Metodi di prove meccaniche

Metodi di prove meccaniche

 

 

 

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Metodi di prove meccaniche

 

 

Prova  di trazione.

Questa prova consiste nel sottoporre un provino ad uno sforzo di trazione, generalmente fino a rottura, in modo da poter determinare diverse proprietà meccaniche. Solitamente si impone una deformazione crescente su un provino sul quale sono tracciati due tratti che fungono da riferimenti posti ad una distanza L0. Durante la prova si misurano la forza F e l’allungamento L - L0. Per quanto riguarda la prova di trazione, si fa riferimento  alla terminologia adottata nella norma UNI EN 10002/1.

Figura 1

Elemento essenziale di qualsiasi  prova   meccanica è la provetta (o provino). Questa deve essere ricavata dal pezzo in esame con una lavorazione meccanica tale da non alterare le caratteristiche del materiale a seguito di  un  involontario trattamento                termico (lavorazione   effettuata        in modo  troppo  rapido)  o  di  eccessive tensioni residue nel pezzo (figura 1).



Quella che segue è una legenda delle denominazioni e dei simboli utilizzati per le grandezze geometriche.

Diametro della sezione calibrata del provino a sezione circolare

d

Spessore della provetta piatta

a

Larghezza della provetta piatta

b

Lunghezza iniziale fra i riferimenti

L0

Lunghezza parte calibrata

Lc

Lunghezza totale

Lt

Lunghezza ultima fra i riferimenti

Lu

Allungamento percentuale dopo rottura 100 Lu  - L0
L0

A

Sezione iniziale parte calibrata

S0

Sezione minima dopo rottura

Su

Coefficiente percentuale di strizione 100 S0 - Su
S0

Z

La provetta di trazione può essere distinta in alcune zone: 1) le teste di serraggio; 2)  le zone di raccordo; 3) il tratto utile.

Le   teste   di   serraggio,   filettate   o   meno,    permettono l'applicazione stabile senza slittamento del provino ai morsetti della macchina di prova. Il tratto utile ( di lunghezza  L0   ),   è   la   parte   della   provetta interessante ai fini della accettabilità  dei


 

risultati: nel caso in cui la rottura non avviene all'interno di questa zona centrale, i risultati non  sono  accettabili.  Le  zone  di  raccordo  uniscono  il  tratto  utile  (di sezione inferiore) con le teste di serraggio (di sezione maggiore) con raggi di raccordo tali per cui l'effetto di  intaglio  è  limitato  al minimo possibile. Le sezioni delle  provette possono essere circolari o rettangolari, e le proporzioni delle provette stesse sono precisate all'interno della sopra citata norma. Normalmente la relazione fra  il  tratto utile L0  e la sezione iniziale della parte calibrata S0  è :
L0   = 5.65
Nel caso di provette a sezione circolare la  precedente relazione  corrisponde a  L0=5d  (provette proporzionali). Si può   anche derogare  in talune   occasioni    a    tali
relazioni, ma va scritto esplicitamente nel rapporto finale. Prima di effettuare la   prova,
conviene suddividere il tratto L0  in un    numero  N    di  suddivisioni, mediante piccole incisioni oppure  inchiostro ad asciugamento rapido. Nella tabella seguente si hanno  un
insieme  di  definizioni  e di simboli riguardanti i carichi:


Carico di snervamento superiore

FeH

Carico di snervamento inferiore

FeL

Carico di scostamento dalla proporzionalità

FP

Carico limite di allungamento totale

Ft

Carico limite di allungamento permanente

Fr

Carico massimo

Fm

Carico ultimo

Fu

Per avere i carichi unitari (denominati secondo la norma UNI con delle  R  con pedici analoghi ai   precedenti, ma nei vari testi può essere usata la lettera  s ) basta
dividere il carico considerato per la sezione iniziale S0 . Fa  eccezione  in  carico  unitario ultimo di rottura (tensione di rottura) che si ottiene dividendo Fu per la sezione minima di rottura Su .
La rilevazione delle deformazioni può essere effettuata sia utilizzando un estensimetro
applicato all'esterno del provino, sia rilevando l'allungamento grazie allo spostamento della testa traente.
Le macchine utilizzate per questo tipo di prove possono essere sia oleodinamiche che elettromeccaniche ed hanno potenze che possono andare da alcuni grammi (per fibre e filamenti) a centinaia di tonnellate (per grandi strutture). Le macchine di piccola  potenza (inferiore ad una tonnellata) sono solitamente del tipo a leve . Per le grandi potenze si preferiscono quelle idrauliche.
Per le prove di trazione il campione  viene  fissato  ai  relativi morsetti della  macchina o per mezzo di cunei autoserranti o con manicotti smontabili, facendo ben attenzione ad esercitare esclusivamente sollecitazioni assiali,  senza  generare  né torsioni né flessioni supplementari. La normativa fissa delle velocità limite sia per ciò


che  riguarda la  velocità  di  allungamento


(compresa  fra 0.0025 e 0.00025 s-1 )

che per la velocità di incremento del carico,   che   deve essere minore di 30    N/mm 2 s
durante la fase elastica per evitare, fra  l'altro, errori dovuti  ad  effetti  di  inerzia. Diversi sono i tipi di curve ottenibili sia al variare della composizione chimica della  lega in esame (figura 2), sia dei   trattamenti termomeccanici cui essa è stata sottoposta.


Prove meccaniche                                                                                                              


La curva trazione caratteristica di un acciaio dolce può essere convenzionalmente distinta in quattro zone. La prima è detta zona elastica. In essa è valida la legge di  Hooke, e si ha quindi una proporzionalità diretta fra s ed e attraverso il modulo di Young E. Se, in corrispondenza di qualsiasi carico, si interrompe la prova e si fa ritornare il carico a zero, tutte  le  deformazioni  sono  completamente recuperate, in  modo che sul provino non rimane traccia  della precedente sollecitazione . Tutto ciò  fino a che il carico non aggiunge il carico unitario di  snervamento  superiore. Da  questo  punto inizia la zona di snervamento ed iniziano le deformazioni non reversibili, e non più recuperabili, anche se il carico esterno viene riportato a 0. La zona dello snervamento è caratterizzata da un aumento della deformazione e con un carico che può essere costante, oppure variare in modo piuttosto sensibile sempre però intorno ad un valore medio costante. Tale comportamento è dovuto alla modalità microscopica di deformazione, basata su processi di movimentazione , moltiplicazione e successivo arresto delle dislocazioni, che aumentano notevolmente in densità (anche due ordini di grandezza). Appena i processi che intervengono nella zona dello snervamento cessano di agire, inizia la zona detta di incrudimento. In questa fase il processo di deformazione non è più affidato alla movimentazione delle dislocazioni, che risultano completamente bloccate, ma allo scorrimento di interi piani cristallini di massima densità. Durante l’incrudimento, il carico ricomincia a crescere, con la deformazione che continua ad aumentare in  modo  irreversibile. La parte della curva corrispondente   all'incrudimento
può essere descritta mediante una correlazione del tipo: s = k en , ove  "n"  è  la pendenza della curva nel  piano "ln(s)-ln(e)"  .  Infatti la pendenza della curva nel  piano "s - e " può essere ottenuta nel seguente modo:

 


Materiale

Trattamento

n

k [MPa]

Acc. 0.5% C

Ricotto

0.26

530

Acc.0.6% C

Bonif. 540 °C

0.10

1570

Acc.0.6% C

Bonif. 705 °C

0.19

1230

Rame

Ricotto

0.54

320

Ottone

Ricotto

0.49

900


 


Nella fase dell'incrudimento, si comincia ad evidenziare sul provino il punto della futura rottura: si ha una deformazione localizzata in un breve tratto del provino, che comincia a presentare una strizione sempre più accentuata (figura 3). Tale strizione coincide con una diminuzione della sezione effettiva su cui agisce la sollecitazione                applicata. Quando la riduzione relativa dell'area  della  sezione trasversale       diventa     pari all'aumento relativo della sollecitazione si ha un massimo nel        diagramma     s     -     e in



Figura 3


corrispondenza di Rm  (ove per  s  si intende il rapporto F/S0 ).
Da  questo  punto  inizia  la  zona  detta  dello  snervamento    locale,    in  cui  ad una
diminuzione della sollecitazione applicata corrisponde un aumento della deformazione. Questo sembrerebbe insensato se non si ricordasse che si sta considerando un diagramma
o - e , ove s è il rapporto fra carico e sezione iniziale S0 . Questa è la cosiddetta curva ingegneristica. Se si considera la sezione vera S in corrispondenza della strizione si
ottiene la cosiddetta curva reale. Tale curva differisce dalla precedente per quanto riguarda l'ultima parte , che segue un andamento  sempre crescente.
Il passaggio dalla curva reale alla curva razionale può essere effettuato in parte basandosi su ragionamenti geometrici, in parte ricorrendo a misure effettuate in maniera particolare. Ricordando la definizione di deformazione



si può definire una deformazione percentuale "vera" in cui lo scarto percentuale  viene fatto riferire sempre alla    lunghezza effettiva del provino:


Dato che tutte le deformazioni che si considerano  sono  a  volume costante, si ha che


 

Dalle espressioni precedenti si può osservare che per piccoli valori di e la curva razionale   e   la   curva   reale   coincidono, mentre, per valori di e non  più  trascurabili,

praticamente dallo snervamento in poi, la curva razionale sposta  i punti rappresentativi della prova verso l'alto e verso sinistra (figura 4). Tutto ciò è valido con buona approssimazione fino  al  punto in cui, nel corrispondente diagramma reale, si ha il massimo. Da questo punto in poi la deformazione localizzata non può più essere descritta dal suddetto modello, in virtù proprio della sua localizzazione: per poter avere il diagramma razionale fino  a rottura  si deve "localizzare" la raccolta dei dati riguardanti la deformazione, utilizzando degli estensimetri collocati in modo da dare la deformazione percentuale riferita esclusivamente alla zona  di strizione, e non a tutta la lunghezza del provino.
Questo appena  esposto  è  il  caso più generale che si può presentare, ma non è certamente l'unico. Infatti si può avere, nel caso di materiali fragili, una curva costituita solamente dalla parte lineare. Oppure si può avere una zona di snervamento  senza  caduta  di carico oppure senza "seghettatura". Si può avere una curva senza snervamento, in  cui si ha un passaggio diretto dalla zona di


Figura 4


deformazione    lineare    a  quella di


deformazione con incrudimento. Si può inoltre avere una curva senza una vera e propria parte lineare elastica .


 

Nel caso non si  abbia  un  carico  di  scostamento  dalla proporzionalità ben  evidente, viene definito un carico unitario di scostamento dalla proporzionalità convenzionale corrispondente ad una deformazione permanente p.e.  dello  0.2  % (figura 5). Da sottolineare la convenzionalità di un carico così  definito:  la deformazione  che  si  ottiene  infatti  non   è   completamente reversibile,  e  di  questo se ne deve tenere conto in sede progettuale. La  determinazione di tale carico  viene fatta, secondo la norma UNI 556 parte terza, tracciando una retta parallela alla parte rettilinea del primo tratto della  curva  di trazione, ad una distanza, misurata sulle  ascisse e, pari alla percentuale di deformazione prescritta (p.e. lo 0.2%). Se durante la prova di trazione si interrompe l'applicazione del carico prima della rottura del campione, la curva  s - e seguirà
una retta con la stessa inclinazione della parte lineare elastica. Se la prova  viene  quindi interrotta nella zona elastica,   non   si   avranno deformazioni permanenti.
Se, dopo avere interrotto la prova          di                 trazione                    in
corrispondenza  di  una  s  per  il


quale     il      materiale      subisce


Figura 5


incrudimento, si riapplica il carico, la curva s-e che si ottiene è decisamente diversa dalla precedente: in questo caso il materiale metallico mostra un carico unitario di scostamento dalla                                  proporzionalità               decisamente superiore  al  precedente  caso   .  Il materiale,  attraverso  il precedente  incrudimento,  acquista  la  capacità     di    sostenere maggiori   carichi   senza deformazioni  residue.                         L'aumento     del carico  unitario  di scostamento           dalla                       proporzionalità               di     un  materiale in seguito   alla    deformazione plastica preliminare è definito incrudimento, e si usa molto nella tecnica, p.e. nel caso di lamiere di rame o di ottone (laminate a freddo), oppure nel caso di catene ,  cavi, cinghie, spesso "stirate" con carichi che superano i carichi di lavoro.
Per la  determinazione  dell'allungamento  a  rottura  A, si  deve effettuare la   misura
della distanza fra i riferimenti del tratto utile sia prima della prova ( L0) che a rottura avvenuta ( L ), misurando in quest'ultimo caso la lunghezza del  provino  ottenuto   unendo
nel modo più aderente possibile le due facce della frattura. La norma prevede che il punto di rottura deve situarsi all'interno del tratto utile, e distare dal riferimento più vicino almeno un terzo della lunghezza ultima del provino. Qualora ciò non  si  verificasse, il valore di A ottenuto sarà minore di quello reale. Onde evitare di scartare i risultati di provini in cui il punto di rottura, pure verificatosi nel tratto utile, non risponde alla suddetta condizione, si può procedere con il seguente metodo: ricordando che il provino è stato preventivamente suddiviso in N parti uguali, dopo la prova si designa con A il riferimento iniziale dello spezzone più corto e con B quello dello spezzone più lungo la cui distanza dal punto di rottura è la più prossima a quella fra il punto di rottura ed il riferimento A.

Tutte le grandezze ottenibili con la prova di trazione non sono funzione solamente  della composizione chimica del materiale considerato: esse variano con le  condizioni  di  prova e  con   gli   eventuali   trattamenti termomeccanici subiti dal materiale  (si deve ricordare l'eccezione costituita dal modulo di Young , che non varia al variare del trattamento termomeccanico subito dal materiale).
Considerando le condizioni di prova, si osserva che l'influenza maggiore sui risultati è dovuta alla temperatura ed alla velocità di prova (ed infatti la normativa si cura di fissare  in  modo  univoco  l’intervallo  di  variabilità  della  seconda,  e  di raccomandare di riportare accuratamente la prima nel rapporto finale).

 

Materiale

 

Rm [MPa]

 

R el [MPa]

 

A%

 

E [MPa]

C14

340-440

235

28

206000

14CrMo3

440-570

294

22

206000

28CrMo125

740-880

560

14

=

14CrMo910

470-630

>255

19

206000

G20Mo5

440

245

20

=

Ghisa grigia non legata

=

294

1

=

Ghisa nodul. ferr.

461

304

17

 

CuNi20Fe

361

127

39

90000

Inconel X

1140

628

=

=

Al-Cu-Mg

422

275

22

41000

Prova di durezza

La durezza può essere definita in vario modo a seconda del materiale considerato. Si può definire come durezza la resistenza alla scalfittura, la resistenza all'abrasione, la resistenza alla deformazione permanente sotto l'azione di un penetratore cui sia applicato un carico dinamico o statico.
Nel campo dei metalli si definisce come durezza la resistenza che il metallo preso in considerazione oppone all'azione di un penetratore cui sia applicato un carico statico.
A seconda del penetratore, delle modalità di prova e della modalità di analisi dei risultati, si possono definire diverse prove di durezza, normalizzate nella normativa UNI. Da sottolineare che quelle che verranno esposte nel seguito non sono le uniche prove di durezza esistenti, ma le altre hanno per i metalli un interesse solo storico, oppure sono state escogitate per altre classi di materiali.
Caratteristica comune delle prove che verranno descritte, è che il penetratore normalmente deve agire su una superficie liscia e piana, esente da ossidi ed impurezze superficiali. Qualora si effettuino prove su superfici non piane (superfici cilindriche convesse o concave, superfici sferiche ) le normative riguardanti la prova Vickers e la prova Rockwell forniscono delle tabelle all'interno delle quali sono contenuti i valori di correzione, mentre la normativa riguardante la prova Brinell non fornisce nessuna indicazione.


 

 

Prova di durezza Brinell

Nella esposizione di tale prova si farà riferimento alla nomenclatura ed alle indicazioni contenuti all'interno della norma UNI 560-75.
La prova consiste nel far penetrare nel pezzo in esame una sfera di acciaio molto duro di diametro "D" mediante un carico "F", e nel misurare il diametro "d" dell'impronta lasciata dal penetratore sulla superficie del pezzo, dopo avere tolto il penetratore.
La prova deve essere effettuata evitando che la macchina di prova subisca urti o vibrazioni, portando il penetratore a contatto con la superficie di prova (che deve essere pulita, priva di corpi estranei superficiali e di ossidi), applicando gradualmente il carico fino a raggiungere il valore di prova, che va mantenuto per 10-
15 s (a meno di accordi diversi nel caso di materiali  non ferrosi: in tal caso il diverso valore del tempo di applicazione del carico va segnalato nella relazione finale).
L'impronta che si ottiene deve rispondere a determinate caratteristiche :

  • la sua profondità non deve essere maggiore di 1/8 dello spessore del pezzo;
  • la distanza fra il centro dell'impronta e l'orlo del pezzo non deve essere inferiore a 2.5 volte il diametro dell'impronta;

  • La distanza fra i centri di due impronte vicine non deve essere minore di 4 volte il diametro dell'impronta.

Tutte queste prescrizioni sono imposte dalla norma UNI con lo scopo di evitare l'arricciamento degli orli, il rigonfiamento del pezzo, l'influenza reciproca fra diverse impronte: queste sono eventualità che inficerebbero la validità dei risultati ottenuti.
Misurato il diametro dell'impronta del penetratore, il valore della durezza Brinell (HB)
Se si debbono utilizzare sfere di diametro minore (per motivi legati al rispetto delle raccomandazioni sopra elencate), onde ottenere risultati confrontabili, si deve agire in condizioni di "similitudine geometrica". Se infatti il carico di 29400 viene applicato ad una sfera di diametro inferiore a quello nominale (p.e. 2 mm), la distribuzione della pressione esercitata dalla sfera sul pezzo in esame sarà decisamente diversa da quella che si ha nel caso di sfera di diametro nominale, con la conseguenza che i valori di  HB


 

che si ottengono non sono confrontabili. Quindi si dovrà variare il carico in modo da far sì che l'angolo 2f che si ottiene sia costante (figura 6).
Di solito si rinuncia ad avere un angolo di penetrazione costante per le difficoltà esecutive che tale obiettivo pone: la normativa infatti prevede che si effettui la prova con

un valore costante del rapporto


. Tale rapporto può assumere i valori 30, 20, 10,  5,
D 2


2.5, 1.25, 0.5: i valori più alti sono utilizzati nel caso di metalli molto duri, viceversa i
valori più bassi sono utilizzati per i metalli meno duri. La scelta di questa costante viene fatta in base al rapporto d/D . La norma UNI indica come poco attendibili i valori di durezza ottenuti con un rapporto d/D esterno all'intervallo 0.25 ¸ 0.5. Tale limitazione si riflette direttamente in una limitazione sull'angolo di penetrazione, o meglio sul semiangolo di penetrazione f , pari all' arcos(d/D). Di conseguenza l'angolo di penetrazione 2f deve essere compreso fra 120° e 151° .
La normativa sconsiglia di utilizzare la prova Brinell al di sopra di 450 HB: in tal caso si consiglia di utilizzare un penetratore più duro in carburo di wolframio, facendo bene attenzione a ricordare che il valore ottenuto rientra in scala diversa, segnalando ciò in una eventuale relazione finale (usando il simbolo HBW).
La prova Brinell unisce alla sua rapidità ed economicità ed al suo carattere sostanzialmente non distruttivo, la possibilità di legare, con una relazione empirica , la durezza alla resistenza alla trazione. Tale relazione ha la forma :
R = h HB
ove "h" assume valori diversi a seconda della classe di materiali metallici considerati (p.e. nel caso di acciai da costruzione h=1/3).

Prova di durezza Vickers

Per quanto riguarda la prova Vickers, si farà riferimento alla norma UNI 1955-75. Tale prova si svolge secondo modalità simili a quelle della prova Brinell, differendo da essa principalmente per il penetratore.
Questo è costituito da una piramide retta, a base quadrata, di diamante, con l'angolo al vertice (angolo fra due facce opposte) di 136° (figura 7). A tale angolo corrisponde un rapporto d/D pari a 0.375. Tale valore è esattamente al centro dell'intervallo consigliato dalla norma UNI riguardante la prova Brinell. La prova Vickers si svolge quindi in condizioni di similitudine geometrica, con un angolo di penetrazione costante.
Nel caso di condizioni "normali", la prova si svolge applicando un carico di      294 N ( = 30 Kgf) per  10-15
s. Possono essere anche usati carichi diversi, ma sempre compresi nell'intervallo 49-980 N ( = 5-100 Kgf ) .


Figura 7
HV = 0.189 F/d2


La durezza Vickers è data dalla formula:


ove d è la media fra le due diagonali dell’impronta.
La conversione fra valori di durezza Vickers ottenuti con vari valori del carico applicato, oppure ottenuti con diversi tipi di prove, è affidata a tabelle ed a relazioni empiriche di limitata validità.
Da sottolineare che i risultati della prova Vickers coincidono con quelli della prova Brinell fino a valori di circa 300    HB-HV (se  la prova Brinell è condotta in condizioni


 

normali) o addirittura fino a circa 550 HB-HV (se la prova Brinell è eseguita in modo da avere un angolo di penetrazione costante pari a 136°).

3.3. Prova di durezza Rockwell

Per tale prova si fa riferimento alla norma UNI 562-75.
Tale prova consiste nel far penetrare in due tempi un penetratore unificato e nel misurare l'accrescimento rimanente "e" della profondità dell'impronta .
Possono essere definite due diverse scale B e C a seconda che il penetratore sia una sfera di acciaio temprato e levigato (scala B) o sia un cono di diamante a base circolare con punta arrotondata ed angolo al vertice di 120° (scala C).
Il penetratore a cono è da usare per materiali aventi durezza Rockwell scala C (HRC) superiore a 20 (solitamente materiali aventi HB>200). Il penetratore a sfera deve essere usato per materiali con durezza Rockwell scala B compresa fra 20 e 100 (solitamente materiali aventi HB<200).
Comunque si scelga il penetratore, la prova si svolge nel seguente modo:

  • posto il penetratore a contatto con la superficie del pezzo in oggetto, viene applicato un precarico iniziale F0 = 98 N ( = 10 Kgf);
  • si azzera l'indicatore di profondità;
  • si applica un secondo carico F1 pari a 980 N (=100 Kgf) nel caso della scala B, pari a 1470 N (=150 Kgf) nel caso della scala C;
  • dopo 30 s il carico F1 viene tolto, lasciando il carico F0 applicato sul penetratore, che resta a contatto del pezzo in esame, immerso in esso per un certo tratto "e";
  • si   legge   sull'apposito   quadrante   l'accrescimento   rimanente   della profondità

dell'impronta "e" sotto il carico iniziale F0 dopo l'eliminazione del carico F1 (l'unità di misura adottata per "e" è 0.002 mm);

  • la durezza Rockwell (HRB oppure HRC) è data dalla differenza fra 100 ed il valore dell'accrescimento rimanente "e" della profondità dell'impronta; molto spesso la macchina di prova è fornita di un quadrante che fornisce direttamente il valore desiderato;

Si deve ricordare che i valori di HRB e di HRC hanno l'inconveniente di essere dei valori di durezza convenzionali.

 

 

 

 

Durezza Brinell Acciai per molle
(allo stato di ricottura di lavorabilità)

C45

200

C60

230

C70

250

C75

265

C90

270

50Si7

250


 

50CrV4                               250
Durezza Brinell Leghe di Rame

P-CuAl5

80-115

P-CuAl8

90-120

G-CuZn40

70

G-CuZn36Si1Pb1

110

Durezza Brinell Ghise malleabili

GMB35

125-200

GMB45

150-210

GMB55

190-240

GMB65

210-250

GMN35

110-150

GMN45

250-210

GMN55

190-240

GMN65

210-250


Durezza acciaio temprato, con raffreddamento in olio, in aria forzata , in aria tranquilla

Raffreddamento

HB

Olio

390

Aria forzata

290

Aria tranquilla

250


Principi di meccanica della frattura

Le strutture sono normalmente progettate in modo che le sollecitazioni esterne non superino in alcun punto il limite di elasticità del metallo. Una specifica di progetto di questo tipo mette la struttura al riparo da una rottura classica di tipo duttile. Tuttavia altre


 

modalità di rottura sono spesso osservate (fragile oppure semi -fragile). Questo evento può avere luogo in circostanze diverse da quelle usuali, quali, ad esempio:

  • basse temperature;
  • elevate velocità di applicazione del carico;
  • difetti preesistenti oppure generatesi durante il servizio.

Le prove classiche di rottura fragile (ad esempio la prova di resilienza) non permettono di definire una grandezza suscettibile di essere utilizzata come parametro di progetto quantitativo. E’ stato quindi necessario caratterizzare quantitativamente la resistenza di un materiale alla propagazione improvvisa di un difetto, introducendo la nozione di tenacità alla rottura. Questo   è
l’obbiettivo principale della meccanica della rottura.
Le rotture improvvise possono essere classificate in due categorie:

  • Le rotture fragili propriamente dette, che riguardano i materiali che presentano una transizione duttile-fragile evidente (caso degli acciai dolci).
  • Le    rotture    duttili   a    bassissima

deformazione plastica, che riguardano i materiali ad elevatissima resistenza per   i


Figura 8


quali non esiste una dipendenza evidente fra la resilienza e la temperatura. In questo caso i fattori essenziali sono le inclusioni ed i difetti.
Lo stato generale della propagazione di una fessura all’interno di un metallo, rispetto allo stato di sollecitazioni esterno, può essere sempre riportato alla sovrapposizione di tre modi di rottura principali (figura 8).
Una superficie di rottura piana, sollecitato secondo la direzione ortogonale alla direzione di propagazione della fessura, corrisponde al modo I, quello sicuramente più estesamente analizzato, in quanto quello certamente più frequente. Nel seguito verrà unicamente considerato questo modo di sollecitazione.

Stato di sollecitazione in prossimità dell’apice di una fessura.

Si consideri una placca infinita di un materiale perfettamente elastico nella quale sia presente una fessura passante di lunghezza 2a e di spessore trascurabile, ovvero con un raggio di fondo intaglio r = 0.
Lo sforzo normale sy, in prossimità dell’apice della cricca, nel piano della fessura stessa,


 

Criteri di propagazione improvvisa di una cricca.

Si possono considerare due criteri di propagazione di una cricca:

      • Figura 9
      • Il criterio degli sforzi. Questo criterio è basato sull’ipotesi che la rottura avvenga qualora  all’apice della cricca si raggiunga un valore critico di sollecitazione. Tale situazione corrisponde ad un      profilo      critico      della distribuzione delle sollecitazioni caratterizzato da un valore critico del fattore di intensificazione degli sforzi KIC, che caratterizza la resistenza del metallo alla propagazione delle cricche esistenti (figura 9).

 


 


 

  • Il criterio dell’energia. Si ha l’avanzamento spontaneo della cricca , nel caso in cui tale avanzamento coincida con una diminuzione dell’energia libera del sistema, ovvero nel caso in cui la variazione dell’energia elastica sia superiore alla variazione dell’energia superficiale. Se si considera una fessura ellittica in una placca di grandi dimensioni in materiale puramente elastico, si ha la propagazione della fessura nel caso  in cui :

s = sr  =

ove E è il modulo di Young e 2gS corrisponde all’energia necessaria per far aumentare la superficie della fessura di una quantità unitaria. Tale energia critica può essere designata con GIC. Quindi:

  • Equivalenza dei due criteri. Le due grandezze precedentemente introdotte sono  legate fra di loro secondo delle relazioni che dipendono dallo spessore della struttura:
  • Strutture spesse (stato di deformazione piana):

 

KIC   =

ove n è il modulo di Poisson.

  • Strutture sottili (stato di sforzo piano):

KIC   =

Determinazione sperimentale di KIC.

La conoscenza del KIC permette di determinare un valore critico ac della dimensione massima tollerabile di un difetto, per uno stato di sollecitazione determinato, oppure il valore critico della sollecitazione applicata sc per una determinata dimensione massima dei difetti presenti.
La metodologia per effettuare la prova per determinare il KIC è mostrata nella normativa ASTM E399, ed è basata su delle prove di trazione o di flessione su tre punti effettuate su provette intagliata e precriccate a fatica. Durante queste prove di trazione o di flessione si registra la curva carico-apertura dell’apice dell’intaglio (Load-COD,  ove


 

per COD si intende Crack Opening Displacement) e si determina il carico che corrisponde ad una propagazione della cricca del 2%.
Il valore del KIC  è calcolato a partire da questo carico grazie a delle relazioni che  sono state ottenute mediante l’analisi degli sforzi elastici effettuate sulle provette. La validità dei  risultati dipende dal reale raggio all’apice della cricca e dalle dimensioni  del provino. Le condizioni che devono essere prese in considerazione affinché il risultato sia valido sono:

  • Lo sforzo nominale deve essere inferiore al limite elastico.
  • La zona plastica all’apice della cricca deve essere trascurabile rispetto alle dimensioni del provino, in modo che il comportamento sia il più possibile elastico.
  • Le dimensioni del provino devono essere sufficienti da assicurare per la prova delle piene condizioni di deformazione piana.

Affinché queste condizioni siano rispettate, sia la lunghezza iniziale della cricca “a” che lo spessore del provino “B” devono essere superiori al seguente limite inferiore [mm]:

Il tipo di provino normalmente più utilizzato è quello compatto (tipo CT, Compact Type, figura 10).
Le condizioni per il precriccaggio a fatica hanno una notevole influenza sul valore di KIC  ottenuto. Questo è  il
motivo per cui sono imposte le seguenti condizioni:


 

 

Figura 10


  • Il precriccaggio deve essere effettuato sul metallo che ha già subito il trattamento termico finale.
  • La lunghezza della cricca deve essere superiore a 1.3 mm.
  • Per l’ultima parte dell’avanzamento a fatica (2.5%) il rapporto Kf max/E deve essere1 inferiore a 0.00032 m1/2 ed, inoltre, Kf max non deve essere superiore al 60% del valore di KQ determinato durante la prova di trazione (è il valore di K corrispondente all’avanzamento della cricca del 2% e, se le sopra elencate condizioni sono tutte rispettate, corrisponde con il KIC).


1Kf max è il valore massimo di K applicato durante il precriccaggio a fatica.


 

Diversi sono i tipi di curve carico-COD che possono essere ottenute (figura 11). Il valore critico del carico FQ è ottenuto nel modo seguente. Si traccia a partire dall’origine degli assi la curva secante OF5, la cui pendenza è inferiore alla tangente alla curva nell’origine del 5%. Nel caso di curva di tipo 1, la variazione del carico durante la  parte
di prova antecedente a F5 è tale che esso resta sempre inferiore ad F5. In tale caso FQ = F5. Nel caso di curva di tipo 2 oppure 3, nelle quali è evidente che il carico in qualche parte della curva antecedente a F5 risulta maggiore di tale valore, si ha che FQ è pari al carico massimo raggiunto durante la parte di prova precedente F5 stesso.
Determinato FQ, il valore di KQ per  il provino compatto CT

 


Nel caso in cui le condizioni sopra illustrate sono rispettate, KQ = KIC, ovvero KQ risulta l’espressione numerica del valore critico del fattore di intensificazione degli sforzi in deformazione piana.

Prove di fatica.

Nel caso che un metallo sia sottoposto a dei cicli di sollecitazione ripetuti nel tempo, esso subisce delle modificazioni microstrutturali con un complessivo danneggiamento per fatica. Questo danneggiamento non si evidenzia con alcuna modificazione macroscopica e la rottura può avvenire in corrispondenza di carichi modesti, anche decisamente inferiori al limite di elasticità.

 

 

Diagrammi di Wöhler.


 

Le prove di fatica più semplici consistono nell’imporre ad una serie di provette di forma opportuna degli sforzi periodici, con forma d’onda sinusoidale, sia mediante carico assiale, sia mediante flessione rotativa (figura 12). Ogni ciclo è caratterizzato da un valore massimale della sollecitazione smax e da un rapporto di carico R =  smin/smax.  Per ogni livello di smax analizzato sia la frequenza che il rapporto di carico vengono mantenuti costanti, e si determina così il numero di cicli necessario a portare a rottura il provino (N). I risultati ottenuti presentano una dispersione che può essere più o meno elevata.
Il diagramma di Wöhler è una visualizzazione della resistenza alla fatica del materiale per una determinata modalità di sollecitazione. Esso rappresenta la relazione sperimentale fra smax ed N. La curva di Wöhler corrisponde ad un valore intermedio di N per il quale la probabilità di rottura, oppure di sopravvivenza, è 0.5 (figura 13).
Si possono distinguere tre zone diverse:

  • Zona  della  fatica  plastica

oligociclica. Essa corrisponde a delle sollecitazioni comprese fra Re ed Rm: ogni ciclo comporta una deformazione plastica macroscopica Dep che comporta un indurimento per incrudimento. Per un numero di cicli compreso fra 104 e 105 è valida la relazione di Coffin:
Nn Dep = cost con n » 0.5

  • Zona di vita a fatica limitata.            Questa zona corrisponde a delle sollecitazioni inferiori  al  limite  elastico  e  si

Figura 12


Figura 13


estende all’incirca da 105 a 107 cicli. Questo è il dominio classico della fatica. L’espressione più semplice che può essere considerata come valida in questo intervallo è quella di Weibull:
N (s - sD )n  =  cost
ove n è compreso fra 1 e 2 e sD è il limite di fatica.

  • Zona di vita a fatica illimitata. Nel caso di sollecitazioni massime inferiori ad un valore limite denominato limite di fatica sD la durata della vita a fatica è superiore a quella prevista per le prove (da 107  a 109). Il limite di fatica è decisamente influenzato

dalla modalità di sollecitazione, e di ha che il limite di fatica in flessione rotante è


 

superiore a quello della tensione-compressione, che è superiore a quello della torsione. Questi oscillano fra il 20 ed il 60% del valore del carico massimo unitario.

. Meccanica della frattura e fenomeni di fatica.

La propagazione di una cricca di fatica procede secondo tre stadi successivi:

  • stadio I : innesco della cricca;
  • stadio II: stadio della propagazione lenta;
  • stadio III: fase della propagazione rapida, che evolve poi nella rottura.

La meccanica della frattura classica può essere applicata solo per lo stadio II e III, cioè nel caso in cui il difetto suscettibile di propagarsi è già presente. L’applicazione dei principi della meccanica della frattura permette di valutare correttamente la vita residua del pezzo, sotto determinate condizioni di sollecitazione.
L’idea di base (normativa ASTM E647) è quella di calcolare il numero di cicli
necessario affinché la cricca iniziale, di dimensioni ai, si propaghi fino ad una dimensione critica ac (figura 14).  Per applicare questo metodo devono essere noti i valori sia il valore di KIC che la legge di propagazione della cricca.
I risultati sperimentali mostrano che la velocità di propagazione della cricca , che per una frequenza di applicazione del carico f costante è data da da/dN, è funzione della variazione del fattore di intensità degli sforzi DK = Kmax - Kmin. Questa relazione è indipendente dalla geometria del provino adottato. La legge di propagazione è una proprietà intrinseca del materiale.
Se  si     considera     un     diagramma     bilogaritmico
log(da/dN) - log(DK) si possono identificare tre diverse zone di propagazione (figura 15):


Figura 14

Figura 15


  • Zona I (soglia ): in questa zona si ha un valore asintotico del DK, denominato DKth (th= threshold ). Per condizioni di sollecitazione per le quali il DK che si genera all’apice della cricca è inferiore al valore di soglia, non si osserva alcuna propagazione della cricca di fatica.
  • Zona II (zona di propagazione lineare, o zona di Paris): in questa zona si ha una legge di propagazione che, nel diagramma bilogaritmico, è descritta con ottima approssimazione da una legge di tipo lineare (legge di Paris-Erdogan)

log(da/dN) = log C + m log (DK) ovvero



ove C ed m sono dei parametri ottenuti mediante interpolazione dei risultati ottenuti in questo stadio di propagazione e dipendono, in modo non evidente, dal materiale.


 

- Zona III (rottura di schianto),: in questa zona la velocità di avanzamento aumenta secondo un rateo più elevato di quello prevedibile estrapolando la relazione di Paris, e  la cricca avanza molto velocemente, evolvendo a rottura di schianto in pochi cicli.
Oltre alla legge di Paris-Erdogan, valida solo per lo stadio II di propagazione della cricca di fatica, esistono numerose altre relazioni che permettono di interpolare i risultati in due oppure anche in tutti e tre gli stadi di propagazione.

5.3. Fattori influenzanti la resistenza a fatica.

I fattori che influenzano la resistenza alla propagazione della cricca di fatica sono diversi, in funzione dello stadio che si considera.
Per ciò che riguarda l’innesco della cricca, sono parametri fondamentali la natura della lega e lo stato microstrutturale, gli errori di progettazione (ad esempio, nel caso in cui il pezzo abbia improvvise diminuzioni di sezione), lo stato della superficie (una superficie non a specchio presenta un limite di fatica inferiore; inoltre, nel caso di trattamenti superficiali, la presenza di uno stato di sollecitazioni residue superficiali di compressione aumenta il limite di fatica).Le inclusioni , in modo particolare quelle situate in prossimità della superficie del pezzo sono dei siti di innesco preferenziali.
Per ciò che riguarda lo stadio della propagazione, i fattori principali sono la natura della lega ed il suo stato microstrutturale, la temperatura, la frequenza delle sollecitazioni.
Evidentemente, per ognuno degli stadi sopra considerati, l’aggressività o meno dell’ambiente può notevolmente influenzare la resistenza alla propagazione della cricca, in ognuno degli stadi sopra ricordati.

Prova di resilienza.

Le prove di trazione permettono di caratterizzare solo in parte il comportamento meccanico di un acciaio, dato che in alcuni casi le rotture possono avvenire per carichi inferiori al limite elastico. Ciò avviene in condizioni particolari, in corrispondenza delle quali il metallo mostra un comportamento fragile. I fattori principali sono:

  • La triassialità degli sforzi.
  • L’abbassamento della temperatura.
  • L’aumento della velocità di deformazione.
  • L’aumento delle dimensioni del pezzo.

Uno dei metodi più classici per caratterizzare la fragilizzazione di un metallo sotto l’azione di una sollecitazione dinamica è la prova di resilienza effettuata su provino intagliato.
La prova consiste nel rompere con un colpo di pendolo un provino intagliato. Tale provino viene colpito al centro, dopo essere stato opportunamente posizionato su due appoggi. Dal risultato della prova si ottiene l’energia W assorbita durante il colpo del maglio. La resilienza è pari all’energia assorbita per unità di superficie (espressa in J/cm2).
La macchina di prova è costituita da un martello oscillante in un piano verticale, sul quale è montato un coltello. Una parte dell’energia cinetica che possiede il martello durante la sua caduta da una altezza predeterminata viene assorbita dal provino.
Il martello (di peso P) viene posizionato in modo da far sì che esso possieda una energia pari a 300 J. Il martello viene quindi liberato e, nel punto più basso della sua caduta, colpisce il provino. Tale provino intagliato viene posizionato in modo da far sì che il martello lo colpisca nella parte centrale, sulla faccia opposta rispetto   all’intaglio.


 

Si misura l’energia assorbita nell’urto misurando la differenza fra l’altezza da cui è caduto (h0) il martello e quella a cui è rimontato dopo l’urto (h1). L’energia assorbita è pari a
W = P( h0 - h1 )
Sono utilizzati diversi tipi di provini con intaglio a U oppure a V. I simboli che vengono utilizzati sono KU (oppure KV) per l’energia assorbita per la rottura (J) e KCU (oppure KCV) per la resilienza (J/cm2). L’ultima lettera è U oppure V in funzione del tipo di intaglio utilizzato. Evidentemente l’intaglio a V è certamente più critico.
La misura della resilienza in funzione della temperatura del provino permette di tracciare una curva che permette di evidenziare l’eventuale esistenza di una zona di transizione duttile - fragile e di determinarne la posizione. Questa transizione è raramente brusca è si debbono scegliere delle temperature di transizione arbitrarie (la temperatura di transizione ad una determinata energia, ad esempio 35 J/cm2; la temperatura di transizione al 50% di frattura cristallina, ovvero fragile).
L’influenza della triassialità viene evidenziata utilizzando differenti tipi di intaglio. Nel caso in cui la triassialità sia molto elevata, (Charpy V) la temperatura di transizione è più elevata, ovvero la prova viene svolta in condizioni più critiche.
L’esistenza di una zona di transizione dipende da diversi parametri:

  • i metalli CCC generalmente presentano questa transizione;
  • i metalli CFC generalmente non la presentano.

Anche l’affinamento del grano ha una sua influenza. Più la grana è piccola, più la temperatura di transizione è bassa. L’affinamento del grano comporta quindi un aumento del limite elastico e della resilienza del metallo.

Meccanismi di frattura.

Lo scopo della frattografia è quello di determinare su scala macroscopica (macrofrattografia) e microscopica (microfrattografia) le cause ed i meccanismi di una rottura. Infatti ogni tipo di rottura è caratterizzata da una particolare morfologia e questo permette l’analisi, anche quantitativa, dedlla superficie di frattura.
Si possono classificare diversi tipi di frattura:

  • Fratture di tipo rapido (duttili, fragili, semi -fragili).
  • Fratture di tipo progressivo (per sollecitazione ciclica meccanica o termica, per corrosione sotto sforzo oppure scorrimento viscoso, per sollecitazione complessa, come la fatica corrosione oppure la fatica scorrimento viscoso).

Morfologicamente le fratture possono essere transgranulari (ovvero propagarsi preferenzialmente all’interno dei grani) oppure intergranulari (cioé propagarsi lungo il bordo dei grani).
Si deve ricordare che un metallo tende ad avere un comportamento duttile oppure fragile in funzione delle condizioni imposte.
La frattura fragile è caratterizzata dalla assenza di una deformazione plastica macroscopica e, quindi, la sua propagazione è molto rapida, con un assorbimento di energia molto basso.
Si  può avere:

  • Frattura transgranulare (per clivaggio), in cui la frattura avviene lungo piani cristallografici ben precisi, detti piani di clivaggio2. L’interazione della frattura con dei difetti strutturali comporta la formazione di microrilievi molto caratteristici, denominati

 


 

fiumi. Tali microrilievi convergono nella direzione di propagazione della frattura. Qualora oltrepassino un bordo grano, si ha la loro moltiplicazione, nel caso la disorientazione fra i due grani è bassa, oppure un nuovo innesco nel grano vicino se la disorientazione è più elevata. Per tale motivo la propagazione è più difficile in un materiale con una grana cristallina piccola.

  • Frattura intergranulare, in cui si ha una decoesione intergranulare che ha per origine una fragilità dovuta, ad esempio, ad una seconda fase precipitata ai bordi grano, oppure alla segregazione di un elemento chimico.

La frattura duttile sembra essere legata essenzialmente alla presenza di inclusioni oppure di precipitati. In questo tipo di rottura si ha generalmente una deformazione plastica macroscopica notevole, con un assorbimento elevato di energia.
Si ha la deformazione plastica intorno alle inclusioni, la formazione di microcavità, l’allungamento di queste microcavità nella direzione di sollecitazione e la coalescenza di queste microcavità. Tale sequenza evolve fino alla rottura finale del pezzo.
I microrilievi che vengono il tale modo generati sono denominati cupole.
La presenza di precipitati ai bordi grano può ugualmente comportare un meccanismo   di frattura implicante una morfologia intergranulare duttile con micro-cupole.
Fra le fratture di tipo progressivo considereremo il caso forse più frequente, ovvero quello della frattura per fatica. I tipi di frattura che possono essere osservati corrispondono ai tre stadi di innesco, propagazione lenta e propagazione finale con rottura di schianto.
Macroscopicamente ai tre stadi sopra ricordati corrispondono tre zone sulla superficie di frattura, di cui due sono chiaramente identificabili:

  • una zona liscia, più lucente, con granulometria molto fine in cui sia ha avuto la propagazione per fatica;
  • una zona duttile , fragile oppure semifragile in cui si ha avuto la rottura di schianto.

Avolte è anche identificabile la zona di innesco (ad esempio, se ciò è avvenuto in corrispondenza di una inclusone non metallica macroscopica, questa zona apparirà all’interno della zona più lucente come una zona più opaca.
Molte rotture in esercizio presentano delle linee di arresto che evidenziano gli arresti o le variazioni di regime durante l’esercizio del pezzo.
Microscopicamente le rotture per fatica sono transcristalline e le superfici  sono spesso marcate da microrilievi denominate linee di fatica (o striature), che non vanno confuse con le linee di arresto.
Le striature sono una conferma di una rottura per fatica, ma la loro assenza non significa che la rottura non è avvenuta per fatica. Esse sono più evidenti nelle leghe CFC (leghe di alluminio, acciai austenitici), e molto meno evidenti nelle leghe CCC (ovvero moltissimi acciai).


Una lega può quindi essere caratterizzata da una curva di scorrimento che lega la sollecitazione a rottura al parametro di equivalenza.
Tutti gli ostacoli alla restaurazione favoriscono la tenuta allo scorrimento viscoso:

  • struttura cristallina compatta (EC oppure CFC);
  • presenza di precipitati stabili termicamente;
  • dato che la rottura avviene essenzialmente per decoesione intergranulare, la presenza dei bordi grano è negativa; da questa considerazione ha origine lo sviluppo di metalli a solidificazione orientata o monocristallini.

 

Fonte: http://www.matteopro.com/images/Ingegneria/Metallurgia/Compendio-di-metallurgia-1.pdf

Sito web da visitare: http://www.matteopro.com/

Autore del testo: Francesco Iacoviello

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