Filosofia dello Spirito Hengel

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Filosofia dello Spirito Hengel

 

Hegel :Filosofia dello Spirito
Lineamenti di filosofia del diritto

Quando l'esteriorità della natura ha esaurito le sue possibilità e, per di più, le ha esaurite nel suo punto più alto (il regno animale, privo di evoluzione temporale), allora arriva il momento supremo della triade: lo spirito . Esso è dato dall'unione di interno ed esterno, di idea e natura, ed è, in fin dei conti, quel pensiero calato nell' oggettività che siamo soliti definire 'uomo'. Anche lo spirito presenta una struttura triadica, e avremo uno spirito soggettivo, uno spirito oggettivo e uno spirito assoluto, il che sembra una contraddizione insuperabile: se lo spirito non è altro che la sintesi di soggettivo (Idea) e oggettivo (natura), che senso ha parlare di uno spirito soggettivo e di uno spirito oggettivo? In realtà, la soggettività e l'oggettività di cui tratta ora Hegel, non sono in sè, bensì sono la soggettività e l'oggettività dello spirito: sarà spirito oggettivo, ad esempio, lo spirito nella misura in cui si realizza nell'esteriorità, ovvero la storia, la politica, il diritto, lo stato, la guerra, e via discorrendo. E' evidente che non è più l'oggettivazione della natura, ma è lo spirito in quanto spirito che si attribuisce oggettività: una cosa è l'esteriorizzazione inconscia della natura, tutt'altra cosa sono le esteriorizzazioni dello spirito, che sono coscienti. Si può dire, ricorrendo ad una metafora, che l'uomo produce le istituzioni politiche come il mollusco si produce la sua conchiglia, però l'operazione del mollusco è inconscia (pur esprimendo anch'essa razionalità), quella dell'uomo presenta invece razionalità esplicita e conscia. Lo spirito soggettivo è l'uomo come singolo: se alla logica spettava la descrizione di Dio prima della creazione del mondo e dello spirito finito (ovvero l'uomo), alla Filosofia dello spirito soggettivo spetta invece la descrizione dell'uomo, dello spirito finito. Anche lo spirito soggettivo si divide in tre momenti interni: la sua prima determinazione è quella dell' anima , termine che Hegel desume dalla filosofia aristotelica e, in particolare, dal De anima dello Stagirita: in tale opera, l'anima era intesa non in termini metafisici, ma biologici, come ciò che fa sì che gli animali siano tali. Il momento dell'anima funge da cerniera tra filosofia della natura e filosofia dello spirito: l'anima, infatti, pur essendo qualcosa di spirituale, è molto prossima alla vita biologica della natura, tant'è che nella fase dell'anima lo spirito è ancora uno spirito naturale, le cui manifestazioni sono cioè strettamente connesse con la base naturale da cui scaturiscono. Il secondo momento dello spirito soggettivo è costituito dalla coscienza e Hegel non fa altro che riproporre il contenuto della prima parte della Fenomenologia dello spirito, tralasciando però le parti storiche quali la dialettica servo-padrone o la coscienza infelice. Se con l'anima (la cui scienza è l'antropologia) lo spirito è ancora legato al mondo naturale, con la coscienza esso assume consapevolezza dell'unità tra soggetto e oggetto. La terza manifestazione dello spirito soggettivo è lo spirito propriamente detto, ovvero è lo spirito soggettivo divenuto spirito e studiato dalla psicologia: lo spirito si riconosce in due diverse funzioni (già peraltro colte da Kant) di cui una terza è sintesi: la prima funzione dello spirito prende il nome di spirito teoretico , per sottolineare il momento della conoscenza (e quindi l'azione dell'oggetto sul soggetto), la seconda viene invece designata col nome di spirito pratico , per sottolineare il prevalere del momento della volontà (e quindi l'azione del soggetto sull'oggetto). La sintesi di questi due momenti è data dallo spirito libero , ovvero è lo spirito che prende coscienza di sé stesso come volontà libera. Essere liberi vuol dire effettuare scelte razionali, in base alla conoscenza, vuol dire scegliere e sapere ciò che si sceglie: in altri termini, si è liberi quando si sa ciò che si vuole e si vuole ciò che si sa. Ed è lo spirito libero che permette il passaggio da spirito soggettivo a spirito oggettivo, dall'uomo alle sue realizzazioni: una volta che lo spirito soggettivo è passato per l'anima e per la coscienza deve agire sulla realtà e lo fa uscendo fuori di sé per produrre il mondo umano, ovvero lo spirito oggettivo. Lo spirito libero, dunque, tende necessariamente a darsi una veste oggettiva. La tappa può essere letta in chiave di esteriorizzazione dell'uomo nelle sue produzioni, così come l'Idea si esteriorizza nella natura: la differenza, però, sta nel fatto che con la natura l'Idea si esteriorizza inconsapevolmente e nello spazio, con lo spirito oggettivo, invece, vi è un'esteriorizzazione consapevole e nel tempo. La conseguenza immediata è che solo nello spirito c'è evoluzione e non nella natura (in quanto fuori dal tempo), la quale presenta gradi diversi di sviluppo (la scimmia è superiore rispetto al pipistrello) ma si tratta di gradi atemporali. Solo lo spirito può dunque produrre qualcosa di nuovo nel tempo e lo fa oggettivandosi (spirito oggettivo): si tratta delle istituzioni esistenti storicamente e concretamente. Lo spirito oggettivo viene significativamente approfondito nei Lineamenti di filosofia del diritto , in cui il diritto è uno dei tre momenti (diritto, moralità, eticità). Hegel pone in apertura dei Lineamenti della filosofia del diritto l'espressione 'tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale' per sottolineare come anche nella storia (esplicitazione dello spirito), ovvero laddove sembrerebbe essere assente la razionalità, in realtà essa sia presente, come del resto è presente ovunque. Hegel si avvale di un linguaggio molto astratto per dire, in definitiva, qualcosa di molto concreto: lo spirito oggettivo è l'insieme di quelle realtà in cui ci troviamo a vivere e che, pur essendo creazioni dello spirito oggettivatosi, non sempre evidenziano la volontà razionale del singolo, sembrano anzi un contesto umano che non siamo stati noi a determinare. Ed Hegel allude alle istituzioni, ma anche ai modi di pensare comuni, che sembrano non già il frutto del pensiero di singoli uomini, bensì un ambiente in cui, una volta nati, si è costretti a vivere. Si giunge così ad una contraddizione apparentemente irrisolvibile dal nostro punto di vista: che senso ha dire che lo spirito, che per definizione sembra essere soggettivo a tutti gli effetti, si oggettiva? Ebbene, ad Hegel bisogna riconoscere il merito di aver scoperto l'esistenza di un aspetto oggettivo dello spirito, una creazione non della natura, ma dello spirito che si estrinseca e si crea un mondo (spirituale, ma oggettivo) di istituzioni e di leggi, ad esempio. Tale spirito oggettivo si articola in tre momenti: il diritto, la moralità, l'eticità. Poiché stiamo parlando dell'oggettivazione dello spirito, il primo momento sarà inevitabilmente oggettivo, ovvero tratterà dello spirito così come esso si esteriorizza nel rapporto con gli altri spiriti. Sarà dunque un momento di pura esteriorità e, non a caso, è costituito dal diritto . Concetto tipico del diritto è quello di 'persona', termine con il quale i Latini designavano la maschera teatrale: l'idea di fondo, infatti, è che nel diritto ci rapportiamo con gli altri in maniera meramente esteriore e a contare non è ciò che ciascuno è, ma il ruolo che ciascuno di noi viene a giocare nei rapporti contrattuali e di proprietà, come la maschera non rappresenta ciò che l'attore è in sé, ma ciò che egli viene a rappresentare sulla scena teatrale. Si tratta dunque di un ' diritto astratto ', dice Hegel, poiché le persone sono legate tra loro da rapporti esterni (i rapporti giuridici, tipicamente quello di proprietà) e non profondi. In un'ottica dialettica, non c'è da stupirsi se il momento successivo al diritto sarà dato da una ricerca profonda dell'interiorità, sicché si entra nel secondo momento, la moralità (Moralitet), che verrà a sua volta superato dialetticamente dall'eticità (Sittlichkeit). Hegel designa, come già abbiamo spiegato, col nome di derivazione latina ciò che è meno importante ed infatti egli non nutre particolare simpatia per la moralità kantiana dell'intenzione, la moralità tutta interiore e votata al dovere morale. Diritto e moralità sono due aspetti antitetici e unilaterali, per cui ciascuno di essi è incompleto e non soddisfacente: il diritto trascura l'interiorità, la morale trascura l'esteriorità. La sintesi di diritto e moralità la si ha con l'eticità (di cui Hegel ha già parlato nella Fenomenologia ), il momento in cui si hanno al tempo stesso la soggettività e l'oggettività, l'interiorità e l'esteriorità: l'eticità sarà dunque il momento in cui, spiega Hegel, l'individuo trova la sua realizzazione soggettiva nell'essere inquadrato in una collettività esteriore, in cui contano i rapporti esterni ma non viene per questo trascurato il senso soggettivo e individuale. Esempio di eticità sarà la persona che trova la propria realizzazione nella sua attività lavorativa, realizzando in essa se stesso e il suo senso del dovere, entrambi calati nella concretezza di un contesto collettivo. Nella nozione di eticità affiora la matrice luterana del pensiero di Hegel, una delle tanti matrici poiché, come Hegel stesso ci teneva a sottolineare, la sua è la filosofia che riassume tutte le altre (da Eraclito a Platone, da Spinoza a Schelling, da Aristotele a Parmenide) ed è solo in essa che tutte le filosofie possono essere comprese: l'inventore del concetto di eticità era stato Lutero stesso, il quale aveva esaltato il valore del lavoro, vedendo in esso una sorta di attività in cui il singolo realizza, oltre che se stesso, la volontà divina, tant'è che per Lutero la professione di fede tendeva a coincidere con la professione intesa come lavoro esercitato. L'eticità (che è il terzo momento dello spirito oggettivo) si articola a sua volta in tre momenti (famiglia, società civile, stato), in ciascuno dei quali l'individuo trova la sua specifica collocazione all'interno di una struttura collettiva. Bisogna precisare, però, che nella tradizione filosofica ad Hegel precedente (Hobbes) società civile e stato coincidevano; Hegel, invece, fa una distinzione tra le due cose (esprimendo grande modernità) sottolineando come, quand'anche lo stato venisse meno, i rapporti socio-economici tra gli individui (che costituiscono la società civile) permarrebbero. La società civile, dunque, è per Hegel un qualcosa che va oltre la famiglia ma che non è ancora pienamente lo stato; la distinzione, però, vuole per il momento essere esclusivamente concettuale (e non temporale): quando Hegel parlerà dello stato, allora tratterà anche dell'evoluzione storica dei diversi momenti, ma per ora egli intende solo effettuare un'analisi concettuale dei tre momenti. La famiglia è, di tutte le forme di eticità, la più immediata e naturale, come peraltro aveva già sostenuto Aristotele, in quanto altro non è se non l'unione immediata e naturale dei sessi per la creazione e l'allevamento della prole, unione istituzionalizzata dal matrimonio: la vita sessuale e quella sentimentale assumono un ruolo fondamentale per Hegel, attento osservatore della realtà ed estraneo al rigido moralismo kantiano. In un secondo momento, però, i figli divenuti adulti si distaccano dalla famiglia in cui sono nati per crearne una nuova o per vivere da soli: il nucleo familiare d'origine è venuto meno e sono nate tante famiglie sparse. Siamo dunque alla negazione della famiglia, poiché ci troviamo di fronte ad una situazione atomica (singoli individui) o molecolare (nuove coppie di individui) e da ciò scaturisce un nuovo rapporto di eticità, ovvero un nuovo modo di rapportarsi tra individui e collettività. Gli individui non vivono isolati, ma intrattengono tra loro quei rapporti della società civile tipicamente legati all'interesse personale: chi fa il pane avrà bisogno di chi fa i vestiti e viceversa, sicché si instaura una rete di relazioni in cui il singolo si rapporta con la collettività per trarne un giovamento personale. Evidentemente, non si tratta più di quel legame naturale e immediato della famiglia, ma è, al contrario, il momento in cui ciascuno mira egoisticamente al proprio interesse e intrattiene rapporti con gli altri per poterlo realizzare: la nuova eticità (società civile) sarà dunque puramente esteriore e mediata dall'interesse. Quando Hegel parla di società civile, egli allude in modo specifico alla società borghese (tanto più che in Tedesco 'civile' e 'borghese' coincidono) nata dal tramonto dell'ancien régime causato dalla Rivoluzione Francese: Hegel prima e Marx dopo, noteranno entrambi come la società borghese sia il modello perfetto per analizzare tutte le altre società, in quanto essa è la forma più pura, in cui gli individui sono legati tra loro da interessi egoistici e sono state spazzate via le incrostazioni sociali che sancivano giuridicamente la superiorità di un nobile su un cittadino qualunque, per dirne una. Dallo sfascio del gruppo familiare, nasce questo nuovo rapporto della società civile-borghese basato sull'interesse personale e non c'è da stupirsi se Hegel recupera le tesi liberiste esposte da Adam Smith un secolo prima: sostiene che gli ingredienti tipici della società borghese sono la divisione del lavoro e il rapporto di produzione mediato (non vi è cioè più rapporto diretto con la natura e con i suoi frutti), e arriva perfino a riprendere dalla filosofia di Smith il concetto di 'mano invisibile', secondo il quale dall'interesse personale perseguito da ciascuno nella società borghese è come se alla fine, per magia, una mano invisibile aiutasse tutti, per cui il panettiere facendo il pane e perseguendo il suo interesse aiuta anche gli altri. Gli studiosi hanno osservato come Hegel riveli una competenza assolutamente sterminata della cultura del suo tempo in tutte le sue sfumature, dalla fisica all'economia, dalla letteratura alla biologia. E' interessante il fatto che egli recuperi la concezione della mano invisibile perché essa non è altro che la trasposizione in termini economici della provvidenza divina che guida ogni cosa, come se il flusso della storia, ad esempio, fosse guidato da una razionalità immanente, ovvero interna alla storia stessa; all'incirca in quegli stessi anni, anche Manzoni maturerà la convinzione che ogni cosa sia pervasa dalla provvidenza divina, tuttavia la provvidenza verrà intesa come trascendente, cioè non interna ma esterna al mondo. Ancor prima di incontrarla nella storia, ci si imbatte nella provvidenza nell'ambito della società civile con la mano invisibile, in virtù della quale si crea un'unità tutta esteriore che è appunto la società civile, all'interno della quale l'uomo è definito con termine francese 'bourgeois' (all'interno dello stato sarà invece detto 'citoyen '). Già nella società civile sono presenti elementi che anticipano la nascita dello stato: ad esempio le corporazioni, fiorite in età medioevale come forme di organizzazione sociale ed economica; esse fanno pur sempre parte della società civile in quanto sono forme di aggregazione sociale, però cominciano a guardare a forme di appartenenza collettiva più ampie e, in ultima istanza, allo stato. Anche la nascita della polizia, ossia l'organizzazione che garantisce l'onestà dei cittadini, fa parte della società civile ma apre già spiragli verso lo stato, in quanto se la polizia è in primo luogo preposta ad impedire che vengano violati illegalmente gli interessi economici degli individui, essa, in ambito statale, sarà anche tenuta a mantenere l'ordine e a far regnare la giustizia. Dalla società civile si passa al terzo momento dell'eticità: lo stato . Con una terminologia usata a suo tempo da Hobbes, Hegel definisce lo stato come Dio in terra , il che ci permette di notare come Hegel riprenda non solo espressioni, ma anche concetti di tutte le filosofie precedenti alla sua, attribuendo ad essi nuovi significati: questo, del resto, è in piena sintonia con l'idea hegeliana dello sviluppo dialettico secondo cui solo alla fine le cose acquistano vero significato; e così le espressioni coniate dai pensatori del passato finiranno per assumere nella filosofia hegeliana un significato più compiuto di quello che rivestivano nella filosofia stessa di chi per primo li aveva elaborati. Dunque l'espressione hobbeseana secondo cui lo stato è Dio in terra avrà un significato più compiuto in Hegel che non in Hobbes, poichè la verità emerge sempre alla fine del processo e la fine del processo filosofico è la filosofia di Hegel, com'egli stesso asserisce. Bisogna senz'altro notare che la convinzione che lo stato sia Dio in terra in Hobbes rivestiva una valenza esclusivamente politica, mentre in Hegel si colora metafisicamente: se per Hobbes l'espressione voleva semplicemente dire che i beni maggiori l'uomo può aspettarseli in primo luogo da Dio, poi dallo stato, per Hegel, invece, il Dio della religione è l'Assoluto della filosofia, il quale si manifesta dialetticamente come natura, Dio e, soprattutto, spirito. E lo stato, nota Hegel, è Dio in terra perché rappresenta il culmine dello spirito oggettivo, sicchè lo spirito oggettivo nella sua massima manifestazione (lo stato appunto) traduce metafisicamente l'espressione impiegata da Hobbes nella sfera politica: Dio in terra si configura allora come Assoluto oggettivato, come spirito che si oggettiva in istituzioni, delle quali lo stato rappresenta l'apice. Lo stato tratteggiato da Hegel, naturalmente, è uno stato 'etico', in cui cioè l'individuo è pienamente calato nella collettività ed è proprio lo stato a rappresentarne la vera vita: l'individuo non esiste pienamente all'infuori della dimensione statale, vista come grande organismo pulsante in cui le parti contano solo se viste in funzione del tutto. Anche lo stato (che rappresenta l'ultimo momento dell'eticità e dello spirito oggettivo) ha un suo sviluppo dialettico in tre momenti: costituzione dello stato, diritto statale esterno, storia universale. Nell'ambito della costituzione dello stato , Hegel cerca di analizzare le strutture dello stato moderno triadicamente e si esprime a favore della monarchia costituzionale, il che può sembrare strano: infatti, Hegel si considerava come il puntello ideologico dell'autoritario stato prussiano e tuttavia, da quanto emerge in queste riflessioni, in cuor suo preferiva la monarchia costituzionale, che in fin dei conti rappresentava la forma di governo più avanzata all'inizio dell'Ottocento. Lo spirito assoluto, secondo il procedimento dialettico, si articola in tre momenti: arte, religione, filosofia. Tutte e tre sono forme con cui l'Assoluto tenta di rappresentare se stesso nella cultura e nell'uomo; l' arte costituisce il gradino più basso tra i tre in quanto l'artista rappresenta l'assoluto attraverso il materiale sensibile, il che è un limite insuperabile, poichè l'assoluto, per sua natura, sfugge alla sensibilità e alle sue forme. Naturalmente, l'arte non intende dirci che l'Assoluto è un qualcosa di sensibile: essa coglie ciò che trascende il sensibile, ma tuttavia per coglierlo necessita del sensibile. Hegel è pienamente d'accordo con le correzioni apportate da Plotino al platonismo: l'artista, realizzando l'opera d'arte, si ispira a ciò che è al di là del mondo sensibile, ma ciononostante, per compiere tale operazione, si avvale di strumenti sensibili che, proprio in quanto tali, risultano inefficaci. Hegel distingue diversi generi artistici e tre fasi della storia dell'arte (orientale, classica, cristiano-germanica) in ciascuna delle quali prevale un genere specifico: la prima fase, che Hegel definisce orientale, è caratterizzata dalla simbolicità in quanto la rappresentazione sensibile che l'artista dà dell'Assoluto è solo allusiva, ovvero allude all'Assoluto senza avanzare la pretesa di coglierlo nella sua totalità. Si avranno arti simboliche, capaci cioè solo di alludere all'Assoluto, in fasi storiche in cui si avrà concezione troppo poco matura o eccessivamente matura dell'Assoluto. Infatti, quando si ha una concezione troppo poco matura di esso, quale si aveva nella fase orientale, non si è in grado di esprimere il contenuto in modo maturo e il genere artistico che prevarrà sarà l'architettura, la quale non ha pretese di rappresentare e di cogliere l'Assoluto, ma si limita ad evocarlo nella misura in cui il tempio (costruzione per eccellenza di questa fase) è dimora di Dio. Anche il terzo momento, quello dell'arte cristiano-germanica, si caratterizza per una spiccata simbolicità: tuttavia, se essa allude senza cogliere l'Assoluto non è per via di una troppo poco matura concezione di esso, ma, al contrario, è per una concezione troppo matura. Quando si ha una concezione troppo elevata dell'Assoluto, quale è quella introdotta dal mondo cristiano, allora l'arte, che per strumento di rappresentazione ha il sensibile e il finito, non potrà mai rappresentare ciò che è perfettamente sovrasensibile e infinito e dovrà pertanto riconoscere la propria impotenza, quasi come se il contenuto infinito dell'Assoluto schizzasse via da tutte le parti, sfuggendo del tutto all'arte. Come esempio tipico di arte simbolica potremmo addurre L'infinito di Leopardi: la barriera finita costituita dalla siepe fa vagheggiare al poeta l'infinito, senza però poterlo rappresentare. Abbiamo citato il poeta Leopardi e, non a caso, Hegel pone la poesia al vertice delle espressioni artistiche più tipiche dell'età romantica, al di sopra della musica, la quale è a sua volta superiore alla pittura. Questa scala gerarchica procede dalla forma artistica più corporea alla meno corporea: nell'architettura orientale si evoca la casa dell'Assoluto, nella pittura lo si raffigura materialmente sulla tela, con la musica, invece, si hanno suoni al di là della dimensione spaziale e corporea e, come tappa finale, la poesia risulta essere l'espressione artistica maggiormente dematerializzata, a tal punto da essere ai confini con il pensiero, dal momento che essa altro non è se non una successione di immagini quasi pittoriche ma in veste di concetti filosofici. Tra il primo momento, quello dell'arte orientale, e il terzo, dell'arte cristiano-germanica, troviamo il momento dell'arte classica, in particolare greca. Essa rappresenta la fase storica in cui la concezione dell'Assoluto è la più adatta ad essere espressa in modo sensibile, poichè vige un armonioso e spontaneo equilibrio (bella eticità) tra Dio, natura e uomo e, in un tal contesto, l'Assoluto può essere colto nelle sue forme sensibili ed umane, poichè gli dei vengono intesi niente meno che come uomini perfetti. Così si spiega anche perchè nell'età classica prevalesse la scultura, la più realistica tra le arti: in un'epoca in cui l'Assoluto è colto sensibilmente, è naturale che si prediligano quelle espressioni artistiche più spiccatamente sensibili. Fatta questa carrellata di forme artistiche e di fasi storiche, non resta che chiedersi quale, tra le tre fasi artistiche, preferisse Hegel: da un certo punto di vista, si può essere indotti a supporre che egli prediligesse l'arte greca, in cui il contenuto e la forma della rappresentazione sono in equilibrio. Tuttavia non bisogna dimenticare che, nel procedimento dialettico, il secondo momento è sempre quello negativo, in cui si nega la tesi: pertanto l'arte classica, pur presentando elementi fortemente positivi ed essendo artisticamente la più elevata, non potrà essere la prediletta di Hegel in assoluto. Sarà dunque il terzo momento, quello dell'arte cristiano-germanica, a destare maggiormente gli interessi del filosofo, anche perchè è con esso che l'arte si rende conto di aver esaurito le proprie capacità espressive e, giunta a compimento, tramonta. Essa viene dialetticamente superata e dunque spodestata: potrà ancora dire la sua, ma sarà inevitabilmente subordinata al nuovo momento, il pensiero. Il pensiero (prima religioso, poi filosofico) si rivela più idoneo a cogliere l'Assoluto in quanto non si avvale della sensibilità e, soprattutto, in quanto presenta numerose affinità con l'Assoluto stesso: la prima fra tutte, consiste nel fatto che l'essenza stessa dell'Assoluto è il pensiero. L'arte è dunque superata e cede il testimone alla religione, intesa da Hegel come pensiero rappresentativo , ovvero costruttore di miti e narrazioni: la religione, pur essendo basata sul pensiero, si appoggia ancora sulla sensibilità poichè crea miti e narrazioni legati ad essa. L'espressione culturale più elevata è la filosofia, sganciata definitivamente dalla sensibilità e, proprio per questo, caratterizzata dall'essere pensiero concettuale : Hegel fa però notare che arte religione e filosofia non dicono cose diverse, anzi, ripropongono le stesse cose (ovvero l'Assoluto) ma in diverse forme. Ed è proprio a seconda del tipo di forma di cui si avvalgono che esse si differenziano: l'arte è la meno elevata proprio perchè rappresenta sensibilmente l'Assoluto, mentre la filosofia è la forma culturale suprema in quanto lo esprime concettualmente, senza appoggiarsi alle narrazioni mitologiche della religione o agli strumenti eccessivamente sensibili dell'arte. In questa prospettiva, il contenuto della religione più elevata sarà lo stesso di quello della filosofia più elevata: ed Hegel, come abbiamo già detto, riconosce nel cristianesimo la religione suprema e nella propria filosofia l'espressione massima raggiunta dal pensiero filosofico. L'analogia più lampante tra cristianesimo ed hegelismo consiste nella somiglianza del dogma cristiano della trinità e dello sviluppo triadico della dialettica hegeliana. Sulla religione Hegel si sofferma molto ed è interessante il fatto che egli polemizzi duramente con la teologia negativa, ai suoi occhi colpevole di negare la rivelazione divina nell'uomo. La teologia negativa si configura dunque come opposta alla filosofia hegeliana, la quale, come abbiamo visto, culmina nella perfetta autorappresentazione dell'Assoluto nell'uomo: era inevitabile che Hegel lottasse con tutte le sue forze contro una religione che coi suoi dogmi rischiava di offuscare la filosofia da lui elaborata. Può essere interessante notare come la filosofia di Hegel, tra l'altro, sia una sorta di 'pensiero di pensiero', come il Dio tratteggiato da Aristotele: la filosofia è, infatti, il pensiero che alla fine, dopo essersi smarrito nella natura, riconosce se stesso e, proprio per ciò, si trova ad un livello più alto. Se teniamo conto di tutto questo, possiamo facilmente comprendere perchè l'idea di un Dio nascosto, propugnata dalla teologia negativa, non potesse non essere avversata da Hegel: la filosofia e la religione esprimono, sostanzialmente, gli stessi concetti ed è pertanto inammissibile che la religione si opponga alla filosofia della rivelazione dell'Assoluto, illustrata da Hegel. Ed è proprio per questo che egli dichiara apertis verbis di preferire il cristianesimo ad ogni altra religione e, in particolare, alle altre due tratteggiate nel momento della religione (religioni orientali naturali e religione greca antropomorfa): nel cristianesimo, infatti, egli scorge in chiave rappresentativa tutti gli elementi della sua filosofia, in primo luogo la rivelazione di Dio. Come vi è una storia dell'arte e una della religione, così vi è anche una storia della filosofia, delineata da Hegel nelle Lezioni sulla storia della filosofia : egli parte dal concetto che anche la storia, come ogni altra realtà, sia pervasa dalla razionalità, tanto più che la storia è storia dello spirito. Si deve dunque analizzare la storia partendo con degli schemi logici in testa e andare a riscontrarli nella storia stessa, respingendo radicalmente l'idea che la storia possa andare a caso. Non bisogna dunque studiare i filosofi passati separatamente (astrattamente) gli uni dagli altri, bensì bisogna saper ravvisare una sequenza logica, poichè la storia (spirito) è estrinsecazione della logica, ovvero è logica che si sviluppa nel tempo. Partendo con la prima triade logica in testa (essere, nulla, divenire), Hegel ripropone tale schema nella storia della filosofia, vedendo in Parmenide l'essere, nelle filosofie orientali il nulla e in Eraclito il divenire. A tale proposito, è interessante il fatto che Hegel è cosciente che ogni filosofia di una data epoca storica arriva sempre alla fine di tale epoca, come se prima la realtà dovesse farsi e solo dopo dovesse riflettere su se stessa: Hegel esprime questa concezione con un'espressione divenuta famosa, asserendo che ' la nottola di Minerva inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo '. La filosofia (nottola di Minerva, dea della sapienza) spicca cioè il suo volo quando l'epoca storica sulla quale essa deve riflettere volge al tramonto: ed è infatti quando il mondo greco aveva cominciato a declinare che fiorirono le filosofie di Platone e Aristotele. Ed ecco che ora giungiamo al quesito lasciato in sospeso: dopo Hegel non vi sarà più nè una storia nè una filosofia? Ebbene, Hegel guarda alla propria filosofia come vertice supremo della storia del pensiero e contemporaneamente sembra voler dire che con essa il mondo abbia raggiunto ciò che doveva raggiungere, sicchè ora non gli resta che avviarsi al declino.

Fonte: https://ciamp.files.wordpress.com/2010/10/filosofia-dello-spirito.doc

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