un immobile in economia, cioè non destinato alla vendita, e CB fa notare che il problema non sussiste, in quanto lo status di imprenditore edile si ha colla costruzione a prescindere dall’uso che se ne farà dell’immobile.

Il problema dell’impresa illecita

E’ difficile e problematica la procedura di inquadramento dell’attività d’impresa illecita.
In particolare è controversa l’attribuzione dello status di imprenditore a chi lo esercita derogando i principi generali dell’ordinamento.
Il fatto è che bisogna pur sempre tutelare i terzi che possono benissimo avere concluso cogli imprenditori illeciti contratti puliti.
A questo punto occorre distinguere imprese illegale ed imprese immorali.
Sono illecite le imprese che hanno carenza di requisiti amministrativi pure avendo per oggetto attività meritevoli di tutela, come il negozio aperto senza  autorizzazione.
E’ nivee immorale l’impresa che per oggetto la produzione di beni o servizi che vanno contro le normative, droga, gestione della prostituzione.

Impresa e professioni intellettuali
Le professioni intellettuali pure essendo escluse dallo statuto dell’impresa, si desume dal 2238 sono soggetti alle norme che disciplinano il lavoro nell’impresa.
Nella società attuale, vista l’organizzazione che si trova in alcuni studi professionali, si potrebbe sostenere che l’esclusione dei professionisti dall’attività d’impresa sia una libera scelta del legislatore.

 

Le imprese pubbliche
Lo stato e glia altri enti pubblici territoriali possono svolgere attività d’impresa 41 e 43 Cost.

IMPRESE ORGANO
Stato ed enti pubblici territoriali possono svolgere attività d’impresa costituendo imprese autonome nelle decisioni e nella contabilità.
In questi casi l’attività d’impresa è secondaria rispetto ai fini istituzionali dell’ente pubblico,. Esempi di imprese organo sono l’azienda autonoma poste e telegrafi  e le aziende municipalizzate erogatrici di servizi pubblici.

ENTI PUBBLICI ECONOMICI
La P.A può istituire ad enti di diritto pubblico in cui compito istituzionale è quello dell’esercizio dell’attività d’impresa.
Questi enti pubblici economici fino ai primi anni 9° costituivano il cuore dell’impresa pubblica e che poi si sono avviate verso al privatizzazione.

SOCIETA’ A PARTECIPAZIONE STATALE
Altre volte lo stato può istituire imprese di diritto privato attraverso la partecipazione in società per azioni.
Nel caso di società a partecipazione statale si segue la norma del diritto privato pur quando la totalità delle azioni siano in mano allo stato.
Invece per quanto riguarda gli enti pubblici economici e le imprese organo la disciplina è dettata 2093,2201,2221.

Il 2212 detta che gli enti pubblici economici sono assoggettai allo statuto dell’imprenditore, e se del caso dell’imprenditore commerciale, coll’esclusione dell’assoggettabilità al fallimento e delle procedure minori sostituite dalla liquidazione coatta amministrativa. Non ci sono di contro dati normativi per la limitazione nell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale per le imprese organo.

Il 2093 pure rinviando la disciplina delle imprese organo al libro quinto dove  è contenuto lo statuto commerciale, dice che queste sono esonerate all’iscrizione nel registro delle imprese, obbligo previsto per le imprese pubbliche.

Attività commerciale delle associazioni e fondazioni
Le associazioni riconosciute o meno e le fondazioni, qualora svolgano altre attività con metodologia e requisiti previste dal 2082, sono da considerarsi imprese, sia che l’attività imprenditoriale sia l’essenza che l’accessorio dell’associazione, l’importante è che venga seguito un metodo economico che può coesistere collo scopo ideale dell’impresa.
Parte della dottrina ritiene che l’articolo 2201 dell’esonero degli enti pubblici non economici alla registrazione, vada applicato pure per le associazioni e le fondazioni, cosa che nega il CB vista l’analiticità della norma.

 

L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE

Può sembrare facile parlare d’imprenditore, ma già pensando che l’essere additati con tale status fa nascere il rapporto della persona collo statuto generale, si capisce che è poi meno agevole, in quanto il 2082 pure essendo sovrabbondante riguardo la definizione di imprenditore tace sul momento in cui si diviene, cosa occorre fare, oltre ad essere per diventarlo.

A – L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA

Esercizio diretto dell’attività d’impresa

Per l’imputazione degli atti d’impresa vige nell’ordinamento nostrano il principio della spendita del nome, cioè è soggetto allo statuto dell’impresa solo chi ha dato dati sufficienti alla riconoscibilità dell’impresa per il traffico giuridico.
Dunque se è agevole individuare il soggetto diretto dell’impresa e riconoscere i suoi atti, non lo è altrettanto in casi diversi.
Si potrebbe parlare del mandato con e senza rappresentanza.
Nel caso di mandato con rappresentanza il mandatario agisce in nome e per conto del mandante, e tutti i negozi giuridici sono imputabili all’ultimo menzionato, mentre se il mandato è senza rappresentanza, tutti i negozi conclusi restano imputabili al mandatario.
Nel caso di rappresentanza volontaria o legale, comunque resta il rappresentato imprenditore, pure se i suoi poteri decisori sono limitati nei confronti del rappresentante, è il caso pure dei genitori che curano l’impresa del figlio minore, imprenditore resta sempre il figlio minore.

Esercizio indiretto dell’attività d’impresa. La teoria dell’imprenditore occulto
Capita che ai fini prettamente formali, nell’attività d’impresa, imprenditori siano o persone fisiche nullatenenti o s.p.a di comodato o d’etichetta e che a monte di queste figure ci sia un imprenditore occulto. Secondo il principio della spendita del nome in caso di fallimento il soggetto passivo del procedimento sia colui che ha speso il nome nei traffici commerciali, e che di norma nel caso ora prospettato è una persona senza patrimonio alcuno.
La mancata riscossione di crediti da parte dei creditori, che a loro volta sono imprenditori, può creare en questi dissesti pericolosi, ci si chiede allora come intervenire nei confronti dell’imprenditore occulto, del dominus.
Si è spinti a derogare il principio della spendita, considerando l’attività d’impresa cosa ben diversa dal mandato senza rappresentanza, per cui i creditori in caso di fallimento di imprenditore palese possono secondo alcuni essere ristorati da dominus, secondo altri più spinti possono chiedere il fallimento del dominus.
Altri giuristi, prendendo spunto dalla disciplina sulle società di persone, hanno carpito il principio di queste che vede inscindibilità del potere dalla responsabilità, per cui pure non condividendo l’ipotesi del fallimento del dominus, accettano che questo debba pagare i debiti da lui in realtà non onorati.
Altra teoria molto importante è quella di Bigiavi, la c.d. teoria dell’imprenditore occulto, che parte dal fallimento del socio occulto della società palese norma del 147 co.2 l. fallimentare.
Questa norma per analogia si può estendere anche ai soci che hanno occultato una società, cioè si parla di socio occulta di società occulta.
L’analogia si motiva per il fatto che tra le ipotesi di socio occulto di società palese e di socio occulto di società occulta si sia un mera differenza quantitativa e nient’altro.
Da questo principio ne deriva la responsabilità di chiunque palesemente o occultamente domini una impresa.
Da qui discende anche la responsabilità del socio tiranno che non potrebbe essere soggetto a fallimento ex 2362 perché non unico titolare della compagine, ma che continuamente viola i principi del diritto societario  operando confusioni tra i patrimoni.

Bigiavi ancora tratta della responsabilità illimitata dei soci sovrani che pure rispettando il diritto societario , di fatto domini l’impresa possedendo il pacchetto di controllo.
Il ragionamento di Bigiavi secondo CB non è corretto.

Critica. L’imputazione dei debiti d’impresa
Le tesi esposte sull’imputazione dell’attività d’impresa, si fondano su due criteri:

  • uno formale  della  spendita del nome
  • uno sostanziale del potere di direzione

Il criterio formale è errato pure se non condivisibile che ci possa utilizzare il solo criterio formale, in quanto nessuna norma, del codice civile o della legge fallimentare che sia,  permette di chiamare a rispondere un soggetto che non sia il palese imprenditore.
La disciplina societaria ad esempio, dice si che il socio amministratore nelle società di persone non  può limitare la propria responsabilità, ma nemmeno è vero che l’illimitatezza di responsabilità sia legata in maniera indissociabile la potere di gestione.
Tant’è vero che nelle società n.c. tutti i soci rispondono in modo illimitato, anche se può stabilirsi che non tutti abbiano la gestione dell’impresa.
La legge fallimentare che la giurisprudenza utilizza pure per il fallimento del socio occulto (147), per fare questo utilizza una doppia analogia.
Dall’ipotesi regolata del socio occulto in società palese, è più che accettabile l’estensione, in quanto la società esiste, si nasconde solo il reale numero di soci, si passa per analogia al fallimenti di soci occulti di società occulta, e poi ancora per analogia si passa al fallimento dell’imprenditore occulto.
Il 147 vuole secondo CB dichiarare il fallimento anche del socio che non è pubblico, però mai di chi socio non  lo è per niente, fenomeno che si ha coll’applicazione della doppia analogia.
Nel caso di socio occulto/socio palese infatti manca proprio la società, in quanto il socio palese è mandatario senza rappresentanza del dominus.
In ultima formula possiamo affermare che l’unico principio per l’imputazione dell’attività d’impresa è il criterio formale della spendita del nome, che pecca a volte di essere retto da indici probatori certi, dunque il dominio di fatto non è condizione necessaria per l’imputazione di status imprenditoriale o per il fallimento del dominus.
Inoltre, scavando più profondamente del danno che possono avere i creditori terzi dell’imprenditore palese, è pur vero che questi nel concludere l’affare hanno comunque fatto affidamento solo sul suo capitale non essendo a conoscenza del dominus, e pure c’è da dire che se si accanissero contro il dominus, i creditori personali di quest’ultimo sarebbero disagiati in quanto non erano a conoscenza di attività imprenditoriale di questi.

Una tecnica per reprimere gli abusi
Partendo dal fatto che il dominio di fatto su un’impresa o una società non comporta automaticamente all’equazione dominio di fatto – responsabilità illimitata- potenziale fallimento, tra le varie tecniche giuridiche per reprimere gli abusi delle posizioni delle persone fisiche all’interno di società di capitali o di persone che siano, la più corretta è quella c.d. dell’impresa fiancheggiatrice.
Tale tecnica, a partire dai tipici comportamenti del socio tiranno, qualora vi siano i requisiti del 2082, considera l’attività di questo come impresa a latere dell’impresa o della società  in cui fa da tiranno,  per cui per le sue azioni all’interno dell’impresa fiancheggiatrice, può essere imputato al fallimento, il caso più eclatante dell’applicazione di questo principio è la sentenza del foro di Roma del 3-7-82 che dichiara il fallimento di tre fratelli soci di 158 società di capitale dichiarate fallite.

B - INIZIO E FINE DELL’IMPRESA.

L’inizio dell’impresa
La qualità d’imprenditore si acquista quando si inizia ad operare come tali, dunque non come una volata che serviva la formalità della matricula mercatorum,
Questo è quanto pacificamente affermato in dottrina e giurisprudenza per le persone fisiche che svolgono un’impresa.
Il problema diviene controverso invece per le società, in quanto la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono per questa la superfluità dell’inizio dell’impresa ad atti di questa propria, e che è necessaria e sufficiente la pubblicità della società per imputargli attività d’impresa.
CB ritiene erroneo tutto questo in quanto il 2082 fa riferimento per l’imputazione non alla programmatica attività d’impresa, ma a quella reale, di conseguenza anche per le società si deve parlare d’impresa quando l’esercitino.

C – CAPACITA’ E IMPRESA

 

La capacità di esercizio d’impresa si assume colla capacità completa di agire, quindi col raggiungiemnto dell amaggiore età.
Se il minore iresce con raggiri a concludere una pseudo impresa, questo pure non essendo poi chiamato imprenditore, conserverà gli effetti co i terzi.

Oltre l’incapacità c’è l’incompatibilità coll’esercizio d’impresa da parte di alcune figure professionali, come gli impiegati civili dello stato, notai, avvocati, e la comunque attività imprenditoriale non comporta l’annullamento di questa, ma sanzioni amministrative alle figure predette ed aggravamenti penale nel caso di bancarotta art 219 l. fallimento.

IMPRESA commerciale dell’incapace
Minore ed interdetto = incapace
Inabilitato e minore emancipato = limitatamente incapace

Il nostro ordinamento prevede la conduzione d’impresa in nome e per conto di un incapace (interdetto o minore) o da parte di soggetti limitatamente incapaci (inabilitato e minore emancipato).
Per fare questo è prevista una normativa generale per le imprese agricole che rimanda in tutto e per tutto al diritto comune, e speciale per le imprese commerciali che derogano al compimento di atti giuridici da parte dell’incapace.
La differenza sostanziale tra incapaci e parzialmente incapaci e che gli atti dei primi vengono compiuti dai rappresentanti legali (genitori o tutori) per conto ed in nome dei primi, mentre i parzialmente incapaci svolgono in proprio i negozi ma sotto sorveglianza dei curatori.
Il patrimonio degli incapaci  è sottoposto ad un controllo tale da rendere automatici gli atti di ordinaria amministrazione per i rappresentanti legali in modo da conservare ed arricchire il patrimonio, mentre gli atti di straordinaria amministrazione devono per essere compiuti recare palese vantaggio economico e devono essere autorizzati dall’autorità giudiziale uno alla volta, lo stesso discorso vale per i limitatamente incapaci.
È’ tuttavia poco agevole questa disciplina in quanto la ratio sembra essere quella di volere evitare che l patrimonio del soggetto incapace non debba correre rischi, contraddizione in termini all’impresa, ed è pure poco agevole distinguere gli atti di ordinaria da quelli di straordinaria amministrazione, soprattutto per la celerità che occorre negli affari imprenditoriali.
Allora la norma vieta l’inizio di nuova attività per questi soggetti meno che per il minore emancipato , analizzando caso per caso si ha :

I minori

In nessun caso è consentito l’inizio di nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore , quando questo acquisti a vario titolo la titolarità dell’impresa, la conduzione con discrezioni diverse verrà effettuata del genitore 320, o dal  tutore 370, sempre previa autorizzazione dal tribunale, che può nello stallo decisionale promuovere l’esercizio provvisorio dell’impresa per la sua fisiologica continuazione.
Avvenuta l’autorizzazione definitiva il rappresentante legale del minore, genitore o tutore che sia, esercita a prescindere dall’ordinarietà o meno degli atti tutti i negozi tipici dell’impresa commerciale, occorrerà autorizzazione solo per quegli atti che non sono in sintonia colla conduzione dell’impresa (vendita immobili strumentali all’impresa).

 Interdetto.
Vale la stessa disciplina del minore 424, l’autorizzazione alla continuazione può valere  anche per esercizio di impresa commerciale dello interdetto prima dell’atto che lo giudicasse tale.

Inabilitato

 L’inabilitato è un soggetto la cui capacità di agire è limitata ai soli atti di ordinaria amministrazione.
La sua posizione per l’esercizio d’impresa è parificata a quella dell’incapace, pure se agisce autonomamente ma coll’approvazione del curatore,.
Gli atti di straordinaria amministrazione devono essere presi di concerto col curatore, e talvolta il tribunale può dare concessione agli atti dopo la nomina di un institore scelto dallo stesso inabilitato.

Minore emancipato.
L’art 397 prevede per il minore emancipato anche l’inizio di attività d’impresa , sempre previa autorizzazione dal tribunale.
Con l’autorizzazione il minore ha la piena capacità di agire senza l’assistenza del curatore, compiendo anche gli atti che eccedono la straordinaria amministrazione.
I provvedimenti autorizzativi del tribunale e gli atti che revocano lo status di imprenditore sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese, dunque coll’iscrizione l’incapace assume diritti ed obblighi dell’imprenditore commerciale.
Il fallimento del minore e dell’interdetto comunque sollevano problemi soprattutto morali in quanto la legge fallimentare procura una dicitura sulle incapacità personali nonché sanzioni penali, e non è certo corretto fare cadere queste situazione giuridiche sul minore in quanto pure essendo lui imprenditore, di fatto la gestione è del tutore o del genitore.
È possibile comunque sollevare il minore dal fallimento e farlo cadere sui suoi rappresentanti pure se non imprenditori utilizzando il 227 fall che tratta del fallimento dell’institore facendo leva sulla posizione di piena discrezionalità di questo all’interno dell’impresa, tanto da farlo considerare alter ego dell’imprenditore.
Per quanto riguarda invece le capacità personali del fallito minore, resteranno intaccate e provocheranno l’esclusione dalla professione di avvocato, di dottore commercialista, agente di cambio, etc, in quanto pure dichiarando falliti in qualche maniera gli institori, sui registri dei falliti andrà il minore.

LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE.

A - LA PUBBLICITA’ LEGALE

La pubblicità delle imprese commerciali
E’ una esigenza risentita per gli operatori economici quella di avere giuste informazioni sulle parti con cui contrarranno, ed è proprio questa la funzione della pubblicità legale delle imprese commerciali.
Questa funzione doveva essere esercitata dal registro delle imprese previsto dal codice del 1942 e doveva eliminare la disorganizzata pubblicità del codice del  1882.
In realtà il registro delle imprese è andato in funzione solo agli inizi del 1997, e la disciplina transitoria in vigore fino ad allora era ugualmente rovinosa, in quanto il compito della pubblicità veniva assolto coll’iscrizione alla cancelleria dei tribunali, ed era prevista solo per le imprese non piccole, poi le spa e le società cooperative doveva oltre questo adempimento pubblicitario iscriversi pure al BUSARL e BUSC, e tutte le imprese dovevano anche essere iscritte al registro ditte delle camere di commercio, comprese le piccole imprese.
Col riordino della disciplina, in effetti col vigore del registro delle imprese, tutto è stato omogeneizzato, e col riordino delle camere di commercio, primo passo verso l’attuazione del registro avuto agli inizi del 1997 c’è più ordine.
Inoltre il decreto del ministro Bersani dal 1/10/1997 ha abolito l’obbligo del BUSARL e del BUSC., in maniera  che anche per le società unico strumento per pubblicità legale è l’iscrizione al registro delle imprese, iscrizione dovuta a titolo di pubblicità notizia anche alle piccole imprese.
Le novità portate coll’attuazione del registro sono essenzialmente tre:

  • l’attuale registro non è più come da codice solo strumento di pubblicità, ma anche strumento di informazione sull’organizzazione e composizione dell’economia (da qui l’obbligo di iscrizione anche delle piccole imprese, degli agricoltori, degli artigiani)
  • il registro è tenuto dalle camere di commercio
  • il registro è tenuto con tecniche informatiche per un’informazione tempestiva e su scala nazionale.

Il registro delle imprese
Il registro è istituito con DpR 581/95.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito presso ciascuna camera di commercio , è diretto da un dirigente di questo ufficio scelto dalla giunta , che a sua volta è controllato dal presidente del tribunale del capoluogo.
Il registro è articolato in una sezione ordinaria e più sezioni speciali.
Nella sezione ordinaria  devono iscriversi tutte le imprese per le quali l’iscrizione produce effetti di pubblicità legale, è non sono solo quelli previsti dalle norme codicistiche, sono infatti tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:

  • imprenditori commerciali non piccoli
  • le società tranne quelle semplici, pure se no svolgono attività commerciale
  • i consorzi fra imprenditori con attività esterna
  • i GEIE
  • gli enti pubblici con attività unica o prevalente commerciale
  • le società straniere che hanno in Italia sede dei loro affari o che svolgono prevalentemente affari in Italia.

Nelle sezioni speciali vanno ad iscriversi tutti gli imprenditori che prima della riforma 580/93  erano esonerati, e che con tale riforma l’iscrizione assume la forma di pubblicità notizia, vale a dire:

  • gli imprenditori agricoli
  • i piccoli imprenditori
  • le società semplici,

In altra ed ulteriori sezione speciale vanno poi iscritti gli artigiani che sono già iscritti nell’albo loro dedicato.
Importante è da ricordare come da CB e Marasà che gli artigiani non qualificabili come piccoli imprenditori vanno iscritti oltre che nella sezione speciale, anche in quella ordinaria.
Gli atti da iscriversi sono tutti quelli necessari a fare riconoscere all’esterno l’impresa e l’atto costitutivo se si tratta di società, ovviamente tutte le modifiche vanno iscritte.
L’iscrizione si ha su domanda dell’interessato art.11 dpr 581/95, oppure d’ufficio se l’imprenditore non vi ha provveduto.
In ambo le fattispecie l’Ufficio del Registro delle imprese è tenuto a controllare la validità formale e sostanziale dell’iscrizione, mentre vi sono dubbi sul controllo che deve fare sulla validità dell’atto.
L’iscrizione deve avvenire entro dieci giorni dalla protocollazione della domanda, e si concretizza coll’inserimento dei dati in un  DB informatico.
Contro il provvedimento di non iscrizione, ci si può opporre entro giorni al giudice del registro che provvede con decreto, contro il decreto di questo ci si può appellare al tribunale.
L’inosservanza dell’iscrizione comporta sanzioni amministrative pecuniarie e altre sanzioni indirette come l’esclusione dal concordato preventivo e dall’amministrazione controllata.
Gli effetti dell’iscrizione, di contro, variano a secondo che questa avvenga nella sezione ordinaria o quelle speciali.
L’iscrizione ordinaria oltre ad avere effetti di pubblicità legale può avere efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa.
Normalmente l’iscrizione ha efficacia dichiarativa, cioè è strumento di conoscenza (di pubblicità legale) dei fatti dell’impresa, e l’ignoranza dei fatti iscritti nel registro da parte dei terzi non li giustifica. Oltre alla pubblicità legale l’imprenditore può utilizzare anche la pubblicità di fatto per avvisare di cambiamenti organizzativi i terzi  (ad esempio spedendo lettere dettagliate sui cambiamenti).
I fatti iscritti  sono opponibili a chiunque dal momento dell’iscrizione, c.d. efficacia positiva immediata, mentre i fatti omessi alla registrazione non sono opponibili se non comunicati con altra pubblicità di fatto, c.d. efficacia negativa.
In altri casi, sempre tassativamente previsti, l’iscrizione al registro ha effetti più significativi, è il caso dunque dell’efficacia costitutiva dell’iscrizione, che può essere totale quando si ha tra i terzi  e fra le parti, ovvero parziale solo nei confronti di terzi.
A titolo d’esempio ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione nel registro delle Spa, che prima giuridicamente non esisteva, mentre ha effetto costitutivo parziale, cioè verso i soli terzi, la deliberazione di diminuzione di capitale sociale per esuberanza (art. 2445).

Efficacia normativa.
E’ il caso in cui pure non avendo efficacia costitutiva l’iscrizione, è fondamentale per assoggettare  l’iscrivente a particolare discipline, come il caso di snc, che se non registrate pure esistono in forma irregolare, con la conseguente più penosa posizione dei soci.
L’iscrizione nelle sezioni speciali è solo mezzo di conoscenza anagrafica, dunque la pubblicità deve comunque essere fatta con mezzi più adatti per l’opponibilità ai terzi.

La pubblicità delle società di capitali e delle cooperative

Fino al 1 ottobre 1997 erano ancora in esistenza il BUSARL ed il BUSC, pure se ormai inutili vista la pubblicità in maniera telematica del registro delle imprese, per cui tale pubblicità era oppia ed inutile.
Deroghe, poche ma importantissime restano, infatti per le sole società di capitali, l’opponibilità dei fatti iscritti non è immediata, ma cade dopo quindici giorni dall’iscrizione.
Inoltre per le società di capitali e cooperative, in alcuni casi, come le convocazione dell’assemblea, mezzo pubblicitario resterà le gazzetta ufficiale e non il registro delle imprese.

B - LE SCRITTURE CONTABILI.

L’obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Le scritture contabili sono lo strumento che ha  l’imprenditore per controllare diacronicamente e sincronicamente l’andamento della sua gestione, e di principio dunque sono strumenti di cui l’imprenditore volontariamente  dovrebbe farne l’uso, tuttavia c’è la previsione dell’obbligo legislativo ex 2214 codice civile.
Riguardo la tenuta del 2214 la dottrina è divisa in tre parti, la prima promossa da Ferri ritiene che il legislatore ha imposta tale obbligo per fare si che l’imprenditore possa vigilare sulla sua gestione e sui suoi dipendenti, una seconda parte, quella di Galgano invece, suppone che l’obbligo ci sia per tutelare interessi alieni, privati e pubblici, ed una terza parte, Nigro che ritiene sterile il discorso in quanto si tutelano tutte le parti senza nessuna eccezione.

Le scritture contabili obbligatorie. Regolarità e controllo
La scelta del legislatore che al 2214 sancisce l’obbligo di tipo misto è più che apprezzabile.
La norma prevede infatti l’obbligo della tenuta dei libri che a secondo del tipo, della dimensione e del dislocamento dell’impresa saranno utili alla ricostruzione degli accadimento aziendali.
Sono previsti tuttavia come obbligo in primis il libro giornale ed il libro degli inventari.
Il libro giornale, 2216, è un registro cronologico e analitico, dove le operazione dovrebbero essere registrate “mano a mano” che accadono, norma questa presa leggermente e tollerata come presa in quanto nulla vieta di effettuare le registrazioni raggruppandole tra di loro ed in tempi diversi, sempre però tenendo conto dei principi della buona contabilità.

Il libro degli inventari è invece di tipo periodico sistematico, va compilato all’inizio dell’esercizio di impresa  e poi ogni anno successivo. Essendo lo scopo del libro degli inventari quello di rendere evidente la situazione patrimoniale dell’imprenditore, deve perciò comprendere anche la situazione economica e patrimoniale di questo estranee all’esercizio di impresa.
L’inventario si chiude collo stato patrimoniale ed il conto economico.
Per quanto riguarda le spa, la redazione del bilancio è analiticamente disciplinata dagli articoli 2423-2435 cod civ. e la dottrina ritiene che tali principi vengano estesi al bilancio in generale.

Le altre scritture che si devono tenere a secondo della dimensione e del tipo di impresa potrebbero essere :

  • il libro mastro, non cronologico ma sistemico in cui le operazione vanno raggruppate per tipologia
  • il libro cassa che registra le entrate e le uscite di contante o assimilati
  • libro magazzino per la contabilità di magazzino
  • il libro fidi per le banche
  • il libro dei sinistri per le imprese assicuratrici
  • libri imposte da legislazione tributaria ed infortunistica

L’inosservanza di tenuta di questi libri supplementari ma comunque obbligatori, non è sanzionata, in quanto soprattutto in sede fallimentare, tollerando la disattenzione, il dettato normativo si ritiene assolto e rispettato colla tenuta del solo libro giornale e del libro degli inventari più la corrispondenza, che ex 220 devono essere conservati per 10 anni.

Di principio le scritture contabili devono rispettare formalità estrinseche come la bollatura e la numerazione di ogni pagine, e formalità intrinseche, le norme cioè della buona contabilità.
Controlli particolari sulla tenuta delle scritture contabili sono fatte per le Spa dalle società di revisione, dpr 136/75).
Le sanzioni civili per la mancata tenuta delle scritture contabili sono di tipo eventuale ed indiretto, infatti l’imprenditore non può utilizzare la contabilità come prova a suo favore, non può essere ammesso al concordato preventivo, etc.

 

 

 

 

I SEGNI DISTINTIVI

Fra le variate strategie di differenziazione dei prodotti quelli che più importano, tanto che regolati da legge sono il marchio l’insegna e la ditta.

A. La ditta

La ditta è il nome sotto cui l’imprenditore esercita l’impresa mentre l’insegna è il nome ed il simbolo dell’azienda. La ditta deve essere necessariamente costituita anche dal cognome o dalla sigla dell’imprenditore, mentre l’altra parte può anche essere di pura fantasia, sempre che il nome non induca all’inganno il consumatore. L’onere della differenziazione della ditta ex 2564 è difficoltoso vista l’assenza del registro delle imprese fino al 1990.
L’articolo 2565 disciplina la trasferibilità della ditta in capo ad altre persone, la c.d. ditta derivata.

B. l’insegna

Per l’insegna si applicano come 2568 le regole della ditta, pure potendo variare con maggiore liberta non avendo nessuna limitazione propria, solo quella generica dell’originalità.
Per mezzo di pratiche e contratti commerciali integrati come il franchising, sempre più importanza sta assumendo il ruolo dell’insegna.

C. I marchi d’impresa in generale, l’acquisto del diritto del marchio.
La funzione del marchio, comunque esso sia costituito, è quella di collegare un bene o un servizio all’impresa da cui derivano. L’acquisto del titolo di esclusività nell’utilizzazione del marchia si acquista per registrazione e deposito del marchio o per uso di fatto del segno.
Il diritto di utilizzazione dura dieci anni colla possibilità di rinnovo alla scadenza art.4 l. marchio 1992. Qualora non si procedi alla registrazione del marchio, per detenerne l’esclusività occorre dimostrare un uso di fatto cioè dimostrare che l’imprenditore intenda utilizzarlo come segno distintivo dei suoi prodotti e servizi, fatto che può aversi ad esempio colla pubblicità.Essendo la funzione del marchio quella di rendere riconoscibili dei prodotti, contiene in maniera intrinseca la dfn di impresa, da qui il divieto di chiederne l’utilizzazione ai non imprenditori fino alla riforma del 92.L’articolo 22 della l. marchio infatti contiene l’utilizzazione indiretta del marchio, cioè si considera sufficiente ai fini della registrazione anche un uso indiretto da parte di imprenditori che sia controllanti dell’impresa.Così anche si legittima il possesso del marchio da chi imprenditore non lo è.

 

 

 

 

 

 

 

 

OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI

La tutela del diritto d’autore: oggetto e contenuto.
L’articolo 2575 e 1 della legge sulla tutela dell’autore considerano costituenti di tale diritto le scienze, letteratura, arte figurativa, teatro e cinematografia in qualsiasi modo e forma espressiva.
Per quanto riguarda le opere di ingegno e le invenzioni si deve distinguere tra poteri riconducibili alla tutela della personalità che sono irrinunciabili, imprescrittibili e intrasmissibili, e poteri riconducibili alla sfera patrimoniale dei soggetti interessati ai diritti.
I diritti economici, patrimoniali, durano per la vita dell’autore e per cinquant’anni dalla scomparsa , ed in questo caso spettano agli aventi titolo per atti inter vivos o mortis causa. I contratti tipici di utilizzazione del diritto economico di autore è l’edizione, con cui si cede all’editore il diritto di utilizzazione, e i contratti di esecuzione o rappresentazione per le opere musicali e teatrali.
Talune fattispecie protette, quali l’arte applicata e i programmi per  calcolatore.
L’arte applicata alle creazioni industriali è la strada che l’imprenditore scegli di percorrere per reagire alla standardizzazione della produzione in serie, dunque che utilizza per differenziare i propri prodotti.La normativa sul diritto d’autore considera comprendenti in questa disciplina i
designer industriali, arte applicata all’industria, qualora il contenuto artistico sia scindibile dal prodotto industriale, e per scindibile si è voluto intendere la qualità artistica che concettualmente si può scindere dall’oggetto materiale, per cui qualora vi siano tali requisiti il diritto sull’opera viene
tutelato alla pari di quelli statutariamente previsti dalla legge come pittura, disegno e scultura.

 
L’AZIENDA

Impresa, imprenditore e azienda
2555 c.c. L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.Dall’articolo 2082 risulta imprenditore chi professionalmente esercita
un’attività organizzata economica al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi.Norma questa che deve essere letta contiguamente al 2555 per quanto riguarda l’organizzazione dei fattori produttivi, ovvero tutto quanto è strumentale all’imprenditore ed a lui esogeno per svolgere l’attività dell’impresa, infatti l’azienda non è come la professionalità endogena alla persona fisica o giuridica che svolge l’attività imprenditoriale.Inoltre la nozione di azienda è indispensabile a permettere una legge di circolazione nell’attività d’impresa, essendo l’azienda strumento mutabile della produzione.

Il rapporto fra le nozione di impresa e di azienda -la nozione di azienda nel codice civile italiano.
Anche se vanto dogmatico di taluni, la distinzione tra impresa e azienda proprio per la legge di circolazione di quest’ultima deve essere vista per motivi pratici, essendo l’azienda non componente separata dell’impresa, ma autonoma ed interna a questa. Una delle tesi migliori di distinzione delle due entità era quella di trovare nella stessa realtà oggettiva un aspetto dinamico nell’imprenditorialità, ed uno statico nell’azienda, peccando però, nel considerare la ricerca dei mezzi per  acquisizione dell’azienda, c.d. atti di organizzazione, quali già atti d’impresa.
Proprio per questo non ci si deve stupire per avere nell’interno della nostra legislazione confusione tra nozioni di cui 2082 e 2555, esempio è l’articolo 2557 sull’alienazione dell’azienda, che vieta la concorrenza dunque attività d’impresa e non l’azienda.

L’avviamento d’impresa.
L’azienda è l’insieme di beni eterogenei che solo grazie all’imprenditore ed alle sue doti vengono fatti combaciare per il fine della produzione, e proprio la capacità di adesione dell’imprenditore dei vari elementi materiali ed immateriali, mobili ed immobili, fungibili o meno, creano una plusvalenza rispetto agli stessi beni non utilizzati ed organizzati al fine produttivo. Tale plusvalenza rappresenta l’avviamento dell’impresa. Inoltre deve essere superata la nozione duplice dell’avviamento in oggettivo e soggettivo, in quanto sempre riconducibili all’intuito affaristico
dell’imprenditore, e di convesso dovrebbe essere rinforzata la distinzione tra beni capaci di produrre ricchezza anche dopo il trasferimento o meno.
Il valore economico dell’avviamento viene riconosciuto dall’articolo 2424 stato patrimoniale in quanto una posta dell’attivo è ad esso destinato ed inoltre dall’art. 34 della L. 392/78 dell’equo canone che attribuisce al conduttore in caso di cessazione del rapporto di locazione, nel caso che questo sia per usi commerciali, un’indennità da parte del locatore per la perdita dell’avviamento.

I beni costituenti l’azienda.
Il concetto di azienda è il metodo per disciplinare il trasferimento dei beni organizzati all’impresa da parte dell’imprenditore.
Nella lettera dell’articolo 2555 sembra che vi siano compresa solo i beni definiti come da articolo 810, anche se una parte della dottrina vuole fare rientrare tra questi anche i diritti intercorrenti tra l’azienda e l’ambiente circostante a questa.
Per quanto riguarda i rapporti di lavoro subordinato, vengono questi trasferiti per forza di legge in capo all’acquirente, mentre per gli altri tipi di contratti, pure essendo automatico il passaggio, è possibile per volontà delle parti che non avvenga.
Dunque affinché avvenga realmente la traslazione d’azienda occorre che le parti no abbiano escluso dal passaggio tutti quei rapporti che permettono la funzionalità fisiologico dell’azienda, c.d. contratti aziendali.

Le teorie relative alla natura giuridica dell’azienda.
L’azienda a seconda dei casi può essere ritrovata in pochi o parecchi elementi dell’impresa.
Tra questi elementi si devono riconoscere quelli strutturali. Una volta individuati questi, la dottrina si propaga in due direzioni di scuola, una atomistica, l’altra unitaria nella quale prevale la tesi universalistica. La prima scuola di pensiero considera tanti diritti reali e di godimenti da
parte dell’imprenditore quanti sono i beni costituenti l’azienda, mentre la teoria universalistica considera l’azienda un unico bene e la sottopone dunque alla legge di circolazione della universalità dei beni ex 816 c.c. Questa scuola è comunque da escludere visto che la rubrica dell’universalità dei
beni recita che all’universalità rientrano bei della stessa persona proprietaria, caratteristica senza dubbio assente nell’azienda, i cui beni a vari titoli possono configurarsi legati da rapporto giuridico coll’imprenditore.

Il trasferimento dell’azienda : contenuto e forma.
Affinché si abbia trasferimento a titolo pieno o a titolo di godimento di un’azienda secondo gli articoli 2556 ss c.c è necessario che al trasferimento siano inclusi tutti i beni che permettano di intraprendere un’attività d’impresa, altrimenti non si avrà la fattispecie di cessione d’azienda, bensì di cessione di beni aziendali. Inoltre i beni trasferiti a titolo d’impresa non devono essere enucleati un per uno, basta infatti che siano indispensabili all’attività d’impresa per essere considerati trasferiti all’azienda, mentre qualora non siano ceduti, e sempre che non siano indispensabili, devono essere elencati analiticamente. Per quanto riguarda le forme da rispettare per la validità lo stesso 2556 sancisce che ai fini probatori per le imprese coll’obbligo di iscrizione, i contratti di cessione e di costituzione di diritti di godimento sull’azienda, devono essere provati colla forma scritta, mentre per la validità dell’alienazione devono essere rispettati i requisiti dei singoli beni
trasferiti, c.d. teoria atomistica. Da ricordare chela legge 310/93 ha reso effettivo il regime pubblicitario contemplato dal 2556.

 

Il divieto di concorrenza.
L’articolo 2557 dispone del divieto di concorrenza nel caso di cessione, fitto o usufrutto dell’azienda da parte dell’alienante per tutta la durata del contratto in caso di affitto ed usufrutto o per cinque anni consecutivi dall’atto traslativo per il caso di cessione. La lettera dell’articolo dunque considera lecita l’attività non in forma d’impresa, dunque occasionale dello stesso tipo, ed ancora si pensa lecito, sempre che ne fosse a conoscenza l’acquirente, il prosegui dell’attività
sviabile di clientela, anche in forma organizzata di imprese già possedute  dall’alienante prime della cessione a qualunque titolo essa sia. E’ invece considerata illecita l’attività d’impresa svolta dall’alienante in caso di azienda già funzionante ceduta a lui per atto inter vivos o mortis causa
avvenuti dopo l’alienazione. Il motivo del divieto di concorrenza è da ricercarsi nel principio secondo il quale chi aliena un qualche cosa non ha su di esso nessun diritto , e l’attività concorrenziale deve essere a tutti gli effetti considerata rimpossesso, in questo caso, di clienti, inoltre è evidente che nella vendita, l’avviamento rappresenti un surplus per l’alienante rispetto alla mera addizione dei valori dei beni aziendali ceduti, per cui, visto che l’acquirente ha sborsato una cifra a titolo di avviamento, deve pretendere dal dante causa un comportamento che faccia appieno godere la struttura ora in suo possesso (dell’acquirente).

Talune ipotesi controverse di applicazione del divieto.
Il presupposto della somma pagata dall’acquirente a titolo di avviamento dell’impresa, permette la non applicabilità del divieto del 2557 qualora dai contratti risultasse esplicitamente la non corrispensione di questo elemento.
Il principio dettato della norma rende questa applicabile talora in via diretta, altre in via analogica
anche a questi casi:

- Alienazione di azienda non ancora utilizzata dall’alienante.
Avviene che le attività di organizzazione dell’impresa, hanno di per se intrinseche la dimensione dell’imprenditorialità, considerata in alcuni testi economici la quarta dopo , terra, lavoro, capitale, dunque nella cessione già deve essere compreso il prezzo per l’avviamento.

- Vendita coattiva dell’azienda.
Pure non potendo essere inquadrato come venditore il fallito che vede cedersi l’azienda dal curatore fallimentare, deve comunque difendersi il diritto dell’acquirente ad esercitare e godere pienamente del proprio acquisto, anche perché non è detto che non possa recare fastidi concorrenziali l’alienante coattivo dell’azienda.

- Assegnazione di azienda in sede di divisione.
In caso di successione ereditaria di azienda, scioglimento di comunione di azienda o liquidazione di società, per lo stesso fatto che oggetto è l’azienda e non i beni aziendali, deve ritenersi palese la volontà di rimanere integro il  valore di avviamento.

La successione nei "contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda".
L’articolo 2558 prescrive che salvo patto contrario, l’acquirente dell’azienda subentra a pieno titolo e automaticamente nei contratti per l’esercizio dell’azienda. A questo punto la tutela del terzo ceduto non viene considerata, infatti cade l’articolo 1406a tutela di questo che subordina la cessione del contratto alla sua volontà. Pure essendo il terzo tutelato dallo stesso 2558 che prevede il diritto di recesso entro tre mesi dai contratti per l’esercizio dell’azienda qualora vi sia la giusta causa, c’è comunque meno tutela in primo proprio perché l’onere della prova è a carico del ceduto, ed inoltre si tratta di vera e propria risoluzione contrattuale non essendo possibile ai senso del 2557 la continuazione del contratto in capo all’alienante.

I contratti aventi carattere personale.
L’ultimo comma del 2558 prevede l’inapplicabilità dell’automatismo di trasmissione dei contratti aventi carattere personale. Nell’inquadrare questa tipologia di contratti risultano due filoni principali, uno considerante la norma a difesa degli interessi del terzo, considerando i contratti personali quelli intuitus personae, ove cioè è rilevante la persona obbligata nel contratto, dove dunque la figura della persona è oggettivamente impossibile, esempio è l’opera d’intelletto e artistica. L’altro filone, concettualmente contrapposto con questo, vede la ratio a difesa dell’imprenditore entrante in azienda, e riguarda in particolare i contratti a carattere personalissimo quale la scelta delle consulenze aziendali. L’evoluzione del primo filone porta a non considerare contratti personali tutti quelli intuite personae, per cui la selezione porta sempre più ad avvicinare le
scelte che si farebbero nei due filoni pure rimanendo sempre di concetti diversi. Inoltre la scelta viene fatta sempre con criteri oggettivi, per cui l’imprenditore sceglierà sempre la persona più adatta alle mansioni che dovrà svolgere.

La sorte dei crediti dei debiti relativi all’azienda ceduta.
Gli articoli 2559 e 2560 riguardano l’opponibilità dei crediti e dei debiti senza però disciplinare i rapporti tra cedente ed acquirente. La dottrina in proposito è divisa in due, c’è una parte che considera automatico il trasferimento delle pendenze, l’altra invece l’opposto. La cessione dei crediti secondo il 2559 è efficace quando viene il trasferimento iscritto nel registro delle imprese, dunque soluzione inapplicata fino al 93 colla 310, e questa cessione aveva efficacia anche in caso di mancata notifica al ceduto o della sua accettazione. Il comma secondo 2556 prevede a favore dei creditori dell’imprenditore alienante una eccezionale solidarietà tra acquirente e cedente per i debiti aziendali risultanti dai libri obbligatori contabili. L’articolo di norma generale 1273 prevede, e qui applicabile che l’alienante non è liberato dai debiti anteriori alla cessione se non vi è consenso dei
creditori.
Discosta dalla disciplina generale l’articolo 2112 modificato da l.428/90 secondo la quale l’acquirente è solidamente responsabile col cedente dei crediti che il lavoratore dipendente aveva al tempo del trasferimento. L’acquirente può liberare l’altra parte secondo i modi degli articoli 410 e 411 cpc.

L’usufrutto e l’affitto dell’azienda.
Molto è trattato l’aspetto dell’usufrutto dell’azienda all’articolo 2561 e dell’affitto al 2562 dove si rimanda all’usufrutto. Il problema è nel contemperare la conservazione organica dell’azienda e
l’efficacia della struttura, dunque la conservazione del valore di avviamento in capo all’usufruttuario. Da qui gli obblighi di conservare la ditta dell’azienda e di non mutare
strutturalmente l’azienda. In caso di mancato rispetto secondo l’articolo 1015 sarà responsabile
l’usufruttuario per abuso del suo diritto. Visto che è fisiologico in un arco di tempo consistente le variazioni di beni funzionali all’azienda, la differenza di questi riscontrata dall’inizio dell’usufrutto o dell’affitto, fino alla cessazione, risultante dai libri d’inventario, saranno regolati in danaro.

II volume di Campobasso. Diritto societario.

Il sistema legislativo.

Le società come recita il 2247  “sono contratti tra due o più persone conferenti  beni o servizi per lo svolgimento di un’attività d’impresa coll’intento di dividerne gli utili”.

Pur essendo otto i tipi societari presenti nel nostro ordinamento, il 2247 rappresenta il fulcro dell’intera disciplina, il contratto societario.

Il contratto di società.

E’ un contratto che rientra nella più ampia fattispecie dei contratti associativi o con comunione di scopo, dove come osserva Graziani, il fenomeno che soddisfa le parti è unico, l’esercizio in comune di un’attività economica, a differenza di altre tipologie contrattuali dove ogni part è soddisfatta per una peculiarità diversa del contratto.

  • nei contratti associativi ciascuna parte che vi partecipa non è obbligata in linea di principio a conferire beni in una qualità o quantità determinata, in quanto non c’è un principio di corrispettività tra gli associati del contratto, e di contro tutti i conferimenti vanno a svolgere una funzione comune di finanziamento all’attività produttiva.
  • Il contratto associativo è plurilaterale ed aperto
  • Il contratto associativo, e quello di società in particolare, è contratto che disciplina l’organizzazi0ne futura, per cui i conferimenti non sono altro che la struttura iniziale del contratto, che è situazione strumentale e non finale del rapporto tra i soci contraenti.

 

Ora visto che c’è questa distinzione tra i contratti tout court ed i contratti associativi, ne deriva che per gli ultimi c’è una disciplina speciale , in particolare per quanto riguarda la nullità, annullabilità, risoluzione, inadempimento e sopravvenuta impossibilità agli obblighi, questi toccano solo la parte viziata e non tutto il contratto associativo.

I conferimenti.

Le società abbiamo già detto sono riconducibili ai contratti associativi, a distinguere la società da altri contratti della stessa tipologia, è la coesistenza dei seguenti elementi:

  • conferimento dei soci
  • esercizio in comune dell’attività economica (c.d. scopo mezzo)
  • ripartizione dei potenziali utili (c.d. scopo fine o elemento teleologico)

LA funzione dei conferimenti è di dotare la neo nata impresa di un capitale di rischio iniziale per l’attuazione della stessa.
Ogni socio col proprio conferimento deputa in maniera stabile il proprio patrimonio all’esercizio d’impresa  andando in contro alla non remunerazione se mancano gli utili, alla de – capitalizzazione del proprio investimento se ci sono perdite, oppure alla remunerazione in caso di utili societari.

Riguardo la natura dei conferimenti, la norma generale è dettata dall’articolo 2247 che dichiara che ogni bene o servizio può entrare tra il ventaglio dei conferimenti , dunque ogni cosa suscettibile di valutazione economica , anche se poi ci sono deroghe evidenti per le società di capitali e cooperative.

 

Riguardo ai conferimenti occorre distinguere :
Patrimonio sociale e capitale sociale.

Il patrimonio sociale è definito come il complesso delle situazioni giuridiche attive e passive che fanno capo alla società, in particolare è costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dei soci.
Il patrimonio sociale non è un’entità fissa, ma mutevole sia qualitativamente che quantitativamente in funzione delle gestione ordinaria della società.
La quantizzazione del patrimonio sociale attraverso il calcolo del patrimonio netto, è data dalla differenza tra attività e passività ed è calcolato ogni anno attraverso la redazione del bilancio d’esercizio.

Secondo il 2740, l’attivo patrimoniale del patrimonio sociale è la garanzia generica dei creditori societari.
Tale garanzia è esclusiva nel caso di società dotata di personalità giuridica, principale se società a responsabilità illimitata dei soci.

Il capitale sociale nominale è invece un valore storico, dato all’atto costitutivo della società come insieme delle valutazione dei conferimenti versati o sottoscritti, e tale valore cambia solo da modificazione dell’atto costitutivo dove può aumentare per nuovi conferimenti o ridursi per perdite subite.

Il capitale sociale nominale svolge funzioni vincolistiche ed organizzative.

Ha una funzione vincolistica in quanto il capitale sociale nominale è la parte di attività patrimoniale che i soci non possono disporre, la parte dei conferimenti che sono destinati a perdurare in questa situazione,  e che non può essere ripartita.
La ripartizione si potrà avere solo quanto il patrimonio netto (attività meno passività, supera l’ammontare del capitale sociale.
Il capitale sociale indica una parte ideale del patrimonio netto non distribuibile (c.d. capitale reale), infatti il capitale sociale nominale è iscritto tra passività del bilancio insieme ai debiti.

Il capitale sociale nominale svolge anche una funzione organizzativa.

Anche se a differenza del patrimonio sociale, il capitale sociale nominale è una cifra numerica, molto importanti sono le funzioni organizzative che da questo ne discendono.
Il capitale sociale è un metro per la determinazione del  bilancio d’esercizio, infatti siamo di fronte ad utili d’impresa se le attività superano le passività societarie, e tra queste deve comprendersi anche il capitale sociale nominale, solo e solamente se c’è eccedenza si potranno avere ripartizione degli utili.

Limitatamente alle società di capitali, il capitale sociale nominale attribuisce i poteri amministrativi ai soci in funzione della quota da loro versati per entrare in società.

L’esercizio in comune dell’attività economica.

Il secondo elemento distintivo il contratto di società dall’insieme dei caratteri associativi  è l’esercizio in comune di un0attività economica, attività che a tutti gli effetti deve dunque essere d’impresa.

 

Fissare i mini oggettivi per l’imputazione dell’attività produttiva in comune è arduo, viste pure le differenze nell’amministrazione societarie dapprima tra società di capitali e di persone, poi all’interno delle stesse due famiglie.

La ratio dovrebbe essere quella dell’esistenza di un risultato economico comune, cioè imputabile prima che ai soci singoli, alla loro pluralità, alla società stessa.
Come il CB fa notare mai può essere considerata società quella tra due persone che acquistano un camion per sbrigare affari distinti, dove l’acquisto del camion è solo una sinergia sui beni strumentali di due singole imprese.
Deve essere il modo di svolgersi dell’attività a farla identificare come imputabile a più persone ci deve cioè essere la comunione nei rischi dell’attività e soprattutto nella gestio.

Lo svolgimento di un’attività in comune permette di distinguere l’associazione in partecipazione dal contratto di società.
Nell’associazione in partecipazione, 2549 “l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili d’impresa di uno o più affari dietro corrispettivo di un apporto monetario”.
Dalla lettera del 2549 si evince che comunque l’attività d’impresa è svolta dal solo imprenditore e l’unico potere che ha l’associato visto che è soggetto al rischio della perdita del suo apporto 2553, è di controllare sulla gestione dell’impresa, 2552 co.2.

Società e impresa. Le società occasionali.

Generalmente l’attività della società presenta coesistenti la professionalità e l’organizzazione, tale da fare dire che la società svolge un’attività d’impresa.
Ne deriva che la società è titolare i un’impresa collettiva ed è soggetta alla disciplina dell’impresa, in particolare se è una società commerciale è soggetta al fallimento.

Ci si chiede se è però possibile la figura di società senza impresa, in particolare come ci si comporta di fronte alle società occasionali e le società fra professionisti.

L'articolo 2247 richiede che la società abbia carattere organizzativo ma non parla certo di professionalità, ovvero della prevalenza della specie su altre forme remunerative previsto proprio dal 2082.
Dunque è legittimo pensare che l’attività economica in comune pure se non professionale può far nascere una società occasionale, a cui sarà applicata la disciplina societaria ma non quella dell’impresa, e nel caso di impresa commerciale non sarà soggetta al fallimento.

Essendo più analitici ed obiettivi bisogna distinguere tre casi:

  • quando si svolge un unico atto in comunione non si ha né impresa né società.
  • Lo svolgimento di un singolo affare complesso porta alla costituzione di società e di impresa
  • Società senza impresa, vera e propria società occasionale, che è meramente residuale dalle altre due ipotesi per cui ai fini pratici è difficile da condurre una tale situazione, a cui si ripete si applicherà la disciplina della società ma non quella d’impresa, è il caso prospettato da CB della raccolta in pianta di un partita di agrumi svolta da due persone.

 

Le società fra professionisti.

L'attività dei professionisti intellettuali è un’attività economica produttrice di servizi intellettuali, ma non è considerata attività d’impresa, per cui una società tra professionisti intellettuali darebbe origine ad un’altra società senza impresa.
Comunque è controversa la possibilità della costituzione di società fra professionisti.

Vedendo l’articolo 2232 c.d. si nota che i professionisti intellettuali devono svolgere personalmente gli incarichi affidatigli .
Inoltre la l. 1815/39 dice che le persone dotate di idonei titoli che si associano per l’esercizio della professione, nella denominazione del loro ufficio non possono usare nessun titolo societario, ma la dicitura studio tecnico, legale, etc, seguita dai titoli idonei e dai nomi dei professionisti associati (art.1).

L’articolo 2 dice che è vietato costituire sotto qualsiasi forma figure diverse da quelle del primo articolo, anche per consulenze a titolo gratuito.

Ci si chiede se è il combinato normativo sopra esposto a fare considerare in maniera inderogabile la forma di società tra professionisti intellettuali.

Il primo passo da fare per dare una risposta è quello di distinguere le società tra professionisti da altre forme associative che non ricadono nel combinato 2232  c.c., l.1815/39, partiamo da queste.

L’incarico congiunto,
dato a due professionisti non certo è configurabile come società fra questi in quanto l’incarico è plurimo e personale.
Le attività sono distinte ma possono pure essere di sussidio l’un l’altra, l’importante è che la responsabilità cade su persone e non su società da queste costituite.

 

Società di mezzi,
e quella società costituita tra professionisti per acquistare un’impresa in cui ognuno di loro è socio, ma eserciteranno all’interno di questa impresa l’incarico personalmente, tutti gli affari saranno da lui portai a termine in conto proprio.
La società è attuata al fine di ripartire il costo ed il prezzo dei mezzi.

Società di servizi imprenditoriali,
è una forma dove nella società compaiono professionisti intellettuali, ma la loro funzione è strumentale e servente al fine ultimo della società, che sarà un servizio che non si identifica con nessun elemento essenziale tipico delle professioni protette, l’esempio tipico delle società di servizi imprenditoriali è la società di engineering.
In questo tipo societario, normalmente spa, il lavoro del professionista ingegnere o architetto è solo una parte del più complesso risultato finale, che è meglio identificabile come contratto di appalto di servizi anziché contratto di opera intellettuale.

Lo stesso discorso vale per le società di elaborazione elettronica di dati contabili, non potendosi identificare in questo lavoro quello tipico dei dottori commercialisti e dei ragionieri.

 

La stessa tipologia di società potrebbe essere per le società di revisione contabile istituite con l . 136/75 che hanno lo scopo di certificare i bilanci di società quotate in borsa o al ristretto.
Il compito di tale società non si esaurisce nella professione tipica dei dottori commercialisti e dei ragionieri  in quanto il loro scopo era già evidente nel legislatore del ’39 che li definiva come società che “si propongono sotto forma di impresa, di assicurare … l’organizzazione e la revisione contabile di aziende.”.
Lo stesso vale per i CAAF, il cui fine non è quello delle professioni di d.c. o rag, ma il dare il visto di conformità  alle dichiarazioni tributarie o di agevolare nella compilazione dei modelli contabili gli utenti.
Tuttavia il problema non sembra in questo caso risolto in quanto i professionisti non possono essere soci delle società CAAF.

Tornando al discorso delle società fra professionisti vere e proprie…

Sarebbero considerate tali le società tra professionisti costituita nell’intento di operare proprio la professione, per cui visto che gli obblighi sarebbero allora assunti dalla società, si andrebbe contro il combinato 2232 c.c.  L. 1515/39.

LA dottrina tende a distinguere le professioni protette, quelle cioè che per l’esercizio bisogna iscriversi in particolari ruoli o albi, e professioni nn protette.
Per le protette si è rigidi a considerare inconcepibile la forma societaria, e quando con deroga esplicita la si ammetta, solo in forma di società di persone in maniera da tenere distinte le personalità giuridica dell’impresa da quella  propria del socio, mentre per le professioni non protette si tollera la forma societaria anche in spa, esempio di professioni non protette sono gli esperti di ricerche di mercato e gli agenti pubblicitari.

Secondo il CB nessuna deroga ci deve essere al principio che vieta la forma societaria per le professioni protette, anche se ritiene giusto, in via prospettica, che il 1515/39 non imponga nessun ostacolo assoluto.
Il CB giustifica la sua tesi nel fatto che elemento essenziale delineato dal 2232 è la personalità dell’opera prestata, requisito che verrebbe annacquato per interposto istituto, quello della società, infatti le obbligazioni verrebbero assunte da questa, e non dalle persone dei soci.

Per quanto riguarda invece le professioni non protette, chiarisce CB, si ammette pure la forma societaria, ad esempio per gli esperti di ricerche di mercato, ma nello stesso istante della costituzione cadrebbero i requisiti del 2232 e conseguentemente anche l’atteggiamento di favore del 2238, cioè non si verrebbe più considerati prestatori di contratti d’intelletto ma imprenditori, con la relativa assoggettabilità a tale disciplina.

Lo scopo – fine delle società.

Pure se il 2247 prevede come unico scopo delle società quello della divisione degli utili , non è questo l’unico motivo che spinge le persone a concludere un contratto di società.
Infatti dividendo il lucro normalmente detto in lucro oggettivo e lucro soggettivo, si intendere per il primo il lucro derivante dall’attività della società  e che resta in questa per perseguire lo scopo consortile o mutualistico, per la seconda il lucro propriamente detto, quello derivante dalla partecipazione agli utili.

In fine dunque la società sempre persegue uno scopo egoistico , a volte riscontrabile nello scopo mutualistico o  consortile, l’altro al lucro soggettivo.

 

Società ed associazioni.

La differenziazione tra società ed associazioni del primo libro del codice civile devono essere individuate nell0 scopo – fine dell’istituto.

  • per le società a differenza delle associazioni , l’attività è positivamente indicata nel codice, ed è lo scopo egoistico (mutualistico, consortile, lucrativo che sia), e deve essere svolto almeno col principio dell’economicità
  • lo scopo fine delle associazioni del primo libro codice civile è invece l’eterodestinazione , infatti degli articoli 24,31 e 37 si desume che le associazioni sono enti a scopo ideale o altruistico.

 

Conseguenza è che un gruppo associativo quando opera producendo e devolvendo gratuitamente o con prezzi politici la sua opera, si configura un’impresa collettiva ma non una società.

Anche però quando si opera con metodo economico o lucrativo, ed istituzionalmente (come da statuto), i proventi vengono devoluti si resta nel campo delle associazioni e non delle società, dunque l’elemento distintivo deve essere l’autodestinazione per le società, l’eterodestinazione per le associazioni.

Ci si pone la problematica della costituzione in società, in spa, delle associazioni, se insomma le associazioni pure conservando i requisiti del 24,31,37 possono costituirsi come spa.
Non è un mero problema dottrinario, ma pratico, in quanto le associazioni sono sottoposte per avere personalità giuridica ad un iter più complesso che per le spa, dunque la tendenza è di costituirsi in spa e dichiarare nello statuto uno scopo mutualistico, consortile, o lucrativo, di fatto muoversi poi in altra direzione, quella idealistica delle associazioni, il che pure se meritevole è illecito.

Una parte della dottrina minoritaria ma importante come Santini, delineando il percorso della disciplina societaria dal 1942 ad oggi, ha osservato che la spa è ora solo modello organizzativo che può essere utilizzato per qualsiasi motivo si voglia, dunque avalla l’ipotesi di associazioni costituite in spa.

Il sistema codicistico non offre la derogabilità statutaria, tra i dati non certo è decisivo l’articolo 2332 che tra gli elementi che annullano la spa non menziona la mancanza dello scopo do lucro, e pure se nelle società consortili 2615 ter esplicitamente si accetta lo scopo non lucrativo, questo è lungi dall’essere considerato scopo non economico.

La legislazione speciale più volte ha istituito società senza scopo di lucro né oggettivo né soggettivo, perseguenti interessi pubblici ed antitetiche col principio dell’economicità.
Nelle società senza scopo di lucro soggettivo vanno annoverate quelle sportive regolate da l. 91/81, tale legge impone ai gruppi sportivi di costituirsi come spa o srl, e di reinvestire in società tutti i proventi agonistici e non, inoltre anche in sede di liquidazione, ai soci va rimborsato solo il valore nominale della partecipazione, gli utili vanno invece devoluti al CONI, art.13 co.2.

Pure essendo non poche le società senza scopo di lucro, saranno comunque un numerus clausus, sempre e solo quelle previste da legge, non è prevista la forma societaria per le associazioni, scoglio eludibile dichiarando alla costituzione della società lo scopo di lucro e  non dichiarando nell’atto costitutivo clausole che impediscano la divisione degli utili tra i soci. Sui rimedi di questa simulazione Marasà prospetta la nullità della costituzione per simulazione.

 
Società e comunione.

Nella società il patrimonio (beni in comune ai soci), hanno funzione servente rispetto l’attività d’impresa.
L’organizzazione di gruppo ha i più ampi poteri sul disporre del patrimonio sociale.

Di contro

Nella comunione il rapporto beni – attività s’inverte.
L’attività svolge funzione servente nei confronti dei beni, l’attività si attua per garantire il migliore godimento individuale (diretto se esercitato da comproprietari, indiretto se da altri).

Il legislatore stabilisce all’articolo 2248 che “la comunione costituita o mantenuta al solo scopo di godimento di una o più cose è regolata dal titolo vii libro iii”.

La società è un contratto che regola l’attività in comune di un’impresa, mentre la comunione è una situazione giuridica che sorge quando più persone sono titolari di un diritto di proprietà o altro diritto reale sullo stesso bene.

 Differenziare le due figure sono nell’essenza l’autonomia patrimoniale delle società, che anche atteggiandosi in diversa maniera tra le diverse società esiste sempre, e la mancanza di quest’autonomia nella comunione.
Per le società, infatti:

  • il contratto non può essere sciolto unilateralmente
  • il socio non può servirsi del patrimonio sociale per fatti estranei alla società
  • i creditori personali dei soci non  possono accanirsi sul patrimonio sociale.

Il tutto è non vero per la comunione.
LA ratio è individuabile nel non distogliere i beni strumentali all’impresa al fine di non collassarla, proprio per questo sono considerate illegittime le società di mero godimento, mentre sono del tutto consentite le società dove coesistono godimento di beni conferiti e creazione ex novo di beni e servizi.

 Ne consegue che è del tutto illegittima la società immobiliare di comodo, società dove i soci conferiscono immobili dichiarando nell’atto costitutivo come oggetto sociale la compravendita, cosa che di fatto non avviene, ed il solo scopo è quello di sottoporre gli immobili ai regimi tributari agevolati per le imprese e di sottoporli ad un regime particolarmente vantaggioso in sede di applicazione dell’imposta di successione, tale fenomeno presente in maniera copiosa è difficile da verificare, Marasà prospetta la nullità per simulazione.

Non è da considerarsi invece illecita la società dove i soci pure conferendo immobili, organizzano il lavoro in maniera più complessa, come la società alberghiera.

 

Società e comunione d’impresa.

Considerando per assunto di trovarci di fronte a :

  • società  in presenza di un fine produttivo di servizi o beni ex novo
  • di comunione se c’è il mero godimento e dunque la conservazione di quanto all’inizio conferito,

è difficile in casi più complessi regolarsi su quale disciplina orientarci, in particolare quando il godimento di alcuni beni presuppone un’attività d’impresa, produttiva come potrebbe essere un fondo rustico od un esercizio commerciale.

L’utilizzazione tra più persone di beni  destinati ad uno scopo produttivo per se stessi, determina l’instaurarsi di un rapporto societario per facta concludentia , o si resta nel campo della comunione in quanto è la stessa natura della cosa che implica un’attività produttiva ?.

 

Tenendo presente che l’esercizio in comune di un’attività d’impresa non è mai di mero godimento, ed è solo il mero godimento che l’articolo 2248 rimanda al regime patrimoniale del titolo vii libro iii del cod. civ. , bisogna distinguere caso per caso se ci si trova d’innanzi a godimento o società per facta concludentia, cioè società di fatto equiparabili alle società in nome collettivo non registrate.

In fin dei conti  a fare da scriminante deve essere l’attività in comune d’impresa, dato che per assunto ami può essere di godimento come già detto.

Il CB porge in esempio la gestione di una sala cinematografica, quando due persone di concerto l’acquistano (comunione volontaria di azienda), e la fittano a terzi, l’impresa sarà svolta dagli ultimi.

Quando la stessa azienda di prima viene gestita in maniera ciclica ed alternata dai due proprietari, si avrà il c.d. godimento turnario, ed essendo l’impresa svolta individualmente, non si avrà società.

Allorquando i due proprietari decideranno di gestirla in  comune la sala cinematografica, pure non compiendo nessun atto formale, si avrà per facta concludentia una società di fatto.

Un esempio tipico di società di fatti si ha quando più figli ereditano l’azienda paterna avendo la figura della comunione incidentale e proseguono in comune l’attività.

Requisito necessario e sufficiente perché la comunione volontaria o accidentale che sia si trasformi in società di fatto e che i comproprietari si servano dei beni oggetto della comunione per l’esercizio di un’attività d’impresa in comune.

Una parte minoritaria della dottrina ha obiettato che elemento del contratto di società ex 2247 è l’accordo tra le parti in merito ai conferimenti sociali, e tale accordo qualora non ci fosse permette l’utilizzazione in comune dell’attività d’impresa pur non costituendo una società.

Quest’affermazione minoritaria porterebbe ad ammettere un’impresa collettiva, cioè più persone utilizzano quanto disposto in godimento senza avere un’autonomia patrimoniale propria delle società.
CB obietta che come c’è la società per facta concludentia, questo fenomeno si atteggia pure per i conferimenti, e l’operare con i beni in godimento comporta l’automatica accettazione dei conferimenti che in origine erano per godimento come conferimento societario.

 

L’impresa coniugale.

Pure essendo preclusa all’autonomia privata l’istituzione di un’impresa collettiva sena propria autonomia patrimoniale (cioè società), il legislatore del ’75 colla riforma del diritto di famiglia introduce l’impresa coniugale all’articolo 177 lettera d.

Il 177 lettera d, prevede che entrano a fare parte della comunione dei beni anche le imprese costituite dai coniugi dopo il matrimonio, l’impresa coniugale è certamente impresa collettiva, ed i coniugi se esplicitamente richiesto, possono anche gestire la loro impresa in forma societaria.

In silenzio all’impresa coniugale si applica la disciplina della comunione dei beni sia sulla gestione che per quanto riguarda il regime patrimoniale.

L’articolo 186 dichiara che i creditori dell’impresa possono avvalersi anche sul patrimonio in comune diverso da quello dell’azienda ma senza nessuna preferenza su questi ultimi rispetto ai beni aziendali.
L’articolo 190 dichiara che i creditori dell’impresa possono accanirsi anche sul patrimonio fuori comunione (personale) dei coniugi ma nella misura non superiore al 50% del credito ed esclusivamente in via sussidiaria al patrimonio aziendale, ed a quello in comune ai coniugi ma non aziendale.
L’articolo 189 .2 invece prevede che i creditori particolari dei coniugi possono avvalersi anche sui beni della comunione (aziendale o meno), ma solo nella misura della quota spettante al loro creditore e sempre in via sussidiaria.
L’articolo 191 sancisce la particolarità dello scioglimento della comunione aziendale.

Il CB fa notare che ci troviamo di fronte ad una figura diversa dall’ordinario dove l’esercizio di un’impresa collettiva non da vita ad un’autonomia patrimoniale societaria, e va contro ai tentativi di giuristi di fare sparire le deroghe ai princìpi del diritto societario trovandosi di fronte ad una società di fatto.


Tipi di società

 

Nozione. Classificazioni.

L’attività di società ha procedure diverse da quelle delle imprese individuali, diversi sono i problemi inerenti l’organizzazione, diversi sono i problemi riguardanti i rapporti coi terzi alla società.

I contratti societari definiti dal nostro ordinamento sono otto:

  • società semplice
  • società in accomandita semplice
  • società in nome collettivo
  • società per azioni
  • società a responsabilità limitata
  • società in accomandita per azioni
  • società cooperative
  • mutue assicuratrici.

 

Le distinzioni atte dal legislatore permette di dividere in diversi gruppi le società.

I distinzione. Scopo istituzionale delle società, dunque avremo società col fine di lucro e società mutualistiche.
II distinzione, da farsi nell’ambito delle società lucrative, ed è quella basata sulla natura dell’attività esercitabile, la distinzione è società semplice, per cui solo le attività non commerciali possono aversi, e l’iscrizione nel registro delle imprese, per le ss da poco previsto ha lo scopo della pubblicità notizia, e le rimanenti società a scopo lucrativo, la cui iscrizione ha effetto di  pubblicità legale.
III distinzione, società dotate e non dotate di personalità giuridica, quelle per azioni  e quelle cooperative, non la hanno le società di persone.

Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale delle società.

L’articolo 77 del codice di commercio del 1882 definiva i tre modelli societari di allora (snc, società in accomandita e società anonima) alla stessa stregua come “enti collettivi distinti dalle persone dei soci”.
Il codice del 1942 invece attribuisce alle società di capitali la personalità giuridica, alle società di persone invece pur negandogliela dà autonomia patrimoniale.

CB precisa che personalità giuridica ed autonomia patrimoniale sono indice che nel nostro ordinamento pure se in maniera diversa, l’intento è quello creare condizioni di diritto privato tendenti alla diffusione delle società.

Le motivazioni a tale forma sono :

  • buona tutela dei creditori delle società
  • incentivi che facciano propendere l’iniziativa economica alle forme societarie.

I  creditori sociali sono meglio tutelati dei creditori personali dei soci, di contro l’ordinamento permette ai soci di creare un diaframma tra il patrimonio sociale e quello personale.

Il duplice avvenimento nelle società di capitali si attua col riconoscimento a questa di una personalità giuridica, dunque piena e perfetta autonomia privata, la società è in alterità delle persone dei soci.

La soggettività delle società di persone.

Pure negando formalmente la personalità giuridica alle società di persone, dunque non creando un centro autonomo d’imputazione giuridica, c’è la tutela dei creditori sociali da una parte, e l’incentivazione di costituirsi in società dall’altra colla creazione di una disciplina che rende autonomo il patrimonio sociale da quello personale dei soci., infatti:

  • i creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio sociale per soddisfarsi
  • i creditori sociali non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, prima devono soddisfarsi sul patrimonio sociale e dopo avere escusso senza ristorarsi, potranno agire sul patrimonio delle persone dei soci. Dunque la responsabilità dei soci è comunque sussidiaria a quella della società, c.d. beneficium excussions.

Sul fatto del patrimonio, di una comunque certa autonomia relativa delle società di persone, non ci sono dubbi, invece i problemi restano attorno i soggetti di diritto, se considerare le società di persone come una plurales mercatores o meno, cioè imputare tutti gli atti alla stessa società.

Il CB dice che il problema deve ritenersi superato alla luce degli artt.

  • 2266 “la società acquista diritti ed assume obblighi per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza…
  • 2659  che stabilisce che la trascrizione degli acquisti immobiliari è effettuata anche per le società di persone, colla ragione sociale.

 

All’entrata in vigore del codice unificato del 1942 , dove da una parte non veniva riconosciuta la personalità giuridica alle società di persone (2498), dall’altra si concedeva loro qualcosa di estremamente simile (2266), si possono considerare giuste le eccezioni mosse da chi sosteneva che tutte le società avessero ancora personalità giuridica, in particolare :

  • i beni sociali delle società di persone sono della stessa e non in comproprietà speciale tra i soci
  • le obbligazioni della società non sono dei soci, i soci sono però garanti di queste
  • l’imprenditore è la società.

Dunque a limite bisogna dire di trovarsi di fronte a soggetto collettivo non personificato.

 

Tipi di società ed autonomia privata.

La scelta di un tipo societario tra gli otto previsti nel nostro ordinamento, se ci sono i requisiti , è a piena discrezione delle persone che poi sottoscriveranno il contratto.
In caso di ipotesi di contratto del 2247, e di non altra identificazione contrattuale, la società così generata sarà di tipo semplice se esercente attività non commerciale, invece una collettiva se l’attività svolta è di tipo commerciale, 2249.

Queste figure societarie sono dette di regime residuale, infatti pattuendo un contratto di società, se non s’è nessuna altra formulazione tra i contraenti, dunque manca la duplice lista dei soci per le società in accomandita, e l’iter per la costituzione di spa , non essendo semplice poiché l’attività è commerciale, avremo una snc.

Essendo i contratti di società in numerus clausus, l’autonomia privata viene in parte limitata, si può però porre rimedio colle clausole atipiche , potendo i modelli legislativi in qualche modo essere adattati alle singole fattispecie.

In linea del tutto generale si può dire che elementi cogenti alle tipologie societarie sono le responsabilità verso l’esterno e nella gestio.
Accorti  dell’incompatibilità di una clausola atipica, questa sarà sottoposta all’istituto della nullità della stessa , 1419.

Invece è del tutto imprevisti la figura della società atipica, questo perché, trattandosi di società che hanno dunque a che fare coll’esterno, si deve tutelare il terzo dal potenziale regime atipico della rappresentanza della società non contemplata nell’ordinamento. Dunque vige il principio della certezza nei traffici giuridici.

Diverse dalle clausole atipiche sono i patti parasociali, accordi presi da taluni soci al momento della costituzione, o posteriormente a questa, di assumere certi atteggiamenti non contemplati nell’atto costitutivo, per cui si possono avere sindacati di voto, quando si sceglie per chi votare, e voteranno tutti quelli del patto parasociale, oppure sindacati di blocco, ci si obbliga a non vendere le partecipazione per mantenere omogenea della compagine.

I patti parasociali, non essendo disciplinati nella costituzione societaria, hanno solo effetti obbligatori tra gli associati ai patti.

 

Contratto di società e organizzazione.

La società è un insieme un contratto e forma di organizzazione giuridica di futura attività economica.
In effetti dall’autonomia privata , società – contratto, nasce un complesso di persone e mezzi, società – organizzazione, strumentale alla società ex 2247.

Il socio così investito dal contratto, viene sottoposto allo status socii, insieme variegato di doveri e diritti, enucleabili in due grandi categorie:

  • situazioni di natura amministrativa
  • situazioni di natura patrimoniale.

La società semplice
La società in nome collettivo.

Società semplice, società in nome collettivo e società in accomandita semplice sono società di persone, quella semplice rappresenta il default delle società con commerciali, quella in nome collettivo per le società commerciali.

Pure essendo desueto il tipo semplice, è di estrema importanza la sua disciplina, in quanto è la base di tutta quella delle società di persone, la disciplina delle s. s. va dal 2251 al 2290, è in effetti lo statuto generale delle società di persone.

LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’.

L’atto costitutivo. Forma e contenuto.

Per quando riguarda l’atto costitutivo si s. s. non c’è nessun obbligo formale da parte dei contraenti, “non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei conferimenti”, 2251.
La legge 580/93 a parziale deroga del codice civile, prevede l’iscrizione anche delle società semplici, iscrizione che avverrà una sezione speciale del registro delle imprese, e che ha solo effetto di pubblicità notizia
Il contratto di società semplice è dunque di semplice applicazione, può anche essere fatto in forma verbale o per facta concludentia (società di fatto).

Per le snc, le regole sono simili, infatti pure prevedendo particolari criteri di forma e di contenuto (2296, 2295), queste sono essenziali solo per la regolarità dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, ma no hanno di per loro carattere costitutivo come per le società di capitali.

La mancata registrazione comporta solo la non regolarità della snc, c.d. snc non registrata, il che comporta per i soci una disciplina meno favorevole, rimandandoli a quella delle s. s.
(2297).

La snc è regolare se iscritta nel registro delle imprese, irregolare se:
# società di fatto, per cui non è nemmeno stato redatto l’atto costitutivo
# società irregolare in senso proprio se pur essendo redatto non è stato depositato,
tuttavia per entrambe la disciplina è quella della snc irregolare.

Solo ai fini della registrazione e della regolarità della società, l’atto costitutivo deve essere in forma di atto pubblico o in forma di scrittura privata autentificata, e deve contenere:

  • cognome, nome luogo di nascita, domicilio e cittadinanza dei soci
  • la ragione sociale che deve essere costituita dal nome di uno o più soci e rapporto sociale 2292
  • soci che hanno amministrazione e rappresentanza della società
  • sede ed eventuali sedi secondarie
  • oggetto sociale
  • conferimenti di ciascun socio, valore, e criteri di valutazione
  • prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera
  • norma secondo cui gli utili devono essere ripartiti e quota di ciascun socio negli utili e nelle perdite
  • durata della società.

Nel caso in cui l’atto costitutivo pecchi della mancanza dei punti  3 o 8, non ci sarà la nullità di questo, in quanto varranno le norme suppletive automatiche.

Le forma speciali per la natura dei conferimenti, sono quelle che hanno a che fare sugli immobili ed i diritti reali su di questi, in mancanza delle forme speciali, vigerà comunque il principio del 1367 sulla conservazione del contratto, dunque sarà nullo solo il rapporto del socio che conferisce l’immobile o il diritto reale ultranovennale.
Può ovviarsi anche questa nullità parziale se in sede di interpretazione viene accertato che l’immobile è stato conferito a titolo di godimento infranovennale.

Società di fatto. Società occulta.

Per la costituzione di una società di persone, non sono necessari atti solenni tantomeno la forma scritta, in quanto la società può benissimo aversi per facta concludentia.

La disciplina in tal caso dice che la società di fatto è in tutto e per tutto equiparata alla società regolare per la disciplina fallimentare.
Il fallimento della società di fatto determina automaticamente il fallimento di tutti i soci, sia di quelli conosciuti al momento della declaratoria di fallimento che quelli posteriormente a questi scoperti essere stati soci occulti di società palese (147 l. fall.fallimento in estensione).
In ultima analisi può dirsi che per essere soggetti passivi del fallimento non è necessaria l’esteriorizzazione della qualità di socio.
Diverso dalla società palese con soci occulti, è il caso di società occulta, società di fatto o per atto che non viene esteriorizzata in modo da fare accanire i potenziali creditori sui beni della più evidente impresa individuale, solitamente con irrisorio capitale sociale.
La giurisprudenza non tentenna ad invocare dopo il fallimento dell’imprenditore individuale, quello di eventuali soci occulti qualora ve ne siano le prove.
Questo è dunque il caso di società che opera senza spendere il proprio nome, dunque individuata con criteri formali.
Anche qui la disciplina da applicarsi è il fallimento in estensione, dunque qualora vi siano indici probatori, a secondo dei casi più o meno rigorosi, si estende il fallimento ai soci occulti.
Nel caso in cui sia sospettato un parente di essere socio occulto, gli indici probatori devono essere molto rigorosi lasciando al giudice una discrezionalità solo tecnica nell’applicazione della disciplina.
Di solito solo validi indici probatori (ma non per i familiari), il continuo finanziamento, procure in bianco, il contrattare con i fornitori.

IL CB non ammette la stessa disciplina per socio occulto di società palese e società occulta.
Totalmente accetta la tesi che vede per il primo caso la non necessarietà dell’esteriorizzazione dello status socii, in quanto si agisce sempre per conto della società, c’è la spendita della ditta.
Mentre nel caso di società occulta, non avviene la spendita societaria, ma quella individuale, dunque il socio esposto (o anche non socio), opera come mandatario senza rappresentanza (1705), e dunque in questo caso la prova della società e di avere rapporti con questa è elemento necessario ma non affatto sufficiente al fallimento in estensione.
Questo secondo CB, è l’ennesimo risultato dell’utilizzare il solo criterio formale per l’imputazione dell’impresa, e non quello sostanziale della contitolarità degli interessi.

La società apparente.

Nel caso in cui il giudice fallimentare, sospettando di una società occulta, voglia estendere il fallimento anche ai soci occulti, ma gli  mancano elementi certi, può usare la figura del tutto giurisprudenziale della società apparente.
E’ la società che non nessun vincolo né reale né obbligatorio all’interno, ma solo verso l’esterno , far i terzi fa nascere questa pseudo speranza.
Il CB critica negativamente questa figura giurisprudenziale, in primis perché nel fallimento sono chiamati tutti i creditori, e non solo quelli in cui era nata l’idea che si trattasse di una società e non di una impresa individuale, ed inoltre fa notare che comunque quest’aberrazione  è frutto dell’imputazione formale dei debiti d’impresa.
I sostenitori della società apparente motivano questa figura col fatto che se si tutela il creditore di una società occulta che in apparenza è impresa individuale, viene come naturale conseguenza tutelare il creditore dell’impresa che appare come una società.
C’è da dire che questa figura in dottrina viene avallata da pochi esponenti, ma alcuni noti, tra cui Di Nozza.

La partecipazione degli incapaci.

La partecipazione in società di persone richiede la capacità di agire, è atto di straordinaria amministrazione.

L’art. 2294 dice che la partecipazione degli incapaci in snc è equiparata all’inizio dell’impresa.
Deriva che:

  • minore, interdetto ed inabilitato non possono ex novo entrare in snc, possono con autorizzazione giudiziaria ricevere tale status per atti inter vivos o mortis causa.
  • Il minore emancipato può pure ex novo partecipare alla costituzione di snc, previa autorizzazione del tribunale.

Il CB ritiene che questa disciplina possa applicarsi anche alle snc non esercitanti attività commerciali, mentre per causa della mancanza di pubblicità sulla qualità dei soci  non si pensa possano gli incapaci, gli interdetti, gli inabilitati possano a qualsiasi titolo partecipare alle società semplici.

Partecipazione di società in società di persone.

 

E’ antico problema di legge l’ammissibilità di una società nel costituire altra società.
La soluzione arriva nel 1921 in un saggio dove Sraffa e Bonfante danno risposta negativa al quesito, in articolare se la società che partecipa alla costituzione sia giuridica e l’altra semplice, più analiticamente nel caso di società di fatto tra società con  p. giuridica e sue persone fisiche che ne hanno l’amministrazione.
Questa è la tesi prevalente in giurisprudenza, antitetica a quella dottrinaria.
Le risposte cambiano e diventano opposte nel caso di partecipazione di società di persone alla costituzione di altra società di persone (dottrina: si è possibile, giurisprudenza : è inammissibile.)

Il CB fa notare che tutte le motivazioni che giustificano l’inammissibilità  di società giuridiche in società personali sono infondate come ad esempio:

  • il fatto che le società di persone sono fondate sul principio dell’intuitus personae, che è solo esercitabile con persone fisiche, in realtà i fatti dimostrano il contrario, ed inoltre visto che è possibili stabilire il libero scambio di quote sociali nelle società di persone, ne deriva che l’intuitus personae in queste è normale ma non essenziale.
  • Non hanno nemmeno peso le motivazione secondo le quali alcune norme delle società di persone non siano applicabili a quelle giuridiche, in quanto anche queste con virtuosismi interpretativi possono applicarsi (amministrazione della società, morte, recesso del socio), poi la rimanente disciplina non presta a complicanze d’applicabilità.

CB fa pure notare che la risposta negativa esiste, è stata affrontata già nel saggio di Sraffa e Bonfante ed è che la partecipazione di una società con responsabilità limitata è incompatibile coll’illimitatezza di responsabilità degli altri soci.
A questa affermazione potrebbe rispondersi che la società con p. giuridica ne risponderebbe con tutto il proprio patrimonio, ma i soci amministratori di questa in realtà comunque sarebbero limitati nel loro rischio, per cui il problema secondo CB è “può la trattativa privata  far si che vengano accumulati in un solo caso i vantaggi di essere soci di società di persone e di capitali ‘”. LA risposta che da CB è negativa.
Il caso può aversi solo qualora la società di capitali partecipi come accomandante in società in accomandita semplice.

L’impostazione porta poi a ritenere valida anche l’ipotesi di società semplice in società semplice, sia in caso di responsabilità illimitata che limitata (accomandante).

Il caso di società illimitata nella responsabilità è una parziale modifica al regime di responsabilità dei soci alla società partecipante.
Infatti essendo ALFA la partecipata e BETA la partecipante, i creditori di ALFA potranno aggredire il patrimonio personale dei soci di BETA, dopo avere escusso senza frutti il patrimonio sociale di ALFA e quello di BETA.

L’invalidità della società.

Di principio le regole da seguire per l’annullabilità e la nullità delle società dipersone sono quelle della disciplina generale dei contratti, dunque  si avrà nullità se il contratto è illecito, annullabilità se il contratto è viziato da errore, vizio o dolo.
C’è poi da distinguere l’invalidità totale o qeulla del singolo fatto della società.

Dichiarazione di nullità o annullabilità del contratto societario non presta nessun problema se  la società non ha ancora iniziato la sua attività d’impresa, mentre cambia tutto se di fatto la società ha scambiato affari verso l’esterno.

Quest’ultimo caso è risolto colla disciplina civilistica per quanto riguarda la società di capitali 2332.
Tale norma considera la nullità dell’atto quale messa in liquidazione della società in modo da preservare i terzi che con questa hanno avuto traffici giuridici.
LA giurisprudenza e la dottrina, considerano questa norma eccezionale ai fini della disciplina di s. giuridiche, dunque non prevedono l’analogia  alle società di persone.
In realtà la norma del 2332 dovrebbe essere considerato principio generale di tutela al terzo che ha avuto a concludere affari in buoni fede colla società di capitali o di persone che sia, per cui la sentenza di nullità dovrebbe operare come semplice causa di cioglimento della società avendo:

  • il rimanere in vita degli atti precedenti alla sentenza di nullità in nome della società
  • i soci si liberino dell’obbligo dei conferimenti
  • resti ferma l’autonomia patrimoniale della società e la responsabilità illimitata di tutti i soci.
  • Con la nullità si apra la messa in liquidazione della società.

 

 

 

Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/74959/9453/RIASSUNTI%20CAMPOBASSO.doc

Sito web da visitare: http://lab.artmediastudio.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Riassunto di diritto commerciale del “Campobasso”