Relativismo etico

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Relativismo etico

 

Enrico Berti

Pluralismo culturale e relativismo etico

A proposito del pluralismo culturale che caratterizza la società contemporanea, è alquanto diffuso un malinteso, secondo il quale tale pluralismo comporterebbe il relativismo etico, cioè la convinzione che nessuna etica abbia un valore universale e che anzi non esistano valori etici assoluti, cioè validi per ogni uomo in qualsiasi situazione. In realtà, qualsiasi forma di pluralismo, pur ammettendo la legittimità di una pluralità di posizioni, come dice la parola, esclude la possibilità di almeno una posizione, cioè quella che negherebbe lo stesso pluralismo. Ciò vale, ad esempio, per quella forma di pluralismo politico che è la democrazia, la quale consiste nell’ammettere la possibilità di praticare e difendere tutte le concezioni politiche, eccettuata quella che porterebbe alla negazione della stessa democrazia, cioè il totalitarismo, ovvero il tentativo di instaurare una dittatura. Ciò non è stato compreso da alcuni grandi pensatori politici, come ad esempio il giurista e filosofo del diritto Hans Kelsen, il quale riteneva che la democrazia fosse incompatibile col riconoscimento di qualsiasi valore, cioè dovesse essere una concezione puramente formalistica, senza rendersi conto che il rispetto della stessa democrazia, cioè delle sue regole, e quindi della libertà, è per la democrazia un valore assoluto, cioè non negoziabile, da non mettersi in discussione. In nessuna democrazia, infatti, si potrebbe mettere ai voti l’abolizione della stessa democrazia.
Ma lo stesso si può dire del pluralismo religioso, teologico o filosofico. In una società pluralistica deve essere garantita la libertà religiosa, cioè la possibilità per ciascuno di praticare, predicare e diffondere la religione in cui crede. Ma ciò non significa assolutamente che tutte le religioni si equivalgano, o che nessuna di esse sia vera, perché questa convinzione vanificherebbe la stessa fede di chi pratica una qualsiasi religione. Il rispetto della libertà religiosa implica il rispetto della convinzione di ciascun credente, secondo la quale la religione in cui egli crede è la sola ad essere vera. Quanto al pluralismo teologico all’interno di una singola religione, esso si esprime legittimamente nel diritto di interpretare la stessa rivelazione in modi diversi, ma non può giungere sino al punto di negare la rivelazione di cui vuole essere interpretazione. Quanto al pluralismo filosofico, esso sembra dover essere la forma di pluralismo più radicale, perché in filosofia non sono ammessi limiti alla libertà di pensiero. Ma ciò non toglie che un pensiero il quale negasse la possibilità di giungere ad una qualsiasi verità, come nel caso dello scetticismo assoluto, negherebbe anche se stesso e quindi si autodistruggerebbe come filosofia.
Nel caso del pluralismo morale, cioè della legittimità di professare e di praticare concezioni morali diverse, il limite che impedisce di giungere al relativismo etico è costituito dal fondamento stesso di tale pluralismo, cioè la dignità della persona.  Questa è il fondamento di ogni pluralismo, perché è il riconoscimento della natura libera della persona, cioè della sua capacità di sottrarsi almeno in parte ad un condizionamento totale da parte dei fattori (biologici, psicologici, economici, sociali, culurali) che possono agire su di essa, e quindi della sua capacità di autodeterminarsi, cui corrisponde il diritto ad essere considerata non semplicemente come mezzo, ma sempre anche come fine. Un relativismo etico assoluto potrebbe dovrebbe negare anche questo valore, e quindi porterebbe ad ammettere qualsiasi tipo di sopraffazione, di violenza, di negazione dei diritti umani. Per questo nelle costituzioni democratiche di tutti i popoli, e nelle maggiori dichiarazioni internazionali, si proclamano solennemente come inviolabili i cosiddetti diritti umani, cioè il diritto alla vita, alla proprietà, alla libertà, all’uguaglianza di fronte alla legge. Anche se esistono violazioni di tali diritti da parte di singoli individui, o di istituzioni, o di Stati, essi sono sempre espressione di un consenso maggioritario all’interno di singole società politiche o di comunità internazionali, un consenso espresso una volta per tutte e non più revocabile. Perciò i diritti umani non possono essere messi in discussione e la legge ne impone il rispetto da parte di tutti, anche da parte dei dissenzienti. Ad esempio nell’Unione Europea, in base alla carta dei diritti votata a Nizza nel 2000, non possono essere ammessi Stati che violino i diritti umani, per esempio che ammettano la pena di  morte (per questo alcuni Stati che fanno parte degli Stati Uniti d’America, o la Repubblica Popolare Cinese, non potrebbero farne parte, e la Turchia, che aspira a farne parte, ha per questo abolito la pena di morte).
Contrariamente a quanto alcuni credono, il relativismo non è espressione di libertà, ma è la negazione della stessa libertà, come di qualsiasi altro valore. Esso è il corrispettivo etico di ciò che sul piano teorico è lo scetticismo assoluto, cioè una posizione che nega se stessa, si autodistrugge, e quindi è inaccettabile.

Fonte: http://fsp.glauco.it/wp-content/uploads/2013/04/Berti.doc

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