Effetto termoionico

Effetto termoionico

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Effetto termoionico

 

FENOMENI DI SCARICA NELL'ALTO VUOTO

 

4.1 PROPRIETA' ELETTRICHE DELL'ALTO VUOTO

            L'interesse sull'argomento in campo elettro­tecnico si è rivelato piuttosto sostenuto negli ultimi anni ed ha contri­buito ad affiancare apparecchiature di vasto uso anche industriale a quelle tradizionali dell'area della Fisica Speri­mentale. Isolamenti per AT in vuoto spinto (pres­sioni infe­riori a 10‑4 torr, cui corrisponde una densità dell'or­dine di 1012 particelle/cm²) debbono essere studiati per applicazioni quali:
‑ interruttori ;
‑ valvole termoioniche;
‑ acceleratori e separatori di particelle;
‑ apparecchiature per la Fusione Termonuclea­re Control­lata;
‑ condensatori a basse perdite per alta frequenza;
‑ voltmetri elettrostatici;
‑ generatori elettrostatici.

            I fenomeni che si possono sperimentalmente osservare sono:

            ‑ corrente stazionaria di fondo, dovuta essenzialmente ad emissione di elettroni per effetto termoionico e/o di campo;

microscariche, ad andamento aleatorio ( 1‑50 ms di durata, qualche µC di valore integrale e anche 200 µA di cresta) particolarmente indeside­rate in quanto non solo disturbano le misure, ma inducono anche fenomeni secondari quali emissione di raggi X, ionizzanti per le regioni esterne. Il meccanismo di queste microscariche non è ancora definitivamente chiari­to, ma si è notata l'influenza del condizionamento (vedi appresso) e delle imperfezioni degli elettrodi.

fenomeni secondari: emissione fotoelet­tronica, emissione per bombardamento ionico, elet­tronico o molecolare, emissione causata da atomi metastabili.

 

4.2 EMISSIONE DI ELETTRONI DA SUPERFICI METALLICHE

            All'interno del metallo gli elettroni sono praticamente "liberi" e la la loro energia è distribuita su livelli discreti (il livello di energia massima prende il nome, com'è noto, di 'livello di Fermi'). Per abbandonare definitivamen­te il metallo, l'elettrone che si trovi al livello di Fermi dovrà acquisire energia in misura suffi­ciente ; il salto energetico strettamente necessa­rio a ciò ossia la barriera di potenziale viene anche detto funzione di lavoro [work function] (3‑5 eV) (fig.4.1).
L'elettrone che si trovi a distanza x dalla superficie del metallo sarà attratto verso questo (di ugual carica positiva) dalla forza F= ‑q²/(4 x²) ; l'energia potenziale corrispondente vale W=‑ q²/4x . Se tra gli elettrodi v'è un campo uniforme E, l'energia potenziale viene incrementata della quantità ‑qEx. Si ottiene quindi un abbassamento della barriera di potenziale, con valore massimo del potenziale pari a W*=q3/2 E1/2 alla distanza x*=(q/E)1/2/2 (fig.4.2).
Per superare la barriera di potenziale si può:
1)         riscaldare l'elettrodo (emissione termoioni­ca, trascu­rabile alle temperature ordinarie). La corrente emessa per unità di superficie riscaldata alla temperatura T è data dalla legge di Richardson:
J = k T² exp (‑_/kT);
2)         illuminare sufficientemente l'elettrodo (emissione fotoelettrica);
3)         riscaldare l'elettrodo in presenza di solle­citazione elettrica (effetto Schottky)
J'= k' T² exp (‑ _'/kT);
4)         applicando sollecitazioni intense (>105 V/cm) si può avere la cosiddetta emissione per effetto di campo:
J"= k"E² exp (‑k"/E);
in tale teoria si prevede che gli elettroni possano superare la barriera di potenziale anche per effetto tunnel (fig.4.3).

            Se sugli elettrodi sono presenti protuberanze locali dovute a difetti di lavorazione o a deposi­ti accidentali, il campo viene localmente incre­mentato di un fattore m che può essere anche notevole (figg. 4.4 e 4.5); potendosi così inne­scare microscariche, possono aver luogo locali signifi­cativi aumenti della temperatura e ulterio­re emissione elettronica per effetto Schottky.


4.3 TENSIONE DI SCARICA

            Prima di considerare le varie ipotesi avanza­te per individuare il meccanismo di innesco della scarica in uno spazio interelettrodico "vuoto", è necessario evidenziare i fattori che hanno in­fluenza sul processo fisico.
Si può idealmente definire "tensione di scarica" per l'alto vuoto come quella appena superiore alla massima tenuta per sollecitazione permanente. Nella pratica, la tensione di scarica può essere valutata diversamente caso per caso. Ad esempio, per un interruttore a vuoto, la tensione di scarica è quella minima per la quale si verifi­cano, anche alla prima sollecitazione, fenomeni di una certa rilevanza, dovendo tali apparecchiature "tenere" sollecita­zioni permanenti; per un accele­ratore di particelle, invece, dove le scariche sono ripetute e si rilevano valori via via più elevati della tensione applicata finchè gli elettrodi non risultano condizionati, è proprio la tensione limite ad essere indicata come tensione di scarica nominale.

            Distanza elettrodica

            Per spazi interelettrodici ("gaps") di misura inferiore ad 1 mm si è trovato che la tensione di scarica è proporzionale alla distanza medesima e il campo critico dell'ordine del MV/cm (fig.4.6); tale comportamento induce a ritenere preponde­rante, nel fenomeno di scarica, l'emissio­ne di elettroni per effetto del campo elettrico. Il valore del campo critico però diminuisce, anche notevolmen­te, per distanze superiori ad 1 mm (a 100 mm è dell'ordine di 10 kV/cm) (fig.4.7). Si può quindi esprimere la tensione di scarica mediante l'espressione
Vs= k da                                            (4.1)
dove k dipende essenzialmente dagli elettrodi (natura, stato chimico‑ fisico superficiale, etc), ed a è uguale ad 1 per distanze inter­elettrodiche inferiori ad 1 mm, è uguale a 0.5 per distanze superiori, come mostrato teoricamente da Cranberg e come si può praticamente riscontrare dai dati sperimentali riassunti nel dia­gram­ma in scala logaritmica di fig.4.8.

            Condizionamento degli elettrodi

            Come si è già detto, il valore della tensione di scarica si assesta solo dopo un consistente ripetersi dei fenomeni disruptivi fino al cosid­detto condizionamento degli elettrodi (fig.4.9). Tale comportamento può essere ascritto al processo di lavorazione del materiale elettrodico che lascia residui metallici superficiali e polveri. Un buon condizio­namento può essere ottenuto anche riscaldando fortemente gli elettrodi o investendo gli elettrodi con ioni idrogeno (in tal caso si limitano fortemente il numero di scariche necessa­rio per raggiungere la tensione di scarica standard).

            Natura degli elettrodi

            Per quanto detto innanzi sulla estrazione di elettroni, è da aspettarsi una significativa dipendenza della tensione di scarica dalla natura degli elettrodi. In Tab.IV.1 sono riportati i valori medi della tensione di scarica per elettro­di puliti e condizionati, sulla distanza di 1 mm:

     ELETTRODO                   TENSIONE DI SCARICA (kV)
acciaio                                   122
acciaio inox                            120
nichel                                      96
alluminio                                 41
rame                                        37

Tab.4.1 Tensione di scarica; elettrodi di mate­­
riali diversi

            Contaminazione superficiale

            La formazione di uno strato di ossido e depositi delle reazione con i vapori esistenti, anche organici (derivanti dall'impianto di vuoto), influen­zano i processi di estrazio­ne di elettroni e quindi la tensione di scarica, abbassando­la anche oltre il 20%. Anche con elettrodi accura­ta­mente sigillati si possono avere depositi superfi­ciali, dovuti alla vaporizzazione degli stessi elettrodi.

            Effetto d'area e di curvatura

            All'aumentare delle dimensioni (area A) degli elettro­di, la tensio­ne di scarica diminuisce, a parità di altre condizioni. Tale diminuzione si presenta praticamente lineare nei diagrammi log Vs /log A (fig.4.10).
E' stato altresì notato che nel caso di elettrodi curvi, su distan­ze inferiori a 6 mm, la tensione di scarica è più elevata che non nel caso di elettrodi piani. E' stato riscontrato che la migliore tenuta, per tali casi è data dalla configurazione punta(positiva)‑piano. Per configu­ra­zioni sfera‑piano, la tensione di scarica aumenta al dimi­nuire del raggio della sfera per distanze inferiori ad 1 mm; per distanze superiori ad 1 cm, invece, la tensione di scarica  diminui­sce al diminuire del raggio della sfera.
In ogni caso, per grandi distanze interelettrodiche, la configurazione di campo disuniforme porta a tensioni di scariche più elevate del caso di campo uniforme.

            Temperatura degli elettrodi

            E' stato riscontrato, nel caso di elettrodi di nichel o acciaio, che la tensione di scarica non dipende dalla temperatura degli elettrodi per valori della stessa fino a circa 500 .C; riscal­dando oltre tale valore l'anodo si ha una diminu­zione della tensione di scarica, mentre se si tratta del catodo si ha un'aumento della stessa. Può pertanto ritenersi che i vapori e gas (in prevalenza organi­ci) "penetrati" nello strato superficiale dell'elettrodo non influenzano il fenomeno di scarica in misura sostanziale; va comunque detto che l'assorbimento dei vapori, in particolare quelli organici, diminuisce fortemente passando da tempera­ture ordinarie a temperature dell'ordine di 500.C .
Un' aumento della tensione di scarica si ottiene inoltre per raffreddamento sino alla temperatura dell'azoto liquido.

            Frequenza della tensione applicata

            Com'era lecito attendersi, è stato riscontra­to (fig.4.11) che la tensione di scarica , a parità di altre condizioni, per sollecitazione costante è inferiore a quella ottenibile a fre­quenza indu­striale e ancor di più a quella riscon­trata con sollecitazione impulsiva. In realtà però si è riscon­trato che non esiste grande differenza nei valori della tensione di scarica passando da 50 Hz a 45 MHz.

            Effetti della pressione residua

            Nei casi di gap inferiori ad 1 mm, non esiste pratica­mente dipendenza della tensione di scarica dalla pressione di gas residua (nel campo 10‑7‑10‑4 torr). Per distan­ze superiori si possono avere effetti imprevisti in prima battuta, come l'esempio mostrato in fig.4.12, in cui all'au­mentare della pressione, cioè peggiorando le condizioni di vuoto, si ha un aumento della tensione di scarica.


            Tempi di ritardo

            Non vi sono studi completi sui tempi di ritardo stati­stico alla scarica; in realtà possono verificarsi scariche anche dopo giorni di tenuta a sollecitazione permanente.
Per quanto riguarda il tempo di formazione della scarica, è stato osservato essere dell'ordi­ne di 10‑8 s per gap di circa 1 mm, decrescente all'aumentare della tensione e al diminuire della distanza. Sovrapponendo impulsi di tensioni ad una tensione continua prossima a quella di scarica, si osserva che il ritardo tra l'appli­cazione dell'im­pulso e l'aumento di corrente (di scarica)  varia tra 6.6x10‑9 s per gap da .25 mm e 4.1x10‑8 s per gap da 1.45 mm.

            Circuito esterno

            Il circuito esterno limita la corrente d'arco, che può essere non stabile se la corrente è inferiore a valori critici. Per ottenere risul­tati ripetitivi è necessario che il valore della resistenza in serie sia quanto più bassa possibi­le. Per valori opportuni dell'energia messa in gioco, può diminuire la rugosità superficiale degli elettrodi e quindi elevarsi la tensione di scarica.

            Recupero delle proprietà isolanti dopo la
scarica

            Gli studi sul recupero delle proprietà isolanti sono a tutt'oggi abbastanza limitati. Sono riportate velocità di recupero iniziali di 10 kV/µs per sollecitazione impulsiva e recupero totale di interruttori in 1‑15 s per archi da 400 a 3200 A.

            Elettrodi non metallici e rivestimenti
superficiali
Per migliorare le caratteristiche di tenuta, gli elettrodi possono avere un rivestimento (impasto ceramico o vernice) parzialmente condut­tivo. In tal caso, infatti, al passaggio della corrente di prescarica, si ha una significa­tiva caduta all'elettrodo, con conseguente diminuzione del campo elettrico alla superficie ed aumento in definitiva della tensione di scarica.
In alcuni casi, gli elettrodi sono stati ricoperti di un sottile strato isolante: ad esempio, con un sottile film (.025 mm) di teflon, la tensione di innesco delle correnti di prescari ca può essere notevolmente aumentata (es da 8 a 24 kV); rivestendo elettrodi di alluminio con resina epossi­dica di spessore .13 mm si è ottenuta una tensione di tenuta di 340 kV su una distanza di 5 mm.

 

            4.4 MECCANISMI DI SCARICA

            Le ipotesi fin qui avanzate per poter signi­ficativamen­te giustificare i fenomeni di scarica nell'alto vuoto possono inquadrarsi in tre catego­rie:
1)         ipotesi di interazione fra particelle elemen­tari (elett­roni, ioni positivi e negativi etc) nascenti dai processi di emissione secondaria: la scarica può aver luogo quando queste interazioni sono auto‑sostenute;
2)         ipotesi di sorgenti di fasci di elettroni localizzate sulle asperità del catodo; il bombardamento dell'anodo può essere suffi­ciente a liberare per riscaldamento inclu­sioni gassose, aumentando quindi la pressione residua e favo­rendo una scarica "gassosa".
3)         ipotesi di estrazione di nuclei solidi ("clumps") dagli elettrodi, dovuta essenzial­mente a disomogeneità di aggregazione; tali nuclei, accelerati dal campo elet­trico, possono, per bombardamento dell'elettrodo opposto, liberare gas occlusi e produrre microfrantu­mazioni superficiali.

            Interazione tra particelle

            Indicando con:

A         numero medio di ioni positivi prodotti da un elettrone libero per urto o impatto sull'a­nodo,
B         numero medio di elettroni secondari prodotti da uno degli A ioni positivi per impatto sul catodo,
C         numero medio di fotoni prodotto da un elet­trone libero per urto o impatto sull'anodo,
D         numero medio di elettroni secondari prodotti da un fotone per impatto sul catodo,

la condizione di innesco della scarica potrebbe essere espressa dalla relazione
( A B + C D ) >= 1
La fig. 4.13 illustra questa ipotesi, dimostratasi poco significa­tiva anche nel caso di acceleratori di particelle, dove pure è stato possibile ottene­re una buona valutazione dei coefficienti indicati (Trump, Van de Graaf), in particolare per A [2x10‑3  in condizioni prossime alla scarica ] e B [2‑20]. E' stato quindi proposto (McKibben, Boyer) di considerare anche l'effetto degli ioni negativi mediante i coefficienti

G         numero medio di ioni negativi prodotti da uno ione positivo
H         numero medio di ioni positivi prodotti da uno ione negativo per impatto

per cui, trascurando l'effetto dei fotoni, la condizione critica può essere scritta come
( A B + G H ) >= 1
Valutazioni sperimentali confermano, in buona misura, l'importanza dei coefficienti G e H.

            Fasci di elettroni

            Fasci di elettroni scaturenti da piccole imperferzioni catodiche possono bombardare e quindi riscaldare localmente l'anodo, liberando gas e vapori occlusi; le particelle di gas possono quindi essere ionizzate dagli elettroni per urto ed accelerate verso il catodo dando luogo sia ad estrazione di elettroni secondari per bombardamen­to sia ad un aumento di campo elettrico a causa della carica spaziale positiva e quindi alla estrazione di elettroni primari dal catodo (fig.4.14). I fasci di elettroni possono essere costituiti anche da numerosi microfasci, come si è potuto evidenziare sperimentalmente. Il criterio di scarica va qui ricercato nel raggiungimento di una condizione critica per un gas a bassa pressio­ne.
Condizioni critiche possono essere raggiunte anche per vaporizzazione di zone catodiche (fig. 4.15): protuberanze catodiche danno luogo, in condizioni vicine a quelle cri­tiche, per effetto di campo, a correnti di prescarica ; queste correnti danno luogo al riscaldamento localizzato delle punte catodiche determinando la vaporizza­zione dei gas occlusi e l'esplosione della protuberanza.

            Estrazione di aggregati

            L'importanza del contributo alla scarica di nuclei carichi costituiti da aggregati parzialmen­te disomogenei (fig.4.16 a,b,c), già postulata in precedenza, è stata messa in particolare evidenza da Cranberg (1953) il quale assume che la condi­zione critica per la scarica sia raggiunta quando l'energia di impatto W per unità di superficie dei nuclei incidenti supera un valore K', dipendente dalla configurazione elet­trodica. Poiché W è data dal prodotto della tensione appli­cata V per la carica del nucleo, che a sua volta è propor­zionale al campo elettrico E nel punto origine, il crite­rio di Cranberg potrà essere scritto come
V E = K"
dove K" è pari al prodotto di K' per i coefficien­ti geome­trici del caso e il fattore m di intensi­ficazione locale del campo teorico E, fattore legato al tipo di rugosità e imperfezione dell'e­lettrodo. Nel caso di elettrodi piani e paralleli a distanza d ritroviamo quindi la dipendenza già nota della tensione di scarica dalla distanza interelettrodica
Vs = ( K"·d ).5
Un valore tipico di K" è circa 100 MV2/m; usando tale criterio, Cranberg valuta che il riscaldamen­to prodotto da un nucleo determina temperature ben al di sopra del punto di ebollizione degli elet­trodi.
Slivkov (1957) avanza l'ipotesi che particel­le cariche si distac­chino dagli elettrodi anche con campi relativamente modesti, che collidano ed aderiscano all'elettrodo opposto a tensioni più elevate, che si distacchino di nuovo a campi ancora più intensi: la condizione critica viene raggiunta quando l'energia cinetica  è sufficiente a vaporizzarle; solo queste particelle intervengo­no nel processo di scarica, e non il restante materiale costituente gli elettrodi.
La presenza dei suddetti nuclei ha avuto evidenza sperimentale nel 1960.

4.5 CRITERIO DI SCARICA

            E' difficile dedurre, dai dati sperimentali e dalle ipotesi avanzate, un criterio di scarica di concreta utilità per un ampio campo di distanze interelettrodiche (1 mm ‑ 1 m).
Un criterio empirico di progetto è stato proposto da Kilpatrick (1957) applicabile in un'ampio intervallo di valori di campo elettrico (90 kV/cm ‑ 80 MV/cm), di distanze interelettro­diche (fino a 100 mm), di tensioni (fino a 1.2 MV) e frequenza (fino a 3 GHz, con qualche riserva per sollecitazioni in continua), per elettrodi di qualsiasi natura, anche contami­nati. La condizione critica è espressa dalla seguente relazione
W·Ec²·exp( ‑ Ka·Ec) = Kb 
dove W (eV) è la massima energia possibile degli ioni incidenti sul catodo, Ec (V/cm) è il gradien­te al catodo, Ka e Kb sono costanti che nelle dimensioni assunte valgono Ka=1.7·105,Kb=1.8·1014.
Si deve notare che il criterio di Kilpatrick è un criterio di "tenuta"; una signifi­cativa rappresen­tazione grafica è mostrata in fig.4.17, ricordando che W/Ec rappresenta la distanza interelettrodica nel caso di campo uniforme.

            4.6 SPAZIATORI

            La presenza di isolatori distanziatori in un isolamento ad alto vuoto determina una consistente riduzione della tensione di scarica . La tensione di scarica dipende forte­mente  dal materiale costituente l'isolatore.
Numerosi accorgimenti in sede di montaggio degli isolatori sono realizzati al fine di miglio­rare le caratte­ristiche di tenuta: sagomature speciali agli attacchi, uso di vernici conduttrici al contatto isolatore elettrodo, etc.
Non esistono a tutt'oggi teorie significati­vamente assestate per l'analisi quantitativa dell'influenza dell'i­solatore sui meccanismi di scarica.

 

Fonte: http://www.elettrotecnica.unina.it/files/lupo/upload/Vacuum.doc

Sito web da visitare: http://www.elettrotecnica.unina.it

Autore del testo: indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Effetto termoionico

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Effetto termoionico

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Effetto termoionico