I nani di Tolkien

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I nani di Tolkien

Dwarfs o dwarves?
Fra le varie richieste di chiarimenti che Tolkien ricevette dai lettori de Lo Hobbit, ce ne erano alcune d’interesse strettamente linguistico. Molti si erano interrogati sul plurale dwarves, della parola singolare dwarf, che lo scrittore aveva utilizzato nel suo libro al posto del corretto dwarfs. Tolkien rispose a questa domanda in diverse lettere, di cui la più completa è quella indirizzata al direttore dell’Observer e datata 16 gennaio del 1938:
E perché dwarves? La grammatica dice dwarfs; la filologia suggerisce che dwarrows sarebbe la forma storica. La vera risposta è che non ho saputo fare di meglio. Ma dwarves sta bene con elves; e, in ogni caso, elf, gnome, goblin sono solo traduzioni approssimative di antichi nomi elfici per esseri che non hanno le stesse caratteristiche e le stesse funzioni.
Cronistoria della parola inglese dwarf a parte, il plurale dwarves è semplicemente un errore di Tolkien. Un atto non premeditato che nel testo inviato all’Observer viene mascherato con un vago “non ho saputo fare di meglio”. Di fatto, in una lettera dell’anno precedente scritta a Stanley Unwin - con cui lo scrittore aveva un rapporto confidenziale – egli scrisse:
Nessun critico (che abbia letto il libro), sebbene tutti abbiano accuratamente usato la forma dwarfs, ha fatto commenti sul fatto (del quale mi sono reso conto solamente attraverso le critiche) che io ho sempre fatto uso del plurale scorretto dwarves. Temo che si tratti di un errore da parte mia, abbastanza scioccante per un filologo; ma dovrò continuare così. Forse al mio dwarf - dato che lui e lo Gnome sono solo traduzioni in equivalenti approssimativi di creature con nomi diversi e funzioni abbastanza diverse nel loro mondo - può essere concesso un plurale particolare.
Tolkien, “dovendo continuare così”, s’immedesimò tanto nella parte, da autoconvincersi (o forse no…) di aver utilizzato un plurale errato deliberatamente. In una lettera a Rayner Unwin del 1961 - quasi 25 anni dopo l’ammissione dell’errore - Tolkien critica aspramente il lavoro dei correttori di bozze dell’edizione della Puffin Books de Lo Hobbit, rei d’aver sostituito le parole dwarves, dwarves’, dwarvish ed elvishcon le forme corrette dei termini, nonostante nell’Appendice F del Il Signore degli Anelli egli avesse specificato - evidentemente con il senno di poi - il suo uso volontario del plurale dwarves per distinguere i suoi nani da quelli delle favole .
Sono molto indignato da questa procedura. Io ho usato deliberatamente dwarves, ecc., per uno scopo preciso e per ottenere un certo effetto - effetto che si può misurare paragonando i passaggi dove hanno sostituito dwarf, specialmente nei versi. Questo punto viene affrontato nel Signore degli Anelli III, pag 415. Naturalmente non mi aspetto che i compositori o i correttori di bozze lo sappiano, o che sappiano qualcosa della parola dwarf; ma pensavo che poteva venire in mente, se non ad un compositore tipografico, almeno ad un correttore, che l’autore non avrebbe utilizzato per 300 volte una particolare forma e che altri correttori non l’avrebbero lasciata, se fosse un semplice, casuale errore di grammatica.
Errore “scioccante” o premeditata invenzione, dwarves è attualmente un plurale presente nei dizionari inglesi; un grande motivo di onore per un uomo che ha dedicato la propria vita allo studio delle parole.
I nani de Lo Hobbit
Lo Hobbit è stato il primo libro pubblicato da Tolkien, nel 1937. E’ un romanzo concepito per i bambini, la cui intenzione ha ben poco a che vedere con quella de Il Signore degli Anelli (eccetto i primi capitoli), de Il Silmarillion o dei I Figli di Húrin.
Nonostante Tolkien, dopo il successo di Frodo e della sua Compagnia, abbia cercato nelle edizioni successive di adeguare alcuni capitoli de Lo Hobbit alle vicende de Il Signore degli Anelli, la differenza fra le due opere rimane visibile, a cominciare proprio dai nani.
Così scriveva Tolkien a Stanley Unwin dopo i primi consensi di vendita ottenuti da Lo Hobbit:
Quella di Mr. Baggins è iniziata come storia comica fra convenzionali e inconsistenti gnomi usciti dalle fiabe dei fratelli Grimm, e poi è arrivata ai limiti estremi della fiaba - tanto che persino Sauron il terribile fa capolino .
Sarebbe quindi poco coerente trattare i nani de Lo Hobbit come i nani de Il Signore degli Anelli o delle altre opere; soprattutto per quel che riguarda la prima parte del racconto, dove questi appaiono effettivamente molto simili a quelli delle fiabe per bambini.
Se compariamo i nani della versione cinematografica di Biancaneve fatta da Walt Disney a quelli del racconto tolkieniano, l'analogia diventa molto più evidente. I nani del celebre cartone animato sono goffi e comici, posseggono lunghe barbe bianche (tranne Cucciolo), occhioni luminosi, nasoni rossi, grosse mani, pance e guance paffute (la maggior parte di essi), cappucci colorati, una cintura nera con la fibbia dorata stretta in vita sopra la maglia, pantaloni aderenti, calzari di stoffa a punta e picconi da minatori. Una descrizione molto simile a quella che Tolkien fa dei suoi nani ne Lo Hobbit:
Era un nano con una barba blu infilata in una cintura d'oro, e occhi vivacissimi sotto il cappuccio verde scuro. Appena la porta fu aperta, si infilò dentro, proprio come se fosse stato atteso.
Appese il mantello a cappuccio sull'attaccapanni più vicino e, con un leggero inchino disse: <<Dwalin al vostro servizio!>>. […]
... sulla soglia, c'era un nano molto vecchio, con una barba bianca e un cappuccio scarlatto; e anche lui saltellò dentro appena la porta fu aperta, proprio come se fosse stato invitato”. […]
...erano altri due nani, entrambi con cappucci blu, cinture d'argento e barba gialla; ciascuno di essi portava un sacco d'attrezzi e una vanga. […]
Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin erano i loro nomi; e ben presto due cappucci purpurei, un cappuccio grigio, un cappuccio marrone e un cappuccio bianco pendevano dall'attaccapanni e i nani si avviavano marciando a raggiungere gli altri, con le larghe mani ficcate nelle cinture d'oro e d'argento. […]
<<Al vostro servizio>> dissero Bifur, Bofur e Bombur stando in fila. Poi appesero due cappucci gialli e uno verde pallido, e anche uno azzurro cielo con una lunga nappa d'argento. Quest'ultimo apparteneva a Thorin Scudodiquercia in persona, che non era stato per niente contento di cadere disteso sullo zerbino di Bilbo con Bifur, Bofur e Bombur sopra di lui. Tra l'altro Bombur era enormemente grasso e pesante!
Nonostante la somiglianza fra i nani di Walt Disney e quelli di Tolkien, è difficile pensare che l’uno abbia potuto ispirare minimamente l’altro, semplicemente perché Lo Hobbit fu pubblicato il 21 settembre del 1937 mentre il film fu presentato al Carthay Circle Theater di Los Angeles esattamente tre mesi dopo; un lasso di tempo troppo breve per pensare a un’influenza di Tolkien su Disney.
E’ invece probabile che i due abbiano condiviso un simile “calderone” di conoscenze contenente i ricordi delle fiabe dei fratelli Grimm, Andrew Lang, Hans Christian Andersen e via dicendo .
Un altro elemento che chiaramente lega i nani de Lo Hobbit a quelli dei racconti per bambini è la presenza di canzoni o filastrocche.
Uno sguardo alle canzoni cantate dai nani della Disney, dal nano di Rumpelstilzchen dei fratelli Grimm e da quelli tolkieniani è quanto mai utile a notare la stretta parentela fra i personaggi dei differenti autori.
Heigh-ho (Walt Disney, Snow White and the Seven Dwarfs soundtrack)
We dig dig dig dig dig dig dig in our mine the
whole day through
To dig dig dig dig dig dig dig is what we really like to do
It ain't no trick to get rich quick
If you dig dig dig with a shovel or a pick
In a mine! In a mine! In a mine! In a mine!
Where a million diamonds shine!
We dig dig dig dig dig dig dig from early morn till night
We dig dig dig dig dig dig dig up everything in sight
We dig up diamonds by the score
A thousand rubies, sometimes more
But we don't know what we dig 'em for
We dig dig dig a-dig dig
Heigh-ho, Heigh-ho
Heigh-ho, Heigh-ho
Heigh-ho
Heigh-ho, Heigh-ho
It's home from work we go
dalla fiaba Rumpelstilzchen dei fratelli Grimm
Round about, round about, lo and behold!
Reel away, ree away, straw into gold”
Today I’ll brew and than I’ll bake.
Tomorrow I shall the Queen’s child take.
How lucky it is that nobody knows
My name is Rumpelstiltskin ”.
da Lo Hobbit
Chip the glasses and crack the plates!
Blunt the knives and bend the forks!
That’s what Bilbo Baggins hates—
Smash the bottles and burn the corks!
Cut the cloth and tread on the fat!
Pour the milk on the pantry floor!
Leave the bones on the bedroom mat!
Splash the wine on every door!
Dump the crocks in a boiling bowl;
Pound them up with a thumping pole;
And when you’ve finished, if any are whole,
Send them down the hall to roll!
That’s what Bilbo Baggins hates!
So, carefully! carefully with the plates!
[…]
“Far over the misty mountains cold
To dungeons deep and caverns old
We must away ere break of day
To seek the pale enchanted gold.
The dwarves of yore made mighty spells,
While hammers fell like ringing bells
In places deep, where dark things sleep,
In hollow halls beneath the fells.
For ancient king and elvish lord
There many a gleaming golden hoard
They shaped and wrought, and light they caught
To hide in gems on hilt of sword.
On silver necklaces they strung
The flowering stars, on crowns they hung
The dragon-fire, in twisted wire
They meshed the light of moon and sun
Come i nani delle fiabe, quelli de Lo Hobbit amano cantare canzoni che parlano di tesori nascosti o che riguardano attività manuali più o meno buffe (componimenti che spesso utilizzando l’imperativo come tempo verbale).
Nonostante un’indiscutibile somiglianza, i nani di Tolkien sono in ogni modo più complessi, meno stereotipati e acquisiscono serietà e caratteristiche “germaniche” con l’incedere del racconto, specialmente nell’ultima parte in cui si narra della riconquista del tesoro e della Battaglia dei cinque eserciti.
Come osservano Stuart D. Lee e Elizabeth Solopova i nani tolkieniani conservano molte delle caratteristiche di quelli dell’Edda poetica: sono grandi artigiani e costruttori, vivono sotto i monti in regni di pietra, ma sono anche re e guerrieri.
La similitudine maggiore con i nani scandinavi è rappresentata sicuramente dai nomi che appartengono tutti all’elenco fatto dalle Veggente nella Volospa, o che comunque sono presenti nei carmi eddici.
Questi sono i nomi dei nani della compagnia che segue Bilbo Baggins nella sua avventura; tra parentesi il corrispettivo nome mitologico e la traduzione fatta da Gianna Chiesa Isnardi :
Balin (Balinn, “scuro??”), Dwalin (Dvalinn, “colui che indugia”), Fili (Fili, “lima”), Kili (Kili, “cuneo”), Oin (Oinn,” timoroso”), Gloin (Gloinn, “luminoso”), Bofur (Bafurr,” piccolo come una fava”), Bifur (Bifurr,” castoro”), Bombur (Bomburr,” persona massiccia”), Ori (Ori,” eccitato”), Nori (Nori), Dori (Dori, “colui che nuoce, pazzo”) e naturalmente il re Thorin (Thorinn, “coraggioso”).
Ho affiancato ai nomi in norreno le rispettive traduzioni, poiché Tolkien, quando ha scritto Lo Hobbit era pienamente conscio del loro significato. Di fatto, come vedremo a breve, Thorin è la personificazione ( o meglio, la “nanificazione”) del coraggio, mentre come abbiamo già visto Bombur era “enormemente grasso e pesante!”.
Come scrive in una lettera, Tolkien considerava, nomi a parte, i suoi nani diversi da quelli della mitologia scandinava:
I nomi dei nani ne Lo Hobbit (e quelli aggiunti nel Signore degli Anelli) derivano dalle liste dei nomi di dvergar del Völuspá; ma questa non è una chiave utile a capire le leggende dei nani nel Signore degli Anelli. I <<nani>> delle mie leggende sono molto più simili ai nani delle leggende germaniche di quanto lo siano gli elfi, ma sotto certi aspetti sono anche molto diversi da loro.
Anche i nani non sono in realtà dwarfs germanici (Zwerge, dweorgas, dvergar), e io li chiamo dwarves perché questa differenza sia chiara. Non sono per natura cattivi, né necessariamente ostili, e nemmeno una specie bizzarra generata dalla roccia; ma un tipo di creature razionali incarnate.
I dwarves sono come vuole la tradizione gelosi delle proprie ricchezze e dei propri oggetti, e vendicativi nei confronti di chi cerca di sottrarglieli. Il pomo della discordia che porta al litigio fra Thorin e Bilbo è di fatto l’Arkengemma , un oggetto molto caro al re dei nani:
<<Infatti l’Arkengemma di mio padre>> egli disse << ha un valore più grande di quello di un fiume tutto d’oro, e per me ha un valore inestimabile. Di tutto il resto io reclamo per me stesso soltanto quella pietra e mi vendicherò di chiunque la trovi e la tenga per sé>>.
I nani tolkieniani sono pronti a difendere le loro proprietà a costo della vita, dando stoicamente battaglia a chiunque voglia sottrargliele o gliele abbia già sottratte. Ne Lo Hobbit, non esitano a recarsi nella grotta del feroce drago Smaug per cercare di riappropriarsi del tesoro dei propri avi, nello stesso modo non ci pensano due volte a dichiarare guerra agli eserciti degli uomini e degli elfi, pur contando su una schiera di soli tredici guerrieri. Una spregiudicatezza e un coraggio decisamente nordici.
In un passo de Lo Hobbit viene fatta una descrizione delle gesta eroiche di Thorin che non può che rimandare alla mente il “feroce e forte” Alberico incontrato nel Nibelungenlied:
Improvvisamente ci fu un grido fortissimo, e dalla Porta venne uno squillo di tromba. Avevano tutti dimenticato Thorin! Parte del muro, scalzato da leve crollò e cadde nella pozza. Il Re sotto la Montagna balzò fuori, e i suoi compagni lo seguirono. Cappuccio e mantello erano spariti, erano tutti rivestiti di abbaglianti armature, e dai loro occhi divampava una luce rossa. Nella penombra il grande nano brillava come oro in un fuoco morente.
Dall’alto, gli orchi fecero rotolare su di loro dei macigni, ma essi resistettero, superarono le cascate, e si precipitarono a dar battaglia. Lupi e cadaveri caddero o fuggirono davanti a loro. Thorin assestava con la sua ascia colpi possenti, e sembrava invulnerabile. <<A me! A me! Elfi e Uomini! A me! O miei consanguinei>> egli gridò, e la sua voce squillava come un corno nella vallata.
L’animo guerriero non è però l’unica traccia della cultura germanica rintracciabile nei nani de Lo Hobbit. Come i re norvegesi, anche Thorin ha un soprannome regale, “Oakenshield” che in italiano è tradotto con “Scudodipietra”; e il nome Thorin II Oakenshield potrebbe benissimo essere presente negli annali nordici a fianco dei vari Harald I Haarfagre (Bellachioma), Erik I Blodoks (Ascia Insanguinata) oppure del danese Svend Tveskæg (Barbaforcuta).
Il soprannome Oakenshield è presente anche nella Volospa, come spiega lo stesso Tolkien in una lettera a un ammiratore:
Nella Völuspá, Eikinskjaldi reso con Oakenshield è un nome, non un soprannome; e l’uso del nome al posto del cognome e la leggenda della sua origine non si trovano in norvegese.
Tipica delle popolazioni scandinave, era anche l’usanza di presentarsi indicando il proprio nome e quello del proprio padre. Una tradizione mantenuta anche nella fiction di Tolkien, come si può riscontrare nel passo che segue, dove traspaiono anche l‘orgoglio e la regalità di re Thorin II Oakenshield:
<<Thorin, figlio di Thrain, Re sotto la Montagna!>> disse il nano a voce alta, pieno di maestà nonostante i vestiti laceri e il cappuccio infangato. L’oro gli brillava attorno al collo e alla cintura, i suoi occhi erano scuri e profondi. <<Sono ritornato. Voglio vedere il Governatore della vostra città>>.
I nani de Il Silmarillon
I nani de Il Silmarillion, de Il Signore degli Anelli e de I Figli di Húrin, come le tutte le specie della Terra di Mezzo, sono parte della stessa storia millenaria come noi lo siamo nei confronti degli antichi romani, degli egizi o dei rivoluzionari francesi.
Ciò premesso, le considerazioni generali sulla specie dei nani e i riferimenti alle mitologia e storia tolkieniane - o alle influenze letterarie su di queste - che farò in modo sparpagliato sezione per sezione, possono essere ritenute valide per i nani di ognuno dei tre libri, che si distinguono sì gli uni dagli altri, ma esclusivamente per peculiarità soggettive.
Nella lingua alto elfica quenya i nani sono chiamati “Kasári”. Gli elfi che parlano il sindarin li chiamano “Hadhodrim” osi riferiscono a loro con gli appellativi “Naugrim” (Popolo rachitico), “Gonnhirrim”(Padroni della pietra) e “Dornhoth”(Gente testarda) .
La parola hadhod è poi un adattamento in sindarin di khazâd, nome con cui i nani chiamavano loro stessi. L’idioma dei nani era quindi il khuzdul, che avevano appreso da Aüle, dio che li aveva creati. I nani erano gelosissimi della propria lingua e non la insegnavano alle altre specie, facendone un uso privato o limitandolo alle iscrizioni sulle tombe .
I nani de Il Silmarillion da cui discendono quelli de Lo Hobbit e quelli de Il Signore degli Anelli, erano insediati vicino alle genti del nord - a cui Tolkien attribuì il norreno - per questa ragione i nomi con cui si presentano alle genti di razze o specie diverse sono nomi nordici (si veda i nomi dei nani de Lo Hobbit) .
L’alfabeto khuzdul, usato esclusivamente per le incisioni su pietra e le mappe, era di tipo runico ed era detto “Cirth” che significa appunto “rune”, mentre la lingua era stata creata da Tolkien come una lingua semitica influenzata dalla fonologia ebraica; ciò poiché secondo lo scrittore i nani erano un popolo simile a quello ebraico:
Penso che i nani siano come gli Ebrei: ad un tempo di casa e stranieri nei loro luoghi di residenza, parlano la lingua del paese dove abitano, ma con l’accento della loro lingua madre.
A differenza degli uomini, degli hobbit e degli elfi, i nani non furono creati direttamente da Eru, bensì da Aüle, che nella mitologia tolkieniana, assume le prerogative del dio fabbro; ragion per cui i nani sono, anche in questo caso, degli abili artigiani, legati al mondo ctonio . Eru, sebbene non ne avesse previsto la creazione, decise di adottarli come suoi figli. Questo è il passo in cui Aüle pentito offre ad Illùvatar (Eru) la vita delle proprie creature e in cui si spiega la ragione per cui i nani sono amanti delle montagne e delle rocce:
E che cosa farò io ora, per modo che tu non sia irato con me per sempre? Come un figlio a suo padre, io ti offro queste cose, l'opera delle mani che tu hai creato. Fanne ciò che vuoi. O preferisci che io distrugga la fattura della mia presunzione? ».
E Aulë diede di piglio a un grande martello per ridurre in pezzi i Nani; e pianse. Ma Ilùvatar provò compassione per Aulë e il suo desiderio, a cagione della sua umiltà; e i Nani si rattrappirono alla vista del martello e provarono timore, e chinarono il capo e implorarono mercé. E la voce di Ilùvatar disse ad Aulë: « Ho accettato la tua offerta fin dal primo momento. Non t'avvedi che queste cose hanno ora una vita loro propria e che parlano con voci proprie? Altrimenti, non si sarebbero rannicchiate al tuo gesto e a ogni suono della tua volontà». Allora Aulë lasciò cadere il martello e fu lieto, e rese grazie a Ilùvatar dicendo: «Che Eru benedica il mio lavoro e lo emendi! ». Ma Ilùvatar tornò a parlare e disse: «Come ho conferito essere ai pensieri degli Ainur all'inizio del Mondo, così ora ho accolto il tuo desiderio e gli ho assegnato un posto in esso; ma in nessun altro modo emenderò l'opera delle tue mani e, quale l'hai fatta, tale rimarrà. Non tollererò che la comparsa di costoro preceda quella dei Primogeniti da me progettati, né che la tua impazienza sia ricompensata.
Queste creature ora dormiranno nella tenebra sotto il sasso, e non ne sortiranno finché i Primogeniti non siano apparsi sulla Terra; e fino allora tu ed esse attenderete, per lunga che possa sembrare l'attesa. Ma, quando il tempo sarà venuto, io le risveglierò, ed esse saranno come tuoi figli; e frequenti discordie scoppieranno tra i tuoi e i miei, i figli da me adottati e i figli da me voluti».
Allora Aulë prese i Sette Padri dei Nani e li pose a giacere in luoghi remotissimi; e fece ritorno a Valinor e attese il passaggio di lunghi anni.
Come nell’Edda poetica, i nani nascono o si risvegliano nella roccia e lì dimorano . Ma non solo, l’origine germanica del nano tolkieniano è tanto più visibile nel passo seguente che narra dei nani e di ciò che attende loro dopo la morte. Un estratto a cui ho affiancato parte della descrizione di un altro celebre raduno “post mortem”, raccontatoci in prosa da Snorri Sturluson, e che si tiene nell’immensa sala odinica detta Valhalla:
L’aldilà per i nani di Tolkien
Un tempo si riteneva, dagli Elfi della Terra-di-mezzo, che, morendo, i Nani tornassero alla terra e al sasso onde eran fatti; ma non è più questa la loro opinione. Dicono essi infatti che Aulë l'Artefice, che chiamano Mahal, ne abbia cura e li raduni in Mandos, entro aule a sé stanti; e che in tempi antichi abbia rivelato ai loro Padri che Ilùvatar alla Fine li beatificherà e riserverà loro un posto tra i Figli. Avranno allora il compito di servire Aulë e di aiutarlo nella ricostruzione di Arda dopo l'Ultima Battaglia.
L’aldilà per i guerrieri norreni
Allora disse Gangleri: <<Tu dici che tutti gli uomini che sono caduti in battaglia dal principio del mondo sono ora riuniti presso Ódhinn nella Valhöll…>> […]
Allora Gangleri domandò: <<Una grandissima moltitudine d’uomini è nella Valhöll e in fede mia un potentissimo signore è Ódhinn che guida un esercito così poderoso…>>.
Come i nani avranno il compito di aiutare Aulë nella ricostruzione di Arda, così gli einherjar saranno destinati a combattere a fianco di Odino nella battaglia finale del Ragnarok.
Ne Il Silmarillion, Durin è il nano il più importante dei Sette padri dei nani, una figura che ricorda molto il Durinn dell‘Edda poetica.
Durin de Il Silmarillion
E dicono anche che i Sette Padri dei Nani ritornano, per rivivere nei loro discendenti e riprendere gli antichi nomi: e di essi, Durin fu il più rinomato in ere successive, padre di quella stirpe massimamente amica degli Elfi, le cui dimore erano a Khazad-dùm.
Durin de l’Edda poetica
Là Motsognir s’era fatto il più grande
Fra tutti i nani e Durinn era il secondo.
Fecero molte umane figure,
i nani, dalla terra; come diceva Durinn.
Sebbene Il Silmarillion sia dedicato pressoché interamente alla storia degli elfi (primogeniti di Eru) e, in secondo luogo, degli uomini, (secondogeniti), i nani occupano un ruolo in molti casi decisivo per i destini di Arda.
In particolare la loro gelosia per un monile forgiato dai propri avi fu la causa della morte di Thingol, re del Doriath, uno dei più grandi signori elfici che, dal canto suo, aveva già avuto rapporti con i naugrim, quando chiese loro di scavare Menegroth per farne la meravigliosa capitale del suo regno.
Thingol un giorno decise di voler fare incastonare il prezioso Silmaril nella Nauglamir, una collana, forgiata dai nani dei Monti Azzurri per il re elfico Finrond, che aveva la particolarità di essere leggerissima nonostante le pesanti e numerose gemme da cui era ornata. Per una tale operazione, che richiedeva la massima maestria nell’arte della lavorazione dei metalli preziosi, Thingol chiamò a corte i nani di Nogrond che accettarono di buon grado l’incarico. Questi però, una volta finito il lavoro, furono presi dalla bramosia di rimpossessarsi dell’oggetto e fuggirono con il monile, dopo aver ucciso il re del Doriath che a loro si era opposto. Il racconto è così descritto da Tolkien:
Allora Thingol fece l'atto di prendere il monile e di agganciarselo al collo; ma ecco i Nani impedirglielo ed esigere che lo consegnasse loro, proclamando: « Per quale diritto il Re degli Elfi reclama la Nauglamìr, la quale è stata costruita dai nostri padri per Finrod Felagund che è morto? Se è giunta fino a lui, è soltanto per mano di Hùrin, l'Uomo del Dor-lómin che l'ha cavata ladrescamente dalle tenebre di Nargothrond ». Thingol però lesse nei loro cuori e s'avvide perfettamente che, bramosi del Silmaril, cercavano null'altro che un pretesto e una valida scusa per il loro reale intento: e, mosso da collera e orgoglio, incurante del pericolo che correva, parlò loro con disprezzo, dicendo: «Come osate voi, membri di una razza deforme, esigere qualcosa da me, Elu Thingol, Signore del Beleriand, la cui vita si è iniziata presso le acque di Cuiviénen innumerevoli anni prima che i padri del popolo rachitico si destassero? ». E, drizzandosi alto e fiero tra loro, ordinò ai Nani, con parole sferzanti, di andarsene subito dal Doriath, senza aspettarsi nessun compenso.
La brama dei Nani si tramutò in accesa ira; ed essi gli si scagliarono addosso, alzarono le mani su di lui e seduta stante lo uccisero. Così morì, nelle profondità di Menegroth, Elwë Singollo, Re del Doriath, il solo che, di tutti i Figli di Ilùvatar, fosse congiunto con una degli Ainur; ed egli che, unico tra gli Elfi Abbandonati, avesse visto la luce degli Alberi di Valinor, posò il suo ultimo sguardo sul Silmaril .
Anche in questo caso, le influenze scandinave sui nani de Il Silmarillion e le loro vicende sono evidenti, e riportano alla mente l’emblematica vicenda dell’Edda di Snorri riguardante i nani Brokkr ed Eitri che abbiamo già incontrato. Come i nani di Nogrond anche loro vennero chiamati al cospetto di un signore/dio potente (Odino) per lavorare su, o creare, oggetti magici; in entrambi i casi il racconto finì con la morte, o con la quasi morte , del committente.
Tornando al racconto de Il Silmarillion, i nani dopo aver rubato la collana a Thingol, fuggirono, ma vennero trovati e uccisi dai soldati del Doriath. Un avvenimento che venne accolto in maniera molto fiabesca dagli altri nani rimasti nel Nogrond:
Grandi furono quindi l'ira e il cordoglio dei Nani di Nogrod per la morte dei loro simili, gli ottimi artieri, e si strapparono la barba e gemettero; e a lungo rimuginarono pensieri di vendetta .
Il nano de I Figli di Húrin
E’ Mîm il nano che compare ne I Figli di Húrin, come scrive Gloriana St. Clair, “è il più caricaturale dei nani di Tolkien tanto che lo si potrebbe togliere e inserire in una saga norrena senza che il lettore se ne accorga ”. Per alcuni versi ricorda molto i nani nordici Andavari e Reginn .
Mîm un giorno venne catturato da Túrin e dalla sua banda di vagabondi. Il forte guerriero chiese al nano, come fece Loki con Andavari, di riscattare la propria vita con un tesoro, che in quel frangente non era rappresentato da oro e pietre preziose, bensì da un posto in cui vivere.
Sebbene il nano acconsentì a ospitare i guerrieri presso la propria caverna, questi decisero di imprigionarlo lo stesso, e di partire per la dimora il giorno seguente; una decisione che impedì a Mîm di curare il proprio figlio trafitto da una freccia scagliata da uno degli uomini di Túrin.
Così quando la banda armata e il nano giunsero a Bar-en-Danwedh trovaronoil figlio di Mîm già morto. In quell’occasione il nano, dopo essersi strappato la barba per il dolore, pronunciò una maledizione contro Andróg, colpevole di aver scagliato la freccia mortale:
Colui che ha scoccato la freccia spezzi il suo arco e le altre sue frecce, e le deponga ai piedi di mio figlio; né mai più maneggerà freccia né arco. Se lo farà, ne morrà. Questa è la maledizione che getto su di lui.
Mîm possedeva la facoltà di maledire, e la usò contro Andróg, esattamente come fece il nano Andavari con Loki quando “si rifugiò nella roccia e annunciò la morte per chiunque avesse posseduto quell’anello o parte dell’oro restante” .
Tuttavia una maledizione pronunciata da due nani famosi, Dvalin e Durin, e molto più simile a quella di Mîm perché legata a un’arma, è presente nella Hervarar saga ok Heidhreks . Anche in questo caso le parole dei nani furono cagione della morte di molte persone:
C’era un Re chiamato Sigrlami che si diceva fosse figlio di Odino. Suo figlio Svafrlami succedette al regno dopo suo padre e fu un guerriero molto valoroso. Un giorno, durante una battuta di caccia, il re si separò dai suoi uomini, e al tramonto incappò in una grande roccia e due nani vicini ad essa. I nani lo pregarono di risparmiare le loro vite.
Il Re disse, “Quali sono i vostri nomi?”
Uno di loro disse di chiamarsi Dvalin e l’altro, Durin.
Il Re disse: “Siccome voi siete i più abili di tutti i nani, dovete forgiarmi una spada, meglio che potete. L’elsa e il manico dovranno essere d’oro, e dovrà poter tagliare il ferro tanto facilmente come se fosse stoffa, e mai arrugginire; e dovrà portare la vittoria a chiunque la usi in battaglia o in un singolo combattimento.” I nani acconsentirono, e il Re cavalcò via.
Quando arrivò il giorno stabilito, il Re cavalcò fino alla roccia. I nani erano fuori, e consegnarono al Re una bellissima spada.
Ma Dvalin, in piedi sull’uscio della roccia, disse: “La tua spada, Svafrlami, causerà la morte di un uomo ogni volta che verrà estratta; e inoltre, sarà tre volte strumento d’infamia; e condurrà alla morte anche te.”
Allora il Re cercò di colpire i nani con la spada. Ma questi saltarono nella roccia, e la spada si abbatté su di essa - affondando così in profondità che entrambe i fili della lama furono nascosti; siccome la porta della roccia si chiuse appena essi scomparvero: il Re chiamò la spada “Tyrfing”, e da allora sempre la portò in battaglia e nei combattimenti singoli, e sempre ne uscì vittorioso.
Come accennato in precedenza, Mîm condivide delle attitudini anche con Reginn (Mimir), il nano delle saghe nordiche che meditò subdolamente l’assassinio del discepolo Sigfrido. Similmente Mîm, dopo aver instaurato un rapporto di amicizia e confidenza con Túrin, lo tradì conducendo di nascosto gli orchi alla Bar-en-Danwedh.
I nani de Il Signore degli Anelli
Seven for the Dwarf-lords in their halls of stone
Nella celebre iscrizione dell’Unico Anello si fa riferimento agli anelli del potere e ai loro possessori. Questo verso è particolarmente importante perché stabilisce una connessione esplicita fra i nani tolkieniani e quelli della mitologia germanica. Come notano Stuart D. Lee ed Elizabeth Solopova:
I Nani di Tolkien conservano molte delle caratteristiche dei nani dell’Edda, sebbene siano più simili agli eroi delle fiabe folcloristiche che a quelli mitologici. Sono dei grandi artigiani e costruttori (come è testimoniato a Moria), che vivono sotto le montagne nelle loro “halls of stone”, rocche di pietra, (vedi “salar steini” nella stanza 14 della Völuspá), ma sono anche re e guerrieri.
Il primo nano che viene presentato ne Il Signore degli Anelli è Glóin, una vecchia conoscenza de Lo Hobbit, che aveva già preso parte alla spedizione capeggiata da Bilbo Baggins e Thorin:
Alla propria destra (Frodo) aveva un Nano dall’aspetto importante e riccamente vestito. La lunghissima barba biforcuta era bianca quasi quanto la candida veste. Portava una cintura d’argento, ed al collo una catena d’argento e diamanti.
Glóin non appare più come il nano incappucciato delle fiabe, bensì come un ricco signore, adornato da argento e diamanti, a cui ben s’intona il significato del suo nome, derivante dal norreno gloinn, che significa “luminoso”.
Il nano protagonista de Il Signore degli Anelli e membro della Compagnia non è però Glóin, bensì suo figlio Gimli, il cui nome potrebbe derivare da Gimli (o Gimle), parola con cui era chiamata la stanza d’oro in cui avrebbero dimorato i giusti dopo il Ragnarok, oppure, come scrive lo stesso Tolkien, dal termine poetico in antico norvegese gim che significa “fuoco” . Ed è proprio Gimli a spiegare che i nani di Arda non nascono dalla roccia come invece vuole la tradizione nordica:
Gimli spiegò che vi erano poche Nane, probabilmente un terzo dell’intera popolazione. Esse si allontanano dalle loro dimore assai di rado, e soltanto in caso di estrema necessità. La loro voce, il loro aspetto e, quando viaggiano, anche il loro abbigliamento sono talmente simili a quelli dei Nani maschi che gli occhi e le orecchie della gente di altri paesi non sanno distinguerle: questo è l’origine della stupida idea degli Uomini, secondo cui non esistono le nane e i Nani <<nascono dalla roccia>>.
Numerose notizie sulla storia, la cultura e la lingua dei nani si trovano nell’Appendice F, allegata a Il Ritorno del Re, da cui riportiamo una sommaria descrizione:
Sono una razza per lo più robusta e resistente, segreta, laboriosa, fedele ai ricordi del male (e del bene) ricevuto, amante della roccia, delle gemme, delle cose che prendono forma nelle mani degli artigiani più che di ciò che vive di una vita propria. Ma non sono di natura malvagia, e pochi di loro servirono spontaneamente il Nemico, nonostante ciò che raccontavano le storie degli uomini. Questi infatti invidiavano la loro ricchezza e l’arte delle loro mani, e fra le due razze regnava l’ostilità .
I nani tolkieniani sono orgogliosi di essere nani e sono fieri della propria resistenza fisica e della propria lunga barba, che usano strapparsi dalla disperazione quando perdono una persona cara. Come i guerrieri vichinghi, indossano cotte di maglia, impugnano asce e hanno un’innata passione per la battaglia:
Gimli il Nano era l’unico che portasse apertamente una corta cotta di maglia d’acciaio, poiché come tutti i Nani non dava troppo peso ai fardelli; alla sua cinta pendeva un’ascia dalla larga lama.
[…]
Finanche Gimli, che pur aveva la corporatura robusta e ben piantata dei Nani, avanzava (nella neve) borbottando.
[…]
<<La tenteremo>>, disse Gimli. <<Le strade impervie fiaccano le gambe degli Uomini, mentre quelle dei nani avanzano senza indugio, anche con un fardello due volte più pesante di loro, Messer Boromir!>>.
[…]
<<…Cavalcare è un lavoro pesante. Eppure l’ascia è irrequieta nella mia mano. Datemi una fila di Orchetti e un po’ di spazio per prendere lo slancio, ed ogni stanchezza scomparirà dalle mie membra!>>.
Per usare un detto mai appropriato e pertinente quanto in questo caso, i nani sono creature “dalla testa dura quanto la roccia” e non amano gli elfi per le ragioni primordiali che abbiamo appreso precedentemente dal discorso di Ilùvatar ad Aulë . Fra le due razze non corre buon sangue, e di fatto l’amicizia fra Gimli e l’elfo Legolas rappresenta l’eccezione che, come si suole dire, conferma la regola. La testardaggine dei nani e l’intolleranza degli elfi nei loro confronti è documentata dall’episodio in cui la Compagnia dell’Anello incontrò gli elfi del Lothlórien. Nell’occasione le guardie elfiche acconsentirono a scortare Frodo e compagni al cospetto della loro signora Galadriel, a condizione che il nano Gimli avesse camminato bendato:
La decisione presa non garbava per nulla a Gimli. «L'accordo fu raggiunto senza il mio consenso», disse. «Io non camminerò con gli occhi bendati, come un mendicante o un prigioniero. E non sono una spia. Il mio popolo non ha mai avuto rapporti con alcuno dei servitori del Nemico. Mai abbiamo fatto del male agli Elfi. E' altrettanto probabile che vi tradisca Legolas, o un altro qualsiasi dei miei compagni».
«Non metto in dubbio le tue parole», disse Haldir. «Ma questa è la nostra legge. Io non sono padrone della legge, e non ho il diritto di trasgredirla. Già molto è stato fatto permettendoti di metter piede oltre il Celebrant».
Gimli si ostinava. Divaricò le gambe e, ben saldo sui piedi, disse, posando la mano sul manico della sua ascia: «Andrò avanti libero, o tornerò indietro alla ricerca della mia terra, ove è risaputo che le mie parole sono veritiere, anche a costo di perire da solo nelle zone selvagge».
«Non puoi tornare indietro», disse Haldir severamente. «Ora che sei giunto sin qui, devi apparire al cospetto del Signore e della Dama. Essi giudicheranno se tenerti o congedarti, secondo il loro desiderio. Non puoi attraversare di nuovo il fiume, e alle tue spalle ci sono adesso sentinelle segrete che non ti lasceranno passare. Saresti ucciso prima di scorgerle».
Gimli trasse la sua ascia dalla cintura. Haldir ed il suo compagno tesero i loro archi. «Dannati siano i Nani e la loro caparbietà!», disse Legolas.
«Suvvia!», disse Aragorn. «Se è ancor mio il compito di condurre codesta Compagnia, fate quel che vi dico. E' duro per un Nano che siano fatte simili distinzioni. Andremo tutti con gli occhi bendati, anche Legolas. E' la migliore soluzione, anche se renderà il viaggio lento e monotono».
Gimli rise improvvisamente. «Avremo l'aria di un'allegra comitiva di buffoni! Haldir ci condurrà dunque al guinzaglio, come molti mendicanti ciechi con un solo cane? Mi basterà che la benda ricopra gli occhi di Legolas»”.
I nani de Il Signore degli Anelli, come già detto per Il Simarillion, discendono dai Sette padri dei nani. Di questi il più vecchio è Durin che visse così tanto da essere soprannominato il “Senza morte”, tanto che i nani credevano che egli si reincarnasse nei suoi avi a lui più simili, i quali per questo motivo ricevevano anch’essi il nome Durin.
Uno dei più importanti reami dei nani era Moria (Khazad-dûm ). Quando vi giunse la Compagnia dell’Anello, la grande città di pietra scavata nella montagna si rivelò un luogo oscuro e desolato , reso dagli orchi il cimitero dei nani che lì abitavano, compreso il loro signore Balin. Duranti i fasti di Moria, che Glóin definì una “meraviglia del mondo nordico ”, i nani erano soliti estrarre il mithril, il più prezioso dei materiali, resistente e leggero allo stesso tempo.
Come le dimore dei nani della tradizione celtica che abbiamo incontrato precedentemente, anche Moria dispone di una porta di pietra invisibile apribile soltanto attraverso una particolare conoscenza :
Robert Giddings e Elizabeth Holland, nell’interessantissimo JRR Tolkien: The shores of Middle-Earth , accostano le vicende legate alle miniere di Moria a quelle citate ne Le Miniere di Re Salomone di Sir H. Rider Haggard. In particolar modo, concentrano la loro attenzione sulla porta di Moria che a loro modo di vedere è molto simile al Tempio di Salomone:
Il disegno di Tolkien che mostra la Porta di Moria presenta due colonne, tradizionali emblemi del fallo, l’impulso verso l’alto dell’autoaffermazione. I due pilastri sono il simbolo della stabilità eterna e lo spazio fra loro è la porta per l’eternità; inevitabilmente alludono al Tempio di Salomone, che è l’immagine degli assoluti ed essenziali principi della costruzione; le colonne sono dette Jachin e Boaz, i due grandi pilastri di bronzo posti all’entrata del Tempio di Salomone. Moriah è dove Re Salomone costruì il suo tempio (è anche il nome del posto in cui Abramo trovò l‘ariete sacrificale). Nel secondo dei Libri delle Cronache troviamo: ‘Allora Salomone iniziò a costruire la casa del Signore a Gerusalemme presso il Monte Moriah…’. A margine della Versione Autorizzata è recitato che Jachin ’Deve fondare’ mentre in Boaz ’c’è la forza’.
In King Solomon’s Mines vengono menzionati specificatamente gli ‘emblemi della venerazione fallica’ che decorano le statue sentinelle - pienamente appropriate alle figure sentinelle in questione, una delle quale è identificata come Ashtoreth/Astrate/Afrodite, ‘rappresentata con il corno a mezza luna (cf. l’Ariete, simbolo tradizionale dell’impulso creativo e del principio spirituale).
Afrodite, dea dell’amore, è nata ’dalla spuma generata dai genitali di Urano mozzati e caduti nel mare dell’isola di Cipro’ (aphros, Greco, schiuma marina). Il disegno di Tolkien ne Il Signore degli Anelli mostra due elementi fallici stilizzati tesi da amorevoli mani (nella forma di alberi) che li uniscono come un arco di liquido seminale. Nel contesto de Il Signore degli Anelli sono anche simboli dell’energia creativa di Dio, di Siva, il dio a cui nella religione vedica è riconosciuta la funzione riproduttiva.
[…]
Il simbolismo della Luna (specialmente quella crescente) e della Stella del Vespro viaggiarono insieme con il culto (di Ashtart/Ishtar/Afrodite/Venere); con riferimenti anche alla Stella del Mattino. Ishtar era in particolare una stella a otto punte. Il disegno di Tolkien mostra una stella a sei punte e una stella a sette punte. Le lettere di ithilden, dice Gandalf, diventano visibili soltanto alla luce delle stelle e della luna.
In questo simbolismo lunare c’è un forte eco dei versi di Milton: ‘che i Fenici chiamano Astrate, regina dei cieli, con corna crescenti’. Dovremmo ponderare con attenzione la descrizione di Tolkien dei disegni sulla Porta di Moria: ‘In alto… c’era un arco interlacciato da lettere scritte in caratteri elfici. Sotto, sebbene i filetti fossero a tratti indistinti o rotti, si poteva notare le sagome di un’incudine e di un martello sormontate da una corona con sette stelle. Sotto c’erano due alberi su cui germogliavano delle lune crescenti‘.
Le decorazioni della Porta di Moria sono ‘emblemi di Durin‘. Ed è appropriato che i simboli dell’antica divinità dell’amore e della fertilità, fianco a fianco con il simbolo dell’affermazione vitale dell’albero, debba qui essere associato a Durin il Senzamorte, che, Tolkien dice, era il più anziano dei Sette Padri della razza nanica, e ‘l’antenato di tutti i re dalle Lunghebarbe’.
Conclusioni
Le leggende, le saghe e le favole, per esigenze di spazio o per intento iniziale, presentano dei personaggi stereotipati e sostanzialmente piatti; specialmente quando non si parla di esseri umani ma di creature fantastiche. Di fatto i racconti mitologici o le fiabe per bambini hanno un intento propedeutico che non può essere messo in secondo piano dall’attenzione sui personaggi delle narrazioni, che dovrebbero considerarsi esclusivamente come i tasselli di un mosaico. Per questo essi incarnano virtù o difetti senza sfumature caratteriali: o sono bianchi o sono neri, raramente sono grigi. E di fatto, i nani delle favole e della mitologia sono soltanto maligni o buoni, tirchi o generosi, portatori di benessere o immani tragedie, senza mezze misure.
Tolkien ha avuto il merito di prendere questi stereotipi e di fonderli fra loro dando origine a creature per molti versi umane. Sebbene i nani tolkieniani siano come quelli del folclore, bassi, tarchiati, robusti, barbuti, artigiani sopraffini, abitatori e scavatori di montagne, e anche capaci di tragiche maledizioni, essi posseggono sentimenti, vengono influenzati dagli eventi e si comportano in modo non sempre prevedibile. Per usare le parole di Enrico Imperatori, Tolkien “ha preso tutte le figure delle mitologie passate, fredde, necessariamente eroiche e snaturate e le ha riscaldate rendendole appassionate, terrene e più prossime alla nostra natura pur conservandone le aspirazioni mitologiche” .
I nani di Arda hanno caratteristiche e inclinazioni proprie, seppure condividano degli attributi fisici o morali comuni alla razza dei nani. Gimli e Mîm sebbene siano entrambi tozzi, barbuti, testardi e vendicativi contro chi ha loro commesso un torto, differiscono per lealtà e virtù, doti mostrate dal primo, ma non del secondo. Thorin è orgoglioso è geloso dei propri averi e di quelli dei propri avi, ma in punto di morte abbandona il suo stereotipo, riconoscendo i propri errori e scusandosi con Bilbo.
L’umanità dei nani tolkieniani, disaffezione per acqua e imbarcazioni a parte, è sicuramente di stampo nordico. Essi si presentano con nomi norreni, portano acconciature, indumenti e armi vichinghe e possiedono, come vedremo nell’appendice di questo capitolo, un’ingente dose del cosiddetto “spirito nordico”.
“Nano” in inglese.
Implicitamente un tale cambiamento si è proiettato anche sull’aggettivo dwarvish al posto del corretto dwarfish.
Lettera n.25, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p. 38
Lettera n.17, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.30
Parola per cui, come vedremo in seguito, vale lo stesso discorso di dwarvish, dal momento che in inglese moderno la formacorrettaè elfin
Tolkien specifica che i suoi nani sono i discendenti dei naugrim delle ere antiche, che un tempo rappresentavano una specie al pari degli uomini, mentre ora sono relegati soltanto nell’immaginario fiabesco. Lo stesso concetto è ribadito anche nelle prefazioni di alcune edizioni de Lo Hobbit, vedi ad esempio JRR Tolkien, The Hobbit, George Allen & Unwin Ltd. (1966)
Lettera n.236, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p. 352, 353
Lettera n.19, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p. 33
JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002), p.47-50
Tolkien non era un grande amante dei lavori di Walt Disney, come viene palesato in una lettera del 13 maggio del 1937 spedita a Mr.Furth della Allen & Unwin, e riguardante le illustrazioni per l‘edizione americana de Lo Hobbit che avrebbero dovuto ideare dei disegnatori statunitensi: <<… purché sia possibile, vorrei porre il veto a qualsiasi cosa provenga o sia influenzata dalla Disney (per tutte le opere della quale ho un odio sentito)>> [Lettera n.13, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p. 23]
Comunemente tradotto con “Tremotino”.
Scaviamo nelle nostra miniera tutto il giorno! Scavare e quello che ci piace fare di più! Non c’è trucco per diventare ricchi velocemente, bisogna scavare con una vanga o un piccone in una miniera dove luccicano un milione di diamanti! Scaviamo dal primo mattino alla notte! Dissotterriamo tutto ciò che vediamo! Dissotterriamo diamanti e abbiamo già trovato mille rubini o forse più! Ma non sappiamo perché li cerchiamo, noi scaviamo! Ahimé! Torniamo a casa dal lavoro.
Un giorno un mugnaio smargiasso e menzognero incontrò un re, e con lui si vantò delle straordinarie abilità tessili di sua figlia che, a detta dell’uomo, sarebbe stata capace di trasformare la paglia in oro. Il re allora decise di prendere con sé la ragazza per testarne le effettive qualità: se la fanciulla avesse superato tutte le prove a cui lui l‘avrebbe sottoposta sarebbe stata ricompensata, altrimenti sarebbe stata uccisa.
Il re chiese alla ragazza di trasformare della paglia in fili d’oro; una richiesta inumana che getto la fanciulla nel pianto e nella disperazione. Fortunatamente apparve un nano che si offrì di filare la paglia per lei in cambio dei suoi oggetti preziosi; la ragazza accettò e per ogni richiesta del re, che le dava quantità di paglia sempre maggiori, offriva al nano un proprio monile.
Soddisfatto, il re propose alla donna di sposarlo qualora fosse riuscita a trasformare in oro un’ultima quantità di paglia utile a rimpinguare definitivamente le casse del regno. La ragazza aveva però finito gli oggetti da donare al nano e, per non venire a meno all’impegno preso con il sovrano, si trovò costretta a promettergli il primo figlio che avrebbe concepito qualora fosse diventata regina. La donna sposò il re, e una volta nato il bambino il nano venne a reclamarlo. Tuttavia la nuova regina, non volendo rinunciare al proprio primogenito così facilmente, chiese al nano di desistere dalla sua pretesa. Una richiesta che l’omino avrebbe accettato, qualora la donna avesse indovinato il suo nome entro tre giorni: impresa ardua poiché “Tremotino” era un nome alquanto inusuale. Fortunatamente la regina passando per caso in un bosco vide il nano danzare attorno a un falò e cantare la canzone sopra riportata; così quando questo si presentò per ritirare il bambino, ne indovinò il nome vincendo la scommessa. Ma non solo, il nano, oltre ad aver perso il figlio della regina, morì colpito da un fulmine, apparso nel momento in cui la donna ebbe finito di pronunciare “Tremotino“.
“Rumpelstiltskin”, Brothers Grimm, Household Tales, Eyre & Spottiswoode - London (1973), p. 64 – Riporto la traduzione inglese della fiaba per evidenziare l’affinità con i versi in inglesi di Tolkien e del film di Walt Disney.
Gira, gira, guarda e ammira. Fila, fila la paglia in oro. Oggi farò il pane e la birra. Domani prenderò il figlio della Regina. Indovinar nessuno potrà. Il mio nome è Tremotino.
Scheggia i bicchieri e rompi i piatti! Ottundi i coltelli e piega le forchette! Questo è quello che odia Bilbo Baggins - Frantuma le bottiglie e brucia il tappi di sughero!/ Taglia le tovaglie e calpesta il grasso! Versa il latte sul pavimento della dispensa! Lascia gli ossi sullo zerbino della camera! Spruzza il vino su ogni porta! / Getta le stoviglie in un catino con acqua bollente; tritale con una forte mazzata; e quando hai finito, se qualcosa è rimasto intero, fallo rotolare nella stanza!!/ Questo è quello che odia Bilbo Baggins! Quindi, fate attenzione! Fate attenzione a non rompere i piatti!!
JRR Tolkien, The Hobbit, Unwin Books (1966), p. 11, 12
Lontano sulle fredde montagne nebbiose, nei profondi cunicoli e nelle vecchie caverne, dobbiamo recarci, prima che cominci il giorno, a cercare il pallido oro incantato./Lì un tempo i nani fecero potenti incantesimi, facendo riecheggiare i colpi dei martelli come campane, in posti profondi dove dormono creature oscure, negli antri scavati sotto la roccia./Per antichi re e signori elfici, erano pronti cumuli d’oro luccicante. Questi li foggiarono e raccolsero la luce che nascosero nelle gemme incastonate nell’elsa della spade./ Su collane d’argento conficcarono fior di stelle, alle corone appesero il fuoco di drago, in fili intrecciarono la luce della luna con quella del sole.
JRR Tolkien, The Hobbit, Unwin Books (1966), p. 13, 14
Stuart D. Lee and Elizabeth Solpova, The Keys of Middle-earth, Palgrave MacMillan (2005), p.59 -65
Non solo i nomi dei nani sudditi di Thorin sono stati presi dall’Edda poetica, ma anche quelli degli altri nani citati durante il racconto.
Gianna Chiesa Isnardi , I miti nordici, Longanesi (1991), p.331-337
Lettera n.297, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.430
Lettera n.156, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.235
In alcune traduzioni “Archipietra”.
Thorin
JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002), p. 340
Ibid. p. 357, 358
Del cosiddetto ‘coraggio germanico’ parleremo meglio più tardi.
Lettera n.297, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.430
JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002), p.261
Il suffisso -rim in sindarin sta per “gente, popolo”.
“Naugrim”, “Gonnhirrim”, “Dornhot”, Dizionario etimologico dei nomi e dei toponimi Sindarin, Il Fosso di Helm (2005)
Lettera n.144, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p. 199
Nozioni sulle lingue delle specie della Terra di Mezzo sono presenti nell’Appendice F de Il Signore degli Anelli
Lettera n.176, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.259
Enrico Imperatori, Nani tradizionali e nani tolkieniani (1997), saggio contenuto in Terra di Mezzo n. 5, Società Tolkieniana Italiana
JRR Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani (2000), p. 66, 67
Di fatto le città dei nani tolkieniani erano scavate nei monti a avevano nomi come, ad esempio, Belegost “Granrocca” o Nogrod “Dimora Cava” .
JRR Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani (2000), p. 67, 68
Snorri Sturluson, Edda, Biblioteca Adelphi (1975) nella traduzione di Giorgio Dolfini, p. 89, 92
JRR Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani (2000), p.68
Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) nella traduzione di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli, Volospa, stanza 10
Mille caverne.
JRR Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani (2000), p. 283, 284
Loki, che con i due nani aveva scommesso la testa, riuscì a salvarsi nonostante fosse stato sconfitto, soltanto grazie a una delle sue innumerevoli astuzie.
JRR Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani (2000), p. 284
Gloriana St. Clair, La Saga dei Volsunghi e il Narn I Hîn Húrin: alcune analogie, presente nella rivista Minas Tirith n.6 (1999), Società Tolkieniana Italiana, p.53
Nella Thidrekssaga, Mimir è il corrisponde di Reginn, il nano che prima addestrò Sigfrido e poi cercò invano di tradirlo. [Marcello Meli, La Morte di Sigurðr, Edizioni dell’Orso (2006)]
La casa del riscatto.
JRR Tolkien, I Figli di Húrin, Bompiani (2007), p.134
In una delle prime versioni del racconto, raccolta da Christopher Tolkien nei Racconti Perduti, Bompiani (2000) , la similitudine della maledizione di Mîm con quella di Andavari è ancora più evidente. Chrsitopher Tolkien scrive di un tesoro sorvegliato dal nano Mîm, ucciso in seguito da Úrin (Húrin). Anche in quest’occasione il nano agonizzante trova la forza per maledire l’oro una volta appartenuto al drago Glorund/Glaurung.
La Saga dei Volsunghi, Edizioni dell’Orso (1993), traduzione dal norreno a cura di Marcello Meli, p.135
La saga di Hervor e Heidrek
The Saga of King Heidrek the Wise tradotta dal norreno all’inglese da Nora Kershaw Chadwick e contenuta in David E Smith. “Turgon”, The Tolkien Fan’s Medieval Reader, Old Spring Press (2004), p. 213
JRR Tolkien, The Fellowship of the Ring, George Allen & Unwin (1966), p.49
Sette (anelli) ai Signori dei Nani nei loro rocche di pietra.
Il termine “halls” è traducibile anche con “aule”, “stanze“ o “palazzi”. Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli preferiscono invece tradurre con “pareti” (Il canzoniere eddico, Garzanti (2004), p.7).
Stuart D. Lee e Elizabeth Solopova, The Keys of Middle-Earth, Palgrave Macmillan (2005), p.63
JRR Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2000), p. 291
Lettera n.297, JRR Tolkien, La realtà in trasparenza, Bompiani (2001), p.429
JRR Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2000), p. 1290
Ibid., p. 1352
Ibid. p. 352, 363, 483, 647
<<…frequenti discordie scoppieranno tra i tuoi e i miei, i figli da me adottati e i figli da me voluti».
Ibid., p.431
Dal nome del nano norreno Durinn, che secondo Isnardi (Ibid.,p.333) potrebbe significare “il portinaio”.
I Nani vivono circa 250 anni e si sposano intorno ai 100 anni [Robert Foster, The Complete Guide to Middle-Earth, HarperCollinsPublishers (1978), p.123]
Moria in sindarin significa ”oscuro abisso”, un nome coniato dagli elfi una volta che il luogo fu invaso dagli orchi. Di per sé, il nome Moria richiama alla mente la Moriah biblica (dall’ ebraico Mōriyyā "ordine di JHWH"), montagna su cui Abramo stava per sacrificare il proprio figlio Isacco (Genesi 22:1-19).
Un nome nella lingua dei nani che significa “Il Palazzo dei Nani”.
Tutt’intorno a loro, sdraiati lì per terra, pesava l’oscurità, vuota ed immensa, ed essi si sentivano oppressi dalla solitudine e dall’ampiezza delle caverne scavate nella roccia, delle scale e dei corridoi diramati senza fine [JRR Tolkien, Il Signore degli Anelli, Bompiani (2000), p. 394)]
Ibid. p.306
In questo caso bastò pronunciare la parola “amico” in lingua elfica.
Le coste della Terra di Mezzo.
King Solomon’s Mines.
Robert Giddings e Elizabeth Holland, JRR Tolkien: The Shores of Middle-earth, Junction Books (1981), p.154, 156
Enrico Imperatori, Nani tradizionali e nani tolkieniani (1997), saggio contenuto in Terra di Mezzo n. 5, Società Tolkieniana Italiana

Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc

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Autore del testo: Marco Andrea di Noia

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