Dispensa Tibet

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La nascita del Tibet come nazione

Il Tibet ha una storia relativamente recente, se confrontata con quella dei suoi vicini, Cina e India. Solo nel 640 gli annali cinesi ne riferiscono l’esistenza per il matrimonio contratto con il re Songsten Gampo, unificatore del regno tibetano, con la principessa Tang, Wen Chen Konjo.

Appena due secoli dopo, il Tibet controllava la regione compresa da Changhan a Samarcanda.

A tutto l’impero era stata data una lingua scritta codificata, mentre, a causa dell’estrema complessità orografica del territorio, non si riuscì mai a dare un continuum alla lingua parlata che ancora oggi è ramificata in circa 350 parlate riconducibili al ceppo tibeto-birmano.

E’ questo il cosiddetto Tibet etnico, l’area popolata da etnie tibetane a cui i fautori dell’indipendenza e dell’autonomia, si rifanno chiedendo la secessione o l’autonomia dalla Cina.

 

Il buddismo tibetano

 

La religione bon è stata la fede del popolo tibetano fino a quando venne soppiantata dal buddhismo che per prevalere sulla religione “popolare”, ne assimila alcuni degli aspetti più popolari, rivestendoli di un nuovo significato.

  • la sacralizzazione di aspetti naturali (monti, fiumi…) riprende l’animismo bon
  • al posto del bonpo (lo sciamano bon), viene istituito l’oracolo di stato, che coadiuva il lama e, in seguito, lo stesso Dalai Lama
  • i poteri delle forze vitali che nella religione bon permettono di rafforzare lo spirito del sacerdote, nel buddismo vengono confluiti negli aspetti magici e tantrici delle divinità che assumono il duplice aspetto benevolo e irritato
  • il mantra om mani padme hum (salute al gioiello dell’uomo) altro non è che la trasformazione del mantra bon om matri muye du (salute alla madre spazio luminoso)
  • al senso ambulatorio antiorario è contrapposto quello in senso orario dei pellegrini buddisti.

 

La disparità di fonti e di vie con cui la nuova religione è introdotta negli altipiani tibetani, genera una nugolo di sette e scuole che frantumano l’unità dell’impero, che già nel XII secolo comincia a disgregarsi, anche se manterrà la sua unità amministrativa fino al 1724, quando l’impero Qing cominciò a “corrodere” le periferie orientali, inglobando nelle sue province cospicui territori dell’Amdo e del Kham.

 

Le rivalità tra le sette buddiste sono tra le principali cause del crollo dell’impero tibetano.

Le principali sono:

  • Nyingmapa (nata nel VIII secolo)

Fondatore Padmasambhava.

Segue gli insegnamenti che prediligono la via diretta

  • Kagyupa (nata nel XI secolo)

Si divide in diverse scuole tra cui quella Karma Kagyupa che predilige il legame diretto maestro-allievo, potente fino al XVII secolo.

  • Sakyapa (nata nel XI secolo)

Fondatore: Kheun Keunchong Gyelpo.

Segue la perfezione spirituale attraverso gli studi metafisici e domina il Tibet fino al XIII secolo

  • Gelukpa (nata nel XV secolo)

Fondatore: Tsongkhapa

Predilige la vita monastica e gli studi monastici. Prevale nel XVII secolo, grazie al legame con i mongoli. Sia il Dalai Lama che il Panchen Lama appartengono alla scuola Geluk.

 

Le relazioni con la Cina e la nascita della figura del Dalai Lama

 

Nel 1246 Sakya Pandita, lama della scuola Sakya, per consolidare il dominio della propria setta sul Tibet, accetta di pagare tributi alla Cina in cambio dell’appoggio militare.

Secondo la Cina, è questo il momento in cui il Tibet si assoggetta al suo impero.

 

Nasce anche un sistema, detto cho-yon, fondamentale per capire i rapporti tra Tibet e Cina secondo cui l’imperatore (yinda) protegge il lama (cho) in cambio della benedizione del potere temporale.

 

Questo rapporto, a cui si associa il sistema dei tributi, crea un’ambiguità di fondo: da parte cinese si tende a considerare lo stato vassallo come nazione sottomessa all’imperatore, dall’altra, invece, altro non è che un rapporto commerciale paritario che permette ai due stati di convivere indipendenti l’uno dall’altro.

E’ in funzione di questo sistema che emerge la figura del Dalai Lama, appartenente alla scuola Geluk, fondata da Tsongkhapa che, rifiutando le pratiche esoteriche della scuola Sakya, predica un ritorno alla vita monastica e al celibato.

 

Nel 1578 il sovrano mongolo Altayn Khan conia il titolo di dalai (che significa saggezza) per il lama Sonam Gyatso, presentato come terza reincarnazione di un lama della setta Geluk.

Per rendere più elevato il rango del Dalai Lama, la sua reincarnazione viene fatta risalire fino a Avalokitesvara, bodhisattva della compassione.

 

L’invasione cinese

 

E’ l’invasione cinese del 1950 che decreta il punto di svolta tra le relazioni sino-tibetane.

La guerra fredda, le crisi coreana, cubana e vietnamita, inducono l’Occidente a limitare le sue reazioni verso Pechino a proclami poco più che simbolici, mentre, per non perdere l’occasione di “disturbare” l’avanzata comunista, ci si “dimentica” del carattere dispotico e feudale del governo tibetano prima dell’invasione, dei metodi crudeli utilizzati per eliminare ogni sorta di opposizione o, ancora, dei legami avuti dall’amministrazione tibetana con il nazismo alla fine degli anni Trenta.

La CIA arriva anche ad addestrare e finanziare un esercito in funzione anticinese.

 

Da parte cinese, le direttive di Mao vengono disattese e la sinizzazione del Tibet viene accelerata con la scomposizione delle aree etniche, mentre il sistema economico, politico e culturale, che Mao aveva promesso di cambiare lentamente, viene sradicato completamente.

La Rivoluzione Culturale, per la verità non più cruenta in Tibet di quanto lo sia stata in altre regioni della Cina, distrugge monasteri e la vita religiosa, i campi di prigionia vengono riempiti e si inizia il trasferimento di migliaia di han e hui in Tibet.

 

A rendere più debole la situazione di Mao, c’è la fuga del Dalai Lama in India, con cui la Cina è impegnata in dispute territoriali.

 

Il postmaoismo

 

Le maggiori libertà civili e culturali introdotte dopo la morte di Mao, non hanno dato gli esiti sperati per una soluzione pacifica della causa del Tibet.

Il Premio Nobel al Dalai Lama nel 1989 seguito, nel 1995, dal rapimento dell’XI Panchen Lama riconosciuto dal Dalai Lama, ma non dalla Cina, e considerato da Amnesty International come il prigioniero politico più giovane del pianeta, rinvigoriscono la protesta internazionale.

Si producono film, si pubblicano libri, si fondano associazioni e si organizzano manifestazioni.

 

A livello internazionale le associazioni pro-Tibet e i singoli governi, finanziano la comunità tibetana di Dharamsala, dove ha sede il governo in esilio del Dalai Lama.

Il National Endowment for Democracy, un ente creato nel 1983 dal Congresso USA per finanziare le attività dei regimi ostili agli Stati Uniti, nel 2007 ha donato un totale di 240.000 USD ad enti, partiti, associazioni tibetani.

 

A nulla sono valse le aperture politiche di Pechino dopo la caduta della Banda dei Quattro, così come a poco sono valse le ripetute dichiarazioni del Dalai Lama sulla disponibilità di trattare per un’autonomia del Tibet in seno alla Cina, rifiutando l’idea dell’indipendenza.

Il dialogo sembra esser tra sordi.

 

La questione del Tibet etnico

 

Pechino tende a risolvere il problema tibetano sviluppando il Paese, ma questo sviluppo ha arricchito per lo più i monasteri, non la popolazione, che del resto vede solo i lati negativi: le strade servono per velocizzare gli spostamenti dei militari, l’aereo serve per portare più immigrati han e hui a Lhasa, il treno è uno strumento per rendere più stretti i legami con la capitale.

 

Inoltre c’è sempre il problema irrisolto (per i tibetani) del Grande Tibet.

 

Secondo i cinesi, ogni trattativa sul Tibet si dovrebbe limitare alla cosiddetta TAR (Tibet Autonomous Region), separata dalle altre regioni tibetane dopo l’annessione. Qui, su una superficie di 1.220.000 kmq, vivono 2.600.000 abitanti, il 92,8% dei quali tibetani. Cifre contestate da Dharamsala, che afferma non sono conteggiati i 500.000 militari presenti nella regione.

 

Da parte loro, i tibetani, vogliono che nei futuri negoziati rientri il Grande Tibet, che ingloba il Tibet storico, una regione di 2.500.000 kmq abitata da 10 milioni di abitanti, di cui solo il 50% tibetani.

 

 

Conclusioni

 

La situazione sta fuggendo di mano al Dalai Lama. Per la prima volta gli indipendentisti, guidati da Lhasang Tsering, ex membro della guerriglia Khampa e ex Presidente del Tibetan Youth Congress, e dal famoso scrittore tibetano Jamyang Norbu, hanno vivacemente criticato il Dalai Lama e la sua politica del compromesso.

Per loro, così come per il Tibetan Youth Congress e il National Democratic Party, c’è solo un’opzione disponibile: completa indipendenza, alimentando così le titubanze della Cina verso la sincerità della politica del dialogo propagandata dal Dalai Lama.

Del resto, lo abbiamo visto tutti nelle manifestazioni, i cartelli con Free Tibet o China Get Out. Manifestazioni che probabilmente hanno nuociuto più al Dalai Lama che alla Cina, la quale ha pur sempre avuto i suoi Giochi Olimpici.

Inoltre, quale nazione appoggerebbe l’istanza indipendentista andando contro la

Cina?

 

 

Bibliografia

Storia e questione tibetana

  • Tibet, di Francesco Scisci, Utet, 2008
  • Il demone e il Dalai Lama. Tra Tibet e Cina, mistica di un triplice omicidio, di Raimondo Bultrini, Baldini Castoldi Dalai, 2008
  • Fra barbari e dei. La vera politica cinese in Tibet, di Danilo Di Giangi, L’Arciere, 2008
  • Il dragone e la montagna. La Cina, il Tibet e il Dalai Lama, di Melvyn Goldstein, Baldini Castoldi Dalai, 2003

 

Tibet e Terzo Reich

  • La crociata di Himmler. La spedizione nazista in Tibet nel 1938, di Christopher Hale, edizioni Garzanti, 2006
  • Archeologi di Himmler, di Marco Zagni, edizioni Ritter, 2004

 

 

Cultura tibetana

  • Dei, demoni e oracoli. La leggendaria spedizione in Tibet del 1933, di Giuseppe Tucci, Neri Pozza Editrice, 2006
  • Segreto Tibet, di Fosco Maraini, Corbaccio editore, 1998
  • La religione del Tibet, di Giuseppe Tucci, Edizioni Mediterranee, 1986

 

Fonte: http://www.terzauniversita.it/download/asia/tibet-dispensa.doc

Sito web da visitare: http://www.terzauniversita.it/

Autore del testo: P.Pescali

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