DNA struttura e funzioni

DNA struttura e funzioni

 

 

 

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DNA struttura e funzioni

DNA

Struttura tridimensionale del DNA

Per la decifrazione della molecola di Dna il dato più rilevante fu ottenuto mediante la cristallografia ai raggi X.
I biochimici sapevano che il DNA era un polimero di nucleotidi e che ogni nucleotide era una molecola formata da uno zucchero, il desossiribosio, un gruppo fosfato e una base azotata.
Le differenze tra i quattro nucleotidi del DNA riguardavano la natura chimica delle loro basi azotate: adenina e guanina (basi puriniche), citosina e timina (basi pirimidiniche).
Negli anni ‘50 si scoprì che per quasi tutti i tipi di DNA era valida una certa regola: la quantità di adenina era sempre uguale a quella di timina (A = T) e la quantità di citosina era uguale a quella di guanina (C = G); di conseguenza la quantità complessiva di basi puriniche (A+G) era sempre uguale a quella di basi pirimidiniche (T+C).

Grazie all'uso della tecnica di costruzione di modelli si giunse alla conclusione che la molecola di Dna avesse una forma a elica, e che nella stessa dovessero esistere due catene polinucleotidiche. Inoltre le due catene del DNA dovevano avere direzione opposta, e cioè dovevano essere antiparallele.

Per quanto riguarda la struttura molecolare del DNA bisogna tener presente quattro punti:

  • È un'elica a doppio filamento.
  • Ha diametro uniforme.
  • È destrorsa: curva verso destra.
  • È antiparallela: ossia i due filamenti corrono in direzione opposta.

 

Le due catene polinucleotidiche sono tenute assieme da legami a idrogeno che si formano tra le coppie di basi specificamente appaiate:

    • La adenina si appaia con la timina (A con T) formando due legami a idrogeno.
    • La guanina si appaia con la citosina (G con C) mediante tre legami a idrogeno.

Ogni coppia di basi consiste quindi di una purina (A o G) e una pirimidina (C o T).
Questo comportamento viene definito appaiamento complementare delle basi.

Le coppie delle basi hanno uguale lunghezza e trovano posto tra i due filamenti dell'elica (gli "scheletri" zucchero-fosfato), e per questo il diametro della molecola risulta uniforme.

Il filamenti di Dna sono antiparalleli: nello scheletro zucchero-fosfato della molecola ciascun gruppo fosfato collega l’atomo di carbonio 3’ di una unità di desossiribosio con l’atomo di carbonio 5’ dell'unità successiva.

 

Funzioni del DNA

Il materiale genetico svolge quattro importanti funzioni:

  • Nel materiale genetico è depositata l'informazione genetica di un organismo. Il DNA può codificare e contenere una quantità enorme di informazione determinando le differenze tra specie e individui.
  • Il materiale genetico può andare incontro a mutazioni o cambiamenti permanenti dell'informazione codificata.
  • Il materiale genetico si replica in modo preciso nel ciclo di divisione cellulare. La replicazione può essere realizzata grazie all'appaiamento complementare delle basi.
  • Il materiale genetico è espresso come fenotipo: la sequenza dei nucleotidi del DNA viene copiata nell’RNA che, a sua volta, viene convertito in una specifica sequenza lineare di aminoacidi, cioè in una proteina. Le forme ripiegate delle proteine costituiscono gran parte del fenotipo di un organismo.

 

 

Replicazione del DNA

Kornberg dimostrò che il Dna può replicarsi in provetta in presenza di alcune sostanze, tra cui l'enzima DNA polimerasi, nonché il Dna che serve da stampoper guidare il preciso posizionamento dei nucleotidi.

Si tratta di una replicazione semiconservativa, in cui ogni filamento parentale serve da stampo per la sintesi di un nuovo filamento e le due nuove doppie eliche sono costituite ognuna da un filamento vecchio e un filamento nuovo.
Per distinguere i filamenti neosintetizzati da quelli vecchi i ricercatori utilizzarono il metodo della marcatura per densità.

La replicazione semiconservativa richiede la partecipazione di numerosi enzimi e altre proteine.

 

Si verifica in due tappe:

  • Il DNA viene svolto in modo da separare i due filamenti stampo, rendendo ognuno disponibile all'appaiamento delle basi.
  • Nuovi nucleotidi vengono uniti per mezzo di legami covalenti a ognuno dei nuovi filamenti nascenti con una sequenza determinata dall’appaiamento delle basi complementari a quelle presenti su ogni filamento stampo.

 

È necessario osservare che: i nucleotidi vengono aggiunti sempre alla medesima estremità 3’ della catena polinucleotidica in via di sintesi (estremità a cui il filamento di DNA presenta un gruppo ossidrilico (-OH) libero legato all'atomo di carbonio 3’ del desossiribosio terminale. Quando un nuovo nucleotide viene aggiunto al Dna, esso può legarsi  soltanto all'estremità 3’.

Il DNA viene replicato attraverso l'interazione del DNA stampo con un grande complesso di proteine detto complesso di replicazione.
Tutti i cromosomi possiedono almeno una sequenza di basi detta origine della replicazione, a cui si lega inizialmente il complesso della replicazione.
Il DNA si replica in entrambe le direzioni a partire dall'origine della replicazione formando due forcelle di replicazione.
Entrambi i filamenti (DNA parentale) agiscono contemporaneamente da stampo e la formazione di neofilamenti è guidata dall'appaiamento complementare delle basi.

Oggi si sa che la replicazione avviene in questo modo: il Dna si muove scorrendo attraverso il complesso di replicazione come singoli filamenti ed emergendone come doppia elica (i complessi di replicazione contengono proteine con ruoli differenti nella replicazione del DNA).

 

Tappe della replicazione:

Il primo evento che si verifica all'origine della replicazione è lo svolgimento locale (denaturazione) del DNA. Un enzima particolare (DNA elicasi) catalizza lo svolgimento della doppia elica, mentre alcune proteine si legano ai filamenti svolti impedendo loro di  riassociarsi per riformare la doppia elica. Ciò rende i due filamenti disponibili per l'appaiamento.
Quando il DNA si sposta attraverso il complesso di replicazione, le forcelle di replicazione iniziano a crescere attorno all'anello del DNA.

Nei cromosomi umani esistono centinaia di origini della replicazione. Queste possono essere legate contemporaneamente da complessi di replicazione e replicate simultaneamente.

Le DNA polimerasi possono catalizzare l'allungamento di un filamento polinucleotidico, legando covalentemente nuovi nucleotidi all'estremità di un filamento preesistente, ma non possono iniziare la sintesi di un filamento dal nulla.
È quindi necessaria la presenza di un filamento "di partenza "di DNA o di RNA, detto iniziatore (primer). Nella replicazione del DNA l'iniziatore è una breve molecola di RNA a singolo filamento, che viene sintetizzato unendo un nucleotide alla volta per opera di un enzima detto primasi.
La DNA polimerasi aggiunge nucleotidi all'estremità 3’ dell'iniziatore fino a completare la replicazione di quella sezione di DNA.
A questo punto il filamento di RNA viene degradato e sostituito con un tratto corrispondente di DNA.
Una volta completata la replicazione, ogni nuovo filamento è costituito soltanto da DNA.

Nell'uomo si trovano quattordici DNA polimerasi, ma solo una di queste catalizza la maggior parte degli eventi della replicazione: la DNA polimerasi alfa.
Dei due filamenti in via di sintesi, uno di questi, il filamento anticipato cresce in modo continuo in direzione della forcella che si apre. L'altro filamento, quello ritardato è diretto nella direzione opposta allo svolgimento del DNA e cresce sotto forma di brevi frammenti (di Okazaki) separati l’uno dall'altro. Ciò significa che la sua estremità ( 3’) si allontana sempre più dalla forcella così che si viene a formare un'interruzione nel filamento in via di sintesi.
Per la sintesi del filamento anticipato è sufficiente un singolo iniziatore, mentre ogni frammento di Okazaki richiede il proprio iniziatore (RNA).
Quando un frammento raggiunge l'iniziatore del frammento precedente, la DNA polimerasi I elimina il vecchio iniziatore sostituendolo con DNA, lasciando una piccola interruzione tra i frammenti. A questo punto un altro enzima, la DNA ligasi, unisce i due frammenti e completa il filamento ritardato.

 

TELOMERI

La DNA polimerasi non è in grado di replicare il cromosoma fino alla sua terminazione; ne consegue che il nuovo cromosoma formato dopo la replicazione del DNA possiede una piccola frazione di DNA a singolo filamento a ogni estremità. Questa situazione attiva meccanismi che tagliano la regione a singolo filamento insieme a una porzione dell’estremità a doppia elica. Quindi, a ogni divisione cellulare, il cromosoma diviene un po' più corto.

In molti eucarioti alle estremità dei cromosomi esistono sequenze ripetute chiamate telomeri. Queste ripetizioni legano speciali proteine che mantengono la stabilità delle estremità cromosomiche.
Dopo ogni ciclo di replicazione del DNA e di divisione cellulare i cromosomi possono perdere numerose coppie di basi di DNA telomerico.
Alcuni tipi di cellule però sono in grado di mantenere intatto il loro DNA telomerico, grazie ad un enzima chiamato telomerasi (si lega all'estremità 3’ estendendo il filamento ritardato di DNA), che catalizza l’aggiunta delle sequenze telomeriche perdute. Questo enzima contiene una sequenza di RNA che agisce da stampo per la sequenza ripetuta dei telomeri.
Viene così ripristinata la lunghezza originaria del DNA cromosomico.

 

Correzione e riparazione del DNA

La trasmissione dell'informazione genetica è alla base del funzionamento di una cellula. Tuttavia la replicazione del DNA non è perfettamente precisa e il DNA di cellule non in divisione è soggetto a danni da parte di agenti presenti nell'ambiente.
Gli elementi alla base della conservazione della vita sono i meccanismi di riparazione del DNA.
Le DNA polimerasi inizialmente compiono un numero significativo di errori (nella fase di costruzione dei filamenti polinucleotidici).
Le nostre cellule hanno a disposizione (almeno) tre meccanismi di riparazione del DNA:

  • Un meccanismo di correzione di bozze. Dopo avere inserito un nuovo nucleotide in una catena polinucleotidica in via di sintesi, la DNA polimerasi effettua un'operazione di correzione di bozze. In caso di errato appaiamento di basi, la DNA polimerasi allontana il nucleotide errato e lo sostituisce con quello corretto.
  • Un meccanismo di riparazione dei disappaiamenti che provvede alla scansione del DNA neosintetizzato correggendo gli appaiamenti sbagliati (tra basi).
  • Un meccanismo di riparazione per escissione, in cui basi anomale formatesi in conseguenza di danni chimici vengono allontanate e sostituite con le basi corrette grazie ad enzimi che "esaminano" costantemente il DNA della cellula.

 

I geni di per sé non possono produrre direttamente un effetto fenotipico. Le principali differenze fenotipiche sono infatti il risultato di differenze presenti in specifiche proteine.
È stato dimostrato che quando un gene modificato produce un fenotipo alterato, tale fenotipo è sempre associato alla presenza di un enzima modificato.
L'espressione di un gene in un determinato fenotipo può realizzarsi attraverso l'azione di un enzima.
Molti enzimi sono costituiti da più catene polipeptidiche o subunità (struttura quaternaria), in questo caso ogni catena è codificata dal proprio specifico gene. La funzione di un gene è di controllare la produzione di una singola specifica catena polipeptidica.
Occorre però stabilire come viene utilizzata l'informazione codificata nel DNA per specificare un particolare polipeptide.

 

DNA e RNA

L'espressione di un gene per formare una catena polipeptidica avviene in due tappe:

  • La trascrizione trascrive l'informazione contenuta in una sequenza di DNA (il gene) nell'informazione presente in una corrispondente sequenza di RNA.
  • La traduzione converte la sequenza di RNA nella sequenza amminoacidica della catena polipeptidica corrispondente.

 

 

L’RNA

L’RNA (acido ribonucleico) è un polinucleotide che si differenzia dal DNA per tre aspetti:

  • L’RNA consiste in un singolo filamento polinucleotidico.
  • Lo zucchero presente nell’ RNA è il ribosio (non il desossiribosio).
  • Nell’RNA non è presente la timina bensì l’uracile (U) (rispetto alla timina manca del gruppo metilico).

 

L’RNA può appaiare le sue basi con quelle del DNA a singolo filamento; tale appaiamento segue le regole di complementarità, con la differenza che la adenina si appaia con l’uracile, anziché con la timina.
L'informazione scorre dal DNA all’RNA alle proteine.

DNA                          RNA                              proteine
Il DNA è  quindi funzionalmente collegato alle proteine.

Dogma centrale (della biologia molecolare): questo afferma che il DNA contiene in codice le istruzioni per la produzione dell’RNA che, a sua volta, codifica la produzione della corrispondente proteina.
Una volta che l'informazione è passata in una proteina, essa non può più tornare indietro.
Al dogma centrale fanno eccezioni alcuni virus.

Occorre stabilire quindi, da un lato, in che modo l'informazione genetica passa dal nucleo al citoplasma (poiché è nel citoplasma che avviene la biosintesi proteica), e dall'altro, qual è la relazione tra una specifica sequenza polinucleotidica (nel DNA) e la specifica sequenza amminoacidica (nella proteina corrispondente).

 

TRASCRIZIONE

Affinché l'informazione genetica riesca a passare dal nucleo al citoplasma è necessario che un tipo specifico di molecola di RNA venga sintetizzata come copia complementare del filamento di DNA di un particolare gene.
Il processo attraverso cui viene prodotto RNA è chiamato trascrizione.

Questo RNA messaggero, o mRNA, si sposta dal nucleo al citoplasma dove serve come stampo per la sintesi delle proteine.

La sintesi dell’ RNA è diretta dal DNA. La trascrizione, ossia la produzione di uno specifico RNA da una specifica sequenza di DNA, richiede la partecipazione di diversi componenti:
Anzitutto un DNA che agisca da stampo per l’appaiamento complementare delle basi; gli appropriati ribonucleosidi trifosfati; l’enzima RNA polimerasi.

In ogni gene soltanto uno dei due filamenti di DNA (il filamento stampo) viene trascritto; l'altro filamento (non stampo o codificante) non viene trascritto. Per geni differenti nella medesima molecola di Dna possono essere trascritti filamenti diversi.
Nella trascrizione il DNA si svolge solo parzialmente, così da servire da stampo per la sintesi dell’RNA. Una volta formato, il trascritto di RNA si stacca dallo stampo permettendo al filamento di DNA di riavvolgersi nella doppia elica.

Per l'inizio della trascrizione è necessaria la presenza di un promotore, una specifica sequenza di DNA a cui l’RNA polimerasi si lega saldamente. Esiste almeno un promotore per ogni gene.
Ogni promotore ha un sito di inizio.
I promotori dicono all’RNA: dove iniziare la trascrizione; quale filamento di DNA leggere; la direzione da prendere dal sito di inizio.
L’ RNA polimerasi si muove in direzione 3’          5’ lungo il filamento stampo.

Appena legata al promotore, l’RNA polimerasi inizia il processo di allungamento (svolge il DNA e legge il filamento stampo nella direzione suddetta).
Anche la RNA polimerasi aggiunge nuovi nucleotidi all'estremità 3’ del filamento in via di sintesi (non richiede però la presenza di un innesco); il nuovo RNA si accresce a partire dalla prima base all'estremità 5’ in direzione 3’.
Il trascritto di RNA è quindi antiparallelo rispetto al filamento di DNA stampo.
Le RNA polimerasi non controllano né correggono il prodotto della propria attività, ma gli errori di trascrizione, in questo caso, non sono potenzialmente pericolosi.

 

Terminazione
Alcune particolari sequenze di basi del DNA codificano l'arresto della trascrizione. I meccanismi della terminazione possono essere diversi; in certi geni il trascritto neoformato semplicemente si stacca dal DNA stampo e dall’RNA polimerasi; per altri invece, questo distacco richiede l'intervento di una specifica proteina.
Negli eucarioti esiste una separazione fisica tra trascrizione (endonucleare) e traduzione (citoplasmatica); inoltre il primo prodotto della trascrizione è un pre-mRNA più lungo della molecola finale, biologicamente attiva, di mRNA.

 

Il codice genetico

I processi che generano i prodotti proteici funzionali richiedono l'esistenza di un codice genetico che ponga in relazione i geni (DNA) con l’mRNA e quest'ultimo con gli aminoacidi delle proteine. Il codice genetico quindi specifica quali aminoacidi dovranno essere utilizzati per costruire una data proteina.
Ogni sequenza di tre basi nucleotidiche lungo il filamento di mRNA specifica un particolare aminoacido.
Ogni sequenza di tre lettere è detta codone ed è complementare (e antiparallelo) a una tripletta corrispondente presente nella molecola di Dna (su cui si trovano i codoni originali) da cui tale mRNA è stato trascritto.
Il codice genetico è quindi ciò che pone in relazione i codoni con i loro specifici aminoacidi.
Il numero di codoni differenti è molto maggiore di quello dei diversi aminoacidi delle proteine. Le diverse combinazioni possibili delle basi dei singoli nucleotidi forniscono 64 possibili codoni di tre lettere; questi specificano solo 20 diversi aminoacidi. Per questo si dice che il codice genetico è ridondante, il che significa che uno stesso aminoacido è codificato da più di un codone. Il codice genetico non è invece ambiguo (ossia non si può dire che un singolo codone specifica due o più aminoacidi differenti).
Il codone AUG, che codifica l'aminoacido metionina è il cosiddetto codone di inizio.
Tre altri codoni (UAA, UAG e UGA) sono i codoni di stop, ossia i segnali di terminazione della traduzione. Quando il complesso molecolare della traduzione raggiunge uno di questi codoni, la traduzione si arresta e la catena polipeptidica neosintetizzata si distacca dal complesso di tradizione.
Il codice genetico inoltre è universale in quanto è valido per tutte le specie viventi sul pianeta.

 

TRADUZIONE

Affinché sia possibile la traduzione dell’mRNA deve esistere una molecola adattatrice che leghi in una regione uno specifico aminoacido e in un'altra regione riconosca una determinata sequenza nucleotidica.
Queste molecole adattatrici sono dette RNA tranfert, o di tRNA.
I tRNA traducono il linguaggio del DNA in quello delle proteine. I tRNA adattatori si allineano sull’mRNA così da posizionare gli aminoacidi nella corretta sequenza della catena polipeptidica in via di sintesi. Questo processo viene chiamato traduzione.

Affinché la proteina sintetizzata sia effettivamente quella specificata dall’mRNA sono necessari due eventi fondamentali:

  • il tRNA deve leggere correttamente l’mRNA.
  • Il tRNA deve trasportare l'aminoacido corrispondente alla tripletta letta sull’mRNA.

 

Un codone dell’mRNA e il corrispondente aminoacido della proteina codificata sono collegati attraverso un adattatore, ossia una molecola specifica di tRNA legata ad un aminoacido. Per ognuno dei 20 aminoacidi esiste almeno uno specifico tipo (specie) di molecola di tRNA.
La molecola di tRNA ha tre funzioni: 1) trasporta (è "caricata" con) una aminoacido; 2) si associa con molecole di mRNA; 3) interagisce con i ribosomi.

La conformazione delle molecole di tRNA permette loro di combinarsi con i siti di legame presenti sui ribosomi.
All'estremità 3’ di ogni molecola di tRNA è presente il sito per il legame covalente dell’aminoacido.
Nella parte centrale della molecola è presente un gruppo di tre basi chiamato anticodone che costituisce il punto di contatto con (il codone del)l’mRNA mediante appaiamento complementare delle basi (attraverso legami e idrogeno). Ciascun tipo di tRNA presenta uno specifico anticodone che gli permette di associarsi con il codone che codifica l'aminoacido portato da questo tRNA (codone e anticodone sono tra loro antiparalleli).
Tuttavia la cellula non specifica 61 diversi tipi di tRNA ognuno con un differente anticodone (quanti sono cioè i codoni che specificano gli aminoacidi, esclusi quelli di inizio e quelli di terminazione), ma soltanto circa 40 tipi di tRNA, poiché la specificità della base che si trova all'estremità 3’ di un codone (e all'estremità 5’ di un anticodone) non è sempre strettamente osservata.
Questo fenomeno è chiamato oscillazione.
L'oscillazione non conferisce comunque ambiguità al codice genetico.

Il caricamento di una molecola di tRNA con il corretto aminoacido è favorito da una famiglia di enzimi attivanti, noti anche come amminoacil-tRNA sintetasi.
Ogni enzima attivante è specifico per un determinato aminoacido e per il corrispondente tRNA: l'enzima contiene infatti un sito attivo che riconosce tre molecole più piccole: un dato aminoacido, l’ATP, e uno specifico tRNA.

  • L'enzima attiva l'aminoacido catalizzando una reazione con l'ATP per formare la molecola dell’amminoacil-AMP (e un ione pirofosfato).
  • La specificità dell'enzima fa sì che il corretto aminoacido reagisca con l’appropriato tRNA.
  • Il tRNA caricato porta il corretto aminoacido ad unirsi al prodotto polipeptidico della traduzione in via di sintesi.

In altre parole l'enzima attivante catalizza l'esatta associazione tra un aminoacido e il proprio tRNA, ossia rappresenta il legame essenziale tra il "linguaggio" degli acidi nucleici e quello delle proteine.

 

I RIBOSOMI
I ribosomi sono indispensabili per la traduzione dell'informazione genetica contenuta negli mRNA in catene polipeptidiche.
Ogni ribosoma è costituito da due subunità: una maggiore e una minore. Quando non sono attivamente impegnati nella traduzione di mRNA le due subunità sono separate.
Ogni ribosoma può combinarsi con qualsiasi molecola di mRNA e con tutti i tRNA, e quindi può essere utilizzato per sintetizzare prodotti polipeptidici diversi.
L’mRNA specifica la sequenza della corrispondente catena polipeptidica da sintetizzare.
La struttura dei ribosomi consente di legare l’mRNA e i tRNA caricati nelle corrette posizioni, permettendo il montaggio della catena polipeptidica in via di sintesi.

La subunità maggiore della ribosoma contiene quattro siti per il legame dei tRNA. Una molecola di tRNA caricato passa attraverso quei siti in modo ordinato:

Il sito T (trasferimento) è il primo, in cui il tRNA, accompagnato da una speciale proteina detta fattore T, o di trasferimento, si lega sul ribosoma.

Il sito A (aminoacido) è quello in cui l’anticodone del tRNA si lega al codone dell’mRNA portando il corretto aminoacido nella posizione idonea a ottenerne il legame alla catena polipeptidica in via di sintesi.

Il sito P (polipeptide) è quello in cui il tRNA aggiunge alla catena polipeptidica in via di sintesi l'aminoacido caricato.

Il sito E (exit) è quello in cui viene a trovarsi il tRNA dopo aver ceduto l'aminoacido (prima di abbandonare il ribosoma e tornare nel citosol per caricarsi di un altro aminoacido).

Le interazioni codone-anticodone e la formazione del legame peptidico si verificano nei siti A e P. Il ribosoma fa in modo che le interazioni mRNA-tRNA siano precise, ossia che una molecola di tRNA caricato che presenta il corretto anticodone leghi l'appropriato codone sull’mRNA; quando ciò si verifica, tra le coppie di basi si formano legami e idrogeno. Se fra le tre coppie di basi non si formano legami a idrogeno significa che il tRNA non deve essere quello giusto per quel codone dell’mRNA, così che tale tRNA viene espulso dal ribosoma.

 

La traduzione può essere quindi intesa come la costruzione di una proteina diretta dall’RNA.
La traduzione si verifica in tre stadi: inizio, allungamento e termine.

La traduzione dell’mRNA inizia con la formazione di un complesso di inizio, costituito dalla subunità ribosomica minore e da una molecola di tRNA caricata che porta quello che sarà il primo aminoacido della catena polipeptidica, entrambi legati all’mRNA.
L’anticodone del tRNA caricato con la metionina si lega, per appaiamento complementare delle basi, al codone di inizio (AUG) per formare il complesso di inizio. Di conseguenza il primo aminoacido della catena è sempre la metionina .
Dopo che il tRNA caricato si è legato all’mRNA, la subunità maggiore del ribosoma si unisce al complesso (il tRNA si trova ora nel sito P del ribosoma mentre il sito A si trova allineato col secondo codone dell’mRNA).
Tutte queste componenti (mRNA, subunità ribosomiche, tRNA caricato) sono tenuti insieme da un gruppo di proteine chiamate fattori di inizio.

A questo punto un tRNA caricato il cui anticodone è complementare al secondo codone dell'mRNA entra nel sito A della subunità ribosomica maggiore; questa catalizza due  reazioni:

  • Rompe il legame tra il tRNA nel sito P e l’aminoacido ad esso legato.
  • Catalizza la formazione di un legame peptidico fra questo aminoacido e quello legato al tRNA presente nel sito A.

 

La subunità ribosomica maggiore possiede infatti attività peptidil transferasica (la peptidil transferasi consente il legame del secondo aminoacido alla metionina). In questo modo la metionina (presente nel sito P) viene ad essere l'aminoacido N-terminale della proteina in via di sintesi; il secondo aminoacido si trova legato alla metionina, ma rimane comunque unito al proprio tRNA (attraverso il gruppo carbossilico) nel sito A.
La riuscita di questo processo si deve in particolare all’RNA ribosomiale, o rRNA
La funzione dell'rRNA è fornire un meccanismo per la decodifica dell'mRNA in amminoacidi (al centro della subunità minore del ribosoma) ed interagire con il tRNA durante la sintesi proteica, provvedendo all'attività della peptidil transferasi, che avviene nella subunità maggiore. L'esattezza della traduzione è dovuta al lavoro di entrambe le subunità.

Dopo la consegna del primo aminoacido da parte del primo tRNA, questo si dissocia dal complesso tornando nel citosol (dove verrà caricato nuovamente con la metionina). Il secondo tRNA, legato ora a un dipeptide, si sposta nel sito P del ribosoma quando il ribosoma stesso si sposta di un codone sull’mRNA in direzione
5’         3’.
Il processo di allungamento continua e la catena polipeptidica cresce.

 

Questo ciclo di allungamento si arresta, e la traduzione di conseguenza termina, quando il sito A scorre su un codone di stop (UAA, UAG o UGA).
Questi codoni non specificano amminoacidi né legano alcun tRNA; essi legano una proteina, il fattore di rilascio, che idrolizza il legame tra il polipeptide e il tRNA nel sito P.
Quindi, quando nel sito A viene ad essere presente un segnale di stop sull’mRNA, la proteina neosintetizzata si separa dal ribosoma; la sua estremità carbossilica corrisponde all'aminoacido che si è legato per ultimo alla catena polipeptidica (l'estremità amminica corrisponde invece alla metionina).
Nella sequenza amminoacidica del polipeptide neosintetizzato è contenuta l'informazione che ne specifica la conformazione e la definitiva destinazione nella cellula.

Una singola molecola di mRNA può essere tradotta contemporaneamente da più ribosomi, producendo numerose catene polipeptidiche simultaneamente. Il complesso formato da un filamento di mRNA unito ai ribosomi che lo traducono e alle molecole polipeptidiche in via di sintesi viene detto polisoma.

 

EVENTI POST-TRADUZIONALI

Una proteina nella sua forma biologicamente attiva non è necessariamente la stessa catena polipeptidica rilasciata dal ribosoma dopo la sintesi.
Quando la catena polipeptidica emerge dal ribosoma, essa si ripiega assumendo progressivamente la corretta forma tridimensionale. L'effetto ultimo di questo processo è che la proteina può interagire con altre molecole nella cellula (enzimi o altri polipeptidi).

La sintesi di tutte le proteine inizia sui ribosomi liberi nel citoplasma; sono però possibili due diverse ipotesi:

  • Una volta finita la traduzione la proteina può essere liberata nel citoplasma.
  • La traduzione può essere interrotta e la sequenza amminoacidica può migrare nel reticolo endoplasmatico (RE), per terminare la sintesi.

 

Nel primo caso le catene polipeptidiche ripiegate presentano una breve sequenza amminoacidica che fa in modo di dirigere tali catene verso uno specifico organello.
Queste sequenze segnale possiedono una conformazione che permette loro di legarsi a specifiche proteine recettore denominate proteine di attracco, presenti sulla membrana esterna dell'organello. In questo caso il recettore forma un canale nella membrana consentendo alla proteina di entrare.

Nel secondo caso la catena polipeptidica può essere trattenuta nella membrana stessa dell’RE, oppure entrare nello spazio interno (il lume) di questo. In entrambi i casi un enzima elimina la sequenza segnale dalla catena polipeptidica. La sintesi giunge quindi a conclusione.
Per una ulteriore distribuzione della proteina sono necessari altri segnali (la sequenza segnale che aveva indirizzato la proteina nell’RE è stata infatti rimossa); i segnali possono essere di due tipi: 1) alcune sequenze di amminoacidi permettono alla proteina di essere trattenuta nell’RE; 2) altri sono zuccheri aggiunti alla proteina nell'apparato di Golgi, dove è stata trasferita contenuta in vescicole provenienti dall’RE (glicoproteine). A seconda del tipo di zuccheri aggiunti la destinazione finale delle glicoproteine può essere la membrana citoplasmatica oppure un lisosoma.

Le proteine prive di ulteriori segnali passano dall’RE attraverso l'apparato di Golgi e vengono secrete dalla cellula.

MUTAZIONI

La precisione dell’appaiamento complementare delle basi risulta fondamentale nella replicazione, trascrizione e traduzione. Raramente infatti, in questi processi si verificano degli errori a carico del DNA, particolarmente gravi in quanto sono gli unici ad essere ereditati.
Le mutazioni sono modificazioni ereditabili dell'informazione genetica.

Negli organismi unicellulari qualsiasi mutazione viene trasmessa alle cellule figlie al momento della divisione cellulare. Negli organismi pluricellulari invece esistono due tipi di mutazioni in termini di ereditarietà:

  • Le mutazioni somatiche si verificano nelle cellule somatiche e sono trasmesse alle cellule figlie dopo la mitosi e quindi alle successive generazioni cellulari, ma non sono trasmesse alla progenie prodotta sessualmente.

 

  • Le mutazioni germinali si verificano nelle cellule della linea germinale, ossia l'insieme delle cellule specializzate per la produzione dei gameti. Un gamete contenente una specifica mutazione trasmetterà la stessa al nuovo organismo prodotto con la fecondazione.

Piccoli cambiamenti a carico del materiale genetico possono produrre cambiamenti fenotipici facilmente osservabili.
Altre mutazioni invece non sono facilmente osservabili.
I fenotipi di certe mutazioni sono evidenziabili solo in particolari condizioni restrittive, ma non lo sono in condizioni permissive. Tali fenotipi sono chiamati mutanti condizionali; molti di essi sono sensibili alla temperatura, essendo capaci di crescere normalmente a una temperatura permissiva (es. 30 °C), ma incapaci di crescere a una temperatura restrittiva (es. 37 °C).

Le mutazioni sono quindi alterazioni della sequenza nucleotidica del DNA.
A livello molecolare sono divisi in due categorie:

  • Mutazioni puntiformi,che riguardano singole coppie di basi, e quindi limitate a singoli geni. Queste consistono nell’aggiunta o nella sottrazione di una base nucleotidica, oppure nella sostituzione di una base con un'altra in una molecola di Dna e, quindi, nella corrispondente mRNA. Una allele (in genere dominante) diventa una allele diverso (recessivo) a causa di una alterazione (guadagno/perdita o sostituzione) di un singolo nucleotide (che, dopo la replicazione del DNA, diventa una coppia di basi mutata).

 

Mutazioni silenti.
Alcune mutazioni puntiformi non causano cambiamenti della sequenza amminoacidica del prodotto codificato dall’mRNA quando questo viene tradotto; per questo vengono definite mutazioni silenti. Questo tipo di mutazioni spiega la diversità genetica non espressa in termini di differenze fenotipiche.

 

Mutazioni di senso.
Alcune mutazioni per sostituzione di basi possono modificare il messaggio genetico così che, nella proteina codificata, un aminoacido viene a sostituirne un altro. Queste vengono definite mutazioni di senso. Una mutazione di senso talvolta può causare la sintesi di una proteina non funzionante; tuttavia spesso l'effetto è solo quello di ridurre l'efficienza funzionale della proteina.

 

Mutazioni non senso.
Si tratta anche in questo caso di mutazioni consistenti nella sostituzione di basi, ma con effetti più distruttivi rispetto alle precedenti.
Nelle mutazioni non senso infatti la sostituzione della base causa la comparsa, nel corrispondente mRNA, di un codone di stop della traduzione quale UAG.
Il risultato di questa mutazione è un prodotto proteico più breve, di solito privo di attività biologica, perché la traduzione non procede oltre il punto in cui si è verificata la mutazione.

 

In altre mutazioni puntiformi si verifica l'inserimento del DNA, o la rimozione da questo, di singole coppie di basi (non quindi la sostituzione di basi). Queste vengono definite mutazioni per spostamento della griglia di lettura, poiché interferiscono con la decodificazione del messaggio genetico ponendolo fuori registro. Quasi sempre questo tipo di mutazioni causa la sintesi di una proteina priva di attività biologica.

 

  • Mutazioni cromosomiche:sono mutazioni più estese. Consistono nel cambiamento della posizione odella direzione di un segmento di Dna non accompagnata da perdita di informazione genetica, oppure nella perdita irreversibile di un frammento di DNA. In questo caso intere molecole di DNA possono andare incontro a rottura e riunione con conseguenti distruzioni grossolane della sequenza dell'informazione genetica. Esistono quattro tipi di mutazioni cromosomiche: delezioni, duplicazioni, inversioni, traslocazioni.

 

Le delezioni consistono nella perdita di parte del materiale genetico; esse sono letali, a meno che non si verifichino a carico di geni non indispensabili, oppure non siano nascoste dalla presenza, nella medesima cellula, di copie normali dei geni interessati.

Le duplicazioni possono verificarsi contemporaneamente alle delezioni. Una duplicazione può verificarsi quando cromosomi omologhi si rompono in punti diversi e quindi si riuniscono ognuno con il partner dell'altro. Una delle due molecole prodotte mancherà di un segmento di Dna (presenterà cioè una delezione) mentre l'altra conterrà in successione due copie dell'informazione genetica mancante nella prima (una duplicazione).

Anche le inversioni sono il risultato della rottura e riunione di filamenti di Dna. Un segmento di quest'ultimo può essere eliminato e reinserito nel medesimo punto del cromosoma in cui si trovava in origine, ma con orientamento e quindi direzione invertiti. In questo caso, se il segmento di Dna interessato dalla mutazione codificava una proteina, a seguito dell'inversione questa sarà priva di funzione biologica.

Le traslocazioni si producono quando un segmento di Dna si rompe, spostandosi dalla posizione normalmente occupata nel cromosoma per reinserirsi in un cromosoma diverso (cromosomi non omologhi). Le traslocazioni possono essere reciproche oppure non reciproche.

In base alle cause che le producono, le mutazioni possono essere distinte in due categorie: spontanee o indotte.

Le mutazioni spontanee sono cambiamenti permanenti del genoma che si verificano senza alcuna influenza dall'esterno.
Queste possono verificarsi attraverso più meccanismi.

  • Le quattro basi nucleotidiche del DNA hanno una certa instabilità chimica; esse possono esistere in due forme differenti (tautomeri) di cui una comune e l'altra rara.

Quando una base passa temporaneamente nella sua forma tautomerica rara, essa può appaiarsi con una base differente (ad esempio se C, che normalmente si appaia con G, si trova nella forma tautomerica al momento della replicazione del DNA, essa si appaia con A; ne consegue una mutazione puntiforme G con A).

  • Le basi possono cambiare per effetto di reazioni chimiche.

 

  • La DNA polimerasi commette errori nel processo di replicazione. Alcuni di questi errori possono sfuggire ai meccanismi di riparazione del DNA.
  • La meiosi non è perfetta. Può infatti verificarsi una non-disgiunzione che causa la comparsa, nella cellula, di un cromosoma soprannumerario o la mancanza di un cromosoma (aneuploidia).

 

Le mutazioni vengono definite indotte quando un agente esterno alla cellula (un mutageno) causa un cambiamento permanente del DNA.
Anche queste possono verificarsi attraverso diversi meccanismi.

  • Certe sostanze possono modificare covalentemente le basi nucleotidiche.

 

  • Certe sostanze aggiungono gruppi chimici alle basi.
  • Le radiazioni danneggiano il materiale genetico in due modi: le radiazioni ionizzanti (raggi X) producono specie chimiche altamente reattive dette radicali liberi, che possono modificare chimicamente le basi del DNA trasformandole in forme irriconoscibili (per la DNA polimerasi), oppure rompere lo "scheletro" zucchero-fosfato, causando anomalie cromosomiche.

La radiazione ultravioletta solare invece viene assorbita dalla timina del DNA causandone l'unione covalente con le basi di nucleotidi adiacenti; anche questa modificazione interferisce gravemente con la replicazione del DNA.


LA DIVISIONE CELLULARE

 

Gli organismi unicellulari ricorrono alla divisione cellulare soprattutto per riprodursi. Negli organismi pluricellulari invece la divisione cellulare svolge un ruolo importante nell'accrescimento e nella rigenerazione dei tessuti.
Affinché la cellula possa dividersi devono verificarsi quattro eventi:

  • Vi deve essere un segnale riproduttivo: questo può provenire dall'ambiente interno della cellula oppure dall'esterno e dà inizio alla riproduzione.

 

  • Il DNA e altre componenti cellulari essenziali devono essere duplicati, cosicché ciascuna delle due nuove cellule possa risultare identica all'altra e capace di tutte le funzioni cellulari.
  • La cellula deve distribuire il DNA duplicato a ognuna delle due cellule figlie. Questo processo è chiamato segregazione.

 

  • Nuovo materiale deve essere aggiunto alla membrana cellulare per poter separare le due cellule figlie durante un processo noto come citodieresi.

Questi eventi si differenziano per alcuni aspetti nei procarioti e negli eucarioti.

 

I procarioti
Nei procarioti, la divisione cellulare equivale alla riproduzione dell'organismo unicellulare. La cellula aumenta di dimensioni, replica (duplica) il proprio DNA e successivamente si divide in due nuove cellule. L'intero processo è chiamato scissione.
In molti procarioti il tasso riproduttivo dipende dalle condizioni dell'ambiente circostante; fattori estrinseci, come le risorse trofiche presenti nell'ambiente controllano l'inizio della divisione cellulare.

Replicazione del DNA
Un cromosoma è una molecola di Dna contenente informazioni genetiche. Quando una cellula si divide tutto il DNA dei suoi cromosomi deve essersi già duplicato (ogni cromosoma è formato da due cromatidi) e ciascuna delle due copie che ne risultano (cromatidi) deve raggiungere una delle due cellule figlie.
La maggior parte dei procarioti possiede un unico cromosoma, cioè un'unica lunga molecola di Dna associata a proteine. Il cromosoma dei procarioti è provvisto di due regioni importanti ai fini della riproduzione: 1) il sito di inizio della replicazione del cromosoma circolare, indicato come ori; 2) il sito di arresto della replicazione, indicato come ter.
Durante la replicazione del DNA dei procarioti la cellula si accresce e utilizza un meccanismo capace di distribuire ordinatamente il DNA alle due cellule figlie neoformate.

Segregazione del DNA
La replicazione del DNA comporta implicitamente la segregazione delle molecole duplicate di DNA nelle cellule figlie. La prima regione ad essere replicata è quella indicata come ori, associata alla membrana plasmatica.
Le due regioni ori che ne derivano si separano progressivamente con la formazione del nuovo cromosoma (tra le due regioni si forma poi nuova membrana plasmatica).
Al termine della replicazione vi sono due cromosomi.

Citodieresi
La citodieresi, o divisione citoplasmatica, inizia 20 min. dopo il termine della replicazione del DNA. Il primo evento di questa è una strozzatura della membrana plasmatica che porta alla formazione di una specie di anello stretto che circonda la cellula in corrispondenza del suo equatore.

 

Gli eucarioti si dividono per mitosi o per meiosi.
Gli eucarioti (come l'uomo) si originano a partire da una singola cellula, la cellula uovo fecondata. Questa cellula deriva dall'unione di cellule sessuali provenienti da ognuno dei due genitori, i gameti, ovvero uno spermatozoo e una cellula uovo. ciò significa che la cellula uovo fecondata ospita un corredo cromosomico di origine paterna è uno di origine materna.
Anche negli eucarioti il processo di riproduzione cellulare coinvolge segnali riproduttivi, replicazione del DNA, segregazione, e citodieresi; si tratta però di un processo più complesso per diverse ragioni. Innanzitutto le cellule eucariotiche non si dividono continuamente, e molte di esse svolgono funzioni altamente specializzate; in questo caso i segnali che inducono la divisione cellulare non sono correlati con l'ambiente extracellulare, ma con i fabbisogni dell'intero organismo.
In secondo luogo gli eucarioti, al posto di un singolo cromosoma, possiedono di regola numerosi cromosomi.
Inoltre le cellule eucariotiche sono provviste di un nucleo che deve essere replicato e poi suddiviso in due nuclei figli; quindi la citodieresi è una fase separata dalla divisione del materiale genetico.

La differenza principale tra procarioti ed eucarioti è che in questi ultimi il DNA cromosomico appena replicato rimane associato e origine ai due cromatidi fratelli che formano ogni cromosoma (in questo caso è la mitosi a provvedere a segregare ciascun cromatidio in uno dei due nuclei figli).

La riproduzione di una cellula eucariotica prevede tre tappe:

  • Replicazione del DNA all'interno del nucleo.
  • Condensazione e segregazione del DNA replicato in due nuclei figli (divisione cellulare).
  • Divisione del citoplasma.

 

Un secondo meccanismo di divisione nucleare, la meiosi, si realizza nelle cellule germinali durante la produzione dei gameti che contribuiscono alla produzione di un nuovo organismo. I prodotti della meiosi, a differenza di quelli della mitosi, non sono geneticamente identici alla cellula che li ha generati; per questo si dice che la meiosi dà origine a variabilità genetica, rimescolando il materiale ereditario e producendo nuove combinazioni geniche.

 

L'INTERFASE
Nell'intervallo tra due divisioni cellulari, ovvero per la maggior parte del suo ciclo vitale la cellula eucariotica si trova in una condizione nota come interfase.
Nella maggior parte delle cellule il ciclo cellulare si compone di due fasi: mitosi e interfase.
Una data cellula vive nella prima delle due fasi del ciclo cellulare e poi si divide, dando origine a due cellule. Di conseguenza le cellule passano la maggior parte del tempo in interfase.

L’interfase viene suddivisa in tre sottofasi: G1, S, e G2.
La cellula duplica il proprio DNA durante la fase S ("sintesi").
Il periodo compreso tra la fine della mitosi e l'inizio della fase S viene indicato come G1 (gap).
Una seconda fase gap, G2, separa la fine della fase S dall'inizio della mitosi (durante la quale hanno luogo la divisione del nucleo e quella del citoplasma, e si formano due nuove cellule).
La mitosi e la citodieresi vengono complessivamente indicate come fase M del ciclo cellulare.

 


la replicazione del DNA si completa alla fine della fase S. Il materiale genetico duplicato si compatta formando i due cromatidi reciprocamente uniti di ogni cromosoma, in attesa della segregazione in due nuove cellule (che avverrà durante la divisione cellulare).
La caratteristica biochimica di una cellula nella fase G1, è il fatto che essa si sta preparando ad entrare nella fase S, e cioè a duplicare il proprio corredo genetico.
Durante la fase G2 la cellula completa i preparativi per la mitosi; dal momento che il DNA è stato duplicato durante la fase S, ogni cromosoma risulta ora formato da due cromatidi fratelli identici.

Il passaggio da una fase all'altra del ciclo cellulare richiede l'attivazione di un complesso proteico definito cinasi ciclina-dipendente o Cdk.
Le Cdk svolgono un ruolo importante nel dare inizio alle varie fasi del ciclo cellulare, in particolare inducono le cellule a iniziare la divisione cellulare. Le Cdk tuttavia non sono attive di per sé, ma devono legarsi a un secondo tipo di proteina definita ciclina.

 

La maggior parte delle cellule del corpo umano (non i gameti) contengono due assetti completi di informazione genetica, uno di derivazione materna e uno paterna.
Le cellule umane contengono 46 cromosomi e durante l’interfase il loro DNA è racchiuso nel nucleo.
La macromolecola di DNA a doppio filamento degli eucarioti è associata a numerose proteine e forma un denso materiale definito cromatina.
Prima della fase S del ciclo cellulare ogni cromosoma corrisponde a una sola molecola di Dna a doppio filamento; a seguito della duplicazione le due molecole di DNA che ne risultano, definite ora cromatidi, si trovano unite da una proteina nota come coesina.
I cromatidi rimangono uniti fino la mitosi, quando gran parte della coesina si dissolve, ad eccezione di quella presente in una regione chiamata centromero.
I cromosomi contengono elevate quantità di proteine chiamate istoni (tutti hanno cariche positive, e vengono suddivisi in cinque diverse classi), che attraggono i gruppi fosfato del DNA (carichi negativamente). Queste interazioni formano delle unità (simili a delle piccole perle) chiamate nucleosomi.
Ogni nucleo nucleosoma contiene:
1) otto molecole di istoni (unite a formare il nucleo del nucleosoma); 2) 146 coppie di basi di DNA; 3) l’istone H1 (della quinta classe di istoni) situato sulla superficie esterna del DNA, che provvede a unire il DNA al nucleo di istoni.

 

 

LA MEIOSI

La meiosi è caratterizzata da due divisioni nucleari consecutive, che riducono il numero dei cromosomi da diploide ad aploide (necessario per il corretto svolgersi della riproduzione sessuata).
Nella meiosi sebbene il nucleo si divida due volte, il DNA viene duplicato una sola volta.

La meiosi I è caratterizzata da due eventi particolari: in primo luogo i cromosomi omologhi sì appaiano per tutta la lunghezza; in secondo luogo, (metafase I) i cromosomi omologhi si separano. I singoli cromosomi invece (composti ognuno da due cromatidi) rimangono uniti fino al termine della metafase II.
Anche la meiosi I è preceduta da un interfase caratterizzata da una fase S, nel corso della quale il DNA si duplica (quindi ogni cromosoma risulta formato da due cromatidi fratelli reciprocamente uniti da molecole di coesina)

Durante la profase I i cromosomi omologhi, ciascuno formato da una coppia di cromatidi fratelli, sì appaiano (in un processo chiamato sinapsi) formando una tetrade.
A seguito dell'appaiamento, tra due cromatidi non fratelli, localizzati su cromosomi omologhi si forma un fenomeno di crossing over.
Questo fenomeno incrementa la variabilità genetica fra le cellule che derivano dalla meiosi.
Nella Prometafase I scompaiono l'involucro nucleare e i nucleoli.
I cromosomi omologhi si separarono durante l’anafase I, quando (ancora formati dai due cromatidi) vengono tirati verso i poli opposti della cellula (ognuno verso un polo).
Ognuno dei due nuclei figli che derivano dalla meiosi I contiene soltanto un assetto cromosomico, rispetto ai due presenti nel nucleo progenitore diploide. Inoltre ogni cromosoma è ancora formato da due cromatidi e non da uno soltanto, ognuno di questi cromosomi è costituito da una quantità doppia di DNA, rispetto a quella di un cromosoma al termine della mitosi.

La meiosi II è sostanzialmente simile a una mitosi. In ogni nucleo prodotto dalla meiosi I, durante la metafase II i cromosomi si allineano sulla piastra equatoriale. I centromeri dei cromatidi fratelli si separano in seguito alla degradazione delle coesine e (anafase II) i cromosomi figli migrano ai poli opposti della cellula

Le differenze principali tra meiosi II e mitosi sono tre:

  • Il DNA viene duplicato prima di ogni divisione mitotica, ma ciò non accade prima della meiosi II.
  • Nella mitosi i due cromatidi fratelli di ogni cromosoma sono identici, nella meiosi II invece i cromatidi possono differire in alcune parti se hanno partecipato a fenomeni di crossing over (profase I).
  • Nella meiosi II il numero di cromosomi che si allineano in corrispondenza della piastra equatoriale è dimezzato rispetto al numero che si osserva nella mitosi.

 

Il risultato della meiosi è la produzione di quattro nuclei, ognuno aploide e caratterizzato da un singolo corredo di cromosomi che differiscono dagli altri per composizione genetica.
Le differenze tra i nuclei aploidi dipendono due fattori: le sinapsi durante la profase Ipermettono al cromosoma di origine materna di ogni coppia di omologhi di scambiarsi i segmenti di Dna con il cromosoma di origine paterna nel corso dei fenomeni di crossing over. Nei punti in cui sono avvenuti questi fenomeni gli omologhi si staccano dando origine a cromatidi ricombinanti.
In secondo luogo quale membro di una coppia di omologhi raggiunge l'una o l'altra cellula figlia durante l’anafase I è un evento del tutto casuale (segregazione casuale).

 

Aneuploidia
Durante il complesso processo della divisione cellulare possono occasionalmente verificarsi degli errori.
Quando ad esempio una coppia di cromosomi omologhi non si separa durante la meiosi I (oppure quando i cromatidi fratelli non si separano durante la meiosi II, o durante la mitosi ) si parla di non disgiunzione.
La separazione (anomala) di cromosomi omologhi può dare invece origine alla produzione di cellule aneuploidi.
L’aneuploidia è una condizione in cui uno o più cromosomi mancano o sono presenti in soprannumero.
Motivo dell’aneuploidia può essere ad esempio la mancanza di coesine, cioè di quelle proteine che uniscono i cromosomi omologhi nel corso della metafase I.
Queste molecole assicurano inoltre la corretta posizione dei cromosomi sulla piastra equatoriale, ossia garantiscono che un omologo si orienti verso un polo cellulare e l’altro verso il polo opposto. Senza queste proteine vi sarebbe infatti il 50% di probabilità che i cromosomi migrino verso il medesimo polo.


Mendel

Mendel utilizzò piante (pisello odoroso) che producono fiori provvisti di organi riproduttivi sia maschili che femminili, quindi capaci di ricorrere all’autoimpollinazione.

Definizioni:

  • Carattere: proprietà visibile dell’organismo (es. colore del fiore).
  • Tratto: particolare aspetto di un carattere (es. colore bianco).
  • Carattere ereditario: proprietà che si trasmette da una generazione all’altra.

Linea pura: organismo che per molte generazioni ha prodotto caratteri con un determinato tratto.

Generazione parentale (P): piante donatrici di polline e piante riceventi.
F1: prima generazione filiale.
F2: seconda generazione filiale.

Incrocio monoibrido: I esperimento in cui la progenie deriva da una generazione P in cui i genitori appartengono a linee pure per tratti diversi (piante con semi lisci e con semi rugosi) di un dato carattere.

Tutti i semi della F1 risultarono lisci come se il tratto rugoso fosse sparito.
Successivamente fu consentita l’autoimpollinazione per ottenere i semi della F2.
Nella F2 i  ¾  dei semi risultarono lisci e i restanti rugosi. Il dato fondamentale fu che il rapporto fra i 2 tratti nella generazione F2 era sempre lo stesso, cioè 3:1.

Di conseguenza:
Il tratto liscio = tratto dominante.
Il tratto rugoso = tratto recessivo.
Mendel propose una teoria secondo cui le unità responsabili della trasmissione ereditaria di particolari tratti sono presenti in particelle discrete (teoria delle unità ereditarie discrete) che compaiono in coppie e si separano (segregazione) durante la formazione dei gameti.

Ogni pianta di pisello è quindi provvista di 2 unità ereditarie per ogni carattere, una proveniente da ciascun genitore. Quando si formano i gameti però, solo una delle 2 unità passa a ciascun gamete.
I gameti contengono una sola unità, mentre lo zigote, formato in seguito all’unione di 2 gameti, ne contiene due.

L’unità ereditaria di Mendel oggi è chiamata gene.

Mendel ipotizzò che i genitori appartenenti a linee pure fossero provvisti di forme diverse del gene responsabile della forma dei semi. Ogni genitore possedeva 2 geni della stessa forma: liscia        SS ;  rugosa         ss.

Ogni genitore produce gameti con un solo gene (S e s ), e la generazione F1 eredita un gene da ciascun genitore (quindi geneticamente Ss). S è quindi dominante su s, perché quest’ultimo non si esprime quando sono presenti entrambe le forme.

Forme alternative di un gene (S e s) sono definite alleli.
Individui che possiedono 2 copie dello stesso gene (es. ss) si definiscono omozigoti.
Individui che possiedono 2 diversi alleli (Ss) dello stesso gene si dicono eterozigoti.

L’aspetto esteriore di un organismo costituisce il suo fenotipo.
Genotipo: costituzione genetica di un individuo.
Negli esperimenti di Mendel il fenotipo “semi rugosi” viene prodotto esclusivamente dal genotipo ss, mentre il fenotipo “semi lisci” è prodotto sia dal genotipo SS sia da quello ss.

 

Legge della segregazione degli alleli (I legge di Mendel)

Dai suoi esperimenti Mendel dedusse che: al momento della produzione dei gameti i due alleli si separano (segregazione), ossia ogni gamete riceve un solo membro della coppia di alleli.

Oggi sappiamo che i geni corrispondono a porzioni di DNA che costituiscono i cromosomi. Un gene rappresenta uno specifico tratto di DNA presente in un certo punto del cromosoma chiamato locus.

L’incrocio di controllo (o test cross) permette di verificare se un individuo che mostra tratti dominanti è omozigote o eterozigote.
E’ necessario a tal fine incrociare l’individuo in questione con un altro sicuramente omozigote per il tratto recessivo (ss). Sono possibili 2 risultati.

 

 

Se l’individuo in questione è                                                                                      
Omozigote dominante (SS),
tutta la discendenza avrà
genotipo Ss e fenotipo
dominante (semi lisci).

Se l’individuo è eterozigote (Ss)
per il carattere in questione,
allora circa metà discendenti
ottenuti dall’incrocio sarà eterozigote
e manifesterà il tratto dominante (Ss)
mentre l’altra metà sarà omozigote
per il tratto recessivo (ss)

 

Mendel realizzò esperimenti anche con piante che differivano per due caratteri dei semi: la forma e il colore. Una linea pura produceva soltanto semi lisci e gialli (SSYY), l'altra esclusivamente semi rugosi e verdi (ssyy).
L'incrocio fra queste varietà dà origine ad una generazione F1 in cui tutte le piante sono SsYy; poiché S e Y sono dominanti, i semi F1 sono tutti lisci e gialli.

Incrocio diibrido: si tratta di un incrocio realizzato tra individui identici doppi eterozigoti . Questi doppi eterozigoti possono produrre gameti in due modi:

  • Nel primo caso gli alleli mantengono la combinazione che avevano nei genitori (alleli concatenati). In questo modo le piante F1 producono soltanto due tipi di gameti e cioè SY e sy. La F2 contiene piante con semi lisci e gialli in rapporto di 3:1 rispetto a quelle con semi verdi rugosi. Se così fosse non si potrebbe affermare che la forma e il colore dei semi siano regolati da due geni diversi, poiché i semi gialli sarebbero sempre lisci, mentre quelli rugosi sarebbero sempre verdi.

 

  • Nel secondo possibile assortimento dei gameti la segregazione dei due alleli S e s è indipendente da quella degli alleli Y e y (alleli non concatenati). In questo caso si formerebbero quattro tipi di gameti in proporzioni uguali: SY, Sy, sY e sy. Quando questi gameti si combinano casualmente danno origine a una generazione F2 caratterizzata da nove diversi genotipi (la F2 potrebbe avere uno dei tre possibili genotipi relativi alla forma del seme: SS, Ss e ss; e uno qualsiasi per quanto riguarda il colore dei semi: YY, Yy e yy. I 9 possibili genotipi potrebbero comunque dare origine soltanto a quattro diversi fenotipi: giallo-liscio, verde-liscio, giallo-rugoso, verde-rugoso.

I risultati di Mendel confermarono questa seconda ipotesi.
Nella generazione F2 comparvero quattro diversi fenotipi secondo un rapporto 9:3:3:1  (9 gialli lisci, 3 gialli e rugosi, 3 verdi lisci, 1 verde rugoso).
Le nuove combinazioni vengono definite fenotipi ricombinanti.

Poté quindi formulare la sua seconda legge (legge dell'assortimento indipendente):
Alleli appartenenti a geni diversi si assortiscono indipendentemente l'uno dall'altro durante la formazione dei gameti.
Questa legge, a differenza di quella della segregazione, si applica soltanto ai geni situati su cromosomi diversi ma non necessariamente a quelli che si trovano su uno stesso cromosoma.
È comunque corretto affermare che i cromosomi segregano indipendentemente durante la formazione dei gameti, e lo stesso fanno due geni collocati su coppie differenti di cromosomi omologhi (durante la metafase I della meiosi).

 

Per quanto riguarda la specie umana, ciò che interessa i genetisti è stabilire se un particolare allele raro è dominante o recessivo.

  • Se l’allele (raro) è dominante il figlio che lo eredita è affetto da malattia (circa metà dei figli di un genitore con tale fenotipo manifesta la malattia, e il fenotipo si manifesta con la medesima frequenza in entrambi i sessi).
  • Se l’allele è recessivo gli individui con tale fenotipo possiedono di regola genitori che non lo presentano (anche in questo caso il fenotipo è distribuito equamente in entrambi i sessi). Dal momento che l’allele è recessivo, gli eterozigoti non manifestano il fenotipo (es. albino) ma possono trasmetterlo ai propri figli. Inoltre due genitori fenotipicamente normali che hanno un figlio con carattere anomalo (aa) devono essere necessariamente eterozigoti (Aa).

 

Mutazione
I diversi alleli di un gene esistono poiché questi ultimi sono soggetti al fenomeno della mutazione, ovvero ad un processo raro e casuale che consiste in un cambiamento ereditario del materiale genetico. Ciò significa che un allele può mutare trasformandosi in un allele diverso.
Si definisce selvatico (wild type) l'allele di un gene che in natura è presente nella maggior parte degli individui di una specie, determinando un preciso carattere o fenotipo. Forme alternative dello stesso gene, definite alleli mutanti possono dare origine a un fenotipo differente.
Essendo le mutazioni fenomeni casuali, in un gruppo di individui possono essere presenti più di due alleli di un determinato gene (in ogni singolo individuo però soltanto due). Si parla al riguardo di  alleli multipli.
Gli alleli multipli aumentano il numero di possibili fenotipi.

 

Non tutti i geni possiedono alleli che manifestano una dominanza o una recessività nei confronti degli altri alleli dello stesso gene. Quando nessuno dei due alleli è per un carattere dominante sull'altro, negli eterozigoti può manifestarsi un fenotipo intermedio rispetto a quello dei due genitori.
Nelle generazioni successive (F2) tuttavia, i tratti della generazione parentale ricompaiono nelle loro forme originarie (come stabilito dalle leggi di Mendel).
Quando gli eterozigoti (fiori rosa) manifestano un fenotipo intermedio rispetto quello dei due omozigoti (fiori bianchi/rossi) si parla di dominanza incompleta (ad es. nelle piante di bocca di Leone l’allele responsabile per la formazione dei fiori rossi presenta una dominanza incompleta sull'allele per i fiori bianchi; di conseguenza in seguito all'incrocio di queste due linee pure, tutti gli individui della generazione F1 sviluppano fiori rosa).

In alcuni casi i due alleli di un locus producono effetti fenotipici differenti che si manifestano entrambi negli eterozigoti: questo fenomeno è definito codominanza.

In alcuni casi un singolo allele può dare origine a più caratteri. Quando un allele ha più di un effetto fenotipico chiaramente distinguibile viene definito pleiotropico.

Nella realtà il carattere raramente è considerato il risultato degli alleli di un singolo gene. In molti casi infatti numerosi geni interagiscono tra loro per determinare il fenotipo di un particolare carattere; inoltre la costruzione genetica di un individuo viene influenzata anche da fattori ambientali.

Quando l'espressione fenotipica di un gene viene influenzata da un altro gene si parla di epistasi.
Si parla di epistasi anche quando due geni manifestano una dipendenza reciproca, nel senso che l'espressione di ciascun gene dipende dagli alleli dell'altro (geni complementari).

L'incrocio tra individui strettamente imparentati produce una qualità inferiore rispetto a quella che si ottiene incrociando individui non imparentati (es. granturco). Ciò succede perché gli individui strettamente imparentati tendono possedere gli stessi alleli recessivi, alcuni dei quali possono essere dannosi (anche nella specie umana).
Quindi l'incrocio tra due diverse linee pure e omozigoti porta ad una progenie fenotipicamente più vigorosa rispetto ai genitori. Il meccanismo effettivo dell’eterosi (o vigore e degli ibridi) non è ancora noto.

 

Effetti dell'ambiente sull'azione genica
Il fenotipo di un organismo è determinato non soltanto dal suo genotipo, ma anche dall'interazione di questo con l'ambiente.
Gli effetti dei geni e dell'ambiente sul fenotipo vengono definiti da due parametri:

  • Penetranza: proporzione di individui appartenenti a un gruppo caratterizzato da un determinato genotipo che manifesta effettivamente il fenotipo atteso.
  • Espressività: ossia il grado con cui un certo genotipo viene espresso in un individuo.

Per quanto riguarda i caratteri semplici, le differenze che si osservano tra singoli organismi vengono definite qualitative.
Per i caratteri più complessi invece, il fenotipo varia in un ambito di valori più o meno ampio (ad es. la maggior parte degli individui manifesta un'altezza intermedia). In questo caso il carattere viene definito quantitativo (o continuo).

La variabilità quantitativa viene determinata da due fattori: 1) geni multipli; 2) le influenze dell'ambiente sull'espressione genica.

 

Geni e i cromosomi

Gli studi di Morgan sui moscerini hanno dato risultati che sembrano contrastare con la legge di Mendel dell'assortimento indipendente. Egli prese in esame due diversi caratteri del moscerino, e cioè il colore del corpo (B = corpo grigio è dominante su
b = corpo nero) e la forma delle ali (Vg = wild type è dominante su vg = ali corte).

A seguito dei suoi esperimenti Morgan rilevò che il gene per il colore del corpo e quello per le dimensioni delle ali non seguivano l'assortimento indipendente, ma venivano quasi sempre ereditati insieme.
Questi risultati divennero comprensibili soltanto ipotizzando che i due loci si trovassero sullo stesso cromosoma, ossia che si trattasse di geni concatenati.
Ogni cromosoma contiene molti geni: l'assetto complessivo di loci su un dato cromosoma costituisce un gruppo di concatenazione (il numero di gruppi di concatenazione di una specie equivale al numero di coppie di cromosomi omologhi).

Non si può però parlare di una concatenazione assoluta. Se così fosse, infatti, (ossia se i cromosomi rimanessero sempre intatti e invariati) ci si aspetterebbe di ottenere soltanto due tipi di progenie (e cioè moscerini con corpi grigi e ali wild type, e moscerini con corpi neri e ali corte).

Se la concatenazione fosse assoluta (estremamente rara) la seconda legge di Mendel potrebbe essere applicata soltanto ai loci situati su cromosomi diversi.
Si verifica invece un fenomeno di ricombinazione genica, ossia geni localizzati sullo stesso cromosoma, ma in loci diversi, vengono talvolta separati durante la meiosi.
La ricombinazione genica avviene in particolare durante i fenomeni di crossing over, e cioè quando due cromosomi omologhi si scambiano reciprocamente segmenti corrispondenti (profase I della meiosi).
Lo scambio può avvenire in un punto qualsiasi del cromosoma e coinvolge solitamente soltanto due dei quattro cromatidi della tetrade.
Di regola lungo ogni coppia di omologhi si verificano numerosi eventi di crossing over (ognuno dei due cromatidi contiene alcuni geni di derivazione materna e altri di origine paterna). Un fenomeno di crossing over si manifesta con maggiore probabilità tra geni che sono distanti piuttosto che tra geni vicini.

Questi studi poterono essere utilizzati per individuare la posizione reciproca dei diversi geni sul cromosoma. Le frequenze di ricombinazione furono utilizzate per elaborare mappe geniche che illustravano la disposizione dei geni lungo il cromosoma.

 

Eredità legata al sesso

Negli studi di Mendel non vi era differenza se un allele dominante proveniva dalla madre o dal padre. In alcuni casi, però, l'origine parentale di un cromosoma risulta importante.

Il sesso viene determinato in modo diverso nelle varie specie.
Nelle piante come il granturco uno stesso individuo produce sia gameti maschili che femminili, queste sono definite monoiche.
Altre piante e la maggior parte degli animali sono invece dioiche poiché ogni individuo può produrre soltanto gameti femminili o maschili.
Nella maggior parte degli organismi dioici il sesso viene stabilito da differenze cromosomiche.

Nell'uomo (e in molte altre specie animali) il sesso è determinato da un singolo cromosoma sessuale (o eterocromosoma); sia i maschi che le femmine possiedono due copie di tutti gli altri cromosomi, definiti autosomi.
Le femmine dei mammiferi sono caratterizzate dalla presenza di due cromosomi X, mentre i maschi ne hanno un solo. I maschi dei mammiferi hanno però un secondo eterocromosoma che è assente nelle femmine, il cromosoma Y.

I maschi producono due tipi di gameti (ciascuno contenente un assetto completo di autosomi), metà dei quali contiene un cromosoma (sessuale) X, e l'altra metà un cromosoma Y. quando uno spermatozoo contenente un cromosoma X feconda una cellula uovo, lo zigote è XX e si sviluppa una femmina, mentre uno spermatozoo contenente un cromosoma Y darà origine hanno zigote XY e quindi ad un maschio.

 

Anomalie e  funzioni degli eterocromosomi

nella nostra specie compaiono talvolta individui X0; si tratta di femmine caratterizzate da moderate anomalie fisiche, ma non mentali. Questa condizione viene definita sindrome di Turner.
Un altro tipo di anomalia è quella degli individui XXY, condizione nota come sindrome di Klinefelter, che riguarda gli individui maschi e porta alla sterilità.

Mentre alcuni individui XY sono fenotipicamente femmine e mancano di una piccola porzione del cromosoma Y, alcuni maschi sono geneticamente XX e possiedono un piccolo segmento del cromosoma Y (attaccato ad un altro cromosoma).
Da ciò si deduce che il frammento di cromosoma Y rispettivamente mancante o presente comprende il gene che determina la condizione del sesso maschile ed è stato definito SRY (sex-determinig region del cromosoma Y).

Il gene SRY codifica una proteina coinvolta nella determinazione sessuale primaria, ossia nella definizione del tipo di gameti che verranno prodotti e degli organi che provvederanno alla loro formazione. In presenza della proteina SRY funzionante, l'embrione sviluppa testicoli. Se l'embrione è sprovvisto di cromosoma Y, il gene SRY è assente e la proteina SRY non viene prodotta.
In assenza di questa proteina l'embrione sviluppa ovaie contenenti cellule uovo.
In questo caso il gene situato sul cromosoma X, il DAXI, produce un fattore anti-testicolare.
Nel maschio quindi il ruolo del gene SRY è quello di inibire l'inibitore del fattore anti-testicolare codificato da DAXI.

Diversa da quella primaria è la determinazione sessuale secondaria che determina gli aspetti fenotipici che caratterizzano rispettivamente il sesso maschile e quello femminile (statura, sviluppo del seno, peluria e timbro di voce). Questi caratteri non vengono determinati direttamente dalla presenza o dall'assenza del cromosoma Y, ma dai geni localizzati su di autosomi e sul cromosoma X (questi controllano gli effetti degli ormoni, come il testosterone e gli estrogeni).

 

Ereditarietà dei geni localizzati sugli eterocromosomi
Mentre il cromosoma Y contiene pochi geni, il cromosoma X comprende una quantità notevoli di geni che determinano un numero elevato di caratteri.
Nelle femmine ognuno di questi geni è presente in duplice copia, mentre nei maschi se ne trova una sola, di conseguenza le femmine possono essere eterozigoti per i geni localizzati sul cromosoma X, mentre i maschi sono sempre emizigoti per i geni localizzati sul cromosoma X (ne hanno uno soltanto è possono esprimere soltanto questo).

Nella nostra specie ad esempio uno dei geni localizzati sul cromosoma X possiede un allele recessivo mutante che provoca il daltonismo (quest'ultimo compare in individui omozigoti o emizigoti per l’allele mutante).
Dall'analisi degli alberi genealogici si riscontra che:

  • Il fenotipo (del daltonismo) compare molto più spesso nei maschi che nelle femmine, poiché nei maschi una sola copia dell'allele raro è sufficiente per la sua espressione, mentre nelle femmine vi devono essere due copie per esprimere il carattere recessivo.
  • Un maschio affetto dalla malattia può trasmettere l'allele soltanto alle femmine, tutti i figli maschi ricevono infatti il cromosoma Y, privo del locus.
  • Le figlie che ricevono un cromosoma (X) mutante sono portatrici eterozigoti. Esse manifestano un fenotipo normale ma possono trasmettere la malattia sia ai figli che alle figlie (di regola avviene nella metà dei casi, poiché metà dei cromosomi X possiede l'allele normale).

 

In realtà non tutte le proteine possiedono la metionina come aminoacido N-terminale. In molti casi, dopo la traduzione, la metionina iniziale viene eliminata ad opera di un enzima.

Un incrocio diibrido prevede lo studio della eredità di organismi che differiscono per due caratteri. Mendel utilizzò l' incrocio diibrido per determinare se differenti caratteri di piante di pisello, come il colore dei fiori e l' aspetto dei semi, venivano ereditati indipendentemente. Il nostro obiettivo è di comprendere i principi che governano l' eredità di differenti caratteri in un incrocio diibrido che permisero a Mendel di affermare che gli alleli di differenti geni assortiscono indipendentemente l' uno dall 'altro durante la formazione dei gameti.

 

Fonte: http://brainstorm.myblog.it/list/appunti/dna_divisione_cellulare_meiosi_e_mendel.doc

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