Glossario apprendimento significato di

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Glossario apprendimento significato di

Glossario (a cura di Invalsi, Isfol e Miur)

 

Alfabetizzazione funzionale
inglese: literacy education francese: alphabétisation fonctionnelle spagnolo: alfabetización funcional
1) Processo d’acquisizione della capacità di leggere e scrivere, nonché di padronanza dei nuovi alfabeti, finalizzato allo sviluppo personale, all’agire efficace nel gruppo sociale e nella comunità di appartenenza e all’esercizio consapevole del pieno diritto alla cittadinanza attiva.

Una delle funzioni più importanti, collegate alla scrittura ed alla capacità di leggere testi scritti è quella di garantire il possesso e l''arricchimento di informazioni, saperi e conoscenze. Particolari modalità dello scritto, quali tabelle, tavole, indici, tesauri, dizionari, mappe, definiscono vari aspetti in cui la competenza alfabetica si esprime e richiedono quindi di formularne il concetto in relazione alle varie modalità in cui l’informazione si presenta, si acquisisce e si produce. 
Il sistema scolastico deve garantire anche per l’età adulta la possibilità di acquisire i saperi minimi necessari per collocarsi adeguatamente nella vita sociale e produttiva. Occorre perciò predisporre iniziative organiche di alfabetizzazione funzionale rivolte agli adulti occupati e non. (C.U. 2 marzo 2000)

Alfabetizzazione strumentale
inglese: conventional literacy francese: alphabétisation instrumentale spagnolo: alfabetización instrumental
1) Processo d’acquisizione degli strumenti che consentono di leggere, scrivere e calcolare che si realizza nella scolarizzazione iniziale.
“È evidente l’intreccio specifico tra l’alfabetizzazione strumentale e l’alfabetizzazione funzionale.” (Bondioli, Meghnagi, Pagnoncelli 1991: 45)

Analisi dei bisogni di formazione
inglese: training needs analysis francese: analyses des besoins de formation spagnolo: análisis de las necesidades de formación
1) Indagine, necessaria per la definizione dei curricola di formazione professionale dei lavoratori, che permette di comparare tra loro le attività legate alle situazioni lavorative, le prospettive evolutive di queste e le qualifiche esistenti in azienda.
“Il tema dell’analisi dei bisogni di formazione si è riproposto all’attenzione degli operatori con una certa priorità rispetto ad altri temi […] quali […] quelli degli obiettivi di apprendimento o dei rapporti tra formazione e sviluppo dell’organizzazione.” (Quaglino, Carrozzi 1998)

Analisi dei fabbisogni formativi
inglese: training needs analysis francese: analyses des besoins de formation (du contexte socio-économique) spagnolo: análisis de las demandas formativas
1) Rilevazione delle esigenze di professionalità realizzata in contesti socioeconomici, territoriali, organizzativi, aziendali al fine di predisporre una formazione mirata.
Sul versante economico-produttivo le attività riguardano la raccolta e la decodifica dei bisogni di professionalità e delle competenze specifiche, mentre in ambito sociale si riferiscono a orientamenti e necessità palesi e latenti delle persone. È quindi uno strumento per la programmazione formativa e la revisione dei sistemi di istruzione e formazione, l’orientamento dei giovani rispetto alla formazione iniziale e degli adulti rispetto alla formazione continua. 

1) “Le descrizioni forniscono indicazioni utili per procedere all’analisi dei fabbisogni formativi.” (MBNF 2000: 82)
2) “L’analisi del fabbisogno formativo costituisce il raccordo tra le esigenze espresse dal sistema produttivo e quelle dell’utenza potenziale.” (UE, MLPS, ISFOL 2000: 87)

Apprendimento adulto
inglese: adult learning francese: apprentissage adulte spagnolo: aprendizaje adulto
1) Stile di apprendimento di un soggetto autonomo che possiede un patrimonio di esperienza, su cui intenzionalmente innesta apprendimenti successivi, necessari allo svolgimento di attività legate a ruoli e funzioni sociali e lavorative.

1)  A partire dagli anni ‘60 le molte osservazioni raccolte sulle modalità e sulle caratteristiche dell’apprendi-mento degli adulti cominciano a definire un campo di ricerca sistematico (AA.VV. 1992; Houle 1960; Kolb 1984). La teoria degli stili di apprendimento di Kolb è basata su una teoria dell’apprendimento esperienziale che richiede quattro abilità: fare esperienze, riflettere, concettualizzare e fare esperimenti. Di qui un modello dialettico d’apprendimento in cui l’apprendimento concreto si contrappone all’apprendimento astratto e l’apprendimento attivo all’apprendimento riflessivo. L’apprendimento si produce nel campo di tensioni determinato dal ciclico disporsi reciproco delle quattro categorie.
Knowles (1997) fonda l’apprendimento adulto su sei presupposti: il bisogno di conoscere, il concetto di sé del discente, il ruolo dell’esperienza del discente, la disponibilità ad apprendere, l’orientamento verso l’apprendimento, la motivazione.
2)  Il Memorandum delle Comunità europee sull’istruzione e la formazione permanente raccomanda la valorizzazione degli apprendimenti formali, non formali e informali per consentire la certificazione di saperi e competenze comunque acquisiti nel corso dell’età adulta. (CE Memorandum 30/10/2000)
Obiettivi di sviluppo di competenze dei formatori: conoscenza dei concetti moderni di apprendimento adulto e di come questi differiscano dai concetti tradizionali dell''apprendimento nei giovani. (Knowles 1996: 38)

Apprendimento formale
Apprendimento intenzionale che si realizza nei sistemi dell’istruzione e della formazione e porta, di norma, ad una certificazione formale.

Il Consiglio europeo di Lisbona, del marzo 2000, prende atto delle grandi trasformazioni insite nei processi di globalizzazione e nello sviluppo delle economie della conoscenza e indica una serie di obiettivi strategici che i paesi della UE dovranno raggiungere entro il 2010 per garantire sviluppo, occupazione e inclusione sociale. In questo contesto viene confermata la centralità dei sistemi formali di istruzione e formazione in relazione alla necessità di garantire ai giovani, che hanno compiuto il ciclo secondario di istruzione, i saperi e le competenze dei futuri cittadini europei. Tale centralità viene confermata, nel novembre 2002, con l´adozione di una apposita Risoluzione del Consiglio Educazione, e con una Dichiarazione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale, sottoscritta dai Ministri dell''Istruzione di 31 paesi europei e dalla Commissione europea. (cfr. Dichiarazione di Copenaghen 30 novembre 2002). L’accordo del Accordo 28 ottobre 2004 su certificazione e riconoscimento dei crediti formativi Capoverso 9 recita “Le persone in età di obbligo formativo o che abbiano compiuto i 18 anni possono accedere ai percorsi di formazione professionale, sulla base degli apprendimenti e delle competenze acquisiti in contesti formali, non formali e informali […].” Nel Dicembre del 2004 il Comunicato di Maastricht ribadisce la necessità del rafforzamento di questa cooperazione che diventa strumento essenziale per realizzare un mercato del lavoro europeo, un’economia competitiva ed insieme regimi legislativi atti a garantire il riconoscimento di titoli e qualifiche.  L''apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente. (CE 2001)
Apprendimento informale
inglese: informal learning francese: apprentissage informel
Apprendimento che si realizza, in genere non intenzionalmente, quando gli individui acquisiscono conoscenze e abilità o atteggiamenti attraverso l'interazione sociale.

I documenti europei sottolineano la necessità di far nascere una nuova cultura dell''apprendimento in modo da consentire a ciascuno di apprendere dove e quando vuole oppure dove e quando se ne realizzi l''occasione. L''apprendimento informale è risultante dalle attività della vita quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. (CE 2001)

Apprendimento non formale
inglese: non formal learning francese: apprentissage non formal
1) Apprendimento intenzionale che si realizza in contesti organizzati al di fuori dai sistemi istituzionali di istruzione e formazione e che normalmente non produce una certificazione.

I documenti della commissione europea, dopo il Consiglio europeo (Lisbona, marzo 2000), analizzano le modalità e le tipologie di interventi che consentono di far incontrare opportunità di apprendimento e di accesso a queste con bisogni e interessi della popolazione. L''apprendimento non formale è strutturato in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse. (CE 2001)

Apprendimento esperenziale
inglese: experiential learning
1) Apprendimento che si realizza come processo continuo di interazione con l’ambiente sociale e lavorativo, che mette alla prova e modifica le conoscenze precedenti e che costruisce nuovo sapere attraverso l’osservazione e la riflessione.

Inizia dall’esperienza e si trasforma in conoscenza, abilità, comportamenti, emozioni e valori. L’apprendimento in età adulta è un momento centrale nello sviluppo della persona. Si realizza entro esperienze, situazioni di vita ed anche di studio formale, come risposta soggettiva ad un’incongruenza avvertita dal soggetto tra la propria biografia e l’esperienza acquisita, in relazione a potenzialità e limiti offerti dal contesto sociale di riferimento. L’apprendimento, stimolato da esperienze, per le quali l’individuo non possiede risposte prestabilite, diviene esso stesso produttore di nuove esperienze. (Jarvis 1987).  [Lo scopo] è suggerire mediante una teoria dell’apprendimento esperienziale una prospettiva olistica integrata sull’apprendimento che collega esperienza, percezione, cognizione, e comportamento. (Kolb 1984: 21)

Apprendimento riflessivo
1) Apprendimento che si realizza attraverso l’analisi del vissuto d’esperienza e che quindi comporta acquisizione di nuove conoscenze e cambiamenti significativi negli schemi di interpretazione e di orientamento del soggetto.

Schon (1993), mettendo in crisi il concetto di razionalità tecnica che considera l’attività professionale quale mera soluzione strumentale di problemi, definisce una nuova epistemologia che trova il proprio fondamento nel concetto di riflessione nel corso dell’azione e arriva a definire un agire di tipo riflessivo che, partendo dall’incertezza e dall’ansietà ad esso connessa, può divenire, esso stesso, generatore di una nuova conoscenza. In questo modo valorizza ed esplicita il sapere tacito, iplicito nei modelli di azione. (Schon 1993)
Gli apprendimenti riflessivi possono avere due esiti: l’adattamento o il cambiamento. (Alberici 2002: 101)

Approccio biografico
inglese: biographical approach francese: approche biographique spagnolo: "enfoque biogràfico"
1) Metodologia di ricerca relativa alla crescita della persona, soprattutto dal punto di vista dell'aprendimento, della produzione di senso e di autoriflesisone attraverso il racconto biografico.
2) In EDA, racconto retrospettivo, vero o verosimile, prodotto da una persona, in forma scritta o orale, selezionando eventi principali o secondari dell’altrui o della propria storia di vita, richiesto o sollecitato da un’altra persona o da se stessi.

1)  Negli anni ‘20–‘30 la scuola di Chicago mette in luce l’importanza della ricerca qualitativa per lo studio della vita dei gruppi sociali. In Europa l’attenzione all’approccio biografico si sviluppa in due ambiti:
·  ricerca sociologica, studi polacchi (Znaniecki), italiani (Ferrarotti);
·  ricerca filosofica – ermeneutica, studi francesi (Bourdieu, Pineau, Bertaux) e tedeschi (Mader).
Un esito importante è rappresentato dall’utilizzo della biografia nell’educazione e nella formazione rivolta agli adulti, anche in contesti aziendali (cfr. Alheit, Bron-Wojiciechowska, Brugger, Dominicé 1995). Già negli anni ’70 Freire, suggestionato dalla ricerca sociologica della scuola di Chicago, aveva già prima prodotto nelle favelas esperienze di alfabetizzazione, di costruzione di memoria collettiva e di cultura condivisa. Successivamente i militanti francesi del gruppo ALPHA, che operano per l’alfabetizzazione di magrebini immigrati, utilizzano queste metodologie. In Italia l’approccio biografico rappresenta una pratica significativa fin dai primi percorsi di 150 ore. 
2)  Una specificazione particolare dell''approccio biografico è l''autobiografia. Questa è una tecnica espositiva autoreferenziale, che non obbliga il suo narratore ad essere veritiero, ma soltanto a rendere conto, pur sempre in modo verosimile, di quanto gli è accaduto di sperimentare nella propria storia di vita (cfr. Demetrio 1997). L’autobiografia non è una semplice fotografia dei ricordi, quanto piuttosto la ricerca di un filo conduttore inseguito selezionando eventi principali o secondari della propria storia di vita (cfr. Demetrio 2003a). Con essa operiamo una ricognizione della nostra vita trascorsa, costruiamo qualcosa che prima non esisteva, ovvero un oggetto particolare fatto di parole che s’incrociano, che trovano una proppria cronologia, un proprio percorso, una propria forma (cfr. Demetrio 2003b). 
L’approccio biografico come strumento di ricerca mira ad esplorare, attraverso l’analisi di singole vite, la relazione tra esperienze sociali e il carattere personale. (Erben 1996: 73)

Autoefficacia nell’apprendimento
1) Capacità di un individuo di ottenere risultati, grazie alle proprie capacità di controllo o di autoregolazione.

Bandura (1986) analizzando l’apprendimento sociale propone una interpretazione del funzionamento umano che attribuisce ruolo centrale ai processi cognitivi, vicari, auto-regolatori ed auto-riflessivi nell’adattamento umano e nel cambiamento. Le persone vengono considerate capaci di auto-organizzarsi. L’agire umano è visto come il prodotto di un gioco dinamico d’influenze personali, comportamentali e ambientali, da cui scaturiscono i giudizi che l’individuo ha delle proprie capacità, in base alle quali organizzerà e applicherà le sue azioni in modo da raggiungere il risultato desiderato. L’autoefficacia non si riferisce alle risorse di cui si dispone ma alla opinione che gli individui hanno sul loro uso. (Bandura 1986)
L’autoefficacia nell’apprendimento chiama in causa varie sottofunzioni autoregolatorie di rilevanza strategica nell’apprendimento. (Demetrio, Alberici 2002: 206)

Bilancio delle competenze
inglese: personal and vocational skills analysis francese: bilan des compétences spagnolo: presupuesto de las competencias
1) Strumento che permette a persone adulte, occupate o alla ricerca di un lavoro, di fare il punto sulla propria competenza professionale: sapere, saper apprendere, saper essere, saper fare, saper agire e volere agire.
2) Metodologia attiva d’orientamento in cui il soggetto, con l’aiuto del consigliere di bilancio, elabora un progetto personale e professionale basato sia sull’analisi delle competenze (trasversali, tecnico-professionali e di base) sia sulle motivazioni e sulle aspettative.

Nasce in Francia quale diritto riconosciuto ai lavoratori nell’ambito del sistema della formazione continua e viene disciplinato per legge (Leggi Arnoux del 16 luglio 1971). Le prime attività di bilancio di competenze vengono realizzate in forma sperimentale intorno alla metà degli anni ‘80, nell’ambito di servizi pubblici di orientamento e formazione quali SOA (Sessions d’Orientation Approfondie) e MOA (Modules d’Orientation aprofondie) per i giovani; presso i CIBC (Centres Interistitutionelles de Bilan de Competence) si tengono incontri aperti a tutti i target. 

1) Occorre trovare una modalità condivisa su cui costruire il bilancio delle competenze. (OBNF 2000: 7)
2) “Il momento del bilancio di competenze […] può considerarsi anche come un valido strumento della progettazione formativa, in particolare dei percorsi individualizzati.” (ISFOL 2000c: 201)

Certificazione di competenza
inglese: certificate of competency , certification of competence , skills certificate francese: certification de compétence spagnolo: certificacion de competencias
1) Riconoscimento operato da uno o più soggetti istituzionali abilitati che attesta ad un individuo il possesso di una o più competenze acquisite in un percorso formativo formale o in ambito informale o non formale.

Teorie e nuove procedure relative alla certificazione si sviluppano a partire dagli anni ‘70. Le trasformazioni, indotte da un mercato del lavoro che si avvia alla globalizzazione nei paesi industrializzati, determinano l’incremento dell’educazione lungo tutta la vita, gli interventi di educazione come seconda opportunità e forme di educazione ricorrente legata agli interessi ed ai bisogni individuali di imparare. In questo contesto la certificazione si trasforma perché deve attestare i risultati conseguiti attraverso percorsi molto diversi, p.e. l’estensione dell’educazione formale che non sempre dà luogo a percorsi simili e facilmente riconducibili a definizioni comuni. Nello stesso modo (a partire dagli anni ‘80) si sviluppa una educazione parallela incoraggiata da autorità pubbliche per sostenere e promuovere varie forme di educazione, istruzione, formazione per soggetti particolari (disoccupati, donne, giovani svantaggiati ecc.). Inoltre molti adulti scelgono autonomamente forme di apprendimento e di arricchimento di competenze, per ragioni di sviluppo personale e per far fronte ai cambiamenti di vita e di lavoro. Tutto questo produce un mercato della formazione che richiede nuove forme di riconoscimento, di attestazione e di valutazione di competenze e abilità conseguite in modi molto diversi.
La certificazione di competenza implica due sottoprocessi distinti:
·  la verifica/valutazione delle competenze in quanto procedura di natura tecnica, pur sottoposta a vincoli di regole e modalità, che riguarda la verifica del possesso da parte dei soggetti delle competenze oggetto della certificazione;
·  la certificazione delle stesse in quanto atto con il quale un soggetto giuridicamente responsabile attesta la acquisizione da parte dell’individuo delle competenze in questione e, in genere, dei criteri ritenuti necessari per il conseguimento di un titolo o di una parte di esso.
Ad oggi la certificazione delle competenze spetta alle Regioni, relativamente al sistema di formazione professionale, e al Ministero dell’Istruzione della Università e della Ricerca, relativamente ai percorsi scolastici o ad entrambi nel caso di percorsi integrati. La certificazione delle competenze nell’ambito del sistema di formazione professionale può essere effettuata:
·  al termine di un percorso di formazione professionale di norma finalizzato all’acquisizione di una qualifica;
·  in esito a percorsi di formazione parziali ovvero in caso di abbandono precoce del percorso formativo o in percorsi che non conducono all’acquisizione di qualifica;
·  a seguito di esperienze di lavoro e di autoformazione su richiesta degli interessati, per l’ammissione ai diversi livelli del sistema di istruzione e di formazione professionale o per l’acquisizione di una qualifica o di un titolo di studio. 
1) “La funzione della certificazione delle competenze è svolta dalle Regioni che, sempre nell’ambito della loro autonomia normativa e regolamentare, ne disciplinano le procedure di attuazione, tenuto conto degli standard minimi fissati a livello nazionale.” (MLPS D.M. 174/2001: art. 4)
2) “La struttura modulare dell’iter formativo consente agli studenti di ottenere una certificazione di competenza e dei relativi crediti spendibili al termine di ogni segmento formativo.” (Auriemma 2001: 432)

Cittadinanza attiva
inglese: active citizenship , citoyenneté active spagnolo: ciudadanìa activa
1) Agire sociale di un individuo consapevole dei propri diritti e doveri in quanto cittadino capace di partecipare ai processi di formazione di opinione e di decisione politica.
2) Insieme di garanzie giuridiche che consentono la partecipazione di tutti i cittadini a tutte le sfere della vita sociale ed economica affinché si sentano pienamente appartenenti e protagonisti della società in cui vivono.

Il concetto di cittadinanza attiva, come asse centrale delle principali elaborazioni del Consiglio d''Europa (documenti del 1975, 1987 e successivi), dell''UNESCO (1991 e successivi), dell''OCSE (Education for All 1992 ), esprime la necessità di dotare i cittadini di strumenti che ne accrescano la coscienza dei diritti e la sensibilità verso la valorizzazione delle differenze culturali nelle società complesse. (Consiglio Europeo Lisbona 2000)
È stato raggiunto, attraverso la consultazione sul Memorandum, un consenso su quattro obiettivi generali che si rafforzano reciprocamente: l''autorealizzazione, la cittadinanza attiva, l''inclusione sociale, l''occupabilità e l''adattabilità professionale. (CE 2001: 10)
Contesto formativo
inglese: formative context , formative setting francese: contexte formatif
1) Insieme delle condizioni strutturali, fisiche, sociali, culturali ed organizzative in cui si predispone ed ha luogo l’interazione formativa.

1)  Come organizzazione pedagogica delle attività, il contesto formativo rappresenta il luogo privilegiato al cui interno i soggetti in apprendimento, attraverso l’interazione e la partecipazione attiva, possono utilizzare in modo significativo la conoscenza.(Bolognari, Passaseo 2002: 83). In tal senso, il contesto formativo è importante non solo per comprendere il senso di un’azione, di un comportamento. Sulla base delle più recenti indicazioni del costruttivismo socioculturale, i processi di apprendimento e cognizione non sono più riferiti esclusivamente al singolo soggetto, piuttosto sono intesi come processi situati in determinate situazioni sociali al cui interno i soggetti agiscono ed interagiscono per il raggiungimento di un comune e significativo obiettivo. (Laneve 2003: 87)
2)  Nel Memorandum è esplicito l’obiettivo di sviluppare contesti e metodi efficaci d’insegnamento e di apprendimento per un’offerta ininterrotta d’istruzione e di formazione lungo l’intero arco della vita e in tutti i suoi aspetti. (CE Memorandum 30/10/2000)
All’interno di un contesto formativo si possono: acquisire criteri organizzativi, procedurali, metodologici, logici nel pensare; usare strumenti di riflessività e tecniche di padronanza; impiegare procedimenti euristici; assumere stili progressivi di adattabilità e flessibilità del pensiero. (Bolognari, Passaseo 2002: 43)

Counseling
francese: conseil spagnolo: counseling
1) Insieme di diverse azioni (es. intervistare, informare, orientare), rivolte a singoli individui di diversa età e condizione, allo scopo di inserirli in attività di istruzione, formazione e/o accompagnamento al lavoro, anche al fine dell’inserimento o del reinserimento sociale.

1) Un ulteriore ambito di primaria importanza cui potrebbero in parte rispondere le istituzioni scolastiche è l’offerta di momenti di orientamento e counseling per facilitare il rientro nei percorsi formativi, per sostenere gli esiti formativi e la spendibilità in raccordo con le strutture territoriali a ciò preposte. (C.U. 2 marzo 2000: punto 4)
2) È una attività personalizzata, sul modello del counselling, che mira a sostenere l’allievo durante il percorso formativo e a prevenirne l’abbandono. (ISFOL 2000c: 202-203

Educazione degli adulti
inglese: adult education francese: éducation des adultes spagnolo: educación de adultos
1) Insieme di processi educativi organizzati, formali e non formali, riferiti a qualsiasi contenuto, argomento, livello e metodo, realizzati come prolungamento o sostituzione dell’educazione iniziale (scolastica/ accademica/professionale), ed attraverso i quali le persone considerate adulte, secondo i parametri delle società di appartenenza, arricchiscono i propri patrimoni di conoscenze, di qualificazioni tecniche e professionali ovvero li riconvertono in direzioni diverse, operando cambiamenti nei propri comportamenti nella duplice prospettiva di un completo sviluppo personale e di una partecipazione consapevole allo sviluppo culturale, economico, sociale (cfr.Titmus 1989).
2) Opportunità di studio e apprendimento rivolta agli adulti.
3) Settore specifico di studi entro le scienze della formazione da cui deriva la denominazione stessa della disciplina accademica.
4) Insieme complesso delle occasioni in cui l’adulto impara dalla vita e dalla propria in particolare ed apprende in relazione ai propri più intimi bisogni affettivi, intellettuali, cognitivi, religiosi o latamente spirituali e non più, soltanto, dal mondo che lo circonda.

Nei paesi anglofoni il significato del termine esclude quello d’educazione professionale (vocational) e si distingue dal significato italiano d’educazione degli adulti. Nella tradizione italiana l’educazione degli adulti abbraccia tutte le opportunità e quindi anche la formazione professionale, perché collega, senza distinzioni, il termine educazione a quello d’adulto. A partire dalla fine degli anni’90 in Italia vengono promossi progetti per lo sviluppo dell’EDA su iniziativa governativa ed attraverso l’accordo con le parti sociali. La Conferenza Unificata Stato-Regioni del 2 marzo 2000 prefigura assi di sviluppo che valorizzano le attuali linee di tendenza, mette a punto gli strumenti operativi, traduce nei fatti gli obiettivi strategici propri del settore EDA e “ne legittima la funzionale complementarità nella costruzione di un sistemico quadro di convergenza fra politiche educative, formative, economiche e sociali” (Federighi 2000:1). 
1) Ciò che appare comunque interessante è l’individuazione come prioritaria – tra i diversi possibili obiettivi dell’educazione degli adulti – della propensione ad imparare. (Alberici 1999: 54)
2) L’educazione degli adulti è uno strumento indispensabile per incoraggiare uno sviluppo che non turbi l’equilibrio ambientale, per promuovere il valore della democrazia, della giustizia, dell’uguaglianza fra i diversi, per favorire il progresso scientifico, sociale ed economico, per costruire un mondo dove la cultura della pace e del dialogo sostituiscono la violenza. (UNESCO 1997)
3) “La relazione tra educazione e età adulta ci appare declinabile in tre macro dimensioni: l’educazione permanente (piano comprensivo e strategico); l’educazione degli adulti (piano intenzionale e istituzionale) che include educazione professionale, personale ecc; l’educazione in età adulta (piano fenomenologico e esistenziale.” (Demetrio 1997: 3)
Esclusione sociale
inglese: social exclusion francese: exclusion sociale spagnolo: exclusión social
1) Processo discriminatorio che colloca individui o parti di popolazione in condizione di marginalità e che si determina in relazione al genere, all’origine etnica o alla collocazione nella società.

1) “Talora si sostiene che alcune forme di esclusione sociale potrebbero essere superate con programmi di educazione.” (Jarvis 1999: 171)
2) “Le forme di esclusione dei nostri tempi e quelle possibili del futuro prossimo passano attraverso vie precise e prendono prevalentemente la forma della mancata inclusione.” (Alberici 1999: 55)

Fabbisogno formativo
inglese: training needs francese: besoins de formation du contexte socio-économiques spagnolo: demanda de formación
1) Insieme di conoscenze ed abilità, che in un contesto lavorativo ed in situazioni specifiche, sono considerate indispensabili dal sistema produttivo, che quindi le indica come obiettivi della formazione della forza lavoro.

1) La struttura dell’occupazione è un indicatore molto mediato dei fabbisogni formativi. (Alberici 1999: 57)
2) “Il fabbisogno formativo rappresenta i contenuti degli interventi formativi formulati a partire dai bisogni emergenti.” (http://cnv.cpr.it/formazione/glossario.html

Formazione continua
inglese: continuing training francese: formation continue spagnolo: formación continua
1) Attività formativa rivolta ai soggetti adulti, occupati o disoccupati al fine di adeguarne o di elevarne il livello professionale.
Nel quadro generale di evoluzione delle linee di intervento pubblico, a vantaggio della formazione continua per i lavoratori occupati, sono nati i fondi interprofessionali che, gestiti direttamente dalla Parti sociali con la vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, andranno progressivamente ad integrare gli interventi a carattere nazionale, rafforzando la programmazione regionale cofinanziata dal Fondo Sociale Europeo. Tali fondi finanzieranno piani formativi, aziendali, territoriali ed individuali concordati tra le Parti sociali. 

1) “La formazione continua è una attività formativa rivolta ai soggetti adulti, occupati e disoccupati, con particolare riferimento all’attività cui il lavoratore partecipa per autonoma scelta, al fine di adeguare o di elevare il proprio livello professionale ed agli interventi formativi promossi dalle aziende in stretta connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo.” (ISFOL 2001g: 31)
2) “Gli scambi mediante internet renderanno possibile il trasferimento di modelli di formazione appositamente creati per la formazione continua.” (http://www.isfol.it/BASIS/web/prod/document/DDD/fc
homeat.html
Modulo
inglese: module francese: module spagnolo: mòdulo
1) Segmento autonomo per finalità, contenuti e metodologie, che costituisce l’architettura didattica di insegnamento–apprendimento e che può essere collegato ad altri segmenti al fine di costruire un percorso o più percorsi formativi.

1) La progettazione delle attività formative ha il compito di determinare in modo chiaro gli obiettivi operativi della formazione e i contesti formativi, descrivendo in moduli (UE, MLPS, ISFOL 2000: 24)
2) ""Il modulo rappresenta una unità formativa autosufficiente in grado di promuovere saperi molari e competenze"". (Domenici 1999: 129)

Motivazione estrinseca
inglese: extrinsic motivation francese: motivation extrinsèque spagnolo: motivación externa
1) Tendenza della persona che si impegna in una attività di studio pensando al premio, all’apprezzamento o all’approvazione degli altri e cercando di evitare rimproveri o punizioni.

La persona che studia con motivazioni estrinseche è portata ad attribuire a cause incontrollabili (la fortuna, gli insegnanti troppo buoni o che non sanno spiegare, promozioni arbitrarie o pilotate) i risultati scolastici o professionali conseguiti. La pedagogista americana D.J. Stipek menziona due delle manifestazioni della motivazione estrinseca che ne lasciano intendere la natura:
·  percezione e convinzioni di controllo esterno;
·  attribuzione del proprio successo o insuccesso a cause non dipendenti o controllabili dalla propria responsabilità.
Per esempio, un alunno che, motivato estrinsecamente, ottiene un punteggio alto, dimostra di non essere orientato alla padronanza di ciò che studia, di studiare non per soddisfare il proprio bisogno di apprendimento, di preoccuparsi eccessivamente di far contenti i genitori o gli insegnanti, e nello stesso tempo è portato ad affermare di non poter rimuovere autonomamente le cause dei propri fallimenti. Analogamente un adulto che, motivato estrinsecamente, ottiene una promozione o raggiunge un obiettivo professionale arduo, dimostra di lavorare non per migliorare le proprie qualità personali, ma soprattutto per ricevere il riconoscimento del datore di lavoro o del capo, per ottenere una maggiore retribuzione economica, per riconoscersi o essere migliore dei colleghi ecc. (Stipek 1996)
1) “Le esigenze del lavoro e della vita associata, nonché un modo fondamentalmente errato di concepire l’insegnamento e l’educazione, hanno determinato la comparsa di motivazioni estrinseche all’attività stessa.” (Smeriglio 1987: 845)
2) “La motivazione estrinseca è ben rappresentata dalla teoria comportamentista del rinforzo, dove il rinforzo è lo stimolo in grado di modulare la frequenza di un dato comportamento.” (De Beni, Moè 2000: 35)

Motivazione intrinseca
inglese: intrinsic motivation francese: motivation intrinsèque spagnolo: motivación interna
1) Tendenza della persona che si impegna in una attività di studio per propria scelta, per il puro piacere di conoscere, per appagare il bisogno di apprendimento e la curiosità intellettuale.

Questo comportamento non necessita di supporti o sostegni esterni. La persona che studia con motivazioni intrinseche è portata ad attribuire a cause interne controllabili (la preparazione intellettuale, la gestione delle emozioni, le condizioni psico-fisiologiche ecc.) i risultati scolastici o professionali conseguiti. Secondo De Beni e Moè, all’interno del filone della motivazione intrinseca esistono diversi aspetti quali la curiosità epistemica, la motivazione di effectance, l’autodeterminazione, l’esperienza di flusso e l’interesse. La curiosità epistemica si riferisce al bisogno di conoscere. La motivazione di effectance si riferisce al bisogno di essere competenti. L’autodeterminazione consiste nella libera scelta di affrontare un certo compito o di lavorare con determinati materiali. Nell’esperienza di flusso la concentrazione riguardo ciò che si sta facendo è talmente elevata da alterare la percezione del tempo. L’interesse può essere inteso come l’interazione tra il soggetto interessato e una situazione interessante. Il coinvolgimento in una situazione interessante riduce la richiesta di risorse attentive, impiegabile per la comprensione, e aumenta alcuni aspetti positivi della situazione di apprendimento, ad esempio il piacere nell’esecuzione del compito. (De Beni, Moè 2000)
“Secondo le teorie della motivazione intrinseca esiste un bisogno di apprendere svincolato dai rinforzi e dai risultati ottenuti o ottenibili.” (De Beni, Moè 2000: 41)

Multiculturalità
inglese: multiculturality francese: multiculturalité spagnolo: multiculturalidad
1) Situazione in cui due o più gruppi etnico-culturali diversi sono compresenti in un medesimo tessuto socio-economico, circoscritto dai confini territoriali di un Paese o di una parte di esso.
La multiculturalità non implica necessariamente l’interazione tra i diversi gruppi etnici coabitanti, ma rileva la semplice coesistenza di questi in un medesimo territorio. La formazione delle società multiculturali in Europa si verificò nel corso della seconda metà del XX secolo. Si possono indicare tre fasi delle migrazioni internazionali che determinarono la loro costituzione: 1) la prima fase, dal 1950 al 1970, a motivo della ricostruzione postbellica è stata caratterizzata da una migrazione di lavoro, con una domanda di manodopera e una politica che favoriva l’immigrazione da parte di paesi come la Germania, la Francia, l’Inghilterra. Gli emigranti, legati a contratti stagionali, provenivano invece, prevalentemente, dall’area comunitaria europea e tendevano a rientrare nel paese di origine appena possibile; 2) la seconda fase, dal 1970 al 1980, per la crisi economica causata dalla crisi petrolifera e dalla nuova divisione internazionale del lavoro, registra un’inversione di tendenza nelle politiche migratorie (emigrazione nei paesi di origine). Flussi migratori per ricongiungimento familiare e povertà, non sempre legali, coinvolgono anche altri paesi prima interessati al fenomeno in forma passiva: Italia, Spagna, Grecia, Portogallo da paesi di emigranti diventano paesi di accoglienza di extracomunitari africani, mediorientali, asiatici, ma anche cileni, brasiliani, portoricani, ecc.; 3) la terza fase, dal 1980 al 1990, è caratterizzata da una fuga verso la sopravvivenza (CENSIS, 1979) di enormi flussi di migranti provenienti dai paesi sottosviluppati, attanagliati dai problemi di esplosione demografica, dissesto economico, ecologico, politico, sociale e culturale. Le migrazioni finiscono così di essere un fenomeno esclusivamente economico e diventano un fenomeno socio-culturale e un drammatico problema politico sia per i paesi di immigrazione che per quelli di emigrazione. All’interno di questo processo vanno considerati anche i rifugiati politici che chiedono asilo provenienti da paesi distrutti da guerre etniche e tribali e, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo del sistema politico dell’URSS nel 1989, anche dall’Europa dell’Est e dai paesi che gravitavano nell’orbita sovietica. 

La multiculturalità […] riguarda la messa a fuoco delle culture, la scoperta polifonica di tradizioni, culture, civiltà, patrimoni […].  (Bolognari 2003: 105)

Occupabilità
inglese: employability francese: emploi spagnolo: empleo
1) Condizione soggettiva che riguarda competenza, esperienza, abilità, che rendono possibile l’inserimento lavorativo e che vanno intese come modalità dello sviluppo della capacità contrattuale della persona sia nel primo ingresso nel mercato del lavoro sia in relazione a ruoli ricoperti all’interno di una organizzazione.

1) “L’occupabilità, vale a dire la capacità di trovare e conservare il posto di lavoro, costituisce, di conseguenza, una dimensione essenziale della cittadinanza attiva, ma è anche la premessa determinante per ottenere la piena occupazione, per migliorare la competitività dell’Europa e garantirne la prosperità nella nuova economia. (CE Memorandum 30/10/2000)
2) Sia l’occupabilità che una cittadinanza attiva richiedono conoscenze e competenze aggiornate ed appropriate che consentano di prendere parte e contribuire alla vita economica sociale. (CE Memorandum 30/10/2000)

            Repertorio delle professioni
inglese: classification of occupation francese: répertoire des professions spagnolo: repertorio de las profesiones
1) Strumento che classifica le professioni ed ha come obiettivo la costruzione e l’aggiornamento di sistemi di supporto alle politiche del lavoro e della formazione.

“Il progetto repertorio delle professioni ISFOL si sta concentrando sulla realizzazione di rapporti specifici su un certo numero di aree professionali, per sviluppare un nuovo sistema di classificazione delle aree e delle professioni, queste ultime specificate in termini di competenze. (ISFOL 2000c: 66)

Standard minimo di competenza
inglese: minimal standard of competence francese: standard minimum de compétences spagnolo: nivel minimo de competencias
1) Livello minimo in esito ai percorsi formativi, specificato in termini di competenze verificabili e certificabili, che può essere riconosciuto, a sé stante, come credito formativo.
La definizione degli standard minimi delle competenze, incluse le modalità di verifica e la certificazione sono oggetto di concertazione istituzionale. (C.U. 4 aprile 2001: art. 5)

Storia di vita
inglese: life history francese: histoire de vie spagnolo: anamnesis , historia de vida
1) Metodologia di ricerca qualitativa, usata nelle scienze sociali, che si basa sulla narrazione in prima persona di chi è, o è stato, protagonista degli eventi che sono oggetto del racconto.
2) Metodologia di formazione in educazione degli adulti che prevede la produzione dei racconti riferiti all'esperienza vissuta.
Questa metodologia è stata messa a punto negli anni ‘30. Utilizza interviste e racconti in una prospettiva teorica di ermeneutica fenomenologica entro discipline quali la psicologia, l’antropologia, la sociologia. A partire dagli anni ‘70 si arricchisce di prospettive nuove: studi femministi, studi di genere, studi sulla sessualità ecc. (cfr. Bateson 1990; Foucault 1966; Watson 1978)
1) Le storie di vita […] quasi sempre illuminano alcuni aspetti della vita sociale e morale che noi possiamo aver conosciuto fino a quel momento solo indirettamente, per mezzo di statistiche o discorsi astratti. (Park 1929: 25)
2) Le storie di vita sono e fanno formazione, per un obiettivo autoconoscitivo e per un obiettivo trasformativo. (Demetrio 1997)

Sussidiarietà
inglese: subsidiarity francese: subsidiarité
1) Principio secondo cui le funzioni pubbliche sono svolte dai soggetti più vicini ai bisogni della popolazione.
2) Principio secondo cui, tra i vari agenti che possono intervenire per dare una risposta ai bisogni individuali e collettivi, è più efficace l’ente o l’amministrazione più vicina alla necessità da soddisfare ed ai territori di competenza.

Il termine deriva dal latino (subsidium, ''aiuto''). Nasce come principio nell’ambito del pensiero sociale cristiano. L’acquisizione del principio di sussidiarietà alle fondamenta dell’ordinamento giuridico europeo avviene con la disciplina dettata dall’articolo 3B del Trattato di Maastricht del 1992 sull’Unione europea, che sistematizza concetti già presenti nella relazione sull’Unione europea presentata dalla Commissione al Consiglio nel 1975, e nella proposta Spinelli del 1984. In tempi recenti la sussidiarietà è diventata metodologia giuridico-istituzionale ed il termine è molto diffuso fra coloro che vogliono riformare l’Amministrazione pubblica. In Italia tale principio è presente nella Legge costituzionale del 18 ottobre 2001 n.3. 
Stato, Regioni, Province, città metropolitane e Comuni favoriscono l''autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. (Legge cost. 3/2001)

Terzo settore
inglese: independent sector francese: troisième secteur spagnolo: terzero sector
1) Insieme di imprese sociali che producono, in modo stabile e continuativo, beni e servizi d’uso e di interesse sociale creando anche opportunità di lavoro.

Le organizzazioni del terzo settore svolgono alcune funzioni basilari per il mantenimento delle società democratiche, dando voce al disagio sociale, mettendo in discussione ingiustizie e abusi di potere anche istituzionali e offrendo assistenza a immigrati, ai poveri, a soggetti deboli. Queste organizzazioni sono al servizio di milioni d’uomini appartenenti a comunità locali di tutto il mondo e, più d’ogni altra istituzione, si preoccupano di conservare e promuovere le culture locali. 

1) Nel caso del terzo settore […] esso si definisce così perché è qualcosa di diverso dal primo (lo Stato) e dal secondo (il mondo produttivo privato). (Florenzano 1998: 193)
2) Il terzo settore è il luogo in cui la gente crea e mette in pratica i valori condivisi a cui decide di ispirare la propria vita. (Rifkin 2001: 325)
3) Svolgere l''intera formazione dai quindici ai diciotto anni attraverso periodi di studio e di lavoro sotto la responsabilità dell''istituzione scolastica o formativa, sulla base di convenzioni con imprese [...] o con enti pubblici o privati ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio. (Legge Delega 1036/2002)
Tirocinio formativo
inglese: training course francese: stage de formation spagnolo: periodo de practicas formativo
1) Esperienza formativa destinata a fornire al tirocinante la preparazione professionale attraverso l’acquisizione di conoscenze e capacità operative contestualizzate in uno specifico ambito lavorativo, allo scopo di verificare, integrare o rielaborare quanto già appreso in aula.
Può essere collocato tra la fine degli studi e l’inizio dell’attività professionale oppure può avere lo scopo di completare la formazione, di rinforzarla o riciclare le competenze di un soggetto già precedentemente occupato. È promosso da istituzioni formative al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro. 
1) Governo e parti sociali concordano sulla necessità di estendere i tirocini formativi in tutti i percorsi di istruzione e formazione. (ISFOL 1999a: 51)
2) “I tirocini formativi possono essere promossi anche da istituzioni formative private non aventi scopo di lucro.” (MLPS D.M. 142/1998: 37)

Training on the job
francese: formation sur le travail italiano: apprendimento sul lavoro
1) Formazione dei partecipanti-allievi che si sviluppa attraverso l’iniziazione al lavoro (spiegazione ed illustrazione della prestazione) e all’addestramento in merito alle abilità operative e che prevede l’affiancamento ad un adulto esperto.
1)  Il training on the job si basa sul principio secondo il quale l’uomo apprende di continuo sul lavoro attraverso l’osservazione e l’applicazione pratica. In tal senso costituisce forse la prima tecnica utilizzata nell’ambito della formazione professionale. (Rotondi 2000: 209)
2)  Oggi il training on the job è inteso anche nell’accezione di ''preformazione'', perché non solo apre allo sviluppo, attraverso i momenti di socializzazione e condivisione dei saperi, ma predispone momenti di autodirezionalità del soggetto, chiamato a progettare e perseguire un suo personale progetto di crescita globale. (Pinna 2003: 41)
“[…] il training on the job costituisce un processo di socializzazione fondato sulla condivisione di esperienze e di creazione di forme di conoscenze tacite, quali modelli mentali e abilità tecniche in azienda”. (Pinna 2003: 39)
Tutor formativo
inglese: training tutor francese: tutor de formation spagnolo: tutor de formación
1) Figura chiave, nell’ambito di un processo educativo/formativo, che opera per supportare il percorso di apprendimento individualizzato degli allievi e per contribuire a rendere efficace, in collaborazione con i docenti, l’attività didattica.

Nel linguaggio pedagogico sta a indicare la figura e il ruolo di chi sostiene in modo personalizzato l’apprendimento degli alunni. Mentre l’insegnante conduce la sua attività di istruzione e di formazione sull’intera classe. Il tutor formativo ha il compito di:
·  ideare le attività relative alla preparazione, all’assistenza ed al monitoraggio del tirocinio, ai rientri in formazione e alla valutazione, stabilendo per ognuna contenuti, metodi di lavoro, strumenti, tempi di realizzazione, apporto di eventuali esperti esterni;
·  progettare la permanenza in azienda, stendendo per ciascuno studente il progetto formativo di tirocinio, individuando insieme al responsabile aziendale le attività che verranno svolte nel periodo di presenza nel luogo di lavoro e garantendo la coerenza tra la proposta di tirocinio e le competenze apprese nel percorso formativo;
·  procedere all’abbinamento studente/azienda;
·  intervenire per far fronte a momenti di difficoltà personale dei tirocinanti;
·  predisporre le attività inerenti il momento dell’accoglienza in azienda;
·  condurre le attività progettate. Inoltre il tutor formativo gestisce, con il supporto del tutor aziendale, l’attività di assistenza e monitoraggio del tirocinio che viene svolta durante il periodo di presenza del tirocinante in azienda. 
“L’attività del tutor formativo si esplica e si caratterizza come aiuto ai singoli alunni per facilitare l’apprendi-mento e per consentire il superamento di difficoltà di adattamento generale/particolari.” (ISFOL 2001i: 51)

Tutor formativo di stage
inglese: stage tutor francese: tutor de stage spagnolo: tutorial de formación practicas
1) Persona responsabile della progettazione operativa del tirocinio, della gestione e delle attività che opera in stretta sinergia con il responsabile aziendale.

 “L’incarico di tutor formativo di stage deve investire uno o più docenti dei moduli formativi che abbiano espresso la propria disponibilità e che possiedano, avendo partecipato alla progettazione delle attività, una buona conoscenza delle competenze di fine corso collegate al profilo professionale di riferimento”. (ISFOL 1999a: 18)
Tutore aziendale
inglese: tutor in the enterprise francese: tutor d'entreprise spagnolo: tutor de empresa
1) Persona responsabile del percorso formativo dell’apprendista sul luogo di lavoro, che esprime valutazioni sulle competenze acquisite dall’apprendista ai fini dell’attestazione finale rilasciata dal datore di lavoro al termine del periodo di apprendistato.
Al tutore aziendale spetta il compito di seguire l’allievo in varie fasi: dalla presentazione della struttura aziendale, all’individuazione delle varie aree o comparti, alla descrizione delle operazioni lavorative previste nel settore in cui il tirocinante dovrà operare, in collaborazione con il personale addetto alle varie funzioni. Nell’ambito del sistema formativo dell’apprendistato la normativa definisce la figura del tutore aziendale introducendo l’obbligo per le imprese di comunicare alla Regione le caratteristiche del tutore. 

“[…] L’art. 16 della Legge 196/1997 ha istituito la figura del tutore aziendale […] che ha il compito […] di curare l’integrazione tra le iniziative formative esterne all’azienda e la formazione sul luogo di lavoro: a tal fine provvede ai necessari raccordi con la struttura di formazione esterna allo scopo di valorizzare il percorso di apprendimento in alternanza.” (ISFOL 2001e: 16)

Validazione degli apprendimenti
inglese: validation of non-formal and informal learning francese: validation des acquis de l'expérience
1) Processo di valutazione e riconoscimento di conoscenze, abilità e capacità che gli individui hanno acquisito nel corso della propria vita, indipendentemente dai contesti di acquisizione, ai fini della loro certificazione e registrazione sui dispositivi in uso (libretto formativo, Europass).
2) Processo di valutazione delle abilità e capacità, di cui le conoscenze sono la veste contenutistica, finalizzato alla certificazione della operazionalità che si può esprimere anche attraverso conoscenze diverse e diversamente acquisite. Nei percorsi integrati istruzione/formazione ciò significa declinare gli standard formativi in livelli di apprendimento, in modo che tali standard possano acquisire trasparenza e valore riconosciuto nell’ambito dei percorsi di studio e della formazione professionale, favorendo i rientri e la mobilità all’interno e tra i sistemi di istruzione e formazione professionale. La validazione in tal caso fonda la progressione verticale (a scuola e nella formazione professionale), i passaggi tra indirizzi, ordini di studio e sistemi formativi ed i rientri in formazione non sull’età o sul tempo trascorso in formazione, ma su standard formativi effettivamente acquisiti.

La Dichiarazione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale (Dichiarazione di Copenaghen, adottata dai Ministri dell''''Istruzione di 31 paesi europei e la Commissione europea, nel novembre 2002), richiama, tra le altre, la necessità di elaborare una serie di principi comuni per garantire una maggiore compatibilità fra gli approcci seguiti dai diversi paesi, ai vari livelli, per la validazione degli apprendimenti non formali ed informali. In questa prospettiva il concetto di apprendimento puntualizza il risultato atteso (l’acquisizione di competenze) ed il processo per ottenerlo (sviluppo delle capacità individuali di apprendere). Il documento della Commissione europea, del marzo 2004, sui comuni principi europei per la validazione degli apprendimenti non formali ed informali individua 6 grandi temi attorno ai quali è necessario organizzare questi principi comuni: lo scopo della validazione, il coinvolgimento dell’individuo, le responsabilità delle istituzioni e degli stakeholders, la confidenzialità, verità e correttezza delle informazioni, l’imparzialità e la credibilità e legittimità del processo di validazione.  (Commissione europea 3 marzo 2004)
“La validazione degli apprendimenti non formali ed informali è […] un elemento chiave per rendere l’apprendimento più attraente e rilevante.” (Commissione europea 3 marzo 2004)

Valutazione delle competenze
inglese: skills evaluation
1) Azione o processo attraverso cui una persona, sulla base di determinati obiettivi professionali e personali, valuta le proprie competenze, ricostruisce il proprio repertorio di abilità e risorse, ne stabilisce il livello di adeguatezza e progetta eventuali itinerari di sviluppo.

La valutazione delle competenze non è una nuova metodologia di valutazione delle prestazioni. Costituisce piuttosto una diversa modalità di gestione e sviluppo delle risorse umane in cui le competenze sono una forma di estrinsecazione a livello umano della visione della missione aziendale. (Fertonani 2001: 141)
La valutazione delle competenze si configura come autovalutazione che persegue l’obiettivo di sviluppare consapevolezza del patrimonio di risorse e abilità possedute dal soggetto. (Selvatici, D’Angelo 1999: 42)

Valutazione
inglese: evaluation francese: évaluation
1) Processo che permette di accertare il risultato di un intervento formativo, di una lezione, di un corso, di un curricolo, e che si può realizzare come valutazione sommativa, formativa e d’impatto.
2) Il risultato di tale processo.
3) Processo di sintesi finalizzato a comprendere la verità e la diversità qualitativa dei processi formativi attraverso una interpretazione condotta sulla base dei valori e dei significati attribuiti in modo individuale e collettivo.

1)  Settore relativamente recente della ricerca in EDA, ha acquisito rilevanza negli ultimi decenni del secolo scorso in relazione al consolidarsi di progetti globali di società della conoscenza e del sapere in cui l''apprendimento deve divenire una opportunità a disposizione di tutti e per tutte le età. I programmi rivolti a gruppi particolari (minoranze etniche, gruppi marginali, lavoratori adulti che rischiano l''obsolescenza delle competenze, livelli medi ed alti delle professioni e del management) devono essere valutati. 
2)  Attualmente più che valutare un programma (considerato come oggetto chiuso, definito, statico) prima e dopo la sua utilizzazione si punta alla valutazione in fieri delle attività di programmazione, di progettazione, di gestione organizzativa e applicativa, ossia di quelle attività che costituiscono i processi formativi. (Tessaro 1998: 15)
3)  In particolare, nell’ambito dei processi formativi rivolti agli adulti, la valutazione dimostra un’evidente scissione tra l’area della formazione professionale e l’area della formazione aziendale. Mentre nel campo della formazione professionale l’impostazione prevalente della valutazione è di tipo politico-economica (valutazione che utilizza metodi e strumenti statistici, modelli econometrici quantitativi) piuttosto che pedagogico-didattica, in ambito aziendale, la valutazione è prevalentemente intesa come valutazione finale, con funzione diagnostica, tesa a fornire informazioni e conoscenze sullo svolgimento delle azioni formative. (Moro 1998: 191)
La rassegna di 200 abstract ERIC (Educational Resources Information Center) indica l''alfabetizzazione funzionale degli adulti, seguita da programmi di formazione per il lavoro, come fonte più usata per la valutazione dell''educazione degli adulti. (Wolf 1996: 841)

Valutazione esterna
inglese: external evaluation francese: évaluation externe spagnolo: evaluación externa
1) Azione di valutazione, affidata a soggetti o enti non direttamente coinvolti, che riguarda gli aspetti di congruità tra progetto formativo, esiti formativi ed occupazionali, qualità del percorso formativo del progetto in generale, prestazioni dei formatori e delle strutture formative, grado e modalità di integrazione dei soggetti coinvolti.
2) Azione valutativa condotta da una persona esterna, al fine di assicurare un giudizio più affidabile e distaccato.

La valutazione esterna colloca la valutazione a livello di sovrasistema, valuta l’impatto, il reale effetto provocato sul contesto dall’intervento formativo. In questo senso verifica la coerenza tra processo formativo e processo organizzativo e mira a conoscere in che misura l’intervento realizzato abbia modificato una situazione preesistente. Si presenta come attività di raccolta dati per analizzare i cambiamenti organizzativi, relativi ai sistemi sociali, territoriali, produttivi, realizzati attraverso l’evento formativo. Costituisce una ricerca tesa a determinare in che misura la formazione abbia contribuito a risolvere i problemi per i quali era stata individuata come soluzione e quali sono i nuovi bisogni che ha generato. Sulla base del criterio dell’efficacia, punta ad analizzare il raggiungimento degli obiettivi ed interpreta la (eventuale) deviazione dai risultati attesi, tenendo conto delle trasformazioni intervenute nell’ambito dei processi di esplicitazione ed attuazione delle politiche, degli attori e dei loro comportamenti. (Castellano 1995: 110)

1) La valutazione esterna dei percorsi IFTS, […] [è affidata], nei rispettivi ambiti, al comitato regionale e al CNP. (Bertelli 2001: 80)
2) La misura F.2 si pone l’obiettivo di attivare una serie di opportune e necessarie azioni di informazione, pubblicità e valutazione indipendente nell''attuazione del programma da parte di un organismo di valutazione esterna. (MLPS, FSE, PON 2000-2006: ob. 3 Misura F.2)

Valutazione intermedia
inglese: intermediate evaluation francese: évaluation intermédiaire spagnolo: evaluación intermedia
1) Valutazione delle competenze acquisite al termine di una o più unità capitalizzabili o di moduli intermedi effettivamente conclusi previsti dal progetto e attestati mediante il certificato intermedio.
È realizzata tramite prove di verifica interna a cura dei docenti e formatori coinvolti nella didattica integrata. Tale valutazione è effettuata per una spendibilità all’interno di uno stesso contesto formativo, al fine di completare in un momento successivo il percorso IFTS parzialmente intrapreso o per una spendibilità in ulteriori contesti di formazione lavoro. 
La valutazione intermedia prende in considerazione i primi risultati degli interventi, la loro pertinenza e il grado di conseguimento degli obiettivi. (Regolamento CE 1260/1999: art. 42 comma 1)

Valutazione interna
inglese: internal evaluation of a training course francese: évaluation interne des parcours de formation spagnolo: evaluación intermedia en el camino de formación
1) Azione di valutazione condotta con diversi strumenti (prove di verifica di fine modulo, valutazione per insiemi di competenze, autovalutazione ecc.) durante e/o alla conclusione di un'attività formativa che prevede il coinvolgimento dei formatori e degli stessi corsisti.

La valutazione interna si riferisce ad un livello individuale. Sostanzialmente valuta l’apprendimento. Il focus di attenzione è costituito dai fatti individuali; il risultato da misurare è rappresentato dal cambiamento del sistema di competenze degli attori a seguito dell’intervento formativo. In questo senso si parla di valutazione dell’efficacia formativa che può essere condotta ex-ante, confrontando gli obiettivi raggiunti con i risultati attesi, ed ex-post, alla fine dell’intervento formativo considerando gli esiti formativi, lo scarto tra i risultati ottenuti e i risultati attesi. (Castellano 1995: 106)

La valutazione interna dei progetti formativi è finalizzata a verificare se i risultati corrispondono alle attese, nonché a mettere in luce i punti deboli sui quali rimodellare il processo realizzato. (Bertelli 2001: 80)

Validazione degli apprendimenti
inglese: validation of non-formal and informal learning francese: validation des acquis de l'expérience
1) Processo di valutazione e riconoscimento di conoscenze, abilità e capacità che gli individui hanno acquisito nel corso della propria vita, indipendentemente dai contesti di acquisizione, ai fini della loro certificazione e registrazione sui dispositivi in uso (libretto formativo, Europass).
2) Processo di valutazione delle abilità e capacità, di cui le conoscenze sono la veste contenutistica, finalizzato alla certificazione della operazionalità che si può esprimere anche attraverso conoscenze diverse e diversamente acquisite. Nei percorsi integrati istruzione/formazione ciò significa declinare gli standard formativi in livelli di apprendimento, in modo che tali standard possano acquisire trasparenza e valore riconosciuto nell’ambito dei percorsi di studio e della formazione professionale, favorendo i rientri e la mobilità all’interno e tra i sistemi di istruzione e formazione professionale. La validazione in tal caso fonda la progressione verticale (a scuola e nella formazione professionale), i passaggi tra indirizzi, ordini di studio e sistemi formativi ed i rientri in formazione non sull’età o sul tempo trascorso in formazione, ma su standard formativi effettivamente acquisiti.

La Dichiarazione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale (Dichiarazione di Copenaghen, adottata dai Ministri dell''''Istruzione di 31 paesi europei e la Commissione europea, nel novembre 2002), richiama, tra le altre, la necessità di elaborare una serie di principi comuni per garantire una maggiore compatibilità fra gli approcci seguiti dai diversi paesi, ai vari livelli, per la validazione degli apprendimenti non formali ed informali. In questa prospettiva il concetto di apprendimento puntualizza il risultato atteso (l’acquisizione di competenze) ed il processo per ottenerlo (sviluppo delle capacità individuali di apprendere). Il documento della Commissione europea, del marzo 2004, sui comuni principi europei per la validazione degli apprendimenti non formali ed informali individua 6 grandi temi attorno ai quali è necessario organizzare questi principi comuni: lo scopo della validazione, il coinvolgimento dell’individuo, le responsabilità delle istituzioni e degli stakeholders, la confidenzialità, verità e correttezza delle informazioni, l’imparzialità e la credibilità e legittimità del processo di validazione.  (Commissione europea 3 marzo 2004)
“La validazione degli apprendimenti non formali ed informali è […] un elemento chiave per rendere l’apprendimento più attraente e rilevante.” (Commissione europea 3 marzo 2004)

Normativa comunitaria

Commissione europea Direzione Generale Istruzione e Cultura, 2000, Agenda 2000 Rafforzare e ampliare l’Unione europea, Lussemburgo.
Commissione delle Comunità Europee, 30 ottobre 2000, Documento di lavoro dei servizi della commissione, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Bruxelles.
Commissione delle Comunità Europee, 21 novembre 2001, Realizzare uno spazio europeo dell'apprenidmento permanente, Bruxelles.
Commissione europea, Direttiva n. 51 del 18 giugno 1992.
Consiglio Europeo Lisbona 23 e 24 Marzo 2000, Conclusioni Della Presidenza, in http://www.europarl.eu.int/summits/lis1_it.htm.
Consiglio europeo, Risoluzione del 3 dicembre 1992, Trasparenza delle qualifiche professionali.
Consiglio europeo, Risoluzione del 5 luglio 1996, Trasparenza dei certificati di formazione professionale.
Consiglio europeo, Decisione del Consiglio d'Europa del 21 dicembre 1998, in vigore dal 1 gennaio 2000.
Commissione europea, Decisione del 27 luglio 2000 che stabilisce l’elenco delle zone  cui si applica l’ob. 2 dei fondi strutturali in Italia per il periodo 2000-2006 (GU CE L. n. 223 del 4 settembre 2000).
Commissione europea, Raccomandazione dell'11 marzo 2002 (modello di curriculum vita europeo) (GU CE 22 marzo 2002).
Regolamento CE n. 1260 del 21 giugno 1999 del Consiglio, recante disposizioni generali  sui Fondi strutturali (GU CE L. n. 161 del 26 giugno 1999).
Regolamento CE n. 1784 del 12 luglio 1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al Fondo Sociale Europeo (GU CE L. n. 213 del 13 agosto 1999).
Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee del 22 giugno 2001.
Documento conclusivo del seminario del semestre europeo, Venezia 19-20 novembre 2003.
Meeting Europeo di Barcellona, novembre 2002.

Normativa nazionale

Accordo per il lavoro Governo/parti sociali 24 settembre 1996.
Circolare n. 43 dell’8 giugno 1999, emanata dalla 6° Divisione dell’Ufficio centrale per l’orientamento e la formazione professionale dei lavoratori.
Conferenza Unificata Stato-Regioni e Stato-città ed autonomie locali, provvedimento del 2 marzo 2000. Accordo tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane, per riorganizzare e potenziare l'educazione permanente degli adulti (GU n. 147 del 26 giugno 2001).
Conferenza Unificata provvedimento del 14 settembre 2000, Accordo tra Governo, Regioni, province, comuni e comunità montane per la programmazione dei percorsi dell’istruzione e formazione tecnica superiore per l’anno 2000-2001 e delle relative misure di sistema a norma del Decreto Legislativo n. 281 del 28 agosto 1997.
Conferenza Unificata, 4 aprile 2001
Conferenza Unificata Stato-Regioni e autonomie locali, provvedimento del 1 agosto 2002, Accordo 1 agosto 2002: Programmazione corsi IFTS 2002/2003.
Conferenza Unificata MIUR, MLPS, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, province, comuni e comunità montane per la certificazione finale e intermedia e il riconoscimento dei crediti formativi (28 ottobre 2004)
Contratti Nazionali di Lavoro 1998- 2000, del 26 maggio 2001, L’educazione degli adulti nei contratti del comparto scuola.
Contratti Nazionali di Lavoro del 29 maggio 1999.
Decreto n. 436 del 31 ottobre 2000. Regolamento recante norme di attuazione dell'art. 69 della Legge n. 144 del 17 maggio 1999, concernente l'istruzione e la formazione tecnica superiore (IFTS) (GU n. 29 del 5 febbraio 2001).
Decreto Del Presidente della Repubblica n. 323 del 23 luglio 1998. Regolamento recante disciplina degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore, a norma dell'articolo 1 della Legge n. 425 del 10 dicembre 1997, (GU n. 210 del 9 settembre 1998).
Decreto del Presidente della Repubblica n. 275 dell’8 marzo 1999, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21, della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 (GU n. 186 del 10 agosto 1999).
Decreto del Presidente della Repubblica n. 442 del 7 luglio 2000. Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori, ai sensi dell'art. 20, c. 8 della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 (GU n. 36 del 13 febbraio 2001).
Decreto del Presidente della Repubblica n. 257 del 12 luglio 2000. Regolamento di attuazione dell’art. 68 della Legge n. 144 del 17 maggio 1999, concernente l’obbligo di frequenza di attività formative fino al diciottesimo anno di età (GU n. 216 del 15 settembre 2000).
Decreto Interministeriale n.142 del 25 marzo 1998. Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'art. 18 della Legge n. 196 del 24 giugno 1997, sui tirocini formativi e di orientamento.
Decreto Interministeriale n. 152 del 16 maggio 2001, Individuazione dei contenuti di formazione degli apprendisti di cui al D.P.R. n. 257 del 21 luglio 2000 (GU n. 120 del 25 maggio 2001).
Decreto Legislativo n. 319 del 1994, Attuazione della Direttiva 92/51 CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale  che integra la direttiva 89/48/CEE.
Decreto Legislativo n. 469 del 23 dicembre 1997. Conferimento alle Regioni e agli Enti Locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’art. 1 della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 (GU n. 5 del 8 gennaio 1998).
Decreto Legislativo n. 112 del 31 marzo 1998. Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione del capo 1 della Legge n. 59 del 15 marzo 1997 (Gazzetta n. 92 del 21 aprile 1998).
Decreto Legislativo n. 286 del 25 luglio 1998. Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (GU n. 191 del 18 agosto 1998).  
Decreto Legislativo n. 509 del 3 novembre 1999. Regolamento recante norme concernenti l'autonomia didattica degli atenei (GU n. 2 del 4 gennaio 2000).
Decreto Legislativo n. 181 del 21 aprile del 2000. Disposizioni per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in attuazione dell'art. 45 comma 1 Legge 144/99 (GU n. 154 del 4 luglio 2000).
Decreto Legislativo n. 185 del 21 aprile del 2000. Incentivi all’autoimprenditorialità e all’autoimpiego in attuazione dell’art. 45 comma 1 Legge 144/99 (GU n. 156 del 6 luglio 2000).
Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre del 2003. Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla Legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Supplemento ordinario n. 159) (GU n. 235 del 9 settembre 2003).
Documento tecnico – Programmazione dei percorsi IFTS per l’anno 2000/2001 e delle relative misure di sistema, 22 settembre 2000.
Legge n. 25 del 19 gennaio 1955. Disciplina dell'apprendistato (GU n. 35 del 14 febbraio 1955).
Legge n. 845 del 21 dicembre 1978. Legge quadro in materia di formazione professionale (GU n. 362 del 30 dicembre 1978).
Legge n. 863 del 1984. Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali (contratti di formazione-lavoro).
Legge n. 56 del 28 febbraio 1987. Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro (S.O. alla GU n. 51 del 3 marzo 1987).
Legge n. 390 del 2 dicembre 1991. Legge quadro nazionale sul diritto allo studio universitario (GU n. 291 del 12 dicembre 1991).
Legge n. 236 del 19 luglio 1993. Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione (art.9 sulla formazione continua) (GU n. 167 del 19 luglio 1993).
Legge n. 52 del 1996. Disposizioni per l’adeguamento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, legge comunitaria 1994.
Legge n. 608 del 28 novembre 1996. Legge nazionale misure straordinarie per la promozione del lavoro autonomo.
Legge n. 59 del 15 marzo 1997. Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa (Bassanini 1) (S.O. alla GU n. 63 del 17 marzo 1997).
Legge n. 127 del 15 maggio 1997. Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo(Bassanini 2) (S.O. alla GU n. 113 del 17 maggio 1997).
Legge n. 196 del 24 giugno 1997. Norme in materia di promozione dell’occupazione (Legge Treu) (GU n.154 del 4 luglio 1997).
Legge n. 440 del 18 dicembre 1997. Istituzione del fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi (GU n. 298 del 23 dicembre 1997).
Legge n. 191 del 16 giugno 1998. Modifiche ed integrazioni alle Leggi n. 59 del 15 marzo 1997, e n. 127 del 15 maggio 1997, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica” (Bassanini 3) (GU n. 142 del 20 giugno 1998).
Legge n. 9 del 20 gennaio 1999. Disposizioni urgenti per l’elevamento dell'obbligo di istruzione (GU n. 21 del 27 gennaio 1999).
Legge n. 144 del 17 maggio 1999. Ripubblicazione del testo della Legge 17 maggio 1999, n. 144, recante “Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali”, corredato delle relative note. (SO n.111 alla GU n. 136 del 12 giungo 1999).
Legge n. 30 del 10 febbraio 2000. Legge quadro in materia di riordino dei cicli d’istruzione (GU n. 44 del 23 febbraio 2000).
Legge n. 53 dell’8 marzo 2000. Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città (GU n. 60 del 13 marzo 2000).
Legge n. 144, Regolamento del 5 febbraio 2001. Documento FIS, sul sito del Ministero con adattamenti.
Legge n. 1036 del 13 novembre 2002, Delega in materia di norme generali sull’istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale.( approvata dal Senato della Repubblica).
 Legge n. 30 del 14 febbraio 2003. Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro (GU n. 47 del 26 Febbraio 2003).
Legge n. 53 del 28 marzo 2003. Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale (GU n. 77 del 2 aprile 2003).
Legge Costituzionale n. 3 del 18  ottobre 2001. Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione (GU n. 248 del 24 ottobre 2001).
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Decreto n. 142 del 25 marzo 1998. Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'articolo 18 della Legge n. 196 del 24 giugno 1997, sui tirocini formativi e di orientamento (GU n. 108 del 12 maggio 1998).
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Decreto dell’8 aprile 1998. Disposizioni concernenti i contenuti formativi delle attività di formazione degli apprendisti (GU n. 110 del 14 maggio 1998).
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Decreto del 28 febbraio 2000. Disposizioni relative alle esperienze professionali richieste per lo svolgimento delle funzioni di tutore aziendale, ai sensi dell'art. 16, comma 3, della Legge n. 196 del 24 giugno 1997, recante: “Norme in materia di promozione dell'occupazione” (GU n. 59 del 11 marzo 2000).
Ministero del Lavoro e Politiche sociali, Decreto n. 174 del 31 maggio 2001. Certificazione nel sistema della formazione professionale (GU n. 139 del 18 giugno 2001).
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Ministero della Pubblica Istruzione, Commissione europea, 2000-2006, La scuola per lo sviluppo.
Ministero della Pubblica Istruzione, Decreto n. 323 del 9 agosto 1999. Regolamento recante norme per l'attuazione dell'art. 1 della Legge n. 9 del 20 gennaio 1999, contenente disposizioni urgenti per l'elevamento dell'obbligo di istruzione (GU n. 218 del 16 settembre 1999).
Ministero della Pubblica Istruzione, Direttiva n. 238 del 19 maggio 1998.
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Patto per l’Italia Contratto per il lavoro Intesa per la competitività 5 luglio 2002.
Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione (firmato da Governo e OOSS), 22 dicembre 1998, Un’offerta integrata di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tecnologico.
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali, Rivalutazione per l'anno 2000 della misura degli assegni e dei requisiti economici, ai sensi degli artt. 65, comma 4, e 66, comma 4, della Legge n. 448 del 23 dicembre 1998 (GU n. 51 del 2 marzo 2000).
Proposta di regolamento in attuazione dell’art. 17 della Legge n. 126 del 24 giugno 1997 in materia di formazione professionale.
Rapporto di ricerca OECD-OCDE, DeSeCo, 2001, Defining and selechting key competencies, Hografe and Huber, Scattle, Toronto, Berna.
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Unione Europea, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISFOL, 2000, Elementi di progettazione integrata per la formazione di qualità, Roma.
Unione Europea, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISFOL, 2001(a), Le buone pratiche nella formazione iniziale, Roma.
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Unione Europea, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ISFOL, 2001(c), Strategie di successo per lo sviluppo del territorio, Roma.
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Testi di riferimento

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AA.VV., 1993, Formazione generale e reinserimento nel lavoro, guida metodologica Formazione ‘80, Torino.
AA.VV., 1999, Lo stage e il tirocinio, ISFOL, Roma.
Adultità, 1996, Semestrale sulla condizione adulta e i processi formativi, Il metodo autobiografico, n.4,Guerini e associati, Milano.
AIF, Associazione Italiana Formatori, 2001, Professione formazione, Franco Angeli.
Ajello A.M., Cevoli M., Meghnagi S., 1992, La competenza esperta, Ediesse, Roma.
Ajello A.M., Mastracci C., Meghnagi S., 2001, Orientare dentro e fuori la scuola, La Nuova Italia.
Alberici A., 1999, Imparare sempre nella società conoscitiva. Dall’educazione degli adulti all’apprendimento durante il corso della vita, Paravia, Torino.
Alberici A., 2002, Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondatori, Milano.
Alberici A., 2002, Prospettive epistemologiche, soggetti, apprendimento e competenze, in Demetrio D., Alberici A., (a cura di), Istituzioni  di educazione degli adulti, Guerini Studio, Milano.

 

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