Cobalto e leghe di cobalto

Cobalto e leghe di cobalto

 

 

 

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Cobalto e leghe di cobalto

 

Cobalto

Storia

L'etimologia del nome non è certa. Una prima ipotesi la fa risalire al greco kobaloV (miniera), anche se i più propendono per un'origine che si collega alla difficoltà, superate solo in questo secolo, di ottenere il metallo dai suoi minerali: è probabile infatti che i minatori nei secoli passati trovandosi tra le mani un minerale azzurrognolo simile a quelli da cui abitualmente veniva estratto il rame fossero preoccupati dal fatto che esso una volta  sottoposto agli usuali trattamenti di fusione non solo non producesse rame bensì talvolta addirittura vapori velenosi legati alla presenza di As nel minerale stesso. Da qui la superstizione che questo comportamento dipendesse da qualche stregoneria degli spiriti maligni della terra che in lingua tedesca venivano chiamati Kobold. In realtà, però il cobalto era già in uso da secoli come colorante di vetri e ceramiche: sia nelle tombe egizie che nel corso di scavi effettuati nella penisola ellenica sono stati rinvenuti reperti dalla tipica colorazione blu . E non solo!! Il cobalto venne largamente impiegato per la produzione delle porcellane cinesi soprattutto sotto le dinastie Ming e Tang (per non parlare poi della produzione vetraria veneziana all'inizio del XV secolo). L'origine della colorazione fu individuata da G. Brandt che nel 1735 isolò il metallo assegnandogli il nome "cobalt rex". Nel 1780 fu T. O. Bergman che ne approfondì lo studio dal punto di vista scientifico.

Proprietà

Cristallografia

Il metallo si presenta in due forme allotropiche: e in struttura hcp (esagonale compatta) stabile a temperature inferiori ai 400°C ; a in struttura fcc (cubica a facce centrate) a temperature più elevate. I parametri reticolari, poi tendono a variare (anche se lievemente) con la temperatura:

 

Temperatura (°C)

e

a

a (nm)

c  (nm)

a  (nm)

20

 

0.251

0.407

0.354

 

598

 

 

0.357

1398

0.362

 

La presenza di un valore concreto  nell'ultima colonna della tabella anche a temperatura ambiente ci permette di sottolineare il fatto che la temperatura di transizione a « e dipende fortemente dal livello di purezza del metallo e dal rate di raffreddamento scelto. Come riferimento è utile sapere che data una purezza del 99.998 % ed un rate di raffreddamento basso si rileva una T ( a«e ) = 421.5°C. Sperimentalmente si è osservato, inoltre, stabilizzante per la struttura cubica della presenza di grana fine, mentre la deformazione meccanica agisce in senso opposto.

  • Il meccanismo di trasformazione di fase è di tipo martensitico basato sul movimento delle dislocazioni sui piani ottaedrali del reticolo cubico. Si ha così una modifica della sequenza di impilaggio degli atomi che passa dalla abcabc tipica del reticolo fcc a quella ababab.

Proprietà magnetiche

  • Prima di addentrarci in questo argomento conviene introdurre il concetto di punto di Curie. Esso rappresenta la temperatura alla quale i materiali ferromagnetici perdono questa loro caratteristica, acquistando quella della paramagneticità. Il cobalto è in assoluto il  materiale con il più alto punto di Curie. Un utile confronto è presto fatto con il Fe:

 

  • Per il cobalto monocristallino le proprietà magnetiche risultano fortemente anisotrope (e questa tendenza la ritroviamo anche trattando altri tipi di proprietà).
  •  Consideriamo ad esempio cosa accade lungo le varie direzioni cristallografiche applicando un campo magnetico variabile a temperatura ambiente:

  • E’ evidente come la direzione lungo la quale la magnetizzazione risulta favorita è la <0001>. E’ interessante però notare che le differenze tra le varie direzioni si assottigliano all’ aumentare della temperatura ( a 250°C il Co è praticamente isotropo dal punto di vista magnetico), arrivando ad invertirsi una volta raggiunta la temperatura di transizione.
  • Per quanto riguarda invece il Co policristallino, variabili critiche diventano la purezza e la storia termica, nonché l’eventuale orientazione preferenziale. Si può ad esempio sviluppare la direzionalità voluta delle proprietà magnetiche raffreddando lentamente durante la trasformazione a«e in presenza di un forte campo magnetico coerente.

Proprietà elettriche

  • Sono di seguito plottati i dati di resistività (r) e del coefficiente di temperatura (dr/dT) in funzione della temperatura, relativi ad un campione policristallino ad elevata purezza (>99.9%):
  • E’ interessante focalizzare l’attenzione su un paio di particolarità: 1) la presenza di un leggero flesso riguardo la curva di r nella zona di transizione (il che lascia presupporre che alla stessa temperatura il Co nella struttura hcp presenti una resistività più alta rispetto a quella fcc) ; 2) il netto calo di dr/dT  a temperature superiori al punto di Curie.

Proprietà meccaniche

 



         Ci limitiamo in questa sezione a trattare dal punto di vista meccanico esclusivamente del cobalto allo stato puro , ben consci che il suo impiego in lega con altri metalli presenta caratteristiche differenti che verranno sviscerate in seguito.
  • Innanzitutto valutiamo il modulo di Young (E) detto anche modulo elastico: in un cristallo esagonale cosi’ come si presenta il Co a temperature basse è funzione della direzione lungo la quale lo si misura. E’ per questo che i dati a temperatura ambiente di E e G (modulo di taglio) nel caso di un policristallo rappresentano una sorta di valore intermedio tra quelli per le varie direzioni:

Direzione

E (GPa)

G (GPa)

0001

213

62.4

1012

169

74.1

1010

175

62.2

1120

174

62.2

Policristallo

174

64.8

 

In realtà questi valori risultano essere delle sottostime nel caso in cui ci riferiamo ad esempio a barre policristalline sinterizzate, con un alto livello di purezza (in questi casi otteniamo dei valori di E =210 GPa e G = 80 GPa).

  • Per quanto riguarda invece le proprietà a rottura (tensione o allungamento)  gli andamenti in funzione di T sono chiari e significativi:

 

Nel grafico inferiore la presenza del picco di deformazione nella zona tra i 400°C e i 500°C ben si sposa con l’affermazione fatta in precedenza che la transizione di fase (che non a caso cade proprio in questa zona) risulta svolgersi con un meccanismo di tipo martensitico che, lo ricordiamo, impone un moto cooperativo degli atomi. La presenza inoltre di questa zona è un grosso vantaggio anche per la lavorazione a caldo: si riesce cioè ad esempio a “rullare a caldo” abbastanza agevolmente anche a temperature che sono tutto sommato accessibili.
Rimane comunque da dire che l’ampiezza e la posizione nel grafico della suddetta zona risulta essere funzione non solo della purezza del materiale ma anche della presenza di elementi quali zinco o zolfo e dell’eventuale degasazione effettuata.

Proprietà chimiche

Come si comporta il cobalto a fronte di aggressione chimica?? Per rispondere in maniera completa è necessario fare dei distinguo: quando è in forma massiva la sua resistenza è abbastanza buona, mentre quando lo riduciamo in polvere essa cala in maniera assai netta ; anzi più fine è la polvere in questione più aumenta la facilità d’attacco. Ciò non può stupirci: l’aggressione chimica è fondamentalmente un fenomeno superficiale. Riducendo perciò in polvere il nostro materiale non facciamo altro che aumentarne la superficie a contatto con l’agente chimico. Stante perciò questa situazione ,analizziamo i dati provenienti da test effettuati mettendo a contatto un pezzo di Co con una serie di possibili agenti aggressivi, valutandone la perdita in peso o analogamente la profondità di penetrazione:

Reagente (in acqua)

Rate di corrosione* (mm/anno)

5% vol. acido acetico

12.5

5% vol. acido solforico

56.8

1 : 1 acido fosforico

65.1

5% vol. idrazina

7.8

Acqua distillata

1.1

*il valore espresso dalla tabella è semplicemente un valore medio in quanto non si può assumere che la corrosione proceda ad un rate costante

  • Un caso particolare è rappresentato dalle soluzioni di acido nitrico in quanto esse attaccano in maniera decisa a temperatura ambiente, mentre a temperature inferiori creano un film di ossido passivante.

Estrazione e raffinazione

  • Il Co in natura si trova in maniera molto diffusa , ma altrettanto dispersa. Tracce, infatti, di cobalto sono presenti in molte rocce emerse così come nel sottosuolo, ma in concentrazioni talmente basse da renderne impossibile lo sfruttamento in maniera diretta (si stimano concentrazioni intorno alla parte per miliardo!!). Scoraggiato, perciò qualsiasi investimento in questo senso, la strada battuta finora è quella di ottenere il metallo come prodotto secondario derivante dall’estrazione e raffinazione di metalli più pregiati e abbondanti, quali rame, nickel, argento.

Estrazione

 

Diamo  un’occhiata ai minerali più usati come fonte di cobalto:

Carrolite

La carrolite (CuCo2S4) è un solfuro di rame e cobalto estratto dalle miniere a cielo aperto dello Zaire

 

Linneite

La linneite ( fondamentalmente Co3S4 con atomi di Ni o Cu come sostituzionali del Co) è presente soprattutto in Africa centro-meridionale (Zaire, Zambia) nonché in alcune zone della valle del Mississippi negli Stati Uniti.

Cobaltite

La cobaltite (CoAsS) è il minerale più abbondante nel sottosuolo dell’ Idaho, ed è inoltre presente nelle miniere d’argento canadesi

Heterogenite

L’ heterogenite è formata da ossidi idrati di Co e Cu dalle varie formule chimiche (CoO, Co2O3, CuO, …..) costituisce la principale fonte di Co delle miniere zairesi

Raffinazione

 

  • Una volta estratti, i minerali vengono inviati agli impianti di raffinazione diffusi soprattutto in Europa settentrionale (Norvegia, Germania, Francia, solo per citarne alcuni). Esistono perciò, in funzione dei diversi tipi di minerali estratti, vari metodi di raffinazione. E’ interessante analizzarne alcuni:

La heterogenite si ottiene in questo modo: il minerale proveniente dalle miniere , dopo essere stata ridotto in pezzi di dimensioni inferiori al centimetro, viene sottoposto ad un trattamento detto “froth-flotation”: i frammenti vengono posti in un bagno acquoso a cui si aggiungono “surface–active agents” e dentro il quale gorgoglia continuamente aria. Il risultato è una sorta di galleggiamento selettivo che permette di separare le parti ricche di rame e cobalto dal resto. Le parti così selezionate (che presentano un contenuto di Cu e Co generalmente confrontabili) vengono successivamente caricate in forni elettrici assieme ad agenti riducenti (calce ad esempio) per essere portate a fusione . A questo punto ,in base alle differenti densità si separano la cosiddetta “red alloy”, contenente circa il 90% di Cu e il 5% di Co, e la “white alloy” contenente circa il 42% di Co, il 15% di Cu ed il rimanente di ferro e silice. La “red alloy” dopo essere stata raffreddata, viene sciolta in acido solforico e vi si estrae il rame in maniera elettrolitica. Al bagno ormai ricco di Co viene aggiunta calce idrata per permettere la precipitazione di idrossidi contenenti il 90 % di Co e tracce di Ni e Mg. Per raggiungere purezze superiori ,bisogna allora fondere nuovamente ed eliminare l’ossigeno e lo zolfo residuo del bagno precedente. Si raggiungono così purezze intorno al 99%.         
Per quanto riguarda invece la “white alloy”, essa viene posta in un una soluzione di acido solforico in cui vengono fatti precipitare selettivamente Cu, Fe, Mn. Alla fine precipita anche il Co sotto forma di carbonato grazie all’aggiunta nella soluzione di carbonato di sodio. Successivamente si procede con un trattamento termico che permette la separazione del cosiddetto “black oxide” (70% di Co) a circa 700°C e del “grey oxide” (76% di Co) oltre gli 800°C. Gli ossidi vengono quindi pressati per ricavarne cilindretti (vedi figura 6) per poi essere sottoposti ad un nuovo trattamento termico: verranno portati a 1000°C in ambiente riducente (generalmente il gas riducente usato è l’idrogeno). Il metallo così prodotto raggiunge una purezza del 99%.

* Con i solfuri di rame-cobalto (quali carrolite e linneite) si opera in questo modo: dopo aver ridotto la pezzatura del minerale ed averlo sottoposto al trattamento di “froth-flotation” si ottiene una  composizione di circa 46% Cu e 2% Co. A questo punto si sale di temperatura finchè i solfuri non si mutano in solfati (passando da sali binari a sali ternari), che possono essere chimicamente attaccati e disciolti per poi procedere all’estrazione elettrolitica del Cu. Si procede quindi come già descritto parlando di “red alloy”.

* Soprattutto dai giacimenti dell’Ontario, una tra le più importanti regioni canadesi, viene estratta la cobaltite che viene separata dal resto dei minerali attraverso lo stesso processo di “flotation”  già visto precedentemente anche se non deve stupirci che fino ad una manciata di lustri fa, la preselezione dei minerali veniva effettuata attraverso un processo che in inglese suona come “hand-sorting”, ma che in italiano diventa una ben più umile “selezione manuale”.  Si ottiene così una composizione tipicamente: 5-12% Co, 1-9% Ni, 6-21% Fe, 0.3-7% Ag assieme a percentuali variabili di silicio, arsenico e zolfo. A questo punto si porta a fusione aggiungendo coke e calcare. Dopo aver fatto raffreddare il fuso in assenza di ossigeno, si nota un fenomeno molto particolare: si evidenziano tre strati: quello inferiore detto “bullion” contenente quasi esclusivamente argento sarà rifuso per estrarne argento puro; quello superiore detto “matte” è una miscela di solfuri di ferro, nickel e cobalto la cui ulteriore lavorazione è problematica e perciò si tende a minimizzarlo; lo strato centrale, “speiss”, viene letteralmente sbriciolato e portato a temperatura elevata per facilitare la separazione dell’arsenico e l’ossidazione del Fe. L’aggiunta, quindi, di acido solforico permette agli elementi metallici di combinarsi con lo zolfo presente in soluzione, per ottenerne i solfati. Per precipitazione si separano immediatamente quelli di Ag, Fe, Cu, mentre è solo dopo l’aggiunta alla soluzione di ipoclorito di sodio che il Co precipita come idrossido. Con un trattamento termico ad alta temperatura si riesce poi a convertirlo in ossido “black” o “grey” che vengono trattati come già spiegato prima.

 

Leghe di cobalto

 

  • Ma il Co viene utilizzato principalmente come alligante in leghe in cui sono presenti altri, più facilmente reperibili e meno costosi metalli (generalmente ferro e nickel). Il suo impiego, infatti, consente di migliorare le proprietà della lega (dal punto di vista fisico, meccanico, magnetico, etc…..) in maniera da ripagare ampiamente il maggior costo derivante dal suo utilizzo. Le applicazioni principali delle leghe di Co sono:
  • Superleghe
  • Materiali magnetici
  • Leghe resistenti ad usura e corrosione
  • Hard metals

Gli elementi alliganti

  • Prima di analizzare singolarmente i vari tipi di leghe di Co e le loro varie applicazioni, è utile conoscere gli elementi che si trovano generalmente in lega con il Co e i loro effetti.
  • La prima cosa da tenere presente è senz’ altro il fatto che il Co non ha una struttura cristallografica fissa, bensì, come già espresso in precedenza, si osserva ad una temperatura di 421°C (in caso di metallo puro) una trasformazione allotropica dalla fase a stabile alle alte temperature, a quella e. Perciò una prima classificazione degli elementi in lega può essere fatta ponendo attenzione al fatto che essi possono far traslare la temperatura di trasformazione, ampliando o restringendo il campo di stabilità di una delle 2 fasi. Si distinguono perciò generalmente due grosse categorie: da una parte gli elementi che elevano tale temperatura favorendo la fase e, e dall’altra quelli che la abbassano sfavorendo la fase a. Vi è inoltre un’altra categoria dall’effetto un po’ più complesso: favorisce la fase e in fase di riscaldamento, comportandosi in maniera opposta in raffreddamento: in sostanza risulta che T(e®a ) > T(a®e). Sono i cosiddetti “elementi ad effetto combinato”.
  • La figura sottostante offre un panorama della tavola periodica evidenziando gli elementi appartenenti alle varie categorie.
  •  Naturalmente anche all’interno della stessa categoria l’intensità dell’effetto non è uguale per tutti. O meglio a parità di frazione in peso non tutti gli elementi evidenziano un analogo shift di temperatura. Ecco qualche esempio:
  • % in peso
  • Temperatura di trasformazione
  • 10% Cr
  • 800
  • 15% Ru
  • 1000
  • 20% Os
  • 750
  • 40% Os
  • 1250
  • 20% Pt
  • 650
  • 10% Mo
  • 950

Superleghe

 

Capostipite delle leghe di Co tra le superleghe è stata la “Vitallium”. Già dagli anni ’30, infatti, venne sviluppata questa lega di cobalto-cromo-molibdeno per la produzione di manufatti di forma complessa attraverso un processo detto “lost-wax casting”.
La prima applicazione di questa lega è stata l’industria dentistica, (dove è usato tutt’oggi),

  • ma ben presto test effettuati dalle Forze Armate americane, ne consigliarono l’uso per applicazioni aeronautiche. Le pale delle turbine aeree possono infatti raggiungere localmente temperature di 700-800°C!!. Il boom si ebbe nel corso della seconda guerra mondiale quando le pale in “Vitallium”, rimpiazzarono completamente quelle forgiate in lega di Ni. Negli anni ’40 le leghe HS 21 e X 40 (diretto sviluppo della “Vitallium”) divennero il materiale standard per la costruzione di pale per turbine e compressori anche se la loro vasta diffusione è sempre stata leggermente impedita da ragioni di ordine economico legate alla carenza di Co.

 

Lavorazione

Leghe

Composizione % in peso

Co

Cr

W

Mo

Ni

C

Altro

Casting
HS 21

64

27

-

5

3

0.25

-

X 40

54

25

8

-

10

0.5

-

G 34

45

19

-

2

12

0.8

1.3 Nb, 2.8 V, Fe

Hot working

S 816

64

20

4

4

20

0.4

4 Fe, 4 Nb

HA 25

55

20

15

-

10

0.1

-

HA 188

40

22

14

-

22

0.1

1.5 Fe, 0.08 La

Leghe a base Co

  • Il meccanismo fondamentale di indurimento per queste leghe è la precipitazione di carburi (anche se in realtà i meccanismi di indurimento sono 2: il cosiddetto “solution Hardening” è dovuto agli elementi in lega non combinati quali Cr, Nb, W, ..  (mentre l’effetto del Ni è soprattutto quello di stabilizzare la struttura cubica, inibendo così la trasformazione in esagonale); mentre il “precipitation  hardening” è legato alla formazione di carburi o di carbonitruri di metalli presenti in soluzione quali lo stesso cromo, vanadio, etc. le cui stechiometrie sono molto variabili: possiamo trovare MC, M6C, M23C6 e così via). La tipologia dei carburi dipende dalle quantità di metalli presenti, dalla quantità di C e dalla storia termica della lega.
  • Da tenere sotto osservazione inoltre  la distribuzione e la posizione dei carburi stessi. Infatti la loro precipitazione intergranulare  serve ad impedire la migrazione del bordograno, che in genere avviene per cause termiche (innalzamento di temperatura); mentre quella intragranulare rappresentando un ostacolo al libero movimento delle dislocazioni, ne inibisce l’effetto. Il controllo delle condizioni di raffreddamento (temperatura di partenza, cooling rate, ….) ci permette di “pilotare” in un certo senso la precipitazione.

 

  • Per una precipitazione addizionale sia intergranulare che intragranulare, si necessita di un trattamento termico supplementare. Per la HS 21 si porta a 870°C per 24 ore (vedi figura 11).
  • Le leghe invece S 816 o HA 25 dopo essere state lavorate a caldo in un range intorno ai 1000-1200°C vengono sottoposte ad una solubilizzazione a 1200°C seguita da un rapido raffreddamento per raggiungere un picco nelle proprietà a creep e a rottura. Ci sono casi, però, in cui non si riesce a solubilizzare completamente i carburi più stabili in quanto si nota intervenire primariamente la fusione. Esempio emblematico è rappresentato dalla lega HA 188 che a seguito del trattamento di solubilizzazione(vedi figura 12) presenta a bordo grano carburi primari che non si è riusciti a solubilizzare.
  • È utile un confronto con la stessa lega dopo un trattamento termico di 500 ore a 750°C.
  •  Per evidenziare queste differenze non solo dal punto di vista micrografico, ma anche da quello meccanico basta fare riferimento al grafico sottostante: la curva a) infatti rappresentante una lega HS 21 nelle condizioni “as cast” presenta valori di resistenza di circa 100 Mpa inferiori rispetto alla stessa lega “invecchiata” 50 ore a 732°C . E ciò vale per tutte le temperature inferiori alla temperatura di invecchiamento 


  • È possibile fare inoltre un discorso riguardante le durezze: le leghe ad alto tenore di carbonio sono molto più sensibili ai trattamenti di invecchiamento. Proviamo a confrontare una X 40 contenente lo 0.5% in C e la HA 25 contenente lo 0.1% di C. Mentre la prima presenta 30-34 Rockwell C a temperatura ambiente as cast, che diventano 40-42 dopo un periodo di ageing a 800°C, la seconda non varia in maniera netta i 24 Rockwell C dovuti al trattamento di solubilizzazione (anche se un deciso aumento di durezza può essere comunque conferito con le lavorazioni meccaniche a freddo raggiungendo perfino i 57 Rockwell C).

Leghe a base Ni

  • Parlando ancora di superleghe, un'altra categoria in cui il Co trova applicazione, questa volta come elemento in soluzione, sono le leghe a base Ni. La loro caratteristica topica è quella di essere indurite grazie ad un composto intermetallico Ni3(Ti,Al) altrimenti detto fase g’. Questa classe di leghe è stata sviluppata partendo dalle leghe Ni-Cr resistenti all’ossidazione e migliorandone le proprietà alle alte temperature introducendo tipicamente 20% Co , 4-5% Ti. Successivamente ancora sono stati introdotti formatori di carburi quali Nb, V, etc..
  • L’influenza del Co sulle caratteristiche della lega si esplica in maniere differenti. Un primo effetto è quello del “solution Hardening”, benchè le dimensioni atomiche del Co siano molto più simili a quelle del Ni , rispetto agli altri elementi in soluzione. Come si nota infatti nell’ esempio seguente, l’indurimento della matrice è essenzialmente legato alla concentrazione di Al, Cr, Mo, W.

Solute element

Co

Fe

Cr

Mo

W

V

Al

Ti

Atomic %

20

10

20

4

4

1.5

6

1

Change in flow stress (Mpa)

1.8

5.6

16

17

18

3.4

20

4


Vi è poi l’effetto del Co sulla solubilità di Ti e Al nella matrice. Come si vede la presenza del Co permette di abbassare la solubilità di Ti e Al (per temperature inferiori ai 1080°C), favorendo la formazione del precipitato g’(e ciò permette un deciso miglioramento della resistenza ad alta temperatura).
  
  • Un effetto aggiuntivo il Co lo conferisce riguardo la lavorabilità: aumenta infatti la solubilità del C nella matrice, opponendosi alla formazione di carburi di titanio e di cromo. Infatti il carburo metastabile M7C3 che si forma  a temperature superiori ai 1000°C e che si muta in M23C6 a temperature inferiori, non compare se vi è almeno il 20% di Co.

 

 

Leghe

Lavorazione

Composizione (% in peso)

Co

Cr

C

Ti

Al

Mo

W

altro

Nimonic 90

Wrought

17

20

0.05

2.5

1.5

-

-

-

Udimet 700

Wrought

18.5

15

0.08

3.5

4.3

5.2

-

-

IN 100

Cast

15

10

0.18

5

5.5

3

-

1 V

IN 738

Cast

8.5

16

0.18

3.5

3.5

1.75

2.5

0.7 Nb, 1.6Ta

Confronto proprietà

  • Segue una tabella contenente un confronto tra i dati di sr a temperature elevate delle superleghe a base Co e quelli delle superleghe a base Ni contenenti cobalto in cui emerge la leggera superiorità di queste ultime, confermata anche dalla maggiore diffusione di utilizzo dal punto di vista industriale.

 

Leghe

Lavorazione

 sr (Mpa)

815°C

870°C

980°C

100 h

1000 h

100 h

1000 h

100 h

1000 h

HS 21

Cast

152

98

115

91

65

48

X 40

Cast

179

138

134

103

76

55

HA 25

Wrought

165

117

107

72

48

26

HA 188

Wrought

154

110

105

70

41

25

Nimonic 90

Wrought

200

117

108

60

-

-

Udimet 700

Wrought

400

296

290

200

110

52

IN 100

Cast

464

363

356

263

160

90

IN 738

Cast

420

330

-

220

130

80

 

Applicazioni

  • Come già accennato queste leghe trovano grosso spazio per la fabbricazione di componenti di turbine a gas e a vapore.
  • Ad esempio per le pale rotoriche che sono generalmente il componente più sollecitato sia dal punto di vista meccanico che termico (si raggiungono temperature tra 800-1050°C !!), si usa una lega di Ni con un alto contenuto di Ti e Al che dopo essere stata fusa in vuoto viene versata direttamente negli stampi.
  • Inoltre sia le leghe a base Ni che quelle a base Co presentano un’ottima saldabilità, che permette di realizzare anche forme complesse che non siano possibili ottenere direttamente in stampaggio o con lavorazioni meccaniche.

Materiali magnetici

  • Per valutare le proprietà magnetiche di un materiale ferromagnetico è indispensabile conoscerne la curva di magnetizzazione caratteristica ed il ciclo di isteresi che si crea misurando l’induzione magnetica (B) come conseguenza delle variazioni imposte al campo magnetico applicato (H).
  • Di notevole importanza nell’osservazione della curva precedente sono tre punti:
  • P (saturazione)  è  il massimo valore di B raggiungibile dal materiale
  • A o Br (induzione magnetica residua ) è B residuo all’applicazione di un campo magnetico nullo in fase di demagnetizzazione
  • F o Hc (campo magnetico coercitivo) è il campo magnetico demagnetizzante da applicare per ottenere un induzione nulla
  • Inoltre per i magneti permanenti una misura di efficienza è rappresentata dal valore massimo del prodotto B · H (BHmax) che rappresenta la densità di energia magnetica per un dato volume di materiale.
  • L’importanza del cobalto in questo settore oltre al fatto di avere un’elevata temperatura di Curie (di conservare cioè le caratteristiche ferromagnetiche anche ad alta temperature) risiede nella sua capacità di aumentare la magnetizzazione di saturazione se aggiunto ad esempio al ferro:
  • Materiale
  • Temperatura
  • di Curie (°C)
  • Induzione Magnetica
  • A saturazione (T)
  • Fe
  • 770
  • 2.15
  • Ni
  • 358
  • 0.62
  • Co
  • 1121
  • 1.8
  • 65 Fe-35 Co
  • 900
  • 2.43
  • Ma cosa accade all’interno di un materiale ferromagnetico???
  • Gli elettroni in moto attorno al nucleo di un atomo costituiscono dei dipoli magnetici. Gli atomi perciò possono o no possedere un dipolo magnetico a seconda della loro simmetria o dell’orientazione relativa delle loro orbite elettroniche. Per effetto di interazioni mutue i momenti magnetici di atomi vicini si allineano creando i cosiddetti “domini magnetici”. In assenza di condizioni di magnetizzazione i domini si trovano orientati in maniera casuale, ma in presenza di un campo magnetico esterno i domini cambiano orientazione, finché a saturazione sono tutti orientati parallelamente al campo.
  • Questo effetto però esiste ancorché si rimane al di sotto della temperatura di Curie, in quanto a temperature superiori l’agitazione termica prevale e distrugge completamente l’allineamento magnetico.
  • Il campo coercitivo è associabile alla anisotropia delle proprietà magnetiche dei domini che presentano infatti delle direzioni di “più facile magnetizzazione”. Ciò può essere dovuto a vari fattori (ad esempio un dominio di forma allungata si magnetizza più facilmente lungo il suo asse che perpendicolarmente ad esso e conserva la magnetizzazione meglio di uno di forma circolare) .
  • I primi magneti permanenti ad essere impiegati sono stati gli acciai martensitici in cui l’elevato valore di Hc era conseguenza della deformazione interna dovuta alla trasformazione di fase. L’aggiunta di elementi in lega quali cromo o tungsteno in percentuali variabili tra il 3 e il 6 % consentiva di raggiungere valori di BHmax pari a 1.6-2.4 kJ/m3.
  • Solo negli anni ’40 l’intuizione di affiancare come agente alligante il cobalto ha permesso a scapito di una diminuzione di Br un netto aumento del BHmax. Infatti seguono i dati inerenti a questa serie di leghe
  • Composizione
  • BHmax
  • Co
  • Cr
  • W
  • Mo
  • C
  •  (kJ/m3)

 

  • 3
  • 9
  • -
  • 1.5
  • 1
  • 2.8
  • 9
  • 9
  • -
  • 1.5
  • 1
  • 4
  • 15
  • 9
  • -
  • 1.5
  • 1
  • 4.9
  • 35
  • 5
  • 4
  • -
  • 0.9
  • 7.6
  • La loro caratteristica vincente che ha fatto sì che si imponessero sul mercato fino agli anni ’50 è stata la loro facile lavorabilità prima dei trattamenti termici per l’indurimento (che devono essere molto accurati per assicurare una buona dispersione carburica ed evitare decarburizzazione superficiale che potrebbe mettere in corto il circuito magnetico).
  • Infatti generalmente i trattamenti termici sono 3 : il primo consiste nel portare a 750°C e raffreddare in aria per solubilizzare tutti i carburi presenti, dopodiché in maniera rapida si sale fino a 950°C e poi si tempra in olio per sviluppare la struttura martensitica e si conclude con un trattamento di stabilizzazione a 100-250°C. Il caso degli accia martensitici è alquanto atipico tra i materiali magnetici :quasi tutte le leghe per queste applicazioni possono essere utilizzate unicamente “as cast”.
  • Infatti le leghe ferrose della serie Alnico (dai nomi degli alliganti presenti in maniera più netta ) pur avendo valori di Hc  molto più alti (50 kA/m contro 10 degli acciai martensitici) presentano un elevata fragilità che le rende inadatte alla lavorazione meccanica.
  • Ma un contributo determinante all’affermazione delle Alnico è stata la scoperta che imponendo un forte campo magnetico nella fase di raffreddamento del trattamento di solubilizzazione, le proprietà magnetiche ne risultavano decisamente migliorate in direzione parallela al campo applicato.
  • L’intensità del campo magnetico deve essere superiore a 80 kA/m, per evitare fenomeni di auto-demagnetizzazione. Si raggiungono valori di Br di circa 0.9 Bsat. Perciò le curve di demagnetizzazione ne risultano “più squadrate” :
  • Da risultati sperimentali è inoltre emerso che la direzione cristallografica di più facile magnetizzazione risulta la <100>: controllando perciò i gradienti termici si riesce a sviluppare una crescita colonnare dei grani lungo questa direzione. In pratica si agisce colando il fuso in uno stampo freddo le cui pareti laterali sono state preriscaldate.
  • In questo modo la solidificazione nuclea sulle facce fredde per poi accrescersi in direzione voluta .
  • Tipo di lega

 

  • Composizione
  • BHmax
  • Ni
  • Co
  • Al
  • Cu
  • Altro
  • (kJ/m3)
  • Alnico isotrope

 

  • 24–30
  • 0
  • 12-14
  • 0-3
  • Ti 0-1
  • 10
  • 21-28
  • 3-5
  • 11-13
  • 2-4
  • Ti 0-1
  • 11-12
  • 16-20
  • 12-14
  • 9-11
  • 3-6
  • Ti 0-1
  • 13-14
  • 18-21
  • 17-20
  • 8-10
  • 2-4
  • Ti 4-8
  • 14-16
  • Alnico anisotrope
  • “field treated”
  • 12-15
  • 23-25
  • 7.8-8.5
  • 2-4
  • Ti 0.5
  • 40-44
  • 14-16
  • 32-36
  • 7-8
  • 4
  • Ti 4-6
  • 40-45
  • Alnico “colonnari”
  • 13-15
  • 24-25
  • 7.8-8.5
  • 2-4
  • Nb 0-1
  • 56-64
  • 14-16
  • 32-36
  • 7-8
  • 4
  • Ti 4-6, Nb 0-1
  • 60-75
  • Abbiamo gia parlato della fragilità di queste leghe e del fatto che per questo motivo è molto difficile creare forme complesse. Una valida eccezione ce la possono fornire le tecniche che utilizzano polveri (soprattutto per oggetti di piccole dimensioni). Le polveri appunto (particelle ovoidali di circa 0.02 mm) si ottengono per elettrolisi di una soluzione di sali di Fe e Co a contatto con un catodo di Hg (in questo modo la dimensione della particella approssima quella del dominio). A questo punto vengono allineate secondo un campo magnetico applicato e quindi compattate perché assumano la forma voluta.
  • Ma i risultati più sorprendenti sono stati raggiunti a  seguito della messa a punto di materiali di composizione RECo5, dove l’acronimo RE sta per Rare Earth (elementi con numero atomico tra 58 e 71 oppure 90 e 103 conosciuti anche come metalli di transizione o “terre rare”). Con questi materiali si raggiungono in assoluto i valori più elevati di Hc (oltre 600 kA/m), e ciò si deve alla presenza di composti intermetallici a struttura esagonale aventi la <0001> come direzione di facile magnetizzazione. Anche in questo caso si utilizzano “single domain particles” che devono però essere processate in atmosfera protetta data l’altissima reattività degli elementi RE, ed analogamente a quanto detto in precedenza le polveri vengono compattate dopo l’allineamento determinato da un campo magnetico esterno. Si procede quindi alla sinterizzazione che avviene con aggiunta di una fase della stessa lega a basso punto di fusione che funge da legante per le particelle.
  • Materiale
  • BHmax (kJ/m3)
  • SmCo5
  • 140
  • PrCo5
  • 150
  • Sm0.5Pr0.5Co5
  • 176
  • Mischmetal Co5
  • 64
  • Il costo di questi materiali è molto elevato in quanto la disponibilità separata degli elementi che li compongono è veramente bassa. Ad ogni modo un’alternativa interessante è rappresentata dal Mischmetal (mix di elementi RE) che è sicuramente meno performante (come si vede dai dati in tabella) ma che a fronte di un dimezzamento dei valori di proprietà magnetiche evidenzia un costo di circa 1/20.
  • I campi di applicazione dei magneti permanenti spaziano dai microfoni ai ricevitori telefonici, ai più disparati strumenti di misura elettrici, fino ai microscopi elettronici in cui il magnete viene utilizzato per il controllo e focalizzazione del fascio di raggi.

Leghe resistenti ad usura e corrosione

  • La più recente applicazione del Co in forma metallica sono state le leghe Co-Cr denominate “Stelliti” caratterizzate dall’avere una durezza elevata e un’ottima resistenza a corrosione. Ed inoltre conservano queste proprietà anche a temperatura elevata!! Sono a tutt’oggi un argomento di ricerca molto interessante: recentemente, infatti, è stata sperimentata l’aggiunta di elementi quali il tungsteno e il molibdeno. Si è osservato che se parallelamente si aumenta il tenore di carbonio la lega rimane abbastanza tenace, nonostante l’elevata durezza. Infatti è proprio attraverso il controllo di questi elementi che si sono sviluppate una serie di leghe con proprietà che possono variare tra la durezza elevata anche ad alte temperature, e la decisa tenacità ad impatto.

 

 

 

Tipo di lega

 

Tenace
 (HS 6)

Intermedia
 (HS12)

Dura
 (HS 1016)

Composizione
(% in peso)

C

1

1.5

2.5

W

4

9

18

Cr

30

30

32

Co

Resto

Resto

Resto

Durezza (HV)

T.ambiente

375

470

600

600° C

280

340

480

900° C

100

150

200

  • Trovano, perciò applicazione come “cutting tools”, con proprietà intermedie tra quelle degli acciai high-speed  ed quelle dei metalli duri (mantenendo cioè durezza più elevata rispetto agli acciai ad alte temperature, ed essendo più tenaci degli “hard metals”) soprattutto per le operazioni di “intermittent cutting”.
  • Ma, sebbene i meccanismi coinvolti nei fenomeni di usura siano numerosi e complessi (dipendono dal tipo di lubrificante, dalle eventuali microsaldature che localmente possono avere luogo), si è certi che condizione necessaria perché una lega abbia una buona resistenza all’usura è la sua  elevata durezza. Questa condizione è soddisfatta in maniera soddisfacente anche da acciai induriti superficialmente con trattamenti di cementazione o nitrurazione. Ma quando dobbiamo fare i conti con un ambiente corrosivo, è allora che risaltano le prestazioni delle Stelliti con tenore di Cr 15-20 % e con alto contenuto di C. L’eccezionale durezza è conferita dalla presenza di carburi eutettici di tungsteno e cromo.
  • A causa del loro elevato costo questo tipo di leghe sono usate soprattutto come rivestimento delle zone critiche da proteggere. Perciò commercialmente si trovano spesso sotto forma di “rods” (bacchette) per deposizione con torcia ossi-acetilenica. E’ interessante a questo punto citare dei dati riguardanti la durezza di alcune di queste leghe, se è vero che essa influenza in maniera netta le proprietà ad usura anche al variare della temperatura.
  • Il vero problema nell’applicazione di queste leghe rimane il loro elevato costo. Perciò sono stati fatti numerosi tentativi per cercare di sostituire ad esempio il tungsteno con il molibdeno oppure il cobalto con il ferro o con il nickel. Come risultato la durezza alle alte temperature risulta inferiore di circa il 20% in seguito al completo impiego di Fe. Tenori di Ni del 5-10% sembra che stabilizzino la struttura austenitica della matrice, ma non si raggiungono le prestazioni delle “high cobalt alloys”. L’impiego di molibdeno, invece, fino a livelli del 5% influenza positivamente la durezza anche se a tutt’oggi viene usato più come sostituto del tungsteno in applicazioni in cui la resistenza a corrosione è privilegiata rispetto alla durezza. Il molibdeno trova invece largo utilizzo nelle cosiddette “Tribaloy”, in cui la durezza è conseguenza della presenza di una fase intermetallica detta fase di Laves invece che dei carburi. Questo tipo di leghe hanno una composizione tipica : 50-65% Co (Ni), 25-38% Mo, 8-17% Cr, 2-3% Si. La fase di Laves occupa circa il 50% del volume con una durezza di circa 1100 HV in una matrice duttile e vengono impiegate in modo analogo alle Stelliti soprattutto come rivestimenti superficiali o per piccoli pezzi con la metallurgia delle polveri. Alcune modifiche nella composizione rendono queste leghe utilizzabili anche come coatings plasma spray: infatti la presenza del 2-3% di boro e di silicio permettono la formazione di un eutettico che permette perciò la fusione a temperature inferiori (950-1100°C rispetto a 1250-1300°C. Ne risulta anche un aumento di durezza dovuto alla formazione di boruri di cromo e cobalto.
  • Le applicazioni di queste leghe sono svariate; ma una scelta preliminare deve essere fatta : usare un componente “individual casting”, oppure applicare un rivestimento ad un diverso materiale di bulk?? In genere dato l’elevata incidenza del fattore economico, si opta per la seconda ipotesi, anche se per componenti di dimensioni limitate lo stampaggio completo può risultare conveniente.
  • Perciò trovano spazio come materiale da componentistica in motori per l’industria aeronautica o più in generale in numerosi tipi di motori a combustione interna con particolare interesse verso le valvole. Sono richieste infatti: la resistenza ad impatto e ad usura dovuta al continuo contatto tra valvole e loro sedi; la resistenza ad “hot corrosion” dovuta alla presenza di carburante a temperature che possono raggiungere 800°C . Nelle turbine a vapore, trovano impiego nelle condutture di immissione di vapore dove può verificarsi la presenza di condensa. Nell’industria mineraria dove il problema fondamentale è l’abrasione da materiale non metallico molte delle attrezzature sono rivestite con hard facing coating (caso emblematico sono gli arnesi da taglio ad alta velocità in cui è impraticabile l’uso dei lubrificanti). Ancora scarsa applicazione ha invece trovato il cobalto puro come porous powder compact (sinterizzati da polvere di cobalto grossolana fino ad una porosità del 15-20% e poi impregnati di sostanze che ne abbassano il coefficiente di attrito, quali PTFE, disolfuro di molibdeno, piombo, …) a causa della bassa resistenza meccanica della matrice.

Hard metals

  • L’uso forse più strategico del cobalto è quello come matrice per “metalli duri”, quelli che gli anglofoni chiamano “cemented carbides”.
  • Infatti con questo termine si indicano quei materiali consistenti di polveri di carburi metallici (generalmente WC) in una matrice ricca di cobalto.
  • Questo tipo di materiale trova larghissimo impiego nella lavorazione di acciai e di altre leghe ad elevate proprietà meccaniche, come ugello negli estrusori , ed in tutte quelle applicazioni in cui si necessita di un materiale ad alta rigidezza e resistente ad usura. Senza i progressi fatti dalla ricerca in questo settore, sarebbero molto inferiori le possibilità di lavorare meccanicamente componenti in metallo, ma nonostante tutto non si è riusciti a sostituire il cobalto in maniera così flessibile come “binder”.
  • Nonostante vi siano diversi metodi di produzione, generalmente si procede come segue.

Produzione

  • Mettendo a reagire assieme della polvere di carbonio con polvere di tungsteno nelle giuste proporzioni (6.13% in peso di C) a circa 1500°C, si ottiene WC (carburo di tungsteno). Il controllo delle condizioni di reazione, poi, conduce all’ottenimento di una polvere con pezzatura di circa 1mm.Queste particelle assieme a quelle di cobalto metallico vengono sotto poste al processo di “ball milling” che ha lo scopo di ridurre le dimensioni delle particelle e garantire un adeguato mescolamento. A questo punto se le dimensioni del prodotto finale sono limitate le polveri mescolate vengono pressate a freddo nei loro stampi; per dimensioni invece più consistenti, le polveri vengono pressate a caldo alla temperatura di sinterizzazione (circa 1300°C). A questo punto le parti consolidate vengono sinterizzate in atmosfera riducente ad una temperatura che varia a seconda dai 1300 ai 1600°C. Si forma, quindi, una fase liquida (il cobalto solubilizza parzialmente il tungsteno e il carbonio), associata ad una riduzione di porosità e ad un ritiro volumetrico quantificabile in 20%. In condizioni di raffreddamento la maggior parte degli elementi solubilizzati riprecipita, ma la fase ricca di cobalto grazie agli elementi residui presenti ne risulta rinforzata e stabilizzata in forma cubica.
  • Il merito del cobalto è proprio questo: sviluppa la formazione di questa fase a bassa temperatura di fusione che bagna le particelle di carburo in modo tale che le forze superficiali agiscano in maniera da densificare il compatto, e la dissoluzione di parte del WC  rinforza il “binder”.

Gradi

  • Esistono, ad ogni modo diversi “gradi” di materiale che si differenziano fondamentalmente per il contenuto di cobalto e per la dimensione dei carburi.
  • A titolo esemplificativo, ne tratteremo alcuni.
  • GRADO H
  • Come si vede dalla microstruttura a 1500 X dopo un attacco con soluzione Murakami (ferrocianuro di potassio 10 g., idrossido di potassio 10g., acqua 100ml.) presenta una fine dispersione di  carburi con una bassa presenza di binder. Raggiunge una durezza molto elevata (oltre i 1700 HV).
  • GRADO CXT
  • presenza una grana meno fine a livello di carburi e una accresciuta quantità di binder. La sua rigidezza risulta inferiore rispetto al grado H.
  • GRADO TT
  • caratterizzata da una grana di medie dimensioni, ma un ancor superiore tenore di binder. Presenta una durezza tra le più basse tra gli “hard metals”.
  • Vi è poi un’altra classe importante di metalli duri che oltre a WC contengono carburi anche di tantalio, niobio, etc … Ma mentre WC presenta una struttura esagonale, i carburi appena menzionati presentano una struttura cubica: in fase di sinterizzazione però le reazioni che avvengono tra i vari elementi presenti permettono la formazione di carburi tutti a struttura cubica. Ne risulta un “multicarbide material” con proprietà meccaniche ad alta temperatura migliorate ideale per le lavorazioni meccaniche “high speed”.
  • Come confronto tra i vari gradi di metalli duri può essere utile la seguente tabella:
  • Grado
  • Carburi
  • Cobalto
  • (% in peso)
  • Durezza
  • (HV)
  • Resistenza a
  • compressione
  • (MPa)
  • Modulo di Young (GPa)
  • H
  • WC
  • 6
  • 1750
  • 6870
  • 630
  • CXT
  • WC
  • 9.5
  • 1210
  • 4000
  • 585
  • TT
  • WC
  • 25
  • 950
  • 3400
  • 460
  • XL3
  • (Co,W)C, (Ta,Nb)C
  • 9.5
  • 1450
  • 5600
  • 510
  • Si può allora sulla base di questi dati fare delle ipotesi di relazione tra la variazione di una grandezza , quale il contenuto di cobalto e la conseguente modifica di una proprietà quale la resistenza ad impatto. Sperimentalmente si vede la proporzionalità diretta tra le due quantità,
  • così come è evidente come la durezza cresca al diminuire delle dimensioni delle particelle di carburi ed analogamente al calare del tenore di cobalto presente

Appendice con tabella riassuntiva proprietà

Generalità

Numero atomico

27

Simbolo

Co

Anno di scoperta

1793

Scopritore

George Brandt

Origine del nome

Dal tedesco: kobold (folletto)

Origine

Si ottiene per estrazione da minerali quali la cobaltite ( CoAsS ) e la linneite ( Co3S4 ), o come sottoprodotto della raffinazione di nickel, ferro e rame.

Usi

Usato in leghe, nell'industria ceramica e vetraria ( i suoi sali danno colorazione blu ). L'isotopo radioattivo Co-60 è usato nella radioterapia.

Costanti chimico-fisiche

Massa atomica relativa

58.93320 uma

Configurazione elettronica

[Ar] 3d7 4s2

Valenza

2, 3

Numeri di ossidazione

+2, +3

Elettronegatività

1.88

Stato di aggregazione a 25°C

Solido

Strutture
cristalline

Esagonale, Cubica

Energia di prima ionizzazione

7.8810 eV

Energia di seconda ionizzazione

17.06 eV

Energia di terza ionizzazione

33.50 eV

Raggio atomico

1.67 Å

Raggio covalente

1.16 Å

Raggio ionico

0.65 (+2) Å

Volume atomico

6.7 cm³/mol

Calore specifico

0.42 J/gK

Calore di vaporizzazione

376.50 kJ/mol

Calore di fusione

16.190 kJ/mol

Conducibilità elettrica

0.172 · 106/cm · ohm

Conducibilità termica

1.00 W/cmK

Temperatura di fusione

1495°C

Temperatura di ebollizione

2927°C

Densità a 293 K

8.90 g/cm³

Bibliografia

 

AA. VV.                 Metal handbook             Asm International
W. Betteridge         Cobalt and its alloys      Ellis Horwood
Alonso-Finn           Elementi di fisica           Masson Italia

 

Siti Internet consultati:

http://www.chim1.unifi.it/

Fonte: http://www.ing.unitn.it/~colombo/Vitosnello/doc/il%20cobalto%20e%20le%20sue%20leghe.doc

Sito web da visitare: http://www.ing.unitn.it

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