Leggende della tavola rotonda

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Leggende della tavola rotonda

 

LEGGENDE DELLA TAVOLA ROTONDA
Gruppo di racconti detti anche "ciclo bretone" o "ciclo arturiano", risalenti all'Alto Medioevo, incentrati sulle vicende leggendarie che hanno come protagonisti Artù, re di Britannia, e i suoi cavalieri, usi a sedersi attorno a una tavola rotonda, perché non sorgessero tra loro differenze e invidie riguardo alla posizione da occupare rispetto al re. Le storie narrate intrecciano elementi tratti dall'antica mitologia celtica ad altri aggiunti dalle tradizioni successive, innestandoli su una base storica; furono diffuse in Europa tra il V e il VI secolo, probabilmente dai celti stanziati in Bretagna.
I primi riferimenti al personaggio di Artù si ritrovano in testi di origine gallese: il poema Y Gododdin (VII secolo), alcune storie scritte in latino nel IX e X secolo e i racconti dell'antologia Mabinogion (XII secolo), in cui compaiono anche la moglie di Artù, Ginevra, e i cavalieri Kay, Bedivere e Gawain. La prima raccolta di narrativa arturiana è la Historia regum Britanniae (1136 ca.) dell'inglese Goffredo di Monmouth. Nell'opera compare anche Merlino, consigliere di Artù, e si dice che quest'ultimo è figlio del re inglese Uther Pendragon; viene citata inoltre l'isola di Avalon, dove Artù si reca per guarire dalle ferite riportate nell'ultima battaglia, e si narra dell'infedele Ginevra e della ribellione istigata dal nipote di Artù, Mordred..
In uno dei primi racconti inglesi del ciclo, il Brut (1205) del poeta Layamon (in gran parte basato sul Roman de Brut dell'anglo-normanno Robert Wace), appare per la prima volta la spada Excalibur, che il solo Artù riuscì a estrarre dalla roccia in cui stava conficcata.
Nel XII secolo in Italia vennero scritti e diffusi numerosi romanzi ispirati al ciclo arturiano: improntati al tema della cavalleria e dell'amor cortese, danno di solito maggiore spazio alle gesta dei cavalieri di Artù, piuttosto che alle vicende del re stesso.
Le più antiche delle versioni francesi del ciclo sono costituite dalle opere di Chrétien de Troyes (XII secolo): in particolare, un poema dedicato alla figura di Lancillotto, primo cavaliere di Artù e suo rivale in amore, e un altro che ripercorre la storia di Perceval (Parsifal) alla ricerca del Sacro Graal, intrecciandola alle vicende degli altri cavalieri della Tavola Rotonda. L'opera di Chrétien influenzò notevolmente i romanzi arturiani successivi, soprattutto le prime versioni tedesche quali Erec e Iwein, del poeta Hartmann von Aue (XII secolo), e il poema cavalleresco Parzival (1210 ca.) di Wolfram von Eschenbach. All'inizio del XIII secolo, anche la storia di Tristano e Isotta entrò a far parte della leggenda di re Artù.
I successivi romanzi inglesi sono incentrati sulle figure dei singoli cavalieri: Parsifal e Galahad, i cavalieri del Sacro Graal, e soprattutto Gawain.
Molti scrittori, musicisti e registi si sono ispirati alle vicende di Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda, da Mark Twain (Un americano alla corte di Re Artù, 1889) a Richard Wagner (Parsifal, 1882), fino alla narrativa e cinematografia fantasy dei giorni nostri.

LA FORMAZIONE DEL VALLIERE 

L'investitura cavalleresca richiedeva un lungo apprendistato. Dall'età di sette anni i candidati vivevano presso un cavaliere, dove prestavano servizio prima come paggi e quindi come scudieri. Nel XIII secolo il cerimoniale dell'investitura divenne molto complesso e ispirato al rituale cristiano. L'aspirante vegliava per un'intera notte l'armatura posta su un altare: indossatala dopo un bagno purificatore, si recava alla cerimonia, seguita da una festa e da un torneo. I tornei, che ancora nel XII secolo erano realistiche imitazioni di battaglie, nel XIII si trasformarono in simbolici scontri regolati da uno scenografico rituale. Si tennero sino a tutto il XVI secolo.

GLI IDEALI CAVALLERESCHI

Il radicamento dei principi cavallereschi nella letteratura trecentesca italiana (Dante, Boccaccio e Petrarca) li rese, anche dopo il declino dell'ordine, parte essenziale della cultura europea che prese avvio dall'Umanesimo, tramite autori come Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto, Baldassar Castiglione, Giovanni Della Casa, Torquato Tasso, i quali idealizzarono lo spirito cavalleresco fissandolo in un modello letterario, di cui lo spagnolo Cervantes tracciò una grandiosa parodia nel suo Don Chisciotte (1605-1615), quando ormai esso non aveva più alcuna presa sulla società.

AMOR CORTESE
Codice di comportamento che regolava la relazione tra gli amanti di estrazione aristocratica nell'Europa occidentale durante il Medioevo. Improntato agli ideali della cavalleria e del feudalesimo, l'amor cortese ebbe la sua celebrazione letteraria tra l'XI e il XIII secolo nelle canzoni dei trovatori e trovieri, che ne codificarono poeticamente le norme principali.
Attingendo al patrimonio immaginario e retorico della poesia erotica latina, e in particolare alle opere di Ovidio (l'Ars amandi e i Remedia amoris), la poesia cortese di argomento amoroso sembra riflettere in senso idealizzante condizioni socioculturali ben determinate.
Il mecenatismo delle grandi corti medievali tra XII e XIII secolo, in Provenza, in Francia, in Germania e in Italia, ha fatto sì che gli ideali dell'amor cortese trovassero espressioni di grande valore letterario. Tra le opere in volgare ispirate ai temi dell'amor cortese, oltre ai canzonieri dei trovatori occitanici (Arnaut Daniel, Jaufré Rudel, Bertrand de Ventadorn), si ricordano i romanzi cavallereschi di Chrétien de Troyes, la leggenda di Tristano e Isotta, raccontata in numerose versioni, Le Roman de la Rose (1230-1270 ca.), di Guillaume de Lorris e Jean de Meung, e i romanzi ispirati alla leggenda di Re Artù. In Germania la poetica dell'amor cortese pervase la poetica dei Minnesänger. In Italia la poetica dell'amor cortese fu rielaborata e arricchita dapprima dai poeti della Scuola siciliana, quindi profondamente rinnovata dal Dolce stil novo e, nel Trecento, da Francesco Petrarca.
Il codice cortese dell'amore, vera e propria rivoluzione mentale all'interno delle regole di comportamento sociale, grazie all'eccezionale valore artistico della poesia che lo ha trasmesso, ha lasciato tracce tuttora evidenti nell'immaginario sentimentale ed erotico della civiltà occidentale.

LETTERATURA CAVALLERESCA

Genere letterario che nacque nella Francia medievale e si diffuse presto nei paesi romanzi, in Inghilterra e in Germania. Gli ideali cavallereschi della società medievale sono rappresentati tramite eroiche gesta guerresche o coraggiose imprese avventurose spesso compiute in difesa dell'onore di nobili fanciulle. All'origine si trattava di un insieme di testi raggruppabili in tre famiglie: il ciclo bretone, quello carolingio e quello classico.
Il primo racconta le imprese di re Artù, dei cavalieri della Tavola rotonda e le vicende di Tristano e Isotta: è il ciclo di Bretagna, basato su antiche leggende celtiche.
Il secondo narra le avventure di Rolando nella guerra di Carlo Magno contro i mori, e ha dunque un fondamento storico. Episodio centrale delle opere di questo secondo gruppo è l'eroica morte del paladino Orlando, capo della retroguardia dell'esercito di Carlo Magno nella gola di Roncisvalle, nei Pirenei (storicamente, il fatto avvenne nel 778).
Il terzo insieme di testi rielabora alcune leggende classiche sopravvissute in forma romanzata attraverso compilazioni greco-bizantine. Protagonisti ne sono personaggi come Enea e Alessandro Magno, e a essere raccontate sono vicende come la guerra di Troia, anche se non mancano narrazioni di impianto mitologico.
I primi due tipi di poema cavalleresco hanno un peso decisamente maggiore nella tradizione del genere, che trova nella Chanson de Roland, nelle chansons de geste e nei poemi di Chrétien de Troyes i suoi principali modelli.
In Italia, la materia cavalleresca diede vita a una linea "bassa" e a una "alta". Da un lato si sviluppò la letteratura franco-veneta, che riprendeva soprattutto il ciclo carolingio assieme ai cantari, componimenti in volgare recitati da cantastorie. Dall'altro, e con ben maggiore consapevolezza letteraria, si sviluppò la linea che ha il suo capolavoro nell'Orlando furioso (1532) di Ludovico Ariosto. L'aveva preceduto il Morgante (1478) di Luigi Pulci, poema in ottave in cui la materia cavalleresca carolingia è un pretesto parodico, un comico rifacimento delle canzoni di gesta, funzionale all'esercizio di un linguaggio fortemente personale. Le invenzioni comiche del poema (Morgante è un gigante, la preoccupazione maggiore degli eroi è quella di cibarsi smodatamente) sono affidate a uno stile misto, una scrittura popolareggiante che comprende però anche termini tecnici.
Anche l'Orlando innamorato (1495, pubblicato postumo) di Matteo Maria Boiardo adotta una lingua composita, un emiliano illustre che include espressioni popolari. Il contenuto del poema, però, questa volta è serio: aggrovigliate avventure tradiscono un'evidente nostalgia per un mondo ormai tramontato, interpretato da energici eroi guerrieri.
Ariosto riprese l'argomento del suo poema là dove Boiardo, che aveva lasciato incompiuto il suo lavoro, si era interrotto. Alcuni elementi dell'Orlando furioso sono già presenti nell'Orlando innamorato, come la dimensione magica e fiabesca, la centralità del tema dell'amore, il gusto per avventure intricate. Ariosto vi aggiunse l'equilibrio tra drammaticità delle vicende narrate e leggerezza ritmata di inseguimenti, fughe e duelli, mescolando garbata ironia e sottile malinconia, distacco e insieme partecipazione ai destini degli eroi, gioco ed evidente allusione alla situazione contemporanea: tutti aspetti che rendono l'Orlando furioso l'esempio più riuscito del genere.
Al tempo dell'Ariosto l'immaginario cavalleresco aveva perduto da secoli ogni attualità, diventando un contenuto esclusivamente letterario. A prevalere, in seguito, fu l'elemento parodico e dissacratorio, ad esempio nella Secchia rapita (1624) di Alessandro Tassoni. Determinarono il definitivo superamento del genere due capolavori che ne condividevano alcuni aspetti qualificanti: la Gerusalemme liberata (1580) di Torquato Tasso e il Don Chisciotte (1605-1615) di Miguel de Cervantes. Il primo autore impostò il poema eroico moderno basato su una verosimiglianza storica (il racconto si concentra sull'epopea della prima crociata); il secondo utilizzò materiali cavallereschi in un romanzo, questa volta, in prosa: uno dei primi grandi romanzi moderni europei.

Fonte: http://www.luigisaito.it/appunti/ciclo_bretone.doc

Sito web da visitare: http://www.luigisaito.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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