Flessibilità del lavoro e occupazioni instabili

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Flessibilità del lavoro e occupazioni instabili

 

Nuove linee di disuguaglianza nell’epoca della flessibilità
Il processo di flessibilizzazione del lavoro in Italia, avvenuto soprattutto attraverso la diffusione di formule contrattuali atipiche, ha eroso i diritti e le sicurezze che i lavoratori investiti dalle riforme - nello specifico i lavoratori non standard - traggono dalla loro partecipazione al mercato del lavoro. I lavoratori atipici, infatti, oltre ad avere salari più bassi e carriere più discontinue rispetto ai loro colleghi tipici, sono penalizzati anche dal fatto di aver accesso ad una protezione sociale molto lacunosa che li vede esclusi da una serie di fondamentali garanzie generalmente connesse ai contratti standard, quali la stipulazione di minimi contrattuali, un adeguato regime contributivo ai fini pensionistici ed un’adeguata protezione sociale (indennità per malattia, per infortuni, per disoccupazione).
Ad ogni modo, questa segmentazione del mercato del lavoro fra inclusi ed esclusi, così come i fenomeni di precarietà e di disuguaglianza che ne sono derivati, non è imputabile al mero avvento della flessibilità in sé, ma al modo inadeguato in cui quest’ultima è stata introdotta nel nostro Paese. La flessibilità del lavoro, infatti, contiene svariati elementi di assoluta positività sia per le imprese, che possono attraverso di essa migliorare la propria competitività, sia per i lavoratori, che da un’organizzazione flessibile del lavoro possono trarre la possibilità di rendere meno rigida e ripetitiva l’attività lavorativa e, soprattutto, la possibilità di una maggiore conciliazione tra lavoro e vita privata. Tuttavia, gli effetti positivi potenzialmente derivanti dalle misure di flessibilizzazione sono stati vanificati dal fatto che l’evoluzione del mercato del lavoro verso la flessibilità non è stata accompagnata da una ridefinizione degli schemi di protezione sociale che continuano a tutelare soltanto i lavoratori standard. In sostanza, le riforme che hanno destandardizzato e deregolamentato il mondo del lavoro a partire dagli anni novanta, oltre a non aver avviato un’adeguata ricalibratura delle tutele sociali, hanno lasciato intatte le garanzie contrattuali delle posizioni lavorative standard; e ciò è avvenuto anche perché in questo modo si è potuto contare su un livello di conflitto sindacale sostanzialmente contenuto. Pertanto, si sono progressivamente diffuse nel nostro Paese preoccupanti situazioni di precarietà lavorativa (e biografica), intendendo per precarietà tutte quelle situazioni in cui le persone sono a rischio di non raggiungere o non mantenere autonomamente, attraverso il proprio lavoro, un dignitoso livello di benessere (economico e sociale), sia perchè la retri­buzione da loro percepita è bassa, sia perché la loro carriera lavorativa è segnata da frequenti e lunghe interruzioni non adeguatamente compensate dalla protezione sociale.
È opinione ampiamente diffusa tra molti studiosi che nel corso di questi ultimi trent’anni la flessibilità del lavoro è stata progressivamente accompagnata dall’aumento delle disuguaglianze: disuguaglianza tra chi ha un’occupazione e chi la perde o non la trova; fra chi ha un’occupazione stabile e chi ha un’occupazione precaria; fra chi vede il proprio salario restare fisso, mentre gli altri salari prendono il volo. In particolare, occorre dire che lo studio dei percorsi all’interno del mercato mostra come l’instabilità del lavoro possa essere una risorsa per coloro che riescono a raggiungere un’occupazione forte e a ridurre l’espo­sizione al mercato - grazie ad un impiego stabile o alla posizio­ne professionale - e una minaccia per coloro che, invece, non riescono a costruirsi un percorso che li faccia emergere, rimanendo intrappolati in condizione di esposizione ai rischi. Sebbe­ne non si riesca a tracciare una netta divisione tra fasce forti e fasce deboli di lavoratori instabili, si possono individuare al­cuni fattori che determinano il grado di esposizione ai rischi e quindi i modi in cui l’instabilità può essere vissuta. In generale, è possibile dire che nel nuovo mercato del lavoro le fratture socio-strutturali preesistenti (origine sociale, istruzione e disparità socio-economiche regionali) sono più rilevanti che in passato, e strutturano le probabilità e le opportunità accessibili nel mercato del lavoro. In particolare, appaiono molto importanti, da un la­to, le risorse individuali ma, dall’al­tro lato, anche il contesto in cui i soggetti si trovano ha un ruolo de­terminante.
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre dire che i contratti che non danno garanzia di continuità nel tempo accrescono l’importanza delle risorse di cui il singolo individuo dispone, le quali influiscono sulla possibilità di realizzare i pro­pri progetti personali e, più in generale, di costruirsi un percorso professionale. Si pensi, in primo luogo, alla condizione fami­liare, che ha un ruolo cruciale nell’attutire i rischi connessi all’instabilità. La presenza di genitori o di un partner con un reddito stabile, infatti, modifica completamente la condizione di chi ha un contratto che non dà garanzie di continuità nel tempo, mentre, dall’altra parte, l’assenza di protezioni di origine familiare rende l’instabilità dell’impiego un problema molto grave ed una fonte di grande ansia. La famiglia si riconferma, quindi, uno dei principali fattori di riproduzione delle disuguaglianze sociali. (Saraceno, 2002). Se i rischi legati all’incertezza della continuità dell’impiego sono attutiti dalla famiglia, minori saranno i fattori di precarizzazione. Nella misura in cui sono una risorsa fondamentale per ridurre il potenziale vulnerante dell’instabilità lavorativa, i legami familiari divengono anche un fattore di sperequazione tra i lavoratori, i quali non sempre possono contare su un nucleo familiare in grado di proteggerli. Poter contare sul network familiare può permettere, ad esempio, la formazione di una carriera esterna (esplorare il mercato e sopportare lunghi periodi di instabilità in attesa di trovare un contratto soddisfacente), mentre l’impossibilità di contare sulle reti familiari obbliga a non poter adottare strategie selettive nella ricerca del lavoro, accettando tutto ciò che in quel momento è disponibile.
In aggiunta a quanto appena detto circa il ruolo della famiglia, occorre anche dire che la capacità di quest’ultima di proteggere i suoi membri dai rischi del mercato non deve essere enfatizzata a fronte del processo di fragilizzazione che la colpisce. L’erosione delle sue tradizionali capacità di cura sta provocando un aumento del fenomeno della povertà che pare colpire soprattutto i nuclei in cui entrambi i lavoratori sono instabili; ed a questo proposito occorre anche notare che il logoramento delle reti familiari avviene proprio nel momento in cui essa è chiamata ad assorbire i nuovi rischi di instabilità provocati dalla deregolazione del mercato del lavoro (Cimaglia, Corbisiero, Rizza, 2009).
Quando si parla di risorse individuali come fattore produzione delle disuguaglianze derivanti dal mercato del lavoro, si fa riferimento, oltre che alle reti familiari, anche alla capacità dei soggetti di progettare un per­corso lavorativo coerente, di individuare le opportunità di lavo­ro più adatte e di riconnetterle in una traiettoria che porti al raggiungimento di una posizione forte sul mercato del lavoro. Anche tali capacità, però, non possono essere acquisite dall’esterno ma devono essere sviluppate dal soggetto e dunque di­pendono, almeno in parte, dalla collocazione sociale e dal livel­lo di istruzione. Il lavoratore atipico è costretto a seguire traiettorie più faticose, secondo prassi, consuetudini e regole del tutto decollettivizzate e fondamentalmente legate alle singole biografie, a seconda di fattori e risorse che si legano alla temporaneità dei rapporti di lavoro in corso. In assenza di meccanismi di regolazione collettiva, le capacità relazionali e, quindi, la capacità di mettere in piedi relazioni informali e contatti di reciprocità e di fiducia sono di cruciale importanza per sopravvivere in un contesto di incertezza permanente. In alcuni settori, ad esempio, come quello dell’editoria e della ricerca, molti lavoratori atipici che vogliono costruirsi una continuità del lavoro devono adottare precise strategie volte a conquistare la fiducia dei committenti, e questo comporta dei notevoli costi, sia in termini economici sia dal punto di vista psicologico.
Ad ogni modo, sembra più che ragionevole sostenere che la diffusione delle occupazioni instabili non ha necessariamente conseguenze negative sulle condi­zioni di vita delle persone, ma aumenta enormemente l’impor­tanza delle risorse personali e familiari e quindi amplifica le dif­ferenze tra i soggetti che si muovono sul mercato del lavoro (Checchi, Reyneri, 2002).
Nella transizione post-fordista il lavoro tende a divenire più immateriale e meno faticoso; ma allo stesso tempo tende a caratterizzarsi anche per una maggiore competizione individuale ed un maggior isolamento, nonché per una maggiore variabilità dei luoghi, dei tempi, dei contenuti e delle modalità di lavoro che diventa più fluido ed instabile. Si tratta di cambiamenti che richiedono a chi lavora un più forte investimento di risorse – professionali, tecniche, ma anche motivazionali, di qualità umane e di equilibrio psichico – e che non risultano certo indifferenti rispetto alla sfera extralavorativa, rimettendo in questione l’equilibrio tra le diverse dimensioni della vita personale, ed in primo luogo la dinamica familiare; anche perché il cittadino delle società globali è costretto a rischiare da solo su tutti i fronti, sperimentando incertezza ed insicurezza, ed all’impegno individuale vengono demandate molte delle principali funzioni di sviluppo (creare imprese, acquistare la propria casa, inventarsi il lavoro, elaborare strategie formative, costruire percorsi occupazionali, integrare la previdenza etc.). Non è difficile allora comprendere la pesantezza della condizione dell’individuo nell’attuale società, in cui gli individui giocano da soli, ed in cui riemerge il ruolo di sostegno delle reti familiari e le conseguenti disuguaglianze legate al capitale sociale e culturale, oltre che economico, della famiglia di appartenenza (Zucchetti, 2005).
Oltre alle risorse individuali, anche le caratteristiche del contesto hanno una forte influenza sulle condi­zioni di vita dei lavoratori instabili, disegnando ulteriori dimen­sioni di disuguaglianza. Il processo di individualizzazione dei rapporti di lavoro, infatti, non si limita ad accentuare la rilevan­za delle caratteristiche dei singoli, ma li rende nel contempo di­pendenti dalle risorse che il contesto mette loro a disposizione. Questo aspetto è decisivo in quanto mostra che le condizioni dell’individualizzazione e le sue stesse conseguenze, in termini di vulnerabilità o autorealizzazione, non sono in sé date, ma vengono continuamente e collettivamente create e ri­create (Giaccardi, Magatti, 2003). Quando offe numerose opportunità di impiego, il mercato del lavoro locale riduce il rischio di rimanere disoccupati a lungo, configurandosi come un ambito in cui i lavoratori instabili possono trovare protezione. Si pensi al peso del contesto locale nel de­terminare le conseguenze della diffusione delle occupazioni in­stabili sulla vita delle persone. Il mercato del lavoro del nord Italia, ad esempio, rispetto alle regioni del meridione, offre molte opportunità di impiego e quindi ren­de meno preoccupante la prospettiva di avere un contratto in­stabile. Quindi, al di là del dibattito astratto sulla flessibilità, occorre dire che la riduzione dei vincoli nella gestione delle relazioni di lavoro produce degli effetti che sono fortemente influenzati dall’insieme delle condizioni in cui si struttura il rapporto tra domanda ed offerta di lavoro.
In aggiunta alla rilevanza rivestita dalle risorse individuali ed alla collocazione territoriale, anche le caratteristiche del settore di atti­vità influiscono in modo forte sulla condizione dei lavoratori in­stabili. Per gli addetti ai call center, gli istruttori sportivi e gli intervistatori, ad esempio, la presenza di persone disponibili a svolgere l’attività in modo saltuario (spesso senza nessuna competenza specifica) determina un eccesso di offerta che per­mette ai committenti di tenere compressi i livelli salariali, rende contrattualmente deboli coloro che vorrebbero costruire un percorso professionale all’interro del settore e li intrappola in condizioni di precarietà. In altri settori di attività, invece, come nel giornalismo o nella formazione, vi è un maggiore riconosci­mento delle competenze e del valore dell’esperienza, per cui si possono costruire dei percorsi più solidi e ci si può garantire una certa continuità del lavoro e del reddito a prescindere dall’in­stabilità dei contratti.
La rilevanza delle caratteristiche del contesto lavorativo in cui si muovono gli attori risulta amplificata dalla scarsa istituzionalizzazio­ne dei contratti e delle pratiche di utilizzo da parte delle azien­de. Infatti, dal momento che la gestione dell’instabilità nel rap­porto tra lavoratore e datore di lavoro/committente non è re­golata in modo forte, sono le condizioni di contesto che gui­dano le pratiche e determinano il livello reale di precarietà del lavoro ed eventuali meccanismi di intrappolamento o di crescita professionale dei soggetti coinvolti. Ad esempio, nelle aziende in cui le organizzazioni sindacali sono forti e sensibili alla que­stione si rileva spesso un uso del lavoro interinale più respon­sabile, in cui le esigenze di flessibilità dell’impresa vengono in qualche modo conciliate con la costruzione di percorsi di inserimento che permettano ai lavoratori di approdare alla fine ad un impiego stabile. Nelle aziende in cui l’attività sindacale su questo punto è debole, invece, si aprono gli spazi per un uso irresponsabile di tali contratti. La stessa cosa vale per i collaboratori che basano la propria sicurezza su rapporti di tipo personale con i committenti, su accordi informali e norme implicite condivise all’interno del settore di attività. La corret­tezza in termini di rispetto delle clausole contrattuali, spesso non definite in forma scritta, la definizione dei tempi di conse­gna e di pagamento vengonoquindi a dipendere quasi unica­mente dal senso di responsabilità delcommittente e da come si sviluppa la singola relazione con ilcollaboratore.
L’aumento della rilevanza delle condizioni di contesto che accompagna la crescente individualizzazione dei rapporti di la­voro non è, di per sé, un fatto necessariamente negativo, ma lo diventa nel momento in cui l’introduzione di nuove forme con­trattuali non viene accompagnata da adeguate modificazioni istituzionali e da misure di sostegno/protezione per coloro che si trovano in situazioni di maggiore debolezza. Nel quadro italiano, pertanto, non si può che guardare con preoccupazione a questo aspetto della diffusione delle occupazioni instabili che, per ora, non è stata accompagnata da parallele trasformazioni del sistema di welfare dirette ad offrire tutele adeguate contro i rischi connessi all’instabilità. Inoltre, i processi in atto hanno contribuito a ridurre le capacità di intervento delle orga­nizzazioni sindacali, che quindi più difficilmente riescono a promuovere la costruzione di tutele collettive.
Altro elemento di grande novità è rappresentato dai flussi di immigrazione e dal costituirsi di un vero e proprio mercato parallelo: il fenomeno dell’immigrazione straniera nel nostro paese, infatti, si è generato e consolidato attorno ad uno scambio, reciprocamente conveniente ma alla lunga instabile, tra i fabbisogni professionali e lavorativi espressi dal mercato produttivo locale e la volontà di trovare impiego di forze di lavoro provenienti dai paesi in via di sviluppo. Si tratta di un equilibrio precario destinato ad essere messo in discussione poiché l’iniziale disponibilità espressa da molti immigrati a svolgere, a motivo delle necessità economiche e della provvisorietà della condizione giuridica, impieghi selettivamente rifiutati dalla manodopera autoctona sporchi, pericolosi e disagevoli rischia di venir meno al crescere della stabilizzazione sul territorio e della integrazione nella società ospite. Il rischio concreto è che venga compromesso il funzionamento del mercato del lavoro, ne sia accentuata la segmentazione e si crei un mercato parallelo a quello ufficiale, le cui peculiarità, determinate da una visione funzionalistica dell’immigrazione, attengono alle precarie condizioni di retribuzione, prestigio sociale e stabilità occupazionale, nonché alle modalità di accesso all’impiego. Tra gli effetti prodotti da queste dinamiche viziose vi sarebbe il prodursi di un effetto di spiazzamento dei lavoratori italiani, soprattutto di quelli appartenenti ai segmenti più deboli e meno qualificati, per i quali si svilupperebbero nuove forme di concorrenzialità con gli immigrati per posti di lavoro a più basso contenuto, in particolare nei labirinti dell’economia informale.
Ad ogni modo, l’aumento della dipendenza dalle condizioni di contesto, da un lato, e la rilevanza sempre maggiore delle risorse indivi­duali nel determinare i modi di vivere l’instabilità del lavoro, dall’altro, determinano insieme l’amplificazione delle disugua­glianze tra i soggetti che si muovono nel mercato del lavoro. Si tratta diuna conseguenza della diffusione delle occupazioni in­stabili che spesso non viene considerata con sufficiente attenzione nel dibattito sui processi di flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Quest’ultimo è senza dubbio il caso delle lavoratrici atipiche caricate da obblighi di cura, per le quali la famiglia rappresenta molto spesso un vincolo, sia nella scelta del lavoro, sia nella prospettiva di costruzione di una carriera professionale. Il risultato è la presenza di percorsi lavorativi frequentemente frammentati e poco emancipati che determinano la necessità da parte delle donne di affidarsi, per la propria sicurezza economica, ai redditi del partner, trovandosi in una condizione di contemporaneo affrancamento dai vecchi ruoli e di riassoggettamento ad essi. Per le lavoratrici atipiche la scelta della maternità è inoltre rischiosa, poiché le tiene troppo a lungo fuori dal mercato del lavoro, esponendole al rischio di una riduzione della possibilità di stabilizzazione del contratto.

Fonte: https://www.docenti.unina.it/downloadPub.do?tipoFile=md&id=214698

Sito web da visitare: https://www.docenti.unina.it/

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