Dispensa Economia e gestione delle imprese

Dispensa Economia e gestione delle imprese

 

 

Dispensa Economia e gestione delle imprese

La direzione per la creazione del vantaggio competitivo

IV.1.  Lineamenti di analisi funzionale

    1. Considerazioni di base

L’Autore francese Henri Fayol è giustamente noto agli studiosi di scienze sociali perché, benché scrisse, insegnò e operò da responsabile di organizzazioni nel secolo scorso, ha dato contributi teorici che conservano nel tempo qualche utilità non solo storica.

Egli, in particolare, ha grande notorietà sia per aver formulato e sviluppato il principio di “unità di comando” nella realizzazione delle attività di direzione del personale, sia per aver teorizzato per primo quell’analisi funzionale della gestione delle imprese che ancora oggi costituisce un riferimento utile ancorché debba essere integrato e modificato in relazione al mutamento delle condizioni interne ed esterne intervenute in quasi un secolo trascorso dopo la pubblicazione iniziale del suo libro che risale al 1916 [edizione italiana, 1967].

Quelle che qui vengono indicate con il termine di funzioni erano denominate da Fayol “operazioni” indipendentemente dal termine utilizzato ci si riferisce agli atti di gestione individuati sulla base del loro aspetto qualitativo o materiale e raggruppati per omogeneità di natura nelle categorie indicate costituenti appunto le “operazioni” o “funzioni”.

L’autore francese le ha proposte nel modo seguente:

“ 1. operazioni tecniche (produzione, fabbricazione, trasformazione);

 2. operazioni commerciali (acquisti, vendite, scambi);

 3. operazioni finanziarie (ricerca e gestione dei capitali);

 4. operazioni di sicurezza (protezione dei beni e delle persone);

 5. operazioni di contabilità (inventari, bilanci, costi, statistiche, ecc.);

 6. operazioni direttive (previsione, organizzazione, comando, coordinazione e controllo)”.

La semplice lettura del testo riportato fa comprendere che la proposta di Fayol risulta non pienamente attuale dal punto di vista dell’indicazione “operazioni”: infatti talune di esse hanno perso attualità in relazione alla diminuita importanza, rispetto alle altre, mentre altre devono essere oggi indicate in modo autonomo ed esclusive, altre ancora ricomprese in un’altra operazione da lui indicata, ovvero in ulteriore operazione da formulare a integrazione e modifica della proposta di Fayol. Lo schema delle operazioni o funzioni proposte da Fayol si può ordinare e sintetizzare come indicato nel Riquadro IV.1.

Riquadro IV.1.

 


                                 Schema delle operazioni di Fayol

Operazioni direttive

Operazioni materiali

Previsione

Organizzazione

Comando

Coordinamento

Controllo

Tecniche

Commerciali

Finanziarie

Di sicurezza

Di contabilità

 

In relazione alle funzioni indicate da Fayol, le quali col passare del tempo hanno perso importanza rispetto alle altre e, quindi, non richiedono un’analisi funzionale autonoma, si possono citare tra le funzioni direzionali il coordinamento che, opportunamente, oggi si può far rientrare nell’ambito della funzione di organizzazione, mentre tra le funzioni materiali si può indicare quella di sicurezza che può farsi rientrare tra le funzioni “contabili” da estendere adeguatamente.

In modo certamente autonomo ed esclusivo deve indicarsi, innanzitutto la funzione “vendite” o di distribuzione commerciale e, conseguentemente, a sua volta, deve assumere autonomia la funzione acquisti o, meglio, approvvigionamenti.

Tra le operazioni “nuove” rispetto alla proposta di Fayol risulta oggi necessario indicare - con riferimento alle operazioni o funzioni direzionali – la funzione di valutazione di efficacia nell’ambito della quale si può opportunamente allocare la funzione di controllo, come specificamente si indica nel punto successivo al presente con riferimento alle operazioni direzionali. Occorre, poi, dare autonomia (con particolare riferimento alle imprese industriali) alle funzioni di gestione delle scorte di materie e materiali e di gestione delle scorte dei prodotti finiti.

Infine, ci sono due funzioni direzionali indicate da Fayol che è bene indicare oggi per il tramite di altri termini meglio denotativi in relazione all’attuale realtà delle imprese. Ci si riferisce alla funzione di previsione che oggi può opportunamente “lasciare il posto” alla funzione di programmazione della quale costituisce una delle cinque fasi, e la funzione di comando che più ampiamente e opportunamente ora risulta essere la funzione di direzione del personale. Le attuali funzioni direzionali e le funzioni materiali possono così indicarsi come riportato nel Riquadro IV.2.

Riquadro IV.2.

 


                                 Le funzioni “attuali”

Funzioni direttive

Funzioni materiali

Programmazione

Organizzazione

Direzione del personale

Valutazione di efficacia

 

 

 

 

Distribuzione commerciale

Finanziamento

Approvvigionamento

Gestione scorte materie e materiali

Trasformazione tecnica

Gestione scorte prodotti finiti

Amministrazione - contabilità

 

 

Rimane da notare che le modificazioni e le integrazioni allo schema di funzioni (o operazioni) inizialmente proposto da Fayol nulla tolgono alla grande importanza della sua teorizzazione, posto che di certo si è basata sulle condizioni d’impresa interne ed esterne esistenti e, pertanto, risultava allora certamente pertinente, oltre che correlata ai fondamentali postulati teorici delle scienze sociali e delle pratiche imprenditoriali e, più in generale, organizzative di quegli anni.

 

    1. Interdipendenza delle funzioni

Per utilità di analisi il complesso delle attività di qualunque organizzazione può essere distinta astrattamente nei seguenti gruppi omogenei di attività elementari:

a) direzionali;

b) gestionali.

Le attività individuate sulla base di tale analisi sono state indicate dal Fayol con il termine “operazioni”, o “funzioni essenziali”.

Le attività direzionali vengono realizzate prevalentemente dai componenti della direzione dell'organizzazione e sono strettamente interrelate con il processo decisionale.

Le funzioni gestionali costituiscono il complesso delle attività operative e quindi si riferiscono ai diversi tipi di attività che in concreto si pongono in essere nello svolgimento dell'attività dell'organizzazione. La scuola del Fayol ha equiparato ciascuna delle funzioni gestionali (con riferimento all'impresa l'autore francese ne ha ipotizzato cinque: funzioni tecniche, commerciali, finanziarie, di sicurezza e di contabilità) alla funzione direttiva, scomposta a sua volta, in cinque tipi di attività (programmare, organizzare, comandare, coordinare e controllare). Attualmente pare più corretto constatare che ciascuna delle funzioni gestionali contiene le funzioni direzionali poiché ogni tipo di attività deve essere, oltre che attuata, anche diretta: ogni funzione gestionale deve essere programmata, organizzata, coordinata, comandata e controllata.

Sulla base di quanto si è osservato a proposito della Cibernetica e a quanto viene indicato in un punto dedicato alla regolazione nelle organizzazioni, talune funzioni gestionali, o almeno taluni segmenti di esse, possono essere soggetti ad autocontrollo, con relativa implicazione dell'inutilità della funzione direzionale del controllo rispetto a quell'attività gestionale o al relativo segmento.

L'analisi funzionale delle organizzazioni deve essere condotta con la consapevolezza che ciascuna funzione è interconnessa con ciascuna delle altre, in una condizione di interazione tra l'organizzazione considerata e il proprio ambiente e in special modo con le altre organizzazioni presenti nel contesto ambientale.

All'interno di ogni funzione direzionale è pure possibile individuare specifiche fasi di attività, o aree di azione, le quali sono ovviamente tra di loro interagenti, cioè hanno stretti vincoli di complementarità, in quanto rientrano nella stessa funzione e promanano da una stessa azione: l'azione direzionale.

Qui di seguito vengono esaminate distintamente e in breve le operazioni o funzioni di cui si compone la complessiva attività direzionale e per alcune di esse si presentano le principali fasi o aree d'azione.

 

IV.2.  La funzione di programmazione

2.1. Elementi introduttivi

La programmazione consiste essenzialmente in un processo di concezione e di strutturazione dell'attività da svolgere. Si parla di processo in quanto questa funzione direzionale necessariamente implica un insieme di atti e quindi la sua formulazione richiede un tempo non breve, un numero ampio di scelte e l'interconnessione delle stesse ordinate secondo vari fattori. La programmazione è un'attività intellettuale che si inserisce nella più vasta attività costituente il “governo dell'organizzazione”, poiché essa implica anche l'esercizio di attività volitive (soprattutto per quanto attiene alla fissazione degli obiettivi generali) che danno vita e contenuto all'attività operativa.

Il processo intellettuale di programmazione può astrattamente scomporsi in cinque fasi o momenti logici, cui corrispondono i tipi di attività i cui al Riquadro IV.4.

Tali attività sono strettamente interdipendenti e concorrono in maniera complementare a dare forma e contenuto al processo di programmazione, il quale peraltro non può identificarsi con alcuna delle cinque classi di attività, perché esse devono appunto essere considerate aspetti coordinati del composito processo di programmazione.

 

                                      Le fasi ( o momenti logici) della programmazione

2.2. Le fasi della programmazione

La prima classe di attività concerne l'indagine prospettica delle condizioni dell'organizzazione e dell'ambiente, in relazione alle quali vengono fissati gli obiettivi dell'organizzazione e specificate le linee d'azione per il conseguimento degli stessi. L'analisi proiettata nel futuro delle condizioni interne all'organizzazione e del mutevole ambiente socio economico, nel quale l'attività operativa deve convenientemente effettuarsi, origina l'attività di previsione. Tale attività è immanente al razionale svolgimento del sistema delle operazioni dell'organizzazione e, in modo più o meno consapevole, esplicito o implicito, viene svolta in qualsiasi organizzazione. Tuttavia l'inconveniente costituito dalla sopravvenienza di rigidità di alcuni elementi distintivi delle organizzazioni e soprattutto delle reti normative comportamentali e delle risorse e l'estrema dinamicità dell'ambiente in cui esse operano, impongono un'impostazione sempre più scientifica dell'attività di previsione. Attualmente si evita nei limiti del possibile di esercitare la prefata attività in modo generico ed occasionale, mentre si tende ad utilizzare sempre più metodi razionali che permettano di effettuare le previsioni in maniera continua e sistematica. A tal fine risultano indispensabili ricerche e studi, riferibili all'ambiente in generale e all'organizzazione in particolare.

La continuità dell'attività di previsione è garanzia di un operare consapevole: le scelte da cui scaturiscono l'ideazione e la strutturazione dell'attività operativa vengono tendenzialmente verificate nella loro validità, individuando se i presupposti su cui si basano sono mutati con il progredire del tempo.

La seconda area di attività concerne l'identificazione dei potenziali obiettivi dell'organizzazione. Questa fase, che spesso non è tenuta nella dovuta considerazione, è molto importante e costituisce la base del processo di determinazione delle finalità dell'organizzazione. Nella letteratura anglossasone essa costituisce essenzialmente l'attività di “problem solving”. L'attività qui in esame risulta essere decisiva per l'efficace operare delle organizzazioni perché, solo se si ha sufficiente capacità creativa nell'individuare ogni possibile obiettivo, si può disporre di una base idonea alla quale riferire la scelta delle mete da perseguire.

La terza attività che si può individuare nel processo intellettuale di programmazione è infatti la scelta degli obiettivi, o attività di “decision making”, ed essa è conseguente in senso temporale e logico all'ampia individuazione di possibili obiettivi. Questi possono distinguersi in:

a) obiettivi generali;

b) obiettivi parziali.

I primi riguardano il sistema di esigenze ed aspirazioni dei gruppi sociali interessati all'attività dell'organizzazione considerata. Gli obiettivi parziali costituiscono mete cui devono tendere singoli settori, o loro parti, gruppi operativi e singoli individui.

Gli organi operanti ai vari gradi dell'organizzazione e i diversi individui contribuiscono in maniera complementare al conseguimento delle finalità primarie; si può affermare che ogni obiettivo parziale si pone in posizione strumentale rispetto agli obiettivi immediatamente superiori e questi a loro volta, contribuiscono al raggiungimento di finalità superiori e così via sino a raggiungere la maggior meta dell'organizzazione.

Il quarto momento logico del processo di programmazione concerne l'attività di identificazione e di creazione delle vie gestionali capaci di condurre agli obiettivi prefissati. Con l'espressione “vie gestionali” si vuole intendere il complesso di politiche, di procedure operative, di attività e di mezzi necessari per l'attuazione dei programmi.

La quinta area di attività in cui può essere scomposto il processo intellettuale di programmazione è la scelta delle “vie gestionali”.

Affinché la decisione sia razionale è necessario che i programmatori abbiano posto in essere le attività indicate nel Riquadro IV.4.

Riquadro IV.4.

 


                                          Attività per la scelta delle vie gestionali

 

La scelta, anche quando è effettuata tenendo conto dei presupposti sopra riportati, ha sempre un valore relativo sia perché le conseguenze future previste per ciascuna alternativa hanno un carattere probabilistico, sia perché la decisione di fatto non riesce a vagliare tutte le possibilità alternative esistenti, sia perché il processo decisionale - come già rilevato - è guidato da peculiari criteri, che risentono di circostanze di differente natura, le quali variano da individuo a individuo, da luogo a luogo e da momento a momento. Con riferimento a quest'ultima notazione occorre ribadire che il processo di programmazione si realizza, nelle organizzazioni meglio dirette, senza soluzione di continuità in connessione con l'ininterrotto susseguirsi delle attività.

 

IV.3. La funzione di organizzazione

IV.3.I. Perché nasce nelle imprese il problema di “organizzare”

Il tema dell’organizzazione è legato alla storia del genere umano fin da quando un gruppo di individui si accorse che solo unendo gli sforzi era possibile ottenere dei risultati che prima erano impossibili dall’azione individuale. Nella necessaria combinazione di sforzi è sorto immediatamente il problema, prima, della divisione dei compiti e, successivamente, del coordinamento e controllo degli stessi. Le motivazioni, dunque, poste alla base della divisione del lavoro possono essere ricondotte a concetti di carattere strettamente economico. La ricerca della produttività in presenza di risorse scarse è, infatti, il concetto fondamentale del paradigma che ruota intorno alla divisione del lavoro. Disponendo ciascun attore di risorse limitate, si pone il problema di consentirne il miglior sfruttamento. Si tratta di un problema che trova efficace soluzione nella suddivisione delle attività e nella specializzazione dei rispettivi esecutori: ciascuno svolgerà un numero limitato di compiti su cui potrà acquisire in breve tempo la massima abilità e capacità di controllo. Adam Smith, nella sua opera Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776, fa osservare che, seguendo il tradizionale metodo di fabbricazione un operaio generico, lavorando da solo, sarebbe riuscito a produrre appena uno spillo al giorno o, al massimo, poche unità. Con i nuovi metodi di organizzazione del lavoro, invece, la situazione nelle officine cambiò radicalmente portando ad un innalzamento dei livelli di produttività dei singoli operai, Infatti, il mestiere di spillettaio venne suddiviso al suo interno in un gran numero di specializzazioni, che avevano a loro volta dato origine ad altrettanti mestieri autonomi. Con la rivoluzione industriale, la forza dell’organizzare, intesa come capacità di combinare in modo creativo risorse diverse generando valore, emerge come potente leva di trasformazione economica e sociale.

Pare opportuno, però, a questo punto soffermare l’attenzione sul concetto stesso di organizzazione, in quanto esso richiama una molteplicità di temi e di significati come conseguenza dell’elevato grado di pluralismo delle teorie e degli approcci scientifici.

Se pensiamo all’etimologia della parola, organizzazione significa insieme ordinato e collegato di organi o parti di un tutto. Organizzare significa dar forma a, o mettere in ordine, organi e collegamenti tra organi. Inteso i tal senso, il termine organizzazione evocherebbe dunque l’immagine di un sistema di attività, costituito da persone e mezzi tecnici.

In realtà, sul piano semantico, il termine “organizzazione” non presenta accezione univoca, infatti esso sia nella letteratura specialistica che nel linguaggio aziendale, viene utilizzato per esprimere differenti concetti. Da una parte, si situano coloro che associano al vocabolo organizzazione il significato di entità, di impresa, ovvero di un insieme ordinato di elementi che interagiscono in modo da raggiungere scopi determinati. Dall’altra parte, si annoverano coloro che nell’organizzazione individuano l’elemento focale della struttura, ovvero l’adozione, da parte di un’impresa, di una struttura interna che consenta il raggiungimento degli obiettivi, ovvero di una configurazione che conferisce alle attività carattere di ordine, di sistematicità e quindi che attribuisce loro la qualità di “attività organizzate”

Pertanto, un sistema di attività è ben organizzato quando risulta ordinato e coordinato in maniera tale da garantire il corretto funzionamento dell’impresa i caratteri che qualificano il grado di ordine di un insieme di attività e che concorrono a valutare la bontà delle scelte organizzative sono i seguenti:

  • l’efficienza, misurata dal rapporto input/output, per cui si ha efficienza quando, a parità di risorse impiegate, aumenta l’output realizzato o, viceversa, si raggiungono gli stessi risultati consumando minori risorse;
  • l’efficacia, esprime il grado di raggiungimento da parte degli attori degli obiettivi organizzativi e quindi la capacità di ottenere risultati previsti;
  • l’equità, misura il grado di soddisfacimento delle preferenze e dei bisogni individuali degli attori coinvolti e richiama, appunto, i criteri di equità e giustizia organizzativa.

Le considerazioni appena fatte consentono, quindi, di evidenziare come il concetto di “organizzazione” sia centrale per poter comprendere il corretto funzionamento di un’impresa posto che quest’ultima, quale insieme di organi e attività dev’essere organizzata, cioè ordinata nelle sue varie parti per raggiungere una finalità comune. Il sistema è tale perché non è un insieme casuale di elementi, bensì un insieme organizzato di elementi interdipendenti e interagenti in modo coordinato.

A questo punto si è in grado di introdurre il concetto di funzione organizzativa specificando le finalità e i contenuti che si attribuiscono specificamente ad essa.

 

3.1.1.  La funzione organizzativa: finalità e contenuti

L’attività-funzione che si esprime nell’organizzare consiste nell’insieme di interventi e scelte volte a ordinare compiti, responsabilità e relazioni delle forze personali operanti nell’impresa. In altre parole, tale funzione ha lo scopo principale di definire:

  •  le unità decisionali, di controllo ed esecutive da istituire nell’impresa;
  •  l’autorità e responsabilità da attribuire a ciascuno di essi;
  •  le relazioni formali da attivare;
  •  le procedure di decisione, di informazione e di esecuzione necessarie per l’ordinato svolgimento della gestione.

La ricerca di un ordine interno all’impresa ha, come premessa fondamentale, la creazione di una struttura di organi, ossia la determinazione del complesso di organi direttivi, di controllo ed esecutivi. Questa struttura dev’essere posta in grado di funzionare mediante la specificazione dei compiti, dei poteri e delle responsabilità delle singole unità organizzative e attraverso l’istituzione di un’adeguata rete di relazioni, ossia di rapporti direttivi, d’informazione e di controllo indispensabili per preservare l’unitarietà di svolgimento della gestione.

La complessità di tale funzione è evidente se si pensa che se si considerano attività complesse le quali necessariamente devono essere svolte da una pluralità di soggetti, la loro esecuzione è condizionata da differenze esistenti fra le persone (sesso, età, cultura, sistema di valori, conoscenze, obiettivi). Inoltre tale collettività utilizza risorse qualitativamente e quantitativamente differenti (macchine, informazioni, conoscenze) che rendono più complesso il problema organizzativo da risolvere, soprattutto nell’ottica del coordinamento. L’organizzazione ha anche un altro scopo, ovvero quello di soddisfare le attese di coloro che lavorano nell’impresa. Questo scopo si traduce nell’impiegare in modo appropriato le risorse umane disponibili, consentendo così di accrescere la motivazione al lavoro e migliorare il rendimento globale dell’organizzazione stessa.

Ne consegue che la creazione di un’organizzazione efficiente, efficace e in grado di soddisfare i bisogni di tutti i soggetti umani che la compongono (equità) si presenta come un problema di difficile soluzione, tanto da richiedere l’ausilio di modelli e metodi scientifici in grado di tenere conto e conciliare adeguatamente tutte le variabili in gioco.

Inoltre, una forte influenza sulle modalità di organizzazione del lavoro è esercitata dalla tecnologia, vale a dire dagli strumenti operativi utilizzati e dalle conoscenze necessarie per il loro corretto impiego. Per esempio, l’introduzione di sistemi informatici per lo svolgimento di compiti che prima erano eseguiti manualmente, il ricorso ad un nuovo materiale per la realizzazione di un prodotto, sono esempi immediati che evidenziano come un qualsiasi cambiamento tecnologico possa mettere in discussione l’esperienza acquisita, le conoscenze e le competenze di chi lavora in un’impresa, e renda necessario riflettere di nuovo sulla modalità più corretta per rendere efficace ed efficiente l’organizzazione delle attività da svolgere.

Può dirsi che il compito di chi deve affrontare il problema organizzativo sia proprio quello di ricercare e suggerire modalità “migliori” per coordinare le attività interdipendenti messe in atto da una pluralità di individui.

L’articolazione e la complessità della funzione, dal punto di vista dei contenuti è di tale ordine da richieder normalmente di attivare una pluralità di soggetti con specifiche competenze e prerogative. Tali soggetti possono consistere in organi specialistici interni all’impresa facenti parte della tecnostruttura; specialisti di organizzazione esterni all’impresa (consulenti); vertice strategico (alta direzione) e manager di linea. Normalmente le diverse attività di organizzazione considerate vengono svolte attraverso il contributo di soggetti differenti, la cui combinazione dipende dalla complessità del contesto aziendale, dalle risorse professionali disponibili nell’impresa, dai modelli gestionali adottati.

L’alta direzione ha la responsabilità complessiva delle decisioni che riguardano l’impostazione, la messa in atto e la modifica del disegno organizzativo generale dell’impresa. Il ruolo dei manager di linea assume maggiore rilevanza in situazioni aziendali complesse: infatti, i responsabili di funzioni, prodotti, reparti, sono dotati di risorse informative e decisionali importanti per intervenire sull’organizzazione del lavoro, su compiti e mansioni, sui flussi informativi, sui meccanismi di gestione del personale. Soprattutto nelle fasi di analisi dei problemi e di gestione dei processi di cambiamento il contributo dei manager di linea assume notevole rilievo. Gli organi specialistici di organizzazione vengono istituiti nelle imprese complesse che hanno l’esigenza di operare sistematicamente sulle variabili organizzative, mantenendole continuamente sotto controllo. La struttura di queste imprese prevede quindi unità operative o uffici specifici dedicati alla funzione di organizzazione o ad una o più delle tre sotto funzioni indicate. Più diffusa anche in imprese non molto complesse è la presenza di unità per la gestione del personale, ma anche l’organizzazione in generale e i sistemi informativi costituiscono problemi e aree di attività rispetto alle quali molte organizzazioni decidono di dedicare uffici affidati a specialisti della materia. Il ruolo di questi organi non è quello di sostituirsi all’alta direzione e ai manager di linea nel prendere decisioni organizzative, ma di agire a supporto del management, elaborando analisi e progetti, sviluppando la parte più tecnica relativa agli interventi sull’organizzazione. Unità e organi di questo tipo si configurano come tecnostruttura. Attività analoghe possono essere affidate a consulenti esterni, professionisti specializzati in metodologie e tecniche organizzative.

Per completezza rimane da accennare al fatto che lo studio dell’organizzazione può essere condotto secondo un duplice profilo, quello statico e quello dinamico. Con il primo ciò che viene osservato è l’aspetto strutturale di ordinamento di compiti e responsabilità, sulla base delle relazioni fra la strategia e le risorse umane disponibili. Il secondo, invece, focalizza l’attenzione sul comportamento del sistema organizzativo, ovvero sulle dinamiche frutto delle relazioni interpersonali di conflitto e di equilibrio che si creano per effetto del suo funzionamento. Su questo interessante aspetto, che coinvolge soprattutto problemi di natura psicologica e sociologica, alcune considerazioni verranno effettuate successivamente, allorché si parlerà del comportamento dei soggetti umani nell’ambito della parte dedicata alla direzione del personale. Conseguentemente, l’esame sarà centrato sui problemi di progettazione e sviluppo dell’assetto  organizzativo.

 

3.1.2.  L’assetto organizzativo e le variabili organizzative

Nei paragrafi precedenti è stato evidenziato che ogni impresa ha bisogno per poter operare e conseguire i propri fini, di utilizzare in modo efficace ed efficiente il lavoro delle persone e di mettere in atto una struttura organizzativa mediante la quale si realizza una efficace, efficiente ed equa divisione dei compiti, dei ruoli e il coordinamento degli stessi. Le decisioni di organizzazione determinano le condizioni di effettivo svolgimento del lavoro in impresa, poiché hanno per contenuto essenziale:

    • la divisione del lavoro tra i diversi soggetti;
    • la scelta dei meccanismi di coordinamento idonei a ricondurre il lavoro diviso ad un quadro unitario, in vista del raggiungimento dei fini organizzativi;
    • l’autonomia decisionale di cui ciascun soggetto può godere ed il potere di influenzare il comportamento di altri di cui dispone;
    • i flussi di informazione e di decisione, con particolare riferimento a quelli formalizzati che consentono di controllare e di indirizzare la gestione dell’impresa;
    • i meccanismi che regolano il rapporto tra contributo offerto ed incentivi ricevuti da ciascun soggetto.

I risultati di queste classi di decisioni contribuiscono a costituire dinamicamente l’assetto organizzativo aziendale che è definito dal vario configurarsi delle variabili organizzative: vale a dire della struttura organizzativa e dei sistemi operativi.

La struttura imprime un ordine alla divisione del lavoro aziendale, alla differenziazione dei ruoli e compiti di chi partecipa al sistema d’impresa. La struttura organizzativa non solo si combina in modo variabile con le altre variabili organizzative in funzione del contesto nel quale è chiamata ad operare, ma si presenta essa stessa come un aggregato di caratteristiche diverse, le quali possono assumere configurazioni differenti in sé ed in rapporto con le altre, così da definire una molteplicità di configurazioni o modelli di struttura organizzativa. Tale molteplicità si rende necessaria per poter adattare uno strumento di per sé rigido come la struttura alla varietà e variabilità della gestione che dev’essere governata. I meccanismi operativi, invece, governano tutti quei processi connessi con i sistemi di determinazione degli obiettivi e di allocazione delle risorse (processi di pianificazione e controllo); sistemi di gestione del personale (programmazione, reclutamento e selezione del personale, valutazione, formazione, carriera, ecc), sistemi connessi ai processi decisionali (sistemi informativi, di decisione e di negoziazione). Tali sistemi imprimono al sistema organizzativo e all’organismo personale, impulsi al comportamento in una direzione voluta. Si tratta quindi di meccanismi che servono a far funzionare operativamente il sistema organizzativo e che in un certo senso contribuiscono a “dar vita” al disegno strutturale. L’assetto organizzativo risulta quindi dal combinarsi delle scelte che riguardano, da un lato, la struttura organizzativa e dall’altra i sistemi operativi. In tal modo, le caratteristiche specifiche della struttura e dei sistemi operativi di una data impresa, costituiranno la sua “organizzazione”.Occorre, però, sottolineare il fatto che la struttura e i sistemi operativi non esauriscono l’insieme delle variabili organizzative che contribuiscono congiuntamente al conseguimento dei fini aziendali: il potere e la cultura organizzativa sono, da questo punto di vista, altrettanto importanti.

3.1.3.  Componenti della struttura organizzativa

La scelta della configurazione delle variabili organizzative non deve quindi essere pensata come sequenziale, definendo cioè in primo luogo la struttura e riempiendo questa con sistemi operativi, ma dovrebbe avvenire in una prospettiva di progettazione organizzativa integrata, considerando tutte le leve a disposizione. Di fatto, gli assetti organizzativi delle imprese si presentano con una grande varietà di caratteristiche che sono state ricondotte da studi e teorie ad un numero più limitato di forme organizzative fondamentali, intese come tipologie o modelli di organizzazione che possono servire da riferimento per l’attività di analisi e progettazione. Occorre dire che in tutti questi assetti si ritrovano in generale presenti, almeno al di sopra di una certa soglia minima di complessità, cinque elementi base fondamentali di ogni assetto organizzativo, ciascuno dei quali assolve un ruolo importante in relazione al funzionamento del sistema. E’ utile richiamare il modello sviluppato da Mintzberg (Riquadro IV.5.) per analizzare la struttura organizzativa, basato appunto sulla ripartizione in cinque aree fondamentali.

Le aree alle quali si fa riferimento, di seguito brevemente analizzate, sono le seguenti:

  • il vertice strategico;
  • il nucleo operativo;
  • la linea manageriale intermedia;
  • la tecnostruttura;
  • gli staff di supporto.

Il vertice strategico è formato da coloro che hanno la responsabilità globale dell’organizzazione. In relazione alle dimensioni e alla forma giuridica, tale organo risulta essere composto da un certo numero di unità organizzative e ruoli. In quest’ultimo caso, il vertice potrebbe essere composto dal presidente, amministratore delegato, consiglio di amministrazione, direttore generale e dal comitato di direzione. La sua configurazione pertanto dipende dall’assetto istituzionale aziendale, per esempio in un istituto pubblico, come il Comune, il vertice sarà identificabile negli organi esecutivi (sindaco e giunta) e di alta direzione (segretario e direttore generale, eventuali comitati di direzione). Il vertice strategico risulta, quindi, essere composto da tutti quegli organi e figure che sono responsabili del governo economico e quindi dei risultati globali dell’impresa; esercitano il ruolo di rappresentanza verso l’esterno, decidono la strategia, la collocazione delle risorse e rappresentano il punto di riferimento principale per i manager intermedi.

Il nucleo operativo è. rappresentato dall’insieme dei soggetti che svolgono le attività fondamentali per l’ottenimento dei prodotti e di fornitura dei servizi. Dunque, il nucleo operativo caratterizza il core business dell’organizzazione e dove si forma l’effettivo valore aggiunto. Fanno parte degli organi operativi: gli operai che costruiscono un prodotto, i magazzinieri che conservano i prodotti costruiti e curano gli approvvigionamenti di materie prime, gli addetti alla manutenzione degli impianti e dei macchinari, gli impiegati che curano gli acquisti e le vendite. All'interno degli organi operativi vi sono alcune persone che svolgono il ruolo di capo tecnico o di capo ufficio, cioè persone alle quali viene affidato un certo numero di operai o di impiegati, ai quali danno le istruzioni materiali per realizzare il prodotto o il servizio che l'impresa vuole ottenere. Questi capi vengono anche indicati come quadri intermedi o semplicemente quadri. Il quadro è quindi un soggetto al quale viene affidato il compito e la responsabilità di conseguire gli obiettivi aziendali, utilizzando allo scopo un certo numero di impiegati o di operai.

La linea manageriale intermedia: rappresenta la linea di collegamento tra il vertice strategico e il nucleo operativo ed è costituito dai dirigenti intermedi, ovvero dal capo reparto fino al vice direttore di funzione. In questa gerarchia il manager della linea intermedia svolge alcuni compiti connessi, da un lato, con l’esigenza di comunicare al nucleo operativo le decisioni strategiche adottate dal vertice, adattandole per renderle operative e, dall’altra parte, recepire le istanze e le informazioni prodotte dal nucleo operativo per trasmetterle al vertice e tradurle in termini strategici. Inoltre, spetta a quest’organo la supervisione dell’ordinato funzionamento aziendale e la raccolta e trasmissione di informazioni.

La tecnostruttura è costituita da tutti quegli analisti che contribuiscono all’attività organizzativa influenzando il lavoro degli altri. Poiché talvolta gli organi direttivi non hanno le competenze necessarie per tutti i problemi produttivi, nelle imprese medio-grandi sono presenti esperti altamente qualificati, che fanno da supporto alle scelte degli organi direzionali. Si tratta di un organo di staff (parola inglese che significa appoggio, assistente). La caratteristica principale di tali organi è che, a differenza degli organi di line (ovvero di coloro che si trovano lungo la linea gerarchica del potere), non sono direttamente coinvolti nel flusso di lavoro operativo in quanto essi possono solo progettarlo, pianificarlo, modificarlo ma non eseguirlo in prima persona.  Rappresentano esempi di tecnostruttura le unità organizzative deputate alla pianificazione e controllo di gestione, pianificazione e controllo strategico, pianificazione e controllo della qualità, ecc.

I servizi di supporto: sono costituiti da organi che hanno il compito principale di fornire servizi indiretti come gli esperti di pubbliche relazioni, che suggeriscono le attività di informazione e di promozione dell’impresa, in modo da migliorare l'immagine della stessa; gli esperti di problemi finanziari, che propongono le modalità di approvvigionamento e gestione dei capitali necessari all'impresa; gli esperti di problemi legali, che trovano le soluzioni ai problemi connessi con le leggi dello Stato in cui si trova l'impresa.

 

IV.3.II. Il ruolo della progettazione organizzativa nell’impresa

3.2.1.  Brevi cenni introduttivi.

La progettazione organizzativa di pari passo con la prassi manageriale è mutata nel tempo in risposta ai cambiamenti avvenuti nella società in generale.

Con l’emergere del “sistema fabbrica” durante la Rivoluzione Industriale si è passati dalla prospettiva manageriale classica alla prospettiva manageriale moderna e sebbene manager e organizzazioni siano ancora condizionati dall’approccio gerarchico e burocratico teorizzato più di un secolo fa le sfide poste dall’ambiente attuale – globalizzazione, diversità, responsabilità sociale ed etica, rapidi progressi tecnologici, diffusione delle ITC, l’affermazione della conoscenza e dell’informazione come risorsa critica – richiedono risposte e comportamenti diversi da parte delle persone e delle organizzazioni.

In questo quadro il ruolo della progettazione organizzativa all’interno delle imprese rappresenta uno strumento peculiare per i manager nello sviluppare tali risposte.

La progettazione organizzativa riveste una particolare importanza in relazione all’adeguato svolgimento di tutte le attività. Infatti, affinché le attività svolte all’interno delle imprese siano correttamente indirizzate verso comportamenti e risultati efficienti è necessario che le strutture organizzative al loro interno siano progettate in modo da rispettare, da un lato, l’insieme delle attività da svolgere e dall’altro lato la posizione rivestita dall’insieme di individui presenti nell’impresa coordinati, normalmente, da un coordinatore/responsabile della posizione stessa.

 

3.2.2.  Necessità di progettare le organizzazioni.

L’ambiente in cui si trovano le organizzazioni odierne è tutt’altro che stabile. In seguito ai profondi mutamenti che hanno investito gli scenari mondiali i manager non possono più mantenere l’illusione di ordine e prevedibilità tipica della teoria manageriale classica. L’ambiente è pervaso da incertezza, rapido cambiamento e confusione tali da non poter misurare, prevedere o controllare attraverso metodi tradizionali gli eventi esterni e interni alle organizzazioni.

Esistono molti modi per interpretare un’organizzazione. Ciò dipende dal punto di osservazione che si sceglie come, per esempio, da un punto di analisi finanziaria, strutturale, tecnologico e così via. Se ci si pone dal punto di vista degli obiettivi che l’organizzane intende perseguire allora è importante fare alcune premesse di carattere generale.

Innanzi tutto le condizioni ambientali nelle quali le organizzazioni in generale e le imprese in particolare operano per il raggiungimento dei propri obiettivi sono caratterizzate sempre più da variabilità e complessità dei mercati. Gli stessi obiettivi sono fonte di modificazioni e adattamenti che derivano da tale costante mutevolezza che influenza fortemente i processi produttivi e la loro gestione. In questo scenario le routine organizzative e la stabilizzazione delle attività subiscono il peso crescente dell’innovazione e del cambiamento come elementi cruciali e punti di forza per il perseguimento dello stesso vantaggio competitivo.

Pertanto, le organizzazioni e le imprese per sopravvivere e competere hanno bisogno di aumentare le loro conoscenze, di incrementare le loro capacità, reperire mezzi necessari in termini di risorse e know-how. Le capacità delle imprese di sviluppare il proprio know-how, di organizzare i processi, di innovare prodotti e servizi devono avvenire in maniera coordinata e cooperante attraverso il coinvolgimento nei processi di tutte le funzioni aziendali.

 

3.2.3.  Progettare la struttura organizzativa

La struttura organizzativa di un’impresa trova la sua rappresentazione grafica in un organigramma che evidenzia i vari livelli gerarchici nei quali le attività si suddividono e coordinano. Mostra inoltre quali sono i legami di dipendenza esistenti tra le varie posizioni. Tale rappresentazione può svilupparsi in senso verticale sottolineando i rapporti di dipendenza gerarchica e il peso del controllo esercitato dai responsabili verso le diverse posizioni, e in senso orizzontale qualora tra le varie posizioni siano maggiormente rilevate le esigenze di comunicazione, integrazione e coordinamento.

In fase di progettazione organizzativa, la scelta del modello migliore da adottare affinché la struttura organizzativa sia adeguata per l’impresa dipende da diverse circostanze sia interne che esterne all’impresa.

Tali circostanze (variabili) possono essere individuate nei seguenti punti:

  • dimensione dell’impresa misurata da: numero dei dipendenti, disponibilità di mezzi di produzione, tipo di prodotti, volume dei finanziamenti, ampiezza dei mercati nei quali opera, volume della clientela;
  • caratteristiche dei prodotti-mercati intendendo peso del volume delle vendite e della produzione, occupazione, uso e sviluppo della tecnologia;
  • tecnologia, riferita sia al contenuto del prodotto, che al processo. Nonché al peso che la tecnologia assume come spinta motivazionale dell’impresa ad intraprendere circoli virtuosi di sviluppo in senso tecnologico;
  • struttura e dinamismo dell’ambiente, in termini di complessità, incertezza e turbolenza competitiva;
  • strategia adottata, sia in termini di business che di corporate.

Inoltre, Ansoff e Brandeburg evidenziano come la valutazione dell’adeguatezza della struttura organizzativa alla strategia dell’impresa debba essere intesa in termini di efficienza ed elasticità, intendendo con efficienza l’ottenimento del miglior risultato possibile con il minor dispendio di risorse o utilizzando tutte le risorse a disposizione; mentre elasticità intesa in senso operativo, strategico e strutturale. Quest’ultimo aspetto è direttamente collegato per esempio alla capacità di saper rispondere adeguatamente ad aumenti nelle richieste di produzione; a modificare la propria offerta in relazione alle modifiche del mercato e, infine, a modificare la stessa struttura organizzativa (a parità di condizioni di efficienza) in relazione alle influenze derivanti dal dinamismo ambientale. Per tali ragioni, sono diversi i modelli di struttura organizzativa che un’impresa può adottare. Di seguito si elencano le diverse strutture organizzative.

 

3.2.4.  Modelli di progettazione organizzativa

La progettazione organizzativa si focalizza sul coordinamento di tre elementi: le attività lavorative, le relazioni di comando e i raggruppamenti delle unità organizzative.

Le attività lavorative comprendono le unità organizzative poste in essere per svolgere le attività fondamentali per l’impresa. Tali unità sono ricomprese all’interno di suddivisioni funzionali all’interno dell’impresa a seconda del ruolo che queste hanno a livello strategico. Una volta definite le attività lavorative è necessario definire le relazioni di comando che identificano i rapporti gerarchici tra le attività. Normalmente questi rapporti sono rappresentati negli organigrammi attraverso le linee verticali in relazioni ad una linea di autorità che man mano si ramifica nei vari livelli. In tali livelli si articolano poi le stesse attività in raggruppamenti di tipo: funzionale, divisionale, multifocalizzato, orizzontale e a rete.

L’importanza del raggruppamento delle attività sorge dall’esigenza di identificazione, da parte dei dipendenti, di un responsabile comune nonché delle risorse comuni a disposizione. Tale raggruppamento inoltre ha un obiettivo proprio, in linea con l’obiettivo generale dell’impresa, e prevede la collaborazione congiunta di tutti i lavoratori che fanno capo a tale raggruppamento. In questo quadro il raggruppamento sarà di tipo funzionale se i lavoratori che vi fanno parte svolgono funzioni o processi simili e in genere possiedono una conoscenza analoga (tutti coloro che si occupano di marketing, tutti i progettisti, tutti coloro che hanno competenze chimiche, etc.).

Nel raggruppamento di tipo divisionale, invece, i dipendenti sono raggruppati in relazione al business che viene prodotto dalla divisione in questione. Molte grandi imprese hanno al loro interno diverse divisioni che si occupano in genere di produrre prodotti o linee differenti e pertanto costituiscono delle vere sotto-unità dell’impresa stessa che fanno capo ad un dirigente per ogni divisione e che fa da supervisor a tutto il processo interno alla divisione.

Esiste anche un altro tipo di raggruppamento detto multifocalizzato o matriciale che prevede l’adozione di entrambe le due strutture appena menzionate, ovvero il contemporaneo raggruppamento sia per divisioni che per funzioni sviluppate in forma matriciale.

Il raggruppamento delle attività di tipo orizzontale consiste nel mettere insieme tutti i lavoratori che lavorano all’interno di un processo chiave pur provenendo da funzioni differenti.

Infine il raggruppamento a rete prevede il collegamento, seppure di tipo debole, tra componenti separate e anche geograficamente molto distanti. In genere il collegamento a rete avviene attraverso la condivisione di informazioni necessarie per svolgere le varie attività attraverso l’utilizzo delle ITC.

3.2.4.1. Raggruppamento per funzioni

Nella struttura organizzativa per funzioni le varie attività sono raggruppate in base ad una funzione comune e fanno capo ad un responsabile (vice presidente) che è garante di tutte le attività che all’interno della funzione vengono svolte. Questo si ripete per tutte le funzioni che sono presenti all’interno dell’impresa (ad es. per la funzione di marketing, di R&S, di produzione, etc.).

 

Questo tipo di struttura organizzativa è da preferire quando l’impresa produce un solo prodotto o pochi prodotti. Infatti, queste strutture sono maggiormente efficaci se la variabile esperienza rappresenta un elemento critico per il perseguimento degli obiettivi dell’impresa. Inoltre, questa struttura è attuata quando all’interno dell’impresa l’organizzazione necessita di un controllo attraverso l’esercizio di una supervisione gerarchica.

La struttura in analisi favorisce economie di scala mettendole a disposizione dei dipendenti delle varie funzioni e facilita lo sviluppo delle capacità dei lavoratori. A fronte di tali vantaggi si segnalano anche alcuni punti di debolezza che possono riassumersi nei seguenti: maggior lentezza di risposta ai cambiamenti ambientali, carico eccessivo a livello decisionale per i decisori (manager) infatti la struttura funzionale è fortemente centralizzata incanalando le decisioni verso il vertice della gerarchia, maggior lentezza per l’innovazione a causa del minor coordinamento orizzontale tra le diverse unità organizzative, minor visione da parte dei dipendenti degli obiettivi generali dell’impresa.

 

3.2.4.2. Raggruppamento divisionale

Nella struttura divisionale, denominata anche struttura per prodotto (o SBU da Strategic Business Unit), le unità sono organizzate in relazione alla produzione dei diversi prodotti o servizi, gruppi di prodotto, per progetti, divisioni, business o centri di profitto. Ciò che contraddistingue questa categoria di raggruppamento delle attività è il fatto di basarsi sull’output prodotto dall’impresa.

La struttura divisionale per certi versi presenta maggiori aspetti di flessibilità rispetto alla struttura funzionale. Per questo motivo è una struttura adatta all’impresa soggetta a rapidi cambiamenti legati alle dinamiche ambientali. Relativamente all’iter che i processi di decisione seguono in questo tipo di struttura organizzativa, caratterizzati da decentralizzazione, si dimostra come tale struttura sia maggiormente flessibile rispetto alla precedente.

Questo tipo di modello di struttura ben si adatta a quelle imprese nelle quali la gerarchia non consente un controllo adeguato. Inoltre, tale struttura consente il perseguimento degli obiettivi dell’impresa attraverso meccanismi di adeguamento in risposta ai cambiamenti provenienti dall’ambiente.

Un’altra caratteristica propria di questa struttura evidenzia la tendenza ad una maggiore soddisfazione del cliente legata al risultato finale del prodotto come frutto di responsabilità e punti di contatto chiari. Questa è una caratteristica peculiare della struttura divisionale insieme al fatto che le unità ben si adattano alle varie differenze di prodotto, geografiche e di clientela.

In genere tale struttura è propria di organizzazioni molto grandi e complesse che decidono di articolare la loro struttura in divisioni rappresentate da altrettante organizzazioni più piccole e autonome consentendo un miglior controllo e coordinamento delle attività.

Purtroppo, in questa struttura organizzativa le economie di scala sono escluse, e se da un lato esiste un coordinamento tra le varie funzioni non è altrettanto vero che esiste lo stesso tipo di coordinamento tra le linee di prodotto, rendendo peraltro difficoltose l’integrazione e la standardizzatone tra le linee di prodotto. Inoltre, anche il miglioramento delle competenze e della specializzazione tecnica dei lavoratori viene a mancare.

Questo tipo di struttura viene attuato da imprese che hanno molti prodotti o servizi nonché molto personale da potersi permettere unità funzionali separate in grado di rispondere in maniera rapida ai cambiamenti dettati dal mercato.

Oltre alla suddivisone divisionale per prodotti si possono trovare imprese con struttura organizzativa divisionale attuata per area geografica. In questa struttura le divisioni sono costruite tenendo conto dei gusti e delle caratteristiche dei consumatori distinguendo le varie peculiarità per area geografica di appartenenza.

All’interno della divisione creata per un’area geografica si riscontreranno le varie funzioni necessarie per implementare il processo produttivo di un determinato prodotto/servizio. Come è facile intuire, questo tipo di struttura consente un miglior adattamento del prodotto agli specifici bisogni della zona geografica per la quale è destinato, oltre al fatto che il coordinamento orizzontale all’interno di una specifica area geografica è più semplice rispetto al coordinamento tra diverse aree geografiche servite dall’impresa madre.

Organigramma divisionale

 

Organigramma divisionale per processo

 

Organigramma divisionale per area geografica

Organigramma divisionale per clientela

Organigramma divisionale per prodotto o Business Unit (BU)

 

3.2.4.3  Raggruppamento multifocalizzato o a matrice

Talvolta, il ricorso solo alla struttura funzionale pura o alla struttura divisionale pura non consente all’impresa una soluzione adeguata per svolgere la propria attività. In questo caso vi è la necessità di un forte collegamento di tipo orizzontale tra le due strutture funzionale e divisionale. Tale collegamento è rappresentato da una matrice, che collega orizzontalmente l’esperienza tecnica e l’innovazione di prodotto, tipiche della struttura divisionale, con il modificarsi degli scenari ambientali per le quali le strutture funzionali rappresentano la miglior struttura.

Lo sviluppo di questa struttura si può adeguatamente ipotizzare per imprese che rivolgono la propria offerta produttiva verso mercati fortemente complessi e incerti. In questo caso, infatti, l’impresa ha la necessità di un elevato coordinamento che facilità la comunicazione sia in senso verticale che orizzontale anche per quanto riguarda la circolazione e l’elaborazione delle informazioni.

Il punto di forza di questa struttura è rappresentato dal fatto di poter far fronte a differenti istanze dei consumatori nel mercato e nell’impiego flessibile di lavoratori e macchinari adattandosi, così, alle incostanti richieste derivate dall’esterno.

Inoltre, questa struttura è appropriata per quelle imprese di medie dimensioni che non possono disporre (come le grandi imprese con struttura organizzativa di tipo divisionale) di risorse umane da impiegare solo in una determinata divisione.

Questa struttura organizzativa consente dunque la condivisione flessibile delle risorse umane tra le varie divisioni per prodotto. In questi casi esiste la necessità di possedere in comune risorse scarse (anche di altro genere, non solo umane) tra le diverse linee di prodotto/servizio offrendo opportunità di sviluppo di competenze sia funzionali che di prodotto. In questo tipo di strutture organizzative i lavoratori devono possedere buone capacità interpersonali nonché dimostrare di possedere una buona professionalità interscambiabile. Infatti questo tipo di struttura è preferibile in organizzazioni di media grandezza con più prodotti.

La struttura organizzativa articolata a matrice o multifocalizzata si realizza quando la stessa impresa ha bisogno che sia le funzioni che le divisioni (quindi per es. sia i prodotti che le aree geografiche) siano coordinate fra loro in maniera concomitante. In questa struttura i responsabili dei prodotti e i responsabili delle funzioni hanno la stessa autorità e lo stesso potere che, in genere, viene bilanciato in maniera equa. Quest’ultimo aspetto potrebbe generare confusione tra i lavoratori e risultare frustrante, oppure potrebbe sottoporli a richieste contrastanti che derivano dalla duplice autorità. Molto spesso accade che la necessità di numerose riunioni e sessioni per la risoluzioni di conflitti, che sorgono dall’interscambio delle risorse, richiede dispendio e assorbimento di molto tempo. Per tali ragioni è molto importante che ruoli e responsabilità siano chiaramente definiti dalla direzione generale.

È da sottolineare che nello sviluppo di queste strutture organizzative è necessario attuare grandi sforzi affinché si concretizzi un bilanciamento del potere che non sempre è agevole da attuare. Di frequente, infatti, predomina un aspetto rispetto all’altro, non realizzandosi una struttura a matrice bilanciata sia nell’aspetto divisionale che funzionale. In questi casi, a seconda dell’aspetto che prevale ci si riferisce alla struttura matriciale funzionale o di struttura matriciale divisionale. Anche le autorità dei responsabili assumono un peso differente, evidenziando nel primo caso un’autorità maggiore dei supervisori delle funzioni rispetto ai manager di prodotto che hanno più che altro funzioni di coordinamento, e viceversa nel secondo caso.

Organigramma di struttura a matrice

 

 

3.2.4.4. Raggruppamento orizzontale

In genere, le imprese che hanno questo tipo di struttura organizzativa derivano da un processo di riorganizzazione verticale di tipo gerarchico funzionale. Queste imprese, per meglio rispondere ai cambiamenti ambientali, decidono di riorganizzarsi in senso orizzontale raggruppando le attività per processi chiave interfunzionali piuttosto che per funzioni o aree geografiche. In questi casi, la riprogettazione prevede che il ruolo del manager sia inteso in un’accezione differente focalizzandosi non più su limitati compiti all’interno di singole unità funzionali ma sviluppandosi in senso orizzontale, per processi, attraverso il coinvolgimento di più team di lavoratori. Il coinvolgimento di vari team consente l’attuazione di talune attività in maniera flessibile e veloce, in risposta ai bisogni dei clienti. In questo quadro il team dei lavoratori è stimolato a coordinare i propri sforzi e a maturare una buona comunicazione che consente di poter prendere coscienza di una visione più ampia degli obiettivi organizzativi. Il coinvolgimento di vari team stimola la collaborazione annullando i confini tra le diverse unità. I lavoratori che compongono il team ricevono una formazione di tipo trasversale che consente loro di poter: intervenire anche nei compiti dell’uno e dell’altro lavoratore all’interno del team; sviluppare la propria creatività in risposta ai mutamenti ambientali e alle nuove esigenze della clientela che diviene il fattore guida di questo tipo di struttura organizzativa.

In questa struttura non è più ravvisabile una gerarchia rigida e una netta divisone tra le varie unità organizzative mentre si registra una nuova condizione in cui i lavoratori hanno la possibilità di condividere responsabilità e impegno così come all’adozione delle decisioni. Tutto ciò favorisce lo sviluppo di una cultura organizzativa caratterizzata da apertura, fiducia e propensione al miglioramento continuo che rafforza la flessibilità e il servizio ai clienti.

Nonostante ciò, questo tipo di struttura può ostacolare le performance aziendali se i manager non definiscono con chiarezza quali processi chiave rivestono un ruolo critico nel trasmettere maggior valore al cliente. Può dunque essere difficile la definizione dei processi chiave e richiedere molto tempo poiché la riprogettazione di una struttura di tipo verticale ad una orizzontale comporta tutta una serie di cambiamenti che investono la cultura, la riorganizzazioni delle mansioni, dei sistemi informativi ma anche di premio verso i responsabili. Gli stessi manager che facevano parte della “vecchia” struttura non sono in genere disposti a veder diminuire i propri incarichi di responsabilità e di potere.

Organigramma di struttura organizzativa orizzontale

 

3.2.4.5. Raggruppamento a rete

La struttura organizzativa a rete consente il coordinamento di tipo orizzontale oltre i confini dell’impresa in senso tradizionale. Ciò si realizza quando per esempio l’impresa attraverso operazioni di outsourcing affida determinate funzioni aziendali ad altre imprese perché più conveniente in relazione a diverse valutazioni economiche.

Il ricorso all’esternalizzazione di certe funzioni aziendali modifica la concezione tradizionale che si ha della struttura organizzativa dell’impresa. In questo caso infatti non si può tenere conto dell’insieme di attività che fanno capo all’impresa che, di fatto, vengono svolte da altre imprese appaltatrici esterne. L’outsourcing determina una struttura organizzativa a rete nella quale l’impresa madre si concentra nelle attività che può svolgere al meglio ovvero sulle competenze chiave che apportano un vantaggio competitivo, appaltando ad altre imprese (dislocate anche nel resto del mondo) attività specifiche per le quali sono a loro volta specializzate. Questo avviene attraverso il collegamento per via telematica delle imprese esterne ad un ufficio centrale: collegandosi alla rete scambiano dati e informazioni in tempo reale.

Attraverso questa struttura organizzativa è possibile che imprese di piccola dimensione siano in grado di operare a livello globale traendone i benefici che derivano da un contesto internazionale. Per l’impresa madre invece questa struttura presenta il vantaggio, di non poco conto, di poter operare in un raggio d’azione più ampio di quello originario senza la necessità di dover effettuare ingenti investimenti in infrastrutture, impianti o strutture di distribuzione riducendo i costi di amministrazione e le spese. L’operare attraverso una struttura organizzativa a rete richiede capacità di flessibilità da parte dell’impresa madre e delle imprese collegate alla rete. Tale flessibilità rappresenta un vantaggio che consente all’impresa di far fronte ai continui e profondi cambiamenti che caratterizzano i mercati.

Accanto a tali vantaggi si possono registrare anche elementi di debolezza di questa categoria di struttura organizzativa. Il primo punto di debolezza investe la cultura aziendale che presenta caratteristiche di debolezza perché i lavoratori spesso hanno la sensazione di poter essere sostituti con molta facilità. Anche l’esercizio del controllo da parte dei manager risente della limitazione di non poter essere più esercitato in maniera piena su molte attività e su molti lavoratori. Questo evidentemente determina una maggiore difficoltà nella gestione delle relazioni intersoggettive, con dispendio di risorse sia in termini di tempo che di costi.

Non va neppure trascurato il caso in cui un partner si stacchi dalla rete o perché fallisce o per altre ragioni, procurando all’intera struttura organizzativa problemi di coordinamento che così viene a mancare.

 

Organigramma di struttura organizzativa a rete

 

3.2.5.  La progettazione organizzativa a sostegno del vantaggio competitivo.

L’adozione di una corretta struttura organizzativa per l’impresa si rivela condizione necessaria per il sostegno della propria posizione competitiva nel mercato. Questo è in accordo con la prospettiva teorica della Resource Based View (RBV) che sottolinea la funzione svolta dalle risorse interne alle imprese come fonti principali del vantaggio competitivo. In relazione a tale prospettiva, la formulazione della strategia d’impresa trova il suo principale presupposto nel corretto impiego delle risorse attraverso l’adeguata progettazione delle stesse. Questo significa che la formulazione della strategia è strettamente legata alla stessa progettazione organizzativa intesa quale meccanismo idoneo a favorire lo sviluppo e il rafforzamento di nuove relazioni in grado di conseguire vantaggi competitivi sostenibili e inimitabili da parte dei concorrenti.

In quest’ottica, la progettazione organizzativa non va intesa solamente come la scelta di un modello di struttura piuttosto che di un’altra, quanto come la combinazione più adatta e coerente con le esigenze dell’impresa in relazione allo scenario competitivo e agli obiettivi prefissati.

Infatti, la progettazione organizzativa è per l’impresa:

¦   da un lato, la scelta della forma o struttura organizzativa più idonea alle proprie caratteristiche, alla strategia che si vuole adottare e al settore nel quale l’impresa opera;

  • dall’altro lato, l’identificazione delle possibili modificazioni che la stessa struttura deve subire in relazione alle dinamiche ambientali e agli sviluppi dello scenario competitivo.

Tutto ciò significa sviluppare una struttura organizzativa coerente con le esigenze strategiche dell’impresa intesa in un’accezione dinamica ovvero, come un processo che richiede continui aggiustamenti legati alle dinamiche interne dell’impresa ed esterne dall’ambiente.

E’ errato pensare dunque ad una progettazione organizzativa statica che non tenga conto dello scenario competitivo nel quale l’impresa opera poiché il legame della strategia dell’impresa alla struttura organizzativa evidenzia il necessario dinamismo che la progettazione deve possedere.

In conclusione, le scelte di progettazione organizzativa sono strettamente legate ai bisogni strutturali emersi dall’analisi strategica e si riassumono nella:

  • definizione delle diverse combinazioni organizzative (funzionali alla strategia dell’impresa);

¦   individuazione della forma organizzativa;

  • analisi delle relazioni tra la struttura organizzativa con gli altri elementi del sistema impresa

 

IV.4.  La direzione del personale

At L’Oreal, success starts with people. Our people are our most precious asset. Respect for people, their ideas and differences, is the only path to our sustainable long-term growth.

L’Oreal advertisement, Diversity Inc, Nov 2006, p.9

 

    • Il processo di gestione delle risorse umane

Il management delle risorse umane (o Human Resource Management – HRM) è importante per tre ragioni. Primo, i soggetti possono essere una fonte di vantaggio competitivo; secondo, l’HRM è una parte importante della strategia organizzativa; terzo, il modo in cui le organizzazioni dirigono le risorse umane influisce sul livello di performance organizzativa.

Risulta evidente che le organizzazioni devono porre in essere specifiche attività per essere sufficientemente certe di introdurre persone qualificate, con adeguate conoscenze e abilità. Nel Riquadro IV.15. viene presentato il processo di acquisizione di personale. Le prime tre attività tendono ad identificare e selezionare persone competenti; le due successive sono indirizzate alla valutazione delle conoscenze e abilità e al livello di “aggiornamento” dei candidati; le ultime tre sono destinate a verificare se i soggetti che l’organizzazione sta introducendo posseggono elevate competenze e performance.

Come risulta anche dallo schema inerente al processo di ricerca, introduzione e gestione delle risorse umane, un aspetto che non può essere trascurato riguarda la considerazione dei fattori ambientali che influiscono sul suddetto processo. Pertanto, prima di analizzare le singole fasi, pare opportuno considerare i fattori che sono particolarmente influenti: le organizzazioni sindacali, le leggi e i regolamenti e i trend demografici.

Le organizzazioni sindacali rappresentano i lavoratori e sono impegnate a proteggere i loro interessi attraverso contrattazioni collettive. Talvolta, tali contrattazioni collettive definiscono le fonti dalle quali attingere per il reclutamento, i criteri per l’assunzione, le promozioni e il licenziamento, le norme disciplinari. Il peso di tali organizzazioni è molto variabile nei vari Stati e cambia con il mutare degli eventi che influiscono sul mondo del lavoro.

In ogni Stato sono presenti specifiche norme che regolano l’attività lavorativa e che tutelano il trattamento dei lavoratori punendo le discriminazioni razziali, di genere, di retribuzione, di divieto del lavoro minorile, e simili.

Il problema dei trend demografici influisce sulla gestione delle risorse umane in quanto è in atto da alcuni decenni un progressivo invecchiamento della popolazione e, quindi, della forza lavoro. Si tratta di un fenomeno che deve indurre a ripensare le modalità di svolgimento delle attività in molte organizzazioni, soprattutto quelle labour intensive.

 

      1. Identificazione e selezione di personale competente

Ogni organizzazione ha necessità di disporre di dipendenti che siano in grado di svolgere le attività che possono portarla al successo. Come le organizzazioni possono trovare tali soggetti umani? E, soprattutto, come possono avere la sicurezza di aver trovato persone competenti e di talento? Le prime tre fasi del processo di HRM presentate nel Riquadro IV.15. tendono a soddisfare i precedenti quesiti.

La programmazione delle risorse umane, è un’attività che i manager devono svolgere con continuità e attenzione in quanto consente di avere sempre una compiuta conoscenza quantitativa e qualitativa della forza lavoro presente nell’organizzazione. In tal modo ogni esigenza di nuovi inserimenti o di nuove o diverse professionalità può essere tempestivamente soddisfatta. Più esattamente, una corretta attività di programmazione si sviluppa attraverso un attento “inventario” dei dipendenti presenti e una conoscenza delle esigenze future.

Un buon manager delle risorse umane deve poter conoscere con tempestività, magari con il supporto di un valido data base, tutte le informazioni che riguardano i dipendenti dell’organizzazione: non solo i dati anagrafici, ma anche la tipologia di formazione, le lingue conosciute, precedenti occupazioni, capacità particolari, specializzazioni e simili. In tal modo, nel caso si presenti la necessità di ricoprire un incarico con specifiche competenze e in un Paese diverso da quello della sede centrale dell’impresa, il manager è in grado di combinare le diverse esigenze con una semplice interrogazione del data base.

Una parte importante della valutazione (Riquadro IV.16.) della condizione esistente è la job analysis, cioè l’analisi dello svolgimento delle differenti attività lavorative per acquisire informazioni con un’osservazione diretta. Ciò permette di realizzare una compiuta e realistica descrizione di ogni specifico compito. In tal modo si dispone di un quadro delle qualificazioni necessarie per ogni fattispecie di attività lavorativa, cioè delle conoscenze, abilità e attitudini necessari e per realizzare effettivamente una specifica mansione. Si tratta di basi di conoscenza indispensabili per un corretto svolgimento delle fasi di reclutamento e selezione.

Per quanto attiene all’individuazione di bisogni futuri di personale, è indispensabile tenere conto degli obiettivi e delle strategie. Per esempio, se l’organizzazione decide di espandere la propria attività in un’area in via di sviluppo, è possibile che si scontri con l’assenza di persone con competenze qualificate nell’area e, pertanto, deve trovare le modalità per acquisire comunque il personale di cui ha necessità o con specifiche attività di formazione a soggetti locali, o con trasferimento di soggetti già qualificati, e simili decisioni.

Reclutamento. Nel caso in cui nell’impresa ci sia un posto vacante, il manager, sulla base delle informazioni derivanti dalla job analysis e connessa job description, può avviare la fase del reclutamento, cioè l’attività tesa ad individuare e attrarre candidati capaci.

Alcune organizzazione hanno approcci interessanti per trovare i dipendenti: alcuni di questi sono indicati nel Riquadro IV.17. dal quale si evincono anche i principali vantaggi e svantaggi di ciascuno di essi.

Selezione. Una volta che si dispone di un gruppo di candidati, la fase successiva del processo è la selezione, cioè valutare i candidati per determinare quale è il più qualificato per il lavoro. È una fase molto delicata, perché un errore nell’assunzione può avere rilevanti implicazioni per l’impresa, soprattutto nel caso in cui si inserisca un soggetto che non possiede competenze adeguate al ruolo.

Perché un processo di selezione sia valido, è opportuno che vi sia una relazione tra lo svolgimento di essa e alcuni criteri da seguire per il suo svolgimento. Ci si può avvalere di vari strumenti: quelli più conosciuti sono il modulo di domanda, i test scritti e i test di simulazione delle performance, interviste e, in qualche caso, anche esami attitudinali. Ognuno di essi presenta punti di forza e di debolezza e valore limitato rispetto ad alcune esigenze di selezione. Nel Riquadro IV.18. vengono presentate alcune considerazioni sugli strumenti più noti.

 

Riquadro IV.18.

                  Gli strumenti per la selezione

Strumenti

Punti di forza e di debolezza

Modulo di domanda

Test scritto

 

Test di simulazione della prestazione

Interviste

Accertamenti sulla formazione

Utilizzato quasi universalmente

Utile per raccogliere informazioni

Può indicare prestazioni di lavoro

Può essere correlato al lavoro

Include test su intelligenza, attitudine, abilità, personalità e interessi

Relativamente valido per posizioni di supervisione

Utilizza reali comportamenti di lavoro

Centro di valutazione di lavoro simulato: appropriato per valutare propensioni manageriali

Utilizzate quasi universalmente

Si deve sapere cosa chiedere e cosa non chiedere

Possono essere utili per posizioni manageriali

Verifica delle informazioni del modulo di domanda

      1. Fornire ai dipendenti le necessarie abilità e competenze aggiornate

Una persona che inizia un nuovo lavoro ha necessità di acquisire la conoscenza delle regole, delle procedure, ecc. che caratterizzano l’organizzazione nella quale si sta inserendo. Per questo viene attuata un’attività di orientamento. Si possono svolgere due tipi di orientamento: allo specifico compito, che permette al dipendente di acquisire familiarità con gli obiettivi dell’unità operativa, indica il contributo all’unità di lavoro con lo specifico compito del nuovo assunto e include una presentazione ai colleghi; l’orientamento all’organizzazione il nuovo assunto viene informato sugli obiettivi, la storia, la filosofia, le procedure e le regole dell’organizzazione.

Molte organizzazioni dispongono di un programma formale di orientamento (più o meno “strutturato”), mentre altre si avvalgono di un approccio più informale, cioè il nuovo assunto viene “affidato” ad un membro senior che lo introduce nel gruppo di lavoro e gli fornisce le informazioni essenziali sull’organizzazione.

L’addestramento – sia in fase di inserimento che per coloro già inseriti - costituisce un’importante attività della gestione della risorse umane. Così come si modifica la domanda di lavoro, le abilità dei dipendenti devono cambiare. I manager sono responsabili della decisione di quale tipo di addestramento hanno necessità i dipendenti, quando, questo è necessario e quale forma deve assumere.

Si può optare per un addestramento generale o specifico e avvalersi di metodi tradizionali o basati sulla tecnologia. L’addestramento generale si basa sull’acquisizione di abilità di comunicazione, servizi ai clienti, abilità di gestione e sviluppo, sviluppo personale, vendite, abilità di supervisione e simili; l’addestramento specifico riguarda la creatività, la percezione della diversità culturale, la leadership, la conoscenza, l’abilità di realizzare presentazioni pubbliche, l’etica, e simili. In merito ai metodi di addestramento, si veda il Riquadro IV. 19.

 

Riquadro IV.19.

             I metodi di addestramento

Metodo di addestramento

Descrizione

Tradizionale

 

Basato sulla tecnologia

Sul lavoro I dipendenti apprendono come svolgere il proprio compito semplicemente eseguendolo, di norma dopo un’iniziale introduzione ad esso

Rotazione del lavoro I dipendenti lavorano in una specifica area, effettuando una varietà di compiti

Addestramento e consiglio I dipendenti lavorano con un lavoratore esperto che fornisce, informazioni, supporto e incoraggiamento

Addestramento esperienziale I dipendenti partecipano a role playing, simulazioni o altri tipi di addestramento face-to-face

Manuali I dipendenti fanno riferimento ai manuali di addestramento per le informazioni

Lezioni in classe I dipendenti partecipano a lezioni atte a trasmettere specifiche informazioni

CD-ROM/DVD/Videocassette/AudiocassetteI dipendenti ascoltano o guardano media che trasmettono informazioni o dimostrano particolari tecniche

Videoconferenze/Teleconferenze/TV satellitare – I dipendenti ascoltano o partecipano alla trasmissione di informazioni o alla dimostrazione di tecniche

E-learning – Apprendimento basato su Internet dove i dipendenti partecipano in simulazioni multimedia o altri moduli interattivi

      1. Inserire dipendenti competenti e con alta performance

Se un’impresa ha investito ingenti somme di denaro nell’attività di reclutamento, selezione, orientamento e addestramento, desidera inserire dipendenti competenti e con elevata performance.

La performance dei dipendenti. I manager hanno necessità di sapere se i propri dipendenti sono in grado di svolgere il loro compito con efficienza ed efficacia o se hanno necessità di miglioramento. Questo è ciò che si ottiene con un sistema di management performance: vengono stabiliti degli standard di performance che vengono utilizzati per valutare lo svolgimento del lavoro. I manager si possono avvalere di vari metodi per la valutazione dei dipendenti: stilare rapporti scritti, analisi di avvenimenti critici, confronto con altri dipendenti, il raggiungimento degli obiettivi e altri specificamente individuati per particolari esigenze dell’organizza-zione.

Remunerazione e benefits. Lo sviluppo di un’efficace e adeguato sistema di remunerazione costituisce una parte importante del processo di HRM. Esso può aiutare ad attrarre e trattenere soggetti competenti e di talento che aiutano l’organizzazione a realizzare missione e obiettivi. Inoltre, disporre di un sistema remunerativi dell’organizzazione ha un impatto positivo sulle performance strategiche.

I manager devono sviluppare un sistema remunerativo che rifletta il cambiamento della natura del lavoro e del luogo di lavoro per mantenere alta la motivazione dei dipendenti. Vi sono molti fattori che influiscono a determinare il livello di remunerazione e di benefits che i dipendenti ricevono. Un esempio viene riportato nel riquadro IV.20.

 

Quali fattori determinano la retribuzione e i benefits?

    1. Stili di direzione

Uno dei compiti più importanti e difficili del manager è costituito dalla scelta dello “stile” da utilizzare per interagire più proficuamente con i propri dipendenti. Lo stile di direzione può definirsi come l'insieme dei comportamenti manageriali, derivanti dai valori e dai convincimenti esistenti e stabilizzati in un modello di rapporto umano utilizzato nelle relazioni di potere all'interno dell'organizzazione e in specie nell'esercizio della leadership e nello svolgimento del rapporto di lavoro. E' evidente che dal modello adottato dipende il “clima” umano che caratterizza le relazioni di potere, posto che il soggetto subordinato non è indifferente al tipo di modello prescelto e che quindi reagisce in termini di grado e tipo di autorità riconosciuta al soggetto che gli è preposto.

La scelta dello stile di direzione non è sempre esplicita e spesso non è incontrastata, poiché i diversi manager (anche nella stessa organizzazione) in concreto possono avere propensioni diverse e, ciò che più conta, possono non essere capaci di utilizzare adeguatamente il modello formalmente prescelto, o possono non accettarne la scelta. Da questa circostanza risulta che in una stessa organizzazione possono coesistere diversi stili di direzione, così come può avvenire che lo stile (o gli stili) vengano modificati col passare del tempo in relazione a sopraggiunte diverse contingenze.

Lo stile di direzione risultante nell'organizzazione è connesso con gli specifici fattori culturali e socio-economici caratterizzanti il management dell'organizzazione: i valori culturali e sociali ai quali i manager ispirano la loro condotta umana hanno ovviamente un ruolo fondamentale nella definizione del modello di rapporto umano da utilizzare nelle relazioni di potere interno. E' evidente peraltro che gli indicati valori culturali e sociali dei quali i manager risultano essere “portatori” si creano nell'ambiente e nell'ambiente si evolvono. In questo contesto è fondamentale il sistema di convincimenti che vigono nell'ambiente considerato in merito ai rapporti sociali e alla natura dell'uomo, poiché è su questi convincimenti che si fonda essenzialmente lo stile di direzione che di fatto viene prescelto nell'organizzazione, generalmente parlando. In tal modo risulta che, se i valori prevalenti in due specifici ambienti sono ispirati rispettivamente all'autoritarismo e alla partecipazione, le organizzazioni operanti nei due ambienti scelgono tendenzialmente (ma non certamente) uno stile di direzione assimilabile a tali valori culturali e sociali. Comunque ciò si verifica nella maggior parte dei casi.

Nel giudicare se uno stile di direzione è appropriato rispetto ad una data organizzazione, occorre evitare di assumere giudizi di valore mediati esclusivamente da considerazioni riferite all'ambiente: in una data organizzazione infatti uno stile di direzione può essere considerato appropriato alle specifiche caratteristiche della stessa e allo specifico tempo considerato, indipendentemente dal fatto che con riferimento all'ambiente non siano accettabili i valori culturali e sociali che stanno a base dello stile di direzione scelto nell'organizzazione. In astratto possono indicarsi due stili di direzione diametralmente opposti (l'autoritario e il democratico); possono poi elencarsi vari altri stili intermedi rispetto ad essi. In effetti le categorie di stili di direzione sono molteplici, ma la definizione delle loro precise caratteristiche astratte costituisce forse un mero esercizio intellettualistico, posto che in realtà lo stile effettivamente adottato viene di fatto, seppure inconsapevolmente, filtrato dalle condizioni umane e non umane dell'organizzazione considerata e difficilmente può essere ricondotto schematicamente ad un preciso modello.

I modelli proposti in campo teorico e quelli di fatto riscontrabili nella realtà operativa, sono numerosissimi. Non è qui possibile realizzare un loro esame, proprio a motivo dell'indicata numerosità da considerare, per cui si rinvia alle pubblicazioni specialistiche sull'argomento; qui pare sufficiente citare semplicemente alcuni tra gli stili di direzione evidenziati in teoria e soprattutto fare qualche cenno sul contributo teorico offerto sull'argomento dal Mac Gregor, con particolare riferimento all'impresa.

In relazione agli stili di direzione ipotizzati in teoria e realizzati in pratica, può essere indicativo della notevole quantità di ipotesi prospettate riportare in coppia (di cui, in astratto, il primo termine è affermativo, mentre il secondo è l'antitesi negativa del primo) le seguenti denominazioni dei modelli riscontrabili in teoria:

a) democratico e autoritario;

b) partecipativo e paternalistico;

c) realista e opportunista;

d) organizzativo e burocratico.

Il Mac Gregor propone nuovi criteri per realizzare la direzione del personale utilizzando l'espressione “Teoria Y” per identificare una sua proposta che si sostanzia in uno stile di direzione (basata su una concezione “democratica” dell'individuo), che tende a favorire la creatività e la responsabilizzazione dei soggetti per il tramite della realizzazione dei presupposti per una forte identificazione dell'individuo con la propria organizzazione. L'autore fa’ rilevare che le teorie tradizionali, formulate a tal proposito, e da lui indicate con l'espressione “Teoria X”, risultano inadeguate proprio perché si basano su una concezione dell'individuo e su uno stile di direzione propri della scuola del Management scientifico e quindi non più attuali, anche perché non precipuamente “democratici”.

Senza voler contestare in alcun modo la giusta propensione all'utilizzazione di stili di direzione di cui alla TeoriaY di Mac Gregor, pare opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che anche per tale questione vale il “principio di contingenza” che impone di effettuare le scelte previa attenta considerazione delle condizioni di tempo e di luogo.

 

IV.5.  La valutazione di efficacia

L’efficacia, quale categoria concettuale che indica la capacità di soddisfare le aspettative, nella realtà dei tempi moderni ha importanza e utilità molto superiori rispetto al passato. Attualmente, infatti, disporre di elevate attitudini di funzionalità e validità è molto più necessario di prima, sia a motivo della crescita di complessità sistemica delle situazioni e dell’allargamento al contesto globale dei confronti, sia a motivo della progressiva crescita di competitività, sia, ancora, a motivo dell’esigenza di ottenere il consenso dell’opinione pubblica, posto che il rischio di molte delle attività svolte trascende la sfera privata per collocarsi in un contesto pubblico.

In questo quadro, la necessità di efficacia diventa un imperativo per i soggetti umani individuali e per i soggetti collettivi (Istituzioni di vario livello, sistemi socio-economici, organizzazioni) per tutti diventa indispensabile garantirsi un elevato grado di qualità o, meglio, è necessario tendere all’eccellenza.

A tal proposito occorre avere pieno convincimento del fatto che neppure l’efficacia “cresce spontanea”, bensì occorre volerla, praticarla e verificarne l’ottenimento. Ciò, tra l’altro, non può essere fatto una volta per tutte, in quanto il conseguimento dell’efficacia è un risultato assolutamente instabile, cioè non ripetibile automaticamente né facilmente, bensì è conseguibile di volta in volta e per ciascuno dei segmenti del sistema solamente se, a tal fine, si ripone grande impegno. In altri termini, risulta indispensabile ricercare l’efficacia con continuità e sistematicità posto che solo in tal modo si può ottenere il risultato voluto.

L’obiettivo dell’efficacia ha di certo il suo presupposto nella consapevolezza di quanto fin qui affermato e, in particolare, nella forte volontà di conseguirlo.

Sul piano pratico, le circostanze della consapevolezza dell’inderogabile esigenza dell’efficacia e della volontà del suo conseguimento sono condizioni necessarie ma non sufficienti in quanto l’efficacia ha potenziali peculiarità in ciascuna delle situazioni reali in cui viene ricercata. Per questo motivo l’efficacia deve essere perseguita e, più esattamente, solo l’impegno “mirato” e intenso può fornire l’esito voluto. La volontà realizzatrice che sia coerente con questa constatazione e che riesca a superare le difficoltà che in ciò sono insite, implica il passaggio dal campo dei propositi al campo dell’effettivo conseguimento dell’efficacia.

Per colmare il potenziale (e, di norma, rilevante) distacco tra efficacia concettuale ed efficacia pratica, il problema viene posto sul piano dei compiti fondamentali della Direzione dell’organizzazione interessata al suo conseguimento. In questa prospettiva l’efficacia si considera, da un lato, quale oggetto fondamentale della “programmazione” e, dall’altro lato, quale elemento da sottoporre a “controllo” continuo e sistematico, mentre la funzione di guida o di Direzione del personale ne deve risultare complessivamente condizionata in modo positivo. È subito da precisare, che i significati che assumono la programmazione e il controllo nella valutazione di efficacia non coincidono pienamente con i significati tradizionali di tali funzioni, come si nota nelle pagine seguenti.

Le organizzazioni perseguono la prospettiva di colmare il divario tra efficacia concettuale e efficacia pratica proprio per il tramite della valutazione di efficacia, cioè di un complesso processo tendente alla verifica di conformità delle realizzazioni rispetto alle aspettative. Per questo motivo, le problematiche cognitive e quelle normative e operative della valutazione di efficacia delle organizzazioni assumono, nella realtà attuale, contenuti e modalità di estrinsecazione atti a consentire l’accertamento di attitudine al conseguimento delle aspettative rispetto alla realizzazione di politiche, interventi, programmi, iniziative, misure, risultati, performance e quant’altro nelle organizzazioni possa implicare il conseguimento o meno di un congruo livello di efficacia.

È in questo senso che ha significato la considerazione della valutazione di efficacia quale matrice di successo delle organizzazioni, posto che essa deve essere considerata non un semplice fatto operativo di mera verifica di conformità della realizzazione rispetto all’aspettativa, bensì quale orientamento profondo di attuazione di decisioni e impegni. In effetti, la valutazione di efficacia assume il connotato di un orientamento generale dei comportamenti dei soggetti umani dell’organizzazione perché l’aspettativa dell’esito positivo della valutazione li motiva positivamente e, quindi, li responsabilizza. In termini più semplici e diretti, si intende affermare che la valutazione di efficacia delle organizzazioni non è solo un’attività di accertamento, bensì pure un presupposto di conseguimento continuo e sistematico di efficacia.

Oltre a quanto già notato, è da affermare che in occasione di atti valutativi si possono accertare anche cause di inefficacia, ovvero “punti di debolezza” inerenti al conseguimento di efficacia. Risulta ovvio supporre che tali accertamenti originino azioni correttive o comunque tali da risultare ostative della continuità di manifestazione di cause di inefficacia e di “punti di debolezza” individuati.

Nonostante la sua grande validità per il conseguimento del successo, si può affermare che la valutazione di efficacia delle organizzazioni, intesa nel senso ampio sopra prospettato, non risulta ancora sufficientemente sviluppata né dal punto di vista cognitivo, né dal punto di vista normativo. Tra le molteplici cause che originano questa circostanza, è il fatto che gli importanti effetti positivi della valutazione di efficacia di norma non sono né immediati o a breve termine, né direttamente misurabili in modo facile, mentre la realizzazione della valutazione di efficacia è immediatamente impegnativa e, ovviamente, determina costi significativi. È pure vero che è diffusa la supposizione che gli effetti della valutazione di efficacia (o effetti simili) si possano ottenere per il tramite di tecniche consuete e più facili da applicare, quale è il “controllo di gestione”. Questa supposizione è di certo erronea almeno perché il controllo di gestione consente di accertare gli scostamenti tra i dati economici programmati e quelli verificatisi ma non fornisce informazioni sull’efficacia di altri elementi della realtà dell’organizzazione. Semmai è vero che il controllo di gestione può assumere rilievo quale uno degli elementi da utilizzare per la valutazione di efficacia.

In definitiva, pare di poter affermare che le modificazioni avvenute di recente nella realtà delle organizzazioni impongono sempre più il perseguimento dell’effica-cia e, quindi, l’attivazione di processi di valutazione, così come impongono notevoli adeguamenti e approfondimenti delle problematiche organizzative, sia sul piano teorico che sul piano normativo: in questo ambito anche la Teoria di cui trattasi richiede un generale adattamento alle nuove condizioni di esistenza delle organizzazioni. In particolare, è certo che questa Teoria appare, da un lato, molto frammentata in relazione alle varie situazioni di riferimento e, dall’altro lato, molto condizionata dalle particolari caratteristiche dei tempi in cui essa è stata inizialmente formulata.

Non pare pertanto inutile proporre un contributo teorico all’individuazione delle coordinate di una Teoria complessiva della valutazione di efficacia delle organizzazioni, individuando, nel contempo, le aree problematiche sulle quali risulta particolarmente rilevante sviluppare gli impegni teorici per evidenziare miglioramenti cognitivi e per formulare soluzioni normative.

 

5.1. Concetti introduttivi

Nelle scienze sociali, considerate in senso lato, il vocabolo “valutazione” tradizionalmente viene utilizzato per indicare l’impegno di attribuzione del valore ai beni economici e ai debiti.

Accanto a tale significato ne esiste un altro che concerne l'accertamento del livello della corrispondenza tra prestazioni richieste e prestazioni effettuate. In questo ambito si affrontano e propongono soluzioni per il problema della responsabilizzazione dei soggetti umani e, soprattutto, dei dirigenti rispetto ai risultati da conseguire.

Analogo significato viene attribuito al termine valutazione allorché lo si utilizza con riferimento ai costi, come si evince con evidenza da espressioni del tipo “valutazione dei costi”, non ci si riferisce all’attribuzione del valore (posto che questo è un problema di “determinazione” dei costi), bensì all’apprezzamento di congruità dei costi sostenuti rispetto ad uno standard prescelto e stabilito ipoteticamente o realmente: quest’ultimo caso si verifica a proposito del cosiddetto controllo budgetario, nel quale vengono confrontati i costi previsti nel budget con quelli effettivamente sostenuti, al fine di individuarne gli scostamenti e le eventuali cause.

Il termine “valutazione” è utilizzato pure in un’altra accezione, peraltro molto assimilabile alle precedenti: ci si riferisce al fatto che per le grandi, o meno grandi, organizzazioni si utilizza tale termine con riferimento all’esigenza di accertare la congruità di iniziative (politiche, programmi, misure, azioni, ecc.) intraprese. Più esattamente, esiste l’esigenza di effettuare “valutazioni di efficacia delle organizzazioni”, cioè di accertare il conseguimento di un esito positivo delle aspettative riposte sugli impegni richiesti alle entità organizzative di vario tipo.

Questa circostanza ha presupposti e origini molteplici tra i quali è pure quello culturale o, meglio, politico-culturale che si riferisce al fatto per cui nelle aree più avvantaggiate della Terra i sistemi politici risultano basati sulle regole della democrazia, quindi, della partecipazione dei cittadini alle scelte fondamentali, mentre l’opinione pubblica esercita attenzione critica anche sulla base delle sollecitazioni delle istanze politiche contrapposte. Più in generale, è ovvio che si richieda la subordinazione delle risorse utilizzate per la realizzazione delle decisioni agli imperativi dell’efficienza non disgiuntamente dal conseguimento di finalità di matrice politica, culturale e persino etica. Comunque, i decisori, i consumatori, gli utenti e i cittadini in genere, richiedono che le attività delle Istituzioni e le offerte delle organizzazioni siano soddisfacenti, ossia improntate anche agli imperativi di efficacia e di qualità.

In tal modo, dalle Istituzioni mondiali più importanti agli Enti pubblici locali e alle imprese, è in corso la tendenza, che si intensifica progressivamente, a “fare i conti” con l’esigenza della congruità dell’attività da svolgere (e dell’investimento effettuato) nella prospettiva del conseguimento degli obiettivi voluti. Non si reputa più sufficiente programmare gli interventi, accedere alle fonti di copertura dei fabbisogni finanziari degli stessi e, quindi, realizzarli; si pone, infatti, anche il problema di dimostrarne la validità dell’attuazione, cioè di accertare e comunicare all’opinione pubblica l’esito positivo dall’iniziativa intrapresa. Ciò si verifica non solo con riferimento agli Enti pubblici, bensì anche con riferimento alle imprese private: si pensi, a tal proposito, al caso delle società le cui azioni sono quotate nelle borse valori.

Oltre alle accezioni sopra indicate, nella pratica si stanno verificando utilizzazioni e interpretazioni del vocabolo “valutazione” che risultano assolutamente incongrue perché generano erronee interpretazioni della realtà. In merito, valga l’esempio delle espressioni “valutazione della professione” e “valutazione della professionalità”, usate per indicare “le aspettative per le attività da svolgere”: tali espressioni, più che riferirsi all’eventuale differenza tra prestazioni richieste e prestazioni effettuate, si riferiscono al “modello ritenuto ottimale” o “soddisfacente” (e quasi mai esplicitato) di prestazioni astratte che una certa categoria di soggetti dovrebbe porre in essere, quale, per esempio, quella dei giudici, o dei professori, o degli avvocati, o degli ingegneri, ecc. In tale contesto, per esempio, è invalso l’uso di parlare della “valutazione della professionalità del giudice” per indicare i contenuti dell’attività attesa dal giudice, ingenerando così la supposizione che la professionalità, cioè l’attitudine professionale, corrisponda all’esito dell’attività svolta. Così facendo, tra l’altro, non si considera (o non si sa) che, mentre la “professionalità” è un’attitudine soggettiva (individuale, o di una specifica categoria di individui), gli esiti dell’attività sono riferibili complessivamente a tutti coloro che intervengono nell’attività, cioè all’organizzazione, o all’unità organizzativa che ha reso possibili tali risultati. Questo argomento viene ripreso nel seguito.

La valutazione di efficacia delle organizzazioni viene identificata anche con altre espressioni, quali, diagnosi aziendale, check-up diagnostico e simili. Ovviamente, i confini tra valutazione di efficacia e diagnosi (o altre espressioni simili) non sono facili da definire in astratto, ma può affermarsi che la valutazione di efficacia costituisce l’espressione più generale che, quindi, ricomprende anche le altre.

 

Finalità e contenuti

A prescindere dalle utilizzazioni palesemente erronee, i significati del vocabolo “valutazione” presentati nel punto precedente, così come altri sopra trascurati per brevità, si possono opportunamente raggruppare in due categorie, la prima delle quali si riferisce esclusivamente all’attribuzione del valore ai beni (e ai debiti), mentre la seconda comprende ogni altro significato cui sopra ci si è riferiti.

È subito da precisare – riprendendo un concetto accennato in precedenza - che questa seconda categoria interpretativa, se in senso stretto può essere riferita all’attività di accertamento di congruità tra la realizzazione effettuata dall’organizza-zione in oggetto (o, all’interno di questa, all’accertamento della realizzazione effettuata da singoli soggetti umani, o da gruppi di soggetti umani, o da coalizioni di soggetti e di gruppi) e l’aspettativa corrispondente, in senso più ampio e più proprio deve essere considerata quale matrice di successo delle organizzazioni. A questa seconda accezione del termine valutazione ci si vuole riferire in questo scritto trascurando ogni considerazione della prima accezione, cioè di quella che implica l’attribuzione di valore ai beni (e ai debiti).

In relazione a tale riferimento, si reputa possibile e opportuno formulare i lineamenti di una moderna Teoria della valutazione di efficacia delle organizzazioni, sia perché le varie fattispecie di valutazione indicate possono, appunto, essere ricondotte ad una stessa base concettuale, sia perché tale base è in effetti ben più ampia e congrua rispetto a quanto risulti da una concezione riduttiva dell’atto valutativo.

Sulla base dell’interpretazione più appropriata della valutazione di efficacia è opportuno che essa venga realizzata anche nei casi in cui eventuali accertamenti di inefficacia non possano essere seguiti da azioni sanzionatorie. In tutte le applicazioni della valutazione, almeno a livello implicito, c’è la riproposizione del valore dell’effi-cacia: non può sfuggire che la valutazione di efficacia quale pratica organizzativa, assume anche valenza euristica.

Una Teoria complessiva della valutazione di efficacia, quale matrice di successo delle organizzazioni, si riferisce necessariamente all’organizzazione quale “collettività di soggetti umani, che insieme realizzano attività finalizzate”. Dall’assunzione di questa definizione derivano molteplici implicazioni, a partire da quella per la quale il “valore” di ogni organizzazione dipende dalle caratteristiche che assumono i soggetti umani che la compongono e le reciproche relazioni.

La Teoria della valutazione di efficacia delle organizzazioni può opportunamente corrispondere all’esigenza di sviluppo degli studi organizzativi in una prospettiva interdisciplinare. Infatti, si tratta di una Teoria che ha molteplici collegamenti con i fondamenti di varie altre scienze sociali e di altre discipline connesse, quali l’Economia, la Politica Economica, il Management, la Sociologia, la Psicologia Sociale e, in particolare, con alcuni aspetti evolutivi delle discipline indicate o di altre quali la K-economy (economia della conoscenza), la Teoria delle decisioni, la Teoria degli investimenti, il Management by Objectives, ecc.

 

Equifinalità e interdisciplinarità nelle analisi valutative sulle organizzazioni

Poiché l’organizzazione è un sistema socio-economico, ovvero come già si è notato, “una collettività di soggetti umani che insieme svolgono attività finalizzate”, risulta consequenziale utilizzare nelle valutazioni di efficacia delle organizzazioni i fondamentali postulati metodologici dell’approccio per sistemi e, in particolare, l’equifinalità, l’interdisciplinarità e il principio di contingenza. Quest’ultimo costituisce oggetto di qualche cenno nel paragrafo successivo di questa stessa parte, mentre ai primi due si dedica qualche considerazione in questo punto.

Nelle analisi teoriche concernenti le scienze sociali, come nelle applicazioni pratiche, occorre di norma bandire il determinismo e, in particolare, la supposizione che l’effetto studiato, o favorito in relazione all’attività dell’organizzazione, possa derivare in modo esclusivo, preciso, determinato e univoco da una o più cause originarie. È invece vero che, generalmente, nel passaggio tra il manifestarsi delle cause e il prodursi degli effetti dell’azione delle organizzazioni possono inserirsi elementi non definibili come cause iniziali i quali modificano l’andamento del processo di passaggio dalle prime alle seconde posto che si tratta di processo che opera in un contesto aperto con la normale interferenza di esseri umani. È vero, cioè, che da una o più cause possano derivare alternativamente effetti diversi, ovvero che l’effetto o gli effetti accertati in relazione ad un processo organizzativo possano derivare alternativamente da cause diverse.

Il principio cui ora si è fatto cenno vale anche a proposito della valutazione di efficacia delle organizzazioni la quale, almeno per questo motivo, implica l’esigenza di superare problemi descrittivi e interpretativi molto difficili, così come difficili risultano essere anche i problemi derivanti dalle applicazioni effettuate.

L’indicato modo d’essere delle organizzazioni giustifica, altresì, la supposizione che la comprensione della loro natura e dei fenomeni cui esse danno origine richieda l’adozione dell’interdisciplinarità, cioè il contributo di supporti scientifici diversificati per le analisi cognitive, così come differenziati contributi normativi per la soluzione dei problemi concreti. Questa osservazione è, ovviamente, valida in tema di organizzazioni e loro problemi e le questioni inerenti alle valutazioni di efficacia non fanno eccezione.

Il contributo interdisciplinare richiede, in primis, il supporto di analisi concettuali derivanti da differenti discipline appartenenti al novero delle scienze sociali, ma richiede altresì, almeno di volta in volta, anche il contributo di discipline di matrice diversa in relazione alla specifica natura tecnica del contesto valutativo di riferimento e dei problemi valutativi da affrontare.

 

Generalità, specificità e individualità in tema di valutazione di efficacia

Come avviene per quasi tutti i fenomeni che rientrano nel dominio cognitivo delle Scienze sociali, anche la valutazione di efficacia dell’organizzazione richiede l’applicazione del principio di contingenza, in base al quale, come è noto, si constata che la realtà assume caratteri dipendenti anche dalle condizioni di contesto e dallo specifico tempo di riferimento. In altri termini, il principio di contingenza richiama l’analista all’esigenza dello studio delle implicazioni derivanti dal fatto che egli, di norma, si riferisca ad un preciso luogo e ad un preciso tempo: da questa circostanza deriva l’esistenza di peculiari specificità nell’oggetto dell’osservazione e dell’interpretazione.

In tal modo, il riferimento all’hic et nunc si basa sul convincimento che la realtà oggetto di indagine sia “varia e variabile”, cioè ammetta differenziazioni dalle altre realtà dello stesso genere e pure differenziazioni dei suoi connotati rispetto agli stessi accertati in tempi differenti.

I precedenti riferimenti, nel contempo, fanno intendere come il principio di contingenza imponga esigenze di approfondimento per l’evidenziazione delle peculiarità derivanti dalle coordinate spazio-temporali del fenomeno.

In correlazione con il principio di contingenza, nella descrizione e nell’interpre-tazione dei singoli fenomeni e, quindi, anche nella valutazione di efficacia dell’orga-nizzazione è necessario, conseguentemente, effettuare l’utilizzazione congiunta dei tre seguenti tipi di basi cognitive:

  1. analisi generali, cioè quelle più astratte e riferite all’intero “universo” delle organizzazioni (principio di generalità);
  2. analisi effettuate con riferimento alle organizzazioni delle categorie nelle quali si può far rientrare il fenomeno indagato (principio di specificità di categoria);
  3. analisi individualmente riferite all’organizzazione nella quale si deve applicare la valutazione di efficacia (principio di individualità).

In tutti i casi in cui è necessario procedere alla valutazione di efficacia è possibile individuare connotati di generalità complessiva della Teoria della valutazione alla quale ci si riferisce: il problema è sempre quello di confrontare le aspettative con le attuazioni. Nella valutazione è insito, comunque, un forte elemento di generalità: il riferimento, appunto, all’azione dei soggetti umani e ciò, tra l’altro, concorre a giustificare, di per sé, la formulazione di una Teoria complessiva della valutazione di efficacia delle organizzazioni, al di la delle specificità di contenuti e di metodo.

La natura dei soggetti di riferimento per la valutazione, cioè per le entità che intendono soddisfare l’esigenza valutativa, così come la natura dell’output o dell’input rispetto al quale realizzare la valutazione, influiscono sia sulle caratteristiche della valutazione stessa, sia sul grado di certezza o incertezza dell’esito: è evidente, per esempio, che tanto è maggiore la dimensione dell’organizzazione interessata alla valutazione e all’iniziativa da valutare, tanto maggiori sono la complessità in senso sistemico e la difficoltà degli accertamenti con evidenti implicazioni sulle caratteristiche dell’esito conseguito.

Il cenno ora fatto fa intendere che la stessa attività di valutazione può risultare più o meno articolata, impegnativa e protratta nel tempo, in relazione alle circostanze che la caratterizzano. D’altro canto, è plausibile attendersi che il processo di valutazione assuma connotati specifici in relazione alle diverse categorie di organizzazioni, distinte per dimensione, per natura giuridica, per attività materiale, per ambiente di riferimento e per altri elementi. In tal modo, è individuabile la possibilità che lo stesso processo di valutazione debba corrispondere in modo specifico alle caratteristiche proprie della categoria di organizzazioni cui appartiene quella da sottoporre a valutazione.

È certo, altresì, che ogni organizzazione, almeno perché è costituita da soggetti umani, cioè da entità che di certo hanno forti caratteri di individualità, racchiuda in sé elementi cognitivi individuali e irripetibili, tali cioè da richiedere un approfondimento riferito alla singola organizzazione. Si vuole notare, in altri termini, che l’attività di valutazione assume configurazioni molto varie e, quindi, è soggetta a differenziazioni proprio perché si deve attuare per il tramite del riferimento congiunto ai principi di generalità, di specificità di categoria e di individualità. Rimane da sottolineare il fatto che nel processo di valutazione i principi di generalità, di specificità di categoria e di individualità si applicano congiuntamente e, quindi, in modo non burocratico e segmentato.

 

5.2. Specificazioni sul contenuto della valutazione di efficacia

Efficacia dell’azione delle organizzazioni e relativa valutazione

Il concetto di efficacia, non solo nel linguaggio comune, ma anche nelle indicazioni teoriche, assume un evidente significato positivo nel senso che si basa sulla prospettiva dell’accertamento di un esito ritenuto favorevole. Se, infatti, è vero che il postulato della valutazione di efficacia delle organizzazioni è l’accertamento dell’esito dell’attività delle stesse, è pure vero che la valutazione fornisce di per sé stimoli che favoriscono la positività dell’azione e, più in generale, che agevolano l’affermazione continua e sistematica dell’efficacia.

Un corollario molto importante di quanto sopra notato è costituito dal fatto che in tema di valutazione di efficacia delle organizzazioni non ci si può limitare ad un mero confronto tra modello o standard di riferimento e azione da valutare, perché il processo valutativo considerato nell'accezione più ampia e corretta, implica anche l'analisi critica del modello o standard di riferimento e, quindi, il preventivo accertamento di validità dello stesso anche in relazione al perseguimento della prospettiva dell’efficacia. Più esattamente, si intende rilevare che l’impegno della valutazione di efficacia delle organizzazioni non può essere considerato in termini meramente tecnici di confronto tra l’aspettativa e la realizzazione, bensì deve contenere anche una fase propedeutica di accertamento di validità dell’aspettativa e, ancora più in generale, deve ricollegarsi all’esigenza dell’efficacia organizzativa a partire dal momento della formulazione delle strategie e degli obiettivi.

Questa considerazione esclude la possibilità che si reputi come esito positivo di valutazione di efficacia la realizzazione conforme alle aspettative, se queste non siano valide. Un caso particolare che scaturisce da questo concetto è l’ipotesi che un eventuale programma sottoposto a valutazione venga giudicato negativamente a posteriori: in tale evenienza l’eventuale accertamento della corrispondenza tra l’ipotetico programma e la sua realizzazione, non può di certo creare “allegria”, proprio a motivo dell’erroneità del programma e, comunque, è da considerare estraneo alla prospettiva di generale efficacia. In tale caso, poco conta che la realizzazione sia stata corrispondente al programma.

 

Oggetto delle aspettative e delle realizzazioni

Si è notato che, al fine di valutare l’efficacia delle organizzazioni, occorre porre a confronto aspettative e realizzazioni inerenti un determinato oggetto. È da precisare che tale oggetto può essere costituito dall’organizzazione considerata nel suo complesso per la quale si possono voler fare accertamenti in relazione ad un preciso istante, o in relazione alle performances realizzate in uno specifico periodo di tempo: ovviamente, sia nel caso di valutazione di efficacia riferita ad un preciso istante (o valutazione statica), o di valutazione di efficacia riferita ad un determinato periodo (o valutazione dinamica), ci si può riferire a elementi di tipo generale (dimensione raggiunta, ambiente di riferimento generale o di primo riferimento, quote di mercato conseguite, fatturato di un periodo, ecc.), ovvero ci si può riferire a oggetti ben più specifici (condizione di una delle unità organizzative, giudizio sul comportamento di una categoria di dirigenti, ecc.).

In altri termini, si reputa di dover affermare che la valutazione di efficacia delle organizzazioni può essere riferita all’organizzazione nel suo complesso, ovvero ad uno specifico segmento, o a una specifica attività, o a singoli soggetti. Ciò che rileva in relazione a quanto qui si nota, è riuscire ad effettuare una precisa formulazione dell’oggetto della valutazione, utilizzando a tal fine i parametri (indicatori e coefficienti) ritenuti più espressivi per gli attributi qualitativi e quantitativi da valutare in relazione alle finalità valutative e, ovviamente, ciò deve essere fatto sia con riferimento alle aspettative che con riferimento alle realizzazioni. Le une e le altre devono esprimersi anche per il tramite di indicatori e coefficienti, con i quali il confronto può risultare più definito e non dispersivo e, soprattutto, non ambiguo.

La scelta degli indicatori e dei coefficienti è tutt’altro che facile: più esattamente, W. Richard Scott reputa che “Nel cercare di valutare l’efficacia delle organizzazioni, una delle decisioni più critiche da assumere riguarda la scelta delle misure o degli indicatori da usare”. Lo stesso Autore riferisce la sua analisi a tre tipi generali di indicatori riguardanti, in particolare: a) risultati; b) processi; c) strutture.

La predilezione per un tipo di indicatori o per un altro, dipende da molteplici circostanze sulle quali in questo scritto di impostazione generale non pare opportuno soffermarsi. Si reputa, invece, necessario notare che gli elementi di cui alle lettere a), b) e c) devono intendersi quali fonti di una molteplicità di indicatori: il termine risultati, per esempio, può essere riferito al numero dei beneficiari della “politica” o alla qualità della stessa, al reddito o al fatturato dell’impresa, all’ammontare o alla qualità dei costi o dei benefici inerenti all’iniziativa da valutare, all’esito della prestazione del dirigente, e così via. Sia ben chiaro che questi sono solo esempi perché l’oggetto della valutazione rientra in un ambito di possibilità veramente grande.

È pure vero che l’impostazione metodologica e concettuale che consente di valutare l’efficacia è sufficientemente omogenea nonostante la differenziazione dei possibili oggetti di riferimento: in ogni caso si tratta di porre a confronto i parametri che esprimono le aspettative con i parametri che esprimono le corrispondenti realizzazioni.

L’indicato confronto non può essere né schematico né riferito esclusivamente a parametri quantitativi. Al contrario, si tratta di basare il confronto su criteri di valutazione la cui scelta e definizione è correlata – così come quella relativa alla scelta e alla definizione dei parametri - a molteplici circostanze che vanno dalle specifiche caratteristiche del soggetto che richiede la valutazione alle finalità della valutazione stessa, dalle metodologie valutative alla natura del fenomeno oggetto di valutazione.

 

Riferimento soggettivo della valutazione

In tema di valutazione occorre distinguere tra “soggetti responsabili” in relazione all'oggetto della valutazione e “soggetti agenti” (o soggetti valutatori). I primi sono coloro i quali, in qualche modo, sono preposti all'organizzazione o al segmento organizzativo cui si riferisce l'oggetto della valutazione: si tratta dei soggetti cui è attribuito il potere di fare in modo che le aspettative vengano soddisfatte.

I soggetti responsabili sono evidentemente differenziabili in relazione al tipo di oggetto cui si deve riferire la valutazione e, in quest’ambito, al tipo di organizzazione rispetto alla quale si deve realizzare la valutazione. Il soggetto agente è invece quello deputato alla realizzazione concreta della valutazione di efficacia. A questo proposito è da notare che l’indicazione generale e univoca dei soggetti che di fatto attivano e realizzano la valutazione di efficacia non è possibile, posto che le fattispecie relative a tale problematica sono veramente numerose e diversificate in relazione alle caratteristiche dell'organizzazione considerata.

È intuibile, infatti, che l’effettuazione della valutazione relativa alla realizzazione di una determinata politica implichi l’attività di soggetti differenti rispetto a quelli che attuano la valutazione delle prestazioni dei soggetti umani dell’organizzazione ed è altrettanto intuibile che la valutazione implichi attività di soggetti diversi, in relazione al fatto che ci si debba riferire ad un’organizzazione pubblica ovvero ad un’or-ganizzazione privata, ad un’Istituzione politica internazionale ovvero a un’impresa, a una grande organizzazione o a una piccola organizzazione.

Forse, in linea generale, si può opportunamente proporre la distinzione tra valutazione di politiche, progetti, iniziative, da un lato, e valutazione delle prestazioni  dei soggetti umani e, in specie, dei dirigenti, dall’altro lato. Nel primo caso la competenza valutativa è lasciata a organismi differenti rispetto a quello che assume l’iniziativa, o realizza la politica, o il progetto, mentre nel secondo caso si opera o per il tramite dell’attività di soggetti preposti gerarchicamente a quello del quale si deve valutare la prestazione, o per il tramite di organi collegiali appositamente istituiti i quali, nella pubblica amministrazione, assumono la denominazione di “nuclei di valutazione”.

In altri termini, nelle organizzazioni l’accertamento del grado di corrispondenza tra prestazioni attese e prestazioni realizzate è, di norma, competenza del superiore gerarchico del soggetto da valutare o, comunque, egli risulta inserito nel complesso processo che conduce all’accertamento di cui trattasi.

In talune organizzazioni, caratterizzate da elevata complessità e da dimensione significativa, operano anche specifici “servizi” o “uffici” che forniscono informazioni utili per la valutazione (per esempio, quelli relativi al controllo di gestione), così come organismi specificamente deputati ad accertamenti di tipo vario (per esempio, gli “ispettorati”).

Informazioni utili per la congrua attuazione dei processi di valutazione di efficacia, possono derivare anche da unità organizzative che hanno obiettivi e funzioni apparentemente divergenti rispetto ai processi valutativi qui considerati. Esemplificando, dall’attività dell’ufficio studi operante nell’organizzazione si possono ottenere indicazioni utili per la valutazione della congruità delle strategie e degli obiettivi adottati, ma pure della missione inizialmente definita.

Ovviamente, l’attività di tutti gli organismi esemplificati in precedenza e di altri, forniscono contributi rilevanti, ma non necessariamente decisivi, rispetto alla più complessa attività di valutazione.

 

Fasi del processo valutativo

Come risulta in modo evidente dallo schema di seguito presentato, la valutazione di efficacia delle organizzazioni contiene una molteplicità di fasi e, più esattamente, quelle relative alla predisposizione dell’attività valutativa da svolgere (formulazione del progetto e predisposizione degli elementi), quelle connesse con l’espletamento dell’attività valutativa in senso stretto (acquisizione dei dati e delle informazioni e analisi e interpretazione degli stessi) e quelle relative alla fase finale (redazione del rapporto di valutazione).

Ciascuna delle fasi del processo valutativo, nella realtà delle diverse organizzazioni contiene articolazioni varie che, ovviamente, sono correlate con l’impostazione valutativa che si presceglie e, quindi, con il grado di analisi o di sintesi che si utilizza nella formulazione dei vari elementi e, più in generale, con i criteri di valutazione che si adottano in relazione alle finalità attribuite alla stessa.

Per un'esposizione generale e di prima approssimazione, la valutazione può essere distinta nelle cinque fasi indicate nello schema, ma con la precisazione, come implicitamente risulta da quanto fin qui affermato e come risulta pure dal fatto che si tratta di un processo che implica la considerazione di comportamenti di soggetti umani, che non ci si trova in presenza di fasi e sequenze lineari, determinate e semplicemente consequenziali. Al contrario, il processo di valutazione è sempre inerente a situazioni, contenuti e forme caratterizzati da complessità sistemica (reciproca interazione dinamica con attivazione di connessioni non deterministiche), talché può di certo affermarsi che lo stesso processo risulta caratterizzato da complessità sistemica.

Diagramma della valutazione di efficacia

La considerazione di quest’ultima specificazione conferma, ovviamente, la rilevanza e l’importanza degli impegni da porre in essere per pervenire alla valutazione di efficacia delle organizzazioni anche quando ci si trova ad affrontare situazioni relativamente e apparentemente semplici.

Più specificamente, la valutazione non può, in ogni caso, intendersi come un atto, peggio se semplice ed esaustivo, bensì deve essere interpretata come un’attività che ha la natura di un processo, cioè di un insieme di atti tra loro concatenati che, da un lato, si sviluppano nel tempo e, dall’altro lato, sono in sequenza logica. Ci si riferisce al fatto che la valutazione implica atti molteplici, quindi, numerosi e differenziati.

Si tratta, ovviamente, di un fenomeno la cui articolazione e perpetuazione nel tempo non è univoca, nel senso che dipende sia dalla cura che si ripone nell’attua-zione di ogni atto che la compone, sia dalle caratteristiche dell’organizzazione di riferimento, sia ancora dalla portata delle realizzazioni da confrontare con le aspettative, sia infine dalla concezione che si attribuisce alla stessa valutazione di efficacia. Ciò conferma che è da escludere che la valutazione si possa estrinsecare in un’attività semplice, breve e univoca, di confronto tra elementi dati.

Ora è da precisare che le varie fasi del processo risultano interrelate in modo molto forte e complesso, e si tratta di connessioni non solo forti ma anche dinamiche, talché si può affermare che nelle varie fasi del processo valutativo è possibile che si verifichi una “messa a punto” di una fase come risultato di un’esigenza emersa in una fase successiva: potendo ciò avvenire in corso di processo, la “messa a punto” della fase già compiuta impone una sorta di retroazione che obbliga ad adattamenti dinamici e consequenziali di ogni altra fase seguente.

Nell’affermare che la valutazione di efficacia delle organizzazioni assume, di norma, la natura di processo, è implicito il fatto che essa impegna in modo ben superiore di quanto astrattamente si possa supporre.

 

Interazione degli aspetti da considerare

Il processo valutativo si riferisce – come già notato - ad un oggetto non definibile in modo astratto e, comunque, molto differenziato il quale, inoltre, può essere esaminato secondo molteplici aspetti. Questa considerazione risulta facilmente condivisibile se si pone attenzione al fatto che l'argomento in esame è la valutazione di efficacia: non altrettanto avviene per l'eventuale valutazione di efficienza che, appunto, si riferisce esclusivamente all'aspetto economico.

È particolarmente significativo notare che, di norma, i diversi aspetti del fenomeno oggetto di valutazione sono tra loro interrelati. Questa condizione, in taluni casi, non concerne tutti gli aspetti ma solamente alcuni.

Per ciascuno dei molteplici aspetti da considerare nella valutazione di efficacia delle organizzazioni, talvolta, sono necessarie profonde analisi, mentre in altri casi alcuni di essi rimangono solamente impliciti, cioè non vengono analizzati. Non è neppure escluso il fatto che in qualche caso uno o più aspetti risultino molto affievoliti e persino irrilevanti: in tal modo non si pone neppure il problema di scelta sull'eventuale impegno per la loro analisi. È, infine, vero che qualche aspetto risulta rilevante in taluni casi e non in altri.

L’individuazione degli aspetti valutativi considerati più rilevanti, non può essere indicato in modo unitario per ogni organizzazione, o per ogni Istituzione, o per ogni altro aggregato cui la valutazione di efficacia si riferisce. La scelta, infatti, è fortemente condizionata, da un lato, dalla natura dell’aggregato (missione, strategie, ecc.) e, dall’altro lato, da circostanze contingenti.

Con riferimento specifico alle imprese, in una prospettiva astratta e molto generale, fra gli aspetti considerabili più rilevanti nei processi valutativi si possono indicare i seguenti: aspetto materiale, aspetto organizzativo, aspetto economico, aspetto finanziario, aspetto patrimoniale.

Non pare inutile sottolineare che l'insieme degli aspetti indicati deve essere considerato di prima approssimazione, nel senso che non è esclusa (anche limitando ancora il riferimento all’impresa) la rilevanza per taluni processi valutativi di altri aspetti qui trascurati per brevità. Esemplificando, è più che ovvio supporre che in taluni processi valutativi risulti importante l’aspetto tecnologico, in altri l’aspetto relativo alla quota di mercato, e così via. È inoltre da notare che, talvolta, l'analisi di uno o più aspetti è specificamente imposta da indicazioni di legge.

Anche in tema di aspetti indagati per la valutazione di efficacia delle organizzazioni, assumono notevole rilevanza le implicazioni derivanti dall’applicazione dei principi di generalità, di specificità di categoria e di individualità. In effetti, quanto già notato in questo punto è inerente all’applicazione del principio di generalità. Se si considera, in relazione allo stesso tema, il principio di specificità di categoria, si trova che a determinare decisamente gli aspetti da sottoporre a valutazione sono le disposizioni di legge che impongono alle diverse categorie di organizzazioni la precisa considerazione di taluni di essi.

 

5.3.   Precisazioni di orientamento teorico

Incongruenze e rischi teorici e pratici di attribuzione della valutazione di efficacia al singolo soggetto

Le organizzazioni vengono costituite allorché il conseguimento di determinati obiettivi umani richiede, da un lato, l’azione congiunta di più di un soggetto umano e, dall’altro lato, la molteplicità di competenze occorrenti per poter affrontare differenti compiti richiesti dagli obiettivi da perseguire. Conseguentemente, è più che plausibile il fatto che il riferimento soggettivo della valutazione di efficacia delle organizzazioni, anche nel caso di “prestazioni” e di “costi”, debba essere costituito, in definitiva, non dal singolo soggetto, bensì dall’organizzazione complessivamente considerata o da un suo sottosistema, cioè un’unità organizzativa.

Il riferimento immediato (e, spesso, esclusivo) della valutazione al singolo soggetto umano, benché questa prassi si sia affermata, è incongruo perché fonte di notevoli distorsioni interpretative.

Tale incongruenza risulta evidente per molteplici aspetti, ai quali pare utile ora riferirsi, seppure in breve, ad iniziare dalla circostanza per cui il lavoro del singolo individuo che opera nell’organizzazione può essere riferito alla sua volontà, alla sua professionalità, alle sue attitudini, solo in parte, mentre di norma dipende soprattutto dalle varie condizioni in cui la sua attività è svolta e, in particolare, dalle caratteristiche dell’entità organizzativa complessivamente considerata, ovvero dell’unità organizzativa alla quale il singolo individuo appartiene (ufficio, settore, ecc.).

Tra le condizioni che influiscono sull’attività del singolo individuo (operante nell’organizzazione) si devono far rientrare anche le volontà, le professionalità e le attitudini degli altri partecipanti all’organizzazione, così come degli stakeholders, e sono da considerare pure la quantità e la qualità dei mezzi materiali e immateriali disponibili, l’appropriatezza delle tecnologie utilizzate, l’adeguatezza degli obiettivi, delle tecniche operative e delle procedure, ecc. Né risultano indifferenti le condizioni di ambiente in cui l’organizzazione realizza l’attività, compresi i valori culturali e i connotati politici, economici, sociali.

È poi da notare che il riferimento esclusivo al valore individuale può sfociare in abusi inerenti alla necessaria sfera di autonomia del singolo individuo, ovvero in costosi impegni per l’effettuazione di controlli burocratici: ciò è molto più probabile che avvenga se si trascura, concettualmente o di fatto, ogni considerazione preliminare alle condizioni di contesto.

Le precisazioni ora proposte non tendono affatto a minimizzare o ridurre la responsabilità individuale che, comunque, è sempre notevole, bensì tendono, da un lato, a non assolutizzarla e, dall’altro lato, a richiamare l’esigenza che venga collocata nel contesto effettivo.

E’ da porre in rilievo, a questo punto, la circostanza che anche la valutazione di efficacia non può condurre a un esito certo, inequivocabile e univoco, posto che, almeno in parte, dipende da accertamenti e apprezzamenti non “oggettivi” e talvolta unilaterali. Più in generale, come da tempo la teoria ha posto in evidenza i criteri che si utilizzano per la valutazione di efficacia risultano diversificati in relazione alla natura dei soggetti che richiedono la valutazione stessa. È ovvio, infatti, che fautori dell’iniziativa e beneficiari della stessa presentino sensibilità e interessi differenti sull’esito conseguito. D’altro canto, gli stessi criteri di valutazione vengono prescelti dai “valutatori” in relazione alla concezione che essi hanno dell’orga-nizzazione. In altri termini, il paradigma organizzativo, al quale implicitamente o esplicitamente si aderisce, non è di certo estraneo rispetto ai criteri adottati per la valutazione di efficacia.

 

Entità interessate alla valutazione di efficacia

La valutazione qui in esame si riferisce a entità molto differenti tra loro e può concernere sia l’organizzazione che agisce e, quindi, riferirsi all’output per accertare la congruità dell’azione, sia l’entità destinataria per accertare gli effetti voluti e conseguiti per il tramite dell’organizzazione agente. In altri termini, si vuole affermare che può essere utile, per esempio, sia valutare l’efficacia della realizzazione di un progetto o di un piano ministeriale, sia verificarne gli effetti in capo ai destinatari/beneficiari, a loro volta impegnati con attività di acquisizione degli input. Altro esempio può riferirsi ad una iniziativa che un assessorato regionale realizza nel campo della ricerca e alla condizione conseguita dai destinatari di tale azione, cioè dalle entità organizzative sulle quali “ricadono” gli effetti di tale iniziativa.

Ognuna delle due categorie cui è possibile riferire la valutazione dell’azione, cioè le organizzazioni agenti e le organizzazioni destinatarie, può a sua volta essere distinta in varie sottocategorie.

Se si considera la categoria delle organizzazioni agenti, con una certa semplificazione della multiforme e complessa realtà di riferimento, le varie entità per le quali si utilizza la valutazione possono essere ricondotte a cinque sottocategorie.

La prima di tali sottocategorie può essere riferita a Istituzioni mondiali che programmano, formulano e realizzano importanti progetti rivolti a destinatari costituiti da Stati (o Istituzioni infrastatali), ovvero da molteplici organizzazioni o soggetti individuali caratterizzati da importanti problematiche che si intende risolvere. Le entità qui considerate sono le grandi Istituzioni internazionali quali l’ONU, ovvero le Istituzioni e le Agenzie da esse derivanti, per esempio: la FAO, l’UNICEF, l’UNESCO, l’ACNUR, ma pure la Banca mondiale, ecc.

Nella seconda sottocategoria delle entità per le quali si pone con forza il problema della valutazione di efficacia, possono annoverarsi i singoli Stati con riferimento a qualche specifica politica sul piano internazionale e, più spesso, sul piano interno. In tale ambito possono citarsi, per esempio, il caso dell’Unione europea che voglia valutare l’efficacia delle proprie politiche (N. Moussis, 2000), ovvero dei progetti e delle azioni inerenti alla sua politica di coesione (o altra politica rivolta al suo interno), così come quello di uno Stato che intenda valutare la propria azione di aiuto allo sviluppo per la cooperazione internazionale, ovvero intenda realizzare un progetto mirato per l’informatizzazione delle proprie imprese, o per l’ammodernamento del sistema scolastico, o per lo sviluppo degli impegni per la ricerca. Anche per la sottocategoria di entità qui considerata il problema della valutazione concerne azioni di grande portata e complessità che si possono avvalere dei poteri propri dello Stato.

La terza categoria di entità, che opportunamente ricorrono alla valutazione di efficacia, comprende le organizzazioni pubbliche infrastatali che intendono accertare gli effetti di qualche loro politica o di qualche loro azione, come può avvenire per un assessorato regionale (per la politica scolastica, per esempio, o per la politica turistica, o per un’azione che risolva il problema della carenza idrica o dell’inadeguatezza delle fonti energetiche). Nella stessa sottocategoria possono indicarsi le esigenze valutative di attività o di azioni svolte da aziende sanitarie locali, ovvero attuate da enti regionali, con riferimento a specifiche azioni. Simili esigenze di valutazione di azioni e progetti possono porsi pure per iniziative imprenditoriali, ovvero per le università, per i tribunali, ecc. Come si è notato, in questa sottocategoria si fanno rientrare le imprese che, per poter avere la garanzia della sopravvivenza nel mercato, devono accertare l’efficacia della loro azione.

La quarta sottocategoria di entità agenti che opportunamente possono ricorrere a valutazioni di efficacia sono, in generale, le organizzazioni alle quali non si è fatto riferimento nei cenni concernenti le sottocategorie sopra indicate. Si tratta di organizzazioni pubbliche o private alle quali per motivi vari, può essere richiesto di sottoporsi a valutazione di efficacia. In tale ambito, esemplificando, ci si può riferire a scuole, o ospedali, o enti di ricerca i quali, ottenendo contributi pubblici per le loro attività devono giustificarne il congruo impiego e, quindi, vengono richiesti di sottoporre la loro azione a valutazioni di efficacia.

La quinta sottocategoria di entità alla quale si riferisce la valutazione, come qui è intesa, sono i singoli soggetti umani, quali componenti di organizzazioni (imprese, pubblica amministrazione, terzo settore) e, in particolare, i relativi dirigenti. In questo caso si tratta, più esattamente, di valutazione delle prestazioni ma, si è notato, la natura del problema valutativo è sostanzialmente assimilabile a quello relativo alle altre quattro sottocategorie di entità citate in precedenza: si tratta di confrontare i risultati attesi con i risultati conseguiti.

 

Due riferimenti importanti ma non esaustivi del processo di valutazione: la programmazione e il controllo

Per la valutazione di efficacia è indispensabile la precisa conoscenza delle finalità per cui si fanno gli accertamenti, oltre che dell’oggetto preciso della valutazione e di vari altri elementi: tale oggetto, in un’interpretazione riduttiva della valutazione di efficacia, spesso viene ricondotto allo studio della compatibilità tra obiettivi predeterminati e obiettivi conseguiti, senza l’accertamento di congruità degli stessi obiettivi programmati.

Sulla base di questa interpretazione (che, si ripete, è restrittiva), il processo di valutazione non può non partire dal programma (implicito o, meglio, esplicito) inerente al fenomeno cui si riferisce la valutazione. Questa esigenza vale quando la valutazione deve essere riferita ad un’iniziativa, ad una politica, ad un progetto (tutti questi elementi non possono, ovviamente, prescindere dal rispettivo programma) e vale altresì per la valutazione delle prestazioni dei singoli soggetti umani. La stessa Direzione per obiettivi, quale base di valutazione continua e sistematica dei dirigenti dell’organizzazione considerata (ma in non pochi casi anche degli altri dipendenti), viene di norma interpretata in tale modo restrittivo e, quindi, si fonda esclusivamente sulla programmazione, posto che gli obiettivi di cui trattasi ne sono l’elemento cardine.

Analoga constatazione vale a proposito dell’applicazione ai singoli soggetti umani della tecnica dei risultati attesi, che nella pubblica amministrazione si sta affermando sempre più in questo periodo storico, mentre nella media o grande impresa costituisce una consuetudine già radicata da vari anni.

Se la valutazione di efficacia si interpreta in modo non restrittivo e, quindi, come accertamento della congruità tra aspettative realisticamente possibili (e non necessariamente programmate) e corrispondenti situazioni verificatesi, nella valutazione rientra anche lo studio della congruità delle strategie perseguite e degli obiettivi formulati e, persino, della missione inizialmente definita.

Sulla base di questa interpretazione, infatti, non ci si limita ad un pedissequo accertamento tra aspettative formulate e aspettative realizzate, bensì si sottopongono a “critica” anche le aspettative di fatto formulate in relazione alle maggiori conoscenze acquisite e, quindi, alle diverse e maggiori possibilità interpretative.

Nell’interpretazione riduttiva, posto che la programmazione si realizza in funzione del successivo controllo e posto che quest’ultimo ha ragione d’essere solo in un contesto programmato, risulta ovvio come tale processo di valutazione di efficacia non possa prescindere neppure dalla funzione di controllo. Questa constatazione è così vera che non di rado (come avviene, di norma, nelle prescrizioni di legge), non è difficile che la valutazione di efficacia venga confusa o, comunque, sovrapposta, con il controllo, oggi pure indicato da molti con il vocabolo (scientificamente meno rigoroso) di monitoraggio.

Comunque, pur nell’interpretazione riduttiva alla quale ci si riferisce ora, le tre attività della programmazione, del controllo e della valutazione di efficacia, sono concettualmente distinte, ancorché di fatto risultino strettamente interrelate: schematizzando, la programmazione concerne la definizione quantitativa, propedeutica all’azione, degli obiettivi e delle vie gestionali; il controllo concerne l’accertamento quantitativo degli eventuali scostamenti tra quanto previsto e quanto accertato e la valutazione di efficacia, infine, si riferisce alla comparazione tra aspettative e realizzazioni o, come anche si può affermare in altri termini, all’individuazione del grado di conseguimento dei risultati attesi in relazione a standard comparativi di vario genere (qualitativi e quantitativi).

Si può pure affermare che la programmazione ha la sua essenza in obiettivi definiti quantitativamente rispetto ai quali, per il tramite del controllo, se ne determina il grado di conseguimento. Entrambe le funzioni indicate si riferiscono precipuamente agli aspetti economici e finanziari del fenomeno di cui trattasi. Al contrario, la valutazione di efficacia si può riferire, da un lato, anche ad altri aspetti e, dall’altro lato, inerisce al confronto tra aspettative e realizzazioni, non solo rispetto alle variabili economiche e finanziarie, bensì con riferimento al contesto più generale delle aspettative (anche non programmate) e a quello delle realizzazioni.

Non pare opportuno, a questo punto dell’esposizione, insistere nell’individua-zione degli elementi di similitudine e di distinzione concettuale tra controllo e valutazione di efficacia, posto che, a ben vedere, pur essendo in rapporto tra loro, i processi di valutazione non si limitano a riproporre, seppure in chiave moderna, i tradizionali sistemi di controllo, bensì li utilizzano strumentalmente al fine di un più ampio e congruo apprezzamento del fenomeno da valutare. Su questo argomento, proprio al termine di questo scritto, si propone una ridefinizione delle varie ragioni di differenza che valgono, appunto, a meglio indicare le enormi potenzialità della valutazione di efficacia.

È pure da notare che il controllo ha scarsa autonomia rispetto alla programmazione perché è effettuato in funzione e nei limiti degli obiettivi e delle vie gestionali predeterminate, al punto che – come si è già osservato per altri motivi - se questi ultimi elementi, per ipotesi, fossero stati determinati in modo erroneo, l’erroneità stessa non potrebbe essere rilevata dal controllo. Al contrario, l’attività di valutazione di efficacia, pur essendo interrelata anche con la programmazione, ha una forte autonomia da quest’ultima, nel senso che si riferisce anche a standard (espliciti o impliciti) non necessariamente considerati nella programmazione e quindi non rientranti nella definizione propedeutica degli obiettivi e delle vie gestionali alle quali si riferisce il controllo.

Questa considerazione vale pienamente a proposito della valutazione delle varie forme di investimenti immateriali quali, per esempio, quelle inerenti alla crescita di conoscenze, di professionalità, di capacità relazionali, la creazione e lo sviluppo di integrazione interna dell’organizzazione, la formulazione e la realizzazione di strategie di processi operativi, il conseguimento di adeguati indici di notorietà e di popolarità, il radicamento positivo nel contesto di riferimento, l’instaurazione di relazioni positive con utenti (clienti nel caso delle imprese), l’attivazione di processi di creatività, di flessibilità, ecc.

 

5.4.   Aree problematiche in tema di valutazione di efficacia

Compenetrazione di impegni e di condizioni e conseguenti difficoltà valutative

Si è già detto che la valutazione di efficacia delle organizzazioni ha carattere processuale e complesso ed anche per questo motivo deve essere supportata da una notevole massa di informazioni, nonché da precise e impegnative attività di programmazione e di controllo. I supporti e le indispensabili attività qui indicate si possono avvalere, oggi molto più che nel passato, di tecnologie molto efficaci e, quindi, tali da favorire l’esito positivo dei processi valutativi.

Tuttavia, ancorché i supporti, le attività e le tecnologie fossero disponibili e utilizzabili al meglio, con ciò non si avrebbe garanzia che il processo valutativo possa compiersi in modo tale da attribuire oggettività e perfezione al suo esito. Esistono, infatti, motivi di incertezza e di carenze che esulano dalle circostanze sopra indicate e che, comunque, di norma sono presenti nei processi valutativi. Tali motivi dipendono, in particolare, da aree problematiche tra le quali, nel periodo attuale, assumono particolare rilievo le tre seguenti:

  1. accentuata compenetrazione di impegni e di condizioni inerenti alle aspettative e alle realizzazioni e, quindi, agli oggetti della valutazione di efficacia;
  2. esistenza nell’azione umana (e, quindi, nella realtà delle organizzazioni) di effetti non intenzionali insieme a effetti intenzionali: anzi, le due categorie di effetti talvolta sono presenti in modo indistinguibile;
  3. impossibilità di misurare alcuni benefici dell’azione umana ancorché essi fossero distinguibili dai benefici misurabili, ma tale distinzione non sempre può avvenire.

L’area problematica di cui alla lettera a) viene considerata in questo punto, mentre quelle di cui alle lettere b) e c) costituiscono oggetto di attenzione nei punti successivi.

L’esistenza di connessioni e interazioni tra le attività che i diversi soggetti umani svolgono nelle organizzazioni, sono molto note e sono state già indicate in precedenza. Esse hanno consentito di rilevare che l’indicata circostanza deve indurre a considerare come risultati di prima approssimazione le attività di valutazione riferite ai singoli soggetti o alle singole unità organizzative e, persino, alle singole organizzazioni, posto che anche a questo terzo livello si pongono problemi di condizionamento rispetto all’esterno.

Più in generale, qui si vuole fare riferimento al fatto che, come anche la dottrina italiana ha già posto in rilievo da vari decenni l’attività delle organizzazioni presenta forti connotati di unitarietà nel tempo e nello spazio, nel senso che ciò che si fa oggi è connesso con ciò che si è fatto ieri e con ciò che si farà domani e, nel contempo, ciò che un’organizzazione compie con riferimento a uno dei suoi progetti, o a una delle sue funzioni, o a uno dei suoi contesti di operatività, è strettamente connesso con ciò che avviene negli altri. Questa circostanza implica, tra l’altro, che risulta molto difficile e, spesso, insoddisfacente la separazione dell’atti-vità da sottoporre a valutazione di efficacia rispetto alle altre attività con le quali è connessa e che, quindi, i criteri di valutazione prescelti, da un lato, e gli indicatori di efficacia, dall’altro lato, forniscono, a ben vedere, risultati di prima approssimazione, da implementare con ipotesi e specificazioni varie al fine di pervenire ad una comprensione sufficientemente appropriata dell’esito dell’attività di valutazione.

 

Effetti intenzionali ed effetti non intenzionali

Con riferimento alle realizzazioni delle organizzazioni, come avviene più in generale nelle vicende umane, la realtà che si verifica non è costituita esclusivamente da effetti voluti o intenzionali, posto che a questi di norma si accompagnano effetti non intenzionali. Il verificarsi delle due categorie di effetti può presentarsi sia in mancanza di una delle due (nel senso che si creano solo effetti intenzionali o solo effetti non intenzionali) oppure, come avviene più spesso, contemporaneamente con il verificarsi di effetti non voluti insieme agli effetti voluti.

Tra i molteplici motivi che possono spiegare l’indicata circostanza, forse i seguenti hanno il maggior rilievo:

  1. le previsioni effettuate in relazione all’iniziativa di cui trattasi possono essere state lacunose o, comunque, non in grado di individuare preventivamente anche gli effetti non intenzionali, che poi di fatto si sono verificati. Il fatto che nella realtà delle organizzazioni molte scelte vengano fatte in condizioni di razionalità limitata non risulta opinabile. È pure significativo ricordare che le condizioni in cui si trova ad operare ogni organizzazione si distinguono nelle categorie di certezza, di rischio e di incertezza: queste ultime due categorie sono di gran lunga prevalenti rispetto alla prima;
  2. la programmazione dell’iniziativa che determina gli effetti può essere, almeno in parte, sbagliata e, quindi, generare anche effetti non voluti;

3) il contesto nel quale si verifica il processo che genera gli effetti è, almeno di norma, “aperto”, cioè soggetto a interferenze esterne non considerabili originariamente. In tal modo può avvenire che insieme agli effetti intenzionali o, comunque, prevedibili, si producano anche effetti non prevedibili e, a maggior ragione, non intenzionali.

Con il progressivo affinamento delle capacità (e delle tecnologie) di individuazione degli effetti che si verificano nella realtà umana e, in particolare, in quella delle organizzazioni, cresce sempre più la possibilità di individuarne le conseguenze nelle vicende umane e, quindi, anche gli effetti non intenzionali che un tempo, per lo più, non venivano ricercati o, comunque, non venivano considerati con la dovuta attenzione. Questa affermazione, tuttavia, non significa che ormai l’area di effetti non intenzionali possa essere eliminata o, almeno, resa irrilevante.

Al contrario, è norma che gli effetti non intenzionali possano continuare a manifestarsi in modo significativo e, anzi, si può affermare che presumibilmente è proprio a questa circostanza che sono da attribuire tanti gravi fenomeni poi emersi come vere e proprie emergenze dell’umanità, quali, per esempio, quelli relativi al degrado dell’ambiente o a talune patologie sanitarie.

Sta di fatto che ormai la sfera degli effetti non intenzionali delle vicende umane e, in questo ambito delle organizzazioni, non viene più trascurato o considerato in modo assolutamente marginale e trova impegnati, in numero crescente, anche studiosi di Teoria dell’organizzazione.

L’aspetto considerato può essere distinto tra:

  1. effetti non intenzionali attribuibili alla “responsabilità” (o comunque alla decisione) di chi ha voluto l’iniziativa;
  2. effetti non intenzionali attribuibili alla “responsabilità” di chi ha realizzato l’iniziativa;
  3. effetti non intenzionali attribuibili ad altre circostanze.

L’indicata distinzione è particolarmente importante in tema di valutazione di efficacia delle organizzazioni, posto che fa intendere che in tale attività sia presente un’area problematica tutt’altro che trascurabile costituita, appunto, dagli effetti non intenzionali i quali, benché siano di difficile accertamento e di difficile attribuzione al soggetto cui si riferisce la valutazione, ciò nondimeno interferiscono sulla validità dei risultati valutativi.

In proposito lo sviluppo della Teoria può contribuire a ridurre l’ampiezza dell’indicata area problematica, nel senso che lo sviluppo delle capacità e delle tecnologie di ricerca teorica può costituire i presupporti cognitivi per svelare a priori “effetti” non intenzionali o, alternativamente, creare i presupposti perché essi non si verifichino.

 

Materialità e immaterialità nella realtà da valutare

In tema di valutazione di efficacia delle organizzazioni, un’altra area interpretativa che costituisce fonte di incertezze e difficoltà, è quella che attiene alla misurazione degli effetti dell’iniziativa da valutare. Questa affermazione vale in generale perché nonostante il progressivo affinamento delle capacità e delle tecnologie di misurazione degli effetti, i problemi di accertamento dei dati quantitativi e qualitativi sono molteplici e, per alcuni, esistono ancora oggi difficoltà pressoché insormontabili. In proposito, ci si vuole riferire innanzitutto ai risultati valutabili solo in termini qualitativi e, quindi, non matematici, rispetto ai quali l’applicazione di modelli interpretativi, talvolta basati sulle tecniche informatiche, non sono state ancora sufficientemente affinate.

Al di la dell’aspetto generale ora indicato, c’è poi il problema (come accennato anche in precedenza) della misurazione e, quindi, della valutazione di attività che determinano effetti non fisici, non materiali, quali il sistema delle conoscenze, l’integrazione tra i soggetti umani dell’organizzazione, l’affinamento della leadership, la popolarità e la notorietà acquisite dall’organizzazione, il miglioramento delle relazioni esterne, le più elevate attitudini tecnologiche acquisite, e così via. Taluni degli elementi ora citati vengono, di norma, ricondotti ad un presunto fattore dell’organiz-zazione che, con espressione che non è proprio congrua, viene denominato “capitale umano”.

Infatti, i soggetti umani dell’organizzazione non costituiscono un “fattore dell’organiz-zazione”, posto che la loro collettività è l’organizzazione stessa, né possono essere considerati alla stregua dei “beni” dell’organizzazione, in quanto sono gli utilizzatori dei beni e pare improprio supporre che i soggetti umani “utilizzino” se stessi e, comunque, questa supposizione non pare che possa essere all’origine di miglioramenti cognitivi e interpretativi.

In questo punto, ci si vuole soffermare sulla grande significatività, per le problematiche della valutazione di efficacia, degli effetti determinatisi a causa della progressiva affermazione degli elementi immateriali dell’organizzazione.

La questione di cui trattasi non è esclusivamente inerente al tema della valutazione di efficacia delle organizzazioni, bensì è molto più generale in quanto si riferisce pure alla natura e alle caratteristiche delle moderne organizzazioni, alle incertezze di definizione degli investimenti immateriali nonché alle problematiche di rilevazione e registrazione, nella documentazione contabile e nei bilanci delle imprese, dei valori immateriali.

Le considerazioni sopra proposte hanno una forte radice storica di cui ancora oggi, in gran parte, sono innervate le scienze sociali. Queste, infatti, per molti aspetti sono state impostate e sviluppate in relazione al paradigma industrialista, perché il contesto di riferimento, all’atto del loro avvio e della loro affermazione, è stato l’era dell’industria o, quantomeno, la società industriale. In tale contesto, come è noto, i riferimenti fondamentali erano quelli hard e, per definizione, i beni avevano precipuamente natura materiale. In tale quadro i beni immateriali assumevano, nell’ambito della “ricchezza delle nazioni”, una posizione quasi residuale e, comunque, venivano accertati ed evidenziati nei limiti in cui avessero generato variazioni finanziarie. Il rapporto tra dato finanziario e valore immateriale non sempre è possibile, come è facile dimostrare facendo riferimento al fatto che parte delle risorse attribuite ai manager e, più in generale, ai soggetti umani dell’organizzazione, non hanno effetti misurabili monetariamente. La crescita del sapere di questi soggetti potrebbe misurarsi finanziariamente nei limiti in cui si effettuassero precisi programmi di formazione determinanti i relativi costi: ma quanta produzione e diffusione di sapere non passa attraverso tali canali, pur avendo tanto rilievo nell’organizzazione e pure nel sistema dei suoi valori?

D’altro canto, non pare irrilevante notare che nel periodo attuale, qualificato con l’espressione “era del servizio”, o “dei servizi”, o “post-industriale”, gli investimenti immateriali assumono un’importanza crescente tanto che nei Paesi dell’OCDE il contributo al PIL e all’occupazione del settore terziario è pari a più del doppio (oltre il 70%) rispetto al contributo dei due settori tipicamente “materiali”, cioè al settore primario e a quello secondario.

Sta di fatto che in relazione al cambiamento epocale sopra citato, si stanno verificando intensi cambiamenti all’interno delle organizzazioni, così come nel contesto esterno al quale esse non possono non riferirsi. In questo quadro, l’elemento emergente di maggiore rilievo è costituito dalla disponibilità a dall’utilizzazione dei fattori immateriali e, in particolare, della conoscenza.

Nelle scienze sociali è in corso un forte impegno per pervenire alla definizione teorica e alla conseguente misurazione dei valori immateriali. In Economia assume crescente intensità di analisi la Teoria degli “investimenti immateriali”, mentre si affermano nuove e originali aree di ricerca quale la k-economy. Tuttavia non si può proprio dire che i risultati finora conseguiti consentano l’eliminazione dell’area problematica della valutazione di efficacia alla quale qui si e fatto riferimento.

 

5.5. Valutazione di efficacia, creazione di valore e sviluppo della qualità organizzativa

Dall’efficacia al valore

Nelle parti precedenti di questo scritto abbiamo notato con insistenza che la valutazione di efficacia delle organizzazioni ha importanti effetti che vanno ben al di la della funzione del singolo atto valutativo.

Questa circostanza si verifica soprattutto nei casi in cui alla valutazione di efficacia si faccia ricorso con continuità e sistematicità, perché allora il condizionamento virtuoso indotto da essa diventa immanente alla stessa esistenza dell’organizzazione. In questa parte, intendiamo riprendere e approfondire tali considerazioni indicando, in particolare, i nessi esistenti tra valutazione di efficacia, creazione di valore e sviluppo della qualità organizzativa.

A tal proposito, ci pare opportuno ricordare, innanzitutto, che ogni organizzazione ha nei soggetti umani che la compongono l’elemento fondamentale di successo o di insuccesso. I soggetti umani dell’organizzazione, infatti, sulla base del loro “sapere”, della loro creatività, della loro flessibilità e della loro vitalità, determinano i presupposti per il conseguimento della missione dell’organizzazione. Ovviamente, ciò avviene per effetto della combinazione delle volontà e degli impegni di ognuno dei soggetti umani e non per effetto della loro somma: tale combinazione si realizza per il tramite di un congruo sistema delle relazioni intersoggettive che costituisce la stessa identità dell’organizzazione.

Con queste premesse, è ora da ribadire che la valutazione di efficacia può correttamente considerarsi una vera e propria matrice di efficacia generale per l’organizzazione che la pratica, posto che favorisce decisamente l’affermazione di un “clima culturale e operativo” per il tramite del quale ogni soggetto umano, che concorre a formare l’organizzazione, trova consequenziale alla sua appartenenza all’or-ganizzazione e, quindi, naturalmente appropriato rispetto al suo contributo, realizzare il proprio impegno nel rispetto dell’imperativo dell’efficacia. Per ogni soggetto umano dell’organizzazione che opera sotto il “dominio” della valutazione di efficacia, si verifica ciò che più in generale avviene per gli esseri umani in relazione alle evoluzioni tecnologiche dei tempi moderni: queste producono significative modificazioni negli stessi “modelli di pensiero”. In presenza di una pratica continua e sistematica della valutazione di efficacia correttamente intesa, i “cervelli” dei soggetti umani dell’organizzazione si informano all’operare nella “naturale prospettiva dell’efficacia”, ovvero – ma il precedente concetto è ora proposto con altri termini – a perseguire naturalmente il successo della propria organizzazione.

Per questo motivo, si può affermare che la valutazione di efficacia dell’organiz-zazione assume in concreto anche la funzione di indurre ad operare correttamente, funzione questa nella quale risulta incardinata anche quella di accertamento di corrispondenza tra aspettativa e realizzazione del singolo fatto valutativo, cui, di norma, ci si riferisce (riduttivamente) allorché si espone in Teoria il tema della valutazione di efficacia. Favorendo la consapevolezza di operare in modo efficace e, in questa prospettiva, di contribuire alla formazione di un valido sistema di relazioni interindividuali, la valutazione di efficacia crea e aggiunge valore alle organizzazioni perché concorre a determinare il perfezionamento della loro funzionalità organizzativa e, pertanto, i risultati attesi.

Questa circostanza si verifica in vario modo e per vari motivi, tra i quali sono particolarmente significativi quelli indicati sinteticamente qui di seguito:

  1. favorisce la rigorosità degli impegni dei singoli soggetti umani dell’organizza-zione, i quali - sapendo che il loro contributo concorre alla realizzazione che viene valutata - sono opportunamente stimolati ad operare al meglio, in vista della gratificazione che può derivare dal loro concorso al conseguimento delle aspettative;
  2. poiché determina l’accertamento del grado di conformità delle realizzazioni alle aspettative, consente verifiche e autoverifiche rispetto ai soggetti umani implicati nell’attività considerata e, pertanto, tende a “rinforzare” i comportamenti positivi e a scoraggiare quelli negativi;
  3. posto che comprende l’individuazione delle cause che impediscono o affievoliscono la conformità delle realizzazioni alle aspettative, è un potente mezzo di perfezionamento delle organizzazioni e delle relative performances.

Con riferimento a quanto sopra si è notato, risulta evidente che la valutazione di efficacia determina tendenzialmente maggior valore nell’organizzazione che la pratica.

Confronti di qualità

Attualmente ogni organizzazione ha necessità inderogabile di essere caratterizzata dall’esistenza in ogni sua parte di un elevato livello di qualità.

Con il termine “qualità”, riguardante l’organizzazione, ci si riferisce all’attitudine a conseguire le proprie mete in una condizione di elevato apprezzamento per ogni elemento che caratterizza l’organizzazione stessa: dalla missione alle strategie, dai programmi generali agli obiettivi dei progetti, dai risultati gestionali ai risultati attesi dalle prestazioni dei singoli soggetti. La qualità si accerta innanzitutto con riferimento all’intera organizzazione, come con riferimento a ciascuno dei sottosistemi in cui essa astrattamente si può scomporre. In tal caso, ci si deve riferire immancabilmente soprattutto ai soggetti umani presenti nell’organizzazione e alle loro relazioni.

La qualità generale dell’organizzazione si deve necessariamente estrinsecare nella qualità del suo output, posto che è per il tramite di questo che l’organizzazione assume il suo immancabile carattere sociale in quanto si proietta al suo esterno per relazionarsi, a seconda dei casi, con i clienti, con i cittadini, con gli utenti, con i beneficiari o, comunque, con i destinatari dei suoi impegni produttivi. Più esattamente, nel caso di imprese l’output è costituito dai beni e servizi destinati al mercato, nel caso di unità della pubblica amministrazione l’output è l’insieme di servizi rivolti ai cittadini, mentre nel caso di unità del terzo settore ci si trova in presenza di beni e, più spesso, di servizi destinati a utenti/beneficiari. In tutti i casi, l’output deve avere qualità congrua, in quanto le condizioni attuali di esistenza delle organizzazioni (internazionalizzazione, apertura dei mercati, informazioni accessibili in tempo reale e, comunque, con facilità, notevoli possibilità di comunicazione e di trasporto) favoriscono i confronti di qualità come quelli di altro genere e, quindi, i giudizi relativi e le offerte cui rivolgere le proprie scelte. Né deve essere trascurato il fatto che, indipendentemente dal singolo rapporto qualità/scelta dell’offerta, nella parte economicamente più sviluppata della Terra opera il giudizio dell’opinione pubblica, quale potente fattore di orientamento delle scelte delle offerte: e, come notato, l’opinione pubblica è molto sensibile ai discorsi di qualità.

Lo stesso problema dei confronti di qualità emerge a proposito dell’imperativo, per ogni tipo di organizzazione (e non solo per le imprese), di disporre di un elevato livello di competitività al fine di acquisire la preferenza (o il giudizio positivo) del cliente, o del cittadino/utente, o del beneficiario. Che l’idonea competitività costituisca per l’impresa un vero e proprio vincolo di esistenza, è perfino ovvio: in mancanza, i clienti preferiscono le offerte di imprese più competitive e per l’impresa non sufficientemente competitiva si pongono problemi di sopravvivenza. Anche le unità della pubblica amministrazione si trovano sempre più nell’esigenza di essere competitive per almeno tre ordini di motivi:

  1. nell’ambito dell’Unione europea (ma ciò non è escluso in altri contesti) avviene sempre più che determinati servizi vengano prestati contemporaneamente da diverse unità della pubblica amministrazione, con la conseguente possibilità di scelta del cittadino. Questa situazione si verifica, per esempio, nel campo dell'istruzione, della ricerca, della sanità, ecc.;
  2. un numero crescente di servizi vengono prestati da unità della pubblica amministrazione, da unità del terzo settore e da imprese, con conseguente possibilità dell’utente/cliente di effettuare raffronti e scegliere in non pochi casi sulla base della differente qualità dell’output. Anche in questo caso gli esempi forse più importanti riguardano l’istruzione e la sanità;
  3. comunque esiste il “giudizio” dell’opinione pubblica che orienta contestazioni in caso di servizi di qualità inadeguata.

Osservazioni analoghe si possono proporre per le unità del terzo settore per le quali, in più, si può notare che l’idonea qualità dell’output è spesso richiesta anche per effetto di attività valutative realizzate dall’ente pubblico che fornisce contributi finanziari all’unità di cui trattasi.

In definitiva, non pare arduo affermare che l’imperativo della competitività  e quindi di un congruo livello di qualità dell’output, in generale si pone per ogni organizzazione, anche per quelle non sottoposte al giudizio del mercato. Esiste pertanto l’esigenza inderogabile di dotare l’organizzazione di una congrua qualità.

Per poter soddisfare l’imperativo della congrua qualità, l’organizzazione deve riuscire ad incorporare un elevato valore organizzativo e, in questa prospettiva, utilizzare con continuità e sistematicità la pratica della valutazione di efficacia.

 

5.6.   Lineamenti per la Teoria della funzione direzionale di valutazione di efficacia

Valutazione di efficacia: da prospettiva di razionalità organizzativa a funzione direzionale

L’efficacia, tradizionalmente, è concepita, sia nella pratica che a livello teorico, quale espressione della razionalità organizzativa da perseguire per il successo degli impegni organizzativi. Non a caso, la trattazione viene realizzata in collegamento ad altri postulati di razionalità organizzativa, quali l’efficienza, la qualità totale, l’autocontrollo (G. Usai, 2002).

Conseguentemente, la valutazione di efficacia è stata di fatto considerata un’attività, non qualificata come funzione di riscontro del conseguimento di tale prospettiva di razionalità. È pure vero che ben poche organizzazioni nel passato hanno praticato la valutazione di efficacia in modo continuo e sistematico e sono state poche pure le organizzazioni che hanno almeno “tenuto d’occhio” con continuità la prospettiva dell’efficacia.

Attualmente, la valutazione di efficacia è già praticata da un numero notevole di organizzazioni, ancorché al relativo impegno non sempre si attribuisce tale denominazione.

In effetti, le considerazioni presentate in questo scritto giustificano di per sé un congruo impegno di un numero crescente di organizzazioni, anche di dimensioni non elevate, per effettuare la valutazione di efficacia.

Molti sono i motivi che tendono a far crescere l’impegno per realizzare la valutazione di efficacia e a taluni di essi si è fatto cenno direttamente, o indirettamente, nelle pagine precedenti. Ora pare opportuno limitarsi a ribadire che la pratica della valutazione di efficacia ha la forza di favorire il conseguimento di efficacia e, anche per questo effetto, essa – come si ripete – viene sempre più effettuata sia nelle imprese, sia nelle unità della pubblica amministrazione, sia nelle grandi organizzazioni internazionali e nelle Istituzioni locali.

D’altro canto, esistono molte circostanze che inducono a una riformulazione teorica della valutazione di efficacia, tra le quali ci pare opportuno segnalare le seguenti:

  1. le più recenti evoluzioni teoriche in tema di organizzazioni – imposte dalle modificazioni culturali, scientifiche e tecnologiche verificatesi nei decenni più recenti – hanno determinato una certa “obsolescenza” di parti significative della Teoria dell’efficacia, come si è venuta formando dalle sue origini a qualche tempo fa;
  2. anche la valutazione di efficacia, oggi ben più di prima, si può avvalere di importanti tecnologie, tra le quali sono molto rilevanti quelle telematiche, informatiche per il “calcolo scientifico” (modellazione, simulazione, rappresentazione e visualizzazione scientifica e di altre), che consentendo facilitazioni e affinamenti del processo valutativo, in qualche modo ne determinano sensibili modificazioni;
  3. la valutazione di efficacia è richiesta, in non pochi casi, anche da disposizioni di legge.

Sta di fatto che il rilancio della pratica della valutazione di efficacia unitamente ai profondi cambiamenti intervenuti nella realtà delle organizzazioni e, conseguentemente, nelle relative teorizzazioni, tendono a imporre l’esigenza di una profonda revisione della Teoria dell’efficacia e, in questo ambito, della Teoria della valutazione di efficacia.

In particolare, è ora possibile e necessario considerare l’efficacia (e la relativa valutazione) non solo come una prospettiva di razionalità organizzativa, bensì come una delle funzioni direzionali, problema teorico, questo, magistralmente affrontato inizialmente poco meno di un secolo or sono da Henri Fayol (1921).

In questo quadro, alla valutazione di efficacia può essere conglobata la funzione direzionale di controllo, nel senso che si sostituisce a questa perché la comprende e si affianca, quindi, alle altre funzioni direzionali della programmazione, dell’organizzazione e della direzione del personale, come risulta dal seguente schema.

 

Programmazione

Organizzazione

Direzione del personale

Valutazione di efficacia

 

Ma è bene approfondire l’ipotesi.

 

Interazione tra le funzioni direzionali

Le quattro funzioni direzionali risultanti dall’interpretazione indicata alla fine del punto precedente, sono tra loro interconnesse nel senso che sono sottosistemi di un sistema nel quale ciascuna di esse dipende da ciascun’altra.

Si tratta, inoltre, di interconnessioni dinamiche, tali cioè da modificarsi reciprocamente con il passare del tempo. Le quattro funzioni sono pertanto interagenti.

In particolare, il rapporto tra valutazione di efficacia, da un lato, e programmazione, organizzazione, direzione del personale, dall’altro lato, si sviluppa in due sensi:

  1. la valutazione di efficacia recepisce (e valuta) le caratteristiche di programmazione, organizzazione e direzione del personale, le quali risultano (in questo senso) antecedenti logiche della stessa valutazione;
  2. sulla base degli accertamenti effettuati, la valutazione di efficacia emana i feedback a ciascuna delle quattro funzioni la quale, quindi, si adegua attivamente alle esigenze poste dalla valutazione, che in tal modo (e in questo senso) viene a costituire un antecedente logico e temporale di una catena ricorsiva di tipo evidentemente virtuoso.

In effetti, con riferimento al senso indicato in quest’ultima lettera, già si è notato che la valutazione di efficacia concerne anche l’accertamento di congruità della programmazione (e, quindi, degli obiettivi e delle vie gestionali) non limitandosi a verificare che le realizzazioni siano conformi ai programmi.

Analoga constatazione vale anche per le altre due funzioni direzionali (l’orga-nizzazione e la direzione del personale): è plausibile, cioè, che la valutazione di efficacia si debba proporre pure di accertare la congruità delle scelte inerenti al progetto organizzativo adottato e alle politiche e, in genere, alle scelte relative alla direzione del personale.

In definitiva, la funzione di valutazione del personale, per sua natura, deve pure soddisfare l’esigenza di valutare la congruità delle altre funzioni direzionali creando il presupposto di un loro continuo adeguamento attivo all’imperativo della congruità. Ciò vale, altresì, per l’autovalutazione di efficacia, da farsi rispetto alla stessa funzione di valutazione di efficacia.

 

Valutazione di efficacia e controllo

Nel punto precedente abbiamo indicato i fondamentali rapporti che si instaurano tra i sottosistemi del sistema costituito dalle funzioni direzionali e, in particolare, tra la valutazione di efficacia, da un lato, e la programmazione, l’organizzazione e la direzione del personale, dall’altro lato. Qui intendiamo analizzare le componenti della funzione di valutazione di efficacia e, soprattutto, porre a confronto quest’ultima con la componente  costituita dal controllo.

Innanzitutto, vogliamo ribadire – come risulta dalla trattazione fin qui svolta – che la funzione direzionale di valutazione di efficacia può essere scomposta in molte parti che attengono ai numerosi aspetti e problemi che rientrano nel suo dominio, quali:

  1. la valutazione di congruità della missione, delle strategie, delle varie scelte direzionali;
  2. la valutazione di congruità delle varie funzioni direzionali dal punto di vista dell’impostazione, delle scelte basilari, dei criteri di attuazione, dei contenuti;
  3. la valutazione di corrispondenza tra scelte programmate e realizzazioni. Questo aspetto rientra tipicamente nell’ambito del controllo, ossia della tradizionale funzione direzionale di controllo;
  4. gli accertamenti di validità di altri aspetti e di altri elementi ritenuti, di volta in volta, rilevanti quali, per esempio, le caratteristiche quantitative e qualitative dei fattori impiegati;
  5. l’accertamento, per quanto sia possibile, degli effetti della compenetrazione di impegni e condizioni sull’adeguatezza della valutazione;
  6. l’individuazione delle implicazioni degli effetti non intenzionali sulla realtà da valutare;
  7. la ricerca e definizione delle interferenze sulla valutazione dei fattori immateriali non soggetti a normale accertamento, ma comunque rilevanti.

Ciascuna di queste sei categorie di sottosistemi del processo valutativo merita, evidentemente, notevole attenzione e, in particolare, a quelli di cui alle lettere da e) a g) abbiamo dedicato un apposito punto, mentre sugli altri abbiamo avuto modo di presentare riferimenti essenziali in alcune delle pagine precedenti.

Ora ci pare indispensabile riferirci in modo specifico  al controllo, sia perché c’è chi trova quest’ultimo erroneamente assimilabile alla valutazione di efficacia, sia perché proprio in questi ultimi anni in molte imprese e nella pubblica amministrazione si sta verificando un’utilizzazione crescente del controllo di gestione, che viene caricato di aspettative eccessive e incongrue che potrebbero essere soddisfatte solo per il tramite della valutazione di efficacia.

Procedendo in modo ordinato, è da notare che la funzione direzionale di controllo, come è stata teorizzata dalle origini ai tempi attuali, si riferisce a oggetti vari, tra i quali possono indicarsi, di volta in volta, le strategie, le scelte generali di tipo direzionale, la gestione. Conseguentemente, la Teoria contiene distinti riferimenti al controllo strategico, al controllo direzionale, al controllo di gestione e ad altre categorie di controllo.

Orbene, la valutazione di efficacia si avvale e, comunque, si può avvalere, di ogni tipo di controllo, mentre non è vero il contrario e, soprattutto, è vero che la valutazione di efficacia non si esaurisce nelle risultanze del controllo (che da essa possono essere utilizzate, come ripetiamo), posto che comprende anche altri elementi che non attengono al controllo.

A questo proposito possiamo notare innanzitutto che gli accertamenti sulla congruità e l’attualità della missione dell’organizzazione considerata possono bensì rientrare nella valutazione di efficacia, ma non risulta che nella pratica e nella teoria esista il “controllo della missione”.

Ancora, il controllo (qualunque esso sia) si riferisce essenzialmente a dati quantitativi, mentre la valutazione di efficacia può bensì riguardare anche aspetti qualitativi.

In controllo, infine, è sempre correlato alla programmazione, mentre la valutazione di efficacia comprende la programmazione, ma non si limita ad essa, posto che può porsi pure il problema della sua congruità, anche in relazione all’esperienza della relativa realizzazione e risolverlo adeguatamente, nei limiti del possibile, come è ovvio.

Se il rapporto tra valutazione di efficacia e controllo è da considerare quale rapporto tra un composto e una delle sue componenti, ovvero in termini tecnici, tra un sottosistema del sistema funzioni direzionali (cioè la valutazione di efficacia) e uno dei suoi sottosistemi (ovviamente di grado inferiore, cioè di secondo grado), il rapporto tra valutazione di efficacia e controllo di gestione deve essere considerato quale rapporto tra un sottosistema (la valutazione di efficacia) e un sottosistema di terzo grado (il controllo di gestione), posto che il sottosistema di secondo grado è il controllo tout court.

Quanto ora notato significa, da un lato, che la valutazione di efficacia è molto più ampia del controllo di gestione e, quindi, ha contenuti e potenzialità ben maggiori  e migliori rispetto al controllo di gestione e, dall’altro lato, che quest’ultimo offre di certo contributi utili alla valutazione di efficacia la quale però utilizza anche altri tipi di controllo e, soprattutto, altri elementi non rientranti nel controllo.

D’altro canto, è pure vero che il controllo di gestione si estrinseca esclusivamente con riferimento alla gestione per l’aspetto economico e, eventualmente, per l’aspetto finanziario e, pertanto, con riferimenti esclusivamente quantitativi e basati esclusivamente sulla programmazione formulata.

Il controllo di gestione, pertanto, è ben più limitato, per sua natura intrinseca, rispetto alla valutazione di efficacia e, quindi, da esso ci si può attendere solo l’eventuale corrispondenza tra i dati economico-finanziari della programmazione, della gestione e i corrispondenti dati della realizzazione della stessa.

Ciò non è di certo poco, ma è incomparabilmente meno di quanto ci si può attendere dalla valutazione di efficacia.

 

Verso la riformulazione teorica della valutazione di efficacia

La valutazione di efficacia è imposta in modo sempre più intenso. In tale prospettiva opera innanzitutto la progressiva crescita di complessità che caratterizza la realtà di organizzazioni e Istituzioni la quale non consente accertamenti semplici e approssimati delle realizzazioni imponendo l’adozione di modalità valutative di tipo processuale e riferite, nel contempo, a vari aspetti ed elementi.

La valutazione di efficacia è altresì imposta sempre più dalla forte esigenza di puntuale informazione sui risultati degli investimenti e, più in generale, delle attività. Questa esigenza non concerne solo il soggetto agente dell’azione (management e altri soggetti dell’organizzazione) e finanziatori pubblici e privati dell’attività, bensì pure i destinatari (cittadini, clienti, ecc.).

In tal modo cresce il bisogno di valutazione della congruità dell’azione svolta, ancorché esso talvolta sia espresso in modo inadeguato e non tecnico-scientifico, e se ne proponga la soddisfazione in modo insoddisfacente e ... inefficace, attribuendo a tecniche di controllo, pur valide per certi aspetti, aspettative e compiti che, al contrario, sono propri della valutazione di efficacia.

Tuttavia, la stessa valutazione di efficacia, per poter soddisfare adeguatamente le esigenze alle quali ora ci siamo riferiti, deve essere riformulata dal punto di vista teorico in modo da pervenire alla riformulazione del sistema delle funzioni direzionali e, in questo ambito, alla definizione di una compiuta Teoria della funzione direzionale di valutazione di efficacia.

Siamo consapevoli del fatto che il problema ora posto richiede specificazioni e approfondimenti vari che, ovviamente, esulano dalla natura di questo scritto. D’altro canto, la questione cui ci si riferisce ha un rilievo così importante che la sua congrua definizione richiede contributi di molti studiosi per poter diventare, appunto, un perno della stessa riproposizione teorica della valutazione di efficacia.

 

Fonte: http://econoca.unica.it/public/downloaddocenti/DISPENSA%20PARTE%20IV.docx

Sito web da visitare: http://econoca.unica.it

Autore del testo: UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

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