Martin Heidegger la questione della tecnica

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Martin Heidegger la questione della tecnica

 

Martin Heidegger
LA QUESTIONE DELLA TECNICA

Tutti conoscono le due risposte che si danno alla nostra domanda. La prima dice: la tecnica è un mez-zo in vista dei fini. L'altra dice: la tecnica è un'attività dell'uomo. Queste due definizioni della tecnica sono connesse. Proporsi degli scopi e apprestare e usare i mezzi in vista di essi, infatti, è un'attività dell'uomo. All'essenza della tecnica appartiene l'apprestare e usare mezzi, apparecchi e macchine, e vi appartengono anche questi apparati e strumenti stessi, come pure i bisogni e i fini a cui essi servono. La totalità di questi dispositivi è la tecnica. Essa stessa è un dispositivo, o in latino, un instrumentum.
La rappresentazione comune della tecnica, per cui essa è un mezzo e un'attività dell'uomo, può perciò denominarsi la definizione strumentale e antropologica della tecnica.
Chi vorrà negare che sia esatta? Essa si conforma chiaramente a ciò che si ha davanti gli occhi quando si parla di tecnica. La definizione strumentale di tecnica è così straordinariamente esatta che vale an-che per la tecnica moderna, la quale peraltro viene generalmente considerata, e con una certa ragione, qualcosa di completamente diverso dalla tecnica artigianale del passato. Anche una centrale elettrica, con le sue turbine ed i suoi generatori, è un mezzo apprestato dall'uomo per uno scopo posto dall'uo-mo. […]
Ma nell'ipotesi che la tecnica non sia un puro mezzo che ne sarà della volontà di dominarla? […] Fino a che non ci dedicheremo a questi problemi, la causalità, e con essa la strumentalità, e insieme con questa la definizione corrente della tecnica, resteranno qualcosa di oscuro e non-fondato.
[Le cause. ] L'argento è ciò di cui il calice è fatto. In quanto materia di esso, è corresponsabile del ca-lice. Questo deve all'argento ciò in cui consiste. Ma l'oggetto sacrificale non rimane debitore solo dell'argento. In quanto calice, ciò che è debitore dell'argento appare nell'aspetto di calice e non di fib-bia o di anello. L'oggetto sacrificale è quindi anche debitore dell'aspetto di calice. L'argento, in cui l'a-spetto di calice è fatto entrare, e l'aspetto in cui l'argento appare, sono entrambi corresponsabili dell'oggetto sacrificale.
Responsabile di esso rimane però, anzitutto un terzo. Questo è ciò che preliminarmente racchiude il calice nel dominio della consacrazione dell'offerta. Da questo esso è circoscritto come oggetto sacrifi-cale. Ciò che circoscrive de-finisce la cosa. Ma con tale fine la cosa non cessa, anzi a partire da essa comincia ad essere ciò che sarà dopo la produzione. Ciò che de-finisce e compie, in questo senso, si chiama in greco telos, termine che troppo spesso si traduce con "fine" o "scopo" travisandone il senso. Il telos risponde di ciò che, come materia e come aspetto, è corresponsabile dell'oggetto sacrificale.
C'è infine un quarto corresponsabile della presenza e dell'esser disponibile dell'oggetto sacrificale compiuto: è l'orafo, ma non in quanto egli operando, causi il calice compiuto come effetto di un fare, cioè non in quanto causa efficiens.
La dottrina di Aristotele non conosce né la causa che si indica con un tal nome, né usa un termine gre-co corrispondente.
L'orafo considera e raccoglie i tre modi menzionati dell'esser-responsabile. Riflettere, considerare, in greco si dice legein, lògos. Questo si fonda sull'hypokeìmenon, il far apparire. L'orafo è corresponsabi-le come ciò da cui la produzione e il sussistere del calice sacrificale ricevono la loro prima emergenza e la conservano. I tre modi dell'esser-responsabile menzionati prima devono alla considerazione dell'o-rafo il fatto ed il modo del loro apparire ed entrare in gioco nella produzione del calice sacrificale.
Nell'oggetto sacrificale presente e disponibile si dispiegano quindi quattro modi dell'esser responsabile. Sono distinti fra loro e tuttavia connessi. Che cos'è che li tiene preliminarmante uniti? A che livello si costituisce la connessione dei quattro modi dell'essere responsabile? Donde proviene l'unità delle quat-tro cause? Che cosa significa, insomma, pensato in modo greco, questo esser responsabile?
Noi moderni siamo troppo facilmente inclini a intendere l'esser responsabile in senso morale, come una mancanza, oppure a interpretarlo come un operare. In entrambi i casi ci precludiamo la via a capi-re il senso originario di ciò che più tardi è stato chiamato causalità. Finché questa via non è aperta, neppure potremo scorgere che cosa sia propriamente la strumentalità che si fonda sulla causalità.
Per difenderci da tali fraintendimenti dell'esser-responsabile, cerchiamo di chiarire i suoi quattro modi a partire da ciò di cui essi rispondono. Nel nostro esempio, essi rispondono dell'esser dinanzi a noi e disponibile del calice d'argento come oggetto sacrificale. L'esser dinnanzi a noi e l'esser disponibile ca-ratterizzano la presenza di una cosa-presente. I quattro modi dell'esser-responsabile portano qualcosa all'apparire. Fanno sì che questo qualcosa si avanzi nella presenza. Essi lo liberano per questo suo avanzare, cioè per il suo compiuto avvento. L'esser responsabile ha il carattere fondamentale di questo lasciar-avanzare nell'avvento. Nel senso di questo lasciar avanzare l'esser-responsabile è il far avveni-re. Sulla base del senso che i greci annettevano all'esser-responsabile, alla aitia, noi diamo ora all'e-spressione far-avvenire un significato più ampio, in modo che esso indichi l'essenza della causalità nel senso greco. Il significato comune e ristretto del termine "cagionare" esprime invece solo qualcosa co-me una spinta od un impulso iniziale, e indica una specie secondaria di causa nell'insieme di causalità.
In che ambito si dispiega la connessione dei quattro modi del far-avvenire? Essi fanno avvenire nella presenza ciò che non è ancora presente. Essi sono dunque tutti egualmente dominati da un portare, quello che porta ciò che è presente all'apparire. Che cosa sia questo portare, ce lo dice Platone in un passo del Simposio: "Ogni far-avvenire di ciò che - qualunque cosa sia - dalla non presenza passa e si avanza nella presenza è pro-duzione.
[Disvelatezza.] Pro-duzione si da solo in quanto un nascosto viene nella disvelatezza […] Ma dove siamo andati a perderci? Il nostro problema è quello della tecnica, e ora siamo arrivati all' aletheia, al disvelamento. Che ha da fare l'essenza della tecnica con il disvelamento? Rispondiamo: tutto […] Se poniamo con ordine il problema di che cosa sia veramente la tecnica concepita come mezzo, arriviamo passo a passo al disvelamento. In esso si fonda la possibilità di ogni azione producente.
La tecnica, dunque, non è semplicemente un mezzo. La tecnica è un modo del disvelamento Se fac-ciamo attenzione a questo fatto, ci si apre davanti un ambito completamente diverso per l’essenza del-la tecnica. E’ l’ambito del disvelamento, cioè la verità. […]
Che cos'è la tecnica moderna? Anch'essa è disvelamento. Solo quando fermiamo il nostro sguardo su questo tratto fondamentale ci si manifesta quel che vi è di nuovo nella tecnica moderna.
Il disvelamento che governa la tecnica moderna, tuttavia, non si dispiega in un pro-durre nel senso del-la poiesis. Il disvelamento che vige nella tecnica moderna è una pro-vocazione la quale pretende dalla natura che essa fornisca energia che possa come tale essere estratta e accumulata. Ma questo non vale anche per l’antico mulino a vento? No. Le sue ali girano sì spinte dal vento, e rimangono dipendenti da suo soffio. Ma il mulino a vento non ci mette a disposizione le energie delle sue correnti aree perché le accumuliamo. […]

All’opposto, una determinata regione viene pro-vocata a fornire all’attività estrattiva carbone e mine-rali. La terra si disvela ora come bacino carbonifero, il suolo come riserva di minerali. In modo diver-so appare il terreno che un contadino coltivava, quando coltivare voleva ancora dire accudire e cura-re. […] L’agricoltura è diventata industria meccanizzata dell’alimentazione.
La centrale idroelettrica non è costruita nel Reno come l’antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all’altra. Qui è il fiume, invece, che è incorporato nella costruzione della centrale. Esso è ciò che ora, come fiume, è, cioè produttore di forza idrica, in base all’essere della centrale. […]
Il disvelamento che governa la tecnica moderna ha il carattere dello Stellen, del ‘richiedere’ nel senso della pro-vocazione. […La provocazione è un ] promuove in quanto apre e mette fuori. Questo pro-muovere, tuttavia, rimane fin da principio orientato a promuovere, cioè a spingere avanti, qualcosa d'altro verso la massima utilizzazione ed il minimo costo. Il carbone estratto nel bacino carbonifero non è richiesto solo affinché sia in generale e da qualche parte disponibile. Esso è immagazzinato, cioè "messo a posto" in vista dell'impiego del calore solare in esso accumulato. Quest'ultimo viene provoca-to a riscaldare, e il riscaldamento prodotto è impiegato per fornire vapore la cui pressione muove il meccanismo mediante il quale una fabbrica resta in attività. […]
[Il fondo.] La parola "fondo" prende qui il significato di un termine-chiave. Esso caratterizza niente-meno che il modo in cui è presente tutto ciò che ha rapporto al disvelamento pro-vocante. Ciò che sta nel senso del "fondo", non ci sta più di fronte come oggetto.
Eppure un aereo da trasporto che sta sulla sua pista di decollo è ben un oggetto. Sicuro. Possiamo rap-presentarci la macchina in questi termini. Ma in tal caso essa si nasconde nel che cosa e nel come del suo essere. Si disvela, sulla sua pista, solo in quanto "fondo", nella misura in cui è impiegata per assi-curare la possibilità del trasporto. In vista di ciò bisogna che essa, in tutta la sua struttura, in ognuna delle sue parti costitutive, sia pronta all'impiego, cioè pronta a partire. (Qui sarebbe il luogo di discute-re la definizione hegeliana della macchina come strumento indipendente.) Confrontata con lo strumen-to del lavoro artigianale, questa caratterizzazione è giusta. Solo che, appunto, la macchina viene in tal modo pensata in base all'essenza della tecnica, alla quale invece appartiene. Vista dal punto di vista del "fondo", la macchina è il puro e semplice contrario dell'indipendenza; essa ha infatti la sua posi-zione solo in base all'impiego dell'impiegabile.
Il fatto che, in questo nostro sforzo di mostrare la tecnica moderna come disvelamento pro-vocante, si facciano avanti termini come "richiedere", "impiegare", "fondo", e si accumulino in un modo scarno, uniforme e perciò anche noioso - tutto questo ha la sua ragion d'essere in ciò che qui viene in questio-ne.
Chi compie il richiedere provocante mediante il quale ciò che si chiama il reale viene disvelato come "fondo"? Evidentemente l'uomo. In che misura egli è capace di un tale disvelamento? L'uomo può bensì rappresentarsi questa o quella cosa in un modo o in un altro, e così pure in vari modi foggiarla e operare con essa. Ma nella disvelatezza entro la quale di volta in volta il reale si mostra o si sottrae, l'uomo non ha alcun potere. Il fatto che a partire da Platone il reale si mostri alla luce di idee non è qualcosa che sia stato prodotto da Platone. Il pensatore ha solo risposto a ciò che gli ha parlato.
Solo nella misura in cui l'uomo è già, da parte sua, pro-vocato a mettere allo scoperto le energie della natura, questo disvelamento impiegante può verificarsi. Se però l'uomo è in tal modo pro-vocato e im-piegato, non farà parte anche lui, in modo ancora più originario che la natura, del "fondo"? Il parlare comune di "materiale umano", di "contingente di malati" di una clinica, lo fa pensare. La guardia fore-stale che nel bosco misura il legname degli alberi abbattuti e che apparentemente segue nello stesso modo di suo nonno gli stessi sentieri è oggi impiegata dall'industria del legname, che lo sappia o no. […]
[L’uomo] non diventa mai puro ‘fondo.’ […]
Nell'imposizione accade la disvelatezza conformemente alla quale il lavoro della tecnica moderna di-svela il reale come "fondo". Essa non è dunque soltanto un'attività dell'uomo, né un puro e semplice mezzo all'interno di tale attività. La concezione puramente strumentale, puramente antropologica, della tecnica, diventa caduca nel suo principio; né si può completarla mediante la semplice aggiunta di una spiegazione religiosa o metafisica.
Resta vero, comunque che l'uomo dell'età della tecnica è pro-vocato al disvelamento in un modo parti-colarmente rilevante. Tale disvelamento concerne anzitutto la natura come principale deposito di riser-ve di energia. […]
Il destino del disvelamento è in sé stesso non un pericolo qualunque, ma il pericolo. […] L'uomo cammina sull’orlo estremo del precipizio, cioè là dove egli stesso può essere preso solo più come un 'fondo'. E tuttavia proprio quando è sotto questa minaccia l'uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l'apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell'uomo. Questa apparenza fa maturare un'ultima ingannevole illusione. E' l'illusione per la quale sembra che l'uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso. […]
Ma dove c’è il pericolo, cresce
Anche ciò che salva (Hölderlin)
[…] Così - contrariamente a ogni nostra aspettativa - ciò che costituisce l'essere della tecnica alberga in sé il possibile sorgere di ciò che salva.
Per questo, ciò che importa è che noi meditiamo su questo sorgere e lo custodiamo rimemorandolo. In che modo? Anzitutto, bisogna che cogliamo nella tecnica ciò che ne costituisce l'essere, invece di re-stare affascinati semplicemente dalle cose tecniche. Fino a che pensiamo la tecnica come strumento, restiamo anche legati alla volontà di dominarla. E in tal caso, passiamo semplicemente accanto all'es-senza della tecnica.
Se però ci domandiamo come ciò che è strumentale dispiega il suo essere in quanto specie particolare della causalità, allora potremo cogliere questo essere come il destino di un disvelamento.
Se infine consideriamo che ciò che costituisce l'essere dell'essenza accade in ciò che concede, il quale adopera e salvaguarda l'uomo per farlo partecipare al disvelamento, vediamo che:
L'essenza della tecnica è in alto grado ambigua. Tale ambiguità richiama all'arcano di ogni disvelamen-to, cioè della verità.
Da un lato, l'imposizione pro-voca a impegnarsi nel furioso movimento dell'impiegare, che impedisce ogni visione dell'evento del disvelare e in tal modo minaccia nel suo fondamento stesso il rapporto con l'essenza della verità.
D'altro lato, l'im-posizione accade da parte sua in quel concedere il quale fa sì che l'uomo - finora sen-za rendersene conto, ma forse in modo più consapevole in futuro - duri nel suo essere l'adoperato-salavaguardato per la custodia dell'essenza della verità. Così appare l'aurora di ciò che salva. […]
[L’arte.] Poiché l'essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione essenziale sulla tecnica e il confronto decisivo con essa avvenga in un ambito che da un lato è affine all'essenza della tecnica e, dall'altro, né è tuttavia fondamentalmente distinto.
Tale ambito è l'arte. S'intende solo quando la meditazione dell'artista, dal canto suo, non si chiude da-vanti alla costellazione della verità riguardo alla quale noi poniamo l nostra domanda.

M. Heidegger - La questione della tecnica in Saggi e discorsi - Mursia

Fonte: http://www.manualedifilosofia.altervista.org/alterpages/files/laquestionedellatecnica.doc

Sito web da visitare: http://www.manualedifilosofia.altervista.org

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