Dizionario citazioni frasi famose filosofiche

Dizionario citazioni frasi famose filosofiche

 

 

 

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Dizionario citazioni frasi famose filosofiche

 

A
Articolo Age. Storia. Medioevo. Sull’uso dell’artiglieria a polvere da sparo nel medioevo.
« I mercenari cristiani, ad esempio, erano in grado di far funzionare l’artiglieria impiegata dai turchi contro Costantinopoli ».
Articolo? Age of empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Le condizioni igieniche degli eserciti medioevali.
« Anche le condizioni igieniche rappresentavano un problema legato allo spostamento da un luogo all’altro. Un esercito medioevale portava con sé molti animali, oltre ai cavalli dei cavalieri, e i liquami diffondevano malattie e dissenteria. Frequentemente accadeva che un esercito si indebolisse a causa di pestilenze e diserzione. Nella campagna militare in Francia, Enrico V d’Inghilterra perse circa il 15% del proprio esercito a causa di malattie durante l’assedio di Harfleur e molti altri uomini perirono durante la marcia verso Agicourt, mentre le perdite registrate in battaglia corrispondevano solo al 5% nel corso di un altro assedio, lo stesso Enrico V morì di malattia per le cattive condizioni igieniche del luogo ».
Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Problemi di organizzazione negli eserciti medioevali.
« A battaglia le possibilità di fare dietrofront o riorganizzare la formazione erano scarse. Raramente, ad esempio, un drappello di cavalleria poteva essere utilizzato due volte, poiché dopo aver partecipato all’azione venivano solitamente affiancati da un rinforzo o fatti ritirare. La carica della cavalleria pesante comportava una tale confusione e un tale dispendio di equipaggiamento e cavalli che era pressoché impossibile ricostruire l’integrità originaria dell’unità da combattimento. I drappelli di cavalieri normanni ad Hastings furono riorganizzati per sferrare gli attacchi successivi ma non furono in grado di organizzare una carica vera e propria poiché non riuscirono a penetrare la difesa sassone ».
Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Modalità di riscatto dei prigionieri durante le guerre medioevali.
« La cattura dei cavalieri veniva annotate dagli araldi che tenevano il conto di quali soldati erano da considerarsi responsabili e dovevano conseguentemente accollarsi il peso del riscatto. Gli araldi davano la notiziola dell’accaduto alla famiglia del prigioniero, predisponevano il pagamento del riscatto e ottenevano il rilascio del prigioniero.
La diffusione del pagamento di riscatti potrebbe apparire un segno grande di civiltà, ma in realtà nascondeva infamie e crimini, come accadeva con i prigionieri di basso rango, uccisi all’istante in modo da evitare di doverli sorvegliare e nutrire ».
Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Conquista mongola della Cina.
« La notevole crescita economica sotto la dinastia sung ebbe fine con la conquista da parte dei mongoli e con i circa trentamilioni di morti che questi causarono ».
Articolo Age of Empires II. I Cinesi.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Sulle invenzioni dei cinesi.
« Tra le invenzioni [ cinesi ] più importanti è possibile annoverare il compasso, la carriola, l’abaco, la bardatura per I cavalla, la staffa, l’orologio, la fusione del ferro, l’acciaio, la carte, I caratteri mobile da stampa, la carta moneta, la polvere da sparo e il timone di poppa ».
Articolo Age of Empires II. I Cinesi.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Il peso di tutto era sui contadini.
« Il medioevo fu un susseguirsi di guerre civili in cui gli sconfitti erano i solo i contadini ».
Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Motivazioni dei tornei medioevali.
« L’evento principale [ del torneo ] era costituito da coppie che giostravano, caricandosi a vicenda con le lance allo scopo di ottenere il premio, il prestigio e l’ammirazione del public femminile seduto in tribuna, non molto diversamente da quanto accade nelle moderne gare atletiche ».
Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Il problema dei tornei medioevali e dell’utilizzo positivo di capitale umano.
« Nel XIII secolo le vittime dei tornei divennero talmente numerose da allarmare le autorità e la santa sede: nel 1240 in una competizione tenuta a Colonia perirono sessanta cavalieri. Il pontefice avrebbe preferito inviare quei valorosi a combattere nelle crociate in terra santa, anziché vederli cadere in quel modo. Malgrado il ricorso a nuove regole e armi spuntate per ridurre gli incidenti, le ferite erano ancora gravi e spesso mortali. Enrico II di Francia perse la vita in una giostra in occasione del matrimonio della figlia ».
Articolo Age of Empries II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Usanze della cavalleria sopravissute fino ad oggi.
« L’equitazione era una delle abilità che distinguevano I cavalieri di alto rango da quelle comuni. Veniva praticata durante la caccia ed era un’attività di intrattenimento molto popolare tra i nobili, sopravvissuta al giorno d’oggi nella tradizionale caccia alla volpe.
Articolo Age of Empires II. Armi e cavalleria.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Esistenzialismo medioevale.
« A quel tempo l’esistenza era terribile, violenta e breve, con un’aspettativa di vita che si aggirava sui trent’anni e una mortalità infantile e delle donne partorienti elevatissima ».
Articolo Age of Empries II. Politics.
Articolo Age. Storia. Medioevo. La condizione dei servi della gleba: non liberi e non schiavi.
« I servi non erano in condizioni di schiavitù ma non erano comunque uomini liberi: non era permesso loro di sposarsi, cambiare mansione o abbandonare il feudo senza il permesso del signore. A differenza degli schiavi, godevano tuttavia di qualche limitato diritto: la posizione di un servo era ereditaria e veniva tramandata ai suoi discendenti; la terra che possedeva non poteva essergli sottratta a condizione che adempisse a tutti i suoi obblighi ».
Articolo Age of Empries II. The Mayor.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Motivi e modalità delle crociate.
« I massicci cavalieri franchi e la fanteria non avevano alcuna esperienza nel combattimento contro la cavalleria leggera e contro gli arcieri arabi e viceversa. La resistenza e la forza dei cavalieri ebbe la meglio e determinò la vittoria nella campagna dopo una serie di serrate vittorie da parte di entrambi i fronti. Antiochia venne vinta con il tradimento nel 1098 e Gerusalemme fu conquistata da nel 1099 con un massiccio assalto ai danni di una debole guarnigione di soldati. A seguito di queste due importanti vittorie, i soldati cristiani commisero orrendi massacri, uccidendo selvaggiamente moltissimi “infedeli” indipendentemente dall’età, dalla fede religiosa e dal sesso. La maggior parte dei crociati fece ritorno a casa, ma un manipolo di soldati più forti e coraggiosi rimase per fondare regni feudali sul modello di quelli esistenti in Europa ».
Articolo Age of Empires II. Le crociate.
Articolo Age. Storia. Medioevo. I crociati riuscirono a mantenere i possedimenti mettendo le tribù arabe l’una contro l’altra.
« I regni crociati sopravvissero per qualche tempo in parte perché avevano imparato a negoziare, a cercare il compromesso e in parte perché avevano condotto le fazioni arabe l’una contro l’altra ».
Articolo Age of Empires II. Le crociate.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Necessità dei difensori di castelli: l’espulsione dalle rocche dei più deboli.
« Quando si prevedeva un assedio di lunga durata, ai contadini non in grado di combattere, poteva venire negata la possibilità di accedere nelle mura per risparmiare cibo. Esistono molti esempi di persone respinte dalle città assediate proprio per questo motivo. Quando il re, Enrico V assediò la città di Rioven?, i difensori espulsero gli abitanti più deboli e poveri. Gli inglesi si rifiutarono di ammettere questi sfortunati tra le loro linee, cosicché gli anziani, le donne e i bambini si accalcarono tra città e l’esercito inglese per mesi, cercando affannosamente cibo tra i rifiuti per non morire di fame ».
I Difensori del castello. Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Attività durante gli assedi.
« Un grande assedio era anche un evento sociale. L’assedio di Neuss del XV secolo durò alcuni mesi, ma gli aggressori costruirono un enorme accampamento comprendente perfino taverne e campi sportivi. I nobili che partecipavano agli assedi cercavano di ricreare un ambiente confortevole, spesso portavano con sé mogli e famiglie, mentre mercanti e artigiani delle città vicine giungevano immediatamente per aprire negozi e servizi ».
Gli assedianti? Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Logiche della guerra ( medioevale? ).
« Re Enrico V di Inghilterra conquistò la città di Caen dopo un lungo assedio nel 1417. Permise quindi al suo esercito di saccheggiare la città da un capo all’altro per punire la fiera resistenza esercitata dai difensori e ogni volto della città, esclusi i religiosi, fu ucciso ».
? Articolo Age of Empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Krak des Chevaller: roccaforte crociata.
« Krak des Chevaller, il più famoso dei castelli delle crociate medioevali, costiuisce tuttora un edificio impressionante della moderna Siria. Fu difeso dai cavalieri ospedalieri durante il periodo delle crociate e resistette oltre una dozzina di assedi e di attacchi per più di centrotrant’anni prima di cadere nelle mani degli arabi egiziani ».
Castello Assedio. ? Articolo Age of empires II.
Articolo Age. Storia. Medioevo. Rimedi contro gli arieti.
« Durante l’assedio di Tiro nell’inverno tra il 1111 e il 1112 gli arabi trovarono un espediente ingegnoso per difendersi dall’ariete: gettando ganci, afferravano l’ariete e lo trascinavano lontano dal muro. In questo modo furono ripetutamente in grado di ostacolare l’utilizzo dell’ariete ».
Castello Assedio?. Articolo Age of empires II.
Adorno-Horkheimer. Filosofia. Contemporanei. Marxisti.
« Il sapere, che è potere, non conosce limiti, né nell’asservimento delle creature, né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo ».
Adorno-Horkeimer. Dialettica dell’illuminismo. Einaudi. Torino. Cap. “Concetto di illuminismo”. P. 12.
Adorno. Filosofia. Contemporanei. Marxisti.
« I testi elaborati come si deve sono come specie di ragnatele: fitti, concentrici, trasparenti, solidi e ben connessi. Essi attirano a sé tutto ciò che si aggira nei dintorni ».
Thodor W. Adorno. Minima Moralia. Einaudi. Torino. 1994. P. 93.
Adorno. Filosofia. Contemporanei. Marxisti. Il comportamento di uno scrittore nei confronti della
« Lo scrittore si dispone nel proprio testo come a casa propria. Come crea disordine e confusione con i fogli i libri e le cartelle che si porta dietro da una stanza all’altra, così fa anche, in un certo modo, coi suoi pensieri ».
Theodor W. Adorno. Minima Moralia. Einaudi. Torino. 1994. P. 93.
Anassimandro. Filosofia. Presocratici.
« Essi paragonano l’uno all’altro la pena e l’espiazione della giustizia secondo l’rodine del tempo ».
Fonte sconosciuta.
Alcmeone. Filosofia. Presocratici.
« Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dei hanno conoscenza certa; gli uomini possono solo congetturare ».
Fonte sconosciuta.
Anassagora. Filosofia. Pluralisti.
« Del piccolo non c’è che un minimo ma sempre un più piccolo ma anche nel grande c’è sempre un più grande: e per quantità è uguale al piccolo e in rapporto a se stessa ogni ( cosa ) è grande o piccola ».
F.S.
Anassagora. Filosofia. Pluralisti.
« Ciò che appare è un fenomeno di ciò che non si vede con gli occhi ».
F.S.
Anassagora. Filosofia. Pluralisti.
« Per la debolezza dei sensi non siamo capaci di discernere il vero: ma possiamo valerci dell’esperienza, della memoria e delle tecniche nostre proprie… »
F.S.
Anassagora. Filosofia. Pluralisti.
« Le cose visibili sono visione delle cose invisibili ».
F.S.
Antistene ( cinico ). Filosofia. Cinici.
« Vedo i cavalli, ma non vedo la cavallinità ».
F.S.
Antistene. Filosofia. Cinici.
« Preferirei impazzire piuttosto che provare piacere ».
F.S.
Anassimene. Filosofia. Presocratici.
« Come l’anima nostra, che è aria, domina noi così anche soffio e aria contengono tutto il cosmo ».
F.S.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« Il bene è degno di essere amato anche per un solo uomo, ma è più bello e divino sia per nazioni che per stati. Il bene ottimo apparterrà quindi alla scienza suprema e per eccellenza direttrice delle opere; e tale sembra essere la politica ».
F.S.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. La virtù nasce dall’abitudine.
L’ignorare, dunque, che le disposizioni del carattere si generano dal fatto di esercitarsi nei singoli campi è proprio di chi è affatto insensato. Inoltre, è assurdo dire che chi commette ingiustizia non vuole essere ingiusto o che chi compiue con intemperanza non vuole essere intemperante. E se uno compiue delle azioni in conseguenza delle quali sarà ingiusto, e lo sa, sarà ingiusto volontariamente. Né certamente basta volerlo per cessare di essere ingiusto e per essere giusto. (…) Infatti, nessuno biasima quelli che sono brutti per natura ma quelli che lo sono per mancanza di riguardo e trascuratezza.
Aristotele, Etica nicomachea, (F.S.) p. 127.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« Il sapiente non deve essere comandato ma deve comandare, né egli deve ubbidire chi è meno sapiente ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 9.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« Le scienze che presuppongono un minor numero di principi sono più esatte di quelle che presuppongono, altresì, l’aggiunta di più principi, come ad esempio l’aritmetica rispetto alla geometria ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 9.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« … la scienza di ciò che è in massimo grado conoscibile. Ora, conoscibili in massimo grado sono i primi principi e le cause; infatti, mediante essi, e muovendo da essi, si conoscono tutte le altre cose, mentre, viceversa, essi non si conoscono mediante le cose che sono loro soggette ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 11.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Finalità della conoscenza.
« Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in un certo qual modo, filosofo: infatti, il mito, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercheranno il conoscere al solo fine di sapere e non conseguire alcuna utilità pratica ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 11.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« Ma, mentre questi pensatori procedevano in questo modo, la realtà stessa tracciò loro la via e li costrinse a ricercare ulteriormente ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 19.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« Infatti, del fatto che alcuni degli esseri siano belli o brutti, e che altri lo diventino, non può indubbiamente essere causa né il fuoco, né la terra né alcun altro di questi elementi, e non è neppure possibile che quei filosofi lo abbiano pensato. D’altra parte, non era cosa conveniente rimettere tutto questo al caso e alla sorte ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 21.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Come la filosofia nasca da problemi concreti.
« Ora, poiché appariva chiaro che, nella natura, vi sono anche cose contrarie a quelle buone e che ci sono non solo ordine e bellezza ma anche disordine e bruttezza e che ci sono più mali che beni e più cose brutte che belle, così ci fu un altro pensatore che introdusse amicizia e discordia, causa ciascuna di questi contrasti ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. La causa del bene e del male.
« …il bene e male sono principi, si affermerebbe, probabilmente, cosa giusta, dal momento che la causa di tutti i beni è il bene stesso e la causa di tutti i mali è il male ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Errori dei filosofi “ingenui”.
« La causa materiale e la causa del movimento, ma in confuso e maldestro, proprio come si comportano nei combattimenti coloro che non sono esercitati: e come costoro, rigirandosi in tutti i sensi, tirano bei colpi ma senza essere guidati da conoscenza, così neppure quei pensatori sembrano avere veramente conoscenza di ciò che affermano; infatti non risulta che essi si servano di questi loro principi se non in finita parte ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 23.

Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Sulla conoscenza che distingue i sapienti dai manovali.
« … posseggano maggiore conoscenza e siano più sapienti in quanto conoscono le cause delle cose che vengon fatte; invece i manovali agiscono, ma senza sapere ciò che fanno così come agiscono alcuni degli esseri inanimati, per esempio, così come il fuoco brucia: ciascuno di questi esseri inanimati agisce per un certo impulso naturale, mentre i manovali agiscono per abitudine. Perciò consideriamo i primi come i più sapienti, non perché capaci di fare, ma perché in possesso di un sapere concettuale e perché conoscono le cause ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 7.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« In generale il carattere che distingue chi sa rispetto a chi non sa è l’essere capace di insegnare: per questo noi riteniamo che l’arte sia soprattutto la scienza e non l’esperienza; infatti coloro che posseggono l’arte sono capaci di insegnare, mentre coloro che posseggono l’esperienza non ne sono capaci ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 7.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Sulla base di ogni conoscenza.
« Poiché degli abiti razionali con i quali cogliamo la verità alcuni sono sempre veri, mentre altri ammettono il falso, come l’opinione e il calcolo mentre la conoscenza scientifica e l’intuizione sono sempre veri, e poiché nessun altro genere di conoscenza è più esatto di quella scientifica tranne che l’intuizione, e d’altra parte, i principi sono più noti delle dimostrazioni, e poiché ogni conoscenza scientifica si costituisce argomentativamente, non vi può essere conoscenza scientifica dei principi, e, poiché non vi può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica tranne che l’intuizione, l’intuizione deve avere per oggetto i principi. Ciò risulta nell’indagine non sono a chi ma queste considerazioni, ma anche dal fatto che principio della dimostrazione non è una dimostrazione; di conseguenza principio della conoscenza scientifica non è la nostra conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza vera oltre alla scienza, l’intuizione sarà principio della scienza. L’intuizione allora può essere considerata principio del principio, mentre la scienza nel suo complesso sta nello stesso rapporto con la totalità delle cose che ha per oggetto ».
Aristotele, citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXXIII.
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Cause delle difficoltà nella ricerca della verità.
« Poiché ci sono due tipi di difficoltà, la causa della difficoltà della ricerca della verità non sta nelle cose, ma in noi. Infatti, come gli occhi delle nottole si comportano nei confronti della luce del giorno, così anche l’intelligenza che è nella nostra anima si comporta nei confronti delle cose che, per natura loro sono le più evidenti di tutte ».
Aristotele citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXX.
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Criterio di verità.
« Ciò su cui tutti concordano diciamo essere vero ».
Aristotele citato da Reale G., Introduzione Metafisica di Aristotele. P. XXXI.
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Il fine di tutto.
« E il fine in ogni cosa è il bene, e, in generale, nella natura tutta, il fine è il sommo bene ».
Aristotele. Metafisica I., citazione G. Reale. P. 46.
G. Reale. Storia della filosofia greca e romana. Vol. 4 Aristotele e il primo peritato. Tascabili Bompiani. Milano. 2004. P. 46.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. L’esperienza è conoscenza di particolari.
« Orbene, ai fini dell’attività pratica, l’esperienza non sembra differire nulla dall’arte; anzi, gli empirici riescono anche meglio di coloro che posseggono la teoria senza la pratica. E la ragione sta in questo: l’esperienza è conoscenza dei particolari… ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 5.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. Differenze tra sapienti ed ignoranti.
« …giudichiamo coloro che posseggono l’arte più sapienti di coloro che posseggono la sola esperienza, in quanto siamo convinti che la sapienza in ciascuno degli uomini, corrisponda al loro grado di conoscenza. E questo, perché i primi sanno la causa, mentre gli altri non lo sanno. Gli empirici sanno il puro dato di fatto ma non il perché di esso; gli altri conoscono il perché di esso ma non la causa ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 5.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo. La forma come motore immobile.
« I principi che muovono il modo naturale sono due: uno di questi non è di carattere fisico, perché non ha in sé un principio che lo muove. Ché un principio di questo tipo, se c’è qualcosa che muove senza essere mosso, come ciò che è assolutamente immobile ed è primo di tutto, è l’essenza e la forma: infatti, esso è il fine e la causa finale. Sicché, dal momento che la natura ha un fine bisogna conoscere anche questo principio (…) ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. P. 53.
Aristotele. Filosofia. Aristotelismo.
« La meraviglia che l’uomo prova di fronte all’intero, ossia di fronte all’essere e all’origine dell’essere è, dunque, la radice della filosofia e della metafisica ».
Citazione da Reale G. Introduzione metafisica di Aristotele. P. XV.
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale.
Anselmo ( proemio Proslogion ). Filosofia. Medioevali.
« Tendevo a Dio e mi imbattei in me stesso ».
F.S.
Anselmo. Filosofia. Medioevali.
« Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità, perché non posso neppure da lontano paragonare il mio intelletto; ma desidero intendere almeno fino ad un certo punto la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire. Poiché credo anche questo: che se non avrò creduto non potrò capire ».
F.S.
Abelardo. Filosofia. Medioevali.
« Si deve sanamente credere a ciò che non si può spiegare ».
F.S.
Avicenna. Filosofia. Medioevali.
« Ogni essere se tu lo consideri nella sua essenza senza considerare altro essere, deve essere tale che l’esistenza o gli appartiene necessariamente o non gli appartiene. Se l’esistenza gli appartiene necessariamente esso è verità in sé, colui la cui esistenza è necessaria per sé, egli è il sussistente ».
F.S.
Alberto Magno ( sui teologi contro i filosofi ). Filosofia. Medioevali.
« … questi ignoranti che vogliono combattere l’uso della filosofia, soprattutto i predicatori ove nessuno resiste loro: come animali bruti bestemmiano quello che ignorano ».
F.S.
Alberto Magno. Filosofia. Medioevali.
« Non mi interessano i miracoli di Dio quando tratto le cose naturali ».
F.S.

B
Bonavventura. Filosofia. Medioevali.
« Ogni creatura nel mondo è per noi come un libro, un’immagine, uno specchio ».
F.S.
Bonavventura. Filosofia. Medioevali.
« Luce inaccessibile, e tuttavia prossima all’anima e più intima all’anima che l’anima a se stessa ».
F.S.

C
Cipolla. Storia. Medioevo. Sulla qualità degli orologi nel medioevo e la lancetta dei minuti.
« I primi orologi marcavano il tempo così imperfettamente che dovevano continuamente venir corretti e la correzione veniva fatta da appositi “governatori d’orologi, i quali mandavano avanti o indietro la lancetta dell’ora ( la lancetta dei minuti apparve molto più tardi ) ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. Nascita ( dell’uomo) macchina.
« La ragione per cui la macchina origine in Europa va cercata in termini umani. Prima che gli uomini potessero sviluppare e applicare la macchina come fenomeno sociale occorreva che gli uomini stessi divenissero meccanici ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. L’occidentale gusto per la macchina.
« Sulle torri comunali a Basilea come a Bologna, sui campanili delle chiese o all’interno delle chiese come a Strasburgo e a Lund si costruirono complicatissimi orologi, in cui l’indicazione dell’ora era un fatto quasi accidentale che si accompagnava a rivoluzione di astri, a movimenti e piroette di angeli, santi, madonne, magi e personaggi del genere. Questi macchinari testimoniavano ad usura un gusto irrefrenabile per il fatto meccanico. Questo gusto raggiunse forme esasperate nel corso del rinascimento e ne ritroviamo l’espressione più chiara nei disegni di Leonardo ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo.
« Il tema dominante nella concezione del mondo sia greco-romano sia orientale è quello di un’armonia tra uomo e natura, un rapporto che presupponeva però nella natura forme involabili a cui l’uomo doveva fatalmente sottomettersi. (…)
Il mondo medioevale misteriosamente ruppe questa tradizione ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. I sogni di dominio della natura dei medioevali: il culto dei santi.
« Tecnicamente ancor troppo arretrati per dominare di fatto la natura in modo apprezzabile, gli europei del medioevo si rifugiarono nel mondo dei sogni. All’”animismo” degli antichi e degli orientali si sostituì il culto dei santi. I santi non erano né demoni né spiriti strani: erano uomini, in grazia di Dio, ma pur sempre uomini - le cui fattezze tutti vedevano sui portali all’interno delle chiese: volti di ogni giorno, colti che la gente incontrava di continuo tra i propri simili. Questi “santi” non si adagiavano nell’immobilismo ieratico dei santoni orientali né si divertivano come gli dei greci, a punire gli uomini per la loro audacia. Al contrario, si davano di continuo da fare per dominare la forme avverse della natura e sconfiggevanole malattie, calmavano i mari in burrasca, salvavano i raccolti (…). Questi i sogni dell’uomo medioevale. Dominare la natura non era peccato e credere ai miracoli è il primo passo per renderli possibili ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. Sulla soddisfazione dei bisogni dell’uomo nelle società pre-industriali.
« In conclusione, si può affermare che sino alla rivoluzione industriale l’uomo continuò a soddisfare il suo bisogno di energia basandosi soprattutto sulle piante e sugli animali: sulle piante per ottenere il cibo e combustibile, sugli animali per disporre di cibo e di energia ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. Forme dell’energia pre-industriale.
« … tenendo conto delle caratteristiche generali suesposte –che dall’80%-85% dell’energia totale a disposizione dell’umanità in un epoca qualsiasi a quella della rivoluzione industriale era fornita dalle piante, dagli animali e dagli uomini stessi ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Cipolla. Storia. Medioevo. Sulle ragioni dell’esistenza della schiavitù nell’antichità: problema nella produzione di energia.
« La diffusione della schiavitù fu appunto una delle conseguenze di questa generale penuria di altre forme di energia ».
Cipolla C., Storia Economica dell’Europa Pre-industriale. Il Mulino. Bologna. 1997.
Conrad. Letteratura. Sensazioni di persone in esilio dalla propria terra.
« E poi, ripeto, stavo per tornare in patria, - in quella patria così lontana che tutti i suoi focolari apparivano come un focolare unico davanti al quale anche il più umile di noi aveva il diritto di sedersi. Vaghiamo a migliaia per tutta la terra, illustri o sconosciuti, guadagnandoci oltremare fama e denaro o soltanto una crosta di pane; ma a me sembra che per ciascuno di noi tornare in patria debba essere l’equivalente di una resa dei conti. Torniamo per affrontare i nostri superiori, i nostri parenti e i nostri amici- quelli ai quali obbediamo e quelli che amiamo; ma anche coloro che non hanno nessuno, i più liberi, solitari, irresponsabili, privi di legami. Anche per coloro per i quali la patria non contiene né un viso caro né una voce familiare- anche coloro devono fare i conti con lo spirito che risiede in quella terra, sotto il suo cielo, nella sua aria nelle sue valli, sulle alture e nei suoi campi, nelle acque e nei suoi alberi- un muto amico, giudice e ispiratore. Dite quel che volete, ma per godere della sua gioia, per respirare la sua pace,per affrontare la sua verità, bisogna tornarvi con la coscienza tranquilla. Tutto questo può sembrarvi mero sentire narcisistico; e in effetti pochissimi tra noi vogliono o possono guardare consapevolmente sotto la superficie delle emozioni usuali. Ci sono le ragazze che amiamo, gli uomini che ammiriamo, le tenerezze, le amicizie, le occasioni, i piaceri! Resta però il fatto che dovete ricevere la vostra ricompensa con le mani pulite, se non volete che nel vostro pugno si tramuti in foglie secche e spine. Io credo che siano i solitari, quelli senza focolare o un affetto, che possono reclamarla come propria, quelli che non tornano a una casa ma alla terra in sé, per incontrare lo spirito disincarnato, eterno e immutabile –che siano loro a comprendere meglio la severità, il potere di redenzione, la grazia del suo diritto secolare alla nostra fedeltà alla nostra obbedienza. Si!, pochi di noi lo capiscono ma tutti lo sentiamo, e dico tutti, senza eccezione perché quelli che non lo sentono non contano. Ogni filo d’erba ha un suo posto sulla terra da cui attinge vita e forza; nello stesso modo l’uomo ha le radici nella terra da cui attinge la propria fede insieme con la propria vita ».
Conrad, J., Lord Jim. Arnoldo Mondadori. Milano. 1997. Pp. 189-190.

D
Democrito. Filosofia.
« Vi sono due forme di conoscenza, l’una genuina e l’altra oscura; e a quella oscura appartengono tutti quanti questi oggetti: vista, udito, odorato, gusto e tatto. L’altra forma è la genuina e gli oggetti di questa sono nascosti ».
F.S.
Democrito. Filosofia. Atomisti.
« Noi siamo stati discepoli delle bestie nelle arti più importanti: del ragno nel tessere e rammendare, della rondine nel costruire case, degli uccelli canterini, del cigno, nel canto con l’imitazione ».
F.S.
Democrito. Filosofia. Atomisti.
« Il qualcosa non esiste più del nulla ma una volta posti i due tipi di esistenza –la corporea del qualcosa ( l’ente ) e l’incorporea del nulla ( il non ente )- resta la reciproca esclusione ».
F.S.
E
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Non date ascolto a me, ma al logos, è saggio convenire che tutte le cose sono uno ».
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« La sapienza è dire cose vere e farle ».
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Non bisogna agire e parlare come dormienti ».
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Bisogna seguire il comune. Pur essendo comune il logos, i molti vivono come se avessero una saggezza privata ».
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Come è possibile sfuggire a ciò che non tramonta? »
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Di questo logos che è sempre, gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché infatti tutte le cose accadono secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur trovandosi in opere e in parole tali e quali sono quelle che lo spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo come. Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli allo stesso modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo ».
F.S.
Empedocle. Filosofia. Pluralisti.
« L’essere non può originarsi dal non essere e non può perire e distruggersi diventando completamente nulla ».
F.S.
Eraclito. Filosofia. Presocratici.
« Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re e gli uni rivela dei e gli uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi ».
F.S.
Erodono ( su di se stesso ). Storia. Antichità.
« Che il tempo non cancelli il ricordo delle azioni umane e che le grandi e meravigliose gesta compiute sia dai greci che dai barbari non cadano nell’oblio ».
F.S.
Erodono. Storia. Antichità.
« Gli uomini sono convinti che le loro usanze sono di gran lunga le migliori ».
F.S.
Epicuro. Filosofia. Antichità.
« Vana è la parola del filosofo se questa non allevia qualche sofferenza ».
F.S.
Epicuro. Filosofia. Antichità. Quando smettere di filosofare.
« L’uomo cominci sin da giovane a filosofare e da vecchio non sia mai stanco di fare filosofia ».
Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.
Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sulla felicità.
« E’ bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che ci occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo ».
Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.
Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Perché non bisogna temere la morte.
« Abituati a pensare che per noi uomini la morte è nulla, perché ogni bene e ogni male consiste nella sensazione, e la morte è assenza di sensazioni ».
Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.
Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sui bisogni umani.
« Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per essere felici, altri per la buona salute del corpo ».
Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.
Epicuro. Filosofia. Epicureismo. Sulla vanità dei falsi beni ( festini, donne… ).
« Infatti non danno una vita felice né le continue feste, né il godersi fanciulle e donne, né il godere di una lauta mensa. La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono gravissimi turbamenti d’animo ».
Citato da: Lettera a Meneceo. M. Trombino. Filosofia. Vol. 1.2., Dalle filosofie ellenistiche alla Scolastica. Poseidonia. Bologna. 1997. Pp. 4-7.
Eriugena. Filosofia. Medioevali.
« Le cause primordiali in quanto sono nel principio di tutte le cose, cioè nel verbo, sono un’unità assolutamente semplice; ma quando procedono nei loro effetti infinitamente moltiplicati divengono molteplici secondo una complessa e ordinata pluralità ».
F.S.
Eriugena. Filosofia. Medioevali.
« Nessuno entra in cielo senza la filosofia ».
F.S.

F
Frankfurt. Filosofia contemporanea. Filosofia morale. L’assenza di interessi genera noia.
Potrebbero avere dei difetti personali o delle inadeguatezze che poco hanno a che fare con la morale, ma che potrebbero impedire loro di vivere bene. Potrebbero, ad esempio, essere emotivamente piatti; o potrebbero mancare di vitalità, oppure potrebbero essere degli indecisi cronici. Nella misura in cui è dato loro scegliere attivamente e perseguire determinati obiettivi, potrebbero coltivare ambizioni così insulse che la loro vita sarebbe totalmente monotona e incolore. Di conseguenza, la loro esistenza potrebbe essere banale e vacua inesorabilmente e –che se ne rendano conto o meno- potrebbero finire con l’annoiarsi a morte.
Frankfurt, Le ragioni dell’amore, (F.S), pp. 14-15.
Frankfurt. Filosofia contemporanea. Filosofia morale. Ipotizziamo che nulla ci interessi.
Ipotizziamo che non ci stia nulla a cuore. In questo caso, non faremo niente per mantenere una qualsiasi unità o coerenza nei nostri desideri o nelle disposizioni della nostra volontà. Non ci impegneremo attivamente per difendere un qualsiasi nostro interesse o obbiettivo. Certamente dovrà pur esserci, nonostante ciò, un certo grado di continuità nella nostra vita di esseri dotati di volontà. In ogni caso, per quel che riguarda le nostre intenzioni e i nostri sforzi ciò avverrebbe solo in modo fortuito o involontario. Unità e coerenza non sarebbero l’esisto di alcuna premeditata iniziativa o decisione da parte nostra. Le varie inclinazioni o disposizioni della nostra volontà sarebbero passeggere e temporanee, e a volte potrebbero durare un po’ più di tempo. Ma nella trama di questo succedesi e permanere, noi stessi non giocheremo alcun ruolo determinante.
Frankfurt, Le ragioni dell’amore, (F.S.), p. 30.
Frankfurt. Filosofia contemporanea. Filosofia morale. L’uomo privo di interessi.
Se ci fosse qualcuno al quale non stesse indifferente assolutamente niente, allora nulla avrebbe importanza per lui. Non sarebbe coinvolto nella sua stessa vita: insensibile alla coerenza e alla continuità dei suoi desideri, incurante della sua identità volitiva e in questo senso indifferente a se stesso. Niente di quello che potrebbe fare o sentire, ninete di quello che gli potrebbe succedere avrebbe la minima importanza per lui. Potrebbe credere che alcune cose gli stanno a cuore e che queste cose contano per lui; ma, nel caso, avrebbe torto. Potrebbe ovviamente continuare a coltivare diversi desideri e alcuni di quei desideri potrebbero essere più intensi di altri, ma non sarebbe minimamente interessato a quali, di volta in volta, potrebbero essere i suoi desideri e le sue preferenze. Sebbene sia lecito affermare che una persona così ha una propria volontà, difficilmente si potrebbe sostenere che gli appartiene davvero.
Frankfurt, Le ragioni dell’amore, (F.S.), p. 30.
Fisher. Storia. Medioevo. Le crociate: paradossi dello scisma d’oriente.
« Che lo scisma tra le due chiese fosse un guaio cui si doveva porre un termine, il clero greco e latino riconoscevano di buon grado ma non avrebbero sacrificato per sanarlo né il più piccolo pregiudizio né un sol briciolo di orgoglio ».
H.A.L. Fisher, Storia d’Europa, volume I, traduzione di A. Prospero, Laterza, Roma-Bari 1973.

Fisher. Storia. Medioevo. Paradossi delle crociate e dell’ideologia.
« Incalcolabili furono gli effetti disastrosi di questa profonda scissione tra le due metà del mondo cristiano. Non altrimenti si spiega il fallimento del tentativo dei crociati per riprendere ai musulmani l’Asia anteriore. A quest’animosità inveterata il cui sentimento di razza e il sentimento religioso erano esasperati dall’ambizione politica e dall’avidità economica, si deve l’atto più disonorevole di tutta la storia medioevale, e cioè la diversione alla conquista di Costantinopoli e la mutilazione e il saccheggio del più ricco e civile stato europeo ».
H.A.L. Fisher, Storia d’Europa, volume I, traduzione di A. Prospero, Laterza, Roma-Bari 1973.
Filolao ( pitagorico ). Filosofia. Presocratici.
« Bisogna esaminare i compienti e la sostanza del numero in rapporto alla potenza che è nel dieci. Perché grande e perfettissima e onnipotente e principio e giuda della vita divina celeste e di quella umana la natura del numero, partecipando alla potenza del dieci. Senza di essa tutte le cose sarebbero illimitate e oscure e incomprensibili. Perché è la natura del numero che fa conoscere ed è guida e insegna a ognuno tutto ciò che è dubbio e ignoto. Nulla sarebbe comprensibili, né le cose in sé né le loro relazioni, se non ci fossero il numero e la sostanza ».
F.S.
Filolao. Filosofia. Presocratici.
« Tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile pensare né conoscere ».
F.S.

G
Gadamer. Filosofia. Contemporanei. Estetica Ermeneutica.
« L’uomo è caratterizzato dalla rottura con l’immediato e il naturale, rottura che gli è imposta dalla parte spirituale, razionale, dalla sua stessa essenza. Sotto questo aspetto, egli non è per natura quel che dovrebbe essere ».
H.G. Gadamer. Verità e Metodo. Bompiani. Milano. 1986. Trascendimento della dimensione estetica. P. 34.
Gadamer. Filosofia. Contemporanei. Estetica Ermeneutica. L’essenza dell’opera ( letteraria, artistica ecc.. ).
« … l’opera d’arte non è un oggetto che si contrappone al soggetto. L’esistenza dell’opera risiede piuttosto propriamente nel fatto che essa diviene un’esperienza che modifica colui che la fa. Il subjectum dell’esperienza dell’arte, quello che permane e dura, non è la soggettività di colui che esperisce l’opera, ma l’opera stessa ».
H.G. Gadamer. Verità e Metodo. Bompiani. Milano. 1986. P. 138.
Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. L’immagine interna.
« Chiamerò complessivamente “immagine interna” sia il precedente di un’immagine ( sensazione ), sia l’immagine in quanto attualmente prodotta ( percezione ), sia l’immagine in quanto riprodotta ricordata-rielaborata ( immaginazione ), per distinguerle complessivamente dalla “figura”esteriorizzata… »
Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Premessa P. IX.
Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. Definizione di “stile”.
« Innanzi tutto lo “stile come norma”, in rapporto a prescrizioni o regole preferenziali e non necessariamente in tutti sensi obbligatorie. (…) In secondo luogo lo “stile come scelta”, come ciò che può essere o ci si aspetta che sia realizzato mediante una scelta meditata nell’ambito delle possibilità offerte da una lingua o da altri mezzi espressivi, che in linea di principio sempre alternative ad ogni scelta determinata.(…) In terzo luogo lo “stile come violazione di una norma” o addirittura come opposizione alle norme mediante vere e proprie invenzioni espressive, come ciò che, per essere artisticamente rilevante, deve differenziarsi e dall’uso comune standardizzato e da norme, di qualsiasi tipo, già stabilite ».
Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Cap. 16. Pp. 102-104.
Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica.
« … l’opera non costituisce mai un mondo in sé chiuso (…) e deve essere quindi compresa nella sua relazione intima con la percezione del mondo e con l’esperienza nella sua varietà e interpretabilità ».
Garroni E., Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Cap. 17. P. 113.
Garroni. Filosofia. Contemporanei. Estetica. L’immagine interna.
« Le mie osservazioni partono dalla convinzione che l’immagine interna è un piccolo grande enigma… »
Garroni. E. Immagine, linguaggio, figura. Laterza. Bari. 2005. Premessa. P. IX.
Gorgia ( encomio di Elena ). Filosofia. Presocratici.
« La parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e in visibilissimo, divinisse(?) cosa sa compiere; riesce infatti a calmare la paura, e a eliminare il dolore e a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà ».
F.S.
Gorgia. Filosofia. Presocratici.
« In chi lo ascolta ( Socrate ) si infonde un brivido di spavento, una pietà piena di lacrime, un rimpianto di cose perdute proclive al dolore, onde l’anima patisce, a causa delle parole, un suo proprio patema, innanzi a liete e ad avverse vicende di fatti e di persone estranee ».
F.S.

H
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Il passaggio dal caos alla civiltà, dove i rapporti naturali non esercitano più direttamente il loro potere, ma attraverso la coscienza degli uomini, nulla ha mutato il principio dell’uguaglianza. Anzi, gli uomini hanno pagato proprio questo passaggio con l’adorazione di ciò a cui prima –come tutte le altre creature- erano semplicemente soggetti. Prima i feticci sostavano all’uguaglianza. Ora l’uguaglianza diventa essa stessa un feticcio. La benda sugli occhi della giustizia non significa che non bisogna interferire nel suo corso, ma che il diritto non nasce dalla libertà.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 24.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Nella segreta coscienza del difetto da cui [la fede] è fatalmente viziata, della contraddizione che le immanente, di voler fare un mestiere della conciliazione, è il motivo per cui ogni onesta soggettiva dei credenti è sempre irascibile e pericolosa.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 27.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte. Il mito del mondo matematizzato.
La natura è, prima e dopo la teoria dei quanti, ciò che bisogna concepire in termini matematici; anche ciò che non torna perfettamente, l’irrisolvibile e l’irrazionale, è stretto da vicino da teoremi matematici. Identificando in anticipo il mondo matematizzato (…) con la verità, l’illuminismo si crede al sicuro dal ritorno del mito. Esso identifica il pensiero con la matematica. (…) Il pensiero si deifica in un processo automatico che si svolge per conto proprio, gareggiando con la macchina che esso stesso produce perché lo possa finalmente sostituire.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, pp. 32-33.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Attraverso le innumerevoli agenzie della produzione di massa e della sua cultura, i modi obbligati di condotta sono inculcati al singolo come i soli naturali, decorosi e ragionevoli. Egli si determina ormai solo come una cosa, come elemento statistico, come succes or failure. Il suo criterio è l’autoconservazione, l’adeguazione riuscita o no all’oggettività della sua funzione e di moduli che sono fissati.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 36.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Il processo tecnico, in cui il soggetto si è reificato dopo essere stato cancellato dalla cosceizna, è immune dall’ambiguità del pensiero mitico come da ogni significato in generale, perché la ragione stessa è divenuta un semplice accessorio dell’apparato economico onnicomprensivo. Essa funge da utensile universale per la fabbricazione di tutti gli altri, rigidamente funzionale allo scopo, funesto come l’operare esattamente calcolato nella produzione materiale, il cui risultato per gli uomini si sottrae ad ogni calcolo.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 38.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Si ride del fatto che non c’è più nulla da ridere. Il riso, rasserenato o terribile accompagna sempre il momento in cui viene meno o si dilegua una paura. Esso annuncia la liberazione, sia da un pericolo fisico, sia dalle reti della logica. Il riso rappacificato risuona come l’eco del fatto che s’è riusciti a sfuggire alla morsa del potere, mentre la risata cattiva previene a dominare la paura in quanto si scherza dalla parte elle istanze da temere. E’ leco del potere come forma ineluttabile. Il fun è un bagno ritemperante. L’industria dei divertimenti lo prescrive continuamente.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, pp. 149-150.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
Il collettivo di quelli che ridono è la parodia della vera umanità. Sono monadi chiuse in se stesse, ciascuna delle quali si abbandona alla voluttà di essere pronta e decisa a tutto, a spese di tutte le altre e la maggioranza dietro di sé. IN questa falsa armonia presentano la caricatura della solidarietà.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 150.
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
L’escape e l’elopenant sono destinati, sin dall’inizio, a ricondurre gli spettatori al puinto di partenza. Il piacere del divertimento promuove la rassegnazione che vorrebbe dimenticarsi in esso.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 151
Horkeimer-Adorno. Filosofia contemporanea. Circolo di Francoforte.
L’amusemente stesso si allinea fra gli ideali, prende il posto dei grandi valori che leva definitivamente dal capo delle masse ripetendosi in modo ancora più stereotipo di quanto non faccia per le frasi pubblicitarie pagate dalle ditte private.
Adorno T.W., Horkeimer M., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1997, p. 153.
Hegel. Filosofia. Filosofia della diritto. Compito del filosofo.
Si può invero udir da coloro che sembravano prender la questione nel modo più profondo, che la forma sia qualcosa di esteriore, e per la cosa d’indifferente, che soltanto ques’ultima sia importante; si può inoltre porre il compito dello scrittore, in particolare dello scrittore di filosofia, nello scoprire verità, dire verità, propagare verità ed esatti concetti.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 51.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto. L’autodistruttività dell’irrazionale istinto passeggero.
La particolarità per sé, da un verso come soddisfazione, che si da’ libero corso da tutti i lati, dei suoi bisogni, dell’arbitrio accidentale e del arbitrio soggettivo, distrugge nei suoi godimenti sé stessa e il suo concetto sostanziale; dall’altro verso, siccome infinitamente eccitata, e in dipendenza costante da esterna accidentalità e arbitrio, così come limitata dalla potenza dell’universalità, la soddisfazione del bisogno necessario come del bisogno accidentale, è accidentale. La società civile in queste opposizioni e nella loro complicazione, offre lo spettacolo in pari modo della dissolutezza, della miseria e della corruzione fisica ed etica comune ed entrambe.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 156.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto.
Si conviene alle rappresentazioni dell’“innocenza” dello stato di natura, della semplicità dei popoli non civilizzati da un lato e dall’altro con l’avviso che considera i bisogni, il loro appagamento, i godimenti e le comodità della vita particolare ecc. cme fini assoluti, il fatto che la civiltà viene considerata là come qualcosa di solo esteriore, di pertinente alla corruzione, qui come mero mezzo per quei fini, l’una come l’altra veduta mostra la non-dimestichezza con la natura dello spirito e con il fine della ragione.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 158.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto.
Come volontà soggettiva, prigioniera di passioni limitate, è dipendente e trova da appagare i suoi fini soggettivi, solo nei limiti della sua dipendenza. Ma la volontà soggettiva ha anche una vita sostanziale, una realtà, nella quale si muove come in qualcosa di essenziale, costituente il fine della sua esistenza.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 35.
Hegel. Filosofa. Filosofia del diritto. Assurdità dei tempi moderni.
Oggigiorno si parla del resto più che altro della vita e del passare alla vita proprio là dove si versa nella materia più morta e nei pensieri più morti.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 170.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia. La vera felicità.
Felice è chi ha commisurato la propria esistenza al carattere, al volere e all’arbitrio di se stesso, e così nella via gode di se stesso.
Hegel, Lezioni di filosofia della storia, Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 25.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia. La verità del proprio dovere.
Quando si tratta dei rapporti privati abituali dobbiamo piuttosto ascrivere a cattiva volontà, o a malignità, se qualcuno afferma che è difficile scegliere il diritto e il bene, e se ritiene che trovare molta difficoltà in questa materia e farsi molti scrupoli sia indizio di una moralità spiccata. E’ questo un modo di cercare scappatoie per evitare i propri doveri, che non sono difficili a conoscersi; o almeno dobbiamo pensare si tratti di un passatempo di un animo incline alla riflessione, al quale la sua volontà meschina non dia abbastanza da fare e che in mancanza di meglio si affaccendi con se stesso e si perda nel compiacimento morale di sé.
Hegel, Lezioni di filosofia della storia, Laterza, Roma-Bari, 2003.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto. La grandezza dei migliori.
Caratteristica dei grandi uomini è di aver voluto appagare se stessi e non altri. Quanto essi avrebbero potuto imparare dagli altri in maniera di buoni propositi e di consigli benintenzionati sarebbe stato semmai qualcosa di grezzo e di ambiguo; infatti i grandi uomini sono quelli che hanno capito meglio di tutti che cosa si dovesse fare e da quali tutti l’hanno appreso così da trovarlo buono o almeno da adattarvisi.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 28.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto.
Questa esposizione è al pari conseguente, giacché essendo presa come l’essenza dello stato in luogo del sostanziale, la sfera dell’accidentale, ne deriva che la consequenzialità (…) consiste appunto nella piena non-cossequenziarietà di una mancanza di pensiero, la quale può correr via senza guardarsi indietro e si trova di casa altrettanto bene nel contrario che ha approvato un minuto prima.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 198.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto. Il popolo non sa quel che vuole.
L’opinion (…) che i deputati del popolo o magari il popolo debba intendere nel miglior modo quel che torni al suo meglio. E che esso abbia la volontà indubbiamente migliore per questo meglio. Per quel che concerne il primo punto, è piuttosto il caso che il popolo, in quanto con questa parola è designato un settore particolare dei membri di uno stato, esprime la parte che non sa quel che vuole. Saper quel che si vuole, e ancor più, quel che vuole la volontà in è per sé, la ragione, è il frutto di profonda conoscenza e intellezione, che, appunto, non son cose del popolo.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 241.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto. Stato e religione.
Spesso sembra che quell’innovare, quel darsi da fare e premere affinché la religione si impiantata nello stato siano un grido di angoscia e d’aiuto, l’annuncio del periodo che la religione sia già svanita dallo stato o sia sul punto si svanire completamente. Se così fosse, sarebbe un male, anzi, sarebbe un male ben peggiore di quanto non presuma quel grido d’angoscia. Infatti, quest’ultimo crede ancora di possedere un rimedio contro il male e crede di possederlo proprio in quella sua attività. Impiantare e inculcare, ma la religione in genere non è qualcosa che si possa fabbricare, essa si forma molto più in profondità. Un’altra e opposta follia nella quale c’imbattiamo nella nostra epoca, è quella di volere inventare e attuare costituzioni statali indipendentemente dalla religione.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 46.
Hegel. Filosofia. Filosofia del diritto. False idee della democrazia.
Un altro presupposto, che è implicito nella concezione per cui tutti debbono aver parte negli affari dello stato, cioè che tutti si intendano di questi affari. E’ altrettanto insulso, quanto ciò nonostante è frequente poterlo udire. Nell’opinione pubblica peraltro è aperta a ciascuno la via per esprimere e far valere anche il suo opinare soggettivo sull’universale.
Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 247.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia. Lo stato è lo spazio della persona.
Nello stato, a dominare sono lo spirito del popolo, i costumi, la legge. Qui l’uomo viene trattato come essere ragionevole, come libero, come persona; ed il singolo per parte sua si rende degno di questo riconoscimento per il solo fatto di obbedire (…).
Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, UTET, Torino, 2005, p. 274.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia. La libertà umana non nasce nella natura.
…sono veramente libero solo quando anche l’altro è libero, e viene da me riconosciuto come tale. Questa libertà dell’uno sull’altro riunisce gli uomini interiormente, mentre al contrario il bisogno e la necessità li avvicina solo esteriormente. E’ dunque necessario che gli uomini vogliano ritrovarsi l’uno nell’altro. Questo però non può avvenire finché essi sono immersi nella loro immediatezza, nella loro naturalità; poiché questa è appunto ciò che li esclude l’uno dall’altro, ed impedisce loro di essere come liberi l’uno per l’altro.
Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, UTET, Torino, 2005, p. 273.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia. Il superamento dell’egosimo implica la disciplina della volontà.
Il tremore della singolarità del volere –il sentimento ella nullità dell’egoismo-, l’abitudine dell’obbedienza, sono momenti necessari nella formazione di ogni uomo, senza avere sperimentato questa disciplina che spetta la volontà capricciosa, nessuno diviene libero, razionale e atto al comando. Per tanto diventare liberi, per acquisire la capacità di autogovernarsi, tutti i popoli hanno dovuto preventivamente passare sotto questa disciplina della sottomissione ad un signore.
Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, UTET, Torino, 2005, p. 277.
Hegel. Filosofia. Filosofia della storia.
Coloro che rimangono schiavi, non subiscono un’assoluta ingiustizia; chi infatti non ha il coraggio di sacrificare la vita per conquistare la libertà, merita di essere schiavo.
Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, UTET, Torino, 2005, p. 278.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
In breve, la catastrofe umana complessiva scatenata dalla seconda guerra mondiale è quasi certamente una delle più grandi mai esistite nella storia. Uno dei suoi aspetti più tragici è che l’umanità ha imparato a vivere in un mondo in cui lo sterminio, la tortura, l’esilio di massa sono diventati esperienze quotidiane di cui non ci accorgiamo più.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 69.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Poiché i paesi capitalistici ricchi erano più ricchi di quanto mai lo fossero stati e poiché la gente, nel complesso, era protetta dai sistemi di sicurezza sociale e assistenziale, istituiti nell’età dell’oro la disuguaglianza sociale non produssero i disordini sociali che ci si sarebbe potuto attendere, ma le finanze statali si trovavano schiacciate sotto l’enorme spesa sociale che saliva più rapidamente delle entrate visto che la crescita economica dopo il 1973 era rallentata. (…)
All’inizio degli anni ’90 un sentimento di insicurezza e di rancore ha cominciato a diffondersi persino nei paesi più ricchi. Come vedremo, contribuì alla rottura degli assetti politici tradizionali al loro interno. Tra il 1990 e il 1993 pochi hanno tentato di negare che il mondo capitalistico sviluppato attraversava una fase di depressione. Nessuno sapeva che fare e sperava che la crisi passasse. L’aspetto più importante dei decenni di crisi non è che il capitalismo non funziona più bene come aveva fatto nell’età dell’oro ma che le sue operazioni sono diventate incontrollabili. (…) D’altro canto, neanche i neoliberisti sapevano affrontare la crisi come divenne negli anni ’80. era facile attaccare la rigidità, le inefficienze e gli sprechi che si erano così spesso annidati nelle politiche governative dell’età dell’oro una volta che queste non erano più venute a galla dalla ricchezza, dell’occupazione e delle entrate fiscali che avevano segnato gli anni del boom. (…) Tuttavia la mera convinzione che il mercato era buono e lo stato era cattivo ( per usare le parole del presidente Reagan “lo stato non è la soluzione ma il problema” ) non bastava a creare una politica economica alternativa. (…) Il sistema di produzione era stato trasformato dalla rivoluzione tecnologica ed era stato mondializzato e “transnazionalizzato” in misura straordinaria e con conseguenze notevoli. Inoltre, a partire dagli anni ’70 divenne impossibile trascurare gli effetti della rivoluzione sociale e culturale dell’età dell’oro, come pure le potenziali conseguenze economiche.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, pp 446-481.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Gli esseri umani non sono stati progettati con criteri di efficienza per addestrarsi al sistema capitalistico di produzione. Più alta è la tecnologia e più diventa dispendiosa la componente umana del processo produttivo.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 484.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Cominciò a crescere vertiginosamente il numero delle persone che vivano da sole, al di fuori di una famiglia di qualunque tipo. (…) In molte città occidentali i single formavano quasi la metà di tutti i nuclei familiari. (…) Nessuno che avesse avuto un’esperienza seppur minima dei limiti della vita reale, ossia nessuno che fosse autenticamente un adulto avrebbe potuto escogitare slogan fiduciosi, ma palesemente assurdi, come quelli scanditi nel maggio parigino del 1968 o nell’autunno caldo italiano: “tutto e subito” (…). La musica rock. Buddy Holly, Janis Joplin, Brian Jones dei Rolling Stones, Bob Marley, Jimi Hendrix e un’altra serie di divinità popolari caddero vittime di uno stile di vita che era fatto a posta per una morte veloce. Ciò che rese simboliche quelle morti fu che la gioventù, che quegli idoli rappresentavano era fuggevole per definizione. (…) L’emergere degli adolescenti come protagonisti sociali consapevoli venne riconosciuto entusiasticamente dalle industrie produttrici di beni di consumo (… di massa) ma meno volentieri dai loro genitori che vedevano allargarsi l’intervallo che separava quanti erano disposti ad essere considerati come “bambini” e quanti insistevano ad essere chiamati e considerati “adulti”. (…) La gioventù non era vista come uno stadio preparatorio all’età adulta, in un certo senso, come lo stadio finale del pieno sviluppo umano. Come nello sport –l’attività umana nella quale la gioventù eccelle e verso la quale più che verso ogni altra orientavano el ambizioni del maggior numero di giovani – la vita dopo i trent’anni incominciava chiaramente a decadere. (…) Di queste [concessioni] approfittarono in particolare le fiorenti industrie di cosmetici, prodotti per la cura dei capelli e l’igiene personale, le quali furono beneficiate in misura sproporzionata dalla ricchezza accumulata in pochi paesi sviluppati* [Del mercato mondiale di “prodotti per l’igiene e la cura personale” nel 1990 il 34% era nell’Europa non comunista, il 30% nel nord America e il 19% in Giappone. Il restante 85% della popolazione mondiale si spartiva tra i suoi esponenti più ricchi la quota di mercato che era del 16-17% ( “Financial Times” 11 aprile 1991 ).]
In fine si diffuse attraverso il potere (…) della moda nella società dei consumi, una moda che raggiungeva le masse e che veniva amplificata dalla spinta a uniformarsi propria dei costumi giovanili. Era sorta una cultura giovanile mondiale. (…) Fu la scoperta di questo mercato giovanile che, a metà degli anni ’50, rinnovò la musica pop e, in Europa, quel settore dell’industria e della moda che si rivolge ad un mercato di massa. Il boom delle “teen agers”, che iniziò in questi anni in Inghilterra, era vasato sulla contrazione nelle città di un numero sempre più alto, che lavoravano come impiegate o come commesse e spesso avevano più soldi da spendere dei ragazzi, che all’epoca erano meno legate ai tradizionali modelli maschili di spesa voluttuaria, cioè birra e sigarette. Il boom dapprima rivelò la sua forza in settori microeconomici nei quali acquisti delle ragazze erano predominanti, come le camicette, le gonne, i cosmetici e i dischi di musica pop, per non parlare dei concetti di musica pop di cui le ragazze erano le prima e le più chiassose spettatrici. Il potere d’acquisto dei giovani può essere misurato dalle vendite dei dischi negli USA, che salirono a 277 milioni di dollari nel 1955, quando il rock fece la sua comparsa, a 600 milioni di dollari nel 1959 e 2000 milioni nel 1973.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 386.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
La maggior parte dei genitori con figli adolescenti divenne acutamente consapevole di questo divario durante e dopo gli anni ’60. I giovani vivano in società staccate dal proprio passato, sia perché erano state trasformate da una rivoluzione o per effetto di una conquista e di un’occupazione, come in Germania e in Giappone (…) Essi non avevano alcuna memoria e dell’epoca prima del diluvio.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 386.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Essa fu una cultura “demiotica” ( cioè ispirata al popolo ) e antinominana ( cioè avversa ad ogni tipo di regola ) soprattutto in merito alla condotta personale. Ognuno doveva “fare quel che gli pareva”, con il minimo di costrizione esterna benché in pratica la pressione esterna dei coetanei e della moda imponesse la stessa uniformità che in passato, almeno nei grippi di giovani coetanei che condividevano la stessa sottocultura.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 388.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
( E’ vietato vietare e al detto… secondo il quale non ci sideve mai fidare di chi non abbia passato almeno un po’ di tempo in galera ) (…) contrariamente all’apprenza, queste non erano affermazioni politiche nel senso tradizionale, neppure nel senso più ristretto di espressioni miranti ad abolire le leggi repressive. Non era il loro obbiettivo. Erano invece pubbliche proclamazioni di desideri e sentimenti privati. Come diceva uno slogan del 1988: “Prendo i miei desideri per la realtà perché credo nella realtà dei miei desideri” (…).
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 391.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Anche ciò che sembrò una ribellione di massa e talvolta ne ebbe gli effetti, la soggettività restò il nucleo essenziale. “il personale è politico” divenne uno slogan importante del nuovo femminismo, un movimento che fu forse il risultato più duraturo degli anni della radicalizzazione politica.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 391.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
E che il criterio del successo politico era dato dall’effetto che l’azione politica aveva sulla gente. Per alcune donne quello slogan significava semplicemente “tutto quello che mi preoccupa posso definirlo un problema politico”, come trasprare da un titolo di un libro degli anni ’70 Fat is a Feminist issue.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 391.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
“Quando penso alla rivoluzione voglio fare l’amore” avrebbe lasciato di stucco non solo Lenin, ma anche la Ruth Fischer, la giovane militante comunista viennese il cui primato di promiscuità sessuale fu duramente criticato da Lenin.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 391.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Per i giovani contestatori parigini la cosa importante non era certo ciò che i rivoluzionari speravano di ottenere con la propra azione ma ciò che facevano e come si sentivano mentre lo facevano. Fare l’amore e fare la rivoluzione non potevano essere disgiunti chiaramente.
La liberazione personale e la liberazione sociale procedettero così di pari passo; infatti il modo più ovvio per infrangere i legami imposti dal potere, dalla legge e dalle convenzioni dello stato, dai genitori e dall’ambiente sociale erano il sesso e le droghe. Il sesso, in tutte le sue multiformi espressioni, non c’era bisogno di scoprirlo.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 391.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
La rivoluzione culturale degli anni ’60 e ’70 può dunque essere intesa come il trionfo dell’individuo sulla società, o piuttosto comoe la rottura dei fili che nel passato avevano avvinto gli uomini al tessuto sociale. Infatti il tessuto sociale non era formato soltanto dalle effettive relazioni fra gli esseri umani e dalle loro forme organizzative, ma anche dai modelli generali di tali relazioni e dagli schemi che, secondo le aspettative comuni, dovevano regolare i comportamenti reciproci tra le persone, i cui ruoli erano prescritti, benché non sempre fossero messi per iscritto.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 394-395.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Quanto all’onore di una donna, che tradizionalmente si identificava con la verginità prematrimoniale e con la completa fedeltà al partner in che cosa consisteva e dunque che cosa bisognava difendere alla luce dei comportamenti sessuali praticati e accetati negli anni ’80 dalle persone colte e emancipate?
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 394.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Poteva capitare che l’alternativa e una vecchia convenzione, per quanto irragionevole, non fosse una nuova convenzione o un comportamento più razionale, bensì l’assenza completa di regole, o almeno, l’assenza di un’opinione comune su ciò che si poteva e si doveva fare.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 394.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
In occidente, i decenni della rivoluzione sociale avevano portato a una distinzione assai più ampia dei vecchi codici etici e sociali. I termini di tale crollo sono più tacitamente visibili nei discorsi ideologici (…) specialmente in quelle dichiarazioni pubbliche che, pur non avanzando la pretesa di essere logicamente coerenti e approfondite, vengono formulate come se esprimessero opinioni valide, largamente diffuse. Si pensi (…) alla giustificazione dell’aborto in termini di un astratto e illimitato “diritto di scelta” dell’individuo ( donna ).
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 396.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
Il vecchio vocabolario dei diritti e dei doveri, delle obbligazioni reciproche, del peccato e della virtù, del sacrificio, della coscienza, dei premi e delle pene, non poteva essere tradotto nel nuovo linguaggio della gratificazione immediata dei desideri.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 398.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
La grande ondata di prosperità che si abbatte sulle popolazioni delle aree favorite del mondo, rafforzata dai sistemi pubblici di sicurezza sociale sempre più estesi e generosi, parve rimuovere le macerie della disintegrazione sociale.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 399.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
…e i giornali, così come gli anziani, [sono] i più colpiti dalla depressione e dala disoccupazione, avevano molto tempo libero; inoltre, come hanno osservato i sociologi, durante gli anni della depressione, mogli e mariti erano più inclini a divertirsi durante il tempo libero.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 127.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
La democrazia si fonda su se stessa, su questo consenso ma non lo crea; soltanto nelle democrazie stabili e a lunga tradizione il meccanismo di votazione regolare ha dato ai cittadini, perfino a quelli che parteggiavano per la minoranza, il sentimento che le consultazioni elettorali legittimano il governo che da esse scaturisce.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 127.
Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
La radio era un puro strumento comunicativo che non astera il messaggio. Ma la sua capacità di parlare simultaneamente a un numero incalcolabile di individui, ciascuno dei quali si sentiva chiamato in causa personalmente, rese la radio un potentissimo strumento di informazione di massa nonché di propaganda e di pubblicità come riconobbero i governanti e i venditori (…).
Il mutamento più profondo recata dalla radio fu pivatizzare la vita e allo stesso tempo di regolarla secondo un orario rigoroso che da allora in poi governò non solo la sfera del lavoro ma anche quella del divertimento. Questo mezzo comunicativo – e anche la televisione fino alla comparsa dei video registratori – sebbene fosse rivolto all’individuo, creò la sua sfera pubblica. Per la prima volta nella storia un uomo che avesse incontrato un perfetto sconosciuto poteva sapere in anticipo ciò che l’altro aveva con ogni probabilità sentito ( e, più tardi, visto ) la notte prima (…).
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, pp. 235-236.

Hobsbown. Storia. Storia contemporanea.
In breve, “diversamente dalle ferrovie o dalle navi più veloci o da macchine e prodotti d’acciaio, che riducevano i costi, i nuovi prodotti e il nuovo stile di vita per potersi diffondere esigendo livelli di reddito elevati e in crescita e una fiducia molto alta nel futuro”.
Hobsbown E., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1997, p. 125.
Hume. Filosofia. Empirismo. La conoscenza della connessione di causa è conosciuta a posteriori.
Oserò affermare come proposizione generale che non ammette eccezioni che la conoscenza di questa relazione non si consegue in alcun modo a priori; ma nasce interamente dall’esperienza quando troviamo che certi particolari oggetti sono congiunti tra loro.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 41.
Hume. Filosofia. Empirismo.
Abstruse thought and profound reserches I probit, and will severly punish, by the pensile melancoly which they introduce, by the endless uncertain in which they involved you and by the cold reception which your pretended discoveres shall meet, when communicated. Be a philosopher; but, admist all your philosophy, be still a man.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 8.
Hume. Filosofia. Empirismo.
…le difficoltà che impediscono il progresso della filosofia morale richiedono una diligenza ed una capacità superiori per essere superate.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 95.
Hume. Filosofia. Empirismo.
Non c’è metodo di ragionamento più comune e biasimabile del cercare, nelle discussioni filosofiche, di rifiutare un’ipotesi col pretesto che essa ha delle conseguenze pericolose per la religione e per la morale. Quando un’opinione ci porta a delle assurdità è certamente falsa; ma non è certo che sia falsa solo perché ha delle conseguenze pericolose.
Hume, Trattato sulla natura umana, Bollati Boringhieri, Milano.
Hume. Filosofia. Empirismo. Perché svalutiamo le ricchezze.
Mentre studiavo con attenzione la vita umana, e volgiamo tutti i pensieri alla natura vuota ed effimera delle ricchezze e degli onori, forse non facciamo che insinuare senza sosta la nostra indolenza naturale, la quale, odiando il trambusto del mondo ed il lavoro aspro ed estenuante degli affari, cerca un pretesto per darsi una pian ed incontrollata indulgenza.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 63.
Hume. Filosofia. Empirismo. Ragioni di chi si accanisce contro la ragione.
Poiché [la ragione] non sollecita passioni sregolate, guadagna scarsi partigiani; e poiché si oppone a tanti vizi e follie, solleva contro di sé abbondanza di nemici che la stigmatizzano come libertina, profana e irreligiosa.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 65.
Hume. Filosofia. Empirismo.
Niente è più libero dell’immaginazione dell’uomo, e per quanto essa possa non andare al di là dell’originale deposito di idee che son fornite dai sensi interni ed esterni, ma un potere illimitato di mescolare, comporre, separare e dividere queste idee, in tutte le varietà di invenzione e di visione.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 73.
Hume. Filosofia. Empirismo. Perché i cattolici sentono la necessità di pregare di fronte a immagini.
Le cerimonie della religione romana cattolica si possono considerare esempi della stessa natura. I devoti di questa superstizione sono soliti addurre a pretesto per i cerimoniali ridicoli, di cui si fa loro rimprovero, il fatto che essi sentono il benefico effetto dei loro movimenti esterni, degli atteggiamenti e delle azioni nel ravvivarsi della loro devozione e nel loro rafforzarsi del loro fervore, i quali altrimenti decadrebbero, se rivolti completamente ad oggetti distanti ed immateriali. Noi simboleggiamo, dicono, gli oggetti della nostra fede in rappresentazioni ed immagini sensibili e ce li rendiamo, con l’immediata presenza di tali simboli, più presenti di quanto ci sarebbe possibile fare soltanto con una visione e contemplazione intellettuale.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 79.
Hume. Filosofia. Empirismo. L’amore per le reliquie.
La gente superstiziosa è amante delle reliquie di santi e beati, per la stessa ragione per cui va in cerca di simboli e di immagini, con l’intento di ravvivare la propria devozione e di farsi una concezione più intima e forte di quelle vite esemplari che si desidera imitare.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 81.
Hume. Filosofia. Empirismo. Fraintendimenti dell’abitudine.
E’ tale l’influsso della consuetudine che questa, dove è più forte, non soltanto nasconde la nostra ignoranza dalla natura, ma anche cancella se stessa e sembra che non esista, soltanto perché è presente nel più alto grado.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 45.
Hume. Filosofia. Empirismo. L’ammissione d’ignoranza è preferibile alla presunzione.
Il miglior espediente per prevenire quest’imbarazzo, è di essere modesti nelle nostre pretese ed anche di scoprire noi stessi le difficoltà, prima che ci venga posta dagli altri. In questo modo, possiamo dalla nostra genuina ignoranza cavare una sorta di merito.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 49.
Hume. Filosofia. Empirismo. Contro le idee innate.
Se poi ho torto, devo riconoscere io stesso d’essere in verità uno studioso molto tardo, dal momento che non riesco ora a scoprire un argomento che, a quanto sembra, mi era del tutto familiare molto prima che uscissi dalla culla.
Hume D., Ricerca sull’intelletto umano, Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 61.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sulle usanze della giustizia medioevale.
« Fino a quali estremi, per niente cristiani, giungesse proprio la mescolanza di fede e desiderio di vendetta lo dimostra la consuetudine dominante in Francia e in Inghilterra di rifiutare ai condannati a morte non solo il viatico, ma anche la confessione: non si volevano salvare le loro anime; anzi, si voleva aggravare l’affanno mortale colla certezza delle pene infernali ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sui sentimenti di giustizia nel medioevo.
« Mancavano nel medioevo tutti quei sentimenti che hanno reso oscillante il nostro concetto di giustizia: l’idea della responsabilità, l’idea della fallibilità del giudice, la coscienza che la società è corresponsabile dei misfatti del singolo, la questione se non val meglio correggere il colpevole che farlo soffrire ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sulla giustizia medioevale.
« Laddove noi conosciamo delle pene ridotte o inflitte con esitanza e quasi con cattiva coscienza, la giustizia medioevale non conosce che i due estremi: la piena misura di una pena crudele o la grazia ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sui sentimenti popolari del popolo medioevale intorno alle questioni inerenti alla giustizia.
« Il contrasto immediato tra crudeltà e compassione dominava i costumi anche al di fuori dell’amministrazione della giustizia. Da un lato si incontra la più spietata inumanità verso i bisognosi e gli invalidi; dall’altro una tenerezza infinita e un profondo sentimento di fraternità verso i malati, i poveri, i dementi, simili a quelli che troviamo nella letteratura russa, e anche ivi uniti alla crudeltà. Il piacere delle esecuzioni capitali è almeno accompagnato fino ad un certo punto giustificato da un forte senso di giustizia appagato ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sul trattamento dei pazzi nel medioevo.
« Come si procedesse con i dementi, risulta dalla relazione sul trattamento fatto a Carlo VI, che, essendo re, ebbe delle cure certamente diverse da quelle praticate agli altri. Per cambiare biancheria il povero folle non s’era trovato di meglio che di farlo spaventare da dodici uomini tinti di nero, come si i diavoli venissero a prenderlo ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. La vita quotidiana dei medioevali.
« Così cruda e così variopinta era la vita, che essa poteva aspirare in un medesimo istante l’odore di sangue e di rose. Il popolo, come un gigante dalla testa di bimbo, oscillava tra angosce infernali ei più ingenui piaceri, fra una crudele durezza e una singhiozzante tenerezza. Viveva sempre tra gli estremi: dalla completa rinuncia ai piaceri del mondo a un attaccamento frenetico alla ricchezza e ai godimenti, dall’odio più cupo a una bonarietà ridanciana ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
Huizinga. Storia. Medioevo. Sull’inquietudine dello studio della storia.
« Chi però studi a fondo quell’epoca riesce soltanto a stento a tener fermo l’aspetto giocoso, perché al di fuori della sfera dell’arte c’è soltanto il buio. Nei minacciosi ammonimenti dei sermoni, negli stanchi gemiti della letteratura, nelle monotone relazioni delle cronache e dei documenti, da per tutto grida il pittoresco peccato e piange la miseria ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995

Huizinga. Storia. Medioevo. Come si giustifica l’apparato del potere di fronte al popolo.
« L’orgoglio è il peccato dell’epoca feudale e gerarchica, in cui i possessi e le ricchezze sono poco mobili. Allora il potere non è ancora essenzialmente collegato colla ricchezza; è più personale e, per essere riconosciuto deve manifestarsi con un grande apparato: un numeroso seguito di fedeli, ornamenti preziosi, un contegno pieno di sussiego. La coscienza di essere più degli altri viene di continuo alimentata dal pensiero feudale e gerarchico mercé forme espressive: omaggi e ossequi offerti in ginocchio, solenni prove d’onore, pompa maestosa, tutte cose che fanno apparire quella superiorità come qualcosa di molto reale e legittimo ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.

Huizinga. Storia. Medioevo. La percezione dei popoli della loro storia.
« Il popolo non può capire la propria sorte e gli avvenimenti dell’epoca altro che come una successione ininterrotta di malgoverno e di sfruttamento, di guerre e di saccheggi, di carestia, miseria e pestilenza ».
J. Huizinga, L’autunno del Medioevo, traduzione di B. Jasink, BUR 1995.
J
K
Kant. Filosofia. Moderni. Definizione dell’immaginazione.
« L’immaginazione è la facoltà di rappresentare un oggetto, anche senza la sua presenza nell’intuizione. (…)
L’immaginazione è pertanto una facoltà di determinare a priori la sensibilità… »
I. Kant. Critica della ragion pura. ( Edizione 1987 ). Laterza ( concessa stampa Mondolibri ). Roma-Bari. P. 121.
Kant. Filosofia. Moderni.
(…) Neanche la libertà, benché non sia una proprietà della volontà in base a leggi naturali è priva di leggi, anzi, dev’essere una causalità secondo leggi immutabili, ma di specie particolare perché altrimenti la volontà libera sarebbe un nulla.
Kant I., Metafisica dei costumi, (F.S.). p. 67.
Kant. Filosofia. Moderni. Necessità dei lavori scientifici.
«… in ogni ricerca scientifica bisogna continuare tranquillamente il proprio cammino con tutta l’esattezza e sincerità possibili, senza curarci di ciò con cui tal ricerca potrebbe contrastare fuori del suo dominio ed eseguirla per sé sola, per quanto si può, secondo verità e in modo completo ».
I. Kant. Critica della ragion pratica. Traduzione di Francesco Capra. Laterza. Bari. 1997. P. 233.
Kant. Filosofia. Moderni.
« la ragion pura è per sé sola pratica, e dà all’uomo una legge universale che noi chiamiamo legge morale ».
I. Kant. Critica della ragion pratica. Traduzione di Francesco Capra. Laterza. Bari. 1997. P. 55.

L
Le Goff. Storia. Medioevo. Immagine dell’economia medioevale.
« All’ingrosso il tempo del lavoro è quello di un’economia ancora dominata dai ritmi agrari, esenti dalla fretta, senza scrupolo di esattezza, senza preoccupazioni di produttività, e di una società a sua immagine, “sobria e pudica” senza grandi appetiti, poco esigente, poco capace di sforzi quantitativi ».
Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino. 1977.
Le Goff. Storia. Medioevo. Sulla nuova valutazione del tempo.
« Comunque è proprio in questo periodo che per la prima volta si sviluppa una spiritualità dell’impiego del tempo. L’ozioso che perde il suo tempo, non lo misura, è simile agli animali, non merita di essere considerato un uomo: “egli si pone in tale stato che è più vile che quello delle bestie”. Nasce così un umanesimo a base di tempo ben calcolato ».
Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino 1977.
Le Goff. Storia. Medioevo. Sulla nuova valutazione del tempo nel medioevo e sulla valutazione delle cose.
« Ormai quel che conta è l’ora-misura nuova della vita: “mai perdere un’ora di tempo”. La virtù cardinale dell’umanità è la temperanza, a cui l’iconografia fin dal secolo XIV da’ come attributo l’orologio, misura d’ora in avanti di tutte le cose ».
Jacques Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, traduzione di M. Romano, Einaudi, Torino 1977.
Leibniz. Filosofia. Razionalisti. Assurdità degli uomini di conoscenza.
Si ha grande ragione di stupirsi dello strano modo che hanno gli uomini di tormentarsi, agitando questioni mai poste: essi cercano ciò che sanno e non sanno ciò che cercano.
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano (F.S.) p. 156.
Leibniz. Filosofia. Razionalisti.
L’esecuzione del nostro desiderio è sospesa o arrestata quando esso non è abbastanza forte da commuoversi o da superare la fatica o l’incomodo che si ha nel soddisfarlo. Questa fatica non consiste talvolta che in una pigrizia o fiacchezza insensibile, che scoraggia senza che vi si ponga attenzione; ed è maggiore nelle persone educate nella mollezza il cui temperamento è flemmatico o che sono sfiduciate dall’età o dagli insuccessi.
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano (F.S.) p. 72.
Leibniz. Filosofia. Razionalisti. L’assurdità di chi crede che i pazzi siano i più liberi e la ricerca della felicità.
S. 50. FILATTETE. L’essere determinati al meglio dalla ragione significa essere più liberi possibile. “C’è qualcuno forse che vorrebbe essere un pazzo, per la ragione che un imbecille è meno determinato da sagge riflessioni di un uomo di buon senso? Se la libertà consiste nello scrollarsi di dosso il gioco della rateino, i pazzi e gli insensati saranno le sole persone libere, ma non credo pertanto che per amore di una tale libertà qualcuno vorrebbe essere folle, eccetto chi non lo sia già.”
TEOFILO. C’è gente oggi che crede sia proprio del bello dello spirito reclamare contro la ragione e trattarla da incomodo pedante. Vedo opuscoli di chiacchieroni che si fanno vanto di ciò, e talvolta vedo versi troppo belli per essere adattati a sì dalsi pensieri. In effetti, se coloro che si burlano della ragione parlassero sul serio, si tratterebbe di una stravaganza di nuova specie, sconosciuta ai secoli passati. Parlare contro la ragione è parlare contro la verità. E’ parlare contro se stessi e il proprio bene. Poiché il punto principale della ragione consiste nel cercare tale bene e nel seguirlo.
S. 51. FILATTETE “come dunque la più altaperfezione di un essere intelligente consiste nell’applicarsi scrupolosissimamente e costantemente alla ricerca della vera felicità, così la cura che dobbiamo avere di non prendere per una felicità reale quella che è soltanto immaginaria è il fondamento della nostra libertà: più siamo legati a una ricerca incessante della felicità in generale, che non smette mai di essere l’oggetto dei nostri desideri, più la nostra volontà si trova svincolata dalla necessità di esser determinata dal desiderio che ci porta verso qualche bene particolare, fintanto che non abbiamo esaminato se tale bene ci conduca o si opponga alla nostra vera felicità.
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, (F.S.) pp. 175-176.
Leibniz. Filosofia. Razionalisti.
E’ vero che la considerazione della vera felicità, anche di questa vita, sarebbe sufficiente a far preferire la virtù alle voluttà che ne tengono lontani, nonostante che in questo caso l’obbligo non sarebbe così forte né così decisivo. E’ vero che anche i gusti egli uomini sono differenti, e si dice che non bisogni disputare sui gusti. Ma essi non sono che percezioni confuse, non bisogna attendervi se non riguardo a oggetti esaminati e riconosciuti per indifferenti ed incapaci di nuocere: altrimenti, se qualcuno infelice, sarebbe ridicolo dire che non si deve contestargli ciò che è di suo gusto.
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, (F.S.) p. 177.
Leibniz. Filosofia. Razionalisti.
Vi sono persone che si pongono parecchio al di sopra dei dolori o dei piaceri presenti e mediocri, e che non agiscono quasi che per timore e speranza; altri sono così effeminati che si lagnano del minimo fastidio o corron dietro al minimo piacere sensibile presente, simili quasi a bambini. Sono queste le persone cui il dolore o piacere presente sembra sempre il più grande; essi sono come quei predicatori o panegirici poco giudiziosi per i quali, secondo il proverbio, il santo del giorno è sempre il più gran santo del paradiso.
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, (F.S.) p. 181.
Leucippo. Filosofia. Presocratici.
« Nulla avviene invano ma tutto per una ragione e necessariamente ».
F.S.
Locke J.. Filosofia. Moderni. Credibilità dell’autorità.
« Non è che io creda che un qualunque nome, per quanto grande, messo in testa ad un libro, possa coprire i difetti che si troveranno in esso. Ciò che va per le stampe deve reggere o cadere sul merito proprio della fantasia del lettore ».
Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 3.
Locke J. Filosofia. Moderni. La novità come accusa.
« L’accusa di “novità” è una terribile imputazione fra coloro che dicano del cervello degli uomini come delle loro parrucche, cioè, in base alla moda, e non possono ammettere che una dotrtrina sia giusta se non è comunemente accettata ».
Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 4.
Locke J.. Filosofia. Moderni. Sulle opinioni.
« Le opinioni nuove sono sempre sospette e, di solito, vengono combattute, non per altra ragione se non perché non sono ancora accettate dai più ».
Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 4.
Locke J.. Filosofia. Moderni. Sulla paradossalità di certe posizioni.
« …io sarei uno che scrive intorno all’intelligenza senza averne ».
Locke J., Saggio sull’intelligenza umana. Laterza. Bari. 2001. P. 5.
Locke J.. Filosofia. Moderni. Perché leggere il “saggio”.
« Se quest’opera avrà la fortuna di occupare allo stesso modo alcuna parte del tuo tempo libero, e se leggendola ne ricaverai anche solo la metà del piacere che ho provato io nel comporla, credo che non rimpiangerai il tuo denaro, più che io non rimpianga la mia fatica. Ti prego di non credere che queste righe vogliano essere un elogio del mio libro, e di non immaginare che, per il fatto che mi ha dato piacere lo scriverlo, io ne sia molto ammirato e preso, ora che è scritto. Chi va alla caccia di allodole o di passeri ne trarrà lo stesso divertimento, ma assai meno profitto, di chi persegue una nobile preda ».
Locke J., Saggio sull’intelligenza umana, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 6.
M
Marziale.
« Est res magna tacere ».
F.S.
Mackie. Filosofia contemporanea. Filosofia morale.
…ubriacarsi ( o, piuttosto, forse iniziare ad ubriacarsi ) è qualche cosa che viene compiuto intenzionalmente, un individuo può essere ritenuto responsabile per averlo fatto e, forse, per averlo fatto in circostanze in cui si prevede che potranno condurre a fare del male.
Mackie J., Le frontiere dell’etica, (F.S.) p. 220.
Medoro di Chio. Filosofia. Presocratici.
« Nessuno di noi sa nulla, neppure se noi sappiamo o non sappiamo ».
F.S.
Melisso. Filosofia. Eleati.
« Sempre era ciò che sempre sarà, perché se fosse nato, sarebbe necessario che prima di nascere non fosse nulla; ma se non era nulla, dal nulla non sarebbe potuto nascere nulla in alcun modo ».
F.S.
Maimonide. Filosofia. Medioevali.
« La profezia è un’emanazione di Dio che si effonde grazie alla mediazione dell’intelletto agente dapprima sulla facoltà razionale, poi su quella immaginativa ».
F.S.
Montale. Letteratura italiana. Poesia.
Ti guardiamo noi, della patria
Di chi rimane a terra.
Montale E., Ossi di seppia, Mondadori, Milano, p. 22.
Montanari M.. Storia. Medioevo. La politica pontificia.
« La politica pontificia era infatti sempre stata attenta a far sì che il nascente dominio territoriale della chiesa non rimanesse schiacciato da un potere politico coerente nella penisola italiana ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 198.
Montanari M. Storia. Medioevo. Politica pontificia.
« Come le monarchie europee e i comuni italiani, anche il papato romano cominciò fra il XI e il XII secolo a riorganizzarsi dal punto di vista territoriale e amministrativo, giungendo, già nel corso del ‘200 a esercitare il suo potere su soggetti politici sin a quel momento dotati di autonomia e indipendenza ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 199.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica pontificia.
« Per i pontefici romani affermarsi come il vertice supremo della cristianità significò riscuotere tasse da tutta Europa e intervenire attivamente in molte sfere di competenza dei vescovi e dei signori ecclesiastici; sul piano ideologico ciò colle dire consolidare la propria regalità ed elaborare una figura di sovrano assoluto che nei secoli successivi sarebbe stata presa a modello anche dai poteri laici ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 223.
Montanari M.: Storia. Medioevo. Politica pontificia.
« Dal punto di vista finanziario al papa spettavano sia i tributi che i sudditi gli dovevano come sovrano ( per esempio quelli previsti per il mantenimento della corte, che per molta parte dell’anno non risiedeva a Roma, ma era itinerante in vari centri del Lazio e delle zone limitrofe ), sia quelli che riscuoteva in quanto signore territoriale ( censi, affitti dei terreni del patrimonio di San Pietro, diritto di commercio entro lo Stato ). A questi si aggiungevano le decime locali, cioè i versamenti obbligatori ( teoricamente pari alla decima parte dei prodotti della terra e dell’attività pastorale ) che proprietari e coltivatori dovevano versare alla chiese locali e di monasteri, e le decime ecclesiastiche, dovute al papato dai titolari dei benefici. (…)
Tutti questi introiti confluivano nella “camera apostolica” il cui capo, detto camerlengo, si occupava di registrarli, custodirli e reimpiegarli, talvolta investendoli per il mantenimento della curia pontificia e per la promozione di attività politiche e militari ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 224.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica Pontificia.
« I pontefici acquisirono sempre più potere anche nel controllo dei benefici (…). Il raggio d’azione dei pontefici si estese anche nell’ambito più strettamente spirituale, mediante una più stretta disciplina dei fenomeni di religiosità spontanea (…) e del culto della santità, che a partire dal XIII secolo fu sottoposta a un controllo più rigoroso ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 224.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Politica pontificia nei confronti dei movimenti religiosi spontanei.
« Le vicende religiose e politiche che dall’XI secolo videro protagonista la chiesa di Roma furono decisive per l’affermarsi di un coerente dominio temporale soggetto al papato, ma causarono forti disagi all’interno della cristianità che all’azione dei pontefici vedeva dimenticati gli ideali evangelici. La risposta del potere ecclesiastico alle correnti religiose originate spontaneamente da tali disagi fu duplice: alcuni movimenti, anche di radicale contestazione, furono ricondotti nel seno della chiesa; altri furono condannati sia sul piano teologico che sul piano giudiziario come “eresie”. Essi avevano un immediato riflesso politico, non solo perché sovvertivano l’ordine ecclesiastico con la creazione di chiese parallele e, in alcuni casi, minacciavano la pace sociale, ma anche perché, con la loro stessa esistenza, intaccavano l’autorità della chiesa di Roma mettendole in discussione il primato ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 228.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Interpretazione degli eretici da parte dell’ortodossia cattolica.
« Uno scoppio improvviso di predicazioni eterodosse scosse la Francia meridionale all’inizio del secolo XI. Gli uomini di chiesa che ne lasciarono memoria non avevano strumenti per comprendere questi fenomeni e le relegarono nel mondo della follia, dell’influenza demoniaca, della marginalità ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 228.
Montanari M.: Storia. Medioevo. Sulle dottrine degli “eretici”.
« Molti movimenti evangelici, definiti più tardi ereticali dalla chiesa romana, non avevano in realtà elaborato alcuna dottrina estranea ai dettami cristiani ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 229.
Montanari M.: Storia. Medioevo. Un “trattamento esemplare”.
« Il peccato che costò a Valdo una condanna nel 1184. e poi la scomunica ufficiale nel 1215 non fu una scelta di vivere in povertà, ma la presunzione di predicare nonostante il divieto delle autorità ecclesiastiche ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 229.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Contro gli eretici.
« Inutilmente i pontefici ordinarono pene sempre più severe: nel 1184 la bolla Ad abolendam di Luccio III prevedeva il bando per gli eretici in specie i catari e patarini; successive decretali di Innocenzo III equiparavano gli eretici ai rei di lesa maestà condannandoli per tanto alla pena capitale. Nel 1208 venne bandita dal pontefice una vera e propria crociata contro i catari di Albi e della contea di Tolosa, nella Francia meridionale, che provocò un massacro della popolazione nel 1215 nel corso del VI concilio lateranense si ribadirà l’anatema per gli eretici e i loro fautori. Anche Federico II eletto imperatore, condannò l’eresia come reato capitale nelle leggi del 1220 in pieno accordo con Papa Onorio III ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. Pp. 230-231. Per citare, ricontrollare il manuale stesso.
Montanari M.. Storia. Medioevo. La risposta della chiesa ai movimenti ereticali.
« La nascita e l’approvazione degli ordini mendicanti si rivelarono un evento decisivo nella lotta contro l’eresia. Francescani e domenicani dovevano combattere gli eretici sul piano dottrinale, attraverso un’opera di capillare predicazione e sottraendo consensi con l’esempio di una vita “mendicante” ma pienamente ortodossa. Agli stessi ordini fu affidata la “santa inquisizione”, un tribunale dipendente dal papa, con poteri giurisdizionali speciali in materia di fede ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 233.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Il ciclo maltusiano.
« [ Malthus ] il problema che lo tormentava era quello della prolificità dei ceti più bassi, verso i qual, a suo avviso, non bisognava avere alcun atteggiamento caritativo. In un suo celebre scritto ( Saggio sul principio di popolazione ) egli mise in risalto come la popolazione tenda ad aumentare in progressione geometrica ( 1, 2, 4, 8, 16… ) mentre i mezzi di sostentamento crescono in progressione aritmetica ( 1, 2, 3, 4… ) perciò l’aumento ciclico della miseria –ciò che noi chiamiamo crisi- a suo avviso sarebbe salutare perché, impedendo ai poveri di far figli e alzando il loro livello di mortalità, provoca un riequilibrio del rapporto popolazione/risorse tramutandosi in un vantaggio collettivo ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 240.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Conseguenze delle cattive interpretazioni.
« la compiutezza estetica delle sue realizzazioni –per esempio i restauri del castello di Pierrefonds e della cittadina di Carcassone, rispettivamente nel nord e nel sud della Francia- offre l’immagine idealizzata di un passato niente affatto semplice che diventa facilmente comprensibile perché ricreato attraverso una interpretazione coerente e unitaria ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. P. 275.
Montanari M.. Storia. Medioevo. Sull’impegno degli storici e contro pregiudizi nella storiografia.
« Ciò facendo, in fondo abbiamo scelto di fare a meno del medioevo. Della parola medioevo, troppo gravida di pregiudizi negativi o positivi, di immagini tenebrose o solari che riguardano la nostra percezione, piùche la realtà di quest’epoca. Si deplora spesso l’uso “distorto” che viene fatto del medioevo da certo giornalismo, da certi film, da certi romanzi, da certe feste o da presunte ricostruzioni storiche: “cose da medioevo” ogni volta che un nostro conto con la storia si riapre, o un comportamento irrazionale si fa strada; “il medioevo” di orrori, di paure, di incubi terribili ( quasi che il nostro tempo non ne avesse generato di peggiori ); e insieme, nostalgia di “un medioevo” fatto di gnomi e di fate, di eroi, di santità e di nobili sentimenti, di amori cortesi e di forti solidarietà. In ogni caso, un medioevo lontano dagli uomini veri, un’isola che non c’è, in cui proiettare i nostri sogni o ricercare un alibi per sentirci migliori. Questo non è il medioevo degli storici, i quali pazientemente si applicano a ricostruire frammenti di quel mondo affidandosi alla faticosa lettura e alla ancora più faticosa interpretazione dei documenti. (…)
Ripulire la storia dai luoghi comuni è un’operazione difficile o forse impossibile, ma è questo uno dei compiti maggiori che spettano allo storico, quando voglia trasformare il suo lavoro da semplice erudito in un impegno civile. Mettere in discussione ciò che crediamo di capire è la prima forma per assumere un abito critico che ci servirà in ogni occasione della vita ».
Montanari M., Storia medioevale. Laterza. Bari. 2008. Pp. 278-279.

N
Nietzsche. Filosofia. Romantici. I propri lettori.
« Ma l’arte mia non cerca anime elette,
vele modeste vuole la mia nave ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. L’arte di amare Ovidio. P. 110.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
Così infatti è òl’uomo: anche se l’articolo di fede potesse essergli mille volte confutato, posto che egli lo sentisse necessario, continuerebbe sempre a tenerlo per “vero”. (…) La volontà, infatti, come passione del comando, è il più decisivo segno di riconoscimento del dominio esercitato su se stessi (…).
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003, pp. 260-261.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. L’inconscio.
…che intelligere sia qualcosa di conciliante (…) esso è soltanto un certo rapporto conciliante degli impulsi tra loro. Per lunghissimo tempo si è considerato il pensiero consapevole come il pensiero in generale: soltanto oggi ci balugina la verità, che la maggior parte del nostro pensiero spirituale si svolga senza che ne siamo coscienti, senza che lo avvertiamo; penso tuttavia che questi impulsi, qui in lotta l’uno contro l’altro, sapranno benissimo farsi sentire tra loro e procurarsi vicendevolmente del male: quel forte senso di sfinimento, da cui sono afflitti tutti i pensatori potrebbe avere qui la sua origine ( è lo sfinimento del campo di battaglia ).
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003, p. 238.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Ognuno è da sé medesimo il più lontano.
Quanti sono gli uomini che sono capaci di osservare? E, tra i pochi che ne sono capaci, quanti sono coloro che osservano se medesimi? “Ognuno è da sé medesimo il più lontano”: questo sanno, non senza disagio, quelli che scrutano i visceri; e la massima “conosci te stesso” in bocca a un dio e indirizzata a degli uomini, è quasi una malvagità.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 238.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Diritto all’esistenza?
…e hai sempre ciecamente accettato quel che ti è stato designato fin dall’infanzia come giusto; o nella circostanza che fino ad oggi hai ottenuto (…) onori tramite quello che tu chiami il tuo dovere; esso è per te “giusto” poiché ti sembra la tua “condizione di esistenza” ( che poi abbia un diritto all’esistenza è a tuo parere cosa irrefiutabile ).
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 239.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Il proprio giudizio come legge.
Difatti è un egoismo sentire il proprio giudizio come legge universale, ed è daccapo un egoismo cieco, limitato e senza pretese, poiché rivela che tu non hai ancora scoperto te stesso, che non ti sei ancora creato un tuo ideale, un ideale assolutamente tuo.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 240.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Nuove tavole di valori.
…che ogni azione, un una considerazione anteriore o posteriore di essa, è e resta una cosa impenetrabile –che le nostre opinioni di “buono”, “nobile”, “grande” non possono mai essere dimostrate dalle nostre azioni perché ogni azione è inconoscibile. (…) Limitiamoci, dunque, a epirare le nostre opinioni e valutazioni, e alla creazione di nuove tavole di valori che siano nostre (…).
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 241.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
…la nostra “propria vita” è una cosa troppo dura ed esigente ed è troppo lontana dall’amore e dalla gratitudine degli altri – non è affatto a malincuore che sfuggiamo ad essa, ad essa e alla nostra coscienza degli altri e dentro il buon tempio della “religione della pietà”.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 246.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Non esiste una scienza priva di presupposti.
…resta soltanto da stabilire se, affinché questa disciplina possa avere inizio, non debba esistere già una convinzione, e invero così imperiosa e incondizionata da sacrificare a se stessa tutte le altre. Si vede che anche la scienza riposa su questa fede, che non esiste affatto una scienza “scevra di presupposti”. La domanda se sia necessaria la verità, non soltanto deve avere avuto già in precedenza risposta affermativa, ma deve averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che “niente è più necessario della verità, e che in rapporto ad essa tutto il resto ha solo valore di secondo piano”.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 253.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Il filosofo è colui che si fonda su se stesso.
In cielo e sulla terra, il “disinteresse” non vale un bel nulla; i grandi problemi esigono tutti il grande amore e di questo sono capaci solo gli spiriti forti, compiuti, sicuri, che poggiano saldamente su se stessi.
Nietzche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 257.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. L’egoismo ottenebra la coscienza.
In verità, essi sono enormemente sicuri della loro vita e di essa sono innamorati, e sono pieni di indicibili astuzie e sottigliezze, per spezzare quel che non fa piacere, e togliere al dolore e all’infelicità la loro spina (…): mentre al massimo grado del dolore si determina da sé la perdita della coscienza.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 231.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Si può vivere gioiosamente.
…ma per me essa è un universo [la conoscenza] di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno la loro arena. “La vita come mezzo della conoscenza”: con questo principio nel cuore si può non solo valorosamente, ma persino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere!
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 230.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
…a partire da Socrate i pensatori non si stancarono di predicare: “La vostra mancanza di idee e la vostra stoltezza, il vostro vegetare secondo la norma, il vostro soggiacere all’opinione del vicino è la ragione per la quale giungete così di rado alla felicità…”
Nietzche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 233.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. La verità del nostro tempo.
…assenza di spiritualità. Ci si vergogna già oggi del riposo, il lungo meditare crea quasi rimorsi di coscienza. Si pensa con l’orologio alla mano, come si mangia a mezzogiorno appuntando l’orologio sul bollettino di Borsa –si vive come uno che “potrebbe continuamente farsi sfuggire” qualche cosa. “Meglio fare qualsiasi cosa che nulla”. Anche questo principio è una regola per dare il colpo di grazia a ogni educazione e ogni gusto superiore. (…)
La prova di ciò sta nella grossolana chiarezza oggi pretesa ovunque, in tutte le situazioni in cui l’uomo vuole essere questo con l’altro uomo, nei rapporti con amici, donne, parenti, bambini, insegnanti, scolari, condottieri e principi – e non si ha più tempo né energia per il cerimoniale, per i giri tortuosi della cortesia, per ogni espirit la virtù vera consiste nel fare qualcosa nel minor tempo di un altro.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 234.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. La verità del pensatore autentico.
Il pensatore non ha bisogno del consenso e degli applausi, se si suppone che sia sicuro del suo applauso: di questo, però, non può fare a meno.
Nietzsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 234.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. L’imprescindibilità della sordità.
E’ questa certamente una brutta epoca per il pensatore: deve imparare a trovare tra due rumori ancora il suo silenzia e a fingere di essere sordo tanto a lungo da diventarlo.
Nitezsche F., La gaia scienza, Adelphi, Milano, 2003, p. 236.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sulle cose importanti.
« E non siamo forse traditi da tutto ciò che riteniamo importante? Esso mostra dove si trovano i nostri pesi e per quali cose noi non possediamo alcun peso ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Libro II. Par. 88. Pag. 127.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sempre a casa propria.
« Quando un giorno, arriviamo a toccare la nostra meta – e allora mostriamo con orgoglio quali lunghi viaggi abbiamo fatto per giungervi. In verità non c’eravamo accorti d’essere in viaggio. Ma siamo arrivati così lontano proprio illudendoci di essere, in ogni luogo, a casa propria.
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. paragrafo 253. “Sempre a casa”. P. 195.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« …scrivere per me è un imperiosa necessità. B) Perché? A) In confidenza, io non ho finora trovato alcun’altro mezzo per liberarmi dei miei pensieri ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Par. 93. P. 130.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Sulla solitudine.
« Quando si vive soli, non si parla troppo forte, non si scrive nemmeno troppo forte perché si teme la vuota risonanza. –la critica della ninfa Eco. E tutte le voci suonano in maniera diversa nella solitudine ».
F. Nietzsche La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. Paragrafo 182. P. 184.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. L’invenzione linguistica.
« L’uomo inventore dei segni è insieme l’uomo sempre più acutamente cosciente di sé: solo come animale sociale l’uomo imparò a divenir cosciente di se stesso – è ciò che egli sta ancora facendo, ciò che egli da sempre di più. Come si vede, il mio pensiero è che la coscienza non apprenda all’esistenza individuale dell’uomo… »
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte IV. “Del genio della specie”. P. 272.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Regolarmente la civiltà inferiore accoglie dalla superiore prima di tutto i vizi, debolezze e dissolutezze, perché avverte su di sé il loro fascino ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. P. 134.
Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Quando si vive soli, non si parla troppo forte, non si scrive nemmeno troppo forte perché si teme la vuota risonanza. –la critica della ninfa Eco. E tutte le voci suonano in maniera diversa nella solitudine ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte III. Paragrafo 182. P. 184..
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su Schopenhauer.
« E’ forse il duro senso dei fatti, la sua onesta volontà di cose chiare e irrazionali, che lo fa spesso apparire così inglese e così poco tedesco? Oppure è la robustezza della sua coscienza intellettuale, che sostenne un’antinomia tra essere e volontà durata tutta la vita, che lo forzò a contraddirsi costantemente, anche nei suoi scritti e quasi ad ogni passo (…). Sono invece le mistiche perplessità e i sotterfugi di Schopenhauer, in quei passi dove il pensatore dei fatti si lascia sedurre e corrompere dal vanitoso impulso di essere colui che scoglie l’enigma del mondo; … ».
F. Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 135.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su ciò che si apprende subito dagli altri filosofi.
« Queste e altre simili aberrazioni e manchevolezze del filosofo sono sempre le prime cose ad essere accettate e a divenire oggetto di fede- manchevolezze e aberrazioni sono infatti sempre quel che è maggiormente facile ad imitare e non esigono una lunga propedeutica ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 136.
Nietzsche. Filosofia. Romantici. Su ciò che ha influenzato i filosofi.
« Anche i singoli atteggiamenti e affetti dei filosofi hanno costantemente esercitato una seduzione! ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 137.

Nietzsche. Filosofia. Romantici.
« Il wagnerismo comincia a dimostrarsi pericoloso tanto quanto soltanto ha saputo essere l’hegellianeria di ogni genere. Schopenhaueriano è l’odio di Wagner verso gli ebrei, con i quali non riesce a essere giusto neppure nella loro piu’ grande impresa. Sono stati pure gli ebrei a escogitare il cristianesimo ».
Nietzsche. La gaia scienza. Adelphi. Milano. 2003. Parte II. Paragrafo 99. P. 137.
O
P
Prosperi. Storia. Età moderna.
Il mondo contemporaneo ha fatto poi propri i quattro parametri degli illuministi: la ragione, la ricerca della felicità, la libertà e la tolleranza. Questi principi hanno una frattura profonda, a lungo tempo insanabile, con la cultura religiosa la quale per un millennio e mezzo aveva dominato l’Europa. Il cristianesimo, soprattutto quello cattolico, più conservatore del protestantesimo, ha faticosa per altri due secoli, prima di accettare anche solo di discutere questi quattro valori fondamentali che cozzavano con il suo insegnamento tradizionale, fondato sul mistero della fede, sull’accettazione della sofferenza, sulla sottomissione alla gerarchia e sull’indiscutibilità del messaggio rivelato.
Prosperi A. Viola P. Dalla rivoluzione inglese alla rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 2000. p. 277.
Prosperi. Storia. Età moderna.
Questa potente giustizia parallela [l’inquisizione] – in passato potentissima, ma ancora in grado di far paura. Non trattava solo i casi di eresia, che non erano più molti, ma di bestemmia, di pensiero non conformista, di comportamenti che turbavano l’ordine spirituale.
Prosperi A. Viola P. Dalla rivoluzione inglese alla rivoluzione francese, Einaudi, Torino, 2000. p. 282.
Pirenne. Storia. Medioevo. Commercio degli schiavi.
« Il commercio degli schiavi non cessò di essere praticato nel regno franco fino alla fine del IX secolo. Le guerre condotte contro i barbari della Sassonia, della Turingia e delle regioni slave erano una fonte di approvvigionamento che sembra essere stata piuttosto abbondante (… )
Bisogna ricordare che il commercio di schiavi, al quale gli ebrei si dedicavano ancora attivamente nel IX secolo, risale certamente ad un’epoca più antica ».
Henri Pirenne, Le città del Medioevo, traduzione di E. Romeo, Laterza, Roma-Bari 1995.
Protagora. Filosofia. Sofisti. L’uomo misura di tutte le cose.
« Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono e di quelle che non sono ».
F.S.
Protagora. Filosofia. Sofisti. Sull’impossibilità di rispondere alla domanda: esistono gli dei?
« Riguardo agli dei non posso accertare che sono né che non sono, opponendosi a ciò molte cose: l’oscurità dell’argomento e la brevità della vita umana ».
F.S.

Pericle. Storia. Antichità. Sulla politica.
« Benché soltanto pochi siano in grado di dar vita ad una politica, noi tutti siamo in grado di giudicarla ».
F.S. ( Popper, Società aperta e i suoi nemici ).
Polibio. Storia. Antichità.
« D’altra parte, la stessa eccezionalità degli avvenimenti su cui ho deciso di scrivere, basta da sola a richiamare e invitare chiunque, giovane o adulto, ad accostarsi a quest’opera. Quale uomo potrebbe infatti essere così ignorante o superficiale da non voler sapere in che modo e da quale tipo di Stato fu dominato quasi tutto il mondo abitato, e in meno di cinquantatre anni cadde sotto il potere assoluto dei Romani, fatto che non si trova sia mai accaduto in precedenza? Chi potrebbero essere così affascinato da qualche altro spettacolo o tipo di insegnamento da ritenerlo più utile di questa conoscenza?
E che l’oggetto di investigazione che ci riguarda è di grandezza eccezionale risulterà chiaro al massimo grado se prederemo e confronteremo con la grandezza dei Romani le più illustri potenze del passato, su cui gli storici hanno scritto più a lungo ».
Polibio I 1. 4-5.
Polibio. Storia. Antichità.
« E’ infatti evidente anche a chi si occupi appena appena di politica che, se i Cartaginesi riescono a sconfiggere definitivamente i Romani o i Romani a battere i Cartaginesi, non è assolutamente pensabile che i vincitori si accontentino di dominare l’Italia e la Sicilia, ma arriveranno ad estendere le loro mire e ad inviare i loro eserciti oltre i confini del lecito. … se aspettasse che le nubi che ora si addensano all’occidente arrivino ad incombere sulla Grecia, temo fortemente che le tregue, le guerre e tutti questi giochi che ora stiamo facendo tra noi, vengano troncati così bruscamente da dover pregare gli Dei di concederci ancora questa possibilità: quella, cioè di combattere e di far pace tra noi quando lo vogliamo; in una parola: di risolvere da soli le nostre contese ».
Polibio V 104.3.
Polibio. Storia. Antichità.
« …mentre Antioco lo salutava a voce da lontano e gli tendeva la destra, porse al re la tavoletta che teneva a portata di mano e sulla quale c’era il testo del senatoconsulto e per prima cosa lo invitò a leggerla, non ritenendo opportuno, così credo io, esprimergli il convenzionale segno di amicizia, prima di conoscere le intenzioni di colui che gli porgeva la destra, se gli fosse cioè amico o nemico. E quando il re, dopo averla letta, disse di volersi consultare con i suoi amici riguardo alla notizia ricevuta, Popilio compì un atto che sembrò offensivo e veramente arrogante: con il bastoncino di vite che teneva in mano [ forse come insegna del proprio ufficio ] tracciò un segno attorno a Antioco e gli ordino di restare dentro a quel tale cerchio finché non avesse dato una risposta riguardo al contenuto di quello scritto. Antioco rimase sbalordito per il gesto autoritario del Romano e dopo qualche istante di esitazione, dichiarò che avrebbe fatto tutto quello che i Romani avessero ordinato. Allora Popilio e i suoi collegi gli presero la destra e lo salutarono tutti insieme con grande cordialità. Lo scritto ordinava di porre immediatamente fine alla guerra con Tolomeo ».
Polibio XXIX 27.2.7.
Plutarco. Storia. Antichità.
« Era dunque il tempo dei Giochi Istmici e una folla immensa di spettatori era seduta nello stadio per vedere le gare di atletica, tanto più che, essendo cessati già da un po’ di tempo gli impegni bellici, la Grecia si era riunita, sperando nella libertà, mentre già si trovava con una pace sicura. Ecco che il trombettiere comandò a tutti il silenzio, l’araldo avanzò in mezzo allo stadio e fece questo proclama: “Il senato romano e il console e generale Tito Quinzio, avendo vinto il re Filippo e i Macedoni, lasciano Corinto, la Focile, la Locride, l’Eubea, l’Acaia Ftiotide, la Magnesia, la Tessaglia, la Perrebia libere, senza guarnigioni, esenti da tributi, in possesso delle loro leggi tradizionali”. Dapprima non tutti udirono o udirono chiaramente; vi era nello stadio un movimento confuso e tumultuoso, con gli spettatori meravigliati che si interrogavano l’un l’altro su ciò che era stato detto e chiedevano una ripetizione del proclama. Ristabilito il silenzio, l’araldo fece risuonare più forte la sua voce e le parole del proclama rieschggiarono in tutte le direzioni: allora un grido di gioia di un’ampiezza incredibile si diffuse fino al mare. Tutti gli spettatori si alzarono: nessuno prestava più attenzione agli atleti… ».
Plutarco, Vita di Flam. 10.
Platone. Filosofia. Antichità. Platonismo. Le colpe di Socrate.
« Socrate è colpevole di essersi rifiutato di riconoscere gli dei riconosciuti dalla città e di avere introdotto altre nuove divinità. Inoltre è colpevole di aver corrotto i giovani. Si richiede la pena di morte ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Antichità. Platonismo.
« Una vita priva di indagine non è vita da uomini ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla ricerca della verità.
« … i molti ignorano che, senza codesto discorso per tutte le vie, è impossibile che la mente si imbatta nel vero ».
Platone. Parmenide. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo. ?
« … egli avessero argomento di ragionare assai copioso ».
Platone. Timeo. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo. L’uno e la molteplicità.
« … che è quello che è sempre e non ha generazione; e che è quello che si genera, e mai non è. L’uno, è ciò che si comprende per intelletto e per ragione, siccome quello che è eternamente a un modo; l’altro, per lo contrario, è ciò che è opinabile per opinione ed irrazionale senso, generandosi esso e perendo sì, che mai non è veramente. Tutto quello che poi si genera, è necessità che generato sia da alcuna cagione; senza quella non patendo alcuna cosa venire a generazione ».
Platone. Timeo. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.
Platone. Filosofia. Platonismo.
« il padre come vede muovere e vivere questo suo generato degli iddii eterni, s’allegra ».
Platone. Timeo. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970.

Platone. Filosofia. Platonismo.
« …conosco bene la mia ignoranza… ».
Platone. Fedro. Nella versione di Francesco Acri. Einaudi. Torino. 1970..
Platone. Filosofia. Platonismo. Gli stati devono essere governati dai filosofi.
« Non è possibile la cessazione, per gli stati, dei mali e neppure per il genere umano, se i filosofi non regnano negli stati, o quelli che ora chiamiamo re e principi non praticano una buona e genuina filosofia, e se non si compongono e congiungono insieme potere politico e filosofia, e se non si estromettono con la forza tutti coloro che tendono solamente all’una o all’altra cosa soltanto ».
? Repubblica.
Platone ( Lettera ). Filosofia. Platonismo. Sull’impossibilità di ridurre il lungo ( discorso ) al breve.
« La filosofia più alta non può essere ridotta a formule, come le altre banche del sapere. La sua luce si accende solo come il risultato di una lunga riflessione del problema, di una convivenza con essa, che la fa scaturire da scintilla a scintilla: e allora si nutre da sé ».
Lettera?
Platone. Filosofia. Platonismo. Guardando se stessi.
« E alla fine risposi a me stesso e all’oracolo che mi andava bene essere così come sono ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla paura della morte.
« E’ certo infatti, o giudici, che aver timore della morte altro non è che sembrare sapienti senza invece esserlo, perché significa far credere di sapere cose che non si sanno affatto. Nessuno infatti conosce la morte e nemmeno sa se magari non sia il bene più grande per gli uomini, tuttavia questi la temono come se si trattasse del più grande dei mali. Non è questa la vera ignoranza, la più vergognosa di tutte, l’essere convinti di sapere ciò che non si sa? ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla vanità della ricerca delle ricchezze.
« Carissimo, ( tu che sei ateniese ), cioè della città più grande e stimata per sapienza e potenza, non ti vergogni di darti pena per diventare il più ricco possibile e di preoccuparti della tua reputazione, del tuo onore, senza curarti né di pensare alla sapienza e alla verità, insomma all’anima, per raggiungere la perfezione? ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. Sulla giustezza del proprio comportamento.
« Sappiate che io non mi comporterà mai diversamente da così anche se dovessi morire cento o mille volte ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Platone. Filosofia. Platonismo. La malvagità e non la morte è la causa del vero male.
« Ma non questa, cittadini, io penso sia la cosa più difficile, sfuggire appunto alla morte, ma, piuttosto, sfuggire alla malvagità ».
Platone. Processo di Socrate. Demetra. Colognola ai colli. 2000.
Q
R
Reale G.. Filosofia. Aristotelismo. L’impegno morale della serietà dei filosofi.
« Del resto, come è stato ben detto, nessun filosofo potrebbe esser compreso, se non si assumesse che egli è in ogni momento responsabile della sua opera, quando non abbia negato espressamente parte di essa ».
G. Reale. Storia della filosofia greca e romana. Vol. 4 Aristotele e il primo peritato. Tascabili Bompiani. Milano. 2004. P. 18.
Reale G.. Filosofia. Aristotelismo. Buone ragioni per porsi problemi metafisici.
« Perché c’è questo tutto, da che cosa è sorto? Quale ne è il principio e ragion d’essere? Sono problemi, questi, che equivalgono al seguente: perché c’è l’essere e non il nulla? Un momento particolare di tale problema generale è il seguente: perché c’è l’uomo? Perché ciascuno esiste?
Come è chiaro, si tratta di problemi che l’uomo non può non porsi o, comunque, sono problemi che, nel momento in cui l’uomo li rifiuta categoricamente, n resta menomato il suo esser uomo ».
Aristotele. Metafisica I. Bompiani. Milano. 2000. A cura di Giovanni Reale. Introduzione.
P. XV.
Roberto Grossatesta. Filosofia. Medioevali. Sulla luce come primo principio materiale.
« Ritengo la luce prima forma corporea che alcuni chiamano corporeità. Luce si diffonde in ogni parte così che da un punto di luce si genera una grande sfera ».
F.S.

S
Storia. Antichità. Iscrizione.
« …assumendosi la responsabilità dell’ambasceria a Roma nell’interesse del popolo, affrontarono difficoltà fisiche non meno che morali, conferendo con i Romani più imporanti e vincendoli con la loro pazienza giorno dopo giorno e assicurandosi che i patroni della nostra città fornissero l’aiuto di Roma al nostro popolo: presentando i fatti e attendendo giornate intere nei vestiboli di costoro ( sono ovviamente gli atria delle case romane, ove i clienti aspettavano per il saluto mattutino ) essi ebbero la meglio su coloro che guardavano al nostro nemico e gli davano la loro protezione ».
SIG 656 Dittenberger; nuove lezioni offre Hermann, “ZPE” 7, 1971, pp.72-77.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
…noi ricadiamo indietro nella conoscenza che il principio di ragione governa, conosciamo non pià l’idea ma la cosa singola, l’anello d’una catena, alla quale noi stessi apparteniamo; e siamo restituiti a tutto il nostro affanno. I più degli uomini, mancando loro affatto l’oggettività, ossia la genialità, stanno quasi sempre in questa condizione. Perciò non si trovano volentieri soli con la natura; abbisognano di compagnia, almeno quella di un libro imperocché il lor conoscere rimane soggetto al volere: negli oggetti essi cercano quindi solamente un possibile rapporto con la loro volontà; e davanti a tutto ciò che tal rapporto non abbia, risuona nel loro intimo perenne sconsolato non mi serve a nulla: dal che anche il più bello spettacolo di natura prende per essi nella solitudine una triste, sinistra, ostile presenza.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 228.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
Questa volontà è in sé, ossia fuor della rappresentazione, una e identica con la mia; sono nel mondo quale rappresentazione, la cui forma è sempre almeno di soggetto e oggetto, veniamo a scendersi in conosciuto e conoscente individuo. Non appena il conoscere –il mondo come rappresentazione- e, tuttavia, non rimane se non pura volontà, cieco impulso. Il suo farsi oggettità, il divenir rappresentazione, stabilisce d’un tratto sia soggetto che oggetto. L’essere invece codesta oggettità pura, completa, adeguata oggetità della volontà, pone l’oggetto come idea, libero dalle forme del principio di ragione e il soggetto come puro soggetto della conoscenza, sciolto dall’individualità e dal sevizio della volontà.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 211.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo. Possibili utilizzi del libro dell’autore.
Mio ultimo riparo è ora rammentargli che egli può utilizzare il libro in vari modi, senza bisogno di leggerlo. Può, come tanti, riempire un vuoto ella sua biblioteca, dove esso, ben ripiegato, farà certo buona mostra di sé. O anche a deporlo sulla toilette o sul tavolo da te della sua dotta amica.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 8.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
Gli errori dei grandi spiriti estendono la loro influenza dannosa su intere generazioni, anche per secoli; anzi, crescendo e propagandosi, finiscono per degenerare in mostruostià: e tutto questo deriva dal fatto che come dice Berkeley: few man think, but all have opinions.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 62.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
E’ un errore tanto grosso quanto comune, il pensar che siano i più frequenti, i più generali e più semplici fenomeni quelli che noi meglio comprendiamo: mentre sono semplicemente quelli a cui si sono meglio abituati il nostro sguardo e la nostra ignoranza.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006. p. 151.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
… con la fiducia che presto o tardi raggiungerà coloro, ai quali solo può essere rivolto, e d’altronde tranquillamente rassegnato a vedergli toccare in piena misura il destino, che sempre toccò alla verità, in ogni dominio del sapere e tanto in quello che piò importa: alla quale verità è destinato solo un breve trionfo, fra i due lunghi spazi di tempo in cui ella è condannata come paradossale o spregiata come banale, e il primo destino colpisce insieme colui che l’ha trovata. Ma la vita e breve e la verità opera lontano e lungamente vive: diciamo la verità.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 8.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
La verità non è meretrice, che si getti al collo di coloro che non hanno brama di lei: anzi, è una bella così desta che persino chi a lei sacrifica tutto non può esser certo della sua grazia.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 11.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
…non essendo a questo mondo da attendersi, da pretendere per denaro null’altro che mediocrità, bisogna anche qui contentarsene.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006. p. 15.
Schopenhauer. Filosofia. Irrazionalismo.
Per effetto della sua originalità, vale di lui in in altissimo grado ciò che propriamente vale di tutti i veri filosofi: sono dai loro scritti s’impara a conoscerli, non dalle relazioni altrui. (…) I pensieri filosofici si apprendono solo dai loro stessi fautori per ciò chi si sente sospinto verso la vera filosofia deve andare a visitare gli immortali maestri di quella nel quieto santuario delle opere medesime.
Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, Laterza, Roma-Bari, 2006. p. 16.
Severino. Filosofia. Contemporanei. Pensiero sulla totalità.
« Si può pensare la totalità delle cose solo se si scorge la loro identità: l’identità del diverso, l’identità del molteplice ».
F.S. ?
Senofane. Filosofia. Eleati.
« Il dio tutto vede intero, tutto intero pensa, tutto intero ode ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Il certo nessuno mai lo ha colto né alcuno ci sarà che lo colga relativamente agli dei e relativamente a tutte le cose su cui parlo. Infatti, se anche uno si trovasse per caso a dire, come meglio non si può, una cosa reale, tuttavia non la conoscerebbe perché a tutti è dato opinare ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Gli dei non rivelarono sin dall’inizio ogni cosa ai mortali, ma questi, col passare del tempo, trovano cercando, ciò che è meglio ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« Il dio, tutto intero, pensa, vede e ode ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sugli dei.
« I mortali immaginano che gli dei siano nati, che abbiano vesti, voce e figura come loro ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati.
« Esercita il suo dominio senza sforzo, e col suo pensiero realizza tutto ».
F.S.
Senofane. Filosofia. Eleati. Sulla predominanza dell’intelligenza sulla forza bruta.
« Se qualcuno, là dove è il santuario di Zeus presso le correnti del Pisa in Olimpia, vincesse o per la velocità delle gambe o al pentatlon o alla lotta o affrontando il doloroso pugilato o quella terribile gara che chiamano pancrazio, certo apparirebbe più glorioso agli occhi dei suoi cittadini e ai giuochi avrebbe un posto d’onore e la città gli offrirebbe il vitto a spese pubbliche e un dono che sarebbe per lui un cimelio; oppure, otterrebbe tutto questo, anche se vincesse alla corsa con i carri, senza esserne degno come sono degno io: vale di più il nostro sapere che non la forza fisica di uomini e cavalli. Ben irrazionale è questa valutazione e non è giusto apprezzare più la forza che non il beneficio del sapere ».
F.S.
Sesto Empirico. Filosofia. ? . Sugli accademici.
« Di accademie, dicono i più, ce ne sono state tre, la prima e la più antica fu quella di Platone; la seconda o media, quella di Arcesilao, uditore di Polemone, la terza e la nuova quella di Carneade e Clitomaco ».
F.S.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Pensiero.
« II. L’uomo pensa [ NS; o altrimenti, noi sappiamo di pensare ] ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte 2. Assioma 2. P. 124.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sulle differenze di pensiero fra gli uomini.
« Sono infatti sulla bocca di tutti i molti: tante teste e tanti pareri, ognuno abbonda del proprio buon senso, le differenze fra cervelli non sono minori di quelle fra i palati. Questi molti dimostrano a sufficienza che gli uomini giudicano le cose secondo la loro disposizioni d’animo piuttosto che capire, le immaginano ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Appendice. P. 126.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sui pregiudizi teologici.
« …tutti i pregiudizi che qui intraprendo a denunciare dipendono soltanto da questo unico pregiudizio, che cioè comunemente gli uomini suppongono che tutte le cose naturali, come essi stessi, agiscano in vista di un fine; anzi, danno per certo che lo stesso Dio diriga tutte le cose verso un certo qual fine ( dicono, infatti, che Dio ha fatto tutte le cose in vista dell’uomo e l’uomo stesso allo scopo di adorarlo ) (…) cercando prima di tutto la causa [ di tale pregiudizio ]. (…) e cioè che tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose, mentre tutti appetiscono la ricerca del proprio utile, cosa della quale sono consapevoli. Da questa condizione segue in primo luogo che gli uomini credono di essere liberi poiché sono consapevoli delle loro volizioni e dei propri appetiti, mentre non pensano neppure lontanamente alle cause dalle quali sono disposti a appetire e a volere poiché di queste cause essi sono ignari. In secondo luogo, segue che gli uomini fanno tutto in vista di un fine, e cioè in vista dell’utile che appetiscono; (…) ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Appendice, Parte I.
Spinoza. Filosofia. Moderni. L’affetto della superbia.
« …la Superbia è effetto o proprietà dell’Amore di sé e, per tanto, può anche essere definita come Amore di sé, ossia Soddisfazione di sé in quanto produce nell’uomo un affetto per cui si sente di sé più del giusto. Non si da contrario di questo affetto. Infatti nessuno sente di sé meno del giusto, in quanto immagina di non potere questo o quello ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte III. Proposizione XXVIII. Sspiegazione
Spinoza. Filosofia. Moderni. L’eternità.
« Per eternità intendo la stessa esistenza in quanto la si concepisce seguire necessariamente dalla sola definizione daella cosa eterna ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Definizione I. P. 88.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sulla conoscenza inadeguata.
« Da tutte le cose dette fin qui risulta chiaramente che noi percepiamo molte cose e che formiamo nozioni universali. 1) Dalle cose singolari rappresentate a noi mediante i sensi in modo mutilato, confuso e senza ordine per l’intelletto: e per ciò ho preso l’abitudine a chiamare tali percezioni conoscenza per esperienza vaga. 2) Da segni, per esempio dal fatto che, udite o lette certe parole, ci ricordiamo delle cose e formiamo di esse certe idee simili a quelle mediante le quali immaginiamo le cose. D’ora in avanti chiamerò entrambi questi modi di contemplare le cose conoscenza del primo genere, opinione o immaginazione ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte II. Proposizione XL. Scolio II. P. 156.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Infinite cause.
« Dalla necessità della divina natura, devono seguire infinite cose in infiniti modi ( cioè, tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito ). (…) solo Dio, infatti, esiste per la sola necessità della sua natura e agisce per la sola necessità della sua natura. E per ciò Dio solo è causa libera. -Una cosa che è determinata da Dio a fare alcun che non può rendere se stessa indeterminata ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Proposizione XVI; Proposizione XVII; Corollario II.
Spinoza. Filosofia. Moderni. Sull’indifferenza dell’infinita sostanza.
« Confesso che l’opinione che sottomettere tutte le cose a una certa qual volontà indifferente di Dio e stabilisce che tutte le cose dipendono dal suo beneplacito, si allontana dal vero meno di quella di coloro che stabiliscono che Dio fa ogni cosa in vista del bene ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Proposizione XXXIII. Scolio II.
Spinoza. Filosofia. Moderni. La sostanza.
« Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé: ovvero ciò, il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa, da quale debba essere concepito ».
Baruch Spinoza. Etica Dimostrata con metodo geometrico. Editori Riuniti. Roma. 1988. A cura di Emilia Giancotti. Parte I. Definizione III. P. 87.

T
Tocqueville. Storia. Romanticismo.
« Non so se riuscirò a far conoscere quel che ho visto (…), ma assicuro di aver avuto sinceramente questo desiderio e di non aver mai ceduto consapevolmente al bisogno di adattare i fatti alle idee in luogo di sottemettere queste a quelli ».
Tocqueville Alexis. Democrazia in America. BUR., pag. 29
Tucidide. Storia. Antichità. Sulla guerra del Peloponneso.
« La guerra avrebbe raggiunto grandi porzioni e avrebbe avuto una portata superiore a quella delle guerre che l’avevano preceduta ».
F.S.
Tucidide. Storia. Antichità. Sulla credibilità delle fonti a disposizione.
« Ecco, dunque, ciò che furono le mie ricerche sui tempi antichi. In questo campo molto difficile credere a tutti gli indizi così come vengono trasmessi perché la gente, anche nel caso del loro stesso paese, accetta senza esaminare le tradizioni tramandate riguardo il passato ».
F.S.
Tucidide. Storia. Antichità. Sulla grandezza di Atene.
« Ad Atene noi apertamente riflettiamo e apertamente giudichiamo sugli affari privati e pubblici, convinti che i discorsi non muovono all’operare, ma ad esso nuoce piuttosto il passare ai fatti, prima di aver chiarite nei discorsi le idee. Poiché noi abbiamo questo pregio singolare di essere insieme al sommo ardimentosi e riflessivi in tutto quanto intraprendiamo; diversi perché dagli altri nei quali l’ignoranza genera audacia e la ponderatezza la lentezza. Per raccogliere il molto in poco, dico insomma: Atene è la scuola della Grecia ».
F.S.
U
V
W
Welles Orson. Cinema. Quarto potere.
« Only one man can decided what I’ll do: it’s me ».
Welles Orson. Citizen Kane. 1951.
Wittghenstein. Filosofia. Contemporanei. Logici.
« 5.632 Il soggetto non è parte ma limite del mondo.
5.633 Ove, nel mondo, vedere un soggetto metafisico? Tu dici che qui sia proprio come nel caso l’occhio e del campo visivo. Ma l’occhio, in realtà, tu non lo vedi. E nel campo visivo fa concludere che esso sia visto da un occhio. »
L. Wittghenstein. Tractatus logico philosoficus. Einaudi. Torino. 1998. Pag. 89.

Z
Zenone ( Diogene Laerzio dice su… ). Filosofia. Eleati. Vita di Zenone.
« Ascoltò Parmenide e fu il suo amato… fu uomo eminentissimo sia in filosofia che in politica ».
F.S.
Zenone. Filosofia. Eleati. Paradosso.
« Se esistono molte cose allora sono simili e dissimili ».
F.S.

Fonte: http://www.cagliari-project.com/scuolafilosofica/antologiagenerale/antologia%20generale/Dizionario%20citazioni.doc

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