Personaggi del ciclo di Re Artù

Personaggi del ciclo di Re Artù

 

 

 

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Personaggi del ciclo di Re Artù

 

I personaggi del ciclo di Re Artù
Les personnagee du Cicle du Roi Arthur
The personages of the Cycle of King Arthur
Los personajes del ciclo del Rey Arturo
Die Gestalte des Arthur Kreises
A completamento delle descrizioni aggiuntive sul Ciclo di Artù ecco le descrizioni dei singoli personaggi o argomenti più importanti del Ciclo.
Ecco quindi i personaggi e gli argomenti che trattiamo:
1) Ginevra (regina)
2) I cavalieri della Tavola rotonda
3) Il mago e chiaroveggente Merlino
4) Mordred
5) La Dama del Lago
6) Il Santo Graal
7) Sir Pellinore
8) Lancillotto del Lago
9) Sir Galahad
10) Palamede
11) Sir Tristano
12) Sir Kay
13) Caccia selvaggia
14) Sir Bors de Ganis
15) Sir Meleagant
16) Sir Bedivere
17) Uther Pendragon
18) Fata Morgana
19) Morgause
20) Elaine
21) Olgier il Danese
22) Sir Ector de Maris
23) Sir Ector
24) Sir Gawain
Ecco quindi la loro trattazione:
1) Ginevra
Personaggio del Ciclo arturiano, moglie del semileggendario Re Artù e regina di Britannia. Nei molti romanzi che compongono il Ciclo bretone, Ginevra compare con nomi diversi: in gallese è Gwenhwyfar (“dama bianca” o “fata bianca”); nella Historia regum Britanniae, scritta nella prima metà del XII secolo dal cronista inglese Goffredo di Monmouth, è Gwanhumara; in Lancillotto o il cavaliere della carretta del poeta francese Chrétien de Troyes è Guenièvre; in La morte d’Artur di Thomas Malory è Gueneuer.
Figura dalle molte sfaccettature, Ginevra è l’archetipo della dama cortese. Figlia, secondo Goffredo di Monmouth, di Leodogan, re di Carmelide, e donna bellissima (la “più bella e la migliore di tutte le dame del regno”), fu sposa di re Artù e oggetto della passione di molti cavalieri, ma ricambiò solo Lancillotto, figura esemplare del cavaliere cortese, vassallo della propria dama, che protegge anche a costo della vita e della quale segue gli ordini.
La tragica storia d’amore tra Ginevra e Lancillotto, che sarebbe diventata archetipo dell’amor cortese, fu introdotta da Chrétien de Troyes in Lancillotto o il cavaliere della carretta. In quest’opera Ginevra viene rapita da Méléagant e salvata da Lancillotto, che per lei sfida Méléagant a duello e lo decapita; nonostante questo gesto nobile, l’amore tra la regina e il cavaliere suscita invidie e gelosie a corte e quando i due amanti vengono sorpresi nella camera di Ginevra, Lancillotto è costretto a fuggire, abbandonando la sua dama. Ginevra viene condannata al rogo e Lancillotto accorre in suo aiuto; nel duello che segue Lancillotto assesta un colpo fatale all’avversario e chiede ad Artù di interrompere il combattimento e di poter tornare nella sua patria.
Nella versione fornita da Goffredo di Monmouth, Ginevra è complice di Mordred quando questi usurpò il trono di Artù, ma alla morte di quest’ultimo si rinchiuse in un convento. Secondo la leggenda, al momento della morte fu sepolta a Glastonbury, di fianco ad Artù.
Il personaggio leggendario - Nome
L’origine del nome Gunenièvre verosimilmente dalla parola gallese «Gwenhwyfar» (vecchia grafia «Gwenhwyvar») che significa “il fantasma bianco”, oppure “la fata bianca”, (origine del nome proprio Jennifer). Da allora si può affermare che Gunenièvre possiede un carattere fantastico che le da un aspetto magico, se non ultramondano.
La famiglia
Ci possono essere delle differenze tra i testi, ma essa viene generalmente data come figlia di Leodogan o Loedegranz di Caermelide. Anche se essa viene ritenuta solitamente senza figli, nel Perlesvaus Lohot è il figlio legittimo della coppia reale – in altri racconti egli è il figlio illegittimo di Arturo e in un Morte Arture inglese in versi allitterativi del XVImo secolo, essa ha due figli da Mordred. Nel Lancelot-Graal e nel poema tedesco Diu Crône, essa ha una sorellastra ed un fratello che hanno un ruolo di avversari. Sporadicamente in diversi racconti del ciclo di Artù sono menzionati dei cugini.
Regina, dama di cortesia e graal pagano.
Gunenièvre é prima di tutto la sposa del re Artù. La sua bellezza, la sua eloquenza così come il prestigio della sua corte fanno della regina una figura stimata dai cavalieri, odiata dai suoi simili e che comfina con il fiabesco. Celebre per la sua relazione adulterina con Lancillotto del Lago, il personaggio di Ginevra è una di quelle figure al modo di Ivano, che dimostrano l’incortesimento della leggenda arturiana operato nel XIImo secolo. Ma Ginevra è più di questo: essa é assieme la donna cortese ed il graal pagano dei lunghi cicli in prosa.
La regina del paese di Logres è prima di tutto la donna cortese per la quale tutte le promesse si compiono. Lancillotto nel testo del Le Chevalier à la Charrette (1176-1181), appare come il suo amante sottomesso alle sue volontà e beffato nel suo onore. Ginevra è stata rapita da Meleagant che la desidera. Arturo, re inattivo e passivo lascia che Gauvain s’incarichi di riportare la regina a corte.
Durante la sua erranza egli incontra un cavaliere anonimo che ben presto si rivela essere Lancillotto del Lago, «il migliore cavaliere al mondo». L’episodio della carretta è caratteristico di questa devozione del cavaliere per la sua dama, senza manchevolezze (o quasi!), ideale cortese per eccellenza: Lancillotto vi sale, dopo avere esitato il tempo di due passi a montare sul carretto dell’infamia, condotto da un nano, quella dei prigionieri, degli assassini e altri esseri indegni. «Al momento il cavaliere ha continuato la sua strada senza salirvi; egli ha avuto torto, torto di avere avuto paura e di non essere saltato subito sulla carretta, perché un giorno lo rimpiangerà. Ma la Ragione, che si oppone all’Amore, gli dice di non salire, trattenendolo dal salire, trattenendolo ed insegnandogli a non fare niente né intraprendere ciò che possa portargli vergogna o rimprovero. Non è dal cuore ma dalla bocca che viene questo discorso, che la Ragione osa tenergli. Ma l’Amore, racchiuso nel suo cuore, lo esorta e lo invita a salire subito sulla carretta. Amore lo vuole e allora egli salta, egli non ha più paura della vergogna, poiché è un ordine e la volontà dell’amore. »
Lancillotto diventa allora asociale in nome dell’amore assoluto che egli dedica alla regina. Quest’ultima, in occasione del loro incontro al castello di Gorre, gli rimproverà questa influenza della ragione sulla follia passionale. Agognata da Meleagant, Lancillotto ed in una certa misura anche da Gauwain, la regina diventa il centro di tutte le attenzioni. Essa è, di conseguenza, quella che tiene le redini del potere.
Per il suo statuto di regina, Ginevra è la rappresentazione del potere politico rubato ad Arturo. Se la corte del Re è l’épicentro delle virtù cortesi, è innegabile di vedere la regina essere veramente alla testa del paese di Logres, potere ufficiale certamente, ma il più potente. Questo tratto caratteristico della regina è esacerbato quando al Torneo di Noauz essa chiede a Lancillotto, allora irriconoscibile sotto un’armatura sconosciuta, di giostrare «al meglio» e «al peggio» secondo il suo volere. Il cavaliere, come amante fedele e devoto, non può che sottomettersi alla sua volontà.
«La regina ha chiamato la sua damigella d’onore e le ha detto: andate dunque, signorina, a prendere il vostro palafreno. Io vi mando dal cavaliere di ieri e gli direte solamente di giostrare al peggio. E quando voi gli avrete comunicato quest’ordine, fate bene attenzione alla sua risposta! Essa non perse del tempo, poiché aveva ben notato di sera alla vigilia la direzione che prendeva, non dubitando che sarebbe stata rimandata a cercarlo. Essa percorse dunque i ranghi e ha finito per trovare il nostro cavaliere. Essa andò subito discretamente a dirgli di battersi al peggio se voleva conservare l’amore e le buone grazie della regina, perché era la sua parola d’ordine. E lui, poiché essa lo comandava, rispose: Va molto bene così!!»
Amante esigente, Ginevra è un’innamorata assolutista. Essa è, di fatto, la padrona tirannica (tyrannos in greco significa il padrone) di Lancillotto: la situazione di quest’ultimo alla corte di Artù è significativa della presa della regina su di lui. In effetti, Lancillotto non fa parte veramente della corte di Arturo, ma nonostante tutto è il più saldo sostegno del re. Aiuto ausiliario, egli non conduce le sue avventure in nome del re, ma bensì a nome della regina, la sola che abbia un potere dominante su di lui.
Di conseguenza, Ginevra diventa agli occhi di Lancillotto un vero e proprio Graal: il parallelo non è insignificante. Quello che colpisce d’acchito, è la posizione fiabesca o per lo meno magica della regina.
Essa è la risorgenza del «bianco fantasma» delle saghe nordiche: la bianchezza della sua tinta e lo sfavillio della sua capigliatura d’oro si debbono accostare a questo fatto. A questo si aggiunge che Ginevra sembra avere le stesse caratteristiche delle fate: queste hanno per abitudine di apparire in prossimità dei luoghi acquatici. Lancillotto ritrova il pettine della regina con qualcuno dei suoi capelli sul bordo di una fontana.
Inoltre, la coppia che essa forma con lui è identica a quella di una fata, come quella che Melusina forma con un uomo. Questo è generalmente alla ricerca quando incontra una di queste creature dell’altro mondo. La fata getta la sua pretesa su di un uomo e gli promette il suo amore totale ad una sola condizione che, da tutti i punti di vista, è irrealizzabile.
Questa contrattualizzazione del legame amoroso tessuto tra il cavaliere e la fata illustra questa proporzione inadeguata dell’uomo e della donna, dell’umano e del divino, del terrestre e del celeste. Ginevra ha fatto un contratto con Lancillotto identico a quello di Melusina con il suo amante. Così essa è una figura dell’altro mondo che da alla società arturiana una connotazione molto più spirituale che, senza questo, non sarebbe che un ben pallido riflesso della società del XIImo secolo. Così, la materia originale del mito di Ginevra è stata trasformata nel corso di un lento processo, che si può definire in tre tappe: dapprima la messa per iscritto delle leggende nordiche, gallesi e bretoni alla fine del IXmo secolo, che mostrano Ginevra come la figura mitica della sovranità, poi per l’incortesimento dei testi all’inizio del XIImo secolo sotto l’impulso di Aliénor d'Aquitaine e di sua figlia Marie de Champagne, per finire con una cristianizzazione degli elementi testuali all’epoca in cui la chiesa estendeva il suo potere politico e la sua diffusione culturale. E’ evidente che si possa accostare Ginevra al Santo Graal. Prima di tutto per la mediazione di Lancillotto che vede una dea nella sua amica in seguito alla cristallizzazione del suo amore. Il cavaliere le dedica un vero culto, una liturgia pagana, non esitando ad inginocchiarsi davanti a lei come farebbe un vassallo col suo signore o il prete davanti all’altare. Ginevra è per Lancillotto quello che il Graal è per Parsifal o per Galahad, cioè l’oggetto assoluto della ricerca cavalleresca. Ogni ricerca a dei tratti comuni: essa esige acesa e pazienza al fine di progredire verso uno stato superiore. Lancillotto deve essere perfetto per essere degno della sua dama come Parsifal deve esserlo per diventare il guardiano del Graal.
Nondimeno, la cristianizzazione della materia inserisce la caratteristica della gerarchia tra le diverse ricerche. Quella di Ginevra è votata alla sfera terrestre e carnale mentre quella del Graal è volta verso la celeste, la spiritualità ed il divino.
Da quel momento, è il segno della fine e della lenta degradazione che deve subire il mondo arturiano che finisce in apoteosi nel La Mort du Roi Arthur.
Figura archetipale della dama cortese, fata, dea, Ginevra è il personaggio dalle sfaccettature multiple che illustra l’abbondanza dell’immaginazione medioevale. Donna ideale o cristallizzazione fantasmagorica dei desideri dell’uomo, essa è la proiezione del desiderio carnale e delle aspirazioni sprituali.
Il rapimento di Ginevra
Il tema dell’appropriazione di Ginevra con un rapimento o seduzione appariva già nelle fonti gallesi. Nella Vie de Gildas (prima del 1136) del monaco Caradoc de Llancarfan, essa è rapita da Melwas (Meleagant?), re d’Aestiva Regio («Pays de l’Été», forse il Somerset), e imprigionata a Glastonbury. Dopo della ricerca di un anno Arturo la localizza e si prepara ad andare a riprenderla con un’armata; la guerra è evitata grazie alla frapposizione di Gildas e la coppia è riunita. L’archivolto della Porta della Pescheria (portale nord) della cattedrale di Modena, costruita tra il 1099 e il 1184, porta una rappresentazione di questo episodio. Secondo Geoffroi de Monmouth, Guanhumara (Ginevra), derivante da una grande famiglia romana, è lasciata da suo marito Arturo a guardia di Mordred quando lui stesso parte per il continente per attaccare l’imperatore fasullo Lucius Tiberius; Mordred usurpa trono e regina. A partire da Chrétien de Troyes, essa diventa l’amante di Lancillotto, ma secondo una tradizione riflessa nel Roman de Yder (~1210) e La Folie Tristan del manoscritto di Berna, il suo amante sarebbe Yder. Qualsiasi sia la causa, Ginevra è spesso rapita o sedotta. Oltre alle interpretazioni psicologiche, morali o cortesi della sua infedeltà, degli specialisti hanno proposto che essa facesse originariamente parte delle regine simbolo della sovranità: rapirle significa impadronirsi del regno del loro marito. Il medioevalista Roger Sherman Loomis (1887 –1966) vedeva per conto suo Ginevra come una specie di Persefone celtica. Il fatto che essa sia spesso tenuta prigioniera in un luogo che la isola dal mondo e la vicinanza etimologica del nome del suo rapitore (Mordred, Melwas, Meleagant, Meljakanz, Melianz etc.) hanno potuto incitare a vedere in quest’ultimo un personaggio soprannaturale unico, padrone come Hadès del mondo infernale.
L’intervallo di un anno necessario perché Arturo recuperi Ginevra nella Vie de Gildas potrebbe andare nel senso di un mito paragonabile a quello di Persefone, del quale certuni vedono un equivalente nel rapimento di Bláthnat da parte di Cú Roí della mitologia irlandese.
2) I cavalieri della Tavola rotonda
I cavalieri della Tavola rotonda erano i cavalieri di rango più elevato della corte di re Artù che sono menzionati dalle leggende arturiane. Il numero di questi cavalieri varia molto a seconda dei racconti, da 12 a oltre 150. La Tavola rotonda di Winchester, databile agli anni settanta del XIIImo secolo, elenca i nomi di 25 cavalieri.
3) Il mago e chiaroveggente Merlino
Il mago e chiaroveggente Merlino è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane: fu lui l'artefice della Tavola Rotonda, grazie a un suo incantesimo Uther Pendragon giacque con Igraine e così fu concepito Re Artù, fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all'ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana (Morgan Le Fay), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.
Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino (Myrddin): Myrddin Wyllt (Merlino il Selvaggio), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys (Merlino il Saggio o Caledonensis). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136 circa) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.
La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un'immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall'allieva di cui si era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.
Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l'altro, da Walt Disney (ne La spada nella roccia), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un'immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico.
4) Mordred
Mordred è un personaggio leggendario della Britannia, conosciuto all'interno del ciclo arturiano come il traditore che combatté Re Artù nella Battaglia di Camlann, dove egli fu ucciso ed Artù ferito gravemente. La storia di Mordred ha diverse origini nella storia della letteratura inglese e diversi natali.
Ci sono varie storie sul suo collegamento con Artù, ma la più conosciuta ad oggi è che fosse il figlio illegittimo di Artù e la sua sorellastra Morgana.
In precedenza, secondo Geoffrey of Monmouth, Mordred è il nipote di Artù, il figlio di sua sorella Anna e del marito Lot del Lothian. Sempre secondo la sua storia, al tempo della campagna di Artù contro i romani, Mordred spinge la regina Ginevra all'adulterio, usurpa il trono al re e si riappacifica con i Sassoni, da sempre nemici di Artù e da lui sconfitti. Nel racconti di Geoffrey da Montmouth, al ritorno dalla guerra, Artù lo sfida presso il fiume Camel in Cornovaglia e lo uccide. A sua volta ferito mortalmente da Mordred, Artù muore e viene sepolto ad Avalon. Il racconto Ly Myreur des Historires vuole Mordred sopravvisuto allo scontro con Artù, ma catturato da Lancillotto, che uccide Ginevra, colpevole del tradimento sia di Artù che del suo regno. Mordred viene incarcerato dal Cavaliere insieme al cadavere di Ginevra e in prigione morirà di fame dopo aver divorato il corpo di lei.
Il racconto della nascita incestuosa di Mordred apparirà più tardi nel racconto di Sir Thomas Malory. Secondo il suo libro Mort Artu, Mordred è il frutto dell'unione incestuosa, ma inconsapevole tra Re Artù e la sua sorellastra Morgana. Si forma così l'idea di Mordred come nemesi di Artù. Anche in questo racconto, infatti, Artù e Mordred si sfideranno a duello e periranno entrambi. Ancora un'altra versione, per la precisione in Morte Arthure, vede Mordred come fratello di Ginevra e anche qui c'è il racconto di un'unione incestuosa fra i due con la conseguente nascita di un figlio illegittimo.
Di diversa natura è la figura di Mordred nella letteratura scozzese. Nei primi racconti della tradizione scozzese è visto come un eroe e non come un traditore.
Mordred viene citato anche da Dante Alighieri, che nell'Inferno lo usa come esempio, un po' didascalico, di traditore dei parenti, quale figlio di Artù che volle uccidere con l'inganno; in particolare viene riportato il dettaglio della spada di re Artù che gli fende il petto così profondamente che un raggio di sole lo attraversa, bucando anche la sua ombra (Inf. XXXII 61-62).
5) La Dama del Lago
La Dama del Lago è il nome di un personaggio (o di diversi personaggi correlati) del ciclo arturiano. In opere diverse le vengono attribuite gesta diverse; fra l'altro, viene talvolta rappresentata come colei che consegna a Re Artù la spada Excalibur; come colei che porta il re morente ad Avalon dopo la Battaglia di Camlann; come colei che alleva Lancillotto rimasto orfano del padre; e come colei che seduce e imprigiona il Mago Merlino. Diversi autori attribuiscono diversi nomi alla Dama: per esempio Nimue, Viviana, Niniane, Nyneve, e Coventina.
Origini
Le origini del personaggio della Dama del Lago vanno quasi certamente fatte risalire alla mitologia greca e romana. Il rapporto fra la Dama del Lago, Lancillotto e Artù presenta qualche analogia con la storia della nereide Teti della mitologia greca, uno spirito dell'acqua che alleva un grande eroe (Achille). Tra l'altro, Teti è moglie di Peleo, e la Dama del Lago, secondo alcune fonti, aveva un amante di nome Pelleas. Teti è l'artefice dell'invulnerabilità di Achille (e gli dona anche un'armatura e uno scudo forgiati da Efesto), così come la Dama del Lago dona a Lancillotto un anello protettivo (e in seguito dona Excalibur ad Artù).
Il nome "Nimue" usato da alcune fonti per riferirsi alla Dama potrebbe essere un'eco di Mneme, nome abbreviato di Mnemosyne, madre delle nove muse e ninfe delle acque della mitologia greco-romana, che diedero le armi, in questo caso, all'eroe Perseo.
Un altro nome della Dama, "Vivienne" richiama la forma femminile celtica "Vi-Vianna", probabilmente derivata da "Co-Vianna", una variante della diffusa divinità celtica delle acque Coventina. Questo nome latino fa probabilmente riferimento all'originale moglie di Merlino, Gwendoloena, che compare nella tradizione poetica più antica. C'è anche chi ha cercato di vedere in Vivienne una forma corrotta dei nomi Diana o Rhiannon.
È stato suggerito che il personaggio della Dama del Lago possa avere un'origine comune con un altro importante personaggio femminile arturiano, Morgana. Sia Morgana che la Dama del Lago sono spesso associate alla magica isola di Avalon, citata già da Goffredo di Monmouth come luogo in cui venne forgiata Excalibur e riparo di Artù dopo la battaglia con Mordred.
Prime apparizioni in letteratura
Chrétien de Troyes, nel suo romanzo Lancillotto o il cavaliere della carretta, raccontò che Lancillotto era stato allevato da una fata dell'acqua che gli aveva donato un anello capace di resistere alla magia. Opere successive (Lanzelet di Ulrich von Zatzikhoven e il Lancillotto in prosa), riprendono questo tema sviluppando il mito dell'infante Lancillotto allevato dalla Dama del Lago dopo la morte di suo padre, il re Ban, ucciso da Claudas. Secondo alcuni studiosi, tutte e tre queste fonti svilupperebbero un tema tradizionale preesistente (rappresentato nel modo più fedele, probabilmente, dalla versione di Ulrich).
Il Lancillotto in prosa fornisce ulteriori informazioni sulla Dama del Lago, che viene chiamata "Viviane". Nella prosa intitolata Merlino, Viviana impara l'arte magica da Merlino, che si innamora di lei. Viviana rifiuta di giacere con lui finché il Mago non le abbia svelato tutti i suoi segreti; ma quando questo avviene, Viviana tradisce Merlino intrappolandolo sotto un macigno (in tradizioni successive, il macigno fu sostituito dalla Torre di Vetro). Anche in questo ruolo di apprendista di Merlino, la Dama del Lago risulta essere un personaggio in parte sovrapposto a quello di Morgana.
Le due Dame della Post-Vulgata
La Post-Vulgata sostituisce il personaggio della Dama con due personaggi distinti. Il primo è un personaggio positivo, che dona ad Artù la spada Excalibur dopo che Artù ha spezzato la sua prima spada; in cambio, chiede che il re prometta di esaudire un suo desiderio in futuro. Qualche tempo dopo, la Dama chiede ad Artù di condannare a morte il cavaliere Balin, coinvolto in una faida con la famiglia della Dama È invece Balin a tagliare la testa della Dama, e per questo viene bandito da corte.
Il secondo personaggio riconducibile alla Dama del Lago, Ninianne, ha una storia quasi identica a quella narrata nel Lancillotto in prosa. Thomas Malory riprende entrambi i personaggi nel suo Le Morte d'Arthur e in altre opere; lascia anonima la prima Dama e chiama la seconda Nimue.
La Dama nel XIXmo e XXmo secolo
La Dama del Lago delle leggende arturiane non deve essere confusa con il poema The Lady of the Lake del 1810 di Walter Scott - ambientato nella Scozia ai tempi di Giacomo V Stuard - e con l'opera di Rossini La donna del Lago ispirata a Scott.
Alfred Tennyson incluse numerosi racconti sulla Dama del Lago nel suo ciclo poetico Idylls of the King. Tennyson distingue due figure: "Vivien" (un personaggio malvagio, che imprigiona Merlino) e la buona Dama del Lago (che alleva Lancillotto e dona la spada ad Artù). Nimue appare anche in Re in eterno di T.H. White come oggetto dell'amore di Merlino. Come nella tradizione, Namue imprigiona Merlino in una caverna, ma in questo caso Merlino sembra esserle quasi grato, e considerare il proprio esilio come una sorta di vacanza. Nelle Nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley, il ruolo di " Dama del Lago " viene ricoperto prima dalla sacerdotessa Vivane e poi da Morgana; Merlino viene sedotto da un terzo personaggio (Nimue).
Uno dei romanzi di Raymond Chandler con protagonista l'investigatore Philip Marlowe, La signora nel lago (1943), e contiene diversi riferimenti alla saga arturiana.
6) Il Santo Graal
Il Graal designa la coppa misteriosa che avrebbe raccolto il sangue di Cristo. Le leggende medioevali designano così il Santo Calice. Questo Graal non è menzionato nel Nuovo Testamento. Il Graal compare nel XIImo secolo, nei testi ispirati da un documento apocrifo, il Vangelo di Nicodemo. Redatto nel IV secolo. In questa letteratura, il Graal è un oggetto simbolico: esso rappresenta il mistero del cristianesimo, la ricerca del quale può sfociare in una rivelazione personale della luce del Cristo..
A partire dall’epoca moderna, il Graal è stato l’oggetto di numerose interpretazioni simboliche o esoteriche e a dato luogo a molteplici illustrazioni artistiche.
Etimologia
Si può supporre che la parola «graal» designi un piatto largo ed abbastanza profofondo, un recipiente dai bordi larghi. Un’origine supposta è che la parola « graal » verrebbe dal latino medioevale cratella, «vaso» che nel francese antico designa una coppa o un piatto cavo dotato di bordi larghi. Per altri, la parola « graal » o «grasal» designa un piatto cavo particolare destinato a servire le carni ricche di sugo. Mario Roques ha scoperto più di una cinquantina di forme, tutte derivate dal latino gradalis nelle parlate locali dei paesi “d’oil”, come greal, greau, gruau, griau, grial, grélot, graduc, guerlaud, etc. Il Linguadoca ha conservato grasal o grésal, che per metatesi é diventato da gradal la parola gardale nel sud Ovest. Tutte queste parole designano un recipiente cavo dagli usi diversi. La parola gradal era utilizzata con questo senso nel 1150 come dimostrato da Michel Roquebert. La parola graal si trova con questo senso nel 1204. Di fatto la parola graal designa qualcosa d’indefinito: quello che si deve conquistare senza fine per non raggiungerlo mai.
Il Graal nella letteratura medioevale
Più precisamente, il Graal nella tradizione medioevale cristiana, posteriore a Chrétien de Troyes, è una coppa misteriosa dai poteri magici, e l’oggetto di una ricerca condotta dai Cavalieri della Tavola rotonda. La prima menzione scritta data dalla fine del XIImo secolo fatta dal romanziere Chrétien de Troyes nel suo romanzo Perceval ou le Conte du Graal .
Chrétien de Troyes morì prima di avere terminato quest’opera, che gli era stata commissionata dal Conte delle Fiandre Philippe d'Alsace. Diversi autori hanno ripreso e continuato la storia di Parsifal, ciò che ha finito per costituire un assieme di cinquantamila versi. La prima continuazione é stata attribuita ad un certo Wauchier de Denain, mentre in seguito arrivano quelle di Gauvain, Manessier, Gerbert (probabilmente di Montreuil).
In realtà, il nome dei continuatori é sconosciuto, e si da loro un nome per comodità. Robert de Boron ha scritto sullo stesso tema Joseph ou l'Estoire dou Graal poi é comparso in franco-piccardico il Perlesvaus ou Haut livre du Graal e finalemente il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Curiosamente ed abbastanza improvvisamente verso il 1230, il tema del Graal non darà più sviluppi letterari. Per Michel Roquebert, tutti gli sviluppi attorno alla ricerca del Graal coincidono con la crociata contro i Cathares del Linguadoca, e costituiscono una sorte di macchina da guerra ideologica.
La natura del Graal
La natura di questo oggetto leggendario ha conosciuto numerose evoluzioni: pietra, coppa, ecc. La sua forma di coppa risulterebbe inizialmente da un’evoluzione del chaudron du Dagda della mithologia celtica. Questo paiolo, pieno di sangue bollente, serviva a conservare la «lancia vendicatrice» (lancia di Lug), un’arma capace di dévastare da sola delle intiere armate, ed è anche capace di ridare la vita ai morti. Non è stato che all’inizio del XIIImo secolo che il recipiente evocato da Chrétien de Troyes si christianizza: Robert de Boron l'assimila al Santo Calice dei Vangeli (la coppa usata da Cristo nell’ultima cena), che da pure la nascita al «Santo Graal». Ancorato nella cultura popolare, il Graal ispirerà una pletora di opere. La lancia vendicatrice, anch’essa cristianizzata, è diventata la lancia di Longino, il soldato che ha trafitto il costato di Cristo.
Un enigma simbolico
Il Graal, che taluni considerano come una mutazione cristianizzata del paiolo del Dagda – un talismano antico della mitologia celtica – compare per la prima volta sotto forma letteraria nel Perceval ou le Conte du Graal, di Chrétien de Troyes (XIImo sceolo). Parsifal, nel castello del Re Pescatore, « Roi Méhaignié », (lo) vede un valletto che porta una lancia bianca con una goccia di sangue che imperlava la sua punta di ferro, mentre due giovani uomini tenevano dei candelieri d’oro fine incrostati di niello, ed una bella signorina teneva un Graal (che spergeva una tale chiarezza che le candele perdevano il loroi splendore), d’oro fino molto puro con dei rubini rosso sangue incassati (leggere una traduzione in francese moderno del passaggio concernente il Graal).
Parsifal fallisce nella prova del Graal perché mantiene il silenzio davanti a questa apparizione, e invece di chiedersi perché la lancia sanguini e a chi si rifà questo recipiente (vedere il testo in francese antico qui di seguito)
Nessun significato di questo enigma simbolico è avanzato da Chrétien de Troyes.
I suoi continuatori interpreteranno ciascuno alla sua maniera, ricollegando generalmente questo recipiente al sacro cristiano.
In questo racconto, quando Parsifal si reca al castello del Re Pescatore: un valet d'une chambre vint, qui une blanche lance tint …( un valletto di una amera venne, che teneva una lancia bianca), la lance blanche et le fer blanc, s'assoit une gote de sang (il ferro bianco e la lancia bianca, … I. graal antre ses mains une dameisele tenoit…. (I. graal tra le sue mani eneva una signorina…. Parsifal riferisce in seguito questo episodio alla corte del Re Artù.: Presso il Re Pescatore (Chiés le Roi Pescheor alas,) si vede la lancia che sanguina, e se se tu hai avuto allora la gran pena d’aprire la tua bocca e di parlare, tu non puoi domandare perché quella goccia di sangue esce dalla punta del ferro bianco! E il graal che tu vedi, non domandi ne richiedi a quale ricco uomo servisse. (si veïs la lance qui sainne, et si te fu lors si grant painne d'ovrir ta boche et de parler que tu ne poïs demander por coi cele gote de sanc saut par la pointe del fer blanc! Et le graal que tu veïs, ne demandas ne anqueïs quel riche home l'an an servoit)., poi presso un eremita: (Sire, chiés le Roi Pescheor fui une foiz, et vi la lance don li fers sainne sanz dotance, et del graal que ge i vi ge ne sai cui l'an an servi ((Sire, presso il Re Pescatore sono stato una volta e ho visto la lancia la cui punta sanguinava senza dubbio e del graal che ho visto io non so a chi l’han servito).
Una continuazione del testo, la Rédaction courte del pseudo-Wauchier de Denain, spiega che il Graal da a ciascuno il nutrimento che desidera, e l’associa alla Santa Lancia che ha trapassato il costato di Cristo sula croce (dont li fius Diu fu voirement ferus tres parmi le costé, dalla quale il Figlio di Dio fu veramente ferito dentro al costato). Per Wolfram von Eschenbach, come egli lo presenta nel suo Parzival, il graal è una pietra il cui nome non si traduce: «Lapsit Exillis». Certi autori hanno voluto tradurla con «Lapis Exilis» oppure «Lapis Ex Coelis». Lapis exilis, lapis ex coelis, smeraldo caduto, secondo la leggenda, dalla fronte di Lucifero, che, scavata a forma di vaso, ha raccolto il sangue di Cristo che colava dalle cinque piaghe.
Infine, è Robert de Boron, all’inizio del XIIImo secolo, che spiega nel L'estoire dou Graal che il Graal non è altro che il Santo Calice, ossia la coppa con la quale Gesù Cristo ha celebrato la Cena e nella quale in seguito è stato raccolto il suo sangue, coppa evocata, senza darle un nome, da numerosi scritti apocrifi come le Gesta Pilati contenute nello Pseudo-Évangile de Nicodème. Portato in terre lontane (per esempio sull’isola di Bretagna) da Giuseppe d’Arimatea, il «SantoGraal» (il Graal in quanto Santo Calice) diventa il centro di un mistero (perché l’oggetto è dapprima nascosto e poi perduto) al quale certuni eletti che partecipavano attorno ad una tavola rotonda – da cui l’integrazione nei racconti della Tavola Rotonda. Questa cristianizzazione della leggenda del Graal è perfezionata dalla Queste del Saint Graal, romanzo anonimo scritto verso il 1220, probabilmente da parte di un monaco, che ha fatto del Graal la Grazia divina. Effettivamente secondo la leggenda, colui che beve in questa coppa accede alla vita eterna, dunque all’immortalita.
Leggende attorno a Giuseppe d’Arimatea
Robert de Boron ha scritto, in versi, una leggenda del Graal mettendo in scena Giuseppe d’Arimatea (in parte ispirata da un testo apocrifo del IV secolo, il Vangelo secondo Nicodemo,e che ha ispirato altre leggende (lo sviluppo della scrittura in prosa ha permesso lo sviluppo di queste leggende).
Secondo certune di queste leggende, un ebreo (o un uomo di Ponzio Pilato avrebbe rubato il Santo Calice dal Cenacolo e poi l’avrebbe consegnato a Ponzio Pilato. Certe leggende aggiungono anche che Pilato vi avrebbe attinto l’acqua con la quale si è lavato le mani.
Citazione di Robert de Boron:
Uns Juis le veissel trouva
chiés Symon, se l' prist et garda,
car Jhesus fu d'ilec menez
et devant Pilate livrez.)
(Un ebreo ha trovato la stoviglia
Presso Simone, l’ha presa e l’ha tenuta
Poiché Gesù fu portato via
E consegnato a Pilato).
In tutte queste leggende, Giuseppe d’Arimatea raccoglie nel Santo Calice (che PonzioPilato gli ha consegnato o che lui è andato a cercare al Cenacolo), qualche goccia di sangue che usciva dalla piaga del costato di Gesù con un colpo di lancia (i Vangeli parlano appunto di questa piaga, il Vangelo di Nicodemo da il nome del soldato che ha inferto il colpo di lancia: Longino Il fatto che Giuseppe d’Arimatea abbia raccolto il sangue di Cristo è unicamente descritto nelle leggende.
Ci sono anche delle leggende che differiscono da questa:
• Secondo le leggende del Santo Sangue si trova una reliquia supposta nell’Abbazia della Trinità di Fécamp, il sangue di Cristo fu raccolto da Nicodemo in un guanto che lui ha affidato a un parente.
• In altre leggende ancora, il sangue di Cristo fu raccolto con l’aiuto della Santa Spugna.
Giuseppe d’Arimatea è in seguito catturato e messo in una segreta (generalmente la sera stessa del Venerdì Santo) verso la decima ora, il Vangelo secondo Nicodemo rivela in effetti questo episodio, questo detto certe versioni della leggenda situano il suo arresto tre giorni dopo, quando ci si accorgerà che Cristo è scomparso dalla tomba.
Si racconta che Gesù sia comparso a Giuseppe d’Arimatea (il Venerdì sera a mezzanotte, precisa il Vangelo secondo Nicodemo così come certe leggende).
In certe leggende Gesù gli consegna il calice (sia che glielo rende di nuovo, sia che glielo dia per la prima volta).
Mentre che, nel Vangelo secondo Nicodemo, Gesù “teletrasporta” Giuseppe d’Arimatea presso di se, domandandogli di non muovrsi di là per quaranta giorni, nella leggenda egli resta chiuso nella segreta, durante da trenta a quarant’anni (in certe leggende una colomba viene ogni giorno a deporre una galletta nella coppa).
La leggenda si ricollega generalmente ad un’altra leggenda, quella della malattia dell’imperatore romano Vespasiano.
Un pellegrino (in certe leggende, si tratta dell’arcangelo Gabriele così travestito), racconta a Vespasiano che egli ha visto in Giudea un profeta che aveva compiuto diversi miracoli. Anche se questo profeta, Gesù, sia morto, Vespasiano può essere guarito se tocca qualcosa che gli fosse appartenuto mentre era vivo. Egli invia i suoi uomini alla ricerca di un tale oggetto a Gerusalemme. Santa Veronica viene a saperlo (o è avvisata da Gabriele) e si reca presso Vespasiano per portargli il suo velo.
Nella leggenda di Joseph de Boron, Joseph d'Arimathée trasmette il Santo Calice a suo cognato (Henron, o Bron), sposo di sua sorella (Enygeus), che a sua volta lo trasmette a suo figlio, Alain, che lo porta ai Vaux d'Avaron, un luogo sconosciuto che certi interpretano essere l’isola di Avalon, essa stessa identificata a Glastonbury.
7) Sir Pellinore
Re Pellinore é il Re di Listenoise oppure “delle isole”(possibilmente Abglesey, o forse il regno medioevale con lo stesso nome), secondo la leggenda arturiana. Figlio del Re Pellam e fratello del Re Pelles ed Alain, egli è il più famoso per la caccia senza fine alla Bestia che Cerca, sulle tracce della quale si trova quando incontra Artù per la prima volta. Pellinore batte Re Artù dopo tre tornei e rompe la spada che Artù aveva estratto dalla roccia (in alcune versioni Excalibur, anche se egli ottiene un’altra spada con quel nome dalla Dama del Lago, poco dopo. Merlino getta un incantesimo su Pellinore per salvare la vita di Artù. Artù loda il valore di Pellinore ed essi diventano presto amici, con Artù che lo invita ad unirsi ai Cavalieri della Tavola Rotonda. Egli ha molti figli legittimi ed illegittimi: i suoi figli Tor, Aglovale, Lamorak, Dornar, e Percival si uniscono tutti alla tavola Rotonda, e la sua figlia senza nome (vedere Dindrane) diventa una servitrice del Santo Graal ed aiuta Pearsifal, Galahad e Bors a raggiungere il mistico oggetto.
Pellinore è la maggiore figura del Ciclo della Post Vulgata.e delle sezioni del Le Morte d'Arthur di Thomas Malory, basate su di esso. Allora egli aiuta Artù nelle sue prime guerre contro i vassalli ribelli, ma quando uccide il Re Lot di Orkney durante la Battaglia di Tarabel (chiamata anche Dunhoe), egli fa esplodere un’ostilità di sangue tra di lui e la famiglia di Lot che risulta nella sua morte e nella morte di molti altri. Prima di questo Pellinore viene incontrato di frequente mentre incontra la Bestia che Ricerca, uno strano animale con la testa di serpente, il corpo di leopardo, i fiamchi di un leone ed i piedi di cervo. Sebbene egli rivendichi il fatto che la sua razza fosse destinata alla caccia perpetua della bizzarra creatura, Sir Palamede il Saraceno terrmina la ricerca, e secondo una versione, ammazza la bestia.
Si diceva che Pellinore fosse della discendenza di Giuseppe di Arimatea, la cui dinastia era a guardia del Santo Grail, secondo la tradizione di Artù. Invero é il proprio figlio di Pellinore, Parsifal, che è stato uno dei primi cercatori del Grail, ed il suo grande nipote, Galahad, che alla fine sono riusciti nella Ricerca. Nel Livre d'Artus (inizio del XIIImo secolo), Pellinore é chiamato il "Maimed King" dopo essere stato ferito da una santa lancia, avendo dubitato dei poteri del Grail.
Un memorabile ritratto di Re Pellinore
Lo si trova in The Once and Future King (Il Re di una volta e del futuro), di T. H. White, in cui egli è un ronzante, ma affettuoso vecchio, che non può abbandonare la sua ricerca della “Bestia che Ricerca”, per paura che la povera creatura muoia di solitudine.
Egli ha anche la tendenza a dire la parola “what” dopo le sue frasi (Merlino si diverte alle sue spalle, constantando: “Oh, se io fossi Re Pellinore direi . 'what what, what?'".). Nel romanzo di White, Pellinore é ucciso per vendetta da Sir Gawain e/o dai suoi fratelli, per avere senza intenzione ucciso il lorio padre, Re Lot di Orkney, in una combattimento di un un torneo.
8) Lancillotto del Lago
Lancillotto è un personaggio del ciclo dei romanzi della Tavola Rotonda e l’eroe eponimo del romanzo di cavalleria Lancelot du Lac, scritto nel XIIImo secolo in lingua romanza da un anonimo autore medioevale. Chrétien de Troyes ha composto le Chevalier de la charrette tra il 1177 ed il 1181 su richiesta della contessa Marie de Champagne, figlia di Aliénor d'Aquitainia.
Esso è uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, facendo parte anche del Ciclo del Graal. Lancillotto è l’archetipo del cavaliere cortese, indefettibile al servizio della propria dama, essendo anche pronto a sacrificare il suo onore per raggiungerla.
Tuttavia questo amore sarà l’origine della sua perdita e gli impedirà di trovare il Santo Graal: solo suo figlio, Galahad il puro, avrà questo privilegio. Un secondo libro Lancelot du Lac, scritto in provenzale e conosciuto solo per una versione tedesca, gli fa fare delle avventure un poco diverse.
Malgrado la diversità dei racconti, Lancillotto è il figlio del Re Ban de Bénoïc e della Regina Elaine. Egli è dunque l’erede della Bretagna Armoricana, ma è anche il discendente di un lignaggio prestigioso, rimontando notoriamente a Giuseppe d’Arimatea, il personaggio biblico che ha raccolto il sangue di Cristo nel Santo Graal e che ha portato questo in terra bretone.
Il castello di suo padre, situato ai bordi di un lago nel cuore della foresta di Brocéliande, (infatti si tratta all’epoca della redazione dei racconti arturiani della marca di Gallia e Piccola Bretagna situata secondo delle ricerche tra Vannes e Bellème, tra il Monte San Michel e Le Mans), era reputata imprendibile. Tuttavia, in occasione di una campagna al fianco di Re Artù, il Re Ban de Benoic è morto, lasciando il suo castello che bruciava, lasciando sola sua moglie incinta. Qualche mese dopo la sua nascita, il giovane Lancillotto è rapito sotto gli occhi di sua madre da una creatura che veniva dal fondo del lago, e scompare, ella crede per sempre. Questo lago era la dimora della Dama del Lago, ed era la passerella verso l’isola incantata di Avalon, paese di maghi e stregoni. La fata Viviana, poiché era lei, aveva rapito Lancillotto per portarlo nel suo palazzo sottomarino ed educarlo come un figlio. Essa decise di chiamarlo Lancillotto del Lago. Durante diciassette anni essa l’ha educato con l’idea di farne il cavaliere perfetto: caccia, musica, combattimento, ma anche cortesia e nobiltà di spirito.
La Guardia Dolorosa
Arrivato all’età di diciassette anni, egli fece delle pressioni sulla fata Viviana perché l’introducesse presso il Re Artù per essere armato cavaliere. Grazie al suo appoggio, ma anche grazie all’aiuto del cavaliere Gauvain, nipote del Re, egli fu fatto cavaliere all’indomani stesso, giorno di San Giovanni.
Durante la vestizione egli nota quella che sarà la sua dama, ma che provocherà anche la sua perdita, la regina Ginevra. Abbagliato da questa, egli le va incontro e le propone di diventare il suo cavaliere, ciò che essa accetta: il colpo di fulmine è reciproco.
Tuttavia, dopo la fine della cerimonia, una giovane donna viene a trovarlo e gli dice che deve riprendere il cammino immediatamente allo scopo di liberare dai malefici il castello della Guardia Dolorosa. Questa gli consegna, da parte della Dama del Lago, uno scudo con tre bordi rossi, che decuplerà la sua forza in combattimento.
Dopo avere cavalcato per tutto il giorno, egli arriva infine al sinistro castello, dietro alle porte della doppia cinta, venti cavalieri fanno la guardia agli abitanti del villaggio, ed attendono di tagliarli a pezzi. Grazie allo scudo di Viviana, egli riesce pertanto a venire a capo dei suoi avversari ed a fare così suo il castello, ribattezzandolo allo stesso momento della Guardia Gioiosa.
Egli riparte pertanto immediatamente verso Carduel, impaziente di rivedere la sua dama. Ma passando lungo il cimitero del castello, una tomba, sormontata da una spada d’oro, attira la sua attenzione. Egli si avvicina e riesce a decifrare l’iscrizione: «Qui riposerà Lancillotto del Lago, figlio del Re Ban de Benoïc e vincitore della Guardia Dolorosa ». Egli apprende dunque allo stesso tempo il segreto della sua nascita e quella della sua morte.
La carretta del disonore ed il Ponte della Spada: prove del suo amore per la regina.
Al suo ritorno è festeggiato dall’assieme della corte, e più particolarmente dalla regina. Artù ne fa allora il suo appoggio principale per la missione di ricerca del Graal. Lancillotto è in effetti il migliore dei cavalieri della Tavola Rotonda, sovrano di cortesia, nel torneo e nel combattimento. Lancillotto, nel corso delle sue avventure, potrà per due volte intravedere il Graal. Tuttavia, il suo amore proibito per la regina gli impedirà di avere accesso ai suoi misteri.
Alla fine dei tornei e dei combattimenti, la sua reputazione non cessa di aumentare, proprio come il suo amore per Ginevra. Ora un giorno, in cui Lancillotto era assente da corte, Meleagant, figlio del Re di Gorre, viene a sfidare i cavalieri. Così, egli afferma di detenere prigioniero un certo numero di cavalieri e propone di liberarli se qualcuno riesce a batterlo in singolar tenzone. In caso contrario, egli rapirà la Regina Ginevra. Solamente il siniscalco Keu accetta ed accoglie la sfida.
All’indomani Keu e Gineva si presentano sul bordo della foresta, dove li attende Méléagant. Dopo un breve combattimento, Keu si ritrova a terra. Méléagant afferra allora la regina ed il cavaliere e si appresta ad andarsene, quando, arrivando al gran galoppo, Lancillotto si slancia sul principe di Gorre.
Egli riesce a ferirlo alla spalla, ma Meleagant affonda la sua spada nel fianco del destriero di Lancillotto e prende la fuga. Lancillotto si ritrova solo lontano da tutto, ma soprattutto privato del suo cavallo. Egli si mette dunque a marciare attraverso la foresta per delle ore. Egli vede quasi subito, che al bordo della strada un nano stava guidando una carretta per il bestiame, sporca e tarlata. Egli gli chiede se ha visto passare un gruppo di persone costituito da Meleagant, Ginevra e Keu. Il nano risponde che potrà portarlo dalla sua dama a condizione che egli monti sulla carretta. Lancillotto esita: solo i briganti e gli uomini di poca fede si spostano con un tale armamentario, ma si tratta pur tuttavia della sola opportunità di rivedere la regina. Egli si decide dunque a montare su quella carretta della vergogna. Comincia allora un viaggio di quelli che mettono alla prova: lungo il cammino, tutti si prendono burla di quell’armamentario del nano e di un cavaliere miserabile. Finalmente la carretta arriva ad un castello dove passano la notte. Verso l’alba il nano sveglia Lancillotto: egli ha visto la regina Ginevra condotta via da delle guardie. Dopo avere cavalcato notte e giorno, egli arriva all’accesso del castello di Bademagus. Ma non è ancora arrivato alla fine delle sue pene: egli deve ancora superare il terribile Ponte della Spada, una spada immensa che taglia come un rasoio, posta tra le due rive. Questo ponte, steso sopra di un’acqua nera e ghiacciata, è custodito da due leoni. Non pensando ad altro che alla sua dama, egli si toglie tutti i vestiti e si spalma di pece, una materia viscosa, per evitare la caduta. Dopo molti tagli, egli raggiunge infine l’altra riva dalla quale però sono scomparsi per incanto i leoni.
Grazie a questo exploit, Lancillotto è acclamato ed il Re Baudemagus propone allora di liberare tutti i prigionieri, ma Meleagant rifiuta e sfida Lancillotto. All’indomani inizia il combattimento tra Lancillotto e Meleagant. Malgrado tutte le prove subite, Lancillotto ha subito la meglio. Bademagus ordina quindi l’arresto del combattimento, e Lancillotto può così ripartire per Camelot con la sua dama.
Un amore fatale
Malgrado questo exploit, la prossimità di Lancillotto e Ginevra é vista di malocchio e la loro relazione rapidamente sventata. Una sera, quando aveva raggiunto Ginevra nella sua camera dopo un banchetto, egli é sorpreso da Arturo. Questo trova la conferma dei suoi sospetti e decide allora di farlo arrestare. Lancillotto riesce a fuggire, ma deve abbandonare la sua dama. Secondo le leggi del regno, essa ha tradito e dunque deve montare sul rogo. Il giorno stabilito, i soldati esitano ad impadronirsi della regina: la sua aura è ancora intatta. Allora essa stessa avanza da sola verso il luogo del supplizio, quando una trentina di cavalieri arrivano a briglia sciolta: è Lancillotto che, alla loro testa, viene a portar via Ginevra.
Ma i cavalieri di Artù vegliano: dopo una rude battaglia nella quale Lancillotto ammazza Agravain e Gareth, due fratelli di Gauvain, solo Gauvain e Lancillotto sono ancora in grado di battersi. Artù vede quindi affrontarsi i suoi due migliori cavalieri, un tempo molto amici. Egli chiede loro di evitare questo massacro inutile, ma la determinazione di Gauvain è grande. In quest’ultimo combattimento tra due avversari dello stesso valore, Lancillotto finisce per prendere il sopravvento e affonda un colpo fatale. Egli domanda quindi ad Artù il favore di arrestare il combattimento e di ritornare nella sua Gallia natale. Fu così che egli lascia il Re Artù per raggiungere l’eremitaggio dei suoi ultimi giorni, per non rivedere più il suo Re e la sua dama.
9) Sir Galahad
Galahad era un figlio naturale di Lancillotto. Il suo nome può essere di origine gallese oppure provenire da una località detta Gilead in Palestina. La sua madre era Elaine, e quando era bambino è stato messo in un convento di suore, perché la badessa era sua prozia. Un giorno i cavalieri di Artù videro una spada piantata in una roccia che era collocata in un fiume, ed era stato detto che solo il migliore dei cavalieri al mondo avrebbe potuto estrarla. .Galahad fu condotto alla corte di Artù dove sedette nel Seggio Pericoloso e quindi tirò fuori la sua spada. Più tardi il Grail comparve in una visione alla corte di Artù si seppe che Galahad era uno dei tre cavalieri prescelti per intraprendere la ricerca del Santo Graal. Gli fu dato uno scudo bianco, fatto da Eyelake. Con una croce rossa, che Giuseppe d’Arimatea aveva tracciato con il suo sangue. Nel corso della Ricerca egli si unì a Parifal, Bors ed alla sorella di Parsifal.
A bordo della nave Salomone, Galahad ricevette la spada di Davide, e dopo la morte della sorella di Parsifal, il trio si divise per un po’ e Galahad ha viaggiato con suo padre, Lancillotto.
Quando i tre riunirono le forze essi arrivarono a Carbonek e raggiunsero il Grail. Galahad riparò la suia spada rotta e perciò gli fu permesso di vedere il Grail. Dopo avere tenuto in mano il Santo Grail, Galahad richiedette a Giuseppe d’Arimartea di potere morire, e la richiesta fu accordata. Galahad è sempre stato conosciuto come il cavaliere “perfetto”, nel coraggio, gentilezza, cortesia e cavalleria.
10) Palamede
Nel ciclo arturiano, Palamede era un nobile cavaliere saraceno, figlio del re Esclabor e fratello di Segwaride e Saifer. Egli odiava Tristano per la sua superiorità, ritenendosi il cavaliere più forte dopo di lui, e non del tutto a torto, se si considera che risultava in effetti vincitore, ogni qualvolta a scendere in lizza non vi fosse Lancillotto, Tristano o Lamorak.
11) Sir Tristano
L'amore è il tema del Tristan, ed è il tema centrale nella "materia di Bretagna" imperniata sulla figura leggendaria di re Artù, eroe della lotta dei bretoni contro gli anglosassoni e dei suoi cavalieri, famosi per il fatto di sedere attorno alla Tavola Rotonda, in posizione di paritaria uguaglianza. Il successo di questo filone inizia con Roman de Brut di Robert Wace (1155), che narra le vicende di Brut, eroe eponimo dei britanni, collegato al mondo classico per la sua discendenza da Enea. A questo filone appartiene Chrétien de Troyes, che portò a maturazione il filone, e in parte anche ha influenza nei Lais di Marie di Francia.
Ideali tipicamente cortési, gusto romanzesco dell'avventura e complessità dei significati simbolici caratterizzano l'ampio ciclo, che progressivamente ha inglobato altre leggende, tra cui quella della ricerca del Graal, cioè del vaso con il sangue di Gesù Cristo che accompagna Giuseppe d'Armatea nella sua predicazione fino in Inghilterra.
Nel XIIImo secolo si formò la trilogia in prosa costituita da "Lancelot", "Ricerca del Graal" e "Artu morto".
Con il termine di Roman di Tristan si indica una famosa trama narrativa, cui fanno riferimento una serie di opere scritte e composte nel corso del XIImo e XIIImo secolo. Le prime di cui si abbia conoscenza diretta sono quattro opere francesi, risalenti agli ultimi 40 anni del XIImo secolo:
• 1) il breve Lai del caprifoglio, 118 versi di Marie di Francia
• 2) il poemetto La Folie Tristan di cui ci sono giunte due redazioni, in due codici trovati rispettivamente a Berna e a Oxford: il codice di Berna contiene 572 versi in normanno, quello di Oxford 998 versi in anglo-normanno;
• 3) un romanzo in versi di Thomas (c.1170) di cui restano solo frammenti (3130 versi);
• 4) un altro romanzo in versi di Béroul (c.1200) anche questo in frammenti (rimangono 4485 versi).
A queste quattro opere seguirono una serie di opere di vari autori attivi nel complesso in un'area abbastanza larga: in medioalto tedesco scrissero Eilhart von Oberg (Tristrant und Isolde, fine XIImo secolo) e Gottfried von Strassbourg (Tristan und Isolde, primo ventennio del XIIImo secolo), in prosa norvegese il monaco Robertus (Tristams Saga ok Isö ndar, 1226), in medio inglese l'anonimo del "Sir Tristrem" (1294-1330), in italico l'anonimo della "Tavola rotonda" (Tavola ritonda, c.1325-50) ecc.
Partendo dai due frammenti di Thomas e di Béroul, si possono ricostruire due filoni delle avventure di Tristan e Isotta: il filone "comune" ha carattere rude e arcaico, non sembra abbia influsso dalla civiltà cortése. Ne fanno parte: Béroul, Eilhart von Oberg, il codice di Berna de "La Folie Tristan".
Nel filone "cortese" invece le sofferenze degli amanti protagonisti sono inquadrate nelle concezioni dell'amor cortese. Ne fanno parte: Thomas, Gottfried von Strassburg, il monaco norvegese Robertus, l'anonimo del "Sir Tristrem", l'anonimo della versione di Oxford de "La Folie Tristan", e la sezione della "Tavola rotonda" italica.
La trama concorda in entrambi i filoni. Dopo mirabili prodezze l'orfano Tristano nipote del re di Cornovaglia Marco, conquista Isotta, bionda principessa irlandese, affinché sposi lo zio. Sulla nave che li porta in Cornovaglia, i due bevono per errore il filtro magico che avrebbe dovuto legare Isotta e Marco. Ormai Isotta e Tristano si amano. Re Marco sposa Isotta, ma un giorno, nonostante le precauzioni dei due, li sorprende e li condanna. Tristano e Isotta riescono a fuggire, si rifugiano nella foresta di Morrois. Qui sono scoperti dal re. Marco, commosso dal loro casto atteggiamento - i due riposano fianco a fianco, ma separati dalla spada di Tristano - lascia la propria spada e l'anello di nozze, e se ne va senza svegliarli. Colpiti da tanta clemenza, i due decidono di separarsi. Isotta torna a corte. Tristano si esilia in Armorica, dove sposa Isotta-dalle-bianche-mani. Non dimentica però la regina: travestito da lebbroso, da mendicante, da pazzo, torna ogni tanto in Cornovaglia per brevi incontri con l'amata. Durante un combattimento Tristano è ferito a morte: solo Isotta potrebbe guarirlo. Il messaggero che la va a cercare concorda con Tristano un segnale: se Isotta accetta di venire la nave isserà al ritorno vela bianca, altrimenti vela nera. Isotta arriva troppo tardi, Tristano è morto ingannato dalla moglie che gli ha annunciato vela nera. La bionda regina muore di dolore sul corpo dell'amato.
La storia di Tristano e Isotta ebbe grande successo non solo in questo arco di secoli, ma anche dopo soprattutto nel periodo romanticista: "Tristano" di August Schlegel, "Gli idilli del re" di A. Tennyson, "Tristan di Liones" di A.Ch. Swiburne, "Tristan e Isolde" di Richard Wagner ecc.
Sir Tristano (in latino/britannico: Drustanus; in gallese: Drystan; conosciuto anche come Tristran, Tristram, etc.) é uno dei caratteri principali della storia di Tristano e Isotta, un eroe della Cornovaglia, ed uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda, rappresentato nella Materia di Britannia. Egli è il figlio di Blancheflor e Rivalen (nelle versioni più tarde Isabelle e Meliodas), ed é il nipote del Re Marco di Cornovaglia, inviato a riportare Isotta indietro dall’Irlanda per spsare il Re. Tuttavia, egli ed Isotta accidentalmente consumano una pozione d’amore lungo la strada e cadono disperatamente in amore. La coppia si sottopone a numerosi tentativi per provare il loro affare segreto.
Il ciclo della leggenda di Tristano
Tristano compie la sua prima comparsa medioevale nel primo secolo dodicesimo nel folclore celtico che circolava nel nord della Francia. Sebbene le storie più vecche che concernevano Tristano siano andate perdute, alcuni dei derivati esistono ancora.
La maggior parte delle versioni più vecchie cadono in uno dei due rami, il ramo “cortigianesco” rappresentato dalle ripetizioni del poeta anglo-normanno Thomas of Britain ed il suo successore tedesco Gottfried von Strassburg, ed il ramo "comune", che include i lavori del poeta francése Béroul e del poeta tedesco Eilhart von Oberge.
Il romanziere arturiano Chrétien de Troyes menziona nel suo poema Cligès, che ha composto sulla propria versione della storia, tuttavia, non vi sono copie sopravvissute o registrazioni di uno qualsiasi di tali testi. Nel tredicesimo secolo, durante il grande periodo dei romanzi in prosa, é apparso il Tristan en prose o Prose Tristan, uno dei più popolari romanzi di quel tempo. Questo lavoro, lungo, esteso e spesso lirico (l’edizione moderna é in tredici volumi) segue Tristano dalla leggenda tradizionale nel Regno del Re Artù dove Tristano partecipa alla ricerca del Santo Grail. Nel quindicesimo secolo, Sir Thomas Malory ha accorciata la versione francése nella sua, , The Book of Sir Tristram de Lyones, trovato nel Le Morte D'Arthur.
Radici storiche
Ci sono degli aspetti strani in Tristano, come per esempio il suo nome dei Pitti. Drust è un nome molto comune dei Re dei Pitti, e Dustanus è semplicemente Drust tradotto in latino. Esso può essere stato originato da un’antica leggenda che riguardava un re dei Pitti, che aveva abbattuto un gigante nel lontano passato, che si era fatto vedere e sentire in tutte le isole. Il nome può anche derivare da un santo dei Pitti del sesto secolo, che portava un’altra forma dello stesso nome. In aggiunta, interessantemente, c’era un Tristano, che aveva testimoniato per un documento legale presso la Swabian Abbey di St. Gall nell’807.
Un altro aspetto strano del suo regno è Lyonesse, della cui esistenza non c’è nessuna evidenza. Tuttavia c’erano due posti chiamati Leonais, uno in Britannia e l’altro è la trascrizione in francese antico di Lothian. Tuttavia, le Isole Scilly sono anche state proposte per essere questo posto, dal momento che probabilmente erano una sola isola fino ai tempi dei Romani, e parecchie isole erano interconnesse durante la bassa marea. Senza contare ciò, Tristano essendo un principe del Lothian renderebbe il suo nome più sensibile, Lothian essendo nei territori di confine dell’Alto Regno dei Pitti ed una volta era parte del territorio pittico, Tristano può essere stato in effetti un principe pittico sotto un Re Britannico). Un suggerimento, anche se molto inverosimile, è che sarebbe essere stato adottato dalla famiglia di Mark of Cornwall, una pratica storicamente attestata nella legge romana.
Le prove delle sue radici in Cornovaglia sono attestate dalla pietra tombale con iscrizione del XVmo secolo trovata nella contea. Oltre alla strada che porta a Fowey in Cornovaglia è eretta una pietra stagionata dal tempo che misura 7 piedi di altezza ed attualmente fissata su di una moderna base di cemento. Un tempo essa era molto più vicina a Castle Dore e può essere stata l’origine dell’associazione di questo sito alla storia del tragico amore di Tristano e Isotta. C’è un’iscrizione in latino sulla pietra, ora molto consumata che può essere restaurata con solo un piccolo lavoro di giudizio ed immaginazione fino a leggere
Drustans hic iacet Cunomori filius
(Questo significa: qui giace Drustan, figlio di Cunomori)
E stato suggerito che i caratteri a cui ci si riferisce sono per Tristano, il nipote di Mark – Drustan essendo una variante riconosciuta del nome dell’eroe e Cunimorus essendo una latinizzazione di Cynvawr. Cynvawr, a sua volta é detto dall’autore Nennius, del nono secolo, che ha compilato la migliore relazione storica su Arturo, essere identificato con Re Mark. Lo scrittore Jean Markale ha suggerito che la leggenda di Tristano fosse stata originata in Irlanda, ma che i nomi dei caratteri derivano da reali persone nella storia della Cornovaglia, le cui vite coinvolgevano “la rivalità di padre e figlio per la stessa donna”, il padre essendo Conomor, un regnante della Britannia nato in Conrnovaglia, e suo figlio Tristano. Tuttavia, si è anche argomentato che il Conomor della Cornovaglia era probabilmente il nonno del cap bretone. Lo scrittore Sigmund Eisner ha concluso che il nome Tristano deriva da Drust, figlio di Talora, ma che la leggenda di Tristano come la conosciamo oggi sia stata riunita da un colto membro del sistema monastico della Britannia del Nord attorno ai primi dell’ottavo secolo. Eisner spiega che un membro del sistema monastico di quel tempo doveva essere familiarizzato con tutte le narrative greche e romane che la leggenda prende in prestito da certe come quella di Piramo e Tisbe, ma anche familiare con gli elementi celtici della storia come per esempio The Pursuit of Diarmuid and Gráinne. Eisner conclude che “l’autore della storia di Tristano ha usato i nomi ed alcune delle tradizioni locali del suo proprio recente passato”.
A queste figure egli ha collegato avventure che erano state derivate dalla mitologia greca e romana. Egli viveva nel nord della Britannia, era associato ad un monastero , ed ha iniziato la prima stesura della storia di Tristano basandosi sui propri viaggi verso qualsiasi posto esso si sia trovato.
Il romanzo di Tristano e Isotta
La narrativa romantica dell’affare amoroso del Tristan and Iseult e stato pubblicato prima e verosimilmente ha influenzato il romanzo arturiano di Lancillotto e Ginevra. La leggenda racconta dell’affare amoroso tra Tristano ed Isotta d’Irlanda (la sposa prmessa dello zio di Tristano), e gli eventi ed i tentativi che attraversano gli amanti per coprire il loro affare segreto.
Adattamenti moderni
Nel 1857–59, Richard Wagner ha composto l’opera Tristan and Isolde, ora considerato una dei pezzi che hanno influenzato la musica del XIXmo secolo. Nel suo lavoro, Tristano è ritratto come una figura romantica condannata.
12) Sir Kay
Nella leggenda di Artù, Sir Kay (in gallese: Cai, Kai, o Kei, o Cei; in latino: Caius or Gaius; in francese: Keu; in francese romancio: Queux; in francese abtico Kès o Kex) è il figlio di Sir Ettore e fratello adottivo di Re Artù e più tardi siniscalco, così come uno dei primi cavalieri della Tavole Rotonda. Nella letteratura più tarda egli è noto per la sua lingua pungente e boriosa, e il comportamento maleducato. Ma nei racconti primitivi egli era uno dei primi guerrieri di Artù. Assieme a Bedivere, con il quale è spesso associato, Kay é uno dei caratteri per primi associati con Artù. Kay é ubiquo nella letteratura arturiana, ma raramente serve a qualcosa se non come traccia per altri caratteri. Sebbene egli manipoli il re per ottenere ciò che vuole, la sua lealtà ad Arthù è fuori questione. Nel ciclo della Volgata, nel Post-Vulgata e nel Le Morte d'Arthur di Thomas Malory, il padre di Kay Sir Ettore adotta l’infante Artù dopo che Merlino l’ha portato via dai suoi parenti di nascita, Uther ed Ingraine. Ettore lo cresce assieme a Kay come fratelli, ma la parentela di Artù è rivelata quando egli estrae la spada dalla roccia durante un torneo a Londra. Artù serve come scudiero al novello cavaliere Kay, perde la spada del suo fratello adottivo ed usa la spada nella roccia per sostituirla.
Kay sfodera il suo caratteristico opportunismo quando tenta di rivendicare il fatto che era stato lui ad estrarre la spada dalla roccia, facendolo il vero Re dei Britanni, ma egli si intenerisce ed ammette che era stato Artù. Egli diventa uno dei primi cavalieri della Tavola Rotonda e serve suo fratello adottivo per tutta la sua vita. Il padre di Kay è chiamato Sir Ettore nella tarda letteratura, ma le cronache gallesi lo chiamano .Cynyr Fork-Beard.
In Erec and Enide, Chrétien de Troyes menziona un figlio chiamato Gronosis, inclino a male, mentre i gallesi gli danno un figlio ed una figlia chiamati Garanwyn e Celemon. In un romanzo si tratta raramente della vita amorosa di Kay, ad eccezione di Escanor di Girart d'Amiens che descrive in dettaglio la sua vita amorosa per Andrivete del Northumbria, che deve difendere dalle macchinazioni politiche del suo zio prima di poterla sposare.
Il Cai gallese
Nella letteratura gallese, in cui é chiamato "Cai Hir" ("Kay the Tall, Cai l’alto), egli è un campione potente e di forte temperamento. Egli e Bedivere sono due dei sei cavalieri scelti per accompagnare Culhwch nella sua ricerca nel romanzo Mabinogion, Culhwch and Olwen (un altro é Gwalchmei, oppure Gawain), ed egli mostra tali fatti di eroismo, come l’abbattimento del gigante Wrnach, salvando Mabon, figlio di Modron, dalla sua prigione acquatica, e facendo un guinzaglio per cani con la barba di Dillus il barbuto. A Cai sono attribuite capacità sovrumane in gran parte della letteratura gallese, il poema Pa Gur menziona che egli aveva combattuto il mostruoso gatto Cath Palug, e le Welsh Triads lo nominano come uno dei “Tre Cavalieri Maghi di Britannia”, sostenendo che egli aveva la capacità di diventare tanto alto quanto un albero. Nel Culhwch l’ostinato Cai ha un dissidio con Artù, che scrive una canzone umoristica a proposito della sua uccisione di Dillus il barbuto, ma altrimenti egli é un leale compagno di Artù. Nella vita di San Cadoc (circa 1100) egli era al fianco di Artù e di Bedivere nel trattare col Re Gwynllyw del rapimento di Gwynllwg di St. Gwladys dalla corte di suo padre in Brycheiniog.
Nei romanzi gallesi (specificatamente Owain, or the Lady of the Fountain and Peredur son of Efrawg), Cai assume lo stesso ruolo rustico che egli assume nei romanzi continentali. Tuttavia, i nmanoscritti per questi romanzi datati a ben dopo Chrétien de Troyes, significano che Cai, come egli vi appare, può dovere più alla versione di Chrétien del carattere che alla rappresentazione gallese.
13) Caccia selvaggia
Il mito della caccia selvaggia consiste nell'avvistamento di un corteo notturno di esseri sovrannaturali e mitologici che attraversano il cielo in una furiosa battuta di caccia, con tanto di cavalli, segugi e via dicendo.
Fra i protagonisti della battuta di caccia nelle varie culture si possono citare Odino (Scandinavia), Re Artù (Britannia), Carlo Magno (Francia), Nuada (Irlanda), Arawn (Galles), re Waldemar (Danimarca), l'exercito antiguo (Spagna), e Wotan con il suo Wutendes heer ("esercito furioso") in Germania. Si possono raggruppare le varianti secondo quattro classi, a seconda che il corteo soprannaturale sia composto da: soli animali (la maggioranza dei casi); anime dannate; esseri mostruosi o dalle origini comunque ultraterrene; un corteo guidato da un capogruppo, in genere legato alle forze ctonie (in genere, quindi, il Diavolo).
Essere testimoni della caccia selvaggia viene considerato presagio di catastrofi e sciagure; i mortali che si trovano sul cammino del corteo sono in genere destinati a essere uccisi (rapiti e portati nel Regno dei Morti).
Origini
È un'immagine mitica del folklore europeo. Originaria di Germania e Britannia, si è diffusa in molte altre regioni europee, dalla Scandinavia alla zona delle Alpi.
Nelle varie tradizioni popolari quest'immagine viene inserita in diversi racconti e leggende; ma la radice originaria della credenza della Caccia Selvaggia affonda nella mitologia nordica: il dio Wotan (cioè Odino) nelle notti del Sacro Periodo (cioè quello che comprende i dodici giorni successivi al solstizio d'inverno, a cavallo di Sleipnir Dalle Otto Zampe, mostruoso cavallo nero, guida il corteo delle anime dei soldati morti in battaglia, in una vorticosa ridda attorno alla Terra.
Motivazioni
La credenza è chiaramente una mitizzazione dell'ancestrale paura del buio, del terrore di restare soli all'aperto di notte, al di fuori delle protezioni offerte dal gruppo sociale degli altri uomini civili; ma essa è talmente radicata nella cultura popolare e tocca corde evidentemente così sensibili e istintive nelle persone che si è diffusa per tutta l'Europa, portata dai vari popoli che attraverso conquiste ed occupazioni hanno fuso i propri racconti con quelli delle popolazioni autoctone.
In Italia, soprattutto nell'area alpina, la caccia selvaggia viene associata a lontane luci, scalpitio di zoccoli, abbaiare di cani, urla demoniache, e un forte sibilare del vento. Il protagonista della caccia in questa zona si chiama Beatrik, e viene associato alla figura di Teodorico il Grande. La leggenda col tempo è stata inquadrata in una cornice cristiana che ne ha modificato i suoi connotati soprattutto nell'esito finale, utilizzandola a fini di ammonimento; in questa variante, l'intervento di un religioso riesce ad allontanare il corteo infernale.
Nel Medioevo ad esempio troviamo una testimonianza d'eccezione per l'Italia in Dante (Inferno,13.109-124) che ci dimostra come la leggenda fosse patrimonio comune europeo; ma possiamo ricordare anche il più tardo Torquato Tasso che vi accenna nella Gerusalemme Liberata, 13.21. Nella cultura popolare si racconta della Caccia Selvatica soprattutto nelle zone montane: lungo tutto l'arco alpino e in certi casi anche lungo la catena appenninica, con varianti. La diffusione prevalentemente settentrionale della leggenda però suggerisce il substrato eminentemente celtico del mito, cui probabilmente si rifà la stessa tradizione nordica.
Le varie terminologie
Il nome con cui viene indicata la mitica caccia selvaggia cambia di nazione in nazione attraverso l'Europa, ma anche spostandosi da una singola regione all'altra. In Inghilterra si chiama Wilde Hunt, in Scozia Sluagh, in Germania Wutende heer, in Francia Chasse Arthur, in Svizzera Struggele Selvaggia. Considerando solamente l'Italia, viene definita in Lombardia Caccia Morta o Caccia del Diavolo, in Piemonte Corteo dla Berta o Càsa d'i canètt, in Trentino Cazza selvadega, in Valsassina Kasa selvadega.
14) Sir Bors di Ganis
Bors ( francése: Bohort, Julius Tiberio ) circa 540-580, è il nome di due cavalieri del ciclo arturiano, uno il padre e l’altro il figlio. Bors il vecchio è il re di Gaunnes o Gaul durante il periodo iniziale di Re Artù del Regno ed è il fratello di Ban, re di Benoic. Gaunnes è il Regno dinastico Fredemundian di Neustria, dai Paesi Bassi, Normandia, Bretagna e Francia occidentale. Bors il giovane successivamente diventa uno dei migliori cavalieri della Tavola Rotonda e raggiunge anche il Sacro Graal .
Re Bors il vecchio
Come è fratello di Ban, Re Bors è lo zio di Lancllotto e di Ettore di Maris. Egli sposa Elaine, la sorella della moglie di Ban e ha due figli, Bors il giovane e Lionel. Ban e Bors diventano i primi alleati di Artù nella sue prime battaglie contro undici re ribelli in Britannia, inclusi Lot, Caradoc e Urien ed egli giura di aiutarli contro il loro nemico Claudas, che sta minacciando le loro terre. Tuttavia, Arthur è in ritardo con la sua promessa, e Claudas riesce con la sua invasione, causando la morte di entrambi i re. Il figlio di Ban, Lancelot è adottato dalla Signora del Lago, ma i figli di Bors vengono allevati in cattività dai rapitori del clan di Claudas.
Sir Bors il giovane
Sir Bors, il giovane, Solomon Tiberio, circa 570-600, è meglio conosciuto per re Bors in tutti gli studi arturiani. Sir Bors e Lionel vivono per molti anni alla Corte di Claudas, ma alla fine si ribellano contro di lui e ammazzano persino il suo figlio crudele Dorin. Prima che Claudas possa reagire, i ragazzi sono portati in salvo da un servitore della Dama del Lago e vengono rapiti per essere allevati con il loro cugino Lancelot. Tutti e tre crescono fino a diventare eccellenti cavalieri e vanno a Camelot per unirsi al seguito di re Artù. Bors è riconoscibile da una cicatrice sulla sua fronte che lo fa distinguere e partecipa alla maggior parte dei conflitti del re, compresa la battaglia finale con Claudas, che libera le terre del padre. Egli diventa il padre di Sir Elyan il Bianco, quando la figlia del re Brandegoris tenta dei trucchi con lui per mezzo di un anello magico per farlo dormire con lei; egli poi introduce suo figlio presso la Tavola Rotonda.
Bors sceglie di salvare una fanciulla piuttosto che suo fratello Lionel. Bors è sempre ritratto come uno dei più raffinati della tavola rotonda, ma sua vera gloria proviene dalla ricerca del Graal, in cui egli si conferma abbastanza di valore per testimoniare i misteri del Graal a fianco di Lancillotto, Galahad e Parsifal. Diversi episodi dimostrano il suo carattere virtuoso; in uno, una donna si avvicina a Bors dicendo che avrebbe tentato il suicidio, a meno che egli non dormisse con lei. Egli si rifiuta di rompere il suo voto di verginità; la donna e le sue cameriere minacciano di buttarsi giù dai bastioni del castello. Come le donne si buttano giù, esse si rivelano essere dei demoni pronti ad ingannarlo giocando con il suo senso di compassione. In un altro caso, Bors si trova di fronte ad un dilemma: egli deve scegliere tra il salvataggio del fratello Lionel, che veniva frustato con delle spine da dei malviventi da una parte, mentre dall’altra doveva alvare una giovane ragazza, rapita da un cavaliere malandrino. Bors sceglie di aiutare la fanciulla, ma prega per la sicurezza di suo fratello. Lionel sfugge al suo tormentatore e tenta di assassinare Bors, ma Bors non vuole difendersi, rifiutando di alzare un'arma contro un suo parente. Un compagno cavaliere della Tavola Rotonda, Sir Calogrenant ed un eremita religioso tentano di intervenire, ma Lionel li ammazza entrambi quando si intromettono. Prima che egli possa uccidere suo fratello, tuttavia, Dio lo colpisce con una colonna di fuoco che l’immobilizza. Bors, Galahad e Parsifal proseguono per raggiungere il Santo Graal ed accompagnarlo a Sarras, un'isola mistica in Medio Oriente. Sia Galahad e Parsifal muoiono, mentre Bors è il solo a rtitornare.
Nel Le Morte d'Arthur di Thomas Malory, Sir Bors accetta di lottare come paladino di Guinevère, quando lei è accusata di avere avvelenato un cavaliere. Bors è riluttante, come prima scelta, mentre Lancillotto ha lasciato Camelot per causa di Guinevère. Egli si intenerisce, quando Arthur vede Guinevère inginocchiarsi davanti a lui. Egli decide di giostrare per suo conto, quando Lancillotto arriva a prendere il suo posto.
Come il resto della sua famiglia, Bors si unisce a Lancillotto in esilio dopo che la sua vicenda con Guinevère è diventata di dominio pubblico ed aiuta a salvare la regina dalla sua esecuzione sul rogo. Egli diventa uno dei consiglieri più affidabili di Lancillotto nella conseguente guerra tra Lancillotto e Artù e diventa il regnante delle terre precedentemente di Claudas. Quando Artù e Gawain devono tornare in Britannia per combattere il cattivo usurpatore Mordred, Gawain invia una lettera a Lancillotto chiedendo aiuto. Gli uomini di Lancillotto arrivano per sedare i resti della ribellione guidata dai figli di Mordred Melehan e Melou; Lionel viene ucciso da Melehan e Bors vendica la sua morte.
Nel The Once and Future King (Il Re di una volta e quello futuro) di T.H. White, Bors viene descritto come un misogino, un "semi-vergine" e in genere qualcosa di bisbetico.
Sir Bors é stato l’unico cavaliere a sopravvivere alla Ricerca del Santo Graal ed a ritornare a Corte. Il nome di suo padre era Bors, e più tardi è successo al padre come Re di Gannes. Bors era un cavaliere casto, ma la figlia del Re Brandegoris si è innamorata di lui e con l’aiuto di un anello magico ha forzato Bors ad amarla.
Come risultato dell’unione, Bors è diventato padre di Elyan il Bianco, più tardi imperatore di Costantinopoli. Bors ha intrapreso la ricerca del Santo Grail assieme con Galahad e Parsifal.
Bors è stato l’unico dei tre a ritornare in Britannia, e dopo la Ricerca, è tornato alla corte del Re Artù.
Bors era cugino di Sir Lancillotto, ed ha risolutamente sostenuto Lancillotto durante il conflitto tra i due. Dopo la morte di Lancillotto, Bors è ritornato in Terra Santa dove è morto combattendo nelle Crociate. Si è suggerito che Bors, in origine, possa essere una figura che esisteva nella leggenda gallese come Gwri.
15) Sir Meleagant
Sir Meleagant probabilmente divenne cavaliere della Tavola Rotonda di Re Artù in giovane età, in virtù del suo essere figlio del buon Re Bagdemagus. Frequentò spesso i tornei, incluso quello della Dama Leonore al Castle Dangerous (Castello pericoloso), dove ha sconfitto Sir Gareth, e l’incontro di Sorelais del re Galehaut, in cui Sir Sauseyse è stato impiegato da suo padre per batterlo rapidamente e portarlo rapidamente in salvo fuori dal campo. Meleagant non era tuttavia il più popolare dei cavalieri alla corte e sembra che abbia nutrito del risentimento del rispetto guadagnato da altri.
Sir Meleagant ha nutrito un amore segreto per la Regina Ginevra e questo doveva essere la sua fine. I suoi sentimenti furono sospettati dapprima, quando ebbe un feroce scontro con Sir Lamorak al riguardo della bellezza relativa tra Ginevra e sua cognata, Morgause. I due cavalieri hanno lottato per qualche tempo prima che Sir Bleoberis potese intervenire e farli ritornare in se. Infine per Meleagant fu impossibile reprimere le sue passioni ed è stato costretto a ricorrere ad azioni drastiche e malvagie per ottenere ciò che voleva.
Era l'inizio di maggio e la Regina Ginevra soggiornava nel palazzo reale di Londra, da cui ha deciso di andare ad un piccolo innocuo party (cogliendo fiori, particolarmente di Maggio ed in generale celebrando l'avvento dell'estate). Sono usciti fuori nei campi, che ora sono a Westminster; ma Sir Meleagant aveva preparato un’imboscata per la regina. Con la sua banda di ribaldi, ha attaccato e ferito molti dei cavalieri della Regina e se ne è andato via con lei, ritornando al suo regno del Summer Country (o paese estivo). Solo un ragazzo è riuscito a fuggire ed è corso con la terribile notizia dall’amante di Ginevra, Sir Lancillotto. Il cavaliere si mise ad inseguirli immediatamente, ma alcuni degli arcieri di Meleagant hanno ucciso il suo cavallo sotto di lui e fu costretto a continuare in un umile carretto: un tipo di trasporto altamente imbarazzante, ma il solo che egli poté ottenere con un tale breve preavviso. Con un po’ di tempo, Lancillotto riuscì a raggiungerli; Meleagant aveva rinchiuso la sua infelice prigioniera nel suo castello
Aveva già cercato di forzare le cose con la donna, ma era stato tenuto lontano dal padre avanzato in età. Dei tentativi di salvataggio di Sir Kay e Sir Gawain erano falliti miseramente. Tuttavia, Meleagant era terrorizzato dell’ira di Lancillotto e rapidamente cedette alla regina piuttosto di dover lottare con il più grande di tutti i cavalieri. Tutti hanno trascorso la notte al castello, ma Lancillotto non poteva sopportare di essere così vicino e tuttavia anche così lontano dalla sua amante, per cui irruppe nella camera da letto della regina, ferendosi ad una mano nel tentativo. Meleagant la scoprì alla mattina tra dei fogli macchiati di sangue e l’ha subito accusata di avere utilizzato uno dei suoi seguaci ferito per una soddisfazione sessuale. Egli tuttavia aveva più importanti preoccupazioni nella sua mente. Lancillotto aveva organizzato un giudizio con un combattimento, che Meleagant era ansioso di evitare. Così egli ha fatto fare all'avversario un gran giro del castello, durante il quale, in una stanza particolare, si è aperta una botola, facendo cadere Lancillotto in una profonda prigione sotterranea. Fortunatamente, la carceriera del cavaliere era la bella e giovane sorella di Meleagant, che fu facilmente sedotta, lasciandolo andare in cambio di un bacio appassionato. Lancillotto è così riuscito a presentarsi al combattimento programmato. Quando la battaglia iniziò, egli ha acquisito rapidamente il sopravvento e Meleagant ha tentato di arrendersi. Avendo respinto le avances del cavaliere, Ginevra, tuttavia, lo voleva morto. Così Lancillotto ha rifiutato di accettare la sua capitolazione. Meleagant analogamente ha rifiutato di continuare la lotta a meno che Lancillotto non legasse la sua mano sinistra dietro la schiena. Il grande cavaliere si è dichiarato d’accordo, ma ha potuto lo stesso spaccare rapidamente in due il capo di Meleagant
Il racconto di Meleagant è una storia vecchia ed in origine sembra che egli sia stato uno storico re di Glastening, chiamato Melwas.
16) Sir Bedivere
Sir Bedivere (gallese: Bedwyr Bedrydant; francese: Bédoiercome; ... – ...) è uno dei cavalieri della Tavola rotonda delle leggende arturiane e fu lui, secondo la tradizione letteraria successiva, specialmente ne La morte di Artù di Thomas Malory e nella Allitterazione della Morte di Artù, a restituire Excalibur alla Dama del Lago dopo la battaglia di Camlann. Dopo la morte del suo signore si ritirò per il resto della vita in eremitaggio.
Appare nel Mabinogion alla corte di Artù di cui era un alto ufficiale (marshal) ed è spesso associato con Sir Kay. Era fratello di Sir Lucan e cugino di Sir Griflet. La tradizione gallese dice che aveva un figlio, Amren, e una figlia, Eneuawc. Insieme a Sir Kay (Cai Hir) e a Gawain, è uno dei primi guerrieri ad essere associato a re Artù e compare nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth come uno dei suoi fedelissimi. Aiuta Artù e Kay a combattere il gigante di Mont Saint Michel e si unisce ad Artù nella sua guerra contro l'imperatore Lucio di Roma. Sarebbe morto proprio durante le campagne continentali. Nella Vita di san Cadoc è uno degli uomini mandato a inseguire Gwynllyw, re di Gwynllwg, che aveva rapito Gwladys, figlia di Brychan, re del Brycheiniog. Bedwyr è anche ricordato nel Libro nero di Carmarthen per aver combattuto nella battaglia di Tryfrwyd.
Nei romanzi di Mary Stewart, Lancillotto, che in effetti è considerata una figura puramente leggendaria, compare col nome di Bedwyr, di cui invece si suppone fondamento storico, poiché entrambi presentano ruolo stereotipico: sono infatti campioni di corte e amanti della regina.
La figura storica
Dietro alla figura leggendaria e letteraria si celerebbe un personaggio storico, di cui si sa poco. Sarebbe nato attorno al 495, o forse prima ed era probabilmente un principe del Glywysing (nel Galles), quindi della casata reale di Owain Finddu. Ebbe una figlia di nome Enefog e un figlio di nome Amren. Sarebbe stato sepolto ad Alld Tryvan, forse Din-Dryfan (castello di Dunraven, nel Glamorgan). Suo padre è ricordato come Bedrawt o Pedrod, e potrebbe trattarsi del principe Pedr, figlio di re Glywys Cernyw del Glywysing.
17) Uther Pendragon
Uther Pendragon (francese: Uter Pendragon; gallese: Wthyr Bendragon, Uthr Bendragon e Uthyr Pendraeg) è un leggendario sovrano della Britannia post romana e padre di Re Artù.
Qualche piccolo riferimento a Uther compare già nei poemi in antico gallese, anche se la sua biografia fu scritta per la prima volta da Goffredo di Monmouth nella Historia Regum Britanniae. L'Uther di Goffredo fu preso a modello da autori e opere successivi. La sua figura appare molto ambigua: è descritto come un sovrano forte e un difensore del popolo. Secondo la tradizione più diffusa, a seguito di un incantesimo operato da Merlino, che tramuta Uther, agli occhi di Igraine, nel marito, il duca di Cornovaglia, venne generato Artù. In quello stesso momento il marito viene ucciso dall'esercito di Uther. Questo tema del figlio illegittimo ritornerà anche nei successivi romanzi in prosa: Artù giace inconsapevolmente con la sorella o sorellastra Anna/Morgause, generando Mordred.
Epiteto
L'epiteto di Pendragon letteralmente significa "testa di drago" e ha probabilmente il significato figurato di "capo guerriero". Nei racconti più antichi Uther viene detto "Pendragon" perché egli vide una cometa a forma di drago, da cui trasse l'ispirazione per il drago sul suo stendardo. Secondo tradizioni più tarde, protagonista di questo episodio fu il fratello maggiore di Uther. Una volta morto, quest'ultimo assunse in suo onore l'epiteto di "Pendragon". Secondo un'altra tradizione, Merlino gli disse di uccidere un particolare drago se voleva divenire re. Egli riuscì nell'impresa decapitandolo, e pose la testa del drago sullo scudo come simbolo della sua vittoria, divenendo re.
Antica poesia gallese
Nell'antica tradizione gallese Uther è associato ad Artù e a volte viene considerato suo padre. Viene menzionato nel poema arturiano di X secolo “Pa gur yv y porthaur” ed è ricordato nel Libro di Taliesin con La canzone funebre di Uther Pen (include un riferimento ad Artù). Il colloquio di Artù e l'aquila, un poema contemporaneo a Goffredo, ma probabilmente indipendente da questo autore, menziona un altro figlio di Uther, Madoc, che fu padre del nipote di Artù, Eliwlod. Le Triadi gallesi dicono che Uther fu il creatore di uno dei Tre grandi incantesimi della Britannia, che insegnò al mago Menw.
Pendragon nell'opera di Goffredo di Monmouth
La vita di Uther apparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae ("Storia dei re di Britannia"), scritta da Goffredo di Monmouth nel XIImo secolo. Il nome pen-dragon, letteralmente "testa di drago", è associato ai simboli rappresentati sui suoi stendardi. Nel racconto di Monmouth, Uther era il fratello minore di Ambrosio Aureliano e suo successore al trono di Logris o Loegria (un altro nome che indica l'Inghilterra nelle leggende arturiane e che deriva dalla parola gallese Lloegr, che, appunto, sta per Inghilterra). Uther, Ambrosio e un terzo fratello, Costante, erano figli di re Costantino III, pretendente al trono di Roma fra il 407 e il 411. Costante successe sul trono al padre, ma fu ucciso per le trame del suo consigliere Vortigern, che prese così il potere. Uther e suo fratello Ambrosio Aureliano, ancora bambini, fuggirono in Bretagna (nell'odierna Francia). Una volta cresciuti Ambrosio e Uther tornarono in patria, dove Ambrosio bruciò Vortigern nel suo castello, diventando così re (va sottolineato che la connessione tra Ambrosio Aureliano e Costantino e Costante è del tutto inventata).
Uther guidò le armate del fratello in Irlanda per aiutare mago Merlino a portare le pietre di Stonehenge in Britannia. In seguito, mentre Ambrosio era ammalato, Uther condusse l'esercito contro il figlio di Vortigern, Paschent, e i suoi alleati sassoni. Prima della battaglia, Uther vide in cielo una cometa a forma di drago, che Merlino interpretò come presagio della morte di Ambrosio e del radioso futuro di Uther. Uther vinse, prendendo l'epiteto di "Pendragon". Al ritorno trovò il fratello morto, avvelenato da un assassino. Salito sul trono ordinò la costruzione di due draghi d'oro, uno dei quali divenne il suo stendardo.
Uther si dedicò poi a rendere sicuri i confini della Britannia e soppresse una rivolta sassone con l'aiuto del duca di Cornovaglia Gorlois, suo vassallo. Al banchetto per la loro vittoria, Uther fu travolto dalla passione per la moglie di Gorlois, Igraine. Per questa ragione tra i due uomini scoppiò una guerra. Gorlois mandò Igraine nell'imprendibile fortezza di Tintagel, mentre lui assediò Uther in un'altra città. Su richiesta di Uther, Merlino usò la sua magia per dargli le sembianze di Gorlois, in modo che potesse entrare a Tintagel e giacere con Igraine.
Nel corso della notte la donna concepì Artù, mentre il marito veniva ucciso dagli uomini di Uther. Uther sposò Igraine, da cui ebbe anche un'altra figlia Anna, che poi sposerà re Lot, generando Gawain e Mordred. In alcune versioni più tarde, è chiamata Morgause ed è presentata come figlia di Gorlois. Sempre in altre versioni Mordred nasce dall'incesto di Morgause con Artù.
Sebbene malato, Uther continuò a guidare la guerra contro i sassoni, che stava volgendo a suo sfavore. Sconfisse a Verulamium (odierna St Albans) Octa, figlio di Hengist (vecchio alleato di Vortigern), sebbene i sassoni lo chiamassero il "re semi-morto". Ben presto i sassoni ordirono la sua morte, avvelenando una sorgente vicino a Verulanium da cui lui era solito bere.
Pendragon in altre fonti medioevali
Nel Lancillotto in prosa, Uther Pendragon sostiene di essere nato a Bourges. Egli conduce un esercito in Bretagna per combattere re Claudas di Bourges. Questa storia richiama quella di Riotamo (figura storicamente esistita) che si recò a combattere dei razziatori che avevano base proprio a Bourges.
Nel Merlino di Robert de Boron, Uther Pendragon uccide personalmente il sassone Hengest (Angis o Augis) che si era introdotto nell'accampamento britanno per assassinarlo. È per Uther Pendragon che Merlino crea la famosa Tavola Rotonda.
Nel Parzival di Wolfram von Eschenbach si dà un background alternativo per Uther Pendragon. Un tale Mazadân andò con la fata Terdelaschoye nella terra di Feimurgân. Mazadân ebbe due figli, Lazaliez e Brickus. Quest'ultimo fu padre di Utepandragûn, padre di Artù, mentre Lazaliez fu padre di Gandin di Anjou, padre di Gahmuret, padre di Parzival/Perceval. Uther Pendragon e Arthur appaiono quindi come rampolli del ramo cadetto di un'immaginaria casata di Anjou di V/VI secolo.
18) Fata Morgana
Morgan le Fay, nota in alternativa come Morgane, Morgain, Morgana e altre varianti, è una potente strega e antagonista del Re Arturo e della regina Ginevra nella leggenda arturiana. I primi lavori in cui si parla di Morgana non elaborano il suo carattere oltre al suo ruolo come fata o maga. Essa è diventata molto più prominente nelle più tarda prosa ciclica come per esempio nel ciclo di Lancillotto-Graal e nel ciclo della post volgata, nel quale si dice che essa fosse figlia della madre di Artù e del suo primo marito, Gorlois, Duca di Cornovaglia. Arturo è quindi suo fratellastro da parte di Igraine e di Uther Pendragon. Morgana ha almeno due sorelle più vecchie, Elaine e Morgause. Quest’ultima essendo nota come la madre di Gawain e del traditore Mordred.
Nella Le Morte d'Arthur di Sir Thomas Malory, essa è infelicemente sposata al Re Urien di Gore e Ywain è suo figlio.
Sebbene essa diventi un avversario della Tavola Rotonda, quando Ginevra scopre il suo adulterio con uno dei cavalieri di suo marito, essa eventualmente si riconcilia con suo fratello, e serve persino come una delle quattro incantartrici che portano il re ad Avalon dopo la battaglia finale a Camlann. Essa è stata anche introdotta nella Materia di Francia, in cui essa è principalmente associata con Ogier il Danese.
Origini
Come è indicato dal suo nome, la figura di Morgana appare essere stata originata da una fata (Le Fay dal francése La Fee = fata) piuttosto che da una donna umana. Più tardi trasformata in una donna e sorellastra di Re Artù, essa diventa un’incantatrice per continuare ad esercitare i suoi poteri. L’ispirazione per il suo personaggio è venuta dalla mitologia e dalla letteratura gallese primitiva; essa è stata spesso paragonata alla dea Modron, una figura derivata dalla Dea Matrona continentale, raffigurata con una certa frequenza nella letteratura gallese medioevale. Modron appare nel Welsh Triad 70, in cui i suoi figli avuti con Urien, Owain e Morfydd, sono chiamati "Three Blessed Womb-Burdens of the Island of Britain, tre benedetti carichi dell’utero dell’Isola di Britannia" ed una più tarda leggenda popolare conservata in Peniarth MS 147 registra la storia che sta dietro alla concezione in maniera più completa.
Urien è il marito di Morgan le Fay nei romanzi continentali, mentre Owain è la figura storica dietro a loro figlio Ywain.
In aggiunta, Modron è chiamata “figlia di Avallach," una divinità degli antenati gallesi, il cui nome può anche essere interpretato come un sostantivo che significa “un posto di mele”. In effetti, nella storia del concepimento di Owain e di Morvydd in Peniarth 147, Modron è chiamata anche la “figlia del Re di Avallach."
Questo è simile ad Avalon, o ”isola delle mele” con cui Morgan Le Fay è stata associata fino dalle sue prime apparizioni. Una speculazione addizionale collega Morgan con la dea irlandese Morrigan, sebbene ci siano poche familiarità tra le due oltre alla pronuncia del loro nome. Morgana compare per la prima volta nella Vita Merlini di Geoffrey of Monmouth, scritta attorno al 1150.
Significativamente un anticipo delle successive avventure del Mago Merlino, essa elabora alcuni episodi del più famoso lavoro di Geoffrey, l’Historia Regum Britanniae. Nell’ Historia, Geoffrey spiega che dopo che Artù è stato seriamente ferito nella Battaglia di Camlann, esso è trasportato fino ad Avalon, l’Isola delle Mele, per essere curato. Nella Vita Merlini si nomina “Morgen” come la principale di nove sorelle magiche che vi abitano. Morgen mantiene questo ruolo di una dell’altro mondo, che cura Artù, nella letteratura più tarda. Prima dei vecchi romanzi ciclici francesi, le apparizioni di Morgana sono poche. Chrétien de Troyes la menziona nel suo primo romanzo Erec and Enide, completato attorno al 1170, egli parla di un ospite al matrimonio del personaggio titolare, un certo Guigomar, lord dell’Isola di Avalon, che è amico di Morgana. Essa è poi menzionata più tardi nello stesso poema quando Artù fornisce al ferito Erec un balsamo curativo preparato da sua sorella Morgana:
Questo episodio afferma il suo ruolo primitivo di curatrice e fornisce la prima citazione di Morgana come sorella di Artù. Chrétien si riferisce di nuovo a Morgana come ad una grande curatrice nel suo ultimo romanzo Yvain, the Knight of the Lion, in un episodio in cui due donne fanno tornare nei sensi l’eroe impazzito con una mistura fornita da Morgana. Tuttavia si dovrebbe notare che, mentre Modron è la madre di Owain nella letteratura gallese e Morgana sarebbe stata assegnata al suo ruolo nella letteratura francese più tarda, la prima associazione continentale tra Ywain e Morgana non implica che essi siano madre e figlio.
Tarda letteratura medioevale
Il ruolo di Morgana si è grandemente esteso nel Lancillotto-Grail del XIIImo secolo (Ciclo della Vulgata) ed i susseguenti lavori ispirati da questa.
La più giovane delle figlie di Gorlois ed Igraine è mandata in un convento dove Uther Pendragon uccide suo padre e sposa sua madre. Qui essa i suoi studi di magia, ma li interrompe quando Uther la fidanza con il suo alleato Urien. Infelice con suo marito, essa infila una serie di amanti fino a che è sorpresa da una giovane Guinevère, che la espelle dalla sua corte per il disgusto. Morgana continua i suoi studi magici sotto Merlino, mentre continua a complottare contro Ginevra.
Nei capitoli seguenti essa usa le sue capacità per coinvolgere i cavalieri di Artù, specialmente Lancillotto, che tenta alternativamente di sedurre e di esporre come amante adultero di Ginevra. Nel Tristano in prosa, essa consegna alla corte di Artù una pozione magica che nessuna donna infedele può bere senza versarla, sperando di non rivelare l’infedeltà.
Thomas Malory per lo più continua il ritratto di Morgana nella Vulgata e nei Cicli Post-Vulgata nel suo libro Le Morte d'Arthur, sebbene in qualche caso egli espanda il suo ruolo. Con mezzi magici e mortali, essa tenta di predisporre la caduta di Artù, in modo più noto quando essa fa sì di ottenere per il suo amante Accolon la spada Excalibur ed usarla in singolar tenzone contro Artù.
Avendo fallito in questo tentativo, Morgana butta il fodero protettivo di questa in un lago. La Fata ritorna attraverso l’alto ed il Tardo Medioevo, generalmente in lavori relativi ai Cicli di Arturo o Carlomagno. Alla fine di Sir Gawain e del Cavaliere Verde, viene rivelato che l’intiero episodio soprannaturale è stato istigato da Morgana come una prova per Artù e i suoi cavalieri, e per spaventare Ginevra.
L’importanza di Morgana in questa particolare narrativa é stata disputata e chiamata un “deus ex machina” e semplicemente un trucco artistico per collegare sempre più l’episodio di Gawain con la storia di Artà.
Nelle leggende di Carlomagno essa è molto famosa per la sua associazione con Ogier il Danese, che essa porta nel suo mistico palazzo su di un’isola, perché diventi il suo amante.
Nelle Chanson de geste di Huon di Bordeaux, Morgana è la madre del Re fiabesco Oberon, avuto assieme con niente di meno che Giulio Cesare.
19) Morgause
Morgause, nota nei primi lavori come Anna, è la sorella o sorellastra del Re Artù nella leggenda arturiana. Nella sua primissima apparizione essa è una vera sorella di Artù da parte di Uther Pendragon ed Igraine; ed è la madre dell’eroico Gawain e dell’infame Mordred. Nei lavori più tardi essa è la figlia di Igraine con il suo primo marito, Gorlois, ed essa rimane incinta di Mordred dopo avere dormito con Artù mentre essi non si erano accorti della loro relazione. Suo marito è Re Lot, un nemico di Artù nelle ribellioni seguite all’incoronazione di Artù.
Altre sorelle e fratelli ncludono le sorelle Elaine e Morgan le Fay. Il materiale tardivo le ha dato cinque bambini, tutti maschi, mentre lavori precedenti nominavano anche delle figlie.
Dal più vecchio al più giovane, i figli di Morgause sono Gawain, che diventa uno dei più grandi cavalieri di Artù, Agravaine, un miserabile traditore, Gaheris, Gareth, un cavaliere gentile ed amabile, e Mordred, figlio suo e di Artù. I suoi figli giocano dei ruoli chiave nella storia di Artù e del suo regno. Essa è attiva nel Le Morte d'Arthur, di Thomas Malory e nella Vulgata e nelle versioni Post-Vulgata di Merlin. Nel Le Morte d'Arthur e nella Post-Vulgata, suo marito é ucciso da Re Pellinore in battaglia, iniziando una faida di sangue tra le famiglie di Pellinore e di Lot. Pellinore é ucciso da Gawain e Gaheris, e Morgause più tardi ha un affare amoroso con Lamorak, figlio di Pellinore ed uno dei migliori cavalieri della Tavola Rotonda. Suo figlio Gaheris li scopre assieme ed uccide Morgause nel suo letto, anche se lascia andar via Lamorak. Pensando che sia stato Lamorak ad uccidere la loro madre, Gawain, Agravain, e Mordred (Gareth non prende parte) si uniscono a Gaheris per tendere un’imboscata a Lamorak ed ucciderlo. I fratelli accidentalmente scoprono che era stato Gaheris il reale uccisore del padre, ed egli é bandito dalla corte (anche se più tardi compare nella narrativa). Nelle variazioni moderne, il carattere di Morgause è talvolta combinato con quello della Fata Morgana ed il ruolo di madre di Mordred è trasferito a Morgana.
T. H. White ha denominato uno dei quattro volumi nel The Once and Future King, con la denominazione The Queen of Air and Darkness, in riferimento a Morgause, che é una figura principale del libro. Una sezione più tarda tratta della morte di Morgause per le mani del suo proprio figlio. White trasferisce il crimine su Agravaine piuttosto che su Gaheris. Marion Zimmer Bradley nel suo romanzo The Mists of Avalon (le nebbie di Avalon) ha reso Morgause sorella di Igraine e Viviana e zia della Fata Morgana. Dopo che Morgana libera Mordred, Morgause tenta di uccidere il bambino fino a che non scopre chi è il padre. Essa decide allora di crescerlo come suo proprio, prendendo così il ruolo di madre dell’infante.
Nella serie Squire's Tale di Gerald Morrisessa è la vedova del Re Lot, madre dei suoi quattro figli ed un’incarnazione ossia manifestazione dell’ “Incantatrice”, piegata al ruolo di comando del mondo degli uomini togliendo di mezzo i re ed i principi del mondo. Essa viene sconfitta alla fne del primo libro, The Squire's Tale, dallo scudiero di Sir Gawain; in un libro seguente, The Princess, the Crone, and the Dung-Cart Knight, si rivela che essa è ancora viva e che sta ancora complottando.
20) Elaine
Elaine di Carbonek (denominata anche Amite, Helaine o Helizabel; identificata come "The Grail Maiden" (la fanciulla del Graal) è la figlia di Pelles, il Re Pescatore e Lord di Carbonek. Elaine di Carbonek é stata spesso confuse con Elaine the Peerless (senza pari) in alcuni testi; le due sono state distinte come lo stesso carattere in alcune fonti (Ciclo della Post-Volgata) mentre sono come due distinti personaggi in altri (Ciclo Lancillotto-Graal). Essa è menzionata in altri lavori come per esempio nel Conte du Graal or Perceval le Gallois di Chretien de Troyes
Il padre di Elaine Pelles era stato profetizzato per essere il nonno del portatore del Santo Graal. Egli voleva che il padre del futuro eroe del Graal fosse il più valoroso e più cavalleresco cavaliere. Quando Lancillotto ha fatto visita al Castello di Corbenic, Pelles ha visto l’opportunità di rendere vera la profezia.
Egli ordinò alla serva (e fattucchiera, in alcune versioni essa era la Fata Morgana travestita) di dare a Lancillotto una pozione per renderlo inconsapevole di quello che faceva. Con l’aiuto di una pozione magica e di un travestimento, Elaine appare come Ginevra e per due volte riesce a farlo dormire con lei. Dall’unione, essa diventa madre di Galahad, il cavaliere del Graal.
21) Ogier il Danese
Ogier il Danese (in francese Ogier di Danimarca) è un carattere leggendario che compare per la prima volta nelle chanson de geste in francese antico, nel ciclo dei poemi Geste de Doon de Mayence. Anche se il personaggio è chiamato “il Danese” nei lavori più tardi, è possibile che Danimarca ordinariamente significasse i limiti delle Ardenne e non la Danimarca.
Possibili basi storiche
Nel XIImo secolo il cronista danese Saxo Grammaticus non era a conoscenza del personaggio ed Ogier non é stato collegato ad un qualsiasi avvenimento storico in Danimnarca. Tuttavia c’é una cronaca dal Monastero di san Martino in Colonia che afferma che quel monastero era stato saccheggiato dai Sassoni nel 778, ma che era stato ricostruito da un certo "Olgerus, dux Daniæ", con l’aiuto di Carlomagno.
Chansons de geste
Olgier fa la sua prima apparizione nella Chanson de Roland dell’XImo secolo, e più tardi in un certo numero di cronache in rima dal XIImo fino al XIVmo secolo, in cui la sua vita è elaborata considerevolmente con parecchie avventure.
Secondo la leggenda egli è il figlio di Geoffrey, Re di Danimarca. Nel La Chevalerie Ogier di Danimarca aveva un figlio che é stato ucciso da Charlot, figlio di Carlomagno. Cercando la vendetta, Ogier ha cercato ed ucciso Charlot, ed é stato appena impedito dall’uccidere Carlomagno stesso. Egli resistette a Carlomagno per sette anni. Ma poi fece pace con lui per combattere i Saraceni al suo fianco, nella quale battaglia ha abbattuto il gigante Brehus.
Ogier il Danese aveva una spada, detta Curtana, che, secondo la leggenda, portava l’iscrizione "My name is Cortana, of the same steel and temper as Joyeuse and Durendal." (il mio nome é Curtana, dello stesso acciaio e tempra come Joyeuese e Durendal).
Scandinavia
E’ verosimile che egli sia diventato conosciuto in Scandinavia nel XVmo secolo attraverso la traduzione della Karlamagnus saga, ma che divenne rapidamente popolare ed è stato dipinto nel XVmo secolo in due chiese in Danimarca e Svezia.
Nel 1515, Kristiern Pedersen viveva a Parigi, ed ivi tradusse una novella in prosa basata du cronache in rima nel danese Olger Danskes krönike, che è stato stampato nel 1534. Pedersen ha fatto diventare Ogier figlio di un re danese chiamato "Godfred", che lascia Ogier in ostaggio a Carlomagno. Questa traduzione è rapidamente popolare in Danimarca.
Come Federico Barbarossa, San Wenceslao e Re Artù nella leggenda danese Ogier diventa un Re di montagna e si dice che abbia vissuto nel castello di Kronborg, aveva una barba cresciuta lunga fino a terra, che avrebbe dormito lì fino ad una certa data ossia fina a quando la Danimarca sarebbe stata in un pericolo mortale, ed in quel momento sorgerà in piedi e libererà la nazione. In alcune versioni, Morgue Le Fay (la fata Morgana, comunemente nota come Morgan Le Fay) lo porta ad Avalon, da dove ritorna doopo duecento anni per salvare la Francia. Secondo le guide turistiche del Castello di Kronborg, la leggenda dice che Holger si è seduto dove si trova adesso ed avere camminato per tutta la strada dopo avere finito le sue battaglie in Francia.
22) Sir Hector de Maris
Sir Hector de Maris è un cavaliere della tavola rotonda in arturiano. Egli è il fratellastro di Lancelot e il figlio naturale di Ban, re di Benwick e della Lady de Maris. Sir Bors e Sir Lionel sono suoi cugini.
Hector de Maris partecipa alla ricerca del Graal, ma è uno dei molti cavalieri che si dimostrano indegni di raggiungere l'oggetto. Nella Quest du Saint Graal (ricerca del Santo Graal) del ciclo della Vulgata, Hector de Maris e Gawain viaggiano insieme quando arrivano ad una cappella in rovina dove passano la notte. Ciascuno ha un sogno meraviglioso. La mattina successiva, come essi si raccontano reciprocamente le loro rispettive visioni, vedono, "una mano che si faceva vedere fino al gomito ed era coperta con schamito rosso e sopra ciò era appesa una briglia, non abbondante, e teneva in pugno una grande candela che bruciava in modo chiaro e così passarono davanti a loro e quindi entrarono nella cappella e quindi scomparvero via ed essi non sapevano dove." Jessie Weston trovare questo una variante "poco intelligente" sul tema della pericolosa mano nera che si trova in altri romanzi del ciclo del Graal .
Quando Lancillotto viene sorpreso nel suo affare amoroso con Ginevra, Hector sta presso suo fratello e lascia la corte con lui. Egli diventa uno dei generali in capo di Lancillotto, e partecipa alla battaglia per salvare la regina dall’esecuzione ed alla difesa della Guardia gioiosa. Come tutta la sua famiglia, egli si unisce a Lancillotto in Francia, quando essi sono espulsi dal Regno di Artù, ed aiuta a sconfigere l'esercito condotto dai figli di Mordred dopo la battaglia di Camlann .
C’é un altro Hector nella leggenda arturiana, Sir Hector, il padre di Sir Kay e padre adottivo del Re Artù.
23) Sir Ector
Sir Ector è il padre adottivo di Re Artù nella leggenda arturiana (talvolta Hector, Antor o Ectorius ). Talvolta è un re anziché semplicemente un baronetto, ha una proprietà terriera in campagna nonché delle proprietà a Londra. In The Once and Future King (il Re di una volta e quello futuro) dice che le sue terre sono nella "Forest Sauvage" (Foresta Selvaggia); gli scrittori successivi hanno utilizzato anche questa dicitura.
Ector appare nelle opere di Robert de Boron e nel ciclo Lancillotto-Graal , come pure nei successivi adattamenti, come il ciclo della Post-Vulgata e nel Le Morte d'Arthur di Thomas Malory. In queste versioni, Merlino prende Artù dai suoi genitori naturali, re Uther Pendragon e Ygraine e lo porta nella proprietà terriera di Ector. Merlino non rivela la vera identità al ragazzo e Ector lo prende e lo alleva con Kay come suo figlio. Quando Kay è abbastanza vecchio per essere creato cavaliere, il pupillo di Ector funge da suo scudiero.
Merlin prevede la morte di Uther, fa sì che la sua spada (talvolta identificata con Excalibur ) sia infilata magicamente in una roccia (o in un’incudine su di una pietra) in modo che solo il legittimo erede al trono sarà in grado di rimuoverla. Quando muore Uther, si tiene a Londra un torneo in modo da fare accorrere tutti gli eredi potenziali nella zona ed Ector e i figli sono presenti. Kay rompe la spada durante il torneo, e Artù decide di trovargliene una nuova. Egli capita dove c’é la spada nella roccia, ma non capisce di cosa si tratta e la estrae facilmente. Quando dice a Kay dove l’ha avuta, Kay cerca di acquisire come suo il credito del miracolo. Tuttavia, Ector vede al di là della menzogna, e lui e Kay sono i primi a giurare lealtà al nuovo re. Entrambi sono cavalieri della tavola rotonda e rimangono fedeli a lui nel corso del suo regno.
Nelle storie gallesi, padre della Sir Kay invece è denominato Cyrnyr.
24) Sir Gawain
Gawain é un giovane uomo di circa vent’anni, ciò che si può vedere dalla sua pelle ancora senza rughe, dai suoi capelli biondi rossicci e dallo splendore dei suoi occhi chiari.
Con un’altezza di un metro e 82 cm., è al di sopra della media in rispetto ad altri uomini oppure anche altre razze. Il suo corpo, che mostra dei significativi fasci di muscoli, è ben allenato.
Tuttavia egli è segnato da poche raramente visibili cicatrici, che si è procurato con dei combattimenti nella sua patria, Dunkelhain.
Esse si trovaano sul suo avambraccio destro superiore, dove è statop colpito dalla spada di un ladro di scheletri e sulla schiena.
Da ultimo deve ringraziare una lotta con il mancato morto Mor'Ladim e la sua spada, alla quale è scampato solo per fortuna.
Il giovane paladino per lo più indossa, quando é in cammino per le città di questo mondo, il vestito nazionale, che gli è stato cucito dalla madre poco prima dellas partenza.
Esso è composto da una camicia dalla stoffa rosso bruna, dei pantaloni anch’essi rosso-bruni ed un robusto paio di stivali, che il padre del suo migliore amico morto gli aveva confezionato.
Inoltre egli porta sempre una camicia grigia, così come un paio di leggere stecche per le braccia di stoffa ed i guanti, questi ultimi avuti poco prima in regalo da una simpatica contadina nel bosco di Elwynn. Se tuttavia deve andare in battaglia, allora scivola dentro in un’armatura di lamiera, che egli stesso si è forgiata.
Sulla schiena ostenta una potente mazza, che egli maneggia sempre molto bene, laquale mostra solo raramente le tracce della battaglia.
Storia
Sono passati ora più di 22 anni superbi da quando il giovane Gawain in quello che già allora era oscuro Dunkelhain (lett. Boschetto scuro), ma ancora abbellito dal Mancato.Morto, ha visto la luce del mondo. La sua mamma era una bella giovane donna, I cui capelli rosso-biondi, erano stati ereditati dal suo rampollo, la quale si guadagnava da vivere il pane ed il companatico facendo la sarta.
Suo padre invece aveva fatto il fabbro ed era stato recrutato nell’esercito e nella seconda guerra era caduto in battaglia contro l’orda dei nemici.
La sua madre dovette crescere da sola il giovane Gawain, che con salda fede nella santa luce cos’ aveva chiamato e gli ha dato come secondo nome quello del suo padre morto, Meleagant.
Con la salda fede e l’amore della mamma, il giovane umo è cresciuto in un ambiente meraviglioso, nostante l’oscurità nel boscio del crepuscolo e le preoccupazioni che viovevano con lui quasi porta a porta, ed ha imparato da sua madre a leggere ed a scrivere.
Quelli che vivevano vicino a lui avevano bambini anche loro e così Gawain, che era sempre amabile ed amichevole, ebbe già dalla prima fanciullezza molti buoni amici.
Questi si sono abituati presto a chiamarlo con un soprannome, che poi era Mel.
Questo lo facevano per prima cosa perché essi trovavano il nome di suo padre che egli portava come secondo nome sostanzialmente stravagante ed anche divertente che non i suo nome effettivo Gawain, ed inoltre perché per loro il nome Meleagant era troppo lungo, ed allora lo accorciavano. Uno dei suoi amici più stretti, ed il primo che aveva avuto l’idea del soprannome, era il giovane Will Windfänger (Guglielmo Acchiappavento), il quale con lo scorrere degli anni è cresciuto come il migliore amico di Gawain. Quando Gawain è diventato più grande, erano passati circa 14 inverni nella vita del giovane, sono incominciate a diventare sempre più forti delle voci di un’epidemia nelle terre di Lordaeron, che giravano già da alcuni inverni.
Voleva dire dei personaggi non morti (degli zombi) correvano attraverso quelle terre e presto venne reso noto che il giovane principe Arthas Menetil di Lordaeron faceva delle ricerche su di loro.
Tuttavia di tutto questo nel Bosco Scuro, dove ci si arrabattava sempre con le preoccupazioni, non succedeva niente di più che delle voci.almeno fino a quando non è scoppiata la terza guerra, e la piaga degli zombi ha cominciato a spargersi totalmente sul mondo di Azeroth, è diventato noto quale dannazione s era diffusa. Anche sopra alla foresta del crepuscolo passava rapidamente la piaga. Anche dopo la caduta dei demoni gli zombi nel bosco non eranio scomparsi e prendevano sempre più piede nella cittàdi Dunkelhain.
La guardia della città, che denominava se stessa la “guardia notturna” è sta potenziata poiché il pericolo nel Dämmerwald si era ingrandito ad un punto tale ed ora lo si lasciava anche chiudere, tanto che alcuni dei più giovani, anche se questi erano ancora quasi bambini, e si chiudeva quindi anche Dunkelhain, e tra di loro c’era Gawain.
Sua madre diceva che lui era troppo giovane per questo, tuttavia egli voleva seguire l’esempio di suo padre e se anche non venuva fatto per la terra allora si doveva trascinare in battaglia per lo meno per la sua amata patria.
Anche il suo migliore amico Will lo ha seguito ed entrambi hanno iniziato assieme con gli altri della guardia notturna a pattugliare il Dämmerwald ed a lottare contro la peste ed i Non-Morti.
In una di queste battaglie è successo anche che Gawain venisse ferito all’avambraccio destro da una spada, che era portata da uno degli zombi, tuttavia grazie al suo buon amico, hanno vinto il mostro e Gawain è stato portato a Dunkelhain e curato. Sua madre si fece ora ancora più grosse preoccupazioni e lo supplicò di non combattere più al fianco della guardia notturna, ma Gawain non poteva fare altrimenti ed é ritornato presto in battaglia.
Così passava il tempo, e precisamente 4 inverni. Gawain e Will erano fieri dei loro 18 anni ed avevano fatte già buone esperienze in battaglia. Ogni giorno, prima della loro pattuglia in comune, il giovane Gawain pregava la santa luce affinché essa anche in quel giorno li volesse proteggere e quindi si misero in caamino per la loro patria. Essi combattevano delle dure battaglie, che a volte padroneggiavano oppure gli sfuggivano di mano, tuttavia un certo giorno non fu più così. Era in effetti un giorno come tutti gli altri, Gawain si mise a pregare al mattino e quindi partì in pattuglia assieme al suo migliore amico.
Con questo si misero in movimento andando vicini alla seconda città abbandonata e distrutta dalla fuga dei corvi dalla foresta del crepuscolo. Essi sapevano che cosa succedeva nel cimitero che si trovava lì dietro davanti a loro, degli zombi che si aggiravano da quelle parti e dove nemmeno i migliori della guardia notturna osavano andare da soli. Improvvisamente essi udirono un alto grido e cominciarono a correre.
Un uomo aveva gridato di paura e si è inginocchiato tremando su di una pietra tombale, e sopra di lui un possente zombo con un enorme lama in mano. Accorrendo in aiuto all’uomo, Gawain e Will si sono precipitatr in battaglia e lo spinsero a battersi. Tuttavia essi notarono molto rapidamente che non era affatto uno zombi abituale, ma che era ampiamente più potente ed agiva come se una volta fosse stato un grande combattente. Ancora ed ancora le spade di entrambi si scontravano con quella dello zombi, quando egli improvvisamente con un passo si preparò al colpo decisivo e strappò le gambe a Will. Gawain in questo momento il ben più grosso errore della sua vita, del quale si sarebbe pentito per sempre, egli si è girato ed gha gridato verso Will per chiedergli se tutto era a posto.
Proprio in questo momento ha sentito un dolore bruciante alla schiena, quando ha sentito la lama dello zombi e cascò senza conoscenza.
Era morto? Egli si sentiva come se il suo corpo bruciasse, era come se tutto il suo corpo stesse fondendo e odorava di sangue ed alcool´
Lentamente Gawain batté gli occhi e guardò sopra di sé, vedendo lo sguardo della madre sciolto in lacrime e pieno di pianto, tuttavia felice che suo figlio fosse vivo. Subito egli si spaventò fortemente e trasalì, la sua schiena dolorava ed il suo corpo si contraeva. Con leggera forza sua madre lo fece giacere di nuovo ed egli volle sapere subito una cosa, ossia dove fosse Will e se stessa bene?! Sua madre guardò imbarazzata verso il pavimento quando egli fece questa domanda e da un uomo nella stanza egli sentì dire:”Egli è lassù, mio giovane.” Come egli guardò l’uomo, e riconobbe il medico dell’ultima tempesta che era venuto spesso quando gli zombi non si erano ancora messi in cammino; il fatto che egli fosse lì doveva significare che gli zombi l’avevano ferito seriamente. Subito egli guardò dove aveva accennato il medico e dallo spavento gli si allargarono gli occhi.
Il suo migliore amico, che era stato per lui come un fratello, giaceva in una piccola bara, il suo corpo erra freddo e senza vita ed i suoi occhi rerano aperti dalla paura.
Vi abbiamo trovati entrambi due giorni prima del volo dei corvi.”, sentì dire dalla comandante delle guardie notturne, Altea Schwarzhaupt, che evidentemente si trovava anche lei nella stanza: “Non sappiamo assolutamente ciò che vi è successo, ma tu eri seriamente ferito e Will era già morto. Lo abbiamo posto nella bara e subito abbiamo chiamato il medico, che è arrivato ieri. Ha detto che saresti sopravvissuto e presto di saresti svegliato di nuovo, perch hai una forte voglia di vivere, Gawain.
Vogliamo aspettare a seppellirlo che ti vada meglio, affinché tu possa dirgli addio adeguatamente. “
Gawain fece cenno di sì, stando muto; egli capiva, tuttavia non aveva voluto guardare Will in tal modo. “Lo zombi era così forte…”
“Mor’Ladim.“, disse piano la giovane comandante.
“Un demonio che vaga sopra ai cimiteri, non so niente di più preciso su di lui, ma è incredibilmente forte. Non c’è assolutamente paragone con gli altri zombi lì sopra al cimitero del volo dei corvi.”. Gawain annui di nuovo, egli non voleva saperne più niente e quindi bevve un debole sonnifero datogli dal medico e tornò nell’oscurità, non quella della morte, ma quella del sonno.
La mattina successiva Gawain si svegliò molto presto, tuttavia più da morto che da vivo. Non mescolò la prima colazione della madre e non volle nemmeno prendere una medicina contro il dolore della sua ferita alla schiena. Avrebbe preferito morire. Quella mattina non pregò come di solito alla santa luce, ma piuttosto si vestì ed uscì fuori, appoggiandosi alle stampelle, e guardò la strada vuota, che portava verso il luogo del volo dei corvi.
Alla sera ebbe luogo l’interramento del suo amico e Gawain stette in piedi sopra alla tomba e pensava solo ad una cosa, ad ottenere la vendetta contro il mostro che aveva portato via la vita al suo amico.
Passarono alcune settimane. Fino a che la ferita fù guarita ed in questo tempo egli non volle prendere alcun antidolorifico, egli voleva sopportare il dolore, infatti non doveva essere niente in confronto a quello che doveva avere sentito Will poco prima di morire.
Come incominciò ad andargli meglio, egli abbandonò la guardia notturna ed iniziò ad allenearsi per diventare più forte. La morte di Will gli aveva reso chiaro che egli voleva fare di più, egli voleva evitare che gli uomini che egli amava dovessero morire, che morissero gli uomini della sua patria, e prima di tutto ancora una volta dovesse capitare che per causa sua qualcuno dovesse trovare la morte, poiché egli aveva indotto Will ad entrare a far parte della guardia notturna.
Egli incominciò di nuovo a pregare la santa luce e si pose come compito quello di diventare paladino, ma non solo quello, no certo.
Egli voleva diventare un paladino dell’ordine della mano d’argento; già da piccolo egli aveva amato sentire da sua madre le storie su Uther Portatore di Luce e sull’Ordine, sui paladini potenti la fede dei quali perdeva il potere alla luce e che avevano combattuto valorosamente contro le orde degli zombi..
Negli ultomo anni egli ha allenato quindi il suo spiritp e il suo corpo e si preparava al giorno in cui avrebbe abbandonato Dunkelhain, il giorno del suo 22mo compleanno. Quand il giorno è finalmente arrivato, il giovane rampollo è entrato in battaglia.
Per prima cosa egli ricevette da sua mnadre un vestito che essa stessa aveva cucito con stoffa di lino rosso-bruna e dal padre di Will, il migliore calzolaio di Dunkelhain, un solido paio di stivali. La sua prima meta è stata l’abbazia di Nordhain, dove ha iniziato la sua formazione come Paladino, con fede ferma e solo un desiderio, quello di entrare nell’Ordine della Mano d’argento e diventare un Paladino completamente formato, col pensiero rivolto al suo amico morto.

Re Artù
Re Artù, figlio del re Uther Pendragon, è un’importante figura delle leggende della Gran Bretagna, in cui appare come la figura del monarca ideale sia in pace sia in guerra. È il personaggio principale della Materia di Britannia, o Ciclo Bretone (o Ciclo arturiano), anche se non c’é accordo sul fatto che Artù, o una persona reale su cui il personaggio sia stato copiato, sia realmente esistito. Nelle citazioni più antiche al suo riguardo e nei testi in lingua gallese non viene mai definito re, ma dux bellorum ("signore delle guerre"). Antichi testi alto-medioevali in gallese lo chiamano ameraudur ("imperatore"), prendendo il termine dal latino, che potrebbe anche significare "signore della guerra".
Artù figura storica
La storicità di Re Artù è stata dibattuta a lungo dagli studiosi, ma nel tempo si è raggiunto un consenso quasi unanime nel ritenere sostanzialmente la figura del sovrano leggendaria. Una scuola di pensiero avanzerebbe l'ipotesi che sia vissuto nel tardo V secolo o agli inizi del VI secolo, che sia stato un romano-britannico e che abbia combattuto il paganesimo sassone. I suoi ipotetici quartieri generali si sarebbero trovati nel Galles o nella Cornovaglia, o ad ovest di ciò che sarebbe divenuta l'Inghilterra. Ad ogni modo, le controversie sul centro e sul tipo stesso di potere che esercitava continuano tutt'oggi.
C’è chi sostiene che la figura di Artù possa coincidere con quella di un certo Riotamo, “re dei Bretoni”, attivo durante il regno dell'imperatore romano Antemio. Sfortunatamente, Riotamo è una figura minore di cui sappiamo ancora poco e nemmeno gli studiosi sono in grado di capire se i "bretoni" che comandava erano i britannici o gli abitanti dell'Armorica. Altri studi portano ad identificarlo con Ambrosio Aureliano, un signore della guerra romano-britannico che vinse alcune importanti battaglie contro gli anglosassoni, tra cui la battaglia del Monte Badon .
Altri suggeriscono di identificarlo con Lucio Artorio Casto, un dux romano del II secolo, i cui successi militari in Britannia sarebbero stati tramandati nei secoli successivi. Ufficiale (col rango di praefectus) della VI legione in Britannia, potrebbe aver guidato un'unità di cavalieri sarmati (provenienti dall’Ucraina meridionale), stanziati a Ribchester, che conducevano campagne militari a nord del vallo di Adriano. Le imprese militari di Casto in Britannia e Armorica (odierna Bretagna) potrebbero essere state ricordate per i secoli successivi e aver contribuito a formare il nucleo della tradizione arturiana, così come le tradizioni portate dai sarmati.
C'è anche chi parla dell'usurpatore romano Magno Massimo.
Un'altra teoria è quella secondo cui il nome di Artù sarebbe in realtà un titolo portato da Owain Ddantgwyn, che sembrerebbe essere stato un re di Rhôs. Si è fatta anche l’ipotesi che egli sarebbe in realtà un re dell'età del bronzo, circa 2300 a.C.: estrarre una spada da una roccia sarebbe infatti una metafora della costruzione di una spada e della sua estrazione dalla forma dopo la fusione.
Altre supposizioni si basano sul fatto che Artù fosse Arthuir mac Aedàn, figlio di re Aedàn mac Gabràin della Dalriada, un signore della guerra Scozzese che guidò gli Scoti di Dalriada contro i Pitti. Secondo questa teoria, Artù avrebbe quindi svolto le sue azioni di guerra soprattutto nella regione tra il Vallo di Adriano e quello di Antonino (area del Gododdin). Per alcuni Artù potrebbe addirittura essere stato lo stesso Aedàn mac Gabràin. E c'è chi pensa che Artù avrebbe comandato una coalizione di celti cristiani contro gli invasori pagani, riuscendo a tenerli lontani per un centinaio d'anni circa.
Ad ogni modo, si hanno svariati omonimi, o persone con nomi simili, nella sua generazione e si può pensare che siano poi stati riuniti dalle credenze popolari e tramandati come se fossero un'unica entità. Ed ecco così spuntare Arthnou, un principe di Tintagel (in Cornovaglia), che visse nel VI secolo, oppure Athrwys ap Meurig, re del Morganwg (odierno Glamorgan) e del Gwent (due aree del Galles). Artù potrebbe quindi essere un semplice collage di tutte queste figure mitologiche o storiche.
Artù figura leggendaria
Il nome Arthur, che come antroponimo risulta storicamente attestato nella Pietra di Artù, in lingua celtica continentale significa orso, simbolo di forza, stabilità e protezione, caratteri anche questi ben presenti in tutta la leggenda. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale, e l'orso è l'animale simbolo per eccellenza della regalità. Anche sulla base del suo nome, una scuola di pensiero ritiene che la figura di Artù non abbia nessuna consistenza storica e che si tratterebbe di una semi-dimenticata divinità celtica poi trasformata dalla tradizione orale in un personaggio realmente esistito, come sarebbe accaduto per Lir, dio del mare, divenuto poi re Lear. In gallese la parola arth significa "orso" e tra i celti continentali (anche se non in Britannia) esistevano molte divinità-orso chiamate Arthos o Artio. È probabile che queste divinità sarebbero state portate dai Celti in Britannia. Va anche notato che la parola gallese arth, quella latina arctus e quella greca arctos significano "orso". Inoltre, Artù è chiamato l'"Orso di Britannia" da alcuni scrittori. "Arktouros" ("Arcturus" per i Romani), ovvero "guardiano dell'orsa", e "Arturo" in italiano) era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, o Arcade, re dell'Arcadia e figlio di Callisto, che invece era stata trasformata nella costellazione dell'Orsa Maggiore ("Arctus" per i Romani). Altre grafie esistenti del suo nome sono Arzur, Arthus o Artus. L'epiteto di "Pendragon" gli viene invece dal padre, Uther Pendragon.
Antiche tradizioni
Artù appare per la prima volta nella letteratura gallese: in un antico poema in questa lingua, Y Gododdin (circa 594), il poeta Aneirin (535-600) scrive di uno dei suoi sudditi che lui "nutriva i corvi neri sui baluardi, pur non essendo Artù". Ad ogni modo, questo poema è ricco di inserimenti posteriori e non è possibile sapere se questo passaggio sia parte della versione originale o meno. Possiamo però fare riferimento ad alcuni poemi di Taliesin, che sono presumibilmente dello stesso periodo: The Chair of the Sovereign, che ricorda un Artù ferito; Preidden Annwn ("I Tesori di Annwn"), cita "il valore di Artù" e afferma che "noi partimmo con Artù nei suoi splendidi labours"; poi il poema Viaggio a Deganwy, che contiene il passaggio "come alla battaglia di Badon con Artù, il capo che organizza banchetti/conviti, con le sue grandi lame rosse dalla battaglia che tutti gli uomini possono ricordare".
Un'altra citazione è nell'Historia Brittonum, attribuita al monaco gallese Nennio, che forse scrisse questo compendio dell'antica storia del suo paese nell'anno 830 circa. Nuovamente, quest'opera ci descrive Artù come un "comandante di battaglie", piuttosto che come un re. Due fonti distinte all'interno di questo scritto ricordano almeno 12 battaglie in cui avrebbe combattuto, culminando con la battaglia del Monte Badon, dove si dice abbia ucciso, da solo con una sola mano, addirittura 960 avversari.
Secondo gli Annales Cambriae, Artù sarebbe stato ucciso durante la battaglia di Camlann nel 537.
Appare inoltre in numerose vite di santi del VI secolo, ad esempio la vita di san Illtud, che alla lettura sembra essere scritta verso il 1140, dove si dice che Artù fosse un cugino di quell'uomo di chiesa. Molte di queste opere dipingono Artù come un fiero guerriero, e non necessariamente moralmente impeccabile come nei successivi romanzi. Secondo la Vita di San Gildas (morto intorno all'anno 570), opera scritta nel XI secolo da Caradoc di Llanfarcan, Artù uccise Hueil, fratello di Gildas, un pirata dell'isola di Man.
Attorno al 1100 Lifris di Llancarfan asserisce nella sua Vita di san Cadoc che Artù è stato migliorato da Cadoc. Cadoc diede protezione ad un uomo che aveva ucciso tre dei soldati di Artù, che ricevé del bestiame da Cadoc come contropartita per i suoi uomini. Cadoc glielo portò come richiesto, ma quando Artù prese possesso degli animali, questi furono trasformati in felci. Il probabile scopo originale di questa storia sarebbe quello di promuovere l'accettazione popolare della nuova fede cristiana "dimostrando" che Cadoc aveva poteri magici attribuiti tradizionalmente ai druidi e così intensi da "battere" Artù. Avvenimenti simili sono descritti nelle tarde biografie medioevali di Carannog, di Padern e Goeznovius.
Artù compare anche nel racconto in lingua gallese Cullwch e Olwen, solitamente associato con il Mabinogion: Culhwch visita la corte di Artù per cercare il suo aiuto per conquistare la mano di Olwen. Artù, che è definito suo parente, acconsente alla richiesta e compie quelle del padre di Olwen, il gigante Ysbaddaden (tra cui la caccia al grande cinghiale Twrch Trwyth). Questo può essere riportato alla leggenda dove Artù è dipinto come il capo della caccia selvaggia, un tema popolare che è ricordato anche in Bretagna, Francia e Germania.
Roger S. Loomis ha elencato questi esempi (Loomis 1972). Gervasio di Tilbury nel XIII secolo e due scrittori del XV secolo assegnano questo ruolo ad Artù. Gervasio afferma che Artù e i suoi cavalieri cacciavano regolarmente lungo un antico tratto tra Cadbury e Glastonbury (che è ancora conosciuta come King Arthur’s Causeway), e si pensa che lui e la sua compagnia di cavalieri possa essere vista a mezzanotte nella foresta di Brittany o Savoy in Gran Bretagna. Loomis allude a un cenno scozzese nel XVI secolo, e afferma che molte di queste credenze fossero ancora ricorrenti nel XIX secolo al Castello di Cadbury e in diverse parti della Francia. Più tardi parti del Troedd Ynys Pryde, o Welsh Triads, menzionano Artù e collocano la sua corte a Celliwig in Cornovaglia. Celliwig è stata identificata con la città di Callington dagli anziani antiquari Celtici, ma Rachel Bromwich, l'ultimo editore delle Welsh Triads, afferma che sia in realtà Kelly Rounds, una fortezza nei pressi della parrocchia celtica di Egloshayle.
Il ciclo arturiano
La prima grande popolarizzazione della leggenda di re Artù fu il romanzo di Goffredo di Monmouth Historia Regum Britanniae, un equivalente medievale del best-seller che aiutò a riportare l'attenzione di altri scrittori, come Robert Wace e Layamon, che espanse la novella di Artù. La data dell'Historia è determinata come 1133 da un piccolo gruppo di esperti; ad ogni modo, la data è più normalmente determinata come 1138, come indicano le seguenti citazioni:
Geoffrey rimase a Oxford per lo meno fino al 1151 e durante questo periodo scrisse i suoi due lavori ancora esistenti, Historia regum Britanniae (1136-1138; "History of the Kings of Britain") e Vita Merlini (ca. 1148; "The Life of Merlin").
Le spade di Artù
Nel Merlin di Robert de Boron, successivamente ripreso e continuato da Thomas Malory, re Artù ottiene il trono estraendo una spada da una roccia. Nel racconto estrarre la spada è possibile solo a colui che è "il vero re", inteso come l'erede di Uther Pendragon. La spada del racconto è presumibilmente la famosa Excalibur; la sua identità viene infatti resa esplicita nel seguito chiamato Vulgate Merlin Continuation.
Ciò nonostante, in quello che viene chiamato Post-Vulgate Merlin, Excalibur viene donata a re Artù dalla Dama del lago dopo che Artù è già re (Artù ottiene la spada prendendola dalla mano della Dama che esce fuori da un lago e gli porge l'Excalibur). Secondo diverse fonti Artù distrugge la spada estratta dalla roccia mentre sta combattendo contro re Pellinore, per questo Merlino permetterà ad Artù di ottenere la Excalibur dal lago (così come citato in diversi romanzi tra cui King Arthur and His Knights e King Arthur and the legend of Camelot di Howard Duke e naturalmente molti romanzi moderni basati sulla saga arturiana).
In questa versione la lama della spada è in grado di tagliare qualunque materiale e il suo fodero è in grado di rendere invincibile chiunque lo indossi. Alcune storie narrano che Artù sia riuscito ad estrarre la spada dalla roccia dandogli il diritto a diventare re (e quella spada era Excalibur) ma che l'abbia gettata via una volta che lui, tramite essa, uccise accidentalmente un suo cavaliere. Merlino allora gli consigliò di trovare una nuova lama, cosa che succede quando Artù riceve la spada dalla Dama del lago. Anche questa nuova spada verrà chiamata da Artù "Excalibur" così da avere lo stesso nome della originale e precedente spada.
La spada appare la prima volta con il nome di Caliburn nel racconto di Geoffrey di Monmouth. L'autore afferma che nella battaglia contro Artù "nought might armour avail, but that Caliburn would carve their souls from out them with their blood."

1. Artù difende il paese di Galles, sua patria.
Sbarcando nelle isole che formano la Gran Bretagna attuale, i Romani vi incontrarono i Celti, che chiamarono “Picti”, uomini dipinti. Si indicano ancora oggi col nome di “Picti”, i primi abitanti dell’antica Scozia. I popoli celtici, ritirandosi davanti all’invasore, si stabilirono definitivamente sui monti del paese di Galles e della Scozia, donde, nei secoli seguenti, fecero delle frequenti incursioni guerresche nelle fertili pianure. Stanchi di tali atti briganteschi, i Sassoni, condotti dal loro capo Cedrik di Wessex, invasero alla loro volta il paese di Galies, ma ne furono respinti dai Celti capitanati dal loro re Artù. L'arredo sommario dei montanari non consentì loro di cimentarsi in un'azione campale coi Sassoni, ben provvisti d'armi offensive e difensive. Ad onta però di tale inferiorità materiale, i celti uscirono vittoriosi dallo scontro col far rotolare del pezzi di roccia sugli assalitori e col coprirli di una grandine di frecce.
2. Corteo nuziale di Artù e Ginevra.
Artù succedette a suo padre il re Uter nel 516 e fissò la sua residenza a Carleon, piccola città sulle rive dell'Usk nel paese di Galles. Poco dopo la sua assunzione al trono sposò la figlia di un duca di Cornovaglia, la bella Ginevra, che condusse nel suo castello. La nostra vignetta rappresenta il corteo nuziale di Artù e di Ginevra, condotto da un druido verso la dimora reale, ove un banchetto, copiosamente innaffiato, chiuderà la cerimonia. Si usava presso i Celti di portare dietro la novella sposa un fuso inghirlandato simboleggiante la dignità di padrona di casa. Un fanciullo precedeva recando un ramo fiorito; i parenti e gli invitati chiudevano il corteo e portavano rami di betulla e delle pertiche adorni di nastri che si distribuivano dopo la festa.
3. La tavola rotonda.
A Caerleon Artù teneva la sua splendida corte, si radunavano centinaia di prodi cavalieri e di belle dame. I più festeggiati, tra i nobili compagni del re: Lancillotto, Parsifal, il Cavaliere del Cigno, Ivano, Govino, Wigamur, Wigalois e qualche altro, in tutto dodici, formavano. la celebre tavola rotonda presieduta dallo stesso sovrano in persona. L'essere chiamato a partecipare a quel circolo eletto equivaleva ad un supremo onore. La nostra vignetta rappresenta gli eroi convenuti ad una giuliva bicchierata: i corni per bere, pieni di idromele e di vini spiritosi, passano da una mano all'altra, mentre un vecchio bardo, accompagnandosi coll’arpa, canta le prodezze degli antenati.
4. Artù sbarca in Irlanda ed esige un tributo.
Di fronte alla costa Gallese si stende l'Irlanda, “la verde Erin”, di cui gli abitanti, sebbene della medesima razza dei Gallesi, erano loro continuamente ostili. Il re Artù si propose di muover loro una guerra di rappresaglie. Capitanando un forte naviglio, veleggiò verso le sponde nemiche, e sottomise rapidamente, l'uno dopo l'altro, i capi di clan dell'isola, che volle suoi tributari. La nostra vignetta mostra il re seduto sopra un masso di pietra sotto un tasso, che accoglie i messi dei vinti, recantigli, in segno di sottomissione, del miele in anfore ed in favi e dello stagno. Lo stagno, fino dai tempi dei Fenici, costituiva uno degli articoli di esportazione fra i più ricercati
delle isole Britanniche.
5. Parsifal è spedito alla ricerca di avventure
I cavalieri della Tavola rotonda partivano, secondo l'uso del tempi, soli o in piccoli gruppi, per lontani paesi in cerca di avventure. Il compito principale dei nobili guerrieri consisteva nel proteggere gli oppressi, ed infatti i cavalieri erranti
traevano sempre la loro spada in difesa di una buona causa. La nostra vignetta rappresenta il cavaliere Parsifal che si accommiata dal re e dalla regina all'atto di partire per la Bretagna. La sua nave lo aspetta presso la spiaggia; una lamiera piena di pece avvampa in cima all'albero. Il suo fedele corsiero è stato ornato dì nastri multicolori da mani graziose, e una ghirlanda di fiori cinge la fronte del giovane eroe.
6. La morte di Artù
Dopo molte lotte vittoriose Artù cadde mortalmente ferito in un combattimento contro suo nipote Mordred, che gli si era ribellato. Nella piccola isola fluviale di Avalon, solitamente deserta, in quel giorno si combatteva furiosamente una battaglia in cui il re doveva perire. Appena ferito alcuni fedeli compagni si affrettarono intorno a lui per allontanarlo dalla mischia e deporlo presso un dolmen. Sul punto di spirare egli chiese ancora il suo bardo per udire un ultimo canto, e fu agli accenti guerrieri del suo fedele cantore ch'egli rese l'anima. Pochi anni dopo la sua scomparsa, la leggenda si impossessò della sua vita, e fece di lui un semidio della nazione Gallese.

1. Artù difende il paese di Galles, sua patria.
Sbarcando nelle isole che formano la Gran Bretagna attuale, i Romani vi incontrarono i Celti, che chiamarono “Picti”, uomini dipinti. Si indicano ancora oggi col nome di “Picti”, i primi abitanti dell’antica Scozia. I popoli celtici, ritirandosi davanti all’invasore, si stabilirono definitivamente sui monti del paese di Galles e della Scozia, donde, nei secoli seguenti, fecero delle frequenti incursioni guerresche nelle fertili pianure. Stanchi di tali atti briganteschi, i Sassoni, condotti dal loro capo Cedrik di Wessex, invasero alla loro volta il paese di Galies, ma ne furono respinti dai Celti capitanati dal loro re Artù. L'arredo sommario dei montanari non consentì loro di cimentarsi in un'azione campale coi Sassoni, ben provvisti d'armi offensive e difensive. Ad onta però di tale inferiorità materiale, i celti uscirono vittoriosi dallo scontro col far rotolare del pezzi di roccia sugli assalitori e col coprirli di una grandine di frecce.
2. Corteo nuziale di Artù e Ginevra.
Artù succedette a suo padre il re Uter nel 516 e fissò la sua residenza a Carleon, piccola città sulle rive dell'Usk nel paese di Galles. Poco dopo la sua assunzione al trono sposò la figlia di un duca di Cornovaglia, la bella Ginevra, che condusse nel suo castello. La nostra vignetta rappresenta il corteo nuziale di Artù e di Ginevra, condotto da un druido verso la dimora reale, ove un banchetto, copiosamente innaffiato, chiuderà la cerimonia. Si usava presso i Celti di portare dietro la novella sposa un fuso inghirlandato simboleggiante la dignità di padrona di casa. Un fanciullo precedeva recando un ramo fiorito; i parenti e gli invitati chiudevano il corteo e portavano rami di betulla e delle pertiche adorni di nastri che si distribuivano dopo la festa.
3. La tavola rotonda.
A Caerleon Artù teneva la sua splendida corte, si radunavano centinaia di prodi cavalieri e di belle dame. I più festeggiati, tra i nobili compagni del re: Lancillotto, Parsifal, il Cavaliere del Cigno, Ivano, Govino, Wigamur, Wigalois e qualche altro, in tutto dodici, formavano. la celebre tavola rotonda presieduta dallo stesso sovrano in persona. L'essere chiamato a partecipare a quel circolo eletto equivaleva ad un supremo onore. La nostra vignetta rappresenta gli eroi convenuti ad una giuliva bicchierata: i corni per bere, pieni di idromele e di vini spiritosi, passano da una mano all'altra, mentre un vecchio bardo, accompagnandosi coll’arpa, canta le prodezze degli antenati.
4. Artù sbarca in Irlanda ed esige un tributo.
Di fronte alla costa Gallese si stende l'Irlanda, “la verde Erin”, di cui gli abitanti, sebbene della medesima razza dei Gallesi, erano loro continuamente ostili. Il re Artù si propose di muover loro una guerra di rappresaglie. Capitanando un forte naviglio, veleggiò verso le sponde nemiche, e sottomise rapidamente, l'uno dopo l'altro, i capi di clan dell'isola, che volle suoi tributari. La nostra vignetta mostra il re seduto sopra un masso di pietra sotto un tasso, che accoglie i messi dei vinti, recantigli, in segno di sottomissione, del miele in anfore ed in favi e dello stagno. Lo stagno, fino dai tempi dei Fenici, costituiva uno degli articoli di esportazione fra i più ricercati
delle isole Britanniche.
5. Parsifal è spedito alla ricerca di avventure
I cavalieri della Tavola rotonda partivano, secondo l'uso del tempi, soli o in piccoli gruppi, per lontani paesi in cerca di avventure. Il compito principale dei nobili guerrieri consisteva nel proteggere gli oppressi, ed infatti i cavalieri erranti
traevano sempre la loro spada in difesa di una buona causa. La nostra vignetta rappresenta il cavaliere Parsifal che si accommiata dal re e dalla regina all'atto di partire per la Bretagna. La sua nave lo aspetta presso la spiaggia; una lamiera piena di pece avvampa in cima all'albero. Il suo fedele corsiero è stato ornato dì nastri multicolori da mani graziose, e una ghirlanda di fiori cinge la fronte del giovane eroe.
6. La morte di Artù
Dopo molte lotte vittoriose Artù cadde mortalmente ferito in un combattimento contro suo nipote Mordred, che gli si era ribellato. Nella piccola isola fluviale di Avalon, solitamente deserta, in quel giorno si combatteva furiosamente una battaglia in cui il re doveva perire. Appena ferito alcuni fedeli compagni si affrettarono intorno a lui per allontanarlo dalla mischia e deporlo presso un dolmen. Sul punto di spirare egli chiese ancora il suo bardo per udire un ultimo canto, e fu agli accenti guerrieri del suo fedele cantore ch'egli rese l'anima. Pochi anni dopo la sua scomparsa, la leggenda si impossessò della sua vita, e fece di lui un semidio della nazione Gallese.

Fonte: http://www.liebig-favole-cataloghi.it/FAVOLE%20LIEBIG/B152ARTU.DOC

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