I nani

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I nani

Nell’immaginario collettivo il nano è un omino tozzo sulla sessantina di anni, alto poco più di un metro, con una lunga barba e un naso più o meno grande e tondeggiante; sulla testa porta un cappuccio penzolante, in vita una spessa cintura scura legata attorno alla maglia. Di carattere sostanzialmente burbero, taciturno e scontroso - spesso dispettoso - è generalmente dipinto come un fabbro o un minatore. Capita spesso che i nani vengano confusi con quelle creature, appartenenti al così detto “piccolo popolo” o “popolo incantato”, molto simili a loro perché portano una folta barba, un cappello più o meno a cappuccio, e hanno una spiccata predisposizione per l’artigianato; ma che sono di dimensioni ancora più ridotte, tanto da poter essere afferrati e stretti nel palmo di una mano. Sono questi gli gnomi, i folletti e quella varietà di spiritelli irlandesi dotati di poteri magici legati a desideri da esprimere o pignate d’oro da ritrovare.
I nani più famosi della storia moderna sono sicuramente i sette di Biancaneve che grazie al film di Walt Disney sono diventati icone stampate su quaderni e zainetti, costumi di carnevale e giochi per l’infanzia. Tuttavia, quelli che come me sono nati negli anni ottanta e sono cresciuti mano nella mano con le via via sempre più raffinate tecnologie ludiche, non possono che raffigurarsi il nano come il membro di un inscindibile trio da videogioco che comprende il guerriero con lo spadone e l’elfo con l‘arco. Il nano della videogame generation ha la barba rossa, un elmo vichingo, una cotta di maglia e un’ascia enorme con la quale affetta e spazza via orde di scheletri guerrieri, goblin verdi e mostri di ogni genere e sorta.
Alcuni dizionari definiscono il nano, nell’accezione fantastica del termine, come un “essere mitico di statura molto ridotta e di aspetto senile, abitatore di boschi e grotte, appartenente alla tradizione popolare specificatamente germanica ” oppure come “un essere appartenente a una razza di creature dalle dimensioni ridotte che figurano nella mitologia e nel folclore teutonico e soprattutto scandinavo, che viene spesso identificato con gli elfi e che si ritiene abbia delle abilità speciali nella lavorazione dei metalli, ecc.. ”.
Una definizione interessante, anche se forse un po’ ingenerosa, è quella della The Oxford Companion to World mythology che alla voce “Dwarfs” riporta che:
nella mitologia, i nani sono contrapposti ad altre ‘piccole genti’ come gli elfi e le fate. Sono generalmente ctoni, ovvero associati ai misteri della terra. Spesso si pensa a loro come a esseri maligni, occupati principalmente a difendere i loro possedimenti. Sono maestri dell’artigianato e sono sempre pronti a gettare maledizioni contro gli umani che li sfidano. Ciò è riscontrabile specialmente nella mitologia germanica e norrena, dove i nani creano i più importanti oggetti preziosi e accumulano tesori perché motivati dalla cupidigia, dall’avidità e dalla paura. Sono relegati a vivere in posti lontani dalle dimore divine.
Nei capitoli che seguiranno cercheremo di verificare o di contraddire parzialmente queste definizioni, indagando le origini di queste note e misteriose creature che da secoli vivono nelle leggende e nel folclore del nostro continente.
I nani germanici
Le stirpi dei vari Gimli, Thorin Oakenshield e, perché no, Cucciolo e Dotto hanno le radici piantante nel terreno ghiacciato del nord Europa, dove avvenne la genesi del mondo mitologico germanico. Detti dvergar , parola dell’antico nordico traducibile con “esseri demoniaci” o “rattrappiti” , si formarono come vermi nelle ossa e nella carne morta del gigante Ymir usata dagli dei per creare rispettivamente i monti e la terra . Così ne parla Snorri Sturluson nella sua Edda:
Gli dèi poi si assisero sui loro seggi e tennero a giudizio e ricordarono come i nani ebbero vita nella polvere e sotto terra, come vermi nella carne. I nani dapprima si erano formati e avevano avuto vita nella carne di Ymir ed erano realmente vermi, ma per decreto degli dèi, ricevettero intelletto consapevole ed ebbero figura umana e tuttavia abitarono sotto terra fra le rupi. Módhsognir fu il più illustre e dopo di lui Durinn .
Snorri, riportando la profezia della Veggente, ci riferisce di due schiatte di nani, quelli che abitavano nelle rocce e quelli che dimoravano sotto terra, a cui si aggiungono quattro nani posti a sorreggere i quattro vertici del cielo: Austri “est“, Vestri “ovest“, Nordhri “nord” e Sudhri “sud“ .
“Poi parlò Thridhi: <<Essi presero anche il suo cranio e ne fecero il cielo e lo posero sopra la terra poggiato alle sue quattro regioni e sotto ogni angolo misero un nano. Essi si chiamavano Austri, Vestri, Nordhi e Sudhri»”.
La Veggente continuò la sua profezia elencando i nomi dei nani appartenenti alle stirpi originali:
Là Motsognir s’era fatto il più grande
fra tutti i nani e Durinn era secondo.
Fecero molte umane figure,
i nani, dalla terra; come diceva Durinn.
Nyi e Nidhi, Nordhri and Sudhri,
Austri e Vestri, Althjofr, Dvalinn,
Bívorr, Bavorr, Bomburr, Nori,
An e Anarr, Ai, Mjödhvitnir.
Veigr e Gandalfr, Vindalfr, Thrainn,
Thekkr e Thorinn, Thror, Vitr e Litr,
Nar e Nyradhr; ordunque i nani
- Reginn and Radhsvidhr — come si doveva ho enumerato.
Fili, Kili, Fundinn, Nali,
Hepti, Vili, Hanarr, Sviurr,
Frar, Hornbori, Fraegr e Loni,
Aurvangr, Jari, Eikinskjaldi.
(Nar and Nainn, iípingr, Dainn, Billingr, Bruni, Bildr and Buri),
E’ tempo di enumerare, fino a Lofarr, i nani
della schiera di Dvalinn, ai figli degli uomini;
loro che cercano, dalle pareti di pietra,
le sedi d’umidi campi, fino a Joruvellir.
C’era a quel tempo Draupnir e Dolgthrasir,
Har, Haugspori, Hlevangr, Gloi,
Skirvir, Virvir, Skafidhr, Ai,
(Dori, Ori, Dufr, Andvari)
Alfr e Yngvi, Eikinskjaldi,
Fjalarr and Frosti, Finnr and Ginnarr.
finché vivrà il mondo ricorderà di Lofarr
la schiera degli antenati”.
I nani vivono in Nidhavellir , che viene considerato uno dei nove mondi in cui sono poste le radici del frassino del mondo Yggdrasill, e nella cui prossimità si erge il palazzo dorato in cui dimorano il nano Sindri e la sua progenie .
Come osserva Gianna Chiesa Isnardi queste creature sotterranee erano connesse al mondo dei morti:
I nani dimorano sottoterra e nelle rocce; sono dunque esseri del mondo ctonio. A questa loro caratteristica si fanno ripetuti riferimenti nei miti. Anche un toponimo Dvergasteinn <<pietra dei nani>> (in Islanda e in Norvegia) allude a questa concezione. […]
La connessione dei nani con le pietre e le rocce li mette in relazione con il mondo dei morti perché si ritiene dimorino nelle pietre e nei tumuli. Nel dialogo di Alvíss questo collegamento è reso evidente nelle parole che il dio Thor rivolge al nano Alvíss: <<…perché sei così pallido attorno alle narici?/Sei stato questa notte tra i cadaveri?>> Tale relazione è inoltre rilevata in molti dei nomi di nani ricordati nel mito - Così Dúfr <<assonnato>>; Dúrnir <<[colui che] dorme>>; Fullangr <<cattivo odore>> (con riferimento ai cadaveri); Austori <<che va sui tumuli>>;Nár e Náli <<cadavere>>. Qui si possono forse collegare anche i nomi quali Sjárr (o Svíarr o Svíurr) <<[colui che] scompare>>, così come Móðsognir (o Mótsognir), detto il più nobile fra i nani, che è <<[colui che] succhia la forza [dai corpi]>> (dunque una sorta di vampiro?) o <<[colui che] è senza forza>>
Alcuni tendono anche a vedere i nani come i dokkalfar descritti da Snorri, e messi in contrapposizione ai ljosalfar ; anche perché lo stesso studioso islandese decise di inserire il nano Andavari, di cui si narra nella Skaldskaparmal, proprio nel paese degli elfi neri .
I nani vivono sottoterra e, come i vampiri, odiano la luce del sole al cui contatto diventano di pietra, così come viene esplicitato dal nome del nano Solbindi <<[colui che viene] accecato (ucciso) dal sole>> e raccontato nel Alvissmal dell’Edda poetica.
I nani delle saghe nordiche sono anche degli ottimi artigiani, autori delle armi e dei monili magici di cui si fregiano gli dei. Fra gli artefatti più noti da loro creati ci sono Mjollnir, il martello magico di Thor capace di tornare nelle mani del padrone una volta lanciato; l’infallibile lancia di Odino, Gungnir, che colpisce sempre nel segno; l'anello d'oro Draupnir, che ogni nove notti genera altri otto anelli di peso equivalente; la capiente nave di Freyr, Skidhbladhnir, che solcava i mari e le terre, accompagnata sempre dal favore dei venti, e che poteva essere piegata e portata in una tasca; il cinghiale dalle setole d’oro Gullinbursti, sempre di Freyr, che poteva illuminare qualsiasi tenebra e correre più veloce di chiunque sia in aria che in terra; la chioma d’oro di Sif; la collana di Freyja dall’irresistibile potere seducente e ancora spade magiche, elmetti e mantelli dell’invisibilità.
Di queste vicende la più curiosa è quella descritta nella Sorla thattr, un testo raccolto nella Flateyjarbok, un manoscritto del XV secolo, scritto da due preti cristiani. Appartenente a una famiglia dell‘isola islandese di Flatey, e riguardante le gesta dei re norvegesi, il manoscritto ospita fra le sue pagine il racconto di come Freyja, qui rappresentata come la concubina preferita del re Odin (Odino), abbia ricevuto la sua collana e soprattutto delle modalità con cui ella ripagò i nani che la forgiarono:
In Asia c’erano quattro uomini. Il primo si chiamava Alfrigg, il secondo Dwalin, il terzo Berling e il quarto Grerr. Questi disponevano di una propria abitazione - e non soltanto di un piccolo spazio nella sala reale - ed erano tanto abili nell’artigianato da poter creare con le proprie mani qualsiasi cosa; uomini di tale caratura erano chiamati nani. Essi vivevano in una montagna, e, in quei tempi, erano soliti frequentare gli uomini più di quanto fanno ora.
Freyja, amata ardentemente da Odin, era la più incantevole donna del tempo e abitava in una dimora tanto meravigliosa quanto inespugnabile, così che, quando la porta era chiusa, nessuno poteva entrarvi senza il suo volere.
Un giorno Freyja si trovò a passare dinnanzi alla montagna dei nani, e, siccome la porta era aperta, entrò nella dimora. All’interno i piccoli uomini stavano fabbricando una collana d’oro che apparve a Freyja così ben fatta da farla rimanere incantata; allo stesso modo i nani rimasero affascinati alla vista della donna.
Freyja si propose di acquistare la collana e in cambio offrì ai nani oro, argento e altri oggetti preziosi. I nani però, che di denaro ne avevano in abbondanza, rifiutarono, dicendosi disposti a cederle ognuno la propria quota del monile soltanto se lei avesse acconsentito a passare una notte d’amore con ognuno di loro: che a lei fosse piaciuto oppure no, fu questo l’unico modo che consentì a Freyja di stringere l’accordo. Così, una volta che le quattro notti furono trascorse e che tutte le condizioni furono soddisfatte, i nani consegnarono la collana a Freyja, la quale fece felicemente ritornò alla propria dimora, come se niente fosse successo .
Nelle saghe nordiche Odino è anche conosciuto come il dio che ha portato l’idromele agli uomini. Tuttavia i primi produttori dell’ambrosia norrena furono due nani, Fialarr e Galarr, autori dell’uccisione di Kvasir, l’uomo più sapiente di tutti. Segue il racconto snorriano del non proprio fortunato incontro fra l’uomo saggio e i due nani:
A lungo egli andò per il mondo per recare agli uomini saggezza, ed egli venne ospite da due Nani, Fialarr e Galarr, e costoro lo invitarono a un colloquio privato e lo uccisero; fecero scorrere il suo sangue in due recipienti e in una caldaia, essa ha nome Ódhrerir e i recipienti si chiamano Són e Bodhn. Mischiarono il sangue con del miele e ne venne quell’idromele che chi ne beve diviene poeta e uomo sapiente. I Nani raccontarono agli Asi che Kvasir era soffocato nella sua stessa sapienza, poiché non c’era nessuno tanto saggio da poter attingere al suo sapere.
Fialarr e Galarr, non paghi dell’assassinio di Kvasir, uccisero anche il gigante Gillingr e sua moglie Fialarr, rea di piangere troppo rumorosamente la morte del marito). La loro follia omicida venne però frenata da Suttungr, nipote di Gillingr, che, dopo aver incatenato i nani a uno scoglio, decise di liberarli soltanto in cambio del prezioso nettare da loro prodotto; da questo episodio deriva la kenning che identifica la poesia, e indirettamente l’idromele, come “sangue di Kvasir’, “bevanda dei Nani” e “veicolo (grazie a cui Fialarr e Galarr si liberarono dalla roccia) dei Nani“ .
Come già detto i nani sono grandi artigiani e, nel mondo germanico, i tre più abili - autori della maggior parte degli artefatti sopra citati - sono senza dubbio Brokkr, Eitri e Dvalinn. Quest’ultimo nel Havamal viene descritto come il portatore delle rune ai nani, nonché il loro potente signore.
Brokkr e Eitri, figli di Ivaldi, sono invece coinvolti in una sfida fra artigiani, promossa astutamente dal diabolico Loki.
Il dio scommise con Brokkr la propria testa - che alla fine astutamente non perse - sostenendo che Eitri non sarebbe riuscito a produrre degli oggetti migliori di quelli fabbricati dal fratello. Gli oggetti creati dai due nani furono poi portati al cospetto degli dei che giudicarono il martello Mjollnir, prodotto da Eitri, l’opera migliore. Nella Skaldskaparmal è descritta la sfida fra i due fabbri, di cui riportiamo la fabbricazione del cinghiale dalle setole d’oro di Freyr:
Quando essi giunsero alla fucina Eitri pose una pelle di porco sulla fucina e disse a Brokkr di soffiare e di non smettere prima che egli avesse tolto dalla fucina quanto ci aveva posto. Ma appena egli lasciò la fucina, mentre l’altro soffiava, una mosca gli si posò sulla mano e lo punse. Ma questi continuò a soffiare come prima finché il fabbro tolse l’opera dalla fucina, ed era un cinghiale e le sue setole erano d’oro.
Anche nell’Ynglinga saga, saga appartenente all’Heimskringla , un’opera di Snorri Sturluson sulla storia della Norvegia e i suoi re, compare un nano particolarmente pericoloso:
Sveigthir succedette al trono di suo padre e giurò che avrebbe cercato di trovare la Dimora degli dei e Óthin il Vecchio. Con undici uomini viaggiò per il mondo. Giunse nella terra dei Turchi e al cospetto della Grande Svíthjóth dove incontrò molte genti. Viaggiò per cinque anni, prima di fare ritorno in Svezia. Nel Vanaland sposò una donna di nome Vana, con cui ebbe un figlio di nome Vanlandi.
Sveigthir partì nuovamente in cerca della Dimora degli dei e giunse in una vasta tenuta delle lande orientali della Svezia, chiamata Stein. Lì si ergeva una roccia grande quanto una casa. Era sera e il sole era già tramontato, quando Sveigthir, dopo aver lasciato il banchetto per recarsi a dormire presso l‘accampamento notturno, vide un nano seduto vicino alla grossa roccia.
Sveigthir e i suoi uomini, molto ubriachi, corsero verso la roccia, dove trovarono il nano in piedi sull’uscio. Questo chiamò Sveigthir e lo invitò a entrare, dicendogli che in tal modo avrebbe potuto finalmente incontrare Óthin. Sveigthir si precipitò dentro ma, una volta entrato, l’ingresso della roccia si chiuse alle sue spalle e lì egli rimase intrappolato per sempre.
I nani più conosciuti delle saghe nordiche sono tuttavia quelli legati alle vicende dell’eroe nordico per eccellenza: Sigfrido.
Narra il Reginsmal che, durante un viaggio, Odino, Loki e Hoenir, giunsero alle cascate di Andvarafors; lì Loki uccise una lontra che in realtà era un nano di nome Otr. Il padre del nano, Hreidhmarr, e i fratelli Reginn e Fafnir catturarono le tre divinità imponendo loro di riscattare la propria libertà con tanto oro da poter ricoprire la pelle scuoiata della lontra in cui si era trasformato Otr. Così gli Asi mandarono Loki, responsabile dell’assassinio, in cerca di quelle ricchezze che avrebbero potuto salvare loro la vita.
Il dio giunse nuovamente alle cascate, dove catturò un nano di nome Andvari che aveva assunto le sembianze di un luccio. Loki chiese al nano di riscattare la propria vita con tutto l’oro di cui disponeva.
Andvari a malincuore cedette alle richieste del dio, chiedendogli tuttavia il permesso di tenere per sé l‘anello che indossava. Ma Loki, che era tutto fuorché generoso, glielo strappo dal dito provocando conseguenze tanto mai infauste e sanguinose:
Loki vide tutto l’oro che Andvari possedeva. Ma quando ebbe consegnato l’oro, quest’ultimo trattenne un anello; Loki però glielo tolse. Il nano entrò nella pietra e disse:
<<Quest’oro, un dì possesso di Gustr,
sarà causa di morte per due fratelli
e di diverbio per otto sovrani.
Dal mio avere nessuno trarrà profitto.>>
Loki tornò dai nani con l’oro, che però non era abbastanza per coprire tutta la pelle di lontra: un baffo era rimasto scoperto. Odino allora tirò fuori l’anello maledetto che colmò la lacuna.
La maledizione di Andvari iniziò a mietere le sue vittime. Fafnir, durante un litigio per il possesso dell’oro, uccise il proprio padre, si appropriò del bottino e lo nascose in una caverna. Quindi assunse le sembianze di un drago e, con indosso l’elmo del terrore capace di impaurire chiunque, si mise alla guardia del tesoro.
Reginn, rimasto a bocca asciutta, decise di impossessarsi dell’oro del fratello e, siccome fra i due lui era più debole, addestrò un giovane di nome Sigfrido affinché lo facesse in sua vece. Così Sigfrido, una volta divenuto un forte guerriero, e dopo aver ricevuto in dono Gramr, una spada infallibile forgiata da Reginn, uccise Fafnir.
Terminato lo scontro, Sigfrido prese il cuore del drago per arrostirlo e mangiarlo, ma, nel farlo, si scottò un dito e, mettendoselo in bocca, venne a contatto con il sangue magico del mostro, grazie al quale apprese le facoltà di intendere il canto degli uccelli.
Sigfrido poté così comprendere il canto delle cinciallegre e venire da loro informato sulle reali intenzioni del nano suo tutore:
<<Là giace Reginn, fra sé rimugina:
vuole ingannare il giovane che in lui confida.
Trae dalla rabbia discorsi distorti,
artefice di sventura vuole vendicare il fratello.>>
<<La testa mozzata, spinge egli il grigio oratore
a viaggiar nel mondo infero.
Tutto l’oro allora lui solo potrà tenere
che sotto Fafnir giaceva in gran quantità.>>
Sigfrido senza pensarci su due volte prese Gramr, spiccò la testa di Reginn e tenne per sé il tesoro e l’anello maledetto che lo avrebbe condotto a una morte prematura.
Ne il Nibelungenlied , poema epico del 1200 circa - variante tedesca delle leggende nordiche riguardanti Sigfrido - l’eroe si trova a combattere Alberico , un nano dotato di una morale molto più guerriera e genuina che subdola e ingannatrice. Così è descritto il suo scontro con Sigfrido:
Alberico era assai feroce ed anche assai forte.
Già aveva indossato l’elmo e la corazza,
in mano portava una pesante frusta d’oro.
E corse velocissimo ad affrontare Sigfrido.
Sette palle pesanti pendevano dalla frusta;
con esse colpì lo scudo, in mano al guerriero,
con forza così grande che tutto lo frantumò.
L’audace straniero temette di morire.
Liberò la sua mano dal vano scudo spezzato.
Rimise nel fodero la lunghissima spada,
per non colpire a morte il suo servo fedele;
e agì da cavaliere, come voleva il suo onore.
Con le mani possenti corse contro Alberico.
Afferrò la barba di quel vecchio guerriero.
Tirò con grande furia fino a farlo urlare.
La forza del cavaliere fece soffrire Alberico.
Il duello si concluse con la vittoria di Sigfrido, che fece dono della vita al nano in cambio dei suoi servigi e del tesoro da lui custodito.
I nani celtici
La figura del nano è presente anche nella tradizione celtica di nazioni quali l’Irlanda, il Galles e la Francia; anche in questo caso ci troviamo di fronte a uomini, dalla taglia spesse volte definita “pigmea”, che vivono in regni fatati e custodiscono tesori e oggetti incantati.
Persino nel ciclo eroico di Cúchulainn, il Sigfrido o l’Achille celtico, si parla di un nano, a dire il vero, molto simile a quelli delle saghe scandinave. Nelle vicende del XI secolo relative all’incontro fra Cúchulainn e Senbecc, Cúchulainn giunto sul fiume Boyne, trova, in una barca di bronzo, un piccolo uomo con indosso una ricca veste color porpora. Come riscatto per la propria vita il nano offre all’eroe una maglia e un mantello magico, capaci di proteggere l’indossatore dal bruciare o dall’annegare, e uno scudo e una lancia che garantiscono l’immunità dalle ferite e dalla sconfitta in battaglia. Cúchulainn non soddisfatto dei doni ricevuti rifiuta di liberare il nano, che tuttavia si rivela meno indifeso di quello che la sua statura indurrebbe a pensare. Senbecc dice di non possedere altro che una piccola arpa e offre la sua musica all‘eroe in cambio della vita: suona prima una triste melodia che commuove Cúchulainn alle lacrime, poi una canzone tanto gioiosa da farlo ridere e infine delle note ipnotiche. Il forte guerriero cade poi in un sonno profondo, cosicché Senbecc può fuggire indisturbato .
Intorno al 1170, Chrétien de Troyes compone Érec et Énide, il suo primo romanzo ispirato alle leggende bretoni su re Artù e i suoi cavalieri.
Nelle leggende celtiche, il castello del monarca più famoso di tutti i tempi è dipinto come una reggia tanto prestigiosa da rappresentare un crocevia di cavalieri e nobili signori che da ogni parte del mondo vengono a omaggiare Artù o a saggiare le abilità cavalleresche dei cavalieri della Tavola Rotonda. Re Artù era poi tanto rispettato che neanche il più potente fra i signori si sarebbe mai sognato di declinare un suo invito a corte.
Narra Chrétien de Troyes che un giorno il re decise di indire una festa a Camelot, in occasione del matrimonio di Érec, cavaliere della Tavola Rotonda. Fra gli invitati c’era anche Bilis, re degli Antipodi, uno dei tanti nani che affollano le leggende della tradizione celtica/arturiana:
Il sire dei Nani venne dopo,
Bilis, il re degli Antipodi.
Questo re di cui vi parlo
era sicuramente un nano
e fratello di Bri.
Di tutti i nani Bilis era il più piccolo
e Bri suo fratello, era più grande
di almeno mezzo piede o una spanna
di tutti i cavalieri del reame.
Per mostrare la sua ricchezza e la sua signoria
Bilis era solito portare al suo seguito
due re nani, a cui lui aveva concesso
il mantenimento delle proprie terre,
Gribalo e Glodoalan,
guardati da tutti con meraviglia.
Quando arrivavano a corte, come re
erano onorati e serviti tutti e tre
perché riconosciuti uomini nobili .
I nani del Galles appaiono molto più generosi e benevoli con gli uomini, rispetto ai loro spesso maligni cugini scandinavi. Un racconto gallese del XVIII secolo, riportato da John Rhys, narra del fortunato incontro che fece un ragazzo con un nano dagli occhi azzurri:
Un giovane pastore perso fra le montagne incontrò un ‘omino vecchio e grassottello dagli allegri occhi azzurri’ che gli offrì la propria amicizia. Il nano lo condusse innanzi a una roccia che, dopo essere stata colpita per tre volte, si sollevò rivelando una stretta scala illuminata da una sorta di ‘luce biancastra’ che portava in un’ incantevole terra. Lì il pastore fu splendidamente accolto in un palazzo magnifico e si maritò con la figlia del nano. Ricco e sposato fece infine ritorno con la propria consorte nel mondo di superficie.
I nani gallesi vivono in formidabili regni nascosti e sono padroni di immense ricchezze. I loro reami si trovano sotto terra, nel ventre di una montagna o addirittura sottacqua, come testimonia questo racconto del XIX secolo:
Un giovane uomo cadde nel Llyn Cynnwech, un lago profondo nel distretto di Llanfacreth. Man mano che affondava nell’acqua tutto si faceva più chiaro. Finalmente posò i piedi su un punto stabile dove tutto pareva molto più simile a una terra asciutta. Un “omino vecchio e gentile” gli diede il benvenuto e lo intrattenne splendidamente per un mese che al giovane parve durare tre soli giorni. Infine, gli abitanti del lago profondo lo riportarono in superficie, attraverso una strada conducente a una porta di pietra che celava un uscita ai piedi della montagna.
Uno dei più noti simboli dell’Irlanda è sicuramente quella creatura vestita di verde con la barba bianca o rossa, che pare un incrocio fra il nano e il folletto, e che spesse volte si trova adagiato su una grossa pignata colma d’oro o con in mano un piccolo martello di legno e una scarpina. Questo gnomo irlandese viene comunemente chiamato leprechaun “lepricante”, un nome che pare derivare dalla parola gaelica leipreachán “spiritello”, oppure leath bhrógan che sempre in gaeilico significa “ciabattino”.
Narra il folclore irlandese che i lepricanti siano i calzolai delle fatine e i custodi delle loro ricchezze che sono soliti accumulare e sotterrare ai piedi degli arcobaleni ; per questa ragione vengono a tutti gli effetti considerati parte del “popolo delle fate“.
Sebbene il colore dei loro abiti, le loro dimensioni e addirittura il loro nome , cambi in funzione della parte dell’Irlanda in cui essi si trovano, tutti i lepricanti sono dotati di un’innata furbizia che è pari soltanto alla ritrosia che questi mostrano nei confronti degli esseri umani. Secondo i racconti irlandesi, chi riesce a catturare un lepricante, stringendolo nella mano e fissandolo negli occhi affinché egli non scappi, ha la possibilità di farsi condurre nei luoghi in cui la piccola creatura nasconde l’oro delle fate; un riscatto a cui però spesso il lepricante riesca a esimersi attraverso astuti inganni che gli consentono di svanire nel nulla lasciando l’avventuriero di turno a mani vuote .
Più che in ogni altra tradizione, i nani delle leggende e del folclore celtico sono legati a tesori o regni in grado di fare la fortuna degli uomini che in loro si imbattono. Tuttavia la ricchezza non è la sola peculiarità di cui dispongono, come si constata nella seguente sintesi conclusiva sui tratti caratterizzanti di questa “famiglia” di nani proposta da Vernon J. Harward, nel suo The Dwarfs of Arthurian romance and Celtic tradition :
1- I nani sono sorprendentemente belli, ma a volte grottescamente brutti.
2- I loro reami sono locati in posti variegati - su isole, sotto laghi o mari, e sotto la terra. Solitamente questi regni sono pieni di ricchezze e quelli posti nel sottosuolo sono spesso poco illuminati.
3 - La loro organizzazione sociale è molto simile a quella dei loro contemporanei ‘umani’ e i re vantano una signoria su corti e reami popolosi.
4 - La loro ricchezza si riflette in splendidi vesti e nel possesso di magici vessilli e armi soprannaturali.
5 - Cavalcano piccoli destrieri adattati alla loro stazza.
6- Vantano diversi attributi soprannaturali: forza, abilità nello scomparire, immortalità, chiaroveggenza e abilità musicali che incantano l’ascoltatore.
7 - Interpretano vari ruoli. Spesso sono d’animo nobile e amichevole, generosi con i mortali che conducono nei propri reami. Alcune volte sono egualmente ostili.
8 - Sebbene i nani siano di piccola statura, non sono certamente pigmei o nani in senso scientifico. Sicuramente, le loro piccole dimensioni, gli splendidi regni, le immense ricchezze, i magici oggetti e i poteri soprannaturali li relazionano alla tradizione fiabesca.
9- Finalmente, nonostante le probabili origini antiche, i nani hanno acquisito nel folclore e nelle saghe molti attributi cortesi.
Gli altri nani famosi
Quello che forse, per anzianità di servizio, è da considerarsi il padre di tutti i nani, è la divinità minore egizia Bes. Un paffuto, spesso deforme, ma bonario omino che protegge la casa e il matrimonio dal malocchio; così lo definisce Arthur Cotterell:
Una popolare divinità familiare nell’antico Egitto, probabilmente di origini nubiane. E’ generalmente raffigurato come un nano dalla faccia paffuta e barbuta, con ispide sopracciglia, capelli lunghi, grosse orecchie a sventola, un naso schiacciato e la lingua fuori. Le sue braccia sono lunghe e grosse, le gambe curve ed è munito di coda. […]
Associato spesso ai piaceri umani, Bes fu una figura geniale e un guardiano contro la sfortuna. Ammazza i serpenti, protegge i bambini, incoraggia la fertilità umana e assiste la divinità ippopotamo Tawert durante i parti.
In molti racconti i nani vengono definiti come pigmei. Un attributo introdotto per la prima volta, niente meno che da Omero nell’Iliade:
Poiché sotto i lor duci ambo schierati
gli eserciti si fur, mosse il troiano
come stormo d'augei, forte gridando
e schiamazzando, col romor che mena
lo squadron delle gru, quando del verno
fuggendo i nembi l'oceàn sorvola
con acuti clangori, e guerra e morte
porta al popol pigmeo.
Genti pigmee incrociarono anche la strada dell’uomo più forte che abbia mai calcato le terre leggendarie.
Nella mitologia greca Ercole, reo di aver ucciso il gigante Anteo, amico fraterno del piccolo popolo, fu assalito da tanti pigmei che cercarono vanamente di legarlo (un po’ come accadde secoli più tardi a Gulliver, l’eroe di Johnathan Swift). Un tentativo vano poiché il figlio di Zeus se li scrollò tutti di dosso con una risata, li catturò e li infilò nella sua pelle di leone per portarli in dono al fratello Euristeo .
Il nano più celebre delle Dolomiti è senza ombra di dubbio Laurino a cui si deve il fenomeno dolomitico detto enrosadira.
La storia di Laurino, Re dei Nani, è narrata in diverse versioni. Quello che segue è il sunto che Karl Felix Wolff fa delle vicende narrate nella saga Rosengarten :
Poco fa vi ho raccontato la leggenda del rosseggiare delle Alpi e della montagna nei pressi di Bolzano, chiamata “Rosengarten” (lett: “Roseto”). Un’altra leggenda riferisce che questa montagna sarebbe cava all’interno e che in essa vi abitino molti nani. Qualche volta escono dalla roccia, scalano le cime e se ne stanno a guardare il sole che cala. Se i malgari, seduti davanti alle loro baite, in ascolto nel silenzio della sera, sentono cadere pietre dall’alto dei baratri e percepiscono strani suoni lontani, ciò si deve ai nani che vanno in giro lassù lanciandosi richiami. Si prendono cura del Rosengarten, lo annaffiano e lo tengono nelle migliori condizioni. Inoltre essi possiedono miniere da cui ricavano tesori. Avevano anche un re che si chiamava Laurino, piccolo di statura ma molto valoroso. Il destriero che cavalcava aveva solo la taglia di una capra, ma egli aveva un armamento di caratteristiche ineguagliabili, di cui facevan parte un manto che lo poteva rendere invisibile e una cintura che lo dotava della forza di dodici uomini.
Un giorno Laurino venne a sapere di una principessa straniera, che si chiamava Similde ed era molto bella. Decise di chiedere la mano della principessa desiderando farne la sua regina. Perciò inviò tre messaggeri al padre di lei. Ma essi non solo furono respinti, ma anche maltrattati e perfino inseguiti sulla via del ritorno. Allora Laurino si adirò e fece qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare: decise di rapire la principessa! Quindi montò a cavallo, si mise il manto magico, che lo rese invisibile, e si diresse al castello dove abitava la principessa. Mentre ella ignara passeggiava all’aperto, la sollevò sul destriero e cavalcò via con lei fino al suo Rosengarten. Ivi la fece trattare veramente da regina, ma non di meno la teneva prigioniera, poiché non le era permesso, né avrebbe potuto, lasciare il Rosengarten.
La notizia del rapimento della principessa si diffuse rapidamente e avvenne che alcuni prodi guerrieri partirono per liberarla. Tra loro c’era il famoso Teodorico da Verona (Dietrich von Berne). Si diressero nel regno di Laurino e si meravigliarono molto alla vista dello splendido Rosengarten. In particolare si stupirono che il “giardino” non fosse cinto di terrapieno e fossato, ma soltanto da un filo di seta lucente come l’oro. Teodorico fu tanto contento del profumo e della vista del Rosengarten che non si decideva a strappare il filo e penetrare nel giardino; ma uno dei suoi compagni lo fece. Non appena fatto ciò, apparve re Laurino a chiedere soddisfazione al torto subito. Si venne a colluttazione, durante la quale i guerrieri si trovarono in difficoltà. Lo stesso Teodorico, avvezzo alle vittorie, poté a stento difendersi dal piccolo Laurino. Però l’armiere di Teodorico sapeva che Laurino aveva una cintura che donava la forza, perciò gridò al suo signore di provare a strappare la cintura a Laurino. Non appena Teodorico l’ebbe fatto, Laurino perse la sua forza soprannaturale e finalmente poté essere sopraffatto.
Si concluse la pace entrando insieme nel Rosengarten, dove dimorava Similde e gli eroi furono accolti magnificamente. Tuttavia la pace non durò molto, scoppiò ancora la lite e ricominciò il combattimento. Laurino fu sconfitto per la seconda volta e la maggior parte dei suoi nani furono uccisi. Poi i guerrieri se ne andarono via con Similde.
Laurino era triste e non provava più gioia per il suo Rosengarten. Perciò l’abbandonò e si diresse ad una vetta solitaria di quegli stessi monti, dove s’estendevano solo pendìi pietrosi e pini mughi e dove, sopra gli svettanti speroni rocciosi, si udiva soltanto il grido del gipeto.
Qui Laurino passò anni di dispiacere .
Fra i tanti nani che popolano le fiabe di ogni tempo, quelli più famosi sono naturalmente i sette di Biancaneve, resi celebri da Charles Perrault ne Contes de ma mere l'Oie alla fine del XVI secolo, dalle raccolte di fiabe dei fratelli Grimm nel XIX secolo e infine da Walt Disney nel 1938 .
Anche i Sette nani, similmente ai i loro cugini germanici e celtici, sono legati alla montagna e ai suoi tesori; un’affinità illustrata in questo passo tratto da Kinder- und Hausmärchen , libro dei fratelli Grimm in cui è riportato il racconto di Biancaneve:
Erano sette nani che martellavano le montagne per estrarne minerali e oro. […]
La mattina i nani andavano tra le montagne a cercar minerali e oro e quando tornavano la sera, doveva essere pronta la cena.
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Nelle edizioni italiane tradotto come “Scudodiquercia”.
Dweorh in inglese antico, dvergr in norreno, twerg in alto tedesco antico e *dwairgs in gotico (non attestato).
Gianna Chiesa Isnardi , I miti nordici, Longanesi (1991), p. 331
Volospa (Profezia della veggente), stanza 9
Vafthrudhnismal (Il canto di Vafthrudnir), stanza 21
Snorri Sturluson, Edda, Biblioteca Adelphi (1975) nella traduzione di Giorgio Dolfini, p. 63
Come riferiscono Stuart Lee e Elizabeth Solopova in The Keys of Middle-Earth, Palgrave MacMillan (2005), questa fonte mitologica ha dato origine la kenning che identifica il cielo come “il fardello dei nani” (p. 43, 44, 45).
Il cranio del gigante Ymir.
Snorri Sturluson, Edda, Biblioteca Adelphi (1975) nella traduzione di Giorgio Dolfini, p.57
Tra parentesi i nomi mancanti nella Volospa del manoscritto del Konungsbok e presenti nella versione in prosa di Snorri Sturluson.
Il canzoniere eddico, Garzanti (2004), traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Volospa stanze 10-16
“Campi oscuri” oppure i “campi del risentimento”.
Volospa, stanza 37
G.C. Isnardi riporta anche un’utilissima traduzione dei nomi di quasi tutti i nani sopra citati di cui ci avvarremo anche nelle prossime pagine.
Gianna Chiesa Isnardi , I miti nordici, Longanesi (1991), p.331, 332
Elfi scuri.
Elfi luminosi.
Il linguaggio poetico.
Discorso trattato in modo più approfondito nel capitolo sugli elfi.
Gianna Chiesa Isnardi , I miti nordici, Longanesi (1991), p. 332
Il discorso di Alviss.
Il nano Alviss si era presentato da Thor (Vingthorr) affinché questo gli concedesse la mano della figlia. Il dio si disse pronto ad accogliere la richiesta soltanto se il nano fosse riuscito a rispondere a tutte le sue domande. Una sfida gnostica che nascondeva tuttavia un tranello mortale: Thor mirava a tenere occupato Alviss fino al sorgere del sole, quando il nano, lontano dai propri oscuri rifugi, si sarebbe tramutato in pietra a contatto con la luce del giorno. E di fatto al sorgere del sole, Thor rivolse al nano queste parole: <<Da un inganno possente ti dico ingannato: dal giorno sei stato sorpreso, nano, sulla terra. Ormai batte il Sole nella corte>>. [Il canzoniere eddico, Garzanti (2004), traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Alvíssmál, stanza 35]
The Flatey Book and recently discovered Vatican manuscripts concerning America as early as the tenth century. London: The Norroena Society (1906). Traduzione dall‘islandese all‘inglese di by Anderson, Rasmus B. – Testo reperibile in inglese sul sito della Northvegr Foundation (http://www.northvegr.org).
Snorri Sturluson, Edda, Biblioteca Adelphi (1975) nella traduzione di Giorgio Dolfini, p.131
Ibid. p.132
Canzone dell‘Eccelso.
Molti ritengono che la mosca sia Loki stesso.
Snorri Sturluson, Edda, Biblioteca Adelphi (1975) nella traduzione di Giorgio Dolfini, p.141
Scritta in Islanda attorno al 1225, è una raccolta di saghe sulle gesta dei re di Norvegia. La prima parte riguarda la leggendaria dinastia svedese della casa di Ynglings (da cui il nome Yinglinga saga) che Snorri fa discendere da re Odino e dalle sue genti, giunte in Scandinavia dall’orientale terra di Asaland ( Asia).
Odino.
La Grande Svezia, territorio probabilmente situato nell’area russo-ucraina.
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Canzone di Reginn.
Che significa “vigilante“, “protettore” o “custode”, traduzione di Gianna Chiesa Isnardi, (ibid. p.333)
Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Reginsmál, stanze 4,5
Reginn
Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Fáfnismál, stanze 33, 34
Il canto dei Nibelunghi.
Il personaggio di Alberico (Alberich in tedesco) è presente anche nel Der Ring des Nibelungen di Richard Wagner. Nell’opera del compositore tedesco, il nano è il capo dei nibelunghi, forgiatore dell’anello e custode del tesoro.
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Il clericante è il cugino notturno del lepricante, entrambi vengono comunemente chiamati “gnomi irlandesi”. Mary Feehan, The Irish Leprechaun Book, Mercier (1994), p.9-20
Ibid.
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E’ un termine friulano che identifica quel fenomeno per cui al tramonto le Dolomiti assumono una colorazione rosacea.
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I racconti di mamma oca
E’ alla Disney che si deve l’attribuzione di nomi ai sette nani Brontolo, Cucciolo, Dotto, Eolo, Gongolo, Mammolo, Pisolo.
Fiabe dei bambini e del focolare
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Tolkien Christopher, Sauron Defeted (The History of Middle-Earth vol.4), HarperCollinsPublisher (2002)
Tolkien Christopher, The Lays of Beleriand (The History of Middle-earth vol.3), Unwin Paperbacks (1987)
Tolkien Christopher, The Lost Road and other writings (The History of Middle-Earth vol.5), HarperCollinsPublisher (1997).
Tolkien Christopher, The Peoples of Middle-Earth (The History of Middle-Earth vol.12), HarperCollinsPublisher (1997)
Tolkien JRR, Albero e Foglia, Bompiani (2000)
Tolkien JRR, I Figli di Húrin, Bompiani (2007)
Tolkien JRR, Il medioevo e il fantastico, Bompiani (2004)
Tolkien JRR, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2000)
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Tolkien JRR , Le avventure di Tom Bombadil, Bompiani (2007)
Tolkien JRR, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)
Tolkien JRR, The Fellowship of the Ring, George Allen & Unwin (1966)
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Tolkien JRR, The Homecoming of Beorhtnoth Beorhthelm's Son, vol. 6 Essays and Studies by Members of the English Association (1953)
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Tolkien JRR, Racconti incompiuti, Bompiani (2005)
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Warner Marina, No go the Bogeyman, Chatto & Windus (1998)
Wells HG, The first men in the Moon, Transworld Publishers (1958)
Wells HG, The Island od Doctor Moreau, William Heinemann (1917)
White Carolyn, A History of Irish Fairies, Paperback (2005)
White Michael, La vita di JRR Tolkien, Bompiani (2002)
Wolff Karl Felix, Dolomitens Sagen, Sagen und Überlieferungen, Märchen und Erzählungen der ladinischen und deutschen Dolomitenbewohner, Bozen (1913)
Wyke-Smith E. A., The Marvellous Land of Snergs (1927), testo riportato in JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)
Interviste
Highfield Roger (Emeritus Fellow del Merton College, professore di storia), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Larrington Carolyne (docente di norreno e anglosassone presso il St. John’s College di Oxford), intervista rilasciatami presso il St. John’s College (2008).
Lee Stuart D. (docente di anglosassone e lingua inglese della facoltà di inglese di Oxford, direttore del Computing Systems and Services dell’Università di Oxford), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
O’Donoghue Heather (docente di norreno e anglosassone presso ilLinacre College di Oxford), intervista rilasciatami presso la Facoltà di inglese dell’Università di Oxford (2008).
Phillips Courtney (Emeritus Fellow del Merton College, professore di chimica), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Shippey Tom (docente di inglese presso la Saint Louis University degli USA), contributi fornitimi per corrispondenza (2009)
Solopova Elizabeth (docente di anglosassone e medio inglese della facoltà di inglese di Oxford, membro della Bodleian Library), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
Tolkien JRR intervista effettuata dalla BBC nel 1968.

Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc

Sito web da visitare: http://www.marcodinoia.it

Autore del testo: Marco Andrea di Noia

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