Ingegneri famosi

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Ingegneri famosi

 

Le forme dell’aria
 
All’inizio dello scorso secolo il nascente comparto aeronautico è parte integrante dell’industria del legno. È necessario disporre di questo materiale e saperlo lavorare con abilità per poter costruire aeroplani. Certo oltre al legno c’è l’acciaio e il duralluminio, ma questi materiali, sopratutto in Italia, impiegheranno un bel po’ di tempo prima di entrare a far parte delle tecnologie aeronautiche.
In Liguria la lunga tradizione delle costruzioni navali in legno è immediatamente trasferita nel settore aeronautico. D’altronde anche per l’aeroplano è necessario fabbricare ordinate, derive, scafi e galleggianti. A quel tempo non si fanno troppe differenze neppure dal punto di vista teorico: navigare in un fluido liquido o gassoso è pressappoco considerato alla stessa stregua, tanto che non è raro trovare ingegneri navali impegnati nella progettazione di aeroplani. Forse così si spiega, almeno in parte, il notevole sviluppo che ha la produzione aeronautica nella nostra regione.
A Genova e in Liguria l’industria aeronautica esordisce con la Grande Guerra e ha come protagonisti due aziende: l’Ansaldo e la Piaggio. L’Ansaldo non andrà oltre l’episodio del mitico S.V.A. (Savoia, Verduzio, Ansaldo), l’aeroplano del raid dannunziano su Vienna. Al contrario la Piaggio ha un debutto meno prorompente, inizia a riparare e a costruire idrovolanti su licenza; malgrado ciò la sua storia arriva sino ai nostri giorni, e riassume in sé l’evoluzione tecnica dell’aeronautica italiana nel suo complesso. Qui saranno descritte le tappe fondamentali di questa storia, dai suoi esordi sino ai suoi esiti più recenti, nell’intento di metterne in luce gli aspetti più significativi della sua evoluzione.

La produzione aeronautica della Piaggio muove i primi passi nello stabilimento di Finalmarina (oggi Finale Ligure) nel 1916, riparando e costruendo idrovolanti Farman. L’anno dopo a Sestri Ponente ha inizio la fabbricazione del Caproni Ca.47.
Nel periodo della riconversione Rinaldo Piaggio intraprende alcune importanti iniziative per lo sviluppo dell’aeronautica in Italia. Nel 1921 partecipa alla creazione di una nuova azienda aeronautica con sede a Marina di Pisa, la S.A.I.CA. (Società Anonima Italiana Costruzioni Aeronautiche), costituita per dare la possibilità ad uno dei massimi pionieri delle costruzioni aeronautiche in metallo, Claudius Dornier, di continuare a realizzare i propri progetti. Tale possibilità a quel tempo gli è negata in Germania dal trattato di Versailles.
La S.A.I.C.A. ha un rapido sviluppo, tanto che nel 1925 parte delle produzioni devono essere trasferite a Finalmarina, perché gli impianti toscani non riescono più ad evadere gli ordini.
Ed è proprio un Dornier Wal (il noto idrovolante progettato da Claudius Dornier) che il 7 aprile 1926 effettua il viaggio inaugurale della prima aerolinea italiana sulla tratta Genova – Palermo, con scali intermedi a Roma e Napoli. Il servizio è offerto dalla S.A.N.A. (Società Anonima di Navigazione Aerea) e diventa a frequenza giornaliera già dall’anno successivo. L’ aviolinea è costituita a Genova nel 1925 e annovera tra i soci fondatori Rinaldo Piaggio.
Le linee della S.A.N.A. a partire dal 1929 iniziano ad essere conosciute come Frecce del Mediterraneo: la Freccia Verde copre la distanza Genova – Palermo, la Freccia Rossa la tratta Roma – Tripoli e la Freccia Azzurra la linea Roma – Genova – Marsiglia – Barcellona.
Nel 1930 la S.A.N.A. istituisce in collaborazione con la società di navigazione Lloyd Sabaudo un servizio aereo tra Genova, Barcellona e Gibilterra in coincidenza delle traversate dei transatlantici Conte Grande, Conte Rosso e Conte Biancamano che effettuano il loro ultimo scalo nel Mediterraneo a Gibilterra, sulla rotta Genova – New York. Il servizio consente di risparmiare ai passeggeri  tre giorni di viaggio in nave da Genova a Gibilterra o due giorni da Barcellona a Gibilterra. La S.A.N.A. contribuisce anche allo sviluppo delle infrastrutture per la navigazione aerea allestendo gli idroscali di Genova, Napoli, Palermo, Siracusa e Tripoli. Nell’idroscalo di Roma attrezza una efficiente officina per la manutenzione e la riparazione degli strumenti di bordo.
La rete dei collegamenti della società aerea genovese, nel periodo di massima espansione, raggiunge nel Mediterraneo ben 5170 chilometri; dopo aver coperto più di sette milioni di chilometri in servizio di linea, trasportato 65216 passeggeri e 1870 tonnellate di posta, merci e bagagli, sarà fusa con l’aviolinea nazionale Ala Littoria. Nel 1937 Rinaldo Piaggio rifonderà una nuova aviolinea, questa volta per il trasporto di posta e merci in Africa Orientale, dando così riprova di credere nel futuro dell’aeronautica commerciale in Italia.

Il vero salto di qualità avviene quando la Piaggio inizia a sviluppare progetti propri. Ciò diventa possibile a seguito di una circostanza ben precisa. Attorno al 1923 il Commissario per l’Aeronautica avvia un programma di razionalizzazione dell’industria aeronautica nazionale, nel tentativo di ottimizzarne le risorse produttive ed intellettuali. Tale programma prevede l’assorbimento da parte della Piaggio & C. della Pegna-Bonmartini, una società con sede a Roma priva di una sua struttura produttiva e costituita soltanto da un ufficio tecnico con annesso un reparto sperimentale. L’azienda romana non è un buon affare dal punto di vista strettamente economico, ma possiede delle risorse intellettuali straordinarie: infatti, è in questo contesto che Giovanni Pegna, un geniale progettista-inventore, disegna e prova i suoi velivoli molto innovativi, tra i quali un elicottero e un piccolo aeroplano, il Rondine, del peso di soli 212 chilogrammi, un antesignano dei moderni ultraleggeri. 
L’acquisizione và in porto e, come conseguenza, Pegna diventa direttore dell’Ufficio Tecnico dello stabilimento di Finalmarina e la proprietà dei progetti della Pegna-Bonmartini passa alla Piaggio. Effettuate le prove del prototipo a Centocelle, la produzione del Rondine è spostata subito negli stabilimenti di Finalmarina e di Pisa, il progetto è rinominato P.1; è questo il primo aeroplano che l’azienda genovese non deve produrre su licenza. La svolta che Rinaldo Piaggio ha da sempre auspicato finalmente si è concretizzata. Al P.1 segue il P.2, un aeroplano ad ala bassa e struttura in legno, con fusoliera a guscio conico che racchiude nella parte anteriore un motore da 300 cavalli raffreddato da due radiatori. Il mozzo dell’elica del P.2 è carenato con una grande ogiva; il profilo dell’ala è sottile e rastremato e alle estremità ben raccordato. In un disegno dell’epoca, il P.2 mostra anche una piccola ala nella parte anteriore, una soluzione molto originale e moderna; mentre i carrelli sono racchiusi in due carter dalla forma affusolata. Anche questo aeroplano è un progetto ereditato dalla Pegna-Bonmartini; lo stesso discorso vale per il P.3, un biplano bimotore, e per il P.4, un idrovolante da corsa derivato dal P.2, progettato per la Coppa Schneider del 1924. La realizzazione del P.4 però non sarà mai portata a termine, perché nel frattempo sopraggiungerà la decisione, da parte degli organizzatori, di non disputare la gara.
Sono proprio gli idrovolanti da corsa l’interesse maggiore di Pegna, con particolare attenzione alla riduzione della resistenza dell’aria, determinata dai tradizionali galleggianti. A tale proposito progetta diversi tipi di alette idroplane (simili a quelle usate oggi dagli aliscafi), tutte perlopiù rimaste sulla carta. La possibilità di sostituire negli idrovolanti da corsa i galleggianti con le alette idroplane, avrebbe dato quale risultato una drastica diminuzione dell’attrito ed un conseguente aumento della velocità. Un idrovolante da corsa con alette idroplane è effettivamente progettato e realizzato per partecipare alla competizione della Coppa Schneider del 1929. Il progetto presenta delle soluzioni valide in teoria, ma non realizzabili con la tecnologia di allora. L’idrovolante, denominato P.7, rappresenta un audace tentativo di applicare le alette idrodinamiche al posto degli ingombranti galleggianti. Dotato di due eliche: una marina che ha la funzione di spingere il velivolo tanto da farlo sollevare sulle alette idroplane, ed una aerea che deve entrare in funzione durante il decollo. Ma accade che il prototipo, dopo svariati tentativi, non riesca a staccarsi dall’acqua. Insorgono gravi problemi di cavitazione che richiedono, per essere risolti, lunghe e complesse verifiche nella vasca idrodinamica. Inoltre, quando mancano pochi mesi alla gara, durante le prove, accade un pauroso incidente, fortunatamente senza conseguenze per il collaudatore; a seguito di questo episodio il progetto è sospeso e poi definitivamente accantonato.

Nella difficile situazione dell’aeronautica italiana del secondo dopoguerra, la Piaggio riesce comunque a sviluppare un prodotto di notevole qualità, il P.136, un anfibio, bimotore, pensato in funzione del vasto sviluppo costiero del bacino del Mediterraneo. La nota originale del P.136 sono le sue ali a gabbiano con stabilizzatori fissi e le eliche in posizione spingente. Il progetto richiede numerosi cicli di prova nella vasca idrodinamica e nella galleria del vento.
L’Italia del dopoguerra non è in grado di assorbire una produzione di grande serie; perciò la Piaggio deve necessariamente guardare al mercato americano. Il P.136 è un ottimo prodotto ma c’è bisogno di un lancio pubblicitario. È così che nasce un’abile operazione di comunicazione: tentare la conquista del record della categoria anfibi della classe C3, con un equipaggio formato da sole donne. Negli anni Cinquanta alcune convenzioni sociali sono ancora ben radicate, in caso di riuscita dell’impresa, un record tutto al femminile avrebbe reso la notizia ancor più clamorosa. L’originalità dell’idea sta tutta qui, nella sua declinazione al femminile, per il resto la storia dell’aeronautica italiana è ricca di queste trovate propagandistiche. Questa la cronaca del record: il prototipo del P.136 carico di carburante all’inverosimile, parte dalla base militare di Ghedi (Brescia) alle ore 16,30 del giugno 1954 alla volta di Luxor. L’equipaggio è formato da Carina Negrone (pilota) e Ada Marchelli (copilota). Alle ore 6,30 del 19 giugno 1954, il velivolo divenuto oramai leggero si posa dolcemente sulle acque calme del Nilo, dopo aver percorso 2987 chilometri senza scalo.
La notizia fa subito il giro del mondo, tutti i maggiori giornali parlano dell’impresa delle due donne, il P.136 non è più sconosciuto, le sue qualità sono esaltate. L’anfibio inizia subito ad essere richiesto, ciò induce le autorità degli Stati Uniti a rilasciare rapidamente la certificazione nella categoria Utility part 3. Il ricco mercato statunitense apre finalmente le sue porte all’azienda genovese. Già nel settembre del 1954 arriva una commessa di 40 esemplari da Milwaukee. L’aereo negli Stati Uniti è ribattezzato Royal Gull (gabbiano reale).
L’anfibio è acquistato da Onassis, Niarcos e Livanos che lo imbarcano sui loro rispettivi panfili. Anche il re d’Egitto Farouk acquista un P.136. Tutto ciò non fa che aumentarne la notorietà. L’anfibio è utilizzato da numerose aviolinee in tutte le parti del mondo; lavorando in condizioni climatiche estreme si guadagna una fama di grande affidabilità e resistenza. In Italia, invece, l’interesse proviene soltanto dall’aviazione militare.
Il successo ottenuto con il P.136 oltre a far uscire definitivamente l’azienda da una difficile situazione, è anche una notevole affermazione a livello internazionale. Due sono i prodotti di successo della Piaggio nel mondo negli anni del dopoguerra: la Vespa e questo aeroplano. Esiste un filmato dell’Istituto Luce che ben sintetizza la contemporaneità dei due prodotti. Nelle rapide sequenze un P.136 pilotato da Carina Negrone, diventata oramai un noto personaggio dopo la conquista del record, sorvola la costa, atterra a Genova e sbarca sulla pista una Vespa. I due prodotti dal commentatore sono presentati come due simboli della rinata industria italiana.

Negli Stati Uniti, il nascente mercato degli executive richiede aeroplani dalle prestazioni superiori di quelle offerte dal P.136; pertanto la Piaggio inizia ad ipotizzare un prodotto capace di soddisfare queste esigenze. Attorno al 1955 Giovanni Casiraghi (che assume la direzione dell’Ufficio Tecnico nel 1936) disegna alcuni executive veloci, con cabina passeggeri capiente, idonei ad operare su piste corte. Dopo svariati studi decide di riutilizzare parti importanti del P.136 come le ali, i motori in posizione spingente e gli elementi del carrello, per realizzare un nuovo aeroplano. Cambia soltanto la fusoliera che ridisegna più spaziosa, capace di trasportare otto persone. Questa originale scelta progettuale, una sorta di ready-made aeronautico, determinerà una notevole economia di produzione e la conseguente possibilità di vendere il velivolo ad un prezzo veramente conveniente. Il prototipo è identificato dalla sigla P.166. All’inizio è venduto all’estero, sopratutto in Australia, dove è molto apprezzato come aerotaxi. La Northrop Aircraft di Hawthorne ne acquista tre esemplari per il trasporto del personale e li fa volare per più di venticinque anni, dall’alba al tramonto, sul deserto della California. Nel corso di questo intenso utilizzo l’aeroplano non dà mai alcun serio problema, dimostrando così una resistenza all’usura veramente incredibile. Ma non è tutto. Il P.166 eredita dall’anfibio dal quale è derivato una speciale resistenza alla corrosione marina, e per questa sua ulteriore qualità è scelto dalla guardia costiera sudafricana per lunghe missioni di pattugliamento sull’oceano. Oltre a questi, altri episodi fanno sì che il marchio Piaggiodiventi sinonimo di affidabilità.

Dopo più di un ventennio dal suo primo debutto, l’aeroplano è adattato per l’installazione dei motori a turbina e la sua aerodinamica rivista in alcuni dettagli. La nuova versione turboelica è pronta nel 1978. Con motori da 600 cavalli ed impianti del tutto rinnovati, l’aeroplano rivive una seconda giovinezza, tanto che sarà prodotto in ulteriori versioni sino al 1999.

Sul finire degli anni Settanta il mercato degli executive è caratterizzato da due prodotti ben distinti: da un lato i turboelica, dai consumi contenuti e dai prezzi vantaggiosi; dall’altro i turbogetti e turbofan dalle prestazioni nettamente superiori, ma costosi all’acquisto e con spese di gestione molto elevate. Per colmare questo scarto tra le due tipologie di prodotto la Piaggio avvia un programma di ricerca, teso alla realizzazione di un turboelica dalle prestazioni simili a quelle di un turbofan. Il progetto sarà denominato P.180. La storia dell’aeroplano inizia nel 1979, con i primi studi sulla configurazione del velivolo. Dopo alcune prime ipotesi, Mazzoni, diventato nel frattempo direttore dell’Ufficio Tecnico, si orienta per una soluzione a tre superfici portanti: un’ala, uno stabilizzatore di coda ed un’altra piccola ala spostata molto in avanti, una sorta di canard.
L’aeroplano in fase di atterraggio ha bisogno di una superficie portante maggiore rispetto a quella strettamente necessaria per volare, ciò durante il viaggio provoca un inutile attrito con l’aria. La configurazione (canard + ala + coda), consente di diminuire drasticamente la superficie portante; il risultato è una maggiore velocità di crociera a parità di potenza impegnata.
Per raggiungere un’ottima efficienza aerodinamica è avviato un programma di sperimentazione con l’obiettivo di ottenere un esteso flusso laminare su tutta la superficie dell’involucro. Poiché un esteso flusso laminare presenta una resistenza d’attrito nettamente inferiore ad uno turbolento. Questa condizione è però difficile da ottenere e da mantenere in un aeroplano generico; mentre è piuttosto una peculiarità degli alianti. Il primo modello del P.180 entra nella galleria del vento di Finale Ligure nel 1979. L’antica e gloriosa galleria, realizzata su progetto di Gabrielli e successivamente perfezionata da D’Ascanio, si dimostra ancora molto utile per provare alcuni modelli in condizioni di bassa velocità. La visualizzazione del flusso a bassa velocità conferma l’estensione della condizione laminare, prevista dall’analisi teorica e dalle prove bidimensionali sui profili. Nel corso del 1981 nella galleria transonica della BOEING, a Seattle, sono effettuati tre tipi di visualizzazione di flusso. Questo studio è condotto con l’impiego dei classici fili fluorescenti, incollati su tutta la superficie del modello, in modo da evidenziare gli eventuali distacchi di flusso. Questo sistema permette di esaminare la condizione delle superfici della fusoliera, dell’ala e dei piani di coda; l’osservazione è fatta direttamente sul modello durante gli esperimenti, oppure con l’aiuto di fotografie scattate durante le prove. La transizione dal laminare al turbolento dello strato limite e la posizione di eventuali onde d’urto sono studiate per mezzo di polvere fluorescente in sospensione oleosa. L’andamento dei flussi, ed il loro eventuale mescolamento, è evidenziato con vernici oleose di diversi colori. Nel corso di queste prove emergono delle premature formazioni d’onde d’urto sulle gondole motori che provocavano delle turbolenze. Le conseguenti modifiche apportate sulla forma delle gondole, soprattutto nella zona della loro intersezione con le ali, danno come risultato la quasi totale eliminazione del fenomeno. È così che le gondole assumono quella particolare forma, simile a quella di una bottiglia di Coca-Cola, che contribuisce a caratterizzare il disegno del P.180.
La fusoliera crea le maggiori difficoltà a causa delle discontinuità della sua superficie, determinata dai tagli del parabrezza della cabina di pilotaggio, dai finestrini e dai vari portelli. Questi problemi sono risolti adottando opportuni gradienti di pressione aerodinamica. In ogni modo, la particolare configurazione della fusoliera garantisce già di per sé un flusso laminare stabile.
Il peso relativamente basso dell’aeroplano è ottenuto riducendo all’essenziale le strutture portanti e cercando di far lavorare queste al massimo del loro carico in tempi diversi. Ad esempio, alcune ordinate sopporteranno, a turno, carichi provenienti dal carrello o dall’ala. Questa azione combinata tra i diversi elementi strutturali nel sopportare gli sforzi crea un efficiente sistema sinergico, che dà come risultato una consistente riduzione di peso dell’aeroplano.
L’insolita configurazione a tre superfici, le masse dei motori collocate sopra un’ala a forte allungamento e fissata in posizione molto arretrata, sono tutti elementi che sembrano fatti a posta per creare problemi di flutter (instabilità aeroelastica dinamica); questi rischi impongono la realizzazione di un modello aeroelastico. Nel settore degli executive l’utilizzo di un modello di questo tipo è una prassi del tutto insolita, perché è molto complesso da realizzare e, di conseguenza, molto costoso. Il modello aeroelastico del P.180 è realizzato in collaborazione con la BOEING. Le prove aeroelastiche mostrano eccessive e fastidiose flessioni che richiedono l’aggiunta di alcuni longheroni, utilizzati per legare insieme i supporti dei motori ed irrigidire la deriva.
Un altro vantaggio aerodinamico è ottenuto sistemando l’ala in posizione mediana. L’ala mediana è quella che dà maggiori prestazioni rispetto alle altre; ma negli aeroplani di dimensioni ridotte è praticamente impossibile adottare questo tipo di assetto senza compromettere del tutto lo spazio abitabile. Di fatto l’ala mediana attraversando in diagonale la fusoliera determina la conseguente separazione in due parti della cabina passeggeri. L’adozione delle tre superfici portanti invece permette di posizionare l’ala mediana in una zona insolitamente arretrata, oltre l’ordinata di pressurizzazione, senza sacrificare così nessun volume utile.
Il rumore delle eliche, dislocate quasi sotto il piano di coda a causa della posizione dell’ala e dei motori rivolti in posizione spingente, è scarsamente percepito in cabina. In più l’ala così posizionata non impedisce alcuna visibilità ai passeggeri durante il viaggio. Tutto questo, sommato ad una buona spaziosità della cabina, garantisce livelli di confort molto elevati, se rapportati ai velivoli della stessa categoria. Nel corso delle prove di flutter il prototipo è spinto e mantenuto all’incredibile velocità di 853 km/h. Nell’estate del 1990 inizia a volare il primo aereo di serie. Con le stesse prestazioni di un turbogetto, ma con consumi contenuti, infatti può percorrere quattro chilometri con un litro di carburante, il P.180 resta tuttora l’executive più moderno e innovativo.

(Fonti: Rocco Antonucci, L’impronta del vento, il P.180 della Piaggio,
in «GUD», n.02, Genova, 2002
Rocco Antonucci, Esordi del design italiano a Finalmarina,
in «GUD», n.03, Genova, 2003)

 

Introduzione al design italiano

Il carattere peculiare del design italiano è quello di avere un’identità movimentista.
La Rivoluzione Industriale in Italia ha inizio con notevole ritardo; è , infatti, solo nell’età Giolittiana (1899-1915) che nella nostra nazione si ha un importante sviluppo dell’industria pesante e in particolare modo nei settori siderurgico, metallurgico e meccanico. Sono quindi i primi anni del ‘900 che vedono la nascita delle prime grandi aziende come: Pirelli, Ansaldo, Fiat, AlfaRomeo, Olivetti.
Il primo incontro con il design nella nostra nazione avviene, grazie al determinante apporto dell’industria pesante, nel campo dei trasporti: ferroviari,aerei e navali.
Una scossa nell’ambito della ricerca e della sperimentazione è dato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Indubbiamente questa è piuttosto da considerare una fase di proto-design in quanto non si ha una grande produzione per via dei consumi ridotti, non si pensava ancora a vendita di massa dei prodotti e produzione seriale di oggetti di largo consumo.
Prodotti caratteristici della Grande Guerra sono stati gli aerei, di ricognizione o bombardieri Inizialmente il materiale impiegato per la loro costruzione era il legno ed erano concepiti come “barche con le ali” poiché si credeva agli idrovolanti piuttosto che agli aerei terrestri. Da ricordare sono i  progetti di Caproni (prodotti anche dalla Piaggio) che si basano su una costruzione modulare per la quale all’aggiunta di ogni cellula (una doppia ala e la relativa carlinga) doveva corrispondere l’aggiunta di un motore.
Finita la guerra ci si troverà davanti al problema di convertire la produzione degli aerei da bellica a civile e in questo avrà molta importanza la comunicazione, la pubblicità che ne verrà fatta, molto spesso legata a manifestazioni sportive.
L’aereo non più in legno ma in metallo nasce in Italia nel 1933, in Piaggio, per merito dell’ingegner Gabrielli che aveva avuto contatti con l’industria tedesca. Ci si inizia a rendere conto del fatto che per poter avere maggiore autonomia di volo c’è bisogno di più leggerezza e questa richiesta può essere ottenuta con l’impiego del metallo anziché del legno. Nel 1933 viene bandito un concorso per la realizzazione del modello Savoia Marchetti S55 in versione metallica. Sarà la Piaggio con Gabrielli a produrlo giungendo ad una grande svolta in campo aeronautico: da quel momento verrà abbandonato l’impiego del legno nella produzione aerea.
Per quanto riguarda l’ambito aereo è opportuno anche citare, almeno brevemente, le sperimentazioni fatte per quanto riguarda la produzione degli elicotteri. I primi studi vengono fatti già nel 1914 da Corradino D’Ascanio. Il primo prototipo, prodotto in un’officina artigianale di Pescara e finanziato dal barone Trojani è il DAT 1 che però si solleva da terra circa 30 cm e poi ricade in seguito ad una rottura. Vengono fatte alcune modifiche ma, forse anche a causa dell’impiego di materiali di recupero, anche il DAT 2 subisce una rottura. Il primo risultato arriva per D’Ascanio con il DAT 3 che riesce a sollevarsi di 10 metri e a spostarsi in orizzontale. Successivamente D’Ascanio viene assunto dalla Piaggio dove, oltre ad apportare innovazione grazie alle eliche a passo variabile per potersi adeguare in alto alla rarefazione dell’aria, può continuare le sue sperimentazioni sull’elicottero ottenendo con il PD 4, PD 5 e PD 6 risultati eccellenti senza però poter giungere alla messa in produzione a causa del clima di sfiducia presente in Italia nei confronti del volo verticale.

 

In campo navale si fanno studi molto accurati e vengono effettuate le prime prove degli scafi nella vasca idrodinamica così da determinare nuove forme all’opera viva ottenendo una prua sempre più slanciata in avanti e una poppa tagliata di netto.
Il primo transatlantico ad essere prodotto sulla spinta di innovazioni idrodinamiche è il Bremer, realizzato in Germania. In Italia si produrrà, a Trieste, il Conte di Savoia. L’Ansaldo produrrà invece il Rex che, nonostante presenti ancora una poppa rientrante (a clipper) risulta molto moderno ed elegante: finestratura ampie, funamboli  a bolide infossati.
Per quanto riguarda l’allestimento degli interni dei transatlantici va ricordata l’opera di Gustavo Pulizzer Finali che fu il primo a voler introdurre una certa pulizia formale in  modo tale da riprendere l’estetica che si presentava all’eterno anche negli interni. In precedenza, invece, gli allestimenti interni si basavano su una sorta di vera e propria scenografia che voleva richiamare l’idea dei grandi palazzi storici con l’intento di far vivere, per la durata della traversata, una vita aristocratica ai passeggeri.

Altro mezzo di trasporto ad essere stato impiegato durante la Prima Guerra Mondiale in Italia e quindi ad ottenere un rapido sviluppo è la moto che veniva impiegata come collegamento tra le retrovie. Finita la guerra anch’essa subirà una riconversione per l’impiego civile. Nel primo dopoguerra viene fondata la Moto Guzzi.
Il primo mezzo di trasporto diffuso i cui costi cercano di essere ridotti al massimo è la FIAT ‘500 (la cosiddetta Topolino perché sarà l’auto che Walt Disney prenderà come mezzo di trasporto di proprietà del suo storico personaggio Topolino, appunto) di Dante Giacosa.

 

L’origine movimentista del design italiano.

L’identità del design italiano ha una origine diversa da quella di tutte le altre storie del design. In Italia il design è molto vicino alle teorie e alle idee artistiche sviluppatesi agli inizi del ‘900 e tutte, non una soltanto, influenzeranno lo sviluppo del design italiano. I movimenti artistici che hanno ispirato il futurismo sono stati a lungo non studiati in Italia perché compromessi con il regime e la parte culturale tra le due guerre è rimasta in ombra. Successivamente però si sono studiati e si è capita la loro importanza in Italia ma anche nel resto del mondo.
Una di queste vanguardie artistiche è stato indubbiamente il futurismo che ha coperto ogni campo artistico e culturale. Ricordiamo tre eventi importanti nella storia di questo  movimento:

  1. il 20 Febbraio 1909 Filippo Tommaso Maeinetti pubblica a Parigi il Manifesto Futurista (dove già si esalta la velocità e il mito della modernità);
  2. l’11 febbraio 1910  Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Gino Severgnini, Giacomo Balla firmano il Manifesto dei Pittori Futuristi. Tali pittori affronteranno, tra tutti, in particolar modo, i temi del movimento e della velocità  ricorrendo alla forma della freccia, del cuneo che si insinua.

 

 

Questi tre manifesti sanciscono il periodo del primo futurismo, infatti, con il 1915 e l’entrata nella Prima Guerra Mondiale da parte delle truppe italiane  il futurismo cambierà direzione.
Alla nascita di una coscienza del design in Italia dà, infatti, un apporto determinate proprio il secondo Futurismo. Giacomo Balla, Fortunato Depero, Enrico Pranpolini iniziano a disegnare ambienti espositivi, mobili, oggetti per la casa, vestiti, libri e manifesti, al fine di «ricostruire l’universo rallegrandolo», così com’è dichiarato nel Manifesto Ricostruzione futurista dell’universo pubblicato l’11 marzo 1915 (a cura di Balla e Depero). Si vogliono spingere a fare tutto ciò che riguarda il mondo dell’artificiale.
I futuristi fondano laboratori artigianali, le case d’arte, dove producono i loro oggetti. Della Casa d’Arte Depero a Rovereto si ricorda una prima avventurosa versione nel 1917 con un’unica operaia in una stanza di metri 4x4 e un secondo laboratorio con 10 operaie, sempre a Rovereto, dove escono nel 1920 arazzi, soprammobili e giocattoli.

 

Padiglione pubblicitario per matite
Fortunato Depero
1925
Costruzione in legno 143x48x48 cm
Rovereto – MART (Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di trento e Rovereto)

 

Bozzetto per il padiglione del Libro                                            Progetto per padiglione pubblicitario
Treves Tumminelli                                                                      Depero-Campari
Fortunato Depero                                                                        Fortunato Depero
1926-27                                                                                       1928
Matita nera su carta 42,2x51,1 cm                                              Matita su carta 31x30,4 cm
Rovereto – MART                                                                       Rovereto - MART

 

 

 

Grattacieli e Tunnel
Fortunato Depero
1930
Tempera su carta 68x102 cm
Rovereto - MART
Della Casa d’Arte Italiana fondata nel 1918 a Roma da Antonio Giulio Bragaglia e dal critico d’arte Mario Recchi, resta una produzione limitata di cuscini, mobili, lampade, ceramiche di Balla, Cangiullo, Prampolini. I futuristi danno anche un’importante apporto alle grafica pubblicitaria ricorrendo al paroliberismo (scrivere parole e frasi in modo tale che rappresentino ciò che significano) di Filippo Tommaso Martinetti.
Nel 1925 all’Esposizione di Arti Decorative di Parigi Balla e Depero espongono i loro mobili futuristi è ottengono un buon successo. La questione dell’immobilità del mobile era stata sollevata da Francesco Cangiullo che aveva scritto Il mobilio futurista nel 1920, un manifesto dove si auspicava la realizzazione di «mobili a sorpresa parlanti e paroliberi».

 


L’avanguardia futurista si rivela importante anche in campo fotografico. Il Manifesto della fotografia futurista verrà presentato solo nel 1930 ma già negli anni precedenti si può notare in gran parte dei quadri futuristi l’ispirazione all’analisi del movimento fatta dalle fotografie di Étienne-Jules Marey, Eadweard Muybridge e già sul finire dell’Ottocento da Ernst Mach, che studiò l’impatto d’urto dei proiettili.

 

 

Fotografie scattate ad un proiettile per studiarne il movimento eseguiti da E. Mach

Il fotografo e regista Anton Giulio Bragaglia teorizza, opponendosi alla fotografia tradizionale che riduce il movimento e la velocità a staticità, il fotodinamismo: analizzare il movimento nella sua continuità,  l’esito del movimento è impresso su un unico fotogramma, con la tecnica della stroboscopia. Questo modo di concepire la fotografia è molto più coerente con le idee futuriste poiché esalta sia la velocità che la simultaneità. Questo modo di raffigurare il movimento, l’affermarsi della fotografia con inquadratura zenitale (dopo la diffusione delle immagini scattate da palloni aerostatici o aerei) aggiunta al paroliberismo rinnoveranno il linguaggio della grafica pubblicitaria.
Le pubblicità di Depero (famose quella per la Campari) fanno quasi sempre ricorso al disegno colorato a campiture piatte e diffondono l’ideale di una modernità giocosa: le sue figurazioni mettono i scena automi-marionette che sembrano usciti da una scatola del “meccano”.   

 

 

 

Pubblicità per la Campari                                                             
Fortunato Depero                                                                          
1926

Il Futurismo è stato una corrente importante che ha toccato ogni ambito della progettazione e che ha influenzato molti altri movimenti, anche di altre nazioni.

Altri movimenti contemporanei al secondo Futurismo che concorrono a creare l’identità del design italiano sono Metafisica e Novecento.
Metafisica è una corrente artistica che nasce nel 1917 dall’incontro a Ferrara tra Giorgio De Chirico e Carlo Carrà. Metafisica rappresenta una classicità trasognata ed irreale, vuole portare lo spettatore fuori dalla storia facendogli rivivere il  mito della classicità in una condizione surreale.
Piazze vaste, statue classiche, torri, porticati con prospettive irreali, ombre lunghe sono alcuni degli elementi che caratterizzano lo spazio enigmatico proposto da Metafisica. Nonostante non crei un codice o una modalità di progettazione, de Chirico diffonde un gusto, perché crea una condizione psicologica in chi osserva i quadri di impostazione metafisica, che verrà assorbito da alcuni architetti e designer (ricordiamo i mobili di Carlo Mollino dalle forme molli e sinuose e le architetture delle città di Littoria e Sabaudia). Le opere architettoniche di questi anni eseguite , per esempio, da Piacentini e Libera sono tutte influenzate in maniera inconscia (come un transfert) da questo movimento, e tale influenza ancor più si nota negli allestimenti di esposizioni o mostre.  Va detto anche che il movimento del Surrealismo prende le mosse proprio da Metafisica.

La torre rossa
Giorgio de Chirico
1913
Ol,io su tela
73,5x100,5 cm
Venezia - Peggy Guggenheim Collection

 


La grande torre
Giorgio de Chirico
1915
Olio su tela 82x36,5 cm
Firenze - Tornabuoni Arte

 

 

 

Interno metafisico con grande fabbrica
Giorgio De Chirico
1916
Stoccarda - Staatsgalerie                      
Per quanto riguarda Novecento prevalgono due tendenze: una fa riferimento al “classicismo lombardo” o “purismo lombardo” (Giovanni Muzio, Giuseppe Pizzigoni, Fiocchi, Tommaso Buzzi, ecc.) che trae spunto dalla storia riutilizzandoli in chiave modernista; l’altra intende declinare la Secessione viennese nell’italianità (Gio Ponti, Emilio Lancia) nel gusto di una contaminazione stilistica. Novecento guarda alle esperienze europee più avanzate ma intende trovare un’originalità tutta italiana. Novecento si differenzia quindi da Metafisica perché quest’ultima si estraniava dalla storia ,mentre questo la tiene ben presente Tale gusto si manifesterà anche nel design con la caratteristica di presentare elementi artistici della tradizione misti a scelte moderniste. La prima affermazione vera e propria del linguaggio Novecento si ha nell’ambito della III Biennale di Monza del 1927 dove, per l’occasione, pittori e architetti propongono esempi «per una maggiore cura dell’estetica moderna del negozio e della vetrina»: Felice Castrati allestisce una macelleria, Francesco Mezio una caffetteria, Gigi Chessa una farmacia e La Rinascente presenta la serie di mobili Domus Nova, progettati da Emilio Lancia e Giò Ponti.
E’ da ricordare, parlando di influenze di differenti movimenti anche il razionalismo italiano che prende le mosse dallo sviluppo dell’astrattismo in Italia dovuto alla “Scuola di Como”
Nomi da ricordare come protagonisti del razionalismo sono Figini, Pollini, Albini, Natan Rogers, Terragni, Rava, Gardella che saranno anche i primi progettisti italiani nel campo del design vero e proprio aggiungervi l’apporto del Razionalismo italiano della scuola di Como. Il Razionalismo in Italia si sviluppa in maniera differente dal movimento internazionale; questo accade perché l’ambiente culturale italiano, specie quello lombardo dove il Razionalismo si sviluppa, è implicato e contaminato da molte altre pulsioni e correnti artistiche che non può certo ignorare. A questo proposito si può citare l’esempio dell’architetto Libera che ha iniziato a lavorare presso la casa d’arte di Depero producendo tessuti ed oggetti per la casa.

Tutti questi movimenti sono importantissimi per quanto riguarda gli effetti avuti sulla cultura del progetto italiano. E’ il periodo in cui si sviluppano tutti i suddetti  movimenti quello in cui nasce il design italiano. L’identità  del design italiano può essere definita movimentista perché nasce in questo clima culturale, dominato dalle sperimentazioni e ricerche delle avanguardie, dei movimenti artistici, del primo Novecento.

 

 

Il design italiano negli anni ‘30.

Per parlare dello sviluppo del design negli anni ’30 del secolo scorso è necessario prima fare alcuni accenni sulle riviste di design nate proprio in quel periodo. Nel 1928 viene fondata da Marangoni “La casa bella” ; nel 1933, con Pagano e Persico muterà il nome in “Casabella”e  i due le daranno un’impronta vicina alla concezione razionalista nell’arredamento, nel design ed anche nell’impostazione grafica. Nel 1928 anche Gio Ponti fonda una rivista: “Domus” che si pone nettamente più vicina al gusto Novecento (nonostante il suo fondatore sia uno tra i progettisti più eclettici che abbiano caratterizzato l’esperienza italiana). Altra rivista da ricordare è “Pegaso”, fondata da Ojetti su posizioni conservatrici che avranno poco successo.
Per quanto riguarda il design, che sta in questi anni finalmente emergendo, le sue prime realizzazioni non sono veri e propri oggetti ma allestimenti. Ricordiamo nel 1934 la Sala delle Medaglie realizzata da Persico e Nizzoli, due negozi Parker a Milano sempre di Persico e Nizzoli e il Bar Graia realizzato da Luigi Figini e Gino Pollini con l’aiuto di Baldessarri.
Molto importanti e particolari sono le esperienze lavorative fatte da Baldessarri e Nizzoli. Il primo aderì all’architettura razionalista dandole però una particolare impronta futurista e nei suoi mobili sono facilmente riconoscibili forme antropomorfe, il suo pensiero voleva “fare dell’architettura una scultura”. Il secondo è un designer molto originale che segue un particolare percorso: inizialmente lavora come pittore e poi come illustratore (i primi lavori li farà per le acciaierie di Cornigliano a Genova) con gusto Novecento, passerà a progetti veri e propri di grafica ed ad allestimenti, da questo dedicarsi alla presentazione degli oggetti nascerà poi l’interesse per la progettazione degli oggetti stessi lavorando per Olivetti.
Realizzata per la Biennale di Monza del 1930 va ricordata la “Casa elettrica” realizzata da Figini e Pollini e sponsorizzata dalla società Edison: un progetto di casa moderna non solo per la disposizione degli arredi ma anche per la presenza dei primi elettrodomestici.

 

 

Gruppo 7
Casa elettrica
Prototipo di Figini-Pollini-Frette-Libera-Bottoni
1930
Sponsorizzata dalla Società Edison
Pensata per esporre tutti gli apparecchi elettrici destinati ad essere usati in casa.
Nella nostra nazione si avranno numerose sperimentazioni in campo radiofonico appoggiate dal regime fascista che vedeva nella radio un ottimo mezzo di diffusione delle proprie idee ed anche di controllo della comunicazione. E’ lo stesso regime ad organizzare l’Associazione Nazionale del Grammofono e ad indire numerosi concorsi per la realizzazione di apparecchi radio. Nel 1933 il concorso bandito dalla Triennale di Milano in collaborazione con la Società Nazionale del Grammofono è vinto da un progetto di Figini e Pollini: una radio a forma di parallelepipedo sorretta da quattro tubolari. Un progetto di radio interessante è quello realizzato da Albini con due lastre di securit che lascia trasparire l’anima elettrica e meccanica dell’apparecchio.
L’impiego di materiali autarchici (faesite, masonite, securit, anticorodal, gommapiuma, linoleum) da un notevole impulso alla sperimentazione.

 

 

 

 

Radiogrammofono
Luigi Figini e Gino Pollini
1933

Ma il vero e proprio debutto del design italiano nel mondo della produzione industriale avviene per via di tre importanti oggetti: la Olivetti Studio 42 (nel 1935) progettata da Figini e Pollini con l’aiuto, nella parte grafica, di Xanty Schavinsky e, nella parte meccanica, Luzzati, primo oggetto di design ad essere prodotto serialmente in Italia; il Radioricevitore Phonola progettato nel 1940 dai fratelli Luigi e Pier Giacomo Castiglioni insieme a Luigi Caccia Dominioni; l’Addizionatrice Summa progettata da Marcello Nizzoli nel 1940 come suo primo progetto per la Olivetti.

         

 

 

 

Olivetti Studio 42
1935
L. Figini, G. Pollini , X. Schavinsky, Luzzati

 

 

 

Radioricevitore
Luigi e Piergiacomo Castiglioni
Produzione: Phonola
1939
In collaborazione con Caccia Dominioni

 

 

 

 

 

Addizionatrice Summa
Marcello Nizzoli
1940
Produzione: Olivetti

 

Nonostante sia vero che l’Italia si trovi in ritardo nello sviluppo industriale rispetto alle altre nazioni, va detto che gli anni ’30 hanno un forte impulso il settore automobilistico: nel 1928  viene prodotta la Lancia Lambda, un modello di torpedo con carrozzeria portante. Mario Revelli inizia i primi crash test per rendere le auto sicure all’urto e progetta alcuni modelli molto innovativi. E’ in questi anni che Dante Giocosa propone il primo modello di Fiat 500 (la cosiddetta Topolino, l’auto che Walt Disney darà a Topolino, appunto).

Fiat 500 “Topolino”
1936-1955
Meccanica molto semplice.

 

 

 

 

SCHEMA RIASSUNTIVO
(fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale)

 

1808
Edizioni Ricordi a Milano
(nel 1880 “Officine grafiche Ricordi”)

1896
Stamperia di Edmondo Chappuis
a Bologna

Magazzini Mele (Napoli)
Impiegano la Ricordi

1902
Primo numero di
“Il risorgimento grafico”
a Milano

1908
Il Futurismo

Camillo Olivetti fonda
a Ivrea l’industria Olivetti

1928
Nasce la rivista
“La casa  bella”
(Guido Marangoni)

Nasce la rivista
“Domus”
(Gio Ponti)

Anni ‘30
Alla Olivetti lavorano:
E. Persico, M. Nizzoli,
L. Figini, V. Pollini

1930
Bar Graia a Milano
(Figini, Pollini, Baldessarri)

1933
Figini e Pollini vincono
il concorso bandito dalla
Società Nazionale del Grammofono

Alla triennale di Milano
il padiglione tedesco è interamente
dedicato alla grafica
(segue 1933)
Nasce lo
studio grafico Buggeri

Primo numero della
rivista “Campo grafico”
(Dradi e Rossi)

E. Persico redattore di
“La casa bella” che
cambia nome in
“Casabella”

1934
Due negozi Parker
a  Milano

Sala della Medaglie d’oro
(Nizzoli, Persico)

1935
Macchina da scrivere
Olivetti Studio 42
(Figini, Pollini, Schavinsky)

1936
Mostra dell’Oreficeria Antica
alla VI Triennale
(Franco Albini)

1938
Apparecchio radio in securit
progettato da F. Albini

1940
Radioricevitore Phonola
(L. e P. Castiglioni, Dominioni)

Addizionatrice Olivetti MC4S Summa
(M. Nizzoli)

Mostra della produzione in serie e dello standard
alla VII Triennale
organizzata da Giuseppe Pagano

 

 

Il design italiano del 2° dopoguerra.

E’ al termine della Seconda Guerra mondiale, quando la consapevolezza di doversi risollevare per poter cancellare tutto ciò che il conflitto ha portato di negativo, che il design italiano inizia a svilupparsi ed affermarsi. Questa rinascita avviene in Italia in primo luogo nel campo dei trasporti: non si può certo puntare ad auto di lusso, ci si indirizza quindi a mezzi di trasporto che possano essere alla portata di tutti e possano essere il più possibile comodi.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si iniziano a commercializzare maggiormente le biciclette e, successivamente la Garelli propone sul mercato delle biciclette motorizzate. Ma la vera svolta nel campo dei mezzi di trasporto accessibili a tutti si ha grazie alla Piaggio.
Ecco, infatti, che nel 1945 la Piaggio presenta la  Vespa, un progetto di Corradino D’Ascanio il quale ha portato sullo scooter alcuni dei suoi studi fatti in campo aeronautico: la Vespa è uno scooter a scocca portante, il carter non è quindi un semplice strumento per nascondere le parti meccaniche ma ne costituisce anche la struttura portante. La Vespa avrà un grande successo divenendo uno degli oggetti del design italiano più conosciuti al mondo.

 

 

 

 

Brevetto Vespa MP6
Corradino D'Ascanio
Produzione: Piaggio
1945

 

 

 

 

Vespa MP6
Corradino D'Ascanio
Produzione: Piaggio
1945

 

                                    La Vespa di Salvador Dalì                                   Esposta al museo di Pontedera

 

Sulla base dell'esperienza maturata dai francesi, a Pontedera si ipotizzano diversi armamenti possibili: cannone da 75 mm senza rinculo, bazooka, mitragliatrici e fucili mitragliatori, mortai da 60 e da 81 mm. Tutti correlati dal munizionamento necessario. a confronto con la jeep diventata quasi il simbolo dell'ultimo conflitto, lo scooter offre un impareggiabile rapporto tra prezzo di vendita e impiego di massa, riuscendo a primeggiare sia sentieri, foreste, sottoboschi. Anche a paragone con la motocicletta il confronto sul terreno lo darebbe per vincente.

 

In concorrenza con il prodotto della Piaggio la Innocenti due anni dopo, 1947, presenta il suo scooter: la Lambretta. Anche i progettisti della Lambretta sono ingegneri aeronautici, Torre e  Pallavicino, che vi applicano il concetto del telaio a tubolare portante, a sorreggere il peso non è quindi, come nel caso della Vespa, una scocca ma un traliccio.

 

Lambretta
C. Pallavicino - P. Torre
Produzione: Innocenti
1947

Un altro interessante prodotto progettato da C. D’Ascanio, ma per una scelta di mercato, non commercializzata in Italia è stata la Vespa 400, un mezzo a 4 ruote.
Vespa 400
Produzione: Piaggio
1953
Bella, simpatica, elegante, in netta concorrenza con dei colossi automobilistici com'erano la Fiat e l'Autobianchi.
Non ebbe la fortuna che gli sarebbe stata dovuta, sebbene ne siano state prodotte ben 28.000 unità, e sia stata anche prodotta su licenza in diversi paesi del mondo.
Oltre  alla Vespa e alla Lambretta, diventano icone del trasporto italiano due automobili, di piccole dimensioni ma indubbiamente interessanti ed apprezzate che riescono a sancire il passaggio dalle due alle quattro ruote e fanno sì che anche l’auto possa essere posseduta dalla maggior parte della o popolazione e non solo dalle persone più agiate. Si tratta di  due auto progettate da Dante Giacosa: la Fiat 600 prima e la Fiat Nuova 500 dopo, che ancora vediamo circolare per le nostre strade.
Fiat 600                                                                     Fiat Nuova 500
Dante Giacosa                                                           Dante Giacosa
1945                                                                          Produzione: Fiat
1957

Un’interessante esperimento che volle tentare di risolvere il problema della mobilità ma che  non ebbe grande successo (rimase in produzione solo dal 1953 al 1955) fu l’Isetta di Ermenegildo Preti: un’automobile due posti e di ridotte dimensioni, alla quale si accedeva attraverso un  unico portellone anteriore…date le dimensioni la si può attualmente ritenere una sorta di antenata della Smart.

 

Isetta
E. Preti
Produzione:Iso
1953-55

Un altro motociclo da ricordare è il Galletto prodotto dalla Moto Guzzi, caratterizzato dalla particolare carrozzeria e dalla posizione della ruota di scorta posta dietro la ruota anteriore.
Dante Giacosa si dedicherà anche al progetto di una berlinetta, che però verrà ripreso e portato a termine da Pininfarina: la Berlinetta Cisitalia che otterrà un grande successo a livello internazionale sarà esposta permanentemente al Moma di New York come “scultura semovente”. Era, però, ancora un’automobile realizzata con rifiniture fatte a mano, un’auto venduta su ordinazione.

 

Cisitalia
Pininfarina
1947

Uno dei primi prodotti dell’immediato secondo dopoguerra non legato al settore dei mezzi di trasporto è stata la macchina da scrivere Lexicon 80 (1948-49) di Marcello Nizzoli per Olivetti realizzata con un carter in alluminio presso fuso, con forme nei dettagli che richiamano la stream line statunitense.
Lexicon 80
Marcello Nizzoli                                                       
Produzione: Olivetti  
1948 

Adriano Olivetti sceglie di chiamare artisti ed architetti, rappresententanti di una cultura diversa a quella di fabbrica per collaborare con l'Ufficio progetti e studi da lui creato nel 1929

Nel campo del mobile sono da ricordare le aziende Azucena e Rima. Della prima ricordiamo la sedia Catilina di Caccia Dominioni che riprende  delle forme tratte dai reperti archeologici della classicità..
Lo sviluppo del design italiano avviene anche, e soprattutto,  attraverso questo settore del mobile.
Nel 1946 è da ricordare la prima lavatrice della Candy.

 

                                                    

La rinascita avvenuta negli anni successivi alla guerra porteranno anche la nazione italiana al “boom economico”, a quel periodo che ha determinato arricchimento e benessere sociali diffusi. Il design italiano seppe bene inserirsi in questo quadro sociale ed approfittarne specie nell’ambito della produzione di oggetti in plastica.
Ci sono molte generazioni di designer che si sono occupate di mobili a partire dagli anni 50. Molti non si rifanno ad una corrente particolare ma lavorano individualmente, altri invece fanno capo a delle tendenze. Marco Zanuso, che lavorerà a lungo affiancato dal tedesco Richard Supper, si rifà al razionalismo. Marco Zanuso realizza la poltrona Lady importando in una seduta la tecnologia impiegata per realizzare l’imbottitura delle sedute automobilistiche.

Tra i progetti da ricordare annoveriamo la sedia “Superleggera” di Gio Ponti realizzata in faggio e paglia, ispirata alla sedia di Chiavari., notoriamente leggera e dal peso ridotto.
  

Questo è il quadro del design italiano fino agli anni ’60, periodo in cui dominano le figure di Castiglioni, Mari, Sapper, Zanuso ed in cui ha inizio il lavoro di Giorgetto Giuggiaro. Va anche ricordato che in questi anni, seppure non siano propriamente designer ma ingegneri, lavorano molto attivamente D’Ascanio, Giacosa, Pallavicino, Pininfarina, Torre.

 

Gli anni ‘60

Negli anni ’60 inizia a profilarsi anche una nuova generazione di designer: De Pas, D’Urbino, Lo Mazzi si affiancano alla generazione di Zanuso, Aulenti, Bellini, Giuggiaro.
Ci si inizia a dedicare alla progettazione degli impianti stereo, uno dei primi è il RR126HF progettato dai fratelli Castiglioni per la Brionvega; di questa stessa azienda è la radiolina TS502 progettata da Richard Sapper e Marco Zanuso, due designer che hanno sempre impostato i loro progetti sulla linea razionalista. Sempre di Sapper e Zanuso è il telefono Grillo che, nonostante abbia ancora dimensioni considerevoli, prelude al concetto di telefono, pieghevole e compatto che farà la sua comparsa con l’elettronica. Nel 1954 Zanuso e Supper  propongono alla Brionvega il televisore Algool particolare perché lo schermo è rivolto verso l’alto per cui può essere posto tranquillamente sul  pavimento senza necessitare di un mobile che lo contenga, che verrà poi rivisto e perfezionato e messo in produzione nel 1962 con il nome di Algool II..
  

Sotsass nei primi anni ancora ispirato dai canoni della forma-funzione, inizia a lavorare con la Olivetti producendo macchine da scrivere differenti da quelle ispirate alla stream line di Nizzoli (ricordiamo la Lexicon 80 del 1947), più squadrate e dalle forme più definite. Tra queste ricordiamo la Valentie 1969 prima macchina da scrivere trasportabile.
Da ricordare l’Auto Nova di Pio Manzù che ha lavorato per un certo periodo nello studio Castiglioni . Da ricordare, frutto di questo connubio Manzù-Castiglioni è la Lampada Parentesi.

 

Pio Manzù
City taxi
1968

 

Parentesi
A. Castiglioni – Pio Manzù
Produzione: Flos
1970

Agli inizi degli anni 60 nasce il movimento del Neo Liberty. Si tratta di una prima reazione in Italia al Razionalismo che era ormai diventato uno stile internazionale affermato in ogni campo progettuale e produttivo ma che iniziava anche ad apparire “stanco”.
Appartenenti a questa corrente sono due oggetti in particolare:  la poltrona S. Luca di Achille e Piergiacomo Castiglioni (composta da 6 blocchi prodotti separatamente e successivamente montati ed assemblati insieme) e la sedia a dondolo Sgarsul di Gae Aulenti.

 

 

 

 

San Luca
A. e P. Castiglioni
Produzione: Gavina
1961

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale non si prova a studiare quanto accaduto tra le due guerre ma si tende a dimenticare e a cancellare i movimenti artistici forse perché in parte accusati di essere stati compromessi con il regime; per reazione a quanto accaduto nel passato, per tornare a rivedere cosa ci fosse stato di positivo in quel periodo storico nasce il Neo Liberty; una prima proposta che cerca di scardinare l’insistente affermazione del razionalismo. Inizialmente trova il suo elaboratore teorico nella personalità di Vittorio Gregotti.
Una fase interessante di studio e presentazione di quanto sta accadendo in Italia in questi anni è ben rappresentata tramite le Eurodomus. Queste furono delle rassegne con il fine di promuovere la produzione del mobile in Italia  e furono organizzate dalla rivista Domus. La prima venne organizzata a Genova nel 1966; punto principale fu la proposta di una casa sperimentale. La seconda si svolse nel 1968 a Torino  e vi venne proposto, da De Paz D’Urbino e Lo Mazzi, un padiglione totalmente gonfiabile realizzato in pvc. Furono realizzate altre due Eurodomus: una nel 1970 a  Milano e l’ultima nuovamente a Torino nel 1971 anche queste con interessanti proposte.
Gli anni Sessanta e Settanta sono anche gli anni durante i quali nascono movimenti di design ispirati alle contestazioni e ai movimenti delle avanguardie artistiche contemporanee di quegli anni. La Pop Art di Andy Warhol ed il New Dada in particolare sono movimenti artistici che vogliono estraniare dall’ originario contesto oggetti tipici della società dei consumi dando loro una nuova vita estetica; così nel design si iniziano a riproporre oggetti, parti di oggetti o materiali in ambiti differenti da quelli in cui vengono impiegati abitualmente. In Italia alcuni designer fanno propri i caratteri generali di questa contestazione realizzando oggetti molto originali per distaccarsi dal fondamento del razionalismo, ossia contestando la forma-funzione.
Ricordiamo, per quanto riguarda l’influenza della PopArt: la poltrona gonfiabile Blow di De Pas, D’Urbino, Lo Mazzi; la poltrona Joe di De Pas, D’Urbino, Lomazzi, una poltrona fatta in cuoio dalle sembianze di un guantone da baseball; la poltrona Sacco di Gatti, Paolini, Teodoro che non ha una forma propria ma, essendo costituita da pallini di polistirolo, si adatta perfettamente alla posizione che ogni fruitore vuole assumere; Pratone di Archizoom che aumenta a dismisura le dimensioni dell’erba di un prato su cui ci si può sdraiare e che, così come succede all’erba vera, si adatta alla posizione assunta da chi vi si siede o sdraia;

 

 

 

 

 

Polrtona Blow
Scolari-D'Urbino- Lomazzi- De Pas
Produzione: Zanotta
1967

 

 

Poltrona Joe
De Pas – D’Urbino - Lomazzi
1970
Celebrazione di Joe di Maggio, grande giocatore statunitense di baseball di quegli anni.

 

 

 

Poltrona Sacco
Gatti – Paolini – Teodoro
1970
Piena di milioni di palline di polistirolo espanso.
Rispondeva all'esigenza di atteggiamenti più liberi potendo assumere più forme diverse.

 

Achille e Piergiacomo Castiglioni lavorano ispirati dal Dadaismo. Prendendo degli oggetti già esistenti, come faceva Duschamp nelle sue opere, li assemblano tra loro così da ottenere nuovi oggetti. A questo periodo appartengono due particolari sedute: Mezzadro e Sella che non hanno richiesto una produzione seriale dei componenti poiché sono realizzati con oggetti che l’industria già produceva (la seduta di un trattore, una sospensione di un mezzo di trasporto già esistente sul mercato e un pezzo di legno preso sempre nel mondo dei macchinari agricoli in un caso e  la sella di una bicicletta da corsa nell’altro, sono i componenti base di questi due prodotti).

 

.

 

Anche la lampada Toyo nasce da questo tipo di metodologia: viene impiegata una canna da pesca, per il basamento un trasformatore e il faro no è altro che quello di un’automobile.
Tre pezzi già esistenti assemblati fanno l’oggetto d’uso, un oggetto d’uso anche di grande successo.
Il radical design si rifà, invece, a quanto sostenuto dal movimento dell’arte povera: utilizzare i materiali essenziali ( in particolare legno recuperato), non lavorati per riuscire a creare una nuova grammatica del design, sperimentando come poter ottenere oggetti d’uso. Ricordiamo Andrea Branzi  e Riccardo Dalisi
La vasta produzione del design italiano calata in maniera molto forte nel contesto sociale contemporaneo di quegli anni vede il raggiungimento del suo apice nel 1972. Questo è l’anno in cui venne allestita al Moma di New York la mostra, voluta ed organizzata dall’argentino Emilio Ambaz, intitolata: “Italy: the new domestic landscape”. Vi vengono esposti tutti gli oggetti prodotti dal design italiano fino a quell’anno e altri pensati per l’occasione come il Car-a-sustra di Bellini.

 

La mostra presenta tutte le diverse e a volte contraddittorie, ma pur sempre coesistenti, realtà del design italiano facendo sì che venisse conosciuto all’estero e ne sancisce l’affermazione definitiva a livello mondiale. Fino a quel momento, infatti, il design italiano era stato considerato di secondo piano a favore di quello tedesco o scandinavo; la mostra al Moma invece sancisce l’importanza del “made in Italy” a livello internazionale.
Il design italiano, soprattutto attraverso Supertudio e Archizoom evidenziano l’apertura verso nuovi linguaggi declinando spesso linguaggi di altri campi agli oggetti d’uso.

 

Il postmoderno

 

Per quanto riguarda il design italiano è da ricordare la tendenza del design postmoderno nell’ambito del quale lavorano Alchimia e Memphis.
Il post moderno è un movimento culturale complesso che parla del cambiamento delle società per via della fine della modernità e dell’inizio della postmodernità. Rappresentanti ne saranno, in particolare, E. Sotssass (quando rivedrà il suo metodo di progettazione abbandonando il razionalismo) e A. Mendini.
Successivamente alla mostra del  Moma nel 1972 si nota un passaggio del design italiano dalla tendenza Pop al postmoderno. Iniziano, a partire dagli anni ’70, ad entrare in crisi le ideologie e le idee forti che sino a quel momento preludevano ad una fiducia illimitata nella Modernità, nasce la filosofia Postmoderna ( Jean-François Lyotard scrive La condizione postmoderna). Il “pensiero debole”, (Vattimo, Cacciari, Severino) – versione italiana della filosofia della postmodernità - influenza il design di Mendini, Sottsass e Branzi. Vengono proposti oggetti in netto contrasto con il principio della forma-funzione: la libreria Cartlon di E. Sottsass, il tavolo Tangram di Morozzi.
L’idea è quella di abbandonare l’Intrenational Stile  (il razionalismo) per dare possibilità alternative che trovino una vera e propria applicazione; non ci si vuole fermare a sole proposte di ricerca ma arrivare anche alla produzione di oggetti ad alto contenuto tecnologico.

 

 

Nello stesso tempo è sollecitata una nuova unione tra ornamento e progetto, la poltrona Proust di Mendini è un esempio di questi tentativi (bisogna ricordare che il Razionalismo aveva provocato una espulsione dell’ornamento dell’architettura e dal progetto in generale).

 

 

 

 

Poltrona Proust
A. Mendini

Negli anni ’80 una mostra itinerante - Memphis - che raccogli numerosi pezzi di design italiano postmoderno è esposta nei maggiori musei d’arte contemporanea del mondo ed ottiene un grande interesse di pubblico. È la definitiva messa in crisi del codice funzionalista.
Munari, Mari, Castiglioni non sono sfiorati dalla tendenza postmoderna e continuano nell’ambito del filone definito della “funzione della ricerca estetica” creando oggetti di design con essenzialità nella forma e nell’uso dei materiali. A questo proposito ricordiamo per esempio Abitacolo di Bruno Munari, un letto a più funzioni realizzato in scarni profilati metallici elettrosaldati.

 

Abitacolo
Bruno Munari
Produzione: Robots
1971
Scrittoio e relativa libreria costituiti da un telaio in acciaio elettrosaldato con accessori in materiali vari.

 

Sof  Sof
Enzo Mari
Produzione: Driade
1973
Sedia composta da cinque anelli in tondino di ferro dello spessore di 6mm saldati elettricamente, su cui vengono inseriti il sedile ( con due tasche di tessuto) e lo schienale leggermente elastico.

In questo quadro va anche ricordato l’apporto dato al design italiano dalla Scuola di Ulm; in seguito alla sua chiusura nel 1968, infatti, molti suoi teorici si trasferiscono in Italia portandovi le idee della scuola: teorici come Tomás Maldonado e Martin Krampen, progettisti come Andries Van Onck, Hans von Klier ed Herbert Ohl.
Un altro apporto, utile ed interessante, il design italiano lo ha avuto dalla cultura giapponese attraverso l’esperienza tipicamente orientale del fare leggero e piccolo. Progettisti come Makio Hasuike e Isao Hosoe realizzano nuove forme di arredamento compatto e oggetti da indossare.

( Fonte:lezioni sul design italiano, prof. Rocco Antonucci)

Fonte: https://architettura.unige.it/did/l1/disegnoind/primo0506/storiadisind/dispensedefinitive/Design%20italiano1.doc

Sito web da visitare: https://architettura.unige.it

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