Popolazione in Europa

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Popolazione in Europa

  1. La crescita della popolazione in Europa

L’incremento della popolazione europea è stato notevole negli ultimi tre secoli, durante i quali è cresciuta di oltre 500 milioni di unità: nel 1750 gli europei erano 150 milioni, mentre nell’ultimo censimento del 1991 hanno superato i 700 milioni. L’inizio di questa tendenza positiva coincise con la nascita delle prime società industrializzate. Il miglioramento delle quantità e della qualità degli alimenti disponibili e il progresso della medicina consentirono un tale risultato malgrado in quest’arco di tempo l’Europa ha anche alimentato consistenti flussi di emigrazione verso le colonie. Anche quando le esperienze belliche coinvolsero vaste regioni, i vuoti di popolazione furono colmati abbastanza rapidamente.

  1. Gli indicatori demografici nell’Europa Contemporanea
  • Il tasso di crescita annuo indica il numero di punti percentuali di cui cresce o diminuisce la popolazione in un dato intervallo di tempo (di solito 1 anno o 5 anni). Se alla metà degli anni 90 la situazione era di crescita debole e diminuzione nei paesi ex sovietici e di mezzo mentre nell’Europa occidentale si assisteva ad un aumento della popolazione seppure solo di frazioni di punto la tendenza attuale è verso la stagnazione e le previsioni per il futuro lasciano intendere una diminuzione rispetto al totale mondiale;
  • Il tasso di fecondità indica il numero di figli dati alla luce da ogni donna nell’arco della sua vita. Esso consente di stabilire se la popolazione di uno stato aumenterà o diminuirà nel futuro. In Europa il tasso di fecondità è ormai bassissimo e inferiore al livello della sostituzione delle generazioni. Negli stati mediterranei il tasso di fecondità si è ridotto solo recentemente mentre nei paesi del centro e dell’est Europa la contrazione si è verificata soprattutto dopo il 1989.
  • La speranza di vita indica in numero medio di anni che si prevede vivrà una persona in un certo stato, calcolato al momento della nascita. E’ legato alla ricchezza del paese e al benessere dei suoi abitanti. Nei paesi dell’Europa occidentale la speranza di vita supera i 75 anni mentre nei paesi orientali si rimane sotto questa soglia.
  • La mortalità infantile indica quanti bambini muoiono durante il parto o nel primo anno di vita su mille nuovi nati. Questo è un indicatore il cui andamento è stretta relazione con le condizioni sociali della popolazione di una certa ragione: il livello delle strutture sanitarie e la buone salute delle madri sono i principali elementi che influiscono sulla mortalità infantile. Nell’Europa occidentale come in tutti i paesi sviluppati, è molto bassa, nella sezione centrale e orientale invece i valori sono sensibilmente più alti.

 

3. Popolazione, società e tenore di vita.
Alcuni indicatori sociali sono molto significativi per descrivere le condizioni di vita di una popolazione: essi ne mostrano il livello di vita e forniscono informazioni sui comportamenti culturali ed economici; ad esempio Il numero di componenti per unità familiare, come in tutte le aree più sviluppate, è in forte calo; parziale eccezione è costituita dagli stati mediterranei  e da quelli dell’Europa dell’est. Il benessere, la vasta disponibilità d’abitazioni, il desiderio di autonomia hanno indotto gli abitanti a preferire la famiglia nucleare (padre madre più 1 o 2 figli).

4. Economia e popolazione.
4.1 Il tasso di attività
Per popolazione attiva (o forza lavoro) si intendono tutte le persone che lavorano o che sono in cerca di un lavoro, cioè gli occupati più i disoccupati. Il tasso di attività è invece il rapporto tra la popolazione attiva e la popolazione in età da lavorare, espresso in percentuale. Il valore medio del tasso in Europa è inferiore a quello di Usa e Giappone. Anche all’interno dell’Unione Europea vi sono sensibili differenze: nei paesi meridionali è inferiore al 50%, mentre nei paesi nordici è assai più elevato. Queste disparità dipendono da vari fattori: il tasso di attività delle donne, l’immigrazione, l’andamento demografico. Il tasso di attività in Europa è in aumento, soprattutto per il crescente inserimento delle donne nel mondo del lavoro.
4.2 La disoccupazione
La disoccupazione, ossia la percentuale di coloro che sono in cerca di lavoro, sul totale della popolazione attiva è in aumento in Europa a causa della crisi economica e della ristrutturazione dell’apparato produttivo. Nel vecchio continente sono ormai poche le realtà in cui la disoccupazione risulta essere inferiore al 10%  e la proporzione è assai più elevata nei paesi dell’Est. Nei paesi dell’UE i disoccupati sono oltre 18 milioni in totale.
4.3 La ripartizione degli addetti per settore produttivo.
La suddivisione degli occupati tra settore primario, secondario e terziario è un indice della maggiore o minore modernità dell’economia di uno stato e quindi anche del tenore di vita e della situazione demografica di una popolazione. Le società più avanzate sono caratterizzate dalla terziarizzazione della forza lavoro, ossia il maggior numero degli occupati è assorbito dal settore terziario. Al contrario, dove l’agricoltura assorbe ancora quote consistenti di manodopera, siamo in presenza di economie arretrate. In Europa nel primario sono impiegati meno del 5% degli occupati dei paesi UE, mentre nelle sezioni orientale e centrale del continente tale proporzione sale, oscillando tra il 10% e il 30%. Come in tutti gli altri paesi industrializzati, anche in Europa gli addetti al primario sono in netta diminuzione. L’occupazione nel secondario è rimasta invece sostanzialmente stabile in Europa nel corso dell’ultimo decennio. Il Terziario è il settore che ovunque nel mondo e quindi anche in Europa soprattutto nella parte occidentale, sta creando nuovi posti di lavoro, assorbendo spesso le eccedenze di manodopera del primario e del secondario.

5 La distribuzione della popolazione
L’attuale situazione del popolamento in Europa dipende soprattutto da due gruppi di fattori: il primo è dato dalle strutture fisiche, climatiche e geomorfologiche del territorio, mentre il secondo dalle caratteristiche socioeconomiche delle società che hanno abitato l’Europa.
5.1 I fattori fisici
I fattori che favoriscono gli insediamenti più cospicui di popolazione sono le temperature miti, l’abbondanza delle precipitazioni, la presenza di corsi d’acqua regolari, la conformazione pianeggiante del territorio. La combinazione di questi elementi consente all’agricoltura di prosperare e permette di soddisfare le necessità della popolazione e delle varie attività industriali, senza ricorrere a costi eccessivi. La conformazione pianeggiante favorisce i trasporti: le reti stradali e ferroviarie possono estendersi e ramificare in ogni direzione, senza incontrare ostacoli di rilievo. In Europa le aree più popolate corrispondono a queste caratteristiche.
5.2 I fattori economici e sociali
Ad attrarre grandi quantità di abitanti sono da sempre le coste: il mare infatti costituisce una via di trasporto e di commercio economica e rapida oltre a una risorsa alimentare (attraverso la pesca). Punti di urbanizzazione e di popolazione sono anche le aree minerarie. Attualmente i poli di maggiore concentrazione demografica sono indubbiamente le città: numerosi sono infatti coloro che vengono attratti dalle possibilità occupazionali fornite dall’amministrazione oltre che dal tessuto industriale e terziario che generalmente caratterizza tutti i grandi centri urbani.
5.3 Le regioni di maggior concentrazione demografica.
Gli stati più popolati dell’Europa, la cui densità media supera i 150 ab/kmq, si dispongono lungo un asse nord-ovest sud-est: Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Germania, Francia, Svizzera e Italia costituiscono il baricentro demografico del continente. Attorno ad essi si sviluppa una vasta periferia a occidente e a oriente, in cui a valori mediamente bassi corrispondono in realtà disparità tra piccole aree ad alta densità abitativa e vasti spazi spopolati. La zona caratterizzata da valori di densità più elevati è comprende al suo interno città come Londra, Parigi, Milano, Francoforte e molti altri centri minori. Le altre aree di maggior addensamento demografico sono: nella penisola iberica Madrid insieme alle città delle coste settentrionali e meridionali, in Portogallo Porto e Lisbona; in Italia le aree intorno a Roma e Napoli. Nell’Europa di mezzo le porzioni centrale e meridionale della Polonia e della Germania. Nell’immenso spazio degli stati dell’ex Unione Sovietica solo i principali centri metropolitani sono in grado di attrarre la popolazione.  
 5.4 La distribuzione della popolazione in Italia
Le aree di maggiore popolamento dovuto a fattori fisici sono la Pianura Padana, le coste e il corso dei maggiori fiumi come Arno e Tevere. Prima lo sviluppo dell’industria e poi l’affermarsi del terziario veicolano i flussi migratori dal Sud al Nord Italia e dalle campagne verso le città. Attualmente la maggior parte della popolazione risiede nelle città o nelle periferie integrate.

6 Le Migrazioni
6.1 L’Europa popola il mondo.
Fin dalle sue origini il continente europeo è stato interessato da consistenti spostamenti di popolazione, generati dalla scarsità di risorse e dall’insicurezza dei luoghi di provenienza o dalla prospettiva di condizioni di vita migliori nelle località di arrivo. Nelle epoche più antiche l’Europa ha costituito un’area di richiamo per le altre popolazioni, dopo la scoperta dell’America nel 1492 si verificò un ribaltamento della situazione e gli europei cominciarono a lasciare il continente, diretti verso le nuove terre ricche di spazio e di risorse.
La prima fase delle migrazioni durò fino alla metà dell’Ottocento e fu alimentata essenzialmente da inglesi e irlandesi, che si recavano nelle colonie nordamericane. Dopo il 1850 le ondate migrazioni furono alimentate prevalentemente dagli abitanti della Scandinavia e della Germania. Verso la fine del secolo, e fino agli anni Trenta del Novecento, i flussi migratori provenivano dagli stati dell’Europa meridionale (tra cui l’Italia) e orientale.
6.2 Le migrazioni interne.
Per buona parte del XX secolo gli spostamenti di popolazione sono avvenuti prevalentemente all’interno dell’Europa e sono stati spesso generati da motivi politici. Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, che portò al potere i comunisti in Russia, circa un milione di russi, in buona parte nobili o ricchi borghesi, si diressero verso l’Europa occidentale, per sfuggire alla nuova situazione. Durante il dominio nazista  in Europa molti ebrei furono costretti a emigrare (per lo più negli Usa) a causa delle persecuzioni e delle leggi razziali contro di loro. L’olocausto ne decimò la consistenza in molte aree. Alla fine della seconda guerra mondiale lo spostamento dei confini dei Paesi dell’Europa centrale ha determinato consistenti spostamenti di popolazione (polacchi, tedeschi, russi).
Durante gli anni del boom economico in Europa, cioè tra il 1950 e il 1970, le regioni più progredite hanno attirato abitanti dalle campagne e da altri stati del continente. I movimenti migratori hanno coinvolto circa 20 milioni di persone, e sono stati determinati dal diverso livello di sviluppo economico degli stati europei: infatti mentre l’economia della sezione centro settentrionale del continente progrediva a grandi passi, quella del sud faticava a decollare.
6.3 L’Europa magnete dei flussi migratori.
A partire dagli anni ’80 l’Europa occidentale è diventata la meta di consistenti flussi immigratori proveniente da altri continenti. Il benessere raggiunto dalle società europee occidentali è stato tale che esse hanno richiamato molte persone provenienti da località più povere, afflitte da guerre, carestie o sovrappopolazione. Tra questi nuovi immigrati prevalgono le persone giovani (tra i 20 e i 45 anni), quindi in età lavorativa e riproduttiva, che costituiscono pertanto un elemento di forte dinamismo demografico ed economico. Nei paesi dell’Europa occidentale risiedono circa 18 milioni di stranieri, ma ai dati ufficiali vanno aggiunto tutti gli irregolari che non sono registrati. La Germania conta oltre 1/3 del totale degli immigrati dell’Europa occidentale (per lo più di provenienza turca), mentre la provenienza dei numerosi immigrati presenti in Francia è duplice: europea e nordafricana. Il Regno Unito è il terzo stato in Europa per consistenza della comunità di stranieri, che conta quasi due milioni di persone. Essi provengono in gran parte dall’Irlanda o dai paesi del Commonwealth, come India e Pakistan. Tra gli altri stati dell’Europa occidentale solo la Svizzera ospita più di un milione di immigrati. Per il resto il numero di immigrati è abbastanza consistente in Italia, Belgio, Paesi Bassi e Austria.
7 Le Etnie in Europa
Una classificazione basata sulla comunanza dei caratteri somatici, assegnava tutte le popolazioni europee a due grandi categorie: il tipo indoeuropeo, largamente dominante, e il tipo mongoloide la cui consistenza numerica è assai limitata. Oggi si preferisce parlare di gruppi etnici basandosi, anziché su caratteri somatici, su somiglianze e differenze sociali e culturali (fattori linguistici, religiosi, di tradizione). In Europa vi sono 42 Stati ma più di 200 gruppi etnici e non tutti possono disporre di una struttura istituzionale autonoma, ma devono rassegnarsi a vivere come minoranze all’interno di un contesto più ampio. Ciò genera spesso tensioni e problemi di convivenza, che i vari paesi cercano di risolvere concedendo diritti particolari in campo economico o culturale alle minoranze. Ad esempio in Spagna vi sono tre minoranze importanti: i galiziani, i catalani e i baschi. In Francia ci sono i corsi, i bretoni, gli occitani e catalani, i fiamminghi e alsaziani. In Belgio i fiamminghi e i valloni. I frisoni sono diffusi in Danimarca, Germania e Olanda. Nella Germania orientale vi è il gruppo dei sorbi. In Scandinavia le uniche minoranze sono costituite dai finni e dai lapponi. Nel Regno Unito ci sono gli scozzesi e gallesi, in Austria sloveni e croati. La situazione è più ingarbugliata nell’area balcanica: qui sloveni, croati, serbi, montenegrini, macedoni, greci, albanesi, ungheresi, turchi, italiani,bulgari e romeni sono distribuiti in modo discontinuo in varie regioni. L’Ungheria, oltre a tedeschi e slovacchi ospita anche circa 100.000 Tzigani. Negli stati dell’Est e in quelli ex sovietici le tensioni sono generate dalla più cospicua presenza di russi in tutti i paesi.
8 La geografia linguistica dell’Europa.
In Europa si parlano oltre 60 lingue. A questa varietà linguistica hanno contribuito sia le numerose invasioni, sia le migrazioni interne, che hanno portato alla formazione di gruppi minoritari in varie nazioni.
8.1 Le famiglie linguistiche
LA più importante è la famiglia indoeuropea, da cui derivano numerose lingue, parlate oggi da circa il 90% degli abitanti del vecchi continente. Esse possono essere raggruppate in otto ceppi di cui i primi tre sono i più diffusi: le lingue slave, le lingue germaniche, le lingue neolatine. I restanti quattro ceppi sono molto meno diffusi e sono: il baltico, il celtico, l’ellenico, l’albanese.
Vi sono poi in Europa altre quattro famiglie linguistiche, che hanno però un ruolo periferico, sono: l’ungro-finnica, la turco-tatara, la caucasica, la basca. Vi sono altre famiglie minori, come quella armena, iranica, mongola e caucasica il cui rilievo è però limitatissimo per il contesto europeo. Va inoltre considerato che in Europa esiste una grande quantità di dialetti che sono varianti locali delle lingue nazionali.
8.2 Le lingue europee nel mondo
Sia all’interno dell’Europa che nel mondo la diffusione dei vari idiomi è in rapporto di stretta connessione con la forza industriale e finanziaria di uno Stato, con le sue conquiste militari, con i risultati raggiunti in campo scientifico e tecnologico.
Per esempio il tedesco è parlato, oltre che in Germania, in Austria e porzioni di Stati quali Svizzera, Francia, Belgio, Repubblica Ceca.
Lo spagnolo è parlato in quasi tutta l’America centrale e meridionale, eccetto in Brasile, ove è diffuso il portoghese. Il francese è rimasto quale lingua ufficiale, o usata nei rapporti commerciali, per numerosi paesi dell’Africa settentrionale. La funzione di tramite, di strumento per la comunicazione tra i popoli più diversi viene però oggi svolta dall’inglese. Ciò affonda le sue radici nelle numerose conquiste britanniche, nell’America settentrionale, in Africa e in Asia. Oggi però la grandissima diffusione dell’inglese si deve al fatto che è la lingua degli Stati Uniti, la maggiore potenza economica mondiale. Anche in Europa esso rappresenta l’elemento di uniformità sopranazionale, che consente di superare la frammentazione linguistica del nuovo continente.
Un fenomeno nuovo e in rapida crescita è la creazione negli stati occidentali di comunità che parlano lingue diverse, dovute alla presenza di immigrati extracomunitari.
9 L’elemento religione
Il cristianesimo è la religione di gran lunga più diffusa in Europa, anche se articolato in varie confessioni. Altre confessioni sono presenti in misura ridotta in molti stati europei.
9.1 Le principali confessioni religiose.
Le principali confessioni cristiane presenti in Europa sono nate in seguito a grandi movimenti di riforma che hanno determinato il distacco dalla chiesa di Roma.
Con lo scisma di Michele Cerulario si consumò la divisione tra la chiesa orientale e quella occidentale. Successivamente il clero orientale ha sviluppato una confessione, quella greco-ortodossa, con un’organizzazione e una gerarchia sue proprie. Essa si è diffusa soprattutto nel territorio dell’ex Urss e in alcune regioni dell’Europa balcanica.
Lo scisma anglicano, ossia la separazione dall’Inghilterra della chiesa di Roma segna l’atto della nascita della chiesa Anglicana dipendente dai re della corona britannica e non dal Papa. 
I cristiani cattolici fedeli alla chiesa di Roma costituiscono in Europa il numero più consistente poiché predominano ampiamente in Italia, in Francia, nella penisola Iberica, in Irlanda, in Polonia e in vaste regioni della sezione centrale del continente.
9.2 Le minoranze religiose.
La comunità più consistente è costituita dai musulmani. Il loro numero elevato è dovuto sia alla presenza di minoranze islamiche presenti da sempre in alcuni paesi, sia al recente movimento migratorio dai Paesi nordafricani e asiatici. La presenza dei musulmani costituisce spesso un elemento di tensione in molte regioni occidentali, ciò è particolarmente evidente nell’area balcanica, dove la convivenza di cristiani e islamici ha portato a scontri che sono tra gli elementi che hanno scatenato la guerra civile.
Gli ebrei  sono presenti in piccole comunità in tutti gli stati europei, anche se in nessuno di essi superano le 500 mila unità.
In Europa vi sono numerosi altri gruppi religiosi minoritari come i valdesi, i battisti, i quaccheri e i mormoni. Più importanti sono i testimoni di Geova, sia per la loro consistenza numerica, sia per la portata innovativa e sovversiva delle loro idee. Infatti in Francia e in Italia considerate congiuntamente essi superano le 500 mila unità e hanno un forte senso missionario.

10 Lingua, cultura e religione in Italia
10.1 La Lingua
La lingua italiana deriva dal latino e dall’adozione del dialetto fiorentino. Nonostante l’affermazione dell’italiano come lingua nazionale, rimangono ancor oggi espressioni, inflessioni e parlate locali più o meno radicate. Esistono in Italia anche alcune minoranze linguistiche. Esse sono costituite da piccoli gruppi che risiedono in aree ben precise della penisola, e che hanno conservato la loro lingua madre. Hanno ricevuto il riconoscimento di lingua regionale: il francese, parlato in Valle d’Aosta da 100 mila persone, il tedesco parlato da 200 mila persone concentrate soprattutto in Trentino Alto Adige, il ladino e lo sloveno parlato soprattutto nelle regioni del nord-est.
Anche nell’Italia meridionale vi è una geografia linguistica complessa. Le minoranze principali sono: albanesi, greci, catalani.
10.2 Le minoranze etniche in Italia.
Nel territorio italiano sono presenti alcune minoranze che spesso sono individuabili più dalla permanenza dei loro caratteri linguistici e religiosi che da una reale diversità etnica. Albanesi, greci, arabi, si sono inseriti bene nella società italiana. L’unico gruppo che, soprattutto negli anni ’60 ha fatto ricorso al terrorismo per ottenere l’autonomia, è stato quello altoatesino.
10.3 La religione
Secondo le statistiche ufficiali, il 98% circa della popolazione si dichiara cattolico anche se la proporzione dei praticanti è molto inferiore. L’influsso della chiesa cattolica e della religione cristiana sulla vita degli italiani è notevole. Ciò è dovuto alla presenza del Vaticano, sede del papato che ha contribuito a dare impulso all’organizzazione del clero italiano in modo efficiente e razionale. I rapporti del Vaticano con lo Stato italiano sono stati regolati per la prima volta dai patti Lateranensi del 1929.
Data la netta prevalenza numerica del cattolicesimo, le minoranze religiose hanno una consistenza molto limitata. I musulmani stanno crescendo molto rapidamente e si stima siano circa 300 mila. Gli ebrei sono solo 30 mila e concentrati per lo più a Roma. Gli evangelisti sono 200 mila, mentre mormoni e avventisti hanno una consistenza ancora minore. I valdesi sono circa 20 mila e vivono concentrati in alcune valli piemontesi. Infine i testimoni di Geova costituiscono un piccolo gruppo di circa 215 mila fedeli.

 

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