Hegel riassunto

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Hegel riassunto

 

I. L’ULTIMO SISTEMA
(Hegel)
~ L’IDEALISMO HEGELIANO
~ HEGEL
~ La vita e le opere
~ La risoluzione del finito nell’infinito
~ Il sistema hegeliano
~ Il metodo dialettico
~ Dalla coscienza infelice al sapere assoluto
~ La Logica
~ La filosofia della natura
~ La filosofia dello spirito
~ CONCLUSIONI

L’IDEALISMO HEGELIANO: CERTEZZA E VERITA’
Georg Wilhelm Friedrich Hegel siede accanto a giganti come Platone, Aristotele e Kant. E’ indubbio pure che Hegel rappresenti il culmine, lo zenit della filosofia o, quantomeno, di un modo di fare filosofia, come rappresenta anche il punto oltre il quale si schiudono altre strade, orizzonti, radure. Insomma, Hegel è uno spartiacque! Con Hegel il volto della filosofia avrà tratti assai precisi, così come dopo di lui il cambiamento sarà radicale: una totale rivoluzione!
Con Hegel ci si trova di fronte al compito titanico di ultimare quel percorso filosofico iniziato nel 600 a. C. con Talete e contemporaneamente di comprendere l’ultimo tassello di una dura conquista filosofica.
Hegel è il più greco dei tedeschi: l’ultimo filosofo a riproporre il concetto greco di verità assoluta; l’ultimo filosofo a proporre un sistema filosofico.
Ma iniziamo dall’inizio! Per Hegel la filosofia non è una semplice “galleria di opinioni” in cui l’uomo può scegliere il ‘quadro’ che più lo affascina o lo colpisce. A questa diffusa e melensa concezione egli risponde ricordando che se davvero così fosse la filosofia “sarebbe in ogni caso una scienza del tutto superflua e noiosa, per quanto profitto si possa trarre dall'esercizio del pensiero e dall'erudizione”. La filosofia per Hegel coincide con il senso forte che i greci avevano dato a questa disciplina: epistéme! Magnificamente, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, ricapitola che “la filosofia è scienza oggettiva della verità, è la scienza della sua necessità, è conoscenza concettuale, non un opinare o tessere opinioni.”
La storia della filosofia per Hegel è un organismo autonomo in cui i vari sistemi di pensiero, pur nella loro diversità, sono la stessa filosofia in diversi gradi di svolgimento. I diversi sistemi filosofici non hanno nulla di accidentale o inessenziale ma sono, al contrario, momenti necessari di uno stesso organismo, appunto, che evolve verso la comprensione dello Spirito Assoluto e di cui la filosofia hegeliana è, dunque, anche l’ultima figura.
Per Hegel la filosofia antica e medievale è stata solamente comprensione dell’idea, quella moderna, da Cartesio in poi, invece, è stata comprensione dello spirito. Con ciò Hegel vuole intendere che il tratto caratteristico – non privo di notevoli eccezioni – della filosofia greca è quello di concentrarsi sulla realtà, dimenticando che tale riflessione è pur sempre frutto del pensiero. L’essenziale, nel pensiero greco, è la realtà, mentre il pensiero umano è generalmente considerato accidentale, cosa tra le cose. Comprensione dello spirito significa, invece, riconoscere alla filosofia moderna il merito di porre il pensiero stesso a contenuto della propria riflessione e, pian piano, riconoscere che il pensiero stesso è la realtà. Questo salire, dall’idea allo spirito, nella storia della filosofia si esplica nel rapporto tra certezza e verità che si sviluppa, secondo Hegel, lungo una dialettica triadica:
1) Identità immediata di certezza e verità (filosofia antica e medievale);
2) Opposizione di certezza e verità (filosofia moderna, da Cartesio a Kant);
3) Identità mediata di certezza e verità – o superamento mediato dell’opposizione tra certezza e verità (filosofia hegeliana).
In prima approssimazione si può definire certezza il pensiero e verità l’essere. La certezza è il lato soggettivo della verità, intesa come realtà esterna. L’identità di certezza e verità significa che il pensiero si appropria della realtà e la mostra esattamente com’è. Il pensiero umano è, in questo caso, in grado di cogliere esattamente la realtà come è in se stessa.
L’identità di certezza e verità indica quella fase in cui l’uomo pensa che il mondo, pur esistendo indipendentemente da sé ed esterno alla coscienza, sia, tuttavia, penetrabile attraverso il pensiero. La filosofia greca, in particolare, pensa che la verità sia il pensiero epistemico-filosofico.
Il primo momento del percorso filosofico inizia quindi con l’uomo greco, convinto che il suo pensiero corrisponda a verità. Meglio, la realtà appariva all’uomo greco evidente ed incontrovertibile, grazie a quel Lógos – la ragione, la logica – che scandagliava la realtà e la rendeva comprensibile a tutti, essendo metodo e linguaggio comune a tutti gli esseri razionali. Le cose, insomma, dovevano essere semplicemente tirate fuori dal buio in cui si trovavano e portate alla luce attraverso il Lógos, appunto. Le cose, illuminate dal pensiero, si presentavano nella loro chiara e lampante evidenza come vere!
Il greco non pensava quindi che potesse esserci un residuo di verità tra pensiero e realtà. Il pensiero, nella forma del Lógos, è lo strumento capace di portare le cose alla verità. In questo senso il greco rifletteva così:
a) Le cose sono fuori di noi ed indipendentemente da noi;
b) Il pensiero dell’uomo, pur nella sua particolarità, è cosa tra le cose e, per questa sua contiguità, ha la possibilità di cogliere la verità delle cose sottoponendole al Lógos;
c) Il pensiero, nella fattispecie il pensiero epistemico-filosofico, coglie, senza residui di verità, la realtà profonda delle cose.
Il greco, nel suo sguardo rivolto al Tutto, non aveva mai posto, quindi, l’interrogativo circa la corrispondenza tra pensiero e reale, tra razionale e realtà, ma la postulava implicitamente. Si postula, insomma, che il contenuto immediato del pensiero evidente sia la realtà.
Il secondo movimento del rapporto tra certezza e verità è contrassegnato, al contrario, dalla opposizione che pian piano viene a configurarsi, tra pensiero e realtà.
Per Hegel la filosofia moderna si rende conto del carattere soggettivo e del tutto mentale del mondo. E’ Cartesio – che Hegel individua come padre della filosofia moderna - a portare alla luce il problema: fa emergere l’opposizione tra certezza e verità. A rompere la sicurezza greca della corrispondenza tra pensiero e realtà è la riflessione che la realtà è ‘pensato’. La realtà, le cose, il mondo sono pensate, dunque, rappresentazione.
Ecco il problema! Il pensato è pur sempre un pensato, una cosa che rimanda a qualcosa fuori di noi. La realtà che noi cogliamo è solo contenuto di pensiero o idee. Non solo, le rappresentazioni, pure se evidenti, possono ingannarci. Il dubbio cartesiano è, in fondo, esattamente l’espressione plastica della opposizione di certezza e verità: Dubito del sole, dubito del cielo, della matematica... e se Dio stesso ci ingannasse? Si tratta allora di capire se tutto il nostro sapere ha un carattere ipotetico o è definibile come incontrovertibile.
L’asse della riflessione si è ora radicalmente spostato verso lo strumento che coglie la realtà: il pensiero. La filosofia moderna mostra che le cose sono pensate, dunque rappresentazioni, e che per questo il contenuto immediato del pensiero, che è unica certezza, non può essere verità. Infatti, chi può assicurare che le rappresentazioni corrispondano alla realtà?
In Cartesio l’opposizione di certezza e verità è ancora problematica, in Kant essa diventa radicale e definitiva. La realtà, in quanto pensato, non è la realtà in sé stessa, ma mero contenuto di pensiero o idea. La realtà è sempre una rappresentazione, ciò che appare: il contenuto del pensiero è il fenomeno. Dunque, le cose in sé stesse non possono essere conosciute, sono inconoscibili!
In Kant è la realtà che si adatta alla natura della nostra conoscenza, alla struttura del nostro pensiero! Fin da Cartesio sapevamo che il mondo è rappresentazione, ma Kant mostra che il mondo è prodotto dall’uomo; le leggi che regolano il mondo sono prodotte dall’uomo. Il mondo, per quanto ‘roccioso’ e ‘duro’ possa apparire diventa ‘liquido’ e si adatta alla coppa della conoscenza umana. Infine, Kant mostra che voler legittimare teoreticamente la conoscenza con l’esistenza di un Dio – magari buono come in Cartesio – è pura follia: metafisica!
Per Kant non si può uscire dalla rappresentazione, per quanto si possa approfondire la sua comprensione essa rimane semplice conoscenza dell’apparenza e mai della cosa in sé. La cosa in sé è ciò che è indipendente dalla struttura della soggettività umana ed è, perciò, inconoscibile. Impossibile proporre la metafisica come conoscenza delle cose in sé. Impossibile la metafisica come scienza!
Il terzo movimento nel rapporto tra certezza e verità è rappresentato dalla stessa filosofia hegeliana: identità mediata di certezza e verità. L’idealismo hegeliano rappresenta il tentativo di riportare la riflessione filosofica nello spazio metafisico del Tutto.
Innanzitutto, la critica che l’idealismo muove alla cosa in sé è che essa non è affatto chiusa in sé e al conoscere ma, in quanto concepita, essa è aperta al conoscere. Questa contraddittorietà fa sì che tutto sia riportato all’interno del pensiero e niente esista indipendentemente da esso.
In effetti, Kant aveva distinto tra conoscibile e pensabile, ma per l’idealismo non è possibile mettere limiti al pensiero. Hegel rimprovererà a Kant di voler fare come “quel tale Scolastico, d’imparare a nuotare prima di arrischiarsi nell’acqua” (Enciclopedia, par. 10) a voler significare che non è possibile conoscere prima di immergersi nella realtà.
Non solo! L’idealismo va oltre! Se non si presuppone, come nella filosofia greca e finanche in quella moderna fino al criticismo kantiano, che la realtà esiste esternamente e indipendentemente dal pensiero non si può assolutamente chiamare il contenuto del pensiero rappresentazione.
Chiamo rappresentazione ciò che è il riflesso, il prodotto di qualcosa d’altro cioè della realtà esterna e indipendente dal pensiero. Se rinuncio, invece, all’idea che la realtà esiste indipendentemente dal pensiero, necessariamente non potrò chiamare il contenuto del mio pensiero rappresentazione. Se, insomma, tolgo la cosa in sé, il fenomeno non ha più ragion di esistere, ma esso è, semplicemente, la realtà, ossia la verità, come si presenta nel mio pensiero.
Per Hegel, dunque, la realtà si presenta senza veli alla conoscenza. Ciò che appare nel pensiero è la realtà! Presupporre un qualcosa al di là del pensiero è comunque un modo di pensarla, concepirla e dunque, oggetto di conoscenza. Con la impossibilità della cosa in sé viene meno anche la sua inconoscibilità.
Ora, con il realismo greco, l’idealismo tedesco ha in comune l’identità di certezza e verità, ma, se nel primo essa era immediata, nel secondo è mediata. La nuova posizione rompe con il realismo in quanto si afferma che al di là del pensiero non v’è nulla: si nega ogni realtà che sia fuori dal pensiero.
L’idealismo, nella forma hegeliana, nebulizza il mondo esterno, il mondo duro e roccioso si sublima annichilendosi. Come un mago fa scomparire il coniglio dal cilindro così l’idealismo fa scomparire, nientemeno, che il mondo! Il pensiero è l’inizio e la fine! Il pensiero è il Tutto e Tutto è nel pensiero!
Siamo di nuovo alla ripresa di un tratto fondamentale della filosofia greca: il Tutto!
Siamo di nuovo alla metafisica!
Quella hegeliana non è però una riproposizione della metafisica greca – metafisica dell’essere come mondo esterno – ma una metafisica del pensiero, giacché Tutto è pensiero.
Si ricorderà che in Spinoza il pensiero è solo una parte della Sostanza intesa come la cosa in sé esterna al pensiero, e non come il pensiero stesso. In Spinoza Deus sive natura! Dio e natura coincidono!
Hegel rimprovera a Spinoza di non aver detto a chiare lettere che la Sostanza è Soggetto: nell’idealismo hegeliano la Sostanza, infatti, non è che il pensiero, Soggetto.
In Hegel l’attività del pensiero è autoproduzione dell’essere in modo che solo al suo interno sia possibile la Storia dell’essere. In Spinoza, invece, l’Assoluto è una sostanza statica che coincide con la natura, mentre nell’idealismo hegeliano è un soggetto spirituale in movimento che si sviluppa ed evolve: un processo.
Riassumendo: il pensiero, pensando l’essere, lo produce; l’Assoluto è un processo di auto-produzione, è Storia, e proprio perché fuori non c’è nulla la sua non può che essere autocoscienza: la coscienza che pone a contenuto della propria coscienza sé stessa.
Fine della storia del mondo è dunque che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso. L'essenziale è il fatto che questo fine è un prodotto. Lo spirito non è un essere di natura, come l'animale; il quale è come è, immediatamente. […] In questo processo sono dunque essenzialmente contenuti dei gradi, e la storia del mondo è la rappresentazione del processo divino, del corso graduale in cui lo spirito conosce se stesso e la sua verità e la realizza. (Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia)
Il pensiero umano è il Pensiero e, in quanto tale, Assoluto. In questo senso Uomo e Dio coincidono e perciò il dogma cristiano dell’Incarnazione del Verbo rappresenta, per Hegel, una profonda verità filosofica.
Per il realismo, il criticismo ed il materialismo, che ipotizzano una realtà esterna ed autonoma, il pensiero è lo strumento che ci permette di comprendere il mondo. Per l’idealismo il pensiero è il mondo! In questo senso l’idealismo è immanentismo, cioè ciò che produce la realtà è l’essenza stessa del mondo.
HEGEL
La vita e le opere
G. W. F. Hegel nacque a Stoccarda il 27 agosto 1770. Dopo aver conseguito la maturità nel 1788, si iscrisse alle Facoltà di Filosofia e Teologia all'Università di Tubinga, dove conobbe Friedrich Schelling.
Nel 1801 entrò come docente all’Università di Jena. La Fenomenologia dello Spirito (1807) segnò il distacco definitivo da Schelling. Notevolissime sono la pubblicazione de La Scienza della logica (1812-16), l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817).
Nel 1818 Hegel è chiamato dal ministro della pubblica istruzione, che vede nella filosofia hegeliana un puntello autorevole alla politica reazionaria del governo prussiano, ad insegnare all’Università di Berlino.
Ultimo capolavoro, La filosofia del diritto (1821).
Hegel morì, improvvisamente, nella capitale il 14 Novembre 1831, forse colpito dal colera.
Postume, raccolte dagli studenti, le Lezioni su: storia, arte, religione e storia della filosofia.
La risoluzione del finito nell’infinito
Il sistema filosofico hegeliano si basa sostanzialmente su un’ipotesi fondamentale: la risoluzione del finito nell’infinito.
Hegel non considera la realtà come un insieme di elementi autonomi, ma piuttosto come un tutt'uno del quale ogni singolo elemento rappresenta una manifestazione particolare.
Questo organismo unitario, non avendo nulla al di fuori di sé, rappresenta l'Assoluto e l'Infinito, mentre ogni suo fenomeno particolare s’identifica con il finito. Finito che quindi non esiste, in quanto semplice espressione parziale dell'infinito. D’altra parte l’infinito trova, necessariamente, nel finito il modo di manifestarsi. Insomma il finito è, in pari tempo, manifestazione e momento necessario dell’infinito o, se si vuole, dell’Assoluto, di Dio, dello Spirito.
Da ciò, logicamente, scaturisce che il reale, in quanto manifestazione e parte dell’infinito, non può essere manifestazione casuale ed accidentale, ma necessaria e, dunque, razionale.
Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, Prefazione)
Quello che è, senza dubbio, il più famoso aforisma dell’hegelismo spiega come per Hegel vi sia una perfetta identità tra il pensiero, ovvero la ragione, e la natura, ovvero la realtà.
La prima parte di questa espressione sta a significare che la razionalità non è qualcosa di puramente ideale o di astratto, ma la forma stessa di tutto ciò che esiste, in quanto è la razionalità stessa a costituire e governare la natura.
La seconda parte, invece, indica come tutto ciò che è reale sia non qualcosa di accidentale, ma il dispiegarsi di una struttura del tutto razionale, che si manifesta inconsciamente nella natura e consciamente nell’uomo.
Tutto ciò vuol dire, anche, che vi è una totale coincidenza tra ciò che è e ciò che razionalmente deve essere.
La realtà stessa costituisce, dunque, una totalità processuale necessaria. Ne discende che il compito della filosofia consiste nel constatare la realtà e comprenderla nelle sue strutture razionali.
Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, Prefazione)
Semmai, il filosofo può quindi dimostrarne la razionalità stessa tramite le proprie riflessioni. Siccome queste non possono prescindere dal substrato storico-ideologico dal quale si originano (“ciascuno è senz’altro figlio del suo tempo”), anche la filosofia non può non essere che “il proprio tempo appreso col pensiero”.
Secondo Hegel, tuttavia, i pensatori giungono quando la natura si è già completata “ed è bell'e fatta”, come la Nottola di Minerva, simbolo della filosofia stessa, “che inizia il suo volo sul far del crepuscolo”.
Con ciò la filosofia finisce per avere un ruolo sostanzialmente giustificatorio del reale che semplicemente registra quanto è già accaduto. Si capisce a partire da ciò perché la posizione hegeliana è anti-illuminista. Gli illuministi, per Hegel, vogliono, individualmente, con le loro esigenze e aspirazioni, dare lezioni alla storia e al mondo. Gli illuministi non accettano l’identificazione tra ciò che è e ciò che è razionale, ma pretendono con la loro ragione finita, limitata, di stabilire ciò che deve essere, mentre la realtà è sempre e necessariamente ciò che è.
La separazione della realtà dall’idea è specialmente cara all’intelletto, che tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace ed è tutto gonfio del suo dover essere, che anche nel campo politico va predicando assai volentieri: quasi che il mondo avesse aspettato quei dettami per apprendere come dev’essere e non è; che, se poi fosse come dev’essere, dove se ne andrebbe la saccenteria di quel dover essere? (Enciclopedia, par. 6)
Il sistema hegeliano
Il sistema filosofico hegeliano ha la bellezza di una cattedrale gotica che lievita verso il cielo e la possanza razionale di un tempio greco. E’ un organismo in sé ricco, compiuto, armonico, in cui le singole parti sono necessarie e in relazione tra loro. Non si può che rimanerne affascinati!
Hegel, nell’Enciclopedia, disegna il farsi dell’Assoluto attraverso una grande triade dialettica: l'idea in sé e per sé (tesi), l'idea fuori di sé (antitesi) e l'idea che ritorna in sé (sintesi).
- L'idea in sé e per sé (an sich und für sich) è l'idea pura, a prescindere da ogni sua concreta realizzazione. E' quindi lo scheletro razionale della realtà, corrispondente a Dio “prima della creazione della natura e di uno spirito finito”;
- L'idea fuori di sé non è altro che la natura, ovvero l'estrinsecazione o alienazione dell'idea stessa nella realtà propria del mondo;
- L'idea che torna in sé (bei sich) è invece lo spirito che assume coscienza di sé nell’uomo dopo essersi fatta natura.

Questo movimento triadico Hegel non lo concepisce come un susseguirsi cronologico delle varie fasi, ma piuttosto come una coesistenza eterna dei momenti della tesi e dell'antitesi, fusi nella loro sintesi.
Ad ognuno dei tre momenti Hegel associa una sezione della propria filosofia:
- All'idea in sé corrisponde la logica, che per l’appunto è “scienza dell’idea in sé e per sé” nella sua forma pura, cioè senza che essa si concreti nella natura e nello spirito;
- All'idea fuori di sé corrisponde la filosofia della natura, che è “scienza dell’idea nel suo alienarsi da sé”, nel suo diventare mondo;
- All'idea che ritorna in sé corrisponde la filosofia dello spirito, cioè “la scienza dell’idea, che dal suo alienamento ritorna in sé” cosciente di tutto il percorso svolto.
Il metodo dialettico
Pensiero e realtà sono la stessa cosa. Non esiste nulla al di fuori del pensiero, dunque la scienza del pensiero è anche scienza del reale. La logica è logica del discorso umano ed anche della realtà. Essa è, nello stesso tempo, legge ontologica e logica in quanto il reale è razionale.
Dunque, la dialettica è legge dello sviluppo dell’essere e anche legge logica della sua comprensione.
La dialettica è la legge del divenire dell’Assoluto.
Di conseguenza, la logica che esprime questo farsi dell’Assoluto è la logica dialettica. Essa esprime l’inquietudine del finito nel farsi infinito. La dialettica è completamente diversa dalla logica formale di tipo aristotelica, che rappresenta ancora una forma primitiva di cogliere il reale con cui l’intelletto astratto misura le cose isolatamente e che, perciò, si mostra inefficace.
Principi astratti della logica formale sono il principio di identità e di non contraddizione. La dialettica, al contrario, si basa sul principio di contraddizione.
Il principio di identità afferma che A = A.
Hegel nota subito che A è A solo se è inserito in un contesto più ampio: bisogna cioè riconoscere che A non è non-A, e che quindi non-A limita A, dettandone quasi il perimetro. Verificare che A non è autonomo ed indipendente ma che la sua identità è delimitata da ciò che non è, significa riconoscere che A è inscritto in una dimensione in cui A può essere A ma sempre e comunque per esistenza del non-A.
Straordinario, massimamente bello, è l’incipit della Logica che inizia con un bell’esempio di processo dialettico: tesi, antitesi, sintesi: essere, non essere, divenire.
Il punto di arrivo è un’unità di opposti che conserva e poi oltrepassa i due momenti precedenti. La mediazione dialettica è il modo di far uscire i concetti dal loro isolamento, trattarli come fossero non cose morte, ma organismi viventi la cui essenza è “l’assoluta inquietudine di non essere quello che sono”. Essi sono movimento, divenire: dialettica.
Estremamente esplicativa, per capire il metodo dialettico in Hegel, è la trattazione, nell’Enciclopedia par. 79, del modo in cui procede il pensiero nel processo conoscitivo, nell’afferrare la realtà. Esso passa attraverso tre momenti:
- Astratto o intellettuale;
- Dialettico o negativo-razionale;
- Speculativo o positivo-razionale.
Nella fase astratta il pensiero, in quanto intelletto, si figura la realtà del mondo come un insieme di cose fisse e separate le une dalle altre. Ogni cosa vive in una fissità e separazione: un seme è un seme ed è diverso da una pianta. Il pensiero, in altri termini, osserva il mondo nelle sue differenze e lo analizza attraverso il principio di identità e di non contraddizione.
Nella fase dialettica il pensiero, in quanto ragione, approfondisce la comprensione della realtà togliendo la fissità e la separazione – unilateralità – con cui aveva interpretato il mondo. Le cose non vivono chiuse in sé stesse ma in relazione con i propri opposti, con cui sono connessi: la vita possiamo concepirla mostrandone l’opposizione con la morte.
Infine, nella fase speculativa, la ragione coglie la sostanziale unità degli opposti. Ad un grado più elevato di comprensione della realtà il pensiero realizza che le cose finite non vivono nella separazione e nella differenza e nemmeno nella relazione con l’opposto, ma sono in una superiore unità che le ri-comprende e sintetizza. Insomma, si scopre che la realtà non è l’unità fissa e separata, né la molteplicità data dalla relazione con l’opposto, ma unità di opposti che vive attraverso la molteplicità.
Complessivamente la dialettica hegeliana si caratterizza per un incedere triadico di tesi, antitesi, sintesi: affermazione, negazione, unione e superamento (Aufhebung). Sintesi non come semplice ri-affermazione della tesi iniziale, ma come affermazione ex-novo di una unità di opposti che pure ingloba tesi e antitesi.
La ragione speculativa, diversamente dall’intelletto astratto, si eleva sino alla comprensione della totalità come processo. Ogni esistenza determinata, finita, è tale in quanto negazione di altre esistenze finite, da cui riceve la propria delimitazione. Ma tutte sono costrette ad “andare oltre se stesse” per trovare la propria verità solo nella totalità dei rapporti in cui sono implicate come manifestazioni dell’Assoluto.
Soltanto questa è la vera natura del finito, che esso è infinito e nel suo essere si toglie. Il determinato come tale non ha altra essenza che questa assoluta inquietudine, di non essere ciò che è. (Logica)

E’ evidente che dalla dialettica ci si aspetta che deduca a priori tutta la realtà, che tutta la realtà trovi adeguata sistemazione nel sistema dedotto, dato che è un metodo conoscitivo che caratterizza lo sviluppo stesso dell’Essere. Proprio questa identificazione, tra pensiero ed essere, farà si che tutto il sistema hegeliano si presenti come un edificio fondato forzatamente sul numero tre. Tutto il sistema sembra dipanarsi attraverso un coattivo procedere dialettico che, paradossalmente, però, irrigidisce l’intero sistema e ne fa, per altro verso, il lato più affascinante.
In questo irrigidimento della forma dialettica si scorge un modo di pacificare la lotta tra gli opposti: l’architettura ha la meglio sulla vita! La battaglia e i lividi sono scongiurati dall’ordine che regnerà sovrano.
La stessa iconografia, che è possibile ricavare dall’intero sistema filosofico, propende verso la forma perfetta del cerchio.
Hegel opta per una dialettica a sintesi finale chiusa, perfetta cioè per una dialettica che ha un ben preciso e pacificato punto di arrivo.
Mentre nei gradi intermedi della dialettica prevale la rappresentazione della spirale, nella visione complessiva e finale del sistema prevale la rappresentazione del circolo chiuso, che soffoca la vita dello spirito, dando al suo progresso un termine, al di là del quale ogni attività creatrice si annulla, perché, avendo lo spirito realizzato pienamente sé stesso, non gli resta che ripercorrere il cammino già fatto. L’impetuosa corrente sfocia in uno stagnante mare, e nell’immobile specchio trema la vena delle acque che vi affluiscono. (G. de Ruggiero, Storia della filosofia, Hegel)
Visto dall'alto, quindi, il tragitto dell’Assoluto, dunque del sistema, non è altro che una circonferenza, statica e chiusa in sé stessa.
Il sistema hegeliano ci si presenta come un lavoro titanico, articolatissimo e intricato dove il sistema fagocita tutta la realtà, ma che restituisce, a contemplarlo, la sensazione di cui parla J. L. Borges in Nove saggi danteschi per la Divina Commedia: “tranquillo labirinto”, labirinto inestricabile dove c’è tutto, dalla vita al conflitto, eppure tranquillo, univoco. E’ il luogo del viaggiatore, mai del viandante! La meta è nota fin dal suo inizio!
Tuttavia va anche sottolineato che l’istanza metodologica che si ricava dalla dialettica, comunque, è travolgente, come sarà più tardi messo in evidenza dalla Sinistra hegeliana e, in particolare, dal Marxismo.
E’ chiaro che il metodo conoscitivo che Hegel propone è dirompente e rivoluzionario giacché non si ferma davanti al principio di identità o di non contraddizione, ma lo supera con quella logica che fu di Eraclito per cui una cosa è e non è. La contraddizione è la molla del divenire e il finito è auto-contraddizione che sempre spinge verso una risoluzione nell’infinito.
Il metodo hegeliano è rivoluzionario perché rompe assolutamente con ciò che è unilaterale, semplice, rigido, ossificato, pacificato e da vita, movimento, lotta alle cose e ai concetti! La dialettica è la vita che scorre come un fiume in piena e rompe gli argini angusti di un pensiero secco e vetusto!
Ovunque la dialettica scopre “un intreccio multilaterale e polisenso” (Fenomenologia).
Dalla coscienza infelice al sapere assoluto
Hegel pensa all’evoluzione dello spirito come ad un succedersi di figure astratte, che rappresentano i diversi stadi dello svolgersi della coscienza, fino al raggiungimento del sapere assoluto, dove la coscienza si rende conto di essere essa stessa l’intera realtà. La fenomenologia – scienza di ciò che appare – consiste, dunque, nell’apparire dello spirito a se stesso.
La Fenomenologia dello Spirito ha una funzione didattico-pedagogica, in quanto il singolo individuo può scorgervi i diversi gradi che la coscienza ha dovuto superare, nella storia della civiltà, attraverso varie traversie, per potersi riconoscere come coscienza infinita e universale, come “la certezza di essere ogni realtà”, come Tutto.
Il singolo individuo agevolmente riconosce le tappe, le figure, dello spirito universale, che sono, ad un tempo, entità ideali e storiche, metafore della crescita della coscienza e della storia dello sviluppo culturale. E’ un viaggio di una coscienza infelice che non sa di essere tutta la realtà: essa è coscienza scissa che ritrova il sé e si riconosce come Tutto attraverso un processo di auto-coscienza. E’ la storia romanzata della coscienza!
La Fenomenologia si divide in due parti: la prima parte comprende i tre momenti della coscienza (tesi), dell’autocoscienza (antitesi) e della ragione (sintesi); la seconda include le tre sezioni dello spirito, della religione e del sapere assoluto.
A. La coscienza è ciò che si rapporta con l’esterno, che Hegel definisce “oggetto”. In questa relazione la coscienza attraversa tre stati conoscitivi, cioè la certezza sensibile, la percezione e l’intelletto.
La certezza sensibile è la consapevolezza dell’esistenza dell’oggetto nel momento in cui lo percepiamo con i nostri sensi e non ci dà alcun tipo di conoscenza. La percezione si ha quando l’oggetto viene interiorizzato, per cui diventa effettivamente qualcosa attraverso un’unificazione delle sue numerose qualità. L’intelletto è la capacità di richiamare l’oggetto alla mente senza aver bisogno di avvertirlo attraverso i sensi, ovvero significa possedere il concetto di una determinata cosa.
B. Con l’autocoscienza Hegel si occupa di definire il soggetto e le relazioni che esso ha con gli altri individui.
L’autocoscienza non si riconosce come identità se non nella sua duplicazione poiché una coscienza, per poter veramente definirsi tale, ha bisogno di relazionarsi con un’altra coscienza. All’inizio esse si muovono in sincronia, come fossero allo specchio. L’autocoscienza fuori di sé cerca dunque di riconoscere l’altro, ma non riesce nel suo intento perché non trova che la sua stessa essenza. La successiva lotta per la vita è l’elemento decisivo, in cui una delle due coscienze prevale sull’altra, ed entrambe trovano la propria identità in un elemento di diversificazione dall’altra. E’ a questo punto che si ha la formazione di due figure, attraverso le quali il pensiero può procedere dando vita a nuove figure fino al raggiungimento della coscienza dell’Universale.
Le figure del servo e del padrone sono sicuramente le più note della Fenomenologia dello Spirito. Esse hanno dato adito, infatti, a numerose questioni filosofiche per la notevole ricchezza tematica.
La coscienza ha un’altra coscienza di fronte a sé. Entrambe, come in un balletto, si muovono simmetricamente. Al movimento dell’una corrisponde, come in uno specchio, il movimento dell’altra finché, in un processo di differenziazione, le due coscienze ingaggiano una lotta per la vita o la morte. Quella che ha paura della morte, che “ha tremato nel profondo di sé”, che si priva della propria libertà per aver salva la vita, si trova in posizione subordinata rispetto all’altra: essa è il servo. La coscienza che mostra di non aver paura di morire è il padrone.
Tuttavia, questa posizione di supremazia, ad una analisi più approfondita, diventa dialetticamente l’opposto: il padrone è servo del servo e il servo è padrone del padrone! Il processo con cui si crea l’indipendenza del servo consta delle fasi della paura della morte, del servizio e del lavoro.
La paura della morte fa comprendere al servo la distinzione tra se stesso e il resto delle cose, chiarendo come la sua essenza sia completamente diversa dalla realtà che lo circonda.
Durante il servizio la coscienza si auto-disciplina ed impara a vincere i propri impulsi naturali.
Il lavoro è l’attività umano-sensibile con cui si stabilisce il rapporto servo-natura. La natura diventa nuovo elemento di confronto perché, una volta antropomorfizzata attraverso il lavoro, essa ritorna al servo come immagine di se stesso come quando un artista imprime nell’argilla la propria sensibilità e in tal modo si riconosce nell’oggetto creato. La natura antropomorfizzata è uno specchio!
Il servo a questo punto non ha più bisogno del padrone perché ha trovato l’alterità (oltre che se stesso) nella natura. Il padrone, al contrario, ha bisogno della mediazione del servo, che diventa necessario affinché la coscienza si riconosca e possa interagire con la natura; il padrone si ritrova, così, ad essere servo del servo.
I marxisti riconosceranno ad Hegel il merito di aver intuito l’importanza del lavoro come elemento fondamentale dello sviluppo umano. La figura del servo, inoltre, anticipa alcuni temi dell’esistenzialismo heideggeriano come la consapevolezza dell’esistenza di sé tramite l’angoscia della morte.
Il signore è uno stoico in quanto, non avendo paura della morte, crede di potersi rendere completamente indipendente dalle cose materiali, raggiungendo quindi una libertà assoluta. La libertà dello stoico è però solo un prodotto del puro pensiero, perché egli è costretto infine a costatare che i condizionamenti della realtà esterna permangono.
La diffidenza nei confronti di ciò che è reale si tramuta, poi, nello scetticismo: visione filosofica in cui la verità assume il connotato della relatività. Hegel critica gli scettici perché essi si auto-contraddicono nel momento in cui, affermando che ogni conoscenza è relativa, impongono una verità che, di per sé, è assoluta. Inoltre cercano di imporre un’etica scettica dopo aver reso nullo il ruolo dell’etica stessa. Infine, non si accorgono che, per parlare delle cose del mondo, essi devono prima averle percepite attraverso quegli stessi sensi che dichiarano essere fallaci.
Profferisce l’assoluto dileguare; ma il profferire è; […] profferisce la nullità del vedere, dell’udire ecc. ed è proprio lei che vede, ode ecc.; profferisce la nullità delle essenze etiche, e ne fa le potenze del suo agire. Il suo operare e le sue parole si contraddicono sempre. (Fenomenologia)
La coscienza scettica trapassa nella figura della coscienza infelice – altra figura notissima della Fenomenologia - che si caratterizza per una separazione radicale tra uomo e Dio. Questa figura cerca costantemente un raccordo tra sé e la verità, ma non vi riesce, per cui si trova in continuo movimento senza mai giungere ad un approdo.
L’opposizione tra uomo e Dio si ritrova già nella religione ebraica, dove Dio è un padrone lontano che impone la sua autorità dall’alto della sua completezza. Anche la religione cristiana fallisce nel suo tentativo di ricongiungimento all’Assoluto, pur avendo prodotto un Dio-uomo: Gesù Cristo. Simbolo di questo fallimento sono le Crociate, che si concludono con un sepolcro vuoto.
La coscienza resta dunque infelice e la sua condizione si manifesta nella devozione, nel fare e nella mortificazione.
La devozione è il frutto di un’inquietudine irrazionale, che cerca un punto di riferimento che, però, non esiste. Si ciba dunque di una lontana rappresentazione di Dio, che non è capace in alcun modo di soddisfare la coscienza infelice.
Il fare si esprime con il concupire e l’appetire le cose del mondo e non quelle di Dio; il desiderio trova una sua realizzazione nel lavoro. Hegel, probabilmente, fa riferimento all’ora et labora benedettino.
La mortificazione di sé, l’ascetismo, l’umiliazione della carne, è il punto più basso toccato dalla coscienza infelice, che in questo modo nega completamente se stessa per cercare di elevarsi a Dio.
La coscienza, a questo punto, si renderà conto di essere lei stessa Dio e potrà quindi cominciare il suo percorso verso l’Assoluto. Hegel posiziona questo evento nel parallelo storico del Rinascimento.
C. La Ragione è quindi la coscienza che diventa consapevole di se stessa. Questa consapevolezza è, in ultima analisi, lo stesso idealismo, cioè l'affermazione filosofica che la vera realtà è l'Idea, cioè il Pensiero.
Essa si realizza, a sua volta, nei diversi momenti della ragione osservatrice della natura, dell'attività pratica individuale, fino a culminare nell'eticità, cioè nel momento in cui l'individuo supera se stesso e si realizza nel concreto di un popolo, di uno Stato e delle sue istituzioni.
A questo punto, però, la Ragione diventa Spirito e il suo sviluppo non è più quello della coscienza individuale, bensì quello della storia dell'umanità.
La Logica

Alla logica Hegel dedica un’opera monumentale quanto granitica: La scienza della logica, poi sintetizzata nell’Enciclopedia.
La logica è "scienza dell'idea pura, cioè dell'idea nell'elemento astratto del pensiero" che si snoda attraverso una serie di concetti: “struttura completamente astratta” e struttura programmatica razionale del mondo.
La logica è perciò da intendere come il sistema della ragion pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, com’essa è in sé e per sé senza velo. Ci si può quindi esprimer così, che questo contenuto è la esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito. (Scienza della logica, Introduzione)
Per capire la portata filosofica della Logica hegeliana bisogna riprendere in considerazione l’eguaglianza puramente idealistica di pensiero ed essere. L’oggetto della logica è il puro pensiero e il suo modo di manifestarsi in concetti puri, che sono enucleazioni di esperienze storico-fenomenologiche.
In che senso la logica è scienza della realtà?
Innanzitutto, l’idealismo hegeliano volatilizza la realtà nel pensiero. Non esiste una realtà al di là del pensiero. Il pensiero è la realtà! La logica, dunque, trattando del pensiero puro e del modo in cui si manifesta nei concetti non è altro che scienza della realtà, la realtà nella sua essenza, realtà sic et simpliciter! D’altra parte i concetti sono puri eppure enucleati da concrete esperienze storico-fenomenologiche, senza che ciò sia contraddittorio giacché la storia è il modo in cui la realtà viene ad essere compresa: il concetto di essere, ad esempio, è legato all’eleatismo, quello di causa alla rivoluzione scientifica. E’ ovvio allora che Fenomenologia e Logica trattano lo stesso contenuto ma ad un livello di astrazione diverso.
Infine, essendo il pensiero l’unica realtà possibile senza nulla fuori di sé, lo studio del pensiero è studio dell’essere: logica e metafisica coincidono!
La logica si divide triadicamente in logica dell’essere, logica dell’essenza e logica del concetto. Queste hanno, a loro volta, ulteriori triadiche determinazioni.
1. La logica dell’essere studia la qualità (la prima categoria attraverso cui cogliamo le cose), la quantità (il superamento della qualità attraverso la numerazione delle cose) e la misura (la compiuta sintesi di qualità e quantità). A sua volta, la logica della qualità si divide in essere indeterminato, essere determinato ed essere per sé. Il concetto di essere indeterminato rappresenta ciò che è vuoto e astratto, privo di ogni possibile contenuto. Questo, a ben vedere, fa coincidere l’essere col nulla e il nulla, a sua volta, coincide con l’essere, in quanto per essere definito come “nulla” esso si fa parte del pensiero e quindi dell’essere. L’unità tra i due opposti è il processo dialettico del divenire, che rappresenta il vero e proprio inizio del pensiero.
La verità dell’essere e del nulla è pertanto questo movimento consistente nell’immediato sparire dell’uno di essi nell’altro: il divenire; movimento in cui l’essere e il nulla son differenti, ma di una differenza, che si è in pari tempo immediatamente risoluta. (Scienza della logica)
L’essere determinato è invece la cristallizzazione dell’essere, del pensiero, che quindi passa da possibilità a concretezza. Esso nasce dalla definizione del pensiero come indeterminato. Con un processo dialettico simile alla triade essere-nulla-divenire, infatti, il pensiero, proprio determinandosi come indefinito, diventa determinato e finito in sé stesso.
Ma Hegel ribadisce che il finito risolve nell’infinito, anche per quanto riguarda il pensiero. Infatti, la finitezza del pensiero determinato lo spinge a diventare da ciò che è a qualcosa che non è, finendo col perdere la propria consistenza, così come il vuoto essere indeterminato. Non è quindi possibile analizzare il finito nella filosofia e ciò rappresenta per Hegel il fondamento stesso del pensiero idealista.
L’essere per sé è la compiuta sintesi di determinato e indeterminato. L’uomo tenta di coglierlo attraverso le categorie della quantità e della qualità, ma queste da sole non bastano per comprenderne l’essenza. Per questo motivo l’analisi può essere effettuata solo attraverso la misura, superamento delle categorie precedenti.
Siccome non esiste una scienza che definisca univocamente la misura delle cose, e dato che l’essere non può venir determinato attraverso le proprietà oggettive, non resta che riflettere sull’essere, per coglierne l’essenza;
2. La logica dell’essenza studia i modi in cui l’oggetto si presenta come fenomeno, manifestazione non pura della verità che si basa, però, comunque, su una “ragione” che ne giustifica l’esistenza stessa; nonostante sia sostanzialmente sdoppiata, distinta da essa;
3. La logica del concetto, infine, è l’unità dialettica tra essere ed essenza, lo “spirito vivente della realtà” del quale l’essere e l’essenza sono momenti coesistenti.
Il pensiero diventa, quindi, vero e proprio oggetto, in quanto l’oggetto si risolve nella riflessione su di esso, che non può essere che pensiero.
Il concetto è, innanzitutto, concetto oggettivo, formale; poi concetto soggettivo, per come si manifesta nella natura; infine idea, che è ragione autocosciente.
Il concetto soggettivo si esprime nelle categorie di individuale, particolare e universale; si articola poi nel giudizio, per poi sfociare nel sillogismo, che è alla base della razionalità del tutto;
Il concetto oggettivo comprende le categorie fondamentali della natura, meccanicismo, chimismo e teleologia.
L’idea è la ragione stessa, “l’unità dell’ideale e del reale, del finito e dell’infinito, dell’anima e del corpo”. Nella sua forma immediata è la vita stessa, l’anima unita al corpo; nella sua forma mediata è il conoscere, poiché oggetto e soggetto sono distinti tra loro. Al di là di tutto vi è l’idea assoluta, che ha superato il finito e non è altro che la logica nelle sue determinazioni.

La filosofia della natura
Alla filosofia della natura Hegel dedica la seconda parte della sua Enciclopedia.
Per Hegel la natura è “l’idea nella forma dell’esser altro”, ossia “Dio che ha compiuto la creazione”. Essa è, quindi, esteriorità che vive una propria inadeguatezza: idea precipitata nelle coordinate spazio-temporali.
Il passaggio dall’Idea alla natura è, per molti versi, un vero e proprio arcano. In termini più edulcorati diremmo rompicapo. Lo stesso Hegel non dà una chiave univoca: da un lato dice che la natura è pura esteriorità, una contraddizione insoluta; dall’altro che è pur sempre un’inevitabile, necessario modo in cui si manifesta l’idea che si arricchisce nella forma dell’antitesi. In effetti, il problema è estremamente serio dato che è, esattamente, la domanda del come e perché Dio decide di farsi mondo.
Infine, La natura assolve, nel sistema hegeliano, anche la funzione di trovare posto a tutto ciò che vi è di accidentale, così da fungere da “pattumiera” del sistema.
Nonostante ciò, Hegel considera la natura necessaria, e divide la filosofia della natura triadicamente in meccanica, fisica e fisica organica che, a loro volta, si determinano in altrettante triadi:
1. La meccanica considera l’esteriorità, ovvero l’essenza propria della natura, nelle forme di spazio e tempo, analizzandone materia e movimento. Affronta quindi l’astrazione, l’isolamento e la meccanica assoluta della natura;
2. La fisica studia gli elementi della materia e le sue proprietà fondamentali. Si divide in fisica dell’individualità totale, dell’individualità particolare e dell’individualità universale;
3. La fisica organica studia la natura geologica, la natura vegetale e l’organismo animale.

La filosofia dello spirito
La filosofia dello spirito, alla quale sono dedicate la Fenomenologia dello Spirito e la terza parte dell’Enciclopedia, studia l’idea che ritorna in sé dopo essersi estraniata come natura: “Dio, il quale dopo la creazione prende coscienza di se stesso”.
Hegel divide la filosofia dello spirito in tre parti, corrispondenti ai tre gradi evolutivi di sviluppo dello spirito:
1. Lo spirito soggettivo;
2. Lo spirito oggettivo;
3. Lo spirito assoluto.

1) Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale che emerge, seppur lentamente, dalla natura. Lo studio di tale spirito è affidato a tre scienze: l’antropologia, la fenomenologia e la psicologia.
• L’antropologia studia lo spirito come anima, ovvero le varie disposizioni psicofisiche dell’uomo derivanti dall’età della vita e dalle sue connotazioni, che si manifestano come carattere. In particolare, per quanto riguarda le età della vita, Hegel distingue un movimento dialettico: l’infanzia (tesi) è un periodo di armonia con il mondo circostante; la giovinezza (antitesi) è il momento in cui l’uomo entra in contrasto con il proprio ambiente a causa del proprio temperamento; la maturità (sintesi), infine, rappresenta la riconciliazione con il mondo, che sfocia però nell’abitudine, nell’inattività, durante la vecchiaia.
• La fenomenologia, a cui Hegel dedica la già citata opera a sé stante, studia lo spirito come coscienza, autocoscienza e ragione.
• La psicologia studia lo spirito vero e proprio, che si manifesta nelle forme del conoscere, dell’attività pratica e del volere libero.

2) Lo spirito oggettivo è la manifestazione concreta del volere libero, che si trasfigura nelle istituzioni sociali, che per Hegel vanno a costituire il “diritto” tema trattato, in particolare, nei famosissimi Lineamenti di Filosofia del Diritto.
I momenti o gradi dello spirito oggettivo sono tre: diritto astratto, moralità, eticità.
• Il diritto astratto è il volere del singolo individuo, considerato come persona con capacità giuridiche ma non caratterizzato.
La persona trova il suo primo compimento nella proprietà delle cose esterne. Per stabilirne i limiti, quindi, le persone si accordano tramite un contratto. Il contratto è sì alla base del diritto, ma è, evidentemente, anche l’origine del suo contrario: il delitto, a causa del libero arbitrio insito nell’uomo. Al delitto il diritto contrappone la pena. La pena dev’essere non punitiva, ma riformativa; dev’essere interiorizzata dal colpevole. Questo richiama la sfera della moralità.
• La moralità è la sfera della volontà soggettiva: essa sgorga da un proponimento, che in un essere pensante prende la forma dell’intenzione. L’intenzione, diventando universale, diventa il bene in sé e per sé.
La coscienza morale come soggettività formale è puramente e semplicemente questo, esser sul punto di rovesciarsi nel male, nella coscienza di sé stessi […] hanno entrambi, la moralità e il male, la loro comune radice. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, par. 139)
Ma questo causa una separazione tra il soggetto che deve realizzare il bene e l’oggetto che è il bene stesso. Questa separazione si trasforma in una contraddizione tra essere e dover essere, che in Kant resta insoluta, mentre per Hegel va colmata asserendo che il dover essere non va raggiunto nella sua totalità, poiché lo sforzo infinito è parte stessa della moralità.
Hegel critica inoltre di Kant l’astrazione eccessiva, che può spingere all’immoralità, in quanto l’imperativo categorico descrive solo la forma dell’azione e non il bene che in essa dev’essere contenuto. Questo si riversa in un estremo soggettivismo, che per Hegel si manifesta anche nel suo tempo, sotto tre diversi aspetti:
- La morale del cuore, che riconduce il bene alle inclinazioni proprie di ogni singolo soggetto;
- L’ironia romantica, che è lo scarto tra l’io presuntuoso e la realtà effettiva delle cose e si manifesta con una trasfigurazione del soggetto in un “signore del bene e del male”;
- L’anima bella, che è tronfia della propria bellezza ed è incapace di agire per paura di “sporcarsi le mani”, di intaccare la propria fittizia realizzazione.
• L’eticità risolve concretamente il divario tra essere e dover essere. Il termine “eticità” (Sittlichkei) deriva dalla parola éthos che in greco significa “costume”.
Il bene, che qui è il fine universale, non deve restare semplicemente nel mio interno, ma deve, anche realizzarsi. La volontà soggettiva cioè esige che il suo interno, il fine, consegua esistenza esterna, e che quindi il bene debba essere compiuto nell’esistenza esteriore. La moralità e il momento precedente del diritto formale sono due astrazioni, la cui verità è solamente l’eticità. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, par. 33)
Se la moralità è la volontà soggettiva del bene, l’eticità è la moralità sociale che si realizza nelle forme istituzionali di famiglia, società e Stato.
- La famiglia, primo momento dell’eticità, è l’incontro di due individui secondo il rapporto naturale tra i due sessi che porta all’unità spirituale e, appunto, alla famiglia. Essa si articola nel matrimonio, nel patrimonio e nell’educazione dei figli. La singola famiglia rappresenta, però, solamente un punto del “sistema atomistico” nel quale si viene a trovare e sarà, quindi, costretta a lottare per difendere i propri interessi, dando così origine alla società civile;
- La società civile è l’incontro di interessi particolari e indipendenti, che devono necessariamente coesistere tra loro. Essa si articola in tre momenti: il sistema dei bisogni, che, basandosi su una ripartizione del lavoro e dei beni in base alle singole esigenze, porta alle classi sociali; l’amministrazione della giustizia, che è sostanzialmente il diritto pubblico; infine, la polizia e le corporazioni, che si occupano concretamente della sicurezza della società, fungendo dialetticamente da tramite tra la società civile e lo Stato.
- Lo Stato è il momento culminante dell’eticità, che coincide con l’entrata di Dio nella vita terrena: “Dio fatto carne e sangue”.
Lo Stato è volontà divina, come spirito presenziale, come spirito esplicantesi e reale figura e organizzazione di un mondo. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, par. 270)
La sostanza vivente ritorna in sé proprio nello Stato, dopo che i contrasti sociali delle classi hanno messo in dubbio l’unità della famiglia. E per Hegel lo Stato è proprio una famiglia in grande, che si occupa del bene comune.
Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile, la medesima unità, che è nella famiglia come sentimento dell’amore, è l’essenza dello Stato. (Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio, par. 535)
Questo può avvenire anche con la totale soppressione di alcune parti della società. Ciò non è immorale, in quanto lo Stato non ha altra giustificazione che in sé stesso, poiché la sua totalità viene prima delle particolarità della famiglia e della società civile.
Se lo Stato viene confuso con la società civile e la destinazione di esso viene posta nella sicurezza e nella protezione della proprietà e della libertà personale, allora l’interesse degli individui come tali è il fine estremo per il quale essi sono uniti. (Lineamenti di Filosofia del Diritto, par. 258)
Nello Stato Hegel identifica tre poteri sovrani, distinti, ma non separati tra loro: il potere legislativo, il quale concerne le leggi in quanto tali, che sono universali, e quindi non ancora applicabili ai singoli casi particolari; questo compito è infatti assegnato al potere esecutivo o governativo, che è rappresentato dai funzionari dello Stato; vi è infine il potere del principe, che rappresenta l’incarnazione dell’unità statale, un’individualità reale che decide definitivamente circa gli affari della comunità.
In genere la concezione dello Stato hegeliano viene definita “Stato etico” in quanto Hegel concepisce, appunto, lo Stato come incarnazione suprema della moralità sociale e garante del bene comune. Inoltre la sua concezione dello Stato è assolutamente anti-individualistica. Essa si distanzia sia da una concezione liberale che da una democratica. La sua è una concezione organica dello Stato che tende a concepire lo Stato come unione e non come associazione, come organismo vivente e non prodotto storico, totalità e non aggregato (N. Bobbio). Da qui una sostanziale concezione dello Stato, “Dio reale”, da venerare e a cui sacrificarsi.
Hegel - diversamente da Kant - pur definendo lo Stato come comunità globale, non auspica un’unità interstatale, sia essa a livello europeo o globale; ma egli ritiene anzi che ogni Stato debba essere autonomo, in linea con i principi di identità nazionale.
Da ciò consegue pure che Hegel è contrario all’esistenza di un diritto internazionale. I conflitti tra gli Stati, quindi, non possono essere mediati da un giudice, ma solo dall’arbitro universale che è la storia: dalla guerra.
Hegel – sempre diversamente da Kant - ritiene che:
La guerra ha il superiore significato che grazie ad essa […] la salute etica dei popoli viene mantenuta […] come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole, come i popoli da una pace durevole o addirittura perpetua. (Lineamenti di filosofia del diritto)
La guerra ha, dunque, un alto valore morale!
La concezione dello Stato pone la filosofia hegeliana, di fatto, come garante del movimento reazionario dell’Europa uscita dal Congresso di Vienna e diviene, in effetti, la filosofia ufficiale dello Stato prussiano nonostante Hegel saluti la Rivoluzione francese come “un superbo levar del sole”. L’impianto reazionario e conservatore si deve, tra l’altro, al fatto che per Hegel ogni Stato particolare, concreto, storico, partecipa pur sempre del carattere divino dello Stato perfetto e che i caratteri dello Stato perfetto sono ricavati surrettiziamente dalla monarchia prussiana. Non a caso, per Hegel, esso sarà il migliore degli Stati storici.

3) Lo spirito assoluto è il momento in cui l’idea giunge alla consapevolezza di se stessa e della propria infinità attraverso il consueto andamento dialettico che ora vede tre gradi: arte, religione e filosofia.
• L’arte comprende l’Assoluto nella forma di intuizione sensibile, ovvero attraverso le forme delle arti figurative, della musica e della poesia. Nell’arte si coglie in maniera intuitiva lo spirito poiché di fronte al bello in senso artistico quest’ultimo viene recepito come fuso nella natura, in quanto la forma non è altro che espressione della spiritualità.
Hegel riconduce anche l’arte ad un processo dialettico, sintetizzandone la storia in tre momenti:
- L’arte simbolica, nella quale vi è uno squilibrio tra contenuto e forma, poiché lo spirito non trova, nella sua povertà, forme adeguate a rappresentarlo. La forma artistica tipica di questo periodo è l’architettura, nella quale la materia è predominante;
- L’arte classica, nella quale contenuto e forma trovano il loro equilibrio nella figura umana. Si privilegia quindi la scultura, che rappresenta un passo avanti nella rarefazione della materia verso lo spirito;
- L’arte romantica, caratterizzata da un nuovo squilibrio tra contenuto e forma, poiché lo spirito questa volta è troppo ricco per essere rappresentato e quindi trabocca dalla forma. Gli artisti del periodo si affidano quindi alla pittura, alla poesia e soprattutto alla musica per liberarsi dall’elemento materiale, che ostacola la libera manifestazione dello spirito. Per Hegel quindi si configura una vera e propria morte dell’arte, da intendere come la sua inadeguatezza ad esprimere la spiritualità moderna, poiché gli uomini non riconoscono più l’arte come manifestazione dell’idea, ma preferiscono analizzarla e collocarla storicamente.
• La religione è lo spirito che acquista coscienza di sé, ma solo nella forma della rappresentazione e ciò la rende certamente una conoscenza vera ma ancora imprecisa rispetto del sapere filosofico. La rappresentazione è caratterizzata da due limiti rispetto al concetto: prima di tutto “le rappresentazioni in genere possono essere considerate come metafore dei pensieri e concetti” (Enciclopedia, par. 3) avvolti ancora nell’elemento sensibile; inoltre, il concetto procede in modo a-dialettico, cioè attraverso una narratologia di eventi che seguono un ordine in cui sono semplicemente giustapposti, e non un procedere dialettico capace di cogliere l’unità degli opposti in termini logici e atemporali. Inoltre, la religione rappresenta l’Assoluto nella forma storica della rivelazione. La filosofia procede, invece, mostrando la necessità del suo oggetto.
Tuttavia, alla religione va riconosciuto lo sviluppo dell’idea di Dio, che può avere diverse ‘forme’.
- Nelle religioni naturali Dio è parte della natura, vi è “sepolto”. Queste si dividono poi in religioni animistiche e panteistiche;
- Nelle religioni della libertà Dio è uno spirito libero, ma inserito ancora in un orizzonte naturalistico;
- Le religioni dell’individualità spirituale vedono Dio come un’entità spirituale o personificata;
- La religione assoluta, quella cristiana, risolve per prima Dio nella dialettica di Padre-Figlio-Spirito Santo, la Sacra Trinità, ovvero idea-natura-spirito.
• La filosofia è l’ultimo momento dello spirito assoluto, nella quale l’idea giunge finalmente a sé nella forma più alta: il concetto.
Come la religione, la filosofia è il pensiero di Dio. Religione e Filosofia hanno lo stesso contenuto, ma la filosofia ne costituisce, allo stesso tempo, il superamento e “l’inveramento”.
Diversamente dalla religione, la filosofia “manifesta l’esigenza di mostrare la necessità del suo contenuto” e di “provare i caratteri dei suoi oggetti” (Enciclopedia). Infine, anche la filosofia ha un andamento storico, ma solo fino a quando non si è conclusa nell’idealismo. Tutte le varie filosofie precedenti, quindi, costituiscono un momento necessario per raggiungere la verità, che è racchiusa in un’ultima espressione completa:
La filosofia, che è ultima nel tempo, è insieme il risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte: essa è perciò - beninteso, se è davvero una filosofia - la più sviluppata, ricca e concreta. (Enciclopedia, par. 13)
La filosofia hegeliana è davvero la più sviluppata, ricca e concreta! Hegel afferma che il completamento ideale della filosofia dopo un enorme cammino è, appunto, il proprio pensiero.
L’attuale punto di vista della filosofia è che l’idea sia conosciuta nella sua necessità […]. A questo punto è pervenuto lo spirito universale, e ogni stadio ha, nel vero sistema della filosofia, la sua forma specifica. Niente si perde, tutti i principi si conservano; la filosofia ultima è difatti la totalità delle forme. Quest’idea concreta è la conclusione dei conati dello spirito, in quasi due millenni e mezzo di lavoro serissimo, per diventare oggettivo a sé stesso, per conoscersi. (Lezioni sulla Storia della Filosofia)

La filosofia come grado più alto dello spirito assoluto è il momento in cui, in maniera concettuale e chiara, la coscienza arriva alla consapevolezza che tutto è spirito e non vi è nulla al di fuori di esso.
La filosofia hegeliana è la scienza suprema in cui l’Assoluto giunge ad auto-conoscersi. La filosofia hegeliana costituisce l’apice, e, dunque, la fine, di tutto questo durissimo lavoro.
Molti giovani hegeliani rimprovereranno al maestro di non aver pensato al futuro!
La filosofia della storia
Nelle famose “Lezioni sulla filosofia della storia”, pubblicate nel 1840, Hegel mette a punto la sua concezione della storia, della sua evoluzione verso la libertà e della funzione della personalità nel processo storico.
Hegel, declinando storicamente il principio che ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale, afferma che la storia non è una congerie di eventi irrazionali, casuali, insignificanti: un “banco di un macellaio” o un “mattatoio inutile”. Al contrario, il “contenuto della storia è razionale e dev’essere razionale: una volontà divina domina poderosa nel mondo”. La ragione governa il mondo! La storia è ciò che è e non poteva essere altro da ciò che è stato! Tutto ciò che è accaduto trova una sua ragione. Tutto “ciò che è accaduto o accade, era giusto che accadesse, è giusto che accada: ciò che è stato, doveva essere”. La necessità domina il mondo! Le idee, i progetti, i tentativi che non si sono realizzati non dovevano, non potevano realizzarsi: non erano adeguati alla razionalità storica. La storia, in pratica è già come dovrebbe essere, e non potrebbe essere altrimenti.
Ma pure quando consideriamo la storia come un simile mattatoio, in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui, il pensiero giunge di necessità anche a chiedersi in vantaggio di chi, e di quale finalità ultima, siano stati compiuti così enormi sacrifici. (Lezioni di filosofia della storia)
La fede religiosa con il concetto di provvidenza registra, anche se in maniera ancora generica, la presa di coscienza che la storia, anche a prima imperscrutabile, è portatrice di un fine. “La storia è il dispiegarsi della natura di Dio”. In questo senso la Logica si occupa dell’essenza di Dio, la Filosofia della storia del modo con cui egli si è manifestato. Alla filosofia spetta il compito di rendere palese questa razionalità e di chiarirne il fine, i mezzi e i modi.
La filosofia “nella certezza che è la ragione a governare, sarà convinta che l’accaduto si combinerà con il concetto”. La filosofia cioè deve interpretare i fatti storici accaduti, coglierne il senso e riportare senso, ordine in una massa di eventi apparentemente casuali.
Il fine della storia è "che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso realmente è (...) manifesti oggettivamente sè stesso", ossia è la piena automanifestazione dello spirito in una realtà storico-oggettiva.
Fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere assoluto e che esso si incarni in uno storico spirito del mondo (Weltgeist) interpretato dal succedersi dello spirito dei popoli che, di volta in volta, prendono il comando della storia. Fine ultimo è la realizzazione della libertà dello spirito che si realizza nello Stato. Da questa prospettiva la storia del mondo è l’avvicendarsi di tre forme statali: mondo orientale (solo il monarca è libero); mondo greco (libertà di alcuni e schiavitù di altri); mondo germanico (libertà di tutti).
All’interno del dispiegarsi dello Spirito, la funzione della personalità è assai ridimensionata nonostante essa agisca nel pieno delle proprie passioni.
Gli individui sono all’interno del loro tempo e prodotti del loro tempo!
1) Ogni individuo si muove all’interno, compresso nel suo tempo: non può prescindere dal momento storico-sociale, politico e culturale nel quale viene a trovarsi. Guai a mettersi contro il proprio destino! “Ogni individuo è figlio del suo popolo, in un momento determinato dello sviluppo di questo popolo. Nessuno può saltare oltre lo spirito del suo popolo più di quanto possa saltare via dalla terra”;
2) I grandi uomini, gli ‘eroi’, Cesare, Napoleone, non sono altro che individui che incarnano, più di altri, lo spirito del tempo. Pare che Hegel vedendo Napoleone abbia detto: “Ho visto lo spirito del mondo, seduto a cavallo che lo domina e lo sormonta” ma Napoleone, pur seguendo la sua indole, le sue passioni, non è altro che un’astuzia della ragione (List der Vernuft) che si serve degli uomini per i propri fini: raggiungere lo spirito assoluto. I fini che i singoli si propongono sono dettati dalla loro limitatezza, eppure attraverso ciò si compie il compito della ragione. “L’idea paga il tributo dell’esistenza e della caducità non di sua tasca, ma con le passioni degli individui. Cesare doveva compiere quello che era necessario per rovesciare la decrepita libertà; la sua persona perì nella lotta ma quello che era necessario restò”. Cesare o Napoleone non valgono come individui, ma interpretano semplicemente lo spirito del loro tempo: non agiscono … sono agiti!
3) I grandi uomini sono prodotti dal loro tempo. Rispetto alla Riforma protestante, scandalo delle indulgenze, ecc. Hegel dice: “Ma dal punto di vista complessivo l’occasione è indifferente: quando la cosa in sé e per sé è necessaria, e lo spirito è in sé pronto, essa può manifestarsi tanto in un modo quanto nell’altro. Tale evento non è neppure connesso ad un individuo, come qui, ad es. a Lutero: i grandi uomini sono produzioni del tempo stesso”;
4) Infine, “Nella storia universale viene alla luce, mediante le azioni degli uomini, qualche cosa di diverso da ciò che essi si propongono ed ottengono, da ciò che essi sanno e vogliono immediatamente”. La somma delle singole azioni determina qualcosa di diverso dalle volontà di ciascuno!
CONCLUSIONI
In molti sensi la filosofia hegeliana rappresenta una fine!
Innanzitutto, Hegel stesso pensa alla sua filosofia come ad una fine o, se si vuole, all’inizio di un sapere assoluto che ha solo il compito di rimirarsi, di riconoscersi in perenne circolo. La sua filosofia è fine della storia e della filosofia come ricerca della verità.
Hegel era in errore! Il superbo sistema hegeliano, con il suo incedere triadico che tutto sembrava fagocitare, la cattedrale gotica e il tempio greco in breve tempo saranno fatti a pezzi che, tuttavia, saranno ripresi qua e là per tutto l’Ottocento e il Novecento dando prova di estrema fecondità.
Il sistema.
Il sistema nella filosofia hegeliana non è un semplice accessorio, una forma, ma lo scheletro essenziale della verità. Il sistema non è qualcosa di esteriore ma essenziale: è esso stesso la verità! E’ il modo in cui si presenta l’Assoluto attraverso il suo incedere dialettico. La verità del fondamento filosofico, dell’identità di finito e infinito – o, meglio, della sua risoluzione nell’infinito – deve essere provato attraverso il sistema.
L’ipotesi idealistica della identità di certezza e verità può essere provata solo se si riesce a narrare la storia dell’Assoluto attraverso un incedere necessario sicché nel sistema viene riportata la realtà nelle sue determinazioni finite. Insomma, l’ipotesi idealistica di Hegel può essere provata solo se il suo sistema è articolato in maniera tale che il mondo vi sia collocato senza residui; solo se il sistema ha cassetti per tutto. Il sistema e le sue articolazioni sono una prova della bontà dell’ipotesi idealistica.
Secondo il mio modo di vedere, che dovrà giustificarsi soltanto mercé l’esposizione del sistema stesso, tutto dipende dall’intendere e dall’esprimere il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto. (Enciclopedia)
Quello di Hegel è un panteismo logico-dialettico, dove il sistema è la realtà stessa. Sarà proprio il sistema, con le sue articolazioni, che cederà irrimediabilmente per primo. Le deduzioni dialettiche franeranno dinanzi all’irrompere delle ricerche specifiche e scientifiche. Titanico è lo sforzo di racchiudere il Tutto nella triade dialettica e non mancano intuizioni geniali, ma complessivamente va rilevato che più spesso si assiste a mere artificiose similitudini, associazione arbitrarie o imprecise, analogie fantasiose.
Il metodo dialettico e le sue deduzioni rimangono metodologicamente un gioiello se, tuttavia, si recepiscono non come schemi coatti da imporre e in cui inchiodare la realtà, ma come istanze di apertura che evitano l’isolamento dei concetti e delle cose di un mondo anacoreta. Altrimenti i danni sono assai notevoli.
La filosofia della natura.
E’ proprio qui che fin dall’inizio si sono concentrate ambiguità e difficoltà. L’ipotesi idealistica è che la sostanza assoluta sia una sostanza spirituale: essa si presenta come idea assoluta, preesistente alla materia. Solo in un secondo tempo essa si esteriorizza come natura inscritta nel tempo e nello spazio, per poi ritornare in sé.
Va sottolineato che la filosofia spinoziana, con l’identificazione di Dio e natura, evita di dover riproporre un dualismo che hegelianamente si esprime in idea in sé e idea alienata, estraniata, fuori di sé. Spinoza, evitando di concepire la Sostanza come soggetto spirituale, evita perfino una concezione finalistica, che dell’inquietudine del finito verso l’infinito fa il suo araldo. Il problema è che Spinoza arriva, di fatto, ad una concezione materialistica e atea che per Hegel è inaccettabile.
Hegel cerca di provare la razionalità della natura e, nel contempo, che essa si muove verso un suo superamento nella forma della spirito abbandonandosi frequentemente a complicatissime e artificiose deduzione dialettiche.
Hegel mostra un sostanziale rifiuto e sprezzo dei dati sperimentali e in generale della scienza a partire da Galileo.
La più grande illusione in cui Hegel è caduto nella sua, pur mirabile costruzione, è stata quella di ritenere che la razionalità della natura potesse venir provata solo col dedurre a priori lo sviluppo da principi generali, e non – come volevano i fisici – col fare appello all’esperimento, rivelatore dei processi concreti in cui si articola tale razionalità. (L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico, v. 3, p. 62)
L’idea di poter dedurre a priori la natura ricavandola dalla dialettica segna una distanza siderale con il metodo scientifico. Distanza che ha portato i filosofi della natura di allora - gli scienziati - a staccarsi sempre più dalla filosofia.
La filosofia hegeliana ebbe una influenza assai negativa nel rapporto tra scienza e filosofia.
Un brano dello scienziato E. Helmholtz tratteggia in maniera eloquente il rapporto di ignoranza, diffidenza e, addirittura, irrisione tra scienza e filosofia.
A me sembra che questa opposizione abbia avuto origine essenzialmente per influenza della filosofia hegeliana […] quando la filosofia kantiana regnava suprema, un tale scisma non sarebbe stato proclamato, che anzi la filosofia di Kant si fondava proprio sul terreno delle scienze fisiche. […] La ‘filosofia dell’identità’ [di Hegel] è assai presuntuosa. Essa parte dall’ipotesi che non solo i fenomeni spirituali, ma anche il mondo reale, la natura cioè l’uomo, sono il risultato di un atto del pensiero da parte di una mente creativa, simile come Hegel suppone, alla mente umana. Partendo da questa ipotesi sembrava possibile che la mente umana […] potesse ripensare i pensieri del Creatore e riscoprirli attraverso la sua attività interna. E’ secondo questo concetto che la ‘filosofia dell’identità’ si pose all’opera per costruire a priori i risultati delle altre scienze. […Ma] questo non può in alcun modo dimostrare la validità dell’ipotesi della identità da cui egli partì. […] Il suo sistema della natura sembra, almeno ai filosofi naturali, assolutamente assurdo. (E. Helmoholtz in Geymonat, Storia del pensiero filosofico, v.3, p. 71)
Certo, il panlogismo hegeliano è positivo in quanto asserisce l’idea di una natura che si srotola in maniera razionale e che, dunque, può essere compresa dalla ragione, ma l’idea di poterla dedurre da principi generali e l’idea che essa sia finalisticamente mossa verso lo spirito assoluto è a dir poco pericolosa.
La scissione che la filosofia hegeliana doveva arrecare nel rapporto con le scienze in generale è comunque più profondo che il semplice disprezzo del materiale sperimentale e dell’esperimento. La frattura che la filosofia hegeliana crea con la scienza ha radici più profonde.
Hegel riprende in maniera ferma quel tratto della filosofia greca: lo sguardo rivolto al Tutto. Comprensione del Tutto è comprensione delle sue determinazioni. La conoscenza in Hegel è conoscenza della totalità.
Hegel è il culmine della filosofia classica tedesca, ma è profondamente greco. Greco è il senso che egli ripropone della verità (alétheia).
La rivoluzione scientifica – che riprenderemo nel capitolo 7 – è una doppia riduzione dello sguardo filosofico: dal Tutto al particolare e, ancora, dal particolare alla sola quantità - come voleva il buon vecchio Democrito. Ancora, è la riproposizione di un doppio tribunale: il Lógos e l’esperimento.
La distanza tra la filosofia e la scienza come ricerca della verità non può che essere incommensurabile: un vero cambio di paradigma.
Hegel rigetta sia la riduzione dello sguardo galileiano, sia la nascente soggettività cartesiana che si avviluppa nella opposizione tra certezza e verità. Ripropone, al contrario, sia la totalità dello sguardo, sia la ritrovata identità di certezza e verità. E’ possibile afferrare la verità solo se si considera che essa è come un Uno-Tutto, di eraclitea memoria, che scaturisce dalla guerra tra i molteplici: “Pólemos [la guerra] è di tutte le cose padre, di tutte re”. Il pensiero umano è capace di penetrare la realtà che non è che pensiero.
Se Kant con la Critica aveva dimostrato che la metafisica e Dio non era epistéme, scienza, Hegel ci assicura che “Un popolo senza metafisica è un tempio senza altare”. Sarà l’ultima metafisica!
Al di là di tutte le critiche possibili che un sistema filosofico così imponente come quello hegeliano si è portato dietro, la filosofia di Hegel rappresenta una tappa decisiva ed impareggiabile per la storia della filosofia successiva. Del resto, come sosterrà nel ‘900 il filosofo tedesco Adorno, rappresentante della Scuola di Francoforte, “anche quando sbaglia, un maestro è sempre ricco di insegnamenti”: ed Hegel è stato, piaccia o no, un maestro di prima grandezza nel cammino del pensiero.
BIBLIOGRAFIA
Opere di Hegel
Hegel, Fenomenologia dello spirito, Nuova Italia, 2008
Hegel, Scienza della logica, Laterza, 2004
Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, Laterza, 2009
Hegel, Lezioni di storia della filosofia, Laterza, 2009
Opere su Hegel
V. Verra, Introduzione a Hegel, Laterza, 2005
J. Hippolyte, Genesi e struttura della ‘Fenomenologia dello spirito’ di Hegel, Bompiani, 2005
SITI WEB:
http://www.emsf.rai.it/gadamer/

 

Fonte: http://manualedifilosofia.altervista.org/alterpages/files/cap.1.doc

Sito web da visitare: http://manualedifilosofia.altervista.org

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