Laterizi materiali per costruzioni

Laterizi materiali per costruzioni

 

 

 

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Laterizi materiali per costruzioni

Materiali da costruzione:
Pietra
Roccia allo stato naturale, solida e nuda;
I materiali lapidei naturali (calcari, rocce siliciche, arenarie, ecc.) usati nelle costruzioni, in blocchi irregolari (p. rozza o grezza) o opportunamente sagomati (p. lavorata o concia), assestati a secco o, più spesso, legati tra loro con materiali agglomeranti;
p. da calce, p. da gesso, le rocce utilizzate, rispettivamente, per la preparazione della calce e del gesso;
p. da cemento, il calcare marnoso usato per la fabbricazione del cemento;
P. artificiale, materiale usato per pavimentazione o rivestimenti, costituito da un conglomerato di cemento con superficie trattata in modo da avere aspetto lapideo.
In relazione al luogo di provenienza, con particolare riferimento alle pietre da costruzione: p. di Favignana, calcare quaternario del territorio di Favignana (la maggiore delle isole Egadi); p. di Finale, calcare brecciato della Riviera di Ponente (da Finale Ligure, in prov. di Savona); p. d’Istria, calcare del cretaceo, compatto, molto usato a Venezia; p. di Trani (in prov. di Bari), calcare tufaceo, e p. leccese, calcare argilloso magnesiaco, facilmente lavorabili, usati nei monumenti barocchi della Puglia; p. di Caen (⟨⟩, città della Francia settentr. nel dipartimento di Calvados), calcare oolitico usato in Francia per molte chiese gotiche; p. di Còmiso (nella Sicilia merid.), calcare bianco ben lavorabile; p. di Siracusa, p. di Viggiù, ecc. .
Laterizi
ll laterizio è una denominazione generica di materiale artificiale da costruzione ottenuto dalla cottura di argille con quantità variabile di sabbia, ossido di ferro e carbonato di calcio.
Laterizi forati                                                                                          Mattone pieno
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/thumb/6/62/Mat-forato.jpg/220px-Mat-forato.jpghttps://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cb/Handvormklein.jpg/220px-Handvormklein.jpg

 

 

Le gamme di laterizi riconosciute dagli standard professionali sono:

  • Camini e canne fumarie: componenti dell'impianto termico, le canne fumarie in laterizio sono un materiale che offra buona resistenza al calore, impermeabili ai gas ed alla condensa.
  • Coperture: permette una copertura discontinua delle falde di tetti.  Si dividono in due categorie le "tegole curve" o coppi e le "tegole piane", che prendono varie denominazioni : marsigliesi, portoghesi, romana (o embrice), olandese.
  • Divisori: elementi in laterizio di tipo leggero e forati che vengono posati sia in orizzontale che in verticale. I mattoni pieni sono quelli che non hanno buchi, è disuso come sostituto del mattone forato, viene utilizzato per le ristrutturazioni dei edifici classici o pareti portanti.
  • Faccia a vista: il mattone faccia a vista permette la costruzione di muri e viene utilizzato soprattutto per la finitura esterna delle pareti. Hanno vari aspetti, in forma e colori, e possono essere classificati in "estrusi", "pasta molle" e "pressati".
  • Murature: elementi che vengono usati per la realizzazione di murature portanti, e possono essere:
    • mattoni pieni: hanno una percentuale di foratura minore del 15%, sono solitamente usati come sostituti del mattone forato, e viene utilizzato per le ristrutturazioni degli edifici classici o delle pareti portanti.
    • mattoni semipieni: è un mattone che ha la resistenza media rispetto al mattone forato e al mattone pieno. Viene prodotto per estrusione. La percentuale di foratura varia tra il 15% e 45%. La sua dimensione è di 12×12×25 cm.
  • Pavimenti in cotto: sono due tipologie principali “pianelle” e “mattoni”. Elemento laterizio pieno di forma rettangolare e di piccole dimensioni, utilizzato nell'edilizia storica come tavolato d'intradosso di solai e coperture lignee, soprattutto nell'Italia centrale, e localmente anche detta "campigiana" o "mezzana" (particolarmente in Toscana, a causa dello spessore che è circa la metà di quello di un mattone). Attualmente viene prodotto con le dimensioni di 13×23, 14×28, 15×30, 17x34 (tipico umbro), 18x36 e con spessore generalmente di 2,5  cm.
  • Solaio: elementi in laterizio usati per la realizzazione di strutture orizzontali: sono disponibili per solai da gettare in opera, oppure i "interposti".
  • Tavelle e Tavelloni: sono laterizi piani forati e di forma parallelepipeda, con pareti e setti sottili (tra 6 e 8 cm) che le rendono leggere, maneggevoli e piuttosto resistenti a flessione.

Legno
Per legno strutturale si intende il legno usato per la costruzione di edifici. Il legno è il più antico materiale da costruzione utilizzato dall'uomo per la propria casa, come testimonia anche l'archeologia sperimentale.
Esempi significativi di edifici e costruzioni realizzate con questo prodotto della foresta e del bosco sono le terramare, i trabucchi, il Battistero lateranense, la cupola della Primaziale di Pisa, la Chiesa Madre Basilica di San Leone di Assoro, il Globe Theatre, la chiesa di Karlskrona, le case della Lessinia, di Bryggen e di Tomsk, il tetto a volta della Oude Kerk (Amsterdam), la Knochenhaueramtshaus di Hildesheim, il tetto del Castello di Donegal, lo stadio Lansdowne Road e il ponte di Giulianova.
Moderne realizzazioni italiane sono l'Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano a Roma, il Modigliani Forum di Livorno, il Palasport della Spezia, il Nuovo Ponte Vecchio di Ponte San Giovanni (Perugia), la Nuova Fiera di Rimini, il nuovo stadio per l'atletica leggera Luigi Ridolfi di Firenze, il nuovo terminal crocieristico di Brindisi.
Il legno è stato utilizzato nelle costruzioni sin dall'epoca antica.
Uno dei più antichi metodi di costruzione delle case è quello definito blockbau, nel quale si sovrappongono orizzontalmente tronchi o travi fino a formare delle pareti. L'aggancio è ottenuto agli angoli, dove vengono ricavate delle connessioni che permettono l'incasso e, allo stesso momento, un irrigidimento della struttura. La quantità di legno per realizzare questo tipo di abitazione è elevata.[1] L'uso del legno come materiale strutturale era prassi consolidata fino alla fine dell'Ottocento. La stazione ferroviaria Milano Cadorna, inaugurata nel 1879, aveva una struttura iniziale in legno, dall'aspetto di chalet. L'introduzione dell'acciaio e del cemento armato ne hanno segnato il progressivo regresso alla fine del XIX secolo, limitandone l'impiego a pochi campi come l'ingegneria naturalistica o ad applicazioni leggere come la serra o addirittura mortificandolo come cassaforma.
Tale declino è stato molto più marcato in Italia che nelle altre nazioni europee, addirittura in Scandinavia non è mai cessato, mentre nell'America settentrionale si è continuato ad utilizzarlo in maniera estensiva, specialmente nell'edilizia civile, come ad esempio a Venice.
Solo il recente sviluppo della progettazione architettonica e di nuove tecniche costruttive, nonché l'approfondimento dell'analisi strutturale e della resistenza alla combustione del legno, unitamente all'introduzione di nuovi prodotti preservanti dal degrado e dagli insetti sociali, ha consentito di riappropriarsi delle innumerevoli possibilità architettoniche, della straordinaria natura estetica e della totale compatibilità con i criteri dello sviluppo sostenibile che una struttura in legno può offrire.
Ogni famoso architetto si è sempre cimentato nell'uso del legno strutturale, da Renzo Piano a Frank Lloyd Wright, da Glenn Murcutt a Arne Jacobsen, da Peter Harrison a Arthur Erickson. Da sempre, l'ingegnere ne apprezza le particolari proprietà meccaniche, come nell'Universeum di Gert Wingårdh in Svezia. Walter Gropius nel 1921 progetta e costruisce a Dahlam (Berlino), nell'abito delle attività didattiche del Bauhaus, Casa Sommerfeld con il fasciame di una vecchia nave donata dall'omonimo commerciante di legname. La casa in legno massiccio lo interessava particolarmente in quanto considerava il sistema blockbau essenza costruttiva di un materiale specifico, dove l'utilità costruttiva, la forma strutturale e l'architettura coincidono in un unico edificio. Secondo un recentissimo studio, tutte le aziende italiane del settore intervistate forniscono una stima positiva del mercato, con una crescita del 15%, sebbene in generale le costruzioni in Italia siano in rallentamento.
Il legno lamellare è un materiale strutturale molto solido e resistente prodotto incollando delle tavole di legno a loro volta già classificate per uso strutturale.
Questo legno prima di essere incollato viene stabilizzato nel tenore igrometrico.
È quindi un materiale composito, costituito essenzialmente di legno naturale, di cui mantiene i pregi (tra i principali ricordiamo l'elevato rapporto tra resistenza meccanica e peso ed il buon comportamento in caso di incendio), ma è anche un prodotto nuovo, realizzato su scala industriale, che attraverso un procedimento tecnologico di incollaggio a pressione riduce i difetti propri del legno massiccio.
Le fasi della produzione consistono nella riduzione del tronco in assicelle - dette per l'appunto lamelle - generalmente di larghezza non superiore ai 20 mm (per prevenire eccessive deformazioni causate dal fenomeno del ritiro) e nella loro ricomposizione tramite incollaggio a caldo e sotto pressione, le lamelle sono posizionate tra loro con venatura contrapposta così da garantire una maggior uniformità nella resistenza della trave.
È possibile produrre elementi di forma e dimensione volute, senza i limiti derivanti dalla dimensione dell'albero, ottimizzando in questo modo le prestazioni meccaniche della trave. Una normale trave in legno massello ha una sezione quadrata, circolare o rettangolare (ma con scarsa differenza tra H altezza e B base) mentre una trave lamellare generalmente a sezioni rettangolari il cui rapporto tra B e H è molto sbilanciato verso quest'ultima. Il vantaggio di avere una sezione più alta che larga è esplicitato dalla formula J=b*h3/12 dove J è il momento di inerzia assiale, essendo l'altezza elevata alla terza potenza influisce di più su questo valore di resistenza. Inoltre il limite in lunghezza di una trave in legno lamellare è dato principalmente dalla possibilità di trasporto e messa in opera della stessa.
Pur essendo realizzate con un materiale combustibile, le strutture in legno lamellare possono avere una resistenza al fuoco pari o superiore a quella di strutture in acciaio o in calcestruzzo armato. Infatti, nel legno lamellare la combustione avviene lentamente grazie al buon isolamento termico realizzato dallo strato superficiale carbonizzato. Ad un aumento molto lento della temperatura corrisponde una variazione quasi trascurabile della resistenza meccanica delle fibre di legno della sezione non carbonizzata e la struttura cede o crolla solo quando la parte della sezione non ancora carbonizzata è talmente diminuita da non riuscire più ad assolvere alla sua funzione portante. La resistenza al fuoco di un elemento strutturale in legno lamellare dipende dalla velocità di carbonizzazione che è possibile calcolare sperimentalmente o analiticamente per diverse specie legnose.

Metalli
Con acciaio strutturale o acciaio da costruzione si indica il tipo di acciaio utilizzato come materiale da costruzione nel campo dell'ingegneria civile e adoperato per la realizzazione di:

  • costruzioni metalliche: travi reticolari, tralicci, utilizzato come elemento strutturale portante;
  • opere in calcestruzzo armato ordinario: acciaio da armatura ordinaria o lenta;
  • opere in calcestruzzo armato precompresso: acciaio da carpenteria per la cosiddetta "armatura lenta" ed acciaio da precompressione per cavi, barre, trefoli (pre-tesi e post-tesi).

In particolare la resistenza meccanica, la duttilità, la fragilità, la resistenza fisico-chimica e la durabilità dell'acciaio influenzano pesantemente lo specifico settore di impiego ideale.

Classificazione in base alla composizione chimica

Al variare del contenuto di carbonio, nell'acciaio si modificano alcuni parametri fisico - meccanici importanti.
Nello specifico, minore è il tasso di carbonio minore è la resistenza meccanica e la fragilità mentre crescono la duttilità e la saldabilità del ferro.
In base al tasso di carbonio gli acciai si dividono in:

  • extra dolci: carbonio compreso tra lo 0,05% e lo 0,15%;
  • semidolci: carbonio compreso tra lo 0,15% e lo 0,25%
  • dolci: carbonio compreso tra lo 0,25% e lo 0,40%;
  • semiduri: carbonio tra lo 0,40% e lo 0,46%;
  • duri: carbonio tra lo 0,60% e lo 0,70%;
  • durissimi: carbonio tra lo 0,70% e lo 0,80%;
  • extraduri: carbonio tra lo 0,80% e lo 0,85%.

Gli acciai da carpenteria metallica di solito sono di tipo dolce perché così l'acciaio ha la caratteristica di duttilità molto importante ad esempio nelle strutture antisismiche. Nella lega ferro-carbonio si possono trovare elementi chimici accessori, alcuni dei quali non voluti (ad esempio manganese, silicio) altri invece aggiunti appositamente per modificare alcune proprietà (ad esempio il cromo negli acciai inox e il rame in quelli Corten).
In base a quanto sopra, gli acciai si distinguono in:

  • acciai non legati sono acciai nel quale i tenori degli elementi di lega rientrano nei limiti indicati dal prospetto I della UNI EN 10020:acciaio al carbonio, acciaio nero.
  • acciai legati sono acciai per i quali almeno un limite indicato del suddetto prospetto I viene superato.

Per convenzione gli acciai legati si suddividono in:

  • bassolegati: nessun elemento al di sopra del 5%: ad esempio acciaio Corten
  • altolegati: almeno un elemento di lega al di sopra del 5%.

Le UNI EN 10 020 indicano il tenore massimo degli elementi chimici di lega che caratterizzano l'acciaio non legato, ad esempio:

  • manganese: 1,65%;
  • silicio: 0,50% ;
  • rame: 0,40%;
  • piombo: 0,40%;
  • cromo e nichel: 0,30%;
  • molibdeno: 0,08%;
  • tungsteno: 0,10%.

Alluminio
L'alluminio è l'elemento chimico di numero atomico 13. Il suo simbolo è Al ed è identificato dal numero CAS 7429-90-5
Si tratta di un metallo duttile color argento. L'alluminio si estrae principalmente dai minerali di bauxite ed è notevole la sua morbidezza, la sua leggerezza e la sua resistenza all'ossidazione, dovuta alla formazione di un sottilissimo strato di ossido che impedisce all'ossigeno di corrodere il metallo sottostante. L'alluminio grezzo viene lavorato tramite diversi processi di produzione industriale, quali ad esempio la fusione, la forgiatura o lo stampaggio.
L'alluminio viene usato in molte industrie per la fabbricazione di milioni di prodotti diversi ed è molto importante per l'economia mondiale. Componenti strutturali fatti in alluminio sono vitali per l'industria aerospaziale e molto importanti in altri campi dei trasporti e delle costruzioni nei quali leggerezza, durata e resistenza sono necessarie.
L'alluminio è un metallo leggero, ma resistente, con un aspetto grigio argento a causa del leggero strato di ossidazione, che si forma rapidamente quando è esposto all'aria e che previene la corrosione in quanto non solubile.
L'alluminio ha un peso specifico di circa un terzo dell'acciaio, o del rame; è malleabile, duttile e può essere lavorato facilmente; ha una eccellente resistenza alla corrosione e durata. Inoltre non è magnetico, non fa scintille, ed è il secondo metallo per malleabilità e sesto per duttilità.
L'alluminio è uno degli elementi più diffusi sulla Terra (8,3% in peso), terzo dopo ossigeno (45,5%) e silicio (25,7%) e paragonabile al ferro (6,2%) e al calcio (4,6%). In natura si trova sempre combinato con altri elementi; è presente in numerosi minerali. Dal punto di vista industriale questo metallo leggero (la sua densità è di 2,71 g/cm³) viene prodotto a partire dalla bauxite, roccia rosso bruno o giallo, diffusa soprattutto negli Stati Uniti, in Russia, Guyana, Ungheria, nei territori dell'ex Jugoslavia. Le proprietà salienti dell'alluminio sono:

  • basso peso specifico, pari a circa un terzo di quello dell'acciaio o delle leghe di rame;
  • alta conducibilità termica ed elettrica, circa due terzi di quella del rame;
  • elevata plasticità;
  • eccellente duttilità e malleabilità;
  • basso potere radiante;
  • saldabilità; molte leghe di alluminio sono saldabili con normali tecniche MIG, TIG e saldo brasatura, altre, in particolare quelle contenenti rame, non sono saldabili. In ogni caso il processo di saldatura deve essere effettuato con l'uso di gas inerti o paste, che producono gas ionizzanti, per evitare la formazione di allumina.
  • superficie dei particolari trattabile con ossidazione anodica o protettiva (passivazione chimica e aumento della durezza superficiale, che può superare in 50 HRC) o estetica (elettrocolorazione).

RAME
Il rame è l'elemento chimico di numero atomico 29. Il suo simbolo è Cu.
Con ogni probabilità il rame è il metallo che l'umanità usa da più tempo: sono stati ritrovati oggetti in rame datati 8700 a.C. Il nome italiano deriva dal latino parlato aramen (parola già attestata nel 950) per il tardo aeramen, un derivato della voce latina aes che significa "rame" o "bronzo", nomi conservati in altre lingue di origine indoeuropea.
Solo più tardi viene sostituito (Plinio) dalla parola cuprum, da cui deriva il simbolo chimico dell'elemento. In epoca romana la maggior parte del rame era estratta dall'isola di Cipro, realtà che veniva sottolineata con il termine aes Cyprium, "rame o bronzo di Cipro".[1][2]
In epoca romana infatti non si faceva differenza tra il rame puro e il bronzo, la sua lega più importante ottenuta con l'aggiunta di stagno.
Il rame è un metallo rosato o rossastro, di conducibilità elettrica e termica elevatissime, superate solo da quelle dell'argento; è molto resistente alla corrosione (per via di una patina aderente che si forma spontaneamente sulla superficie, prima di colore bruno e poi di colore verde o verde-azzurro) e non è magnetico. È facilmente lavorabile, estremamente duttile e malleabile, ma non è idoneo a lavorazioni con asportazione di truciolo, perché ha una consistenza piuttosto pastosa; può essere facilmente riciclato e i suoi rottami hanno un alto valore di recupero; si combina con altri metalli a formare numerose leghe metalliche (si calcola che se ne usino almeno 400), le più comuni sono il bronzo e l'ottone, rispettivamente con lo stagno e lo zinco; tra le altre, anche i cupronichel e i cuprallumini (detti anche bronzi all'alluminio). I suoi impieghi possono essere per motori elettrici, rubinetti in ottone e per campane di bronzo.
Inoltre il rame è batteriostatico, cioè combatte la proliferazione dei batteri sulla sua superfici
Calcestruzzo e Calcestruzzo armato
Il calcestruzzo armato o conglomerato cementizio armato (comunemente chiamato cemento armato) è un materiale usato per la costruzione di opere civili, costituito da calcestruzzo (una miscela di cemento, acqua, sabbia e aggregati, cioè elementi lapidei, come la ghiaia) e barre di acciaio (armatura) annegate al suo interno ed opportunamente sagomate ed interconnesse fra di loro.
Cenni storici
I primi impieghi
Il calcestruzzo, con pozzolana e calce comune come leganti, fu adoperato già dagli antichi romani col nome di betunium.
Vi sono anche rari esempi di ritrovamenti di barre di bronzo annegate nella massa del calcestruzzo, disposte in maniera intuitiva, che non permettono però di considerarlo calcestruzzo armato vero e proprio. Inoltre la differente dilatazione termica dei due materiali produceva problemi di scheggiatura.
L'invenzione del calcestruzzo armato è generalmente attribuita alla scoperta fortuita di un giardiniere parigino di nome Joseph Monier: nel tentativo di produrre vasi da fiori, avrebbe notato che la gabbia di metallo usata per trattenere e modellare il cemento dimostrava la proprietà di non staccarsi facilmente dal calcestruzzo stesso. Il 16 luglio 1867 Monier si faceva rilasciare il suo primo brevetto per la realizzazione di vasi da fiori.
Negli anni successivi seguirono brevetti per tubi, serbatoi, solette piane e curve, scale ecc. In tali brevetti si riscontrano già tutti i concetti principali per l'armatura del cemento.
Anche in Italia ci furono dei pionieri di questa nuova tecnica. L'Ing. Angelo Lanzoni è ricordato a Pavia con una lapide nella omonima via su cui si trova scritto: "Angelo Lanzoni qui ideava il cemento armato e con priorità di brevetto del marzo 1883 fece del trovato una invenzione italiana".
Prima di essere utilizzato nell'edilizia, il calcestruzzo armato fu impiegato nell'industria navale. L'avvocato francese J. L. Lambot costruì una piccola imbarcazione con una struttura metallica ricoperta di calcestruzzo, che fece sensazione all'Esposizione universale di Parigi del 1855. Nel 1890 l'italiano C. Gabellini iniziò la costruzione di scafi navali in calcestruzzo.
Il calcestruzzo nell'edilizia
Anche se già nel 1830 in una pubblicazione intitolata The Encyclopaedia of Cottage, Farm and Village Architecture si suggeriva che una grata di acciaio poteva essere inglobata nel calcestruzzo per formare un tetto, il primo ad avere introdotto il calcestruzzo armato nell'edilizia è considerato William Wilkinson di Newcastle. Nel 1854 egli registrò un brevetto per il "miglioramento nella costruzione di dimore a prova di fuoco, di magazzini, di altre costruzioni e delle parti delle stesse". Wilkinson eresse un piccolo cottage di due piani per la servitù, rinforzando pavimento e tetto di cemento con l'uso di barre di acciaio e di cavi metallici; in seguito sviluppò varie strutture del genere.
L'architetto franco-svizzero Le Corbusier (1887-1965) fu tra i primi a comprendere le potenzialità innovative del calcestruzzo armato nell'ambito dell'architettura contemporanea ed a sfruttarlo ampiamente nelle sue opere, dopo averne visto le potenzialità intuite dal suo maestro Auguste Perret, tra le cui opere in calcestruzzo armato spicca la casa in Rue Franklin a Parigi del 1903. In Italia il calcestruzzo armato iniziò a diffondersi a cavallo fra il XIX e il XX secolo ma una legislazione specifica per regolarne l'utilizzo fu emanata solo a partire dal novembre 1939 (R.D.L. n.2229 del 16.11.1939).

Caratteristiche

È un materiale utilizzato sia per la realizzazione della struttura degli edifici (ovverosia dell'ossatura portante) che di manufatti come ad esempio i muri di sostegno dei terrapieni.
Come l'acciaio, anche il calcestruzzo armato può essere realizzato in stabilimento per produrre elementi prefabbricati; in genere travi e pilastri, ma è in uso anche la produzione di pannelli ed elementi con anche funzioni decorative. L'utilizzo in coppia del calcestruzzo e dell'acciaio dà vita a tale materiale di peso specifico pari a 25 kN/m3.[2] La produzione in stabilimento permette di avere un miglior controllo sulla qualità del calcestruzzo, ma, essendo più costosa, viene utilizzata con regolarità quando le condizioni climatiche del cantiere sono proibitive (non a caso la prefabbricazione si è sviluppata moltissimo in Russia), o quando gli elementi da produrre richiedono dei controlli rigorosi, come può essere il caso di alcune tecnologie con le quali viene realizzato il calcestruzzo armato precompresso.
In cantiere, la tecnologia del calcestruzzo gettato in opera ha il vantaggio di creare meno problemi nei nodi tra gli elementi, cioè in quei punti in cui si uniscono travi e pilastri.
Proprietà
Generalità

Vecchia barra d'acciaio a filo liscio sagomata a 45° per travi in calcestruzzo armato
Il calcestruzzo armato sfrutta l'unione di un materiale da costruzione tradizionale e relativamente poco costoso come il calcestruzzo, dotato di una notevole resistenza alla compressione ma con il difetto di una scarsa resistenza alla trazione, con l'acciaio, dotato di un'ottima resistenza a trazione. Quest'ultimo è utilizzato in barre (che possono essere lisce, ma la legge le impone ad aderenza migliorata, con opportuni risalti) e viene annegato nel calcestruzzo nelle zone ove è necessario far fronte agli sforzi di trazione; l'armatura interna da al materiale complessivo il nome di calcestruzzo armato, classificabile come un materiale composito.
Le barre hanno diametro variabile commercialmente da 5 mm a 32 mm e possono essere impiegate sia come "armatura corrente" o longitudinale, sia come "staffe", ovvero come barre che racchiudono altre barre (in genere di maggior diametro) a formare una sorta di "gabbie" opportunamente dimensionate secondo le necessità d'impiego. In generale, vengono prodotte barre fino ad una lunghezza massima di 14 m a causa di problemi di trasporto. Per eseguire l'armatura sono disponibili anche reti elettro saldate (con filo nei diametri da 5, 6, 8, 10 e 12 mm) a maglia quadrata, con passi da 10 e 20 cm e le stesse vengono, in questo caso, impiegate soprattutto per armare solette inserite sotto pavimento o muri in elevazione.
La sinergia tra due materiali così eterogenei è spiegata tenendo presenti due punti fondamentali:

  • Tra l'acciaio ed il calcestruzzo si manifesta un'aderenza che trasmette le tensioni dal calcestruzzo all'acciaio in esso annegato. Quest'ultimo, convenientemente disposto nella massa, collabora sopportando essenzialmente gli sforzi di trazione, mentre il calcestruzzo sopporta quelli di compressione.
  • I coefficienti di dilatazione termica dei due materiali sono sostanzialmente uguali.

Per aumentare l'aderenza tra i due materiali da qualche decennio al posto delle barre lisce di acciaio vengono utilizzate barre ad aderenza migliorata, cioè barre sulle quali sono presenti dei risalti.
Un tempo, a causa dell'elevato costo del materiale e grazie alla disponibilità di manodopera a basso costo, si cercava di utilizzare meno barre possibili facendo svolgere a quelle utilizzate diverse funzioni strutturali. Di solito si sagomavano le barre longitudinali a 45° per fornire alla trave in calcestruzzo armato anche resistenza al taglio oltre che a flessione. Oggi invece la situazione è opposta, pertanto si cerca di snellire maggiormente le operazioni in cantiere utilizzando direttamente staffe e armature longitudinali.
Durabilità

Degrado del calcestruzzo armato: copriferro espulso per rigonfiamento dell'armatura, dovuto a corrosione della stessa
Inizialmente e per molti anni si pensò che il calcestruzzo armato potesse avere una vita eterna; ciò è evidentemente falso, perché entrambi i materiali che lo costituiscono sono soggetti a problemi che ne compromettono la resistenza nel tempo.
Il calcestruzzo, se non adeguatamente protetto, può essere attaccato da sali presenti nell'acqua di mare e nell'aria in prossimità delle coste, da acidi dei fumi industriali, dal fenomeno della carbonatazione. Esso risente inoltre delle variazioni di temperatura, ed in particolare è vulnerabile al gelo.
L'acciaio, se non ben protetto da uno strato di calcestruzzo (copriferro), è soggetto ad ossidazione, cioè tende ad arrugginirsi. L'ossidazione oltre a compromettere del tutto la resistenza a flessione dell'acciaio (che tende quindi a rompersi molto più facilmente) fa aumentare il volume dell'acciaio che può così rompere il calcestruzzo che lo ricopre e lo porta di conseguenza a sbriciolarsi.
L'ossidazione può essere provocata da vari fattori, per esempio da infiltrazione di acqua o vapore acqueo attraverso le fessurazioni del calcestruzzo che si producono naturalmente quando l'elemento strutturale è sollecitato a flessione: il calcestruzzo, non reagendo a trazione, nella parte tesa della sezione tende a fessurarsi, aprendo così la strada, quando tali fessure sono di entità rilevante, agli agenti ossidanti. L'entità e la pericolosità delle fessurazioni sono calcolabili attraverso semplici modelli matematici descritti nella scienza delle costruzioni e nelle norme UNI. È virtualmente impossibile realizzare un calcestruzzo armato che non si fessura, perché il modulo di elasticità (o modulo di Young) dei due materiali (acciaio e calcestruzzo) differisce troppo per consentire una omogeneità di dilatazione sotto sforzo. Tuttavia, rimanendo entro i limiti normativi per la fessurazione, l'ossidazione dell'acciaio può essere considerata trascurabile, allungando di molto la durabilità del manufatto.
Negli ultimi tempi alcune ditte hanno cominciato a proporre l'acciaio inossidabile per l'armatura del calcestruzzo. Tale materiale è sensibilmente più costoso dell'acciaio "nero" (semplice lega di ferro e carbonio), perché più complesso da produrre, meno resistente e più fragile. Ha però un vantaggio indiscusso: il fatto di non subire la ruggine e il conseguente aumento di volume. I costi proibitivi ne consentono l'utilizzo, per ora, solo in strutture in cui la manutenzione è particolarmente gravosa o l'aggressività degli agenti atmosferici particolarmente elevata, quali, per esempio: ponti, dighe, strutture portuali, infrastrutture viarie sospese e simili. In questi casi, il risparmio dovuto alle opere di manutenzione può giustificare una maggiore spesa per la realizzazione del manufatto. Rimane il fatto, però, che la struttura è più pesante perché necessita di una maggiore quantità di acciaio in quanto l'acciaio inossidabile è meno resistente di quello al solo carbonio e ne serve dunque una maggiore quantità nella stessa sezione di calcestruzzo armato per garantire le medesime prestazioni del manufatto e ottemperare alle relative prescrizioni legislative.

Calcestruzzo fibrorinforzato

Fibra di vetro
Il calcestruzzo fibrorinforzato (o FRC o Fiber Reinforced Concrete) è un materiale composito (appartiene alla famiglia dei calcestruzzi speciali) costituito da una matrice: calcestruzzo ordinario (cemento + acqua + inerte fine + inerte grosso) , malta (cemento + acqua + inerte fine) o pasta (cemento +acqua) di cemento, nel quale vengono aggiunti e distribuiti in maniera omogenea elementi fibrosi discontinui (rinforzo) per rinforzare la matrice cementizia.
Gli elementi fibrosi possono essere di diversa natura: acciaio, plastica, vetro, ghisa, ecc.
Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, l'aggiunta di fibre, di qualsiasi tipo e nei dosaggi usualmente impiegati nelle applicazioni pratiche, non è in grado di ridurre apprezzabilmente il ritiro igrometrico del calcestruzzo e neppure è in grado di ridurre l'apertura delle fessure indotte dal ritiro.
Invece, la presenza di fibre nel calcestruzzo può ridurre la propagazione delle fessurazioni dovute al ritiro igrometrico grazie all'azione di cucitura di cui si parlerà in seguito.
Tale effetto cucitura garantisce anche una elevata resistenza residua a trazione dopo la microfessurazione della matrice cementizia (tale resistenza viene chiamata tenacità).
Per tale motivo i calcestruzzi fibrorinforzati (con fibre in acciaio o di tipo polimerico) sono frequentemente utilizzati per la realizzazione di pavimentazioni industriali (in questo caso le fibre si sostituiscono alle reti elettrosaldate nel contrastare la propagazione delle fessure).

Cenni storici

Già nell'antichità si era capito che accoppiando diversi materiali fra di loro si ottenevano prodotti finiti con caratteristiche migliori: un esempio sono i mattoni realizzati con argilla e paglia ed essiccati al sole, utilizzati dalle civiltà della Mesopotamia e più recentemente, all'inizio del XX secolo, l'utilizzo delle fibre di amianto per migliorare le proprietà meccaniche delle paste di cemento (eternit).
Le prime applicazioni sperimentali del FRC a livello strutturale furono realizzate negli Stati Uniti per la esecuzione di pavimentazioni aeroportuali, di barriere per la protezione delle darsene portuali e di rivestimenti temporanei delle gallerie.
L'impiego di fibre in acciaio nei sistemi a base cementizia risale al 1962 con gli studi e il conseguente brevetto depositato negli USA da J. P. Romualdi e G. B. Batson.
Negli anni '70 il calcestruzzo fibrorinforzato inizia a prendere piede anche in Europa.
In Italia questo materiale fu utilizzato esclusivamente nella realizzazione di piccoli elementi prefabbricati quali le tubazioni di fognatura e i pozzetti prefabbricati.
Il suo sviluppo a livello strutturale è stato limitato negli anni a causa della mancanza di una normativa specifica.

Benefici generali

L'effetto benefico principale offerto dalle fibre è quello di migliorare la duttilità del conglomerato nella fase successiva all'innesco del fenomeno fessurativo.
Infatti essendo l'allungamento a rottura di tutte le fibre circa 2-3 ordini di grandezza superiori alla deformazione a rottura della matrice cementizia la crisi del conglomerato avviene molto prima che si possa verificare la rottura delle fibre.
Pertanto le fibre riducono il comportamento fragile della matrice cementizia che altrimenti tenderebbe a collassare dopo l'insorgere delle prime fessurazioni.
Raggiunta la deformazione di prima fessurazione il calcestruzzo fibrorinforzato ha un comportamento elasto-plastico (comportamento duttile) nella fase postfessurata, cioè può ancora sopportare carichi dopo l'insorgere delle prime fessurazioni.
La presenza di fibre, pertanto aumenta la tenacità (capacità del calcestruzzo di resistere all'avanzamento delle fessure) del calcestruzzo.
Infatti la presenza di fibre nella matrice cementizia previene la propagazione delle fessure, che si generano nel calcestruzzo a causa dell'insorgere di tensioni di trazione (dovute al ritiro e/o ai carichi esterni) che, già a bassi livelli di intensità, superano la resistenza a trazione del conglomerato, determinando la frattura della matrice cementizia.
A dosaggi di fibre piuttosto elevati (indicativamente per volumi di fibre superiori al 2%) le fibre migliorano sensibilmente anche la resistenza del calcestruzzo a:

  • flessione;
  • trazione pura: Il comportamento post fessurativo del calcestruzzo a trazione è influenzato dall'efficace azione di cucitura esercitata dalle fibre,che comporta l'innesco progressivo di una molteplicità di fessure fino al raggiungimento di una tensione di collasso che è maggiore di quella che ha provocato la comparsa della prima lesione. Con dosaggi bassi di fibre (indicativamente per volumi di fibre inferiori al 2%) il calcestruzzo invece dopo l'innesco della fessura, è in grado di sopportare sollecitazioni di trazione a patto che queste siano inferiori a quella che hanno provocato la fessurazione della matrice cementizia;
  • a taglio;

Le fibre non apportano nessun vantaggio significativo in termini di resistenza a compressione del calcestruzzo e non sono in grado di influenzare apprezzabilmente il modulo elastico a compressione.
L'azione delle fibre si manifesta solo dopo la fessurazione del calcestruzzo.
Infatti dopo la formazione delle prime fessure nella matrice cementizia le fibre vengono attivate assumendo un effetto di cucitura delle aperture creando una sorta di ponte di collegamento (crack-bridging) tra lembi delle fessure stesse.
Questo comporta una riduzione dell'ampiezza delle fessure e, grazie all'effetto di cucitura, la fibra garantisce al calcestruzzo una resistenza residua a trazione anche nella fase postfessurata poiché questa consente il trasferimento degli sforzi di trazione da un lembo all'altro della lesione; questo fenomeno viene spesso indicato in letteratura come tension-softening
Inoltre, l'aggiunta di fibre comporta un sostanziale miglioramento dell'aderenza tra calcestruzzo e barre circostanti (tension stiffening).
La combinazione di questi due effetti (quello irrigidente del tension stiffening e quello della trasmissione di sforzi post-picco del tension-softening) comportano un sostanziale cambiamento nel comportamento strutturale di elementi in calcestruzzo armato, soprattutto per quel che riguarda la fessurazione, la distanza tra le fessure e la loro ampiezza.
A vista un calcestruzzo normale, una volta fessurato, presenta aperture ampie e localizzate mentre quello FRC è caratterizzato da fessurazioni diffuse e di minor ampiezza, il che determina sicuramente un beneficio nei confronti della durabilità del materiale poiché si riduce il rischio di attacco da parte di agenti atmosferici aggressivi.
Aumentando il tenore di fibre aumenta la resistenza a trazione nella fase postfessurata del calcestruzzo; a dosaggio molto alti si può anche arrivare a bloccare l'evoluzione del fenomeno fessurativo.
Altri pregi del calcestruzzo fibrorinforzato rispetto a quello convenzionale sono:

  • maggiore resistenza alla fatica
  • maggiore resistenza agli urti
  • maggiore resistenza allo stress termico
  • maggiore resistenza all'abrasione.

L'aggiunta di fibre però comporta una riduzione della lavorabilità dell'impasto cementizio.
Per garantire al calcestruzzo una adeguata lavorabilità si aggiungono all'impasto gli additivi superfluidificanti.

Tipologie di fibre

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/b/b2/Stahlfaser_1.jpg/220px-Stahlfaser_1.jpg
fibra di acciaio per calcestruzzo
Le fibre utilizzate sono di diversa natura e vengono prodotte in varie forme e dimensioni.
Tali fibre vengono utilizzate (da sole o in mix) in funzione del compito che devono assolvere; ognuna di queste garantisce determinate caratteristiche al calcestruzzo.
Le fibre più utilizzate sono:

  • in materiale polimerico: in questo caso il calcestruzzo fibrorinforzato viene definito SNFRC (Synthetic Fiber Reinforced Concrete). Tali fibre hanno una bassa resistenza al fuoco, ai raggi ultravioletti e all'ossigeno. Si suddividono in:
    • a basso modulo elastico: non accrescono la resistenza a trazione del materiale però migliorano la tenacità e sono utili a contrastare il fenomeno fessurativo della matrice cementizia. Tra le più utilizzate ci sono:
      • le fibre polipropileniche non strutturali;
      • le fibre polietileniche;
      • le fibre di poliestere;
      • le fibre di nylon.
    • ad alto modulo elastico: rispetto alle precedenti garantiscono anche un aumento della resistenza a trazione del calcestruzzo. Tra le più utilizzate ci sono
      • le fibre polipropileniche strutturali;
      • le fibre di PVA (polivinilalcol)
      • le fibre di carbonio
      • le fibre acriliche (le fibre poliacrilonitriliche)
      • le fibre aramidiche
  • in acciaio: in questo caso di parla di calcestruzzo rinforzato con fibre di acciaio (Steel Fiber Reinforced Concrete o SFRC);
  • in vetro: il calcestruzzo fibrorinforzato è noto come GFRC (Glass Fiber Reinforced Concrete). La fibra di vetro viene utilizzata generalmente in manufatti di tipo non strutturale perché si deteriorano facilmente in ambiente alcalino.
  • in materiali naturali: in questo caso si parla di NFRC (Natural Fiber Reinforced Concrete). Questi tipi di fibre sono poco utilizzate poiché devono subire diversi trattamenti prima di essere impiegate.

Le fibre possono avere diverse forme, oltre a quella semplicemente rettilinea, infatti esistono fibre ondulate, uncinate, nervate, ad estremità schiacciate, ecc.
Commercialmente le fibre si presentano sotto forma di:

  • monofilamento: ogni fibra si presenta separata dalle altre;
  • bundles: le fibre si presentano in gruppi. Le fibre bundles dette placchettate, durante la miscelazione con la matrice cementizia si separano tra di loro e diventano monofilamenti.

Le fibre inoltre si distinguono in base alle loro dimensioni in:

  • microfibre: sono idonee a contrastare le piccole fessure come quelle che si formano a seguito dell'azione del ritiro plastico;
  • macrofibre: sono idonee a contrastare le fessure dovute ai carichi esterni e al ritiro igrometrico. Alcune macrofibre possono aumentare la resistenza a trazione e la tenacità del calcestruzzo.

Dosaggio

L'efficacia del rinforzo fibroso è funzione del dosaggio e del rapporto d'aspetto (di cui si parlerà al punto successivo).
In merito al tenore di fibre questo deve essere tale da garantirne una presenza continua del fibrorinforzo all'interno della matrice cementizia.
Le varie norme prescrivono i seguenti dosaggi minimi:

  • istruzioni CNR DT204: percentuale volumetrica minima di fibre pari al 0,3%
  • UNI 11039: dosaggio minimo di fibre di acciaio pari a 25 kg/m³ (0,32% in volume).

I dosaggi normalmente impiegati per le fibre in acciaio variano da 25 a 60 kg/m³ cui corrispondono percentuali volumetriche comprese tra 0,30% e 0,75%.

Rapporto d'aspetto e effetto cucitura

Il parametro numerico correntemente impiegato per contraddistinguere una fibra è il rapporto d'aspetto definito come il rapporto tra la lunghezza della fibra e il suo diametro equivalente.
L'aderenza tra matrice cementizia e rinforzo fibroso, da cui dipende principalmente l'azione di cucitura delle fibre, è funzione del rapporto d'aspetto.
A parità di composizione e di dosaggio, l'efficacia delle fibre migliora al crescere del rapporto d'aspetto.
Infatti al crescere del rapporto d'aspetto cresce l'aderenza fra i due materiali e di conseguenza migliorano le prestazione del rinforzo fibroso poiché le fibre sollecitate a trazione tendono più difficilmente a sfilarsi.
L'adesione alla matrice cementizia migliora anche in funzione della forma della fibra, tanto più è a contorno irregolare tanto più è efficace.
infatti le forme come le estremità piegate o uncinate, ondulate, ecc. consentono di massimizzare l'ancoraggio della fibra nella matrice.
L'azione di cucitura dipenderà anche dal numero di fibre che si disporranno a cavallo dei cigli fessurativi. Pertanto, riveste un ruolo importante nel comportamento del composito sia il dosaggio che la dispersione delle fibre nella matrice.
Ovviamente, maggiore il dosaggio, e più uniforme la dispersione, e più efficiente risulterà il rinforzo fibroso.
Le fibre in acciaio presentano un elevato rapporto d'aspetto e per migliorare ulteriormente l'ancoraggio delle fibre al calcestruzzo, le estremità spesso vengono sagomate ad uncino.
Le fibre comunemente impiegate nei materiali cementizi, hanno una lunghezza variabile tra 1 e 80 mm e un rapporto d'aspetto compreso tra 50 e 400.

Classificazione delle fibre

Le fibre a seconda dei benefici che apportano alla matrice cementizia si distinguono in

  • fibre strutturali: acciaio o in materiale polimerico con modulo di elasticità più alto della matrice di cemento
  • fibre non strutturali: in materiale polimerico con modulo di elasticità più basso della matrice di cemento.

Fibre strutturali

Le fibre strutturali, come quelle in acciaio o sintetiche (denominate macrofibre), hanno lo scopo di migliorare la resistenza di una struttura con riferimento allo stato limite ultimo.
Tali fibre devono avere un'elevata resistenza a trazione in modo da migliorare notevolmente la resistenza a flessione (trazione) del calcestruzzo e la sua tenacità e duttilità.
Pertanto grazie alla loro elevata resistenza il loro effetto cucente è capace di arrestare o rallentare l'avanzamento del processo fessurativo dovuto al ritiro igrometrico e ai carichi esterni, limitando l'allargamento delle aperture, e di garantire al calcestruzzo un miglioramento della resistenza a trazione anche dopo la formazione delle fessure.
La riduzione dell'ampiezza delle aperture, riduce il rischio della penetrazione nella matrice cementizia degli agenti atmosferici con miglioramento della durabilità del materiale.
La presenza di fibre strutturali nel calcestruzzo determina ulteriori benefici quali:

  • maggiore resistenza alla fatica;
  • maggiore resistenza agli urti;
  • maggiore resistenza allo stress termico;
  • maggiore resistenza all'abrasione.

Il dosaggio minimo delle fibre strutturali deve essere ≥ allo 0,3% in volume

Usi

Oltre al principale vantaggio apportato dal fibrorinforzo e cioè il miglioramento della resistenza a trazione nel comportamento post-fessura del calcestruzzo, in generale le fibre strutturali possono anche essere utilizzatore per sostituire parzialmente l'armatura convenzionale, anzi in alcuni casi l'hanno sostituita completamente risultando le due tipologie di armatura complementari fra loro.
Infatti, poiché l'armatura convenzionale (lenta e/o pretesa), si presta meglio a funzionare come armatura concentrata (es.armatura resistente a flessione), la fibra metallica viene utilizzata con successo, (in associazione a quella per assorbire sforzi concentrati) in sostituzione dell'armatura convenzionale diffusa (es. staffe, armatura di parete, rete elettrosaldata, ecc.).
Ad esempio le fibre in acciaio si sono dimostrate particolarmente efficaci nell'assorbire gli sforzi di taglio.

Corrosione

Le fibre di acciaio sono distribuite in modo uniforme in tutto il calcestruzzo, sia sulla superficie che nella parte laterale.
Con le fibre in acciaio al carbonio, questi sono punti che potrebbero presentare affioramenti e corrosioni.
Per evitare la corrosione spesso le fibre in acciaio vengono rivestire con uno strato anticorrosivo a base di zinco; si possono trovare in commercio anche fibre in acciaio inox.

Convenienza

L'uso delle fibre strutturali è spesso più conveniente rispetto all'armatura convenzionale perché ad esempio riduce i tempi di posa, infatti le fibre possono essere introdotte nel calcestruzzo con gli inerti o durante l'impasto o in cantiere nell'autobetoniera.

Progettazione ed esecuzione

La progettazione e l'esecuzione di elementi strutturali in FRC richiedono regole e modelli di calcolo diversi da quelli normalmente impiegati per le opere in conglomerato cementizio ordinario e non trattati nelle norme tecniche sulle costruzioni sia nazionali che europee.
Al tal fine si può far ricorso al documento tecnico:* CNR DT 204/2006 - Istruzioni per la Progettazione, l'Esecuzione ed il Controllo di Strutture di Calcestruzzo Fibrorinforzato.
Si può far riferimento anche al fib Model Code 2010. Il merito all'utilizzo dei calcestruzzi fibrorinforzati, la normativa vigente italiana (D.M. 14 gennaio 2008 - NTC) ne fa menzione al:

  • paragrafo § 8.6 dove si precisa che è consentito l'impiego di FRC per attività di rinforzo di edifici esistenti senza il preventivo ricorso ad autorizzazioni da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici;
  • paragrafo § 4.6 dove invece si precisa che resta, invece, soggetto a preventiva autorizzazione ministeriale l'impiego di tali materiali nelle nuove costruzioni.

Fibre non strutturali

Le fibre non strutturali, quali quelle vengono utilizzate per migliorare il comportamento di una struttura con riferimento agli stati limite di esercizio.
In questo caso le fibre vengono utilizzate in accoppiamento con l'armatura convenzionale e vanno a costituire una microarmatura tridimensionale omogeneamente distribuita nel calcestruzzo.
Le fibre non strutturali hanno un effetto di cucitura delle fessure dovute al ritiro plastico (prevengono alla formazione di cavillature), nelle strutture prematuramente esposte all'evaporazione d'acqua, mentre non sono in grado di contrastare, a causa del basso valore di E, quelle dovute al ritiro igrometrico.
Per tale motivo vengono utilizzate frequentemente per ridurre o addirittura eliminare le fessurazione da ritiro plastico in quelle strutture di elevata superficie esposta all'aria come ad esempio le pavimentazioni industriali o pareti intonacate con malta di cemento.
Le fibre non strutturali contribuiscono anche a migliorare la resistenza al fuoco del conglomerato cementizio.

 

Classificazione del materiale FRC

La classificazione del calcestruzzo fibrorinforzato si basa sulla resistenza residua a trazione post - fessurativa misurata con prove a flessione di cui alla UNI EN 14651 effettuata su prismi intagliati in mezzeria secondo quanto prescritto dalla UNI EN 12390-1.
La prova di flessione è effettuata su tre punti (i due appoggi e il punto e la mezzeria dove è applicati il carico di prova) controllando lo spostamento rilevato fra due punti alla base dell'intaglio - CMOD (Crack Mouth Opening Displacement).
Secondo il fib Code Model 2010 il calcestruzzo può essere identificato da una coppia di parametri:

  • il primo numerico indica la resistenza a flessione corrispondente a un'apertura di fessura di 0.5 mm (= fR1k in MPa;
  • il secondo alfanumerico corrispondente al rapporto tra fR3k e fR1k dove fR3k è la tensione residua in corrispondenza dell'apertura della fessura di 2.5 mm.

In funzione del valore di fR1k si possono individuare 10 classi di resistenza:

  • 1: 1,0 MPa
  • 2: 1,5 MPa
  • 3: 2,0 MPa
  • 4: 2,5 MPa
  • 5: 3,0 MPa
  • 6: 4,0 MPa
  • 7: 5,0 MPa
  • 8: 6,0 MPa
  • 9: 7,0 MPa
  • 10: 8,0 MPa

mentre in base al rapporto fR3k/fR1k si individuano le seguenti classi:

  • a: 0,5 ÷ 0,7
  • b: 0,7 ÷ 0,9
  • c: 0,9 ÷ 1,1
  • d: 1,1 ÷ 1,3
  • e: ≥ 1,3

Pertanto un calcestruzzo fibrorinforzato, che a seguito delle prove sperimentali fornisce dei valori di resistenza:

  • fR,1k = 3,1 MPa
  • fR,3k = 2,5 MPa

sarà classificato 3b.

Principali utilizzi

L'FRC viene utilizzato diffusamente in tutte quelle costruzioni, in parziale o totale sostituzione dell'armatura metallica tradizionale, dove si vuole limitare la fessurazione della matrice cementizia per effetto ad esempio del ritiro o dei carichi esterni.
Tra le applicazioni più diffuse ci sono:

  • le pavimentazioni, industriali e commerciali: le fibre metalliche si sono dimostrate efficaci nel sostituire la rete elettrosaldata comunemente impiegata nel calcestruzzo per pavimentazioni industriali al fine di contrastare la formazione di fessure da ritiro igrometrico e di contenere l'eccessiva apertura dei giunti di contrazione. In questo caso risulta particolarmente diffuso l'impiego di fibre ad estremità uncinate, per migliorare l'aderenza alla matrice cementizia e caratterizzate da rapporti d'aspetto compresi tra 40 e 70 con dosaggi compresi tra 20 e 40 kg/m³;
  • la prefabbricazione (cabine, tubazioni, frangiflutti, plinti di fondazione a bicchiere, pannelli murari, pozzetti per acquedotti e fognature, silo, ecc.). Vengono utilizzati ad esempio per la produzione di barriere autostradali note come new jersey per aumentarne la resistenza all'urto;
  • il settore delle gallerie, sia nelle opere provvisionali (viene utilizzato nei calcestruzzi spruzzati) sia nei rivestimenti finali (conci prefabbricati per i rivestimenti di gallerie idrauliche, stradali, ferroviarie e metropolitane)). Per i calcestruzzi spruzzati si predilige l'impiego di fibre rettilinee caratterizzate da lunghezza non superiore ai 30–40 mm, al fine di non penalizzare eccessivamente la lavorabilità e la pompabilità dell'impasto;
  • la costruzione di dighe;
  • il confezionamento di calcestruzzi refrattari, soggetti a forti stress termici
  • nelle malte a ritiro compensato.
  • comunque in tutte le strutture destinate ad assorbire urti e/o per resistenza a fatica;

Le fibre di acciaio vengono utilizzate anche per il confezionamento di calcestruzzi ad alta resistenza poiché conferiscono al conglomerato cementizio delle caratteristiche tali da ridurre la fragilità tipica del calcestruzzo HSC.

Calcestruzzo ad alta resistenza

I calcestruzzi ad alta resistenza meccanica o AR o HSC (High Strength Concrete) sono materiali caratterizzati da una resistenza meccanica a compressione superiore a quella dei calcestruzzi ordinari o NR o NSC (Normal Strength Concrete).
Secondo quando stabilito dal CIB -FEB: (High Strength Concrete. State of the Report) appartengono alla categoria dei calcestruzzi HSC quei materiali la cui resistenza caratteristica a compressione risulti superiore a quella massima ammessa dai regolamenti nazionali vigenti in ciascun paese.
Poiché la normativa italiana non consente di assumere nei calcoli statici valori della resistenza caratteristica su cubi superiori a 55 N/mm2, automaticamente il limite inferiore di resistenza meccanica dei materiali HSC è individuabile in 60 N/mm2.
Le linee guida sul calcestruzzo strutturale a cura del Servizio Tecnico Centrale della Presidenza del Consiglio Superiore dei LL.PP., definisce calcestruzzi ad alta resistenza quei calcestruzzi con Rck variabile tra 85 e 115 N/mm2, mentre le Linee Guida sui calcestruzzi strutturali ad alta resistenza, a cura sempre del summenzionato Servizio Tecnico Centrale, definiscono i calcestruzzi AR quelli aventi una resistenza cubica > 75 e ≥ 115 N/mm2 e un rapporto a/c minore di 0,35.
Fino a qualche decennio fa i calcestruzzi HSC costituivano esclusivamente argomento di ricerca.
Con lo sviluppo della tecnologia di questi materiali, si è avuto anche un rapido incremento nelle applicazioni strutturali dei calcestruzzi HSC.
Attualmente, è facile la produzione dei calcestruzzi con resistenze a compressione prossime ai 100 N/mm2.
Tale facilità di produzione è dovuta sostanzialmente a:

  • maggiore contenuto di alite nel cemento (il costituente che più contribuisce alla resistenza meccanica);
  • elevato dosaggio di cemento (400 – 550 kg/m3)
  • maggiore finezza di macinazione del cemento;
  • l'utilizzo di additivi superfluidificanti di ultima generazione (acrilici) che ha consentito di ridurre drasticamente il rapporto a/c (0,25 - 0,35) senza penalizzare la lavorabilità del calcestruzzo;
  • l'utilizzo di microsilice come aggiunta minerale, che ha consentito di ridurre la porosità della pasta di cemento e di migliorare, grazie alla diminuzione del bleeding, la qualità della zona di transizione
  • eventuale utilizzo di fibre di acciaio per ridurre la fragilità del calcestruzzo.

Proprietà fisiche ed elasto-meccaniche
Le normative vigenti in ogni paese relative al progetto delle strutture in c.a.o. e c.a.p. generalmente si basano su prove sperimentali ed esperienze condotte quasi esclusivamente su calcestruzzi con resistenza a compressione inferiore a 40 - 50 N/mm2.
Pertanto le correlazioni che consentono di determinare le caratteristiche fondamentali del calcestruzzo, quali il comportamento sforzo- deformazione, la resistenza a trazione, il modulo elastico, ecc., non sono direttamente estendibili ai calcestruzzi con resistenza maggiore ai 60 N/mm2.
Secondo le line guida sui calcestruzzi strutturali AR l'impiego di questi materiali è ammesso previo esame e valutazione da parte del Consiglio Superiore dei LL.PP. al quale dovrà essere presentata la documentazione di progetto (si veda il p.to 2 delle suddette linee guida)
Comportamento sforzo-deformazione in compressione
L'esame dei diagrammi sforzo-deformazione a compressione di calcestruzzi HSC comparati con calcestruzzi tradizionali evidenzia quanto segue:

  • il ramo ascendente dei materiali HSC è molto più lineare
  • tale linearità si protrae fino a valori dello sforzo prossimi alla resistenza a compressione del materiale
  • in corrispondenza del massimo sforzo, i materiali HSC presentano una maggiore deformazione
  • una brusca caduta del ramo discendente ed una minore deformazione ultima entrambi indici di una maggiore fragilità dei materiali HSC.

Tale comportamento è da imputare al miglioramento della qualità del materiale all'interfaccia pasta cementizia-aggregato (diminuzione del bleeding) grazie alla presenza del fumo di silice.
Nei calcestruzzi ordinari le microfessure all'interfaccia pasta-aggregato, causa dell'incurvamento del ramo ascendente, si iniziano a manifestare quando lo sforzo raggiunge il 65% della resistenza a compressione, mentre nei calcestruzzi ad alta resistenza tale fenomeno si innesca quando lo sforzo raggiunge l'80% della resistenza a compressione.
Modulo di Young - coefficiente di Poisson e resistenza a trazione
Numerose indagini sperimentali hanno evidenziato che il modulo di elasticità, il coefficiente di Poisson e la resistenza a trazione variano di poco al crescere della resistenza meccanica a compressione
Ritiro
I dati disponibili hanno evidenziato che i calcestruzzi HSC sono caratterizzati da una maggiore velocità di contrazione nella fase immediatamente successiva all'esposizione all'atmosfera insatura di vapore, rispetto ai materiali NSC. A lungo termine non si registrano sostanziali differenze nel valore di ritiro tra le due tipologie di calcestruzzo.
Creeper
I dati sperimentali indicano che la deformazione viscosa di calcestruzzi ad alta resistenza è sostanzialmente inferiore rispetto a quello di un calcestruzzo ordinario.
Applicazioni Strutturali
I calcestruzzi ad alta resistenza, sono stati largamente utilizzati nella realizzazione delle piattaforme offshore dei mari del Nord e di ponti di grande luce, come il ponte Storebelt in Danimarca e il ponte Perthuiset in Francia, dove per le eccezionali sollecitazioni meccaniche ed ambientali era impossibile impiegare calcestruzzi NSC.
Altre applicazioni del calcestruzzo ad alta resistenza riguardano la costruzione dell'edificio della Grande Arche de la Defense a Parigi, le Two Union Square e Pacific First Center di Seattle e più recentemente per il Ponte della Musica a Roma.
I calcestruzzi HSC sono stati utilizzati anche nel settore dei contenitori per reattori nucleari e nella realizzazione di grandi tunnel sottomarini quali ad esempio quelli costruiti al di sotto del Canale della Manica per collegare Francia e Inghilterra.

Vetro
Il vetro è un materiale ottenuto tramite la solidificazione di un liquido non accompagnata dalla cristallizzazione. I vetri sono solidi amorfi, dunque non possiedono un reticolo cristallino ordinato, ma una struttura disordinata e rigida composta da atomi legati covalentemente; tale reticolo disordinato permette la presenza di interstizi in cui possono essere presenti impurezze, spesso desiderate, date da metalli.
In linea teorica, i vetri potrebbero essere ottenuti a partire da qualunque liquido, attraverso un rapido raffreddamento che non dia alle strutture cristalline il tempo di formarsi. Nella pratica, hanno la possibilità di solidificare sotto forma di vetro solo i materiali che abbiano una velocità di cristallizzazione molto lenta, come ad esempio l'ossido di silicio (SiO2), il diossido di germanio (GeO2), l'anidride borica (B2O3), l'anidride fosforica (P2O5), l'anidride arsenica (As2O5).
Un esempio di vetro naturale è l'ossidiana, prodotta dal magma vulcanico.
Nel linguaggio comune, il termine vetro viene utilizzato in senso più stretto, riferendosi solamente ai vetri costituiti prevalentemente da ossido di silicio (vetri silicei), impiegati come materiale da costruzione (soprattutto negli infissi), nella realizzazione di contenitori (ad esempio vasi e bicchieri) o nella manifattura di elementi decorativi (ad esempio oggettistica e lampadari). La maggior parte degli utilizzi del vetro derivano dalla sua trasparenza, dalla sua inalterabilità chimica e dalla sua versatilità: infatti, grazie all'aggiunta di determinati elementi, è possibile creare vetri con differenti colorazioni e proprietà chimico-fisiche.
L'arte e tecnica della fabbricazione e della lavorazione del vetro è chiamata "ialurgia".
Cenni storici
Secondo Plinio il Vecchio (nel suo trattato Naturalis Historia), il primo utilizzo del vetro risale al III millennio a.C. in Mesopotamia.  Nel VII/VI secolo a.C. il vetro arrivò in Fenicia  per produrre stoviglie, altri utensili e monili (detti perle di vetro). Intorno al 1000-500 a.C. risalgono piccoli vasi in vetro ritrovati in India e Cina.
Nella metà del I secolo a.C. fu sviluppata la tecnica del soffiaggio,  che ha permesso che oggetti prima rari e costosi divenissero molto più comuni. Durante l'Impero Romano il vetro fu plasmato in molte forme, principalmente vasi e bottiglie. I primi vetri erano di colore verde a causa della presenza di impurità di ferro nella sabbia utilizzata.
Nel V-VII secolo d.C. si sviluppa l'uso del mosaico in vetro nell'arte bizantina.   Oggetti in vetro risalenti ai secoli VII e VIII sono stati rinvenuti sull'isola di Torcello, vicino a Venezia.
Una svolta nella tecnica produttiva si è avuta intorno all'anno 1000, quando nel nord Europa la soda  fu sostituita con la potassa, più facilmente ottenibile dalla cenere di legno. Da questo momento i vetri del nord differirono significativamente da quelli originari dell'area mediterranea, dove si è mantenuto l'impiego della soda.
L'XI secolo vide l'emergere, in Germania, di una nuova tecnica per la produzione di lastre di vetro per soffiatura, stirando le sfere in cilindri, tagliando questi ancora caldi e appiattendoli quindi in fogli. Questa tecnica fu poi perfezionata nel XIII secolo a Venezia (centro di produzione vetraria del XIV secolo), dove furono sviluppate nuove tecnologie e un fiorente commercio di stoviglie, specchi ed altri oggetti di lusso. Alcuni vetrai veneziani si spostarono in altre aree d'Europa diffondendo così l'industria del vetro.
Fino al XII secolo il vetro drogato (cioè con impurità coloranti come metalli) non fu impiegato.
Nel 1271 lo statuto chiamato Capitolare di Venezia tutelava la manifattura del vetro veneziano, proibendo che venissero importati vetri dall'estero e negando ai vetrai stranieri la possibilità di operare a Venezia. Nel 1291 viene decretato il trasferimento delle vetrerie da Venezia all'isola di Murano, in modo da confinare eventuali incendi.
A Venezia alla fine del XIII secolo, si fa risalire l'invenzione degli occhiali con lenti in vetro quando i "cristalleri" della Serenissima, per le lenti da vista, iniziarono a sostituire il berillo, utilizzato fino ad allora, con il vetro.
Al 1369 risale la produzione di specchi a Murano.
Nel 1450 Angelo Barovier inventa il "cristallo" a Murano,  ottenendolo a partire dal vetro con l'aggiunta di sodio e manganese.

Manifattura artigianale del vetro (1850 circa)
Il processo di produzione Crown fu impiegato a partire dalla metà del XIV secolo fino al XIX secolo. In questo processo, il soffiatore fa ruotare circa 4 kg di massa vetrosa fusa all'estremità di una barra fino ad appiattirla in un disco di circa 1,5 metri di diametro. Il disco viene quindi tagliato in lastre.
Nel XVII-XVIII secolo nasce il cristallo di Boemia.
Il vetro veneziano ebbe un costo elevato tra i secoli X e XIV, fino a che gli artigiani riuscirono a mantenere segreta la tecnica. Ma intorno al 1688 un nuovo processo di fusione fu sviluppato ed il vetro divenne un materiale molto più comune. L'invenzione della pressa per vetro nel 1827 diede inizio alla produzione di massa di questo materiale. La tecnica a cilindri fu inventata da William Blenko all'inizio del XX secolo.
Risale al 1903 la prima macchina per la realizzazione delle bottiglie su scala industriale.
Nel 1913 viene messo a punto il procedimento Fourcault per la realizzazione del vetro tirato, seguito nel 1916 dal metodo Libbey-Owens e nel 1925 dal metodo Pittsburg.
Le decorazioni sono incise sul vetro per mezzo di acidi o sostanze caustiche, che corrodono il materiale. Tradizionalmente l'operazione è svolta da artigiani esperti dopo che il vetro è stato soffiato o colato. Nel 1920 fu sviluppato un nuovo metodo consistente nello stampaggio diretto delle decorazioni sul vetro fuso. Questo ha permesso di abbattere i costi di produzione e assieme alla diffusione dell'uso di vetri colorati, portò ad un uso più diffuso delle stoviglie in vetro intorno al 1930.
Intorno al 1928 risale la nascita del vetro di sicurezza.
Nel 1936 vengono realizzate le prime fibre di vetro.
Negli anni sessanta viene messo a punto il processo float per la produzione di vetri piani.
Caratteristiche generali

Struttura del vetro siliceo. Si può notare l'assenza di ordine a lungo raggio
Il vetro è trasparente, duro, pressoché inerte dal punto di vista chimico e biologico, presenta una superficie molto liscia. Queste caratteristiche ne fanno un materiale utilizzato in molti settori; allo stesso tempo il vetro è fragile e tende a rompersi in frammenti taglienti. Questi svantaggi possono essere ovviati (in parte o interamente) con l'aggiunta di altri elementi chimici o per mezzo di trattamenti termici.
Una delle caratteristiche più evidenti del vetro ordinario è la trasparenza alla luce visibile. La trasparenza è dovuta all'assenza di stati di transizione elettronici nell'intervallo energetico della luce visibile e al fatto che il vetro non ha disomogeneità di grandezza confrontabile o superiore alla lunghezza d'onda della luce, che provocherebbero scattering, come avviene di solito con i bordi di grano dei materiali policristallini.
Il vetro comune non è invece trasparente alle lunghezze d'onda minori di 400 nm (ovvero il campo ultravioletto), a causa dell'aggiunta della soda. La silice pura (come il quarzo puro, piuttosto costosa) non assorbe invece gli ultravioletti e viene perciò impiegata nei settori dove occorre questa caratteristica.
Il vetro può essere prodotto in forma così pura da permettere il passaggio della luce nella regione dell'infrarosso per centinaia di chilometri nelle fibre ottiche.
Tecniche di lavorazione del vetro
La miscela viene fusa a 1.200-1.500 °C e poi lasciata raffreddare a 800 °C. Viene quindi sottoposta a diversi processi di lavorazione, come la soffiatura (per i vetri artistici), lo stampaggio (per bicchieri e contenitori), la filatura e la colata.
Aggiunte di elementi chimici nei vetri

Struttura di un vetro sodio-calcico con aggiunta di alluminio come stabilizzatore.
Il vetro comune è detto anche "vetro siliceo", in quanto costituito quasi esclusivamente da diossido di silicio (SiO2). Il diossido di silicio ha un punto di fusione di circa 1800 °C, ma spesso durante la produzione del vetro vengono aggiunte altre sostanze (dette "fondenti"), che abbassano il punto di fusione anche al disotto dei 1000 °C, quali ad esempio:

  • la soda (carbonato di sodio Na2CO3)
  • la potassa (carbonato di potassio)

Fondenti usati spesso nell'industria vetraria sono i borati e i nitrati. Poiché la presenza di soda rende il vetro solubile in acqua (caratteristica non desiderabile), viene aggiunta anche calce (CaO) per ripristinare l'insolubilità.
Altre sostanze possono essere aggiunte per ottenere diverse proprietà. A seconda dell'azione sul reticolo cristallino, gli ossidi aggiunti nei vetri possono essere classificati in:

  • ossidi formatori di reticolo: ossido di silicio, ossido di boro e ossido di fosforo.
  • ossidi modificatori di reticolo: ossidi di metalli monovalenti e bivalenti (tra cui: sodio, potassio, calcio e magnesio)
  • ossidi intermediari: ossido di alluminio e ossido di piombo.

Le sostanze aggiunte al vetro possono inoltre essere classificati in base alla loro funzione.

  • fondenti: abbassano la temperatura di fusione e migliorano la fluidità del vetro durante la sua produzione (ossidi di sodio e potassio);
  • stabilizzanti: migliorano le proprietà chimiche e meccaniche del vetro prodotto (ossidi di calcio, bario, magnesio e zinco);
  • affinanti: agevolano l'eliminazione di difetti (triossido d'arsenico, nitrati alcalini e nitrati d'ammonio);
  • coloranti: modificano l'aspetto cromatico del vetro prodotto (ossidi di ferro, rame, cromo e cobalto);
  • decoloranti: neutralizzano il colore impartito da altre sostanze (biossido di manganese);
  • opacizzanti: per la produzione del vetro opalino (fosfati di sodio, cloruri di sodio, fosfati di calcio, cloruri di calcio, ossido di stagno e talco).
  • Il vetro al piombo, noto anche come cristallo o vetro Flint, si ottiene aggiungendo ossido di piombo, sotto forma di litargirio giallo (PbO) o minio rosso (Pb3O4), ed ha un indice di rifrazione maggiore di quello del vetro comune, con l'effetto di apparire più brillante.
  • Aggiunte di carbonato di bario (BaCO3) aumentano ugualmente l'indice di rifrazione del vetro,  mentre aggiunte di ossido di torio producono un elevatissimo indice di rifrazione ed i vetri così ottenuti sono usati per produrre lenti di alta qualità.
  • Il boro è aggiunto sotto forma di borace (Na2B4O7) o acido borico (H3BO3) per migliorare le caratteristiche termiche ed elettriche (come nel caso del vetro Pyrex).
  • L'aggiunta di alte quantità di ferro provoca l'assorbimento della radiazione infrarossa, come nei filtri per l'assorbimento di calore nei proiettori cinematografici. Con il cerio si ottiene un forte assorbimento delle radiazioni ultraviolette, ottenendo vetri in grado di offrire protezione dalla radiazioni ultraviolette ionizzanti.
  • Metalli e ossidi metallici vengono aggiunti nella produzione del vetro per dare o alterare il colore. Il manganese in piccole quantità neutralizza il verde causato dalla presenza di ferro, mentre in quantità elevate dà il colore ametista.[19] Similmente il selenio in piccole dosi è usato per decolorare, mentre in quantità elevate dona colore rosso. Piccole concentrazioni di cobalto (0,025-0,1%) danno colore blu. Ossido di stagno con ossidi di arsenico e antimonio danno un vetro bianco opaco, usato nei laboratori di Venezia per imitare la porcellana.
  • Aggiunte dal 2 al 3% di ossido di rame producono un colore turchese, mentre il rame metallico dà un rosso opaco, e viene impiegato come surrogato del rubino rosso. Il nichel, dipendentemente dalla concentrazione, induce blu, violetto o anche nero. L'aggiunta di titanio dà un vetro giallo-marrone. L'oro in concentrazioni minime (0,001%) produce un vivace colore rosso rubino, mentre una quantità ancora minore dà sfumature meno intense di rosso, commercializzate con il nome di "vetro cranberry" (lampone).
  • L'uranio (0,1-2%) può essere aggiunto per dare un colore giallo o verde fluorescente. Il vetro all'uranio solitamente non è sufficientemente radioattivo da essere pericoloso ma, se polverizzato (per esempio mediante lucidatura con carta vetrata) ed inalato, può essere cancerogeno. I composti dell'argento, in particolare il nitrato, producono una gamma di colorazioni comprese tra il rosso arancio ed il giallo.
  • Il modo in cui la pasta vetrosa è scaldata e raffreddata influisce molto sul colore generato da questi elementi, secondo meccanismi chimico-fisici non del tutto compresi. Periodicamente vengono scoperte nuove colorazioni e modi di lavorazione per il vetro.

Vetro piano

Vetro cilindrico

Il vetro è soffiato all'interno di stampi metallici cilindrici, quindi dalla forma ottenuta vengono asportati gli estremi e praticato un taglio lungo una generatrice del cilindro. È quindi posto in un forno, dove, rammollendosi, si apre e si stende in lastra. Prima dell'introduzione del metodo Pilkington a galleggiamento, questa tecnica era molto diffusa per la produzione del vetro comune.

Vetro colato (laminato)

Prima dell'invenzione di Alastair Pilkington, il vetro a lastra era in parte realizzato per colata, estrusione o laminazione e le superfici non avevano le facce otticamente parallele, dando origine a caratteristiche aberrazioni visive. Il parallelismo poteva essere ottenuto con la lucidatura meccanica, ma con elevati costi.
Per questo motivo oggi questa tecnica viene usata solo per produrre vetri particolari o decorativi, che sono:

  • vetro stampato: su una superficie del vetro viene stampato un disegno in rilievo. Lo "stampato C" è quello più famoso, utilizzato su porte e frigoriferi e non è di conseguenza lucido trasparente. Può essere anche ricavato da lastra atermica colorata nelle tonalità verde-marrone-grigio.
  • vetro retinato: il vetro retinato viene prodotto incorporando una rete metallica al suo interno e viene impiegato per sicurezza nelle zone sottoluce di parapetto delle vetrate. Può essere anche di aspetto colorato. Per il vetro retinato non è applicabile il processo di tempra, a causa della presenza della rete metallica.
  • vetro ornamentale.

Vetro float (galleggiante)

Il 90% del vetro piatto prodotto nel mondo, detto vetro float, è fabbricato con il sistema "a galleggiamento" inventato da Alastair Pilkington, dove il vetro fuso è versato ad un'estremità di un bagno di stagno fuso.[21] Oggi quest'operazione è effettuata in atmosfera controllata. Il vetro galleggia sullo stagno e si spande lungo la superficie del bagno, formando una superficie liscia su entrambi i lati. Il vetro si raffredda e solidifica mentre scorre lungo il bagno, formando un nastro continuo. Il prodotto è poi "lucidato a fuoco", riscaldandolo nuovamente su entrambi i lati, e presenta così due superfici perfettamente parallele. Le lastre sono realizzate con spessori standard di 2, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 12, 15, 19, 22 e 25 mm. Questo tipo di vetro è considerato pericoloso per l'uso in applicazioni architettoniche, poiché tende a rompersi in grossi pezzi taglienti, che possono causare gravi incidenti. Per ovviare a questo problema nel caso di applicazioni soggette ad urti o sollecitazioni statiche, la singola lastra può essere temprata come descritto nel relativo capitolo. Le normative edilizie pongono in genere delle limitazioni all'uso di questo vetro in situazioni rischiose, e sono: bagni, pannelli di porte, uscite antincendio, nelle scuole, ospedali ed in genere nei sottoluci dei parapetti.
Nella tabella di seguito vengono presentate alcune caratteristiche del vetro float:


Densità

2,5 kg/dm³

Durezza

6,5 (scala Mohs)

Modulo elastico

750 000 kgf/cm²

Coefficiente di Poisson

0,23

Carico di rottura a compressione

10 000 kgf/cm²

Carico di rottura a trazione

400 kgf/cm²

Carico di rottura a flessione

400 kgf/cm²

Coefficiente di dilatazione termica

9 × 10−6 

Conducibilità termica

1 kcal/h·m·°C

Vetro tirato (lucido)

Per la produzione del vetro tirato (o vetro segato) la massa di vetro fusa viene meccanicamente tirata da due forze di uguale direzione ma di verso opposto. Questo vetro presenta caratteristiche ondulazioni della superficie. Il vetro tirato e quello float hanno la stessa composizione chimica e le stesse proprietà fisiche. Viene anche commercialmente denominato semi-doppio, doppio, mezzocristallo. Il vetro tirato viene impiegato nella creazione delle vetrate artistiche.

Tempra

Il vetro temprato viene ottenuto per indurimento tramite trattamento termico (tempra). Il pezzo deve essere tagliato alle dimensioni richieste e ogni lavorazione (come levigatura degli spigoli o foratura e svasatura) deve essere effettuata prima della tempra. Il vetro è posto su un tavolo a rulli su cui scorre all'interno di un forno, che lo riscalda alla temperatura di tempra di 640 °C. Quindi viene rapidamente raffreddato da getti di aria.[24] Questo processo raffredda gli strati superficiali, causandone l'indurimento, mentre la parte interna rimane calda più a lungo. Il successivo raffreddamento della parte centrale produce uno sforzo di compressione sulla superficie, bilanciato da tensioni distensive nella parte interna.[24] Gli stati di tensione possono essere visti osservando il vetro in luce polarizzata.
Non tutti i vetri sono temprabili; in particolare, se presentano forme articolate o numerosi fori vicini tra loro possono rompersi durante il trattamento termico, a causa delle tensioni interne del materiale.
Il vetro temprato è circa sei volte più resistente del vetro float, questo perché i difetti superficiali vengono mantenuti "chiusi" dalle tensioni meccaniche compressive, mentre la parte interna rimane più libera da difetti che possono dare inizio alle crepe.
D'altro canto queste tensioni hanno degli svantaggi. A causa del bilanciamento degli sforzi, un eventuale danno ad un estremo della lastra causa la frantumazione del vetro in molti piccoli frammenti. Questo è il motivo per cui il taglio deve essere effettuato prima della tempra e nessuna lavorazione può essere fatta dopo.

Applicazioni del vetro temprato

Per la sua maggiore robustezza, il vetro temprato è spesso impiegato per la realizzazione di elementi senza struttura portante (tutto vetro), come porte in vetro e applicazioni strutturali e nelle zone parapetto.
È anche considerato, in parte, un "vetro di sicurezza" in quanto, oltre ad essere più robusto, ha la tendenza a rompersi in piccoli pezzi smussati poco pericolosi per cui viene utilizzato in generale in tutte quelle applicazioni dove i frammenti del vetro infranto potrebbero colpire delle persone. Per questo motivo è stato usato a lungo in modo estensivo nell'industria automobilistica, dove viene impiegato ancora per realizzare per esempio il lunotto posteriore ma essendo anche estremamente resistente è pericoloso in caso di urto della testa per cui viene lentamente soppiantato dal vetro stratificato, obbligatorio per il parabrezza anteriore.
In altre situazioni si possono avere problemi di sicurezza a causa della tendenza del vetro temprato a frantumarsi completamente in seguito ad un urto sul bordo. Da un punto di vista ottico la lastra di vetro può presentare delle distorsioni determinate dal processo di tempera rispetto ad un vetro non temperato.
Le inusuali proprietà del vetro temprato sono conosciute da secoli, come dimostrano le Gocce del principe Rupert.

Vetro stratificato

Vetro stratificato rotto: si può notare il film polimerico al quale sono rimasti attaccati i frammenti di vetro.
Il vetro stratificato (in inglese "laminated glass" talvolta tradotto come "vetro laminato" che però genera confusione con il processo produttivo di "laminazione") è stato inventato nel 1909 dal chimico francese Edouard Benedictus. Benedictus si è ispirato a un flacone rivestito da uno strato plastico di nitrato di cellulosa che per una disattenzione in laboratorio è caduto e si è rotto, ma senza aprirsi in pezzi. Egli fabbricò un materiale composito di vetro e plastica in grado di ridurre i pericoli in caso di incidenti automobilistici. L'invenzione non fu immediatamente adottata nel settore automobilistico, ma il primo impiego fu nei vetri delle maschere antigas in uso durante la prima guerra mondiale.
Il vetro stratificato è realizzato unendo due o più strati di vetro ordinario alternato a un foglio plastico di colore simil-latteo, solitamente polivinilbutirrale (PVB). Il PVB è unito a sandwich con il vetro che è poi scaldato a 70 °C e pressato con rulli per espellere l'aria ed unire i materiali, l'operazione viene conclusa inserendo il sandwich così composto in un'autoclave a temperatura e pressione costante, dove si completa il processo di espulsione dell'aria, rendendo così il vetro laminato nuovamente trasparente.
Un tipico vetro stratificato è costituito ad esempio da: 3 mm di vetro / 0,38 mm di polivinilbutirrale / 3 mm di vetro. Il prodotto dell'esempio è definito vetro stratificato (laminato) da 6,38 mm o anche "33.1"
Il vetro stratificato è distribuito comunemente in casse contenenti lastre di 3210 × 2400 mm² e/o in grandi lastre 3210 × 6000 mm², e con accoppiamenti 3⁄3, 4⁄4 o 5⁄5. Altri accoppiamenti vengono eseguiti appositamente su richiesta. Gli strati intermedi possono presentare anche diversi spessori come pure il PVB può essere prodotto colorato in modo da dare all'insieme della lastra un aspetto colorato (tonalità bronzo-grigio). Lo strato intermedio mantiene i pezzi di vetro in posizione anche quando il vetro si rompe, e con la sua resistenza impedisce la formazione di larghi frammenti affilati. Più strati e maggiore spessore del vetro aumentano la resistenza. I vetri antiproiettile realizzati con molti strati di vetro spesso, possono arrivare a 50 mm di spessore. Lo strato di PVB dona al materiale anche un maggiore effetto di isolamento acustico e riduce del 99% la trasparenza alla luce ultravioletta.
Il vetro stratificato è normalmente impiegato dove ci può essere il rischio di impatti con il corpo umano, oppure dove il pericolo possa derivare dalla caduta della lastra se frantumata. Le vetrine dei negozi, i parabrezza ma spesso anche i finestrini laterali delle auto sono tipicamente realizzati in vetro laminato come pure le zone parapetto delle vetrate interne ed esterne. È considerato un vetro di sicurezza grazie alla capacità di mantenersi compatto se fratturato.

Trasformazioni del vetro piano

Nell'ambito della lavorazione industriale, il vetro viene classificato a seconda delle sue caratteristiche fisiche macroscopiche. Le industrie di produzione forniscono il vetro piano sostanzialmente in due formati principali:

  • grande lastra: lastra di vetro solitamente 6000 × 3210 mm²
  • cassa contenente lastre, di norma 2400 × 3210 mm². Questo formato di distribuzione viene usato per vetri semilavorati (come vetri stratificati, riflettenti o specchi) di prezzo più elevato.

A causa della sua elevata durezza, il vetro viene lavorato solo con alcuni tipi di utensili, tra cui la mola.

Taglio

Il taglio di piccoli pezzi può essere eseguito a mano con strumenti appositi, ma in generale viene eseguito da un banco di taglio, un macchinario a controllo numerico che presenta un piano fisso, solitamente vellutato e con fori per generare un cuscino d'aria (utile per lo spostamento del vetro), che viene chiamato anche "pantografo". Sopra di questo vi è un ponte mobile che tramite un tagliavetro fornito di rotella in carburo di tungsteno o widia o diamante sintetico pratica incisioni sul vetro a seconda della programmazione eseguita tramite un software chiamato "ottimizzatore", che previo inserimento misura delle lastre come giacenza di magazzino, inserendo le misure da tagliare; il software ottimizzatore è implementato affinché ottimizzi il taglio, evitando al minimo lo sfrido. I vetri tagliati in questo modo verranno poi troncati da un addetto con l'ausilio del banco di taglio. È opportuno in fase di programmazione (se si lavora su grandi lastre) impostare dei tagli verticali sulla lastra in modo che sia più semplice lavorare su due parti più piccole in fase di apertura dei vetri.
Per i vetri laminati stratificati il taglio viene eseguito sia sulla parte superiore della lastra, sia sulla parte sottostante alla parte superiore della stessa, visto che sono due vetri accoppiati, mentre il film polimerico che tiene accoppiate le due lastre (in PVB o polivinilbutirrale) viene generalmente tagliato usando un cutter o imbevendolo di alcool etilico. Nei moderni macchinari, oltre al taglio simultaneo delle due lastre di vetro, c'è anche una resistenza a scomparsa, che scioglie il PVB permettendo l'apertura del taglio.

Molatura

Il vetro tagliato presenta un bordo particolarmente tagliente e irregolare, che viene eliminato tramite un'operazione di molatura (eseguita manualmente o da macchinari CNC) che asporta e uniforma il bordo del vetro in modi diversi, a seconda della lavorazione voluta:

  • filo lucido tondo: il bordo risulta arrotondato e lucido, il grado di lavorazione è elevato;
  • filo lucido piatto: il bordo risulta lucido e perpendicolare alla superficie ma la congiunzione viene smussata a 45°; anche qui si ha un grado di lavorazione elevato;
  • filo grezzo: come il filo lucido, con l'eccezione che il bordo non risulta lucido ma opaco e presenta una rugosità maggiore;
  • bisellatura: i bordi del vetro vengono molati per 10–40 mm di altezza per un angolo di circa 7 gradi rispetto alla superficie del vetro stesso.

La molatura del bordo viene anche effettuata occasionalmente per ragioni di costo soprattutto su vetri colorati per limitare il fenomeno dello choc termico anche se per questo fenomeno è consigliata la tempera della lastra.

Foratura

Il vetro può essere forato al trapano con apposite punte diamantate, adeguatamente refrigerate con getto continuo d'acqua. La foratura può essere eseguita da trapani per vetro manuali monotesta o doppiatesta o a controllo numerico. I fori non devono essere troppo vicini al bordo (a seconda anche dello spessore del vetro) per evitare rotture dovute alle tensioni interne del pezzo. Nuovi macchinari permettono di forare con un particolare tipo di sabbia miscelata ad acqua (waterjet).
Vetro curvo e vetro cavo
Il vetro curvo è un vetro sottoposto ad un procedimento di riscaldamento graduale ad alte temperature (tra i 500 e i 750 °C circa), fino a diventare abbastanza plastico da aderire (per gravità o costretto in una qualche maniera) ad uno stampo concavo o convesso, disposto orizzontalmente o verticalmente all'interno del forno di curvatura. Non è possibile ottenere un vetro curvo che si adagi sullo stampo esclusivamente sotto l'azione della sua forza peso, una volta raggiunta la viscosità necessaria, senza che il vetro stesso non venga segnato dalla testura, seppur minima, dello stampo, compromettendone la trasparenza e l'uniformità di spessore della lastra. Per tale motivo, in genere l'azione di curvatura della lastra viene coadiuvata da dispositivi meccanici o pneumatici, che agevolano il processo, curvando il vetro a viscosità più alte e tali da non inficiare le caratteristiche originarie della lastra dopo il contatto con lo stampo.
Dopo questa fase, il vetro viene raffreddato molto lentamente ("detensionamento" o "ricottura" del vetro), per evitare di indurre tensioni che ne precluderebbero un'eventuale successiva lavorazione o che potrebbero innescare fenomeni di rottura spontanea del materiale. Il processo di detensionamento viene normalmente adottato per i parabrezza delle automobili, per i quali è prevista la messa in sicurezza mediante stratifica e non mediante tempra. Viceversa, molto più frequentemente per il vetro impiegato nel settore dell'arredamento, il processo di curvatura si conclude con un raffreddamento istantaneo, al fine di ottenere un vetro curvo temprato.
Per vetro curvo si intende comunemente il vetro sottoposto alla curvatura lungo un solo asse della lastra (si pensi ad esempio alla curvatura che subisce un foglio di carta quando si tendono ad avvicinare due lati opposti).
Qualunque altro tipo di curvatura che coinvolga entrambe le dimensioni principali della lastra dà luogo ad un vetro cavo. Esempi concreti di oggetti in vetro cavo possono essere: lampadari, bottiglie, bicchieri, vasi, piani lavabo in vetro con lavabo ricavato mediante termoformatura.
Si possono curvare vetri di spessore tra i 3 e 19 mm, per una misura massima di 2600 mm × 4000 mm, con diverse finiture (ad esempio: sabbiato, serigrafato, inciso, forato o con asole) e di tutte le tipologie (ad esempio: colorato, fuso, riflettente, basso emissivo o stampato); non tutte le finiture sono tuttavia applicabili prima della curvatura.
Trasformazioni del vetro cavo
Le trasformazioni a cui può essere sottoposto il vetro cavo sono:

  • decorazione
  • tampografia
  • incisione
  • verniciatura
  • sabbiatura
  • satinatura.

Materie plastiche
Le materie plastiche sono materiali organici a elevato peso molecolare, cioè costituite da molecole con una catena molto lunga (macromolecole), che determinano in modo essenziale il quadro specifico delle caratteristiche dei materiali stessi.
Possono essere costituite da polimeri puri o miscelati con additivi o cariche varie. I polimeri più comuni sono prodotti a partire da sostanze derivate dal petrolio, ma vi sono anche materie plastiche sviluppate partendo da altre fonti.
Materiali polimerici
I materiali polimerici sono generalmente il risultato della reazione di polimerizzazione di una quantità di molecole base (monomeri) per formare catene anche molto lunghe. Si parla di omopolimeri se il monomero è unico, copolimeri se il polimero è ottenuto da due o più monomeri diversi, e di leghe polimeriche se il materiale è il risultato della miscelazione di due monomeri che polimerizzano senza combinarsi chimicamente.
Un materiale polimerico è in genere composto da macromolecole costituite dalla stessa tipologia di unità ripetitiva, ma il numero di unità ripetitive varia per ciascuna macromolecola, per cui le macromolecole che costituiscono un materiale polimerico hanno diversa lunghezza, quindi è necessario conoscere la distribuzione dei pesi molecolari (ovvero la percentuale di macromolecole aventi una specifica lunghezza) per determinare le proprietà chimico-fisiche del materiale polimerico in esame.
Classificazione dei materiali polimerici
I materiali polimerici puri si dividono in:

  • termoplastici: acquistano malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l'azione del calore; possono essere modellati o formati in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad essere rigidi; tale processo può essere ripetuto tante volte
  • termoindurenti: dopo una fase iniziale di rammollimento per riscaldamento, induriscono per effetto della reticolazione; nella fase di rammollimento per effetto combinato di calore e pressione risultano formabili; se vengono riscaldati dopo l'indurimento non tornano più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi;
  • elastomeri: presentano elevata deformabilità ed elasticità.

Dal punto di vista pratico, in genere si sfruttano delle opportune mescole, costituite da uno o più materiali polimerici più l'aggiunta di additivi. Per tale motivo, alla classificazione standard dei materiali polimerici si affianca una classificazione "commerciale", secondo la quale i materiali polimerici si dividono in:

  • fibre: sono dotati di notevole resistenza meccanica e hanno scarsa duttilità rispetto agli altri materiali polimerici; ciò vuol dire che sono materiali che si allungano poco se sottoposti a trazione e possono resistere a elevati carichi di rottura;
  • materie plastiche: formulate a partire da termoplastici e termoindurenti;
  • resine: particolari materie plastiche formulate a partire da termoindurenti;
  • gomme: formulate a partire da elastomeri.

Caratteristiche

Le caratteristiche vantaggiose delle materie plastiche rispetto ai materiali metallici e non metallici sono la grande facilità di lavorazione, l'economicità, la colorabilità, l'isolamento acustico, termico, elettrico, meccanico (vibrazioni), la resistenza alla corrosione e l'inerzia chimica, nonché l'idrorepellenza e l'inattaccabilità da parte di muffe, funghi e batteri. Quelle svantaggiose sono l'attaccabilità da parte dei solventi (soprattutto le termoplastiche) e degli acidi (in particolare le termoindurenti) e scarsa resistenza a temperature elevate.
Altra peculiarità è l'elevata leggerezza, che va da un minimo di 0,04 – 1 kg/dm³ per il polistirolo ad un massimo di 2,2 kg/dm³ del politetrafluoruetilene (PTFE), con una resistenza fisica molto eterogenea a seconda del tipo di plastica.
La plastica si ottiene dalla lavorazione del petrolio. Lo smaltimento dei rifiuti plastici, quasi tutti non biodegradabili, avviene di solito per riciclaggio o per stoccaggio in discariche: bruciando materiali plastici negli inceneritori infatti si possono generare diossine (solo per quanto riguarda i polimeri che contengono atomi di cloro nella loro molecola, come ad esempio il PVC), una famiglia di composti tossici. Queste difficoltà hanno incentivato negli ultimi anni la diffusione della bioplastica, in cui una piccola percentuale di resina è sostituita da farine vegetali quale quella di mais.
Polimeri termoplastici
I polimeri termoplastici possono esseri fusi e rimodellati più volte. Hanno una struttura molecolare "a catena aperta", ovvero presentano un basso grado di reticolazione.
Polietilene PE
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Formula di struttura del polietilene
Esistono varie tipologie di polietilene. Tra queste abbiamo:

  • HDPE (polietilene ad alta densità): È resistente agli urti.
    • Usi: Flaconi, shoppers, tubi per l'acqua e tubi per gas.
  • LDPE (polietilene a bassa densità): È la plastica più leggera. È sensibile al calore ma resiste agli agenti chimici. Ha un buon isolamento elettrico.
    • Usi: Sacchetti, imballaggi, pellicole per alimenti.
  • UHMWPE (polietilene ad ultra-alto peso molecolare): Presenta alta resistenza all'abrasione, alta resilienza e basso coefficiente d'attrito radente.
    • Usi: Solette per sci, snowboard.

Polistirene
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Formula di struttura del polistirene

  • PS (polistirene o, più comunemente, polistirolo): Duro e rigido.
    • Usi: Scotch per le auto, giocattoli, oggetti d'arredamento, stoviglie in plastica, gusci di elettrodomestici.
  • Polistirene espanso: Resina polistirenica a forma schiumosa; ha bassissimo peso specifico e conducibilità termica; buona elasticità.
    • Usi: Imballaggi, isolamento termico ed elettrico dei muri

Altri polimeri termoplastici
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Formula di struttura del polietilene tereftalato
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Formula di struttura del polivinilcloruro

  • PET (polietilene tereftalato): Consente di ottenere fogli sottili e leggeri. Resistente al calore fino a 250 °C ed impermeabile ai gas.
    • Usi: Contenitori per liquidi, vaschette per frigo e forno.
  • PVC (polivinilcloruro o cloruro di polivinile): È la plastica più utilizzata. Ha buone proprietà meccaniche e chimiche.
    • Usi: Finestre, serramenti esterni, giocattoli, bottiglie, contenitori, grondaie, calzature, rivestimenti di fili elettrici, tapezzerie, finta pelle.
  • PP (polipropilene): È resistente al calore ed agli agenti chimici. Ha un buon isolamento elettrico.
    • Usi: Nel settore casalingo, parti di elettrodomestici, valigeria, imballaggi, lastre e tubazioni per l'edilizia.
  • PA - poliammide (nylon): Una fra le prime plastiche scoperte. Resistente all'usura e non infiammabile.
    • Usi: Ingranaggi, apparecchi radiotelevisivi, abbigliamento.
  • Resine acriliche: Simili al vetro perché sono trasparenti.
    • Usi: fusori delle lampade, coperture trasparenti, oggetti d'arredamento.
  • nitrato di cellulosa e/o celluloide: La prima plastica in assoluto ad essere scoperta. Simile alla madreperla
    • Usi: pettini, tasti, oggetti che imitano l'avorio.
  • ABS (Acrilonitrile butadiene stirene): Giocattoli, modellismo, stampa 3D.
  • PLA (acido polilattico): prodotta utilizzando come materia prima il mais, tramite un processo biotecnologico che permette di ottenere capacità produttiva elevata e una gamma di prodotti diversificati;
    • Usi: contenitori compostabili, stampa 3D.
  • PTFE: Politetrafluoroetilene comunemente noto come Teflon

Polimeri termoindurenti
Possono essere formati una sola volta, perché, se sottoposti al calore una seconda volta, carbonizzano.
Resine termoindurenti

  • Resine fenoliche: Le caratteristiche dipendono dai materiali con cui sono mescolate.
    • Usi: Settore casalingo, mobili per televisori.
  • Resine poliuretaniche: Dure e colorate. Hanno buone proprietà meccaniche e sono facilmente lavorabili.
    • Usi: Spine, prese, elettrodomestici, interruttori.
  • Resine melamminiche: Buona resistenza alle alte temperature e all'umidità.
    • Usi: Laminati, settore casalingo, arredamenti, vernici.
  • Resine epossidiche: Eccellente adesività, resistenza al calore e chimica. Inoltre possiedono buone proprietà meccaniche e sono ottimi isolanti elettrici.
    • Usi: Vernici, rivestimenti, adesivi e materiali compositi.
  • Resine poliesteri insature: Sono leggere, facilmente lavorabili e resistenti agli agenti atmosferici.
    • Usi: Piscine, coperture per tetti.
  • Resine vinilestere: Caratteristiche molto simili alle resine poliestere ma dotate di migliori caratteristiche chimiche e meccaniche.
    • Usi: Manufatti sportivi (canoe, piccole imbarcazioni), serbatoi per uso alimentare.

 

Fonte: http://lnx.istitutocopernico.gov.it/lezioni/download.php?nomefile=5AL201610210818Materialidacostruzione.docx

Sito web da visitare: http://lnx.istitutocopernico.gov.it

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