Il diritto sindacale

Il diritto sindacale

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Il diritto sindacale

 

IL DIRITTO SINDACALE COS'È':

Il diritto sindacale viene comunemente presentato come un ramo di una disciplina più ampia costituita dal diritto del lavoro. Il diritto del lavoro viene convenzionalmente suddiviso in tre parti: il diritto del rapporto individuale di lavoro, il diritto della previdenza sociale ed appunto il diritto sindacale. Il diritto sindacale fa riferimento a coalizioni di interessi tipici cioè di interessi professionali ed imprenditoriali che vengono rappresentati da organizzazioni diverse e contrapposte: sindacati dei lavoratori e le associazioni di imprenditori.
Il diritto sindacale è un diritto tipicamente e prevalentemente germinato da fenomeni di collettività che si auto-organizzano e che entrano in reciproche relazioni: dì conflitto, dì cooperazione e di scambio.

L’EFFETTIVITA’ NEL DIRITTO SINDACALE.

Nel diritto sindacale il profilo dell’effettività della norma assume una rilevanza primaria e comunque ben più forte che negli altri rami del diritto. Molto spesso le leggi, in materia di diritto sindacale sono frutto di una attività di negoziazione tra i soggetti del sistema di relazioni industriali, ciò avviene quando si ritenga che solo un ampio consenso sociale possa garantire un tasso sufficientemente elevato di osservanza spontanea; il diritto sindacale, in conclusione, poggia la sua effettività sulla costanza del consenso sociale e dell’opera di mediazione politica che contribuisce a dare ad esso stabilità e continuità.

 

CAPITOLO II

LE ORIGINI STORICHE DEL FENOMENO SINDACALE , NEL PERIODO LIBERALE, CORPORATIVE NELLA FASE POST-COSTITUZIONALE: DIRITTI E LIBERTA’ IN ASTRATTO.

Le organizzazioni sindacali nascono con la rivoluzione industriale a seguito dei movimenti operai sviluppatesi in Inghilterra e in Francia. Sono strumenti dì autodifesa costituiscono cioè la risposta agli effetti più negativi dell'industrializzazione: bassi salari, prolungamento eccessivo dell'orario di lavoro giornaliero,condizioni di salute e sicurezza insostenibili forme di sfruttamento del lavoro specie su fanciulli e donne.
Solo tra. la fine dell'800 e l'inizio del '900 i giuristi più sensibili alle dinamiche sociali si resero conto di questa nuova ed emergente realtà giuridica scaturente dal conflitto industriale, ponendo alla loro attenzione un complesso di regole autonome di origine contrattuale e non statuale: non si trattava di regole poste da provvedimenti legislativi, ma da fonti che svolgevano la medesima funzione di regolamentazione astratta e generale e cioè dai contatti collettivi. Tali contratti avevano lo scopo di regolare collettivamente i rapporti di lavoro e ciò avveniva soprattutto nel settore metallurgico. Per l'Italia del tempo questi nuovi strumenti erano chiamati concordati di tariffa perché si limitavano sostanzialmente a regolare collettivamente il prezzo la tariffa appunto del lavoro. Tali concordati costituivano dunque una. nuova realtà sociale e giuridica dalla quale emergevano pure istituzioni autonome, rispetto agli apparati di giustizia statale: la risoluzione delle controversie di lavoro derivanti da tali contratti era affidata alla ed. Magistratura probivirale formata non da giudici togati ma da laici esperti con funzione arbitrale.
U processo storico di graduale affermazione già nell’Italia liberale giolittiana ed umbertina, di un diritto sindacale in dialogo con il diritto dello Stato, ma fondamentalmente autonomo dal diritto civile (non erano utilizzabili le norme del codice del 1865 perchè mal si attagliavano alla dinamica negoziale costituita dal lavoro umano con tutte le sue implicazioni esistenziali e dì qualità della vita e), perché germinato spontaneamente dall'azione dei gruppi organizzati, subì un interruzione nel periodo fascista. Il regime corporativo mirò 1)alla negazione del principio di libertà e del pluralismo sindacale, si trattava dì un sindacato i cui scopi sono etero-deteminati dallo Stato. 2) la repressione dello sciopero vale adire la previsione nel codice penale dello sciopero come reato. I contratti collettivi riconosciuti dal regime corporativo, venivano considerati atti di regolazione dell’economia nazionale più che espressione della libera autoregolazione degli interessi professionali e di lavoro. La loro efficacia era quindi generale cioè si applicavano a tutti gli appartenenti alle categorie professionali; il loro contenuto era inderogabile pertanto non poteva essere modificato dalla volontà del singolo contraente; il loro effetto era imperativo tali contratti si applicavano automaticamente sostituendo eventuali clausole difformi dei contratti individuali. La rase corporativa terminò con la nuova Costituzione repubblicana del 1948; in questo documento formale sono scolpiti i tratti essenziali del nuovo sistema sindacale come antitetico a quello corporativo in quanto basato su quello che prima veniva negato: la libertà e dunque il pluralismo sindacale (art. 39 I comma cost.) e il diritto di sciopero (art. 40 cost.) non c'è libertà sindacale dice il legislatore costituzionale, se allo Stato non è impedito in via di principio fondamentale di interferire sulle dinamiche interne dei gruppi organizzati e sulla loro attività esterna. Tuttavia negli anni '50 e '60 i luoghi di lavoro furono contrassegnati da una realtà di diritti e libertà negate tutto ciò fu storicamente giustificato dal fatto che il quadro costituzionale nonostante riconoscesse il diritto di sciopero e la libertà sindacale si trattava di disposizioni programmatiche e non precettive, ovverosia non immediatamente applicabili nei rapporti interprivati tra lavoratore e datore di lavoro, tra sindacato e impresa. Un importante eccezione riguardò l'art. 36 cost. in relazione al concetto di retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, interpretato dai giudici, fin dagli anni '50 come norma immediatamente applicabile ai rapporti individuali di lavoro, una tradizione questa che, in qualche modo, la cultura costituente aveva ereditato da quella corporativa.

GLI ANNI DELLA SVOLTA. LO STATUTO DEI LAVORATORI: DIRITTI E LIBERTA’ IN CONCRETO.

Bisognò attendere una stagione di grandi conflitti sociali il ed. Autunno caldo sindacale 1968-1972 per registrare un profondo cambiamento del diritto sindacale e dell'assetto delle relazioni industriali.
Si trattò di una stagione dì cambiamento che vide come protagonista "l'operaio massa" delle grandi fabbriche metalmeccaniche del nord , ex contadino o disoccupato del sud ed immigrato nel nord. Di grande rilievo fu lo Statuto dei lavoratori, varato nel 1970 (legge 300). Si trattava di una legge che riusciva a dare effettività al principio di libertà sindacale e al diritto di sciopero previsti in Costituzione, promuovendo e sostenendo l'associazionismo sindacale nei luoghi di lavoro attraverso il riconoscimento dei singoli nella qualità di lavoratori cittadini, e nel riconoscimento delle organizzazioni sindacali qualificate dal loro essere politicamente e socialmente rappresentative. Tuttavia i diritti di natura collettiva riconosciuti ai singoli non si sarebbero potuti esercitare effettivamente, se i lavoratori non fossero dotati di una serie di garanzie e diritti che li riguardavano come parti di un rapporto contrattuale- quello di lavoro per es. il diritto a non essere licenziati ingiustificatamente ed eventualmente ad essere reintegrati in caso di accertata illegittimità del recesso datoriale, il diritto a non essere discriminati per una serie di motivi tipici ecc. parallelamente lo statuto riconosceva alle organizzazioni sindacali dei lavoratori subordinati (OOSS) diritti propri.
Il sistema italiano si consolidò nel senso che divenne più stabile, il consolidarsi del sistema di relazioni industriali (disciplina che studia le dinamiche dì interazione tra attori pubblici e privati nell'impresa e nelle pubbliche amministrazioni) significò che i rapporti negoziali, ma anche politico-istituzionali tra sindacati, datori di lavoro pubblici e privati ed istituzioni pubbliche (governi centrali, regionali, locali) divennero a poco a poco più formalizzati e quindi più "prevedibili". In un sistema di relazioni industriali, quanto più alto è il tasso di formalizzazione e di prevedibilità delle reciproche relazioni, tanto maggiore è il reciproco affidamento tra gli attori, con risultati di più grande stabilità e minore conflitto.
Cosi i diritti sindacali, sia di natura individuale sia di natura collettiva, affermati in Costituzione e specificati nello Statuto furono man mano accettati, dalle imprese come "vincoli esterni" alle proprie scelte organizzative e produttive: si assiste dunque alla diffusione esponenziale della c.d. contrattazione aziendale, si tratta di contratti sottoscritti anche dai singoli imprenditori a livello di impresa, e  non solo dalle associazioni datoriali a livello nazionale come per il caso del contratto collettivo nazionale di categoria.

LA LUNGA STAGIONE DELLA CONCERTAZIONE SOCIALE E LA RIFORMA DELLE RELAZIONI INDUSRIALI, IL PROTOCOLLO CIAMPI.

La maturazione del sistema di relazioni industriali italiano avvenne progressivamente. In una prima fase - anni  ‘70 e, in larga misura, anni '80 -  il consolidamento avvenne attraverso una formalizzazione "leggera" basata su prassi e comportamenti di sindacati imprese e governi reciprocamente riconosciuti e legittimati.
In seguito il ritmo e la qualità della formalizzazione aumentarono, nel 1993 con il protocollo Ciampi/Giugni che al tempo erano rispettivamente, primo ministro e ministro del lavoro, il sistema di relazioni industriali raggiunse un grado relativamente "alto" di formalizzazione ottenuto non ricorrendo a norme legali, come invece avvenne in altri ordinamenti{Spagna e Francia), bensì attraverso un accordo interconfederale i cui contenuti erano politicamente garantiti dal governo che aveva svolto la mediazione, uno strumento formalmente privatistico-negoziale che finiva però per incidere su rilevanti interessi pubblici.
Il protocollo ha segnato l'inizio di una fase di concertazione sociale che ha poi caratterizzato tutti gli anni '90. Con il termine concertazione sociale si indica sostanzialmente un metodo più o meno formalizzato attraverso il quale i governi si prefiggono di coinvolgere le OOSS per ricercare il loro consenso anche su scelte "impopolari"; ciò ai fini della produzione di politiche pubbliche che possono, poi, concretarsi nella adozione di misure legislative da parte dei parlamenti. Infatti se il consenso viene ottenuto il governo ha la rassicurante e alta probabilità di poter attuare riforme anche radicali in materia sociale senza contraccolpi politici. È quanto avvenuto, per esempio, in Italia, in occasione del sistema pensionistico tentata dal primo governo Berlusconi nel l994 contro le OOSS: il tentativo generò una protesta ampia e diffusa, da contribuire alla caduta di quel governo. Mentre appena un anno dopo una riforma del sistema pensionistico dai contenuti, per certi aspetti più radicali rispetto a quelli della proposta del governo Berlusconi, ma concertata dal governo Dini con le OOSS fu approvata dal parlamento e divenne legge senza per questo suscitare particolari conflitti sociali.

LA RIFORMA DEL PUBBLICO IMPIEGO, RIFLESSI SUL DIRITTO SINDACALE.

Agli inizi degli anni '90 sull'onda di una crisi economica, politica, istituzionale e morale di ampia portata che aveva coinvolto, oltre alla classe politica, anche il ceto burocratico (tangentopoli), il governo del tempo decise di attuare un radicale processo di riforma della P.A. che proseguì, a tappe successive, per tutti gli armi '90; sì trattava delle ed. riforme Bassanini (1997). Antecedentemente alla riforma, il rapporto di lavoro dell'impiegato pubblico, rispondeva alla logica dello status e non del contratto: era cioè regolato dal diritto pubblico, da leggi e regolamenti, gestito mediante provvedimenti amministrativi e ricondotto alla giurisdizione dei tribunali amministrativi e del consiglio di Stato.
Con la riforma, il rapporto venne contrattualizzato e quindi in larga misura, omologato al rapporto di lavoro dei dipendenti delle imprese private e affidato alla giurisdizione del giudice del lavoro, tale mutamento significava che sul rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, avrebbero insistito, da quel momento in poi le medesime fonti di disciplina del rapporto di lavoro privato: codice civile, leggi sul rapporto di lavoro, contratti collettivi e in misura residuale, anche il contratto individuale.
Con la riforma del pubblico impiego malgrado la riconduzione del rapporto individuale di lavoro al dominio del diritto privato, la legge estende invece il suo raggio d'azione sino a regolare non soltanto gli aspetti dell’organizzazione amministrativa delle P.A. e del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati, ma anche:

  • L'efficacia dei contratti collettivi: vengono resi di fatto e non dì diritto erga omnes cioè efficaci per tutti i dipendenti, a prescindere dalla loro iscrizione o meno alle OOSSfirmatarie.
  • La struttura contrattuale: si prevede una rigida ripartizione delle materie negoziabili tra i vari livelli (nazionale e decentrato), secondo un ordine gerarchico di prevalenza del livello superiore.
  • L'agente negoziale sindacale nazionale: vengono previsti i requisiti di accesso alla ed. legittimazione negoziale, diritto a favore dei sindacati ad essere ammessi al tavolo delle trattative per il rinnovo dei contratti.
  • L'agente negoziale decentrato unitario: viene previsto che la disciplina del procedimento di elezione delle ed. Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), sebbene affidata per il dettaglio tecnico a norme di autoregolazione sindacale, deve rispondere a principi generali fissati dalla legge e sottoposta ad un sistema di controllo e verifica pubblico.
  • II rappresentante negoziale, unico e necessario delle P.A. : esso viene individuato per legge nella figura organizzativa dell'ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni).
  • II procedimento negoziale: la legge si preoccupa di scandirlo nelle sue varie fasi.

 

L'ATTUAZIONE DEL PRECETTO COSTITUZIONALE DELLA REGOLAMENTAZIONE DELL'ESERCIZIO DEL DIRITTO DI SCIOPERO.

A partire dagli anni '80 in poi cambiano in buona misura i protagonisti del conflitto sindacale, non più le tute blu delle grandi fabbriche, che invece cominciano a confrontarsi con i problemi delle ristrutturazioni e riconversioni derivanti dal cambiamento del ciclo economico sociale (rivoluzione tecnologica, riduzione del personale ecc), ma i lavoratori in gran parte colletti bianchi, del settore dei servizi: trasporti ferroviari, urbani ed aerei,banche, scuole, ospedali ecc. Cambia pure la tipologia degli scioperi: non più scioperi di massa e generalizzati ad un'intera categoria o ad intere aziende quanto scioperi di micro-gruppi di lavoratori che però sono in grado di operare blocchi di servizi altamente vulneranti per l'intera società , si pensi allo sciopero dei controllori del traffico aereo o degli addetti alle torri di controllo , poche centinaia di lavoratori con funzioni strategiche, la cui semplice minaccia di conflitto è in grado di paralizzare l'intero traffico aereo di una nazione.     
Cambiano pure gli organizzatori del conflitto si tratta il più delle volte di scioperi indetti da micro-sindacati non aderenti alle grandi confederazioni; sindacati autonomi o di mestiere sulla base del mestiere esercitato dai soggetti rappresentali.
Cambiano pure le finalità dei conflitti: si tratta di scioperi indetti non come nella consueta prassi dei sindacati confederali, a tutela di interessi collettivi, bensì sempre più di frequente di scioperi volti a tutelare micro interessi, settoriali o professionali.
Muta infine anche la destinazione oggettiva e soggettiva degli scioperi: non più mirati a colpire la produzione e quindi direttamente la controparte, l'imprenditore o una categoria di imprenditori e le sue rappresentanze, quanto ad interrompere l'erogazione dì servizi pubblici essenziali, vulnerandone soprattutto gli utenti che vengono in tal modo resi ostaggi delle rivendicazioni, sì verifica quello che i sociologi hanno definito terziarizzazione del conflitto, cioè il conflitto colpisce i cittadini utenti. Tuttavia quanto ai servizi pubblici essenziali la l. 12 giugno 1990 n. 146 regola il diritto di sciopero garantendo i minimi di servizio essenziali, a presidio del sistema la legge colloca un'autorità indipendente, la commissione di garanzia.

GARANTISMO COLLETTIVO.

In questi ultimi decenni la linea di politica del diritto fatta propria dal legislatore, è stata quella del passaggio dal garantismo individuale al garantismo collettivo; in pratica la legge continua a garantire ai lavoratori alcune tutele, ma contemporaneamente attribuisce alle parti sociali attraverso la contrattazione collettiva, la possibilità di apporvi deroghe  quando ciò sia ritenuto dalle stesse necessario per consentire alle imprese di mantenere la propria competitività su mercati sempre più concorrenziali, e difendere così i livelli occupazionali. In pratica la legge si limita a regolare una materia in linea di principio, attribuendo al contratto collettivo il compito di integrarla.

LA NORMATIVA COMUNITARIA.

Il trattato di Roma del 1957 esclude espressamente dalla competenza normativa comunitaria la libertà sindacale ed il diritto di sciopero; su di essa gli organi comunitari non possono assumere alcuna decisione giuridicamente vincolante.
Una competenza comunitaria invece, viene riconosciuta in materia di rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro, anche se può essere esercitata dal consiglio solo all’unanimità. Bisogna poi ricordare che, la Carta dei diritti fondamentali, sottoscritta a Nizza, contempla sì all’art. 12 la libertà sindacale, però quella è riconosciuta solo come semplice libertà di associazione; questa norma è infatti genericamente diretta a tutelare quest’ultima, e la menzione del fine sindacale è puramente esemplificativa. Oltretutto bisogna ricordare che la Carta dei diritti è soltanto una dichiarazione politica, ancorché solenne e manca di un valore giuridico. Nonostante questo assetto contraddittorio delle fonti, numerose norme comunitarie vanno nella direzione di un riconoscimento delle organizzazioni sindacali, si pensi all’istituzione del comitato economico e sociale (CES), on funzioni consultive e rappresentativo delle parti sociali; si pensi ancora al riconoscimento che le attuazioni delle direttive può essere affidato alla contrattazione collettiva ed alla garanzia ai diritti all’informazione e alla consultazione dei lavoratori. Concludendo si può dire che in materia di diritto sindacale, di regola si applica il principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 del trattato C.E., per cui la comunità interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e possono essere realizzati meglio a livello comunitario.

 

CAPITOLO III

LA LIBERTA’ SINDACALE.

L’ART. 39 COST 1° COMMA  enuncia che l'organizzazione sindacale è libera.
La libertà sindacale è riconosciuta dall'art. 39 Cost. a cui si aggiungono fonti intenzionali come le Convenzioni dell'organizzazione internazionale del lavoro e la Convenzione europea. Lo statuto dei lavoratori (legge 300 del ‘70) ribadisce il diritto di associazione e di attività sindacale, vieta discriminazioni a causa di attività sindacale e colpisce la costituzione di sindacati c.d. di comodo, lo statuto inoltre detta una specifica normativa per promuovere l'organizzazione e l'attività sindacale. Lo statuto prevede di conseguire per via giudiziaria la repressione della condotta antisindacale posta in essere dal datore dì lavoro.
La libertà sindacale si indirizza verso vari soggetti: tutela le organizzazioni che si qualificano come sindacali e tutela pure i singoli come tali, ossia gli individui che vi aderiscono. Sul piano individuale
vi è una libertà sindacale positiva (che è la libertà per il singolo di costituire un sindacato, di aderirvi, di raccogliere contributi,ecc); e vi è una libertà sindacale negativa (libertà di non aderire o di recedere dal sindacato).

IL DIVIETO DI ATTI DISCIMINATORI.

L’art. 14 della legge n. 300 del 1970 (c.d. STATUTO DEI LAVORATORI), afferma in conformità a quanto già dichiarato dall’art. 39 della Cost., che il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacali, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. L’art. 15 dello stesso statuto sancisce la nullità degli atti discriminatori; esso fissa due punti essenziali:

  • stabilisce la nullità di qualsiasi patto od atto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una organizzazione sindacale, o che cessi di farne parte;
  • sancisce la nullità di qualsiasi atto o patto diretto a licenziare un lavoratore, a discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari o ad arrecargli altrimenti pregiudizio a causa della sua attività sindacale o a causa della sua partecipazione ad uno sciopero.

La norme dispone anche l’illiceità della discriminazione compiuta oltre che per motivi sindacali anche per motivi religiosi.  La discriminazione di carattere sindacale può avvenire da parte del datore di lavoro non solo privando il prestatore di lavoro di particolari benefici o arrecandogli comunque danno, bensì molto più sottilmente attribuendo particolari benefici ai lavoratori che tengono un determinato comportamento e condizionandoli così nell’esercizio dell’attività sindacale. L’art. 16 sancisce il divieto di concedere trattamenti economici di particolare favore aventi carattere discriminatorio.

I SINDACATI DI COMODO.

L’art. 17 dello statuto dei lavoratori vieta la costituzione di sindacati di comodo, cioè di sindacati di lavoratori costituiti e sostenuti qualunque sia il mezzo a tal fine adoperato dai datori di lavoro e dalle loro associazioni; l’esistenza di tali sindacati chiamati nel linguaggio corrente “gialli”, costituisce un modo indiretto di comprimere la libertà sindacale. Tra i modi attraverso cui è possibile fornire sostegno al sindacato di comodo bisogna per esempio ricordare il finanziamento. Si ricordi che affinché ricorra la situazione antigiuridica contemplata dalla norma, il rapporto tra sindacato e datore di lavoro deve essere di asservimento dal primo al secondo.

LA LIBERTA' SINDACALE NELLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI.

La libertà sindacale è anche oggetto di numerose norme di diritto internazionale; vanno in  primo luogo  ricordate  le convenzioni num. 87 e 98 dell'OIL (organizzazione internazionale del lavoro);  queste convenzioni riguardano la materia della libertà sindacale sotto due distinti profili; la convenzione n. 87 si  intitola "libertà sindacale", garantendola nei confronti dello Stato; la convenzione n.  98 si intitola al "diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva" garantendo la libertà sindacale anche nei rapporti interprivati. La convenzione n. 87  dispone principalmente che i lavoratori e i datori di lavoro, senza discriminazione alcuna, hanno diritto di costituire senza autorizzazione preventiva da parte dello Stato organizzazioni sindacali e di aderire alle stesse, esclude inoltre che le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro possono venire sottoposte a provvedimenti amministrativi di scioglimento o sospensione.
La convenzione n. 98, stabilisce invece che i lavoratori debbono godere di una protezione adeguata contro qualsiasi atto di discriminazione antisindacale posto in essere dai datori di lavoro.
A queste fondamentali convenzioni se ne aggiungono altre che riguardano settori particolari. Nell'ambito per esempio dell'ONU  è stato stipulato il PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRETTI ECONOMICI; SOCIALI E CULTURALI il quale prevede fra l'altro l'impegno per gli stati di garantire oltre la libertà sindacale anche il diritto di sciopero.

Profilo negativo della libertà sindacale (libertà di non aderire a nessun sindacato):
contenuto negativo (libertà da).

  • in tale accezione, il principio serve a proteggere il sindacato da interferenze esterne, in primo luogo da intromissioni dello Stato, è questa la libertà come immunità. Ciò significa che lo Stato non può imporre, ma neppure indirizzare, gli scopi del sindacato.
  • Ci sono almeno altri 2 profili dell'accezione negativa della libertà sindacale (la libertà da) che vanno evidenziati. Innanzitutto, lo Stato non può intromettersi ritagliando, con un comando legale, l'ambito territoriale o di riferimento soggettivo entro cui l'azione del sindacato può esercitarsi non può decidere che la contrattazione collettiva del sindacato si svolga a livello nazionale o a livello regionale o ancora soltanto a livello aziendale; non può stabilire che riguardi categorie merceologiche o categorie professionali ecc. eppure c'è nell'ordinamento italiano, una eccezione a questo generale divieto: essa riguarda il pubblico impiego. Qui è la legge che rinviando ad appositi accordi tra l'ARAN e le confederazioni rappresentative dei dipendenti pubblici dispone quali devono essere gli ambiti in cui si svolge la contrattazione collettiva, quali le materie che possono essere negoziate ai vari livelli e le conseguenze della eventuale violazione di tale ripartizione. Tale eccezione si giustifica che nel processo dì negoziazione del settore pubblico entrano in gioco interessi pubblici e generali che non possono essere ignorati, giustificando una intromissione della legge in ambiti in cui normalmente essa non è consentita. In tal caso si dice che la contrattazione collettiva viene funzionalizzata.

Un ultimo profilo della libertà sindacale come divieto di interferenza dello Stato (libertà da) riguarda l'obbligo di astenersi dal regolare la forma giuridica del soggetto sindacale: lo Stato per esempio non può stabilire che i sindacati siano giuridicamente inquadrati nello schema soggettivo dell'associazione di diritto privato.
Nella legislazione italiana, un riferimento esplicito alla libertà sindacale negativa è contenuto nell’art. 15 St. Lav. ove si dichiara illecita la discriminazione ai danni del lavoratore che non aderisce ad una associazione sindacale.

 

L'ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI MILITARI E DELLA POLIZIA

Per quanto attiene ai militari di carriera la legge 382/78 ha posto un limite ben preciso al diritto di sciopero e di costituzione o adesione ad associazioni sindacali; infatti
l'art. 3 di questa legge dopo aver premesso che ai militari spettano i diritti che la
Costituzione riconosce ai cittadini, aggiunge che per garantire l'assolvimento dei
compiti propri delle forze armate, la legge impone ai militari limitazioni
nell'esercizio di alcuni di tali diritti. Un altro articolo con riferimento specifico ai diritti sindacali, sancisce che i  militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali.
Al contrario i militari in  servizio di leva e  quelli richiamati in servizio temporaneo possono iscriversi o restare associati ad organizzazioni sindacali dì categoria, ma è loro vietato svolgere attività sindacale quando si trovino in certe condizioni- ad es- quando indossano  l'uniforme.
Diversa è poi la situazione del personale di polizia di Stato, con una legge dell'81 il personale di PS fu smilitarizzato e ad esso è stato riconosciuto il diritto di associarsi in sindacati, ma solo in regime di separatezza. Un regime di separatezza significa che il personale della Polizia di Stato non può aderire ai sindacati che operano nel restante mondo del lavoro, ma solo dai sindacati che siano formati, diretti e  rappresentati esclusivamente da appartenenti alla polizia di Stato.

LA LIBERTA' SINDACALE DEGLI IMPRENDITORI E DEI LAVORATORI  AUTONOMI                             

Un problema particolarmente dibattuto è quello della libertà sindacale degli  imprenditori. Il  nodo della questione consiste nel riconoscimento o meno della qualificazione sindacale all'attività da questi svolta per la soddisfazione di interessi attinenti ai rapporti di lavoro. Secondo una rilevante teoria anche imprenditori godono della libertà di organizzarsi ai fini sindacali, ma questa libertà troverebbe fondamento nel  diritto positivo interno e non nell'art. 39 Cost., ma negli art. 18 e 41 della stessa, i quali predispongono una tutela meno intensa.

LA LIBERTA’ SINDACALE DEL SOGGETTO COLLETTIVO. IL PROFILO POSITIVO: I DIRITTI.

Dalla libertà sindacale non vengono fuori soltanto divieti ed obblighi di astensione per lo Stato o i privati. Spesso i legislatori nazionali hanno riempito il principio di libertà sindacale anche di prescrizioni positive o di diritti per le organizzazioni (libertà di). Ciò è avvenuto mediante quella che è stata definita, la legislazione promozionale o di sostegno al sindacato contenuta nello statuto dei lavoratori e assume la forma del riconoscimento di specifici diritti del sindacato in azienda. Questa libertà si concretizza:

  • Nel diritto del sindacato ad avere a livello aziendale, rappresentanze sindacali aziendali. Art 19 .
  • Nel riconoscimento a tali rappresentanze sind. aziend. dei poteri di esercizio di diritti di democrazia sindacale: indire assemblee e referendum. ART 20 e 21
  •  Riconoscimento ai dirigenti delle RSA di permessi retribuiti e non retribuiti per svolgere attività sindacale. ART 23
  • Nella previsione   che  il     trasferimento   dì tali  dirigenti  è  subordinato   ad   una autorizzazione- nulla osta da parte dell'associazione di appartenenza art 22.
  • L'obbligo per l'imprenditore di fornire alle RSA, locali per l'esercizio delle attività sindacali ed appositi spazi per affissioni di pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e di lavoro art. 25 e 27.

Ma soprattutto nella previsione del diritto dei lavoratori di    fare proselitismo e di raccogliere contributi per le loro OOSS all'interno dei luoghi di lavoro.  Art. 26 Si ricordi infatti che il sindacato vive di mezzi propri e non gode come invece previsto per i partiti politici di canali di finanziamento pubblico.

  • ART. 20 . - Assemblea.  I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell'orario di lavoro, nonché durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva. Le riunioni - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi - sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. Ulteriori modalità per l'esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.
  • ART. 21 . - Referendum. Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.  Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.
  • ART. 22 . - Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.
    Il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza
  • ART. 23 . - Permessi retribuiti. I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 hanno diritto, per l'espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.  Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
  • ART. 24 . - Permessi non retribuiti. I dirigenti sindacali aziendali di cui all'articolo 23 hanno diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno.  I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
  • ART. 25 . - Diritto di affissione. Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.
  • ART. 26 . - Contributi sindacali. I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo (propagande orali o scritte, raccolta di contributi ed iscrizioni ecc.) per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell'attività aziendale.  Un altro aspetto regolato da questo art. è relativo ai contributi sindacali. I contributi sindacali sono quote che ciascun iscritto è obbligato a versare all’associazione sindacale in esecuzione delle disposizioni statutarie e delle deliberazioni degli organi sociali, per costituire il fondo comune dell’associazione; si tratta pertanto, di una obbligazione liberamente assunta con l’iscrizione. Del tutto diverso era il contributo sindacale dovuto durante il regime corporativo che aveva natura di vero e proprio tributo e obbligava anche i lavoratori non iscritti.
  • ART. 27 . Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.
    Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno dell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.  Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.

 

CAPITOLO IV

PERCHE’ LIBERTA' DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE E_ NON SEMPLICEMENIE DI ASSOCIAZIONE                                                                    

L’ART. 39 della Costituzione specifica il diritto di libertà sindacale e ne sottolinea la valenza di diritto riconosciuto, non solo alle organizzazioni sindacali nei confronti dello Stato, ma anche ai lavoratori nei confronti dei datori di lavoro e dunque all'interno dei luoghi dì lavoro. L'art 39 al I "comma stabilisce che "l'organizzazione sindacale è libera" utilizzando la formula organizzazione e non quella di associazione sindacale. Da questa scelta si possono trarre pertanto due indicazioni:
a)   l'organizzazione sindacale è collocata in una posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri fenomeni associativi cui comunque la Costituzione fa ampio riferimento.(oltre all'arti85 anche l'art 2 cost.) La posizione dì privilegio dell'organizzazione sindacale in termini dì libertà spiega la posizione di particolare immunità del sindacato nei confronti di interventi dello Stato e di terzi, nella sua proiezione organizzativa e nella sua azione e spiega anche la legislazione dì sostegno e promozione.
b)   Per essere protetti dalla disposizione costituzionale art 39 non è necessario darsi una forma organizzativa giuridicamente strutturata come quella associativa; è sufficiente coalizzarsi per perseguire scopi di tutela collettiva del lavoro,secondo le forme organizzate che ì gruppi ritengono di volta in volta più appropriate.

IL SINDACATO DEI LAVORATORI COME SOGGETTO SOCIALE: LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA  DEL SINDACATO.

II sindacato è un fenomeno sociale il cui scopo generale è la tutela collettiva e organizzata degli interessi professionali e di lavoro.
Sono previste due articolazioni organizzative del sindacato;
a)   sindacalismo di mestiere e di industria.
b)    Organizzazione verticale e orizzontale.
Sindacalismo di mestiere aggrega sindacalmente i lavoratori sulla base della loro professione. È la prima forma di organizzazione sindacale che si è sviluppata nei paesi a più antico sviluppo industriale: secondo questo modello in una impresa operano più sindacati, tanti quante sono le professionalità necessarie al processo produttivo.  Il  termine   mestiere indica un insieme di conoscenze, teoriche e pratiche, riconducibile ad uno status professionale omogeneo. Es. sindacato nel quale si organizzano i camionisti, quale che sia l'attività svolta nella impresa presso la quale sono occupati. La formula del sindacalismo di mestiere oggi è praticata più che altro nell’area dei sindacati autonomi, non aderenti cioè ad una delle tre confederazioni nazionali. 
Sindacalismo di industria aggrega sindacalmente i lavoratori sulla base del settore produttivo nel quale operano a prescindere dal tipo di mansioni che essi svolgono. Es sindacato nel quale si organizzano tutti i dipendenti delle imprese tessili (camionisti, contabili, addetti alla lavorazione del prodotto).
Organizzazione orizzontale aggrega sindacalmente ì lavoratori non per categoria professionale ma su base territoriale (Camere dei lavoro, Unioni sindacali a livello provinciale, regionale ecc.)- cioè l'elemento di aggregazione è l’appartenenza dei lavoratori e delle imprese ai vari settori merceologici presenti in una certa area geografica.
Organizzazione verticale si aggregano i lavoratori sulla base della categoria, ossia dal tipo di attività svolta dalle imprese di appartenenza (le federazioni provinciali, regionali e nazionali di categoria). L'elemento di aggregazione è l'appartenenza dei lavoratori e delle imprese da cui questi dipendono allo stesso settore o categoria produttiva (es. tessile, metalmeccanici, bancari) presenti in una certa area geografica.
Le strutture orizzontali e verticali dei sindacati coesistono ma non si sovrappongono svolgendo compiti diversi. Se occorre organizzare uno sciopero ed una manifestazione di protesta su temi generali, è evidente che entrano in campo le strutture orizzontali dei sindacati nazionali (le confederazioni); lo stesso se occorre concertare lo sviluppo economico di un particolare territorio (la c.d. concertazione locale); in tal caso entrano in campo le strutture orizzontali di livello sub­nazionale (regionale o provinciale).
Se invece occorre rinnovare i contratti collettivi di livella aziendale o di categoria nazionale, o se occorre affrontare un problema locale che riguarda una particolare categoria (i tagli occupazionali in una azienda) si attivano le strutture verticali dei sindacati dì categoria, di ambito nazionale o territoriale a seconda del livello in cui dovrà svolgersi il negoziato. È a quest'ultime che in Italia è prevalentemente affidata,!'attività di contrattazione collettiva.

 

LE AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI

In ambito comunitario si è formata la confederazione europea dei sindacati (CES) che4 svolge una intensa attività politica nei confronti degli organi delle comunità europee; ad essa aderiscono tutte e tre le confederazioni italiane che aderiscono anche ad organizzazioni sindacali internazionali. La CISL e la UIL fanno parte per esempio della confederazione internazionale dei sindacati liberi (CILSL internazionale).

L’ASSOCIAZIONISMO SINDACALE DEGLI IMPRENDITORI.

Anche tra gli imprenditori si sono sviluppate strutture associative per la difesa di interessi attinenti al rapporto di lavoro. L’associazione sindacale degli imprenditori nasce dalla necessità di contrastare la controparte oltre che ad evitare che la concorrenza di altri imprenditori possa fondarsi su minori costi della forza lavoro. I datori di lavoro (imprenditori) si raggruppano in confederazioni che si distinguono per  grandi settori economici. Le maggiori organizzazioni sono per l’industria la Cofindustria; per il commercio la Confcommercio; per l’agricoltura la Confagricoltura. Negli stessi settori operano anche organizzazioni concorrenti che, spesso, si distinguono per diversi orientamenti politici, per es: nell’industria la Confai, nel commercio la Confesercenti, nel settore agricolo la Coldiretti.

L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE NON ASSOCIATIVA.

La forma organizzativa storicamente prevalente del fenomeno sindacale è certamente quella associativa, ma questo si può svolgere anche in forme organizzative diverse, per esempio, in fasi di particolare risveglio conflittuale e iniziative di lotta, molto spesso non sono assunte da associazioni sindacali, ma da soggetti diversi, per esempio comitati di agitazione, delegazioni di lavoratori e forme analoghe di organizzazioni spontanee.

IL SINDACATO COME SOGGETTO GIRIDICO: INQUADRAMENTO NELLO SCHEMA DELLA ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA. MANCATA ATTUAZIONE DELL’ART. 39 DELLA COSTITUZIONE.

Dal primo comma dell’art. 39 della Cost., può ricavarsi la più ampia autonomia del gruppo sindacale; i commi successivi, prevedono anche che: 1) i sindacati siano soggetti a registrazione; 2) che la condizione per la registrazione sia la democraticità degli statuti; 3) che, attraverso la registrazione, essi acquistino la personalità giuridica; 4) che i sindacati registrati, rapprsentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, possano stipulare contratti collettivi dotati di efficacia generale. Contrariamente al principio sancito nel primo comma, il meccanismo delineato dai commi successivi (2°, 3°, 4°)necessitava, per diventare operativo, di una serie di specificazioni (eccessivo dispendio burocratico) da parte della legislazione ordinaria (ricordiamo che il legislatore ordinario recepisce ei principi costituzionali attraverso la legislazione interna trasformando i principi in precetti) per esempio era necessario determinare gli uffici competenti per la registrazione e, soprattutto, creare un meccanismo che consentisse la predeterminazione della categoria professionale, nell’ambito della quale, procedere all’accertamento del numero di iscritti di ciascun sindacato.  Ma il legislatore non è mai intervenuto su questi punti e le ragioni della mancata attuazione di questi commi sono di varia natura:

  • in primo luogo vi è sempre stato il timore che la registrazione ed i  relativi controlli diventassero uno strumento di intromissione dello stato nella vita interna del sindacato;
  • in secondo luogo si è andato, nel tempo, considerando  un sistema sindacale che, a partire dagli anni 70, ha acquisito molto grado di potere contrattuale e politico al quale lo stato ha risposto, anziché in termini di attuazione costituzionale, con la legislazione di sostegno che presupponeva il sistema sindacale esistente e ne attuava un diretto riconoscimento (scelta del legislatore di non attuare con legge i principi dell’art. 39). È venuto così fuori un sistema sindacale di fatto.

La mancata attuazione dei commi 2°, 3° e 4° della norma, non è però un inadempimento costituzionale, come si sostenne in passato, infatti, il meccanismo di detti commi è diretto ad attribuire ai sindacati che si assoggettano al controllo della registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi erga omnes (da poter far valere contro tutti), non a disciplinare in sé il soggetto sindacale.  La scelta di non procedere all’emanazione della legge sindacale, ha un significato ben preciso, e cioè, quello che lo stato apparato non deve interferire con l’attività autonoma dei gruppi sociali.  In termini giuridici la traduzione di questa scelta politica, comporta il rifiuto di soluzioni che declinino la regolamentazione dell’esperienza sindacale all’interno del diritto pubblico, per agganciarla al diritto privato. Una prima conseguenza dell’inquadramento del sindacato nel diritto privato è la sua qualificazione giuridica come associazione non riconosciuta.
Il codice del 1865, ispirato alla codificazione napoleonica, ignorava del tutto questo tipi di organizzazione sociale; infatti, l’idea centrale dei sistemi giuridici ispirati alla rivoluzione francese, è la riduzione del rapporto tra individuo e stato a termini essenziali; le posizioni intermedie risultano accettabili soltanto attraverso la figura della persona giuridica sottoposta a precise forme di controllo da parte della autorità politico-amministrativa.
Attraverso l’evoluzione del pensiero giuridico, già all’inizio del secolo, affiorano innovative posizioni che tendevano a svincolarsi dal pensiero individualistico, esse scorgevano nell’associazione, non soltanto una somma di individui, bensì una unità giuridica; questa dottrina ha influito sulla disciplina dettata dal codice del 42 in tema di associazione non riconosciuta; secondo il codice attuale il fondo sociale costituisce un’unità che va oltre i singoli individui facenti parte dell’associazione. Il fondo permane oltre la volontà del socio di mantenere in vita il rapporto giuridico e si estingue soltanto con l’atto con cui i soci deliberano lo scioglimento dell’associazione. Sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, l’associazione non riconosciuta, si pone in una posizione intermedia tra quella della persona giuridica che ha una autonomia patrimoniale perfetta e, l’imputazione a tutti i singoli soci, come deriva dalla visione atomistica propria della vecchia dottrina. Tale posizione intermedia consiste nella congiunta e solidale responsabilità del fondo sociale e delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione. La natura unitaria dell’associazione resta, infine, confermata dalla attribuzione della rappresentanza processuale di essa al presidente o al direttore; parti in giudizio pertanto, non sono i soci, bensì l’associazione attraverso tali persone. Da tutti questi elementi si evince che l’associazione non riconosciuta è soggetto di diritto, perché costituisce un centro autonomo di imputazioni giuridiche.
I sindacati in quanto associazioni non riconosciute, non hanno neppure l'obbligo di rendere pubblici i propri bilanci. La norma chiave che riguarda le associazioni non riconosciute è l'art. 36 c.c. il quale prevede che “l’ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolate dagli accordi degli associati". Il  che significa che nessuna regola esterna può intervenire a disciplinare la c.d. vita di relazione endoassociativa, vale a dire la gestione degli affari interni. Valgono soltanto le regole che gli stessi associati si danno attraverso gli statuti sindacali interni che fungono da vere e proprie costituzioni delle associazioni sindacali. Il  codice si premura pure di garantire un minimo di autonomia patrimoniale alle associazioni il cui fondo comune è costituito dai contributi degli associati;questi ultimi non possono chiedere la divisione finché dura l'associazione né pretenderne una quota in caso di recesso; viene regolata infine la responsabilità delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione. (art 37 - 38 c.c.). in sintesi la disciplina codicistica regola in misura limitata l'attività internala vita endoassociativa (la democrazia interna ed i rapporti patrimoniali), non regola invece l'attività esterna (contrattazione collettiva).

LA DISCIPLINA DELLE FORME ORGANIZZATORIE NON ASSOCIATIVE.

Come già detto, l’organizzazione sindacale può assumere una veste diversa da quella associativa; può, infatti, accadere che i lavoratori conducano azioni conflittuali anche attraverso delegazioni occasionali, comitati di sciopero, comitati di base ecc. che vengono investite di un mandato per organizzare le forme di lotta e per condurre le eventuali trattative. Al termine del conflitto, la coalizione esaurisce il suo mandato e si scioglie. In essa, mancando l’elemento della stabilità, non può certo ravvisarsi un’associazione, bensì un nucleo organizzativo che in termini giuridici può inquadrarsi nelle figura del comitato.

INTERESSI INDIVIDUALI COLLETTIVI E GENERALI.

Bisogna distinguere l’interesse generale di cui è portatrice l’intera comunità eretta a Stato, dall’interesse collettivo di cui è portatore il sindacato; infatti, il sindacato, esprime gli interessi di un gruppo di lavoratori, e per quanto possa essere grande e numeroso questo gruppo, esso non viene mai a conciliare con la società nel suo complesso; lo stesso interesse collettivo di cui è portatore il sindacato, non deve essere confuso con l’interesse individuale dei singoli aderenti al sindacato stesso. L’interesse collettivo (collettività: gruppo di lavoratori) non è la somma di interessi individuali, ma la loro combinazione, ed è indivisibile, nel senso che viene soddisfatto non da più beni atti a soddisfare bisogni individuali, ma da un unico bene atto a soddisfare il bisogno della collettività. Nel linguaggio tecnico giuridico spesso l’espressione interesse collettivo è utilizzata in modo più o meno fungibile con quella di interesse diffuso, nota dalla tendenza giurisprudenziale ad introdurre forme di tutela di interessi di cui proprio per la loro ampia diffusione è difficile individuare il titolare, e dunque colui che è legittimato a farli valere in giudizio.

CAPITOLO V

IL SINDACATO NELLA SUA PROIEZIONE ESTERNA. LA RAPPRESENZA E LA RAPPRESENTATIVITA’

II problema, circa la rappresentanza sindacale, ( si rinvia la trattazione cap.V relativamente all’efficacia soggettiva o oggettiva del contratto collettivo) quale tipica rappresentanza di interessi, è quello di stabilire se circa le regole giuridiche assomigli più alla rappresentanza politica di diritto pubblico o alla rappresentanza negoziale di diritto privato. Nel diritto costituzionale la rappresentanza è l'istituto mediante il quale si esercita la democrazia rappresentativa, attraverso il mandato non imperativo che i rappresentanti ricevono in occasione delle elezioni politiche o amministrative. Nel diritto privato la rappresentanza è l'istituto mediante il quale è consentito ad un soggetto(mandatario) di agire in nome e per conto di altri (mandante), trasferendo su quest'ultimo gli effetti giuridici della propria azione. La Rappresentatività sindacale invece richiama la normale capacità del sindacato di rispecchiare e rappresentare le domande dei propri iscritti. Tale capacità ha normalmente un connotato quantitativo: si dice rappresentativo, un sindacato nazionaleche ha molti iscritti nella categoria di riferimento, ma può pure dirsi rappresentativo un sindacato aziendaleche ha un seguito di lavoratori maggioritario (o totalitario) in un'azienda. Ma la rappresentatività ha pure un connotato qualitativo: si dice che un sindacato è rappresentativo quando è in grado di trasformare efficacemente le domande degli iscritti in azione negoziale, attraverso quella che è la sua autorevolezza, credibilità politico-negoziale del sindacato, la riuscita degli scioperi indetti ecc.

LA NOZIONE GIURIDICA DELLA RAPPRESENTATIVITA’ SINDACALE

La nozione di rappresentatività sindacale assume rilievo giuridico, cioè il legislatore italiano ha inteso dargli una raffigurazione: funzionale per attribuire poteri, funzioni o prerogative ai sindacati rappresentativi.
In particolare nell'ordinamento italiano alla nozione di rappresentatività sono attribuite due funzioni generali.

  • Funzione  qualificatoria:   poiché in Italia     manca una legge con cui  si  definisce  cosa è giuridicamente un sindacato, il concetto di sindacato rappresentativo fornisce uno schema giuridico al soggetto sindacale in assenza di una legge di regolazione e qualificazione del medesimo.
  • Funzione -lato sensu- selettiva: quale criterio di selezione tra più sindacati nei sistemi pluralistici. La funzione selettiva di rappresentatività sindacale è sicuramente quella più rilevante nel ns. ordinamento giuridico. Tale funzione selettiva è esercitata attraverso specifiche previsioni legislative (che danno rilevanza giuridica al concetto di rappresentatività in funzione selettiva) per quanto riguarda l'accesso ai diritti connessi all'attività sindacale, la partecipazione al processo di negoziazione collettiva, la partecipazione ad organi o collegi istituzionali, lo svolgimento di attività negoziali che si svolgono su rinvio legale. La funzione selettiva può essere esercitata anche in via di fatto come giudizio politico da parte di terzi, i sindacati che vi partecipano sono quelli che a giudizio degli altri attori (governi nazionali e locali, le associazioni imprenditoriali) sono considerati in via di fatto rappresentativi. Tale esercizio in via di fatto riguarda la concertazione nazionale e locale.

 

 

IL SINDACATO MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVO.

La legge n. 300 del 70 ha riconosciuto ai sindacati maggiormente rappresentativi (quelli dotati di una effettiva capacità unificatrice del gruppo professionale) diritti che favoriscono il rapporto tra l’organizzazione ed i lavoratori rappresentati; questi diritti implicano una intromissione nella sfera giuridica dell’imprenditore es.: esercitare il diritto di assemblea, significa permanere nei locali di pertinenza dell’imprenditore per svolgere un’attività estranea al rapporto di lavoro. Scopo di questa legge del 70 è quello di favorire l’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro e per realizzare ciò deve appunto comprimere alcuni diritti dell’imprenditore.

GLI INDICI DELLA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITA’

Gli indici della maggiore rappresentatività sono:

  • la consistenza del numero degli iscritti;
  • l’equilibrata presenza in un ampio arco di settori produttivi;
  • lo svolgimento di una attività di contrattazione;
  • in genere autotutela con caratteri di effettività, continuità e sistematicità.

È necessario ricordare che la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo è entrata in crisi almeno dalla 2° metà degli anni 80.

L’ART. 19 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI E IL REFERENDUM DEL 95.

Lo statuto dei lavoratori (legge 300 del 1970), ha assolto un compito fondamentale nella vicenda del sindacato maggiormente rappresentativo. L'articolo 19 che apre il titolo terzo della legge, e cioè la parte qualificabile come legislazione di sostegno, nella sua formulazione originaria individuava come soggetti titolari di diritti sindacali le rappresentanze sindacali aziendali  (RSA) che fossero costituite ad iniziativa dei lavoratori e:

  • operassero nell'ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
  • e in via residuale all’ambito delle associazioni non affiliate alle predette confederazioni, che siano materia di contratti collettivi, nazionali o provinciali di lavoro applicati nelle unità produttive.

Dopo l'abrogazione referendaria della prima, oggi il titolo terzo trova applicazione solo per le rappresentanze costituite nell'ambito dei sindacati che abbiano stipulato contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, quale che sia peraltro il proprio livello: internazionale, federale, nazionale di categoria, provinciale, aziendale.

LA RAPPRESENTATIVITA’ NEL SETTORE PUBBLICO (NO)

Nella regolamentasse giuridica delle relazioni sindacali nelle pubbliche amministrazioni, la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo, non assolve solo alla funzione di individuazione di soggetti titolari di diritti sindacali ma anche quella di individuare i sindacati abilitati all'attività di contrattazione collettiva nazionale. La legge disponeva che requisiti per la qualificazione di un sindacato come maggiormente rappresentativo, fossero stabiliti in un apposito accordo tra il Presidente del Consiglio dei ministri e le Confederazioni maggiormente rappresentative. Successivamente il legislatore ha rovesciato la scelta precedente disponendo con il decreto legislativo n° 16 del 2001, che siano ammessi alla contrattazione collettiva nazionale i sindacati che realizzino un indice di rappresentatività non inferiore al 5%, calcolato sulla media tra il dato associativo e quel elettorale. Il primo dato è calcolato sulla base della percentuale delle deleghe per il pagamento dei contributi associativi in favore di ogni singolo sindacato, sul totale delle deleghe rilasciate dei lavoratori nell'ambito del contratto da stipulare. Il secondo dato, quel elettorale, è calcolato dalla percentuale dei voti ottenuti dalle liste espresse da ciascun sindacato, sul totale dei voti espressi per l'elezione delle rappresentanze sindacali unitarie.

LA RAPPRESENTATIVITA’ COME NOZIONE ELASTICA; LA SUA MISURABILITA’  PER LA COMPARAZIONE TRA SINDACATI.

Dunque, per costituire rappresentanze sindacali cui attribuire prerogative e privilegi, la formula utilizzata dall'art. 19 Stat. Lav. prima della modifica referendaria era quella di confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale. Abrogata la disposizione contenuta nell'art 19, il legislatore ha utilizzato negli interventi legislativi la formula del sindacato comparativamente più rappresentativo,
II problema della nozione di rappresentatività è fondamentalmente quello della sua misurabilità. Quando infatti il legislatore si limita a prevedere che una certa funzione contrattuale è riservata ai sindacati comparativamente più rappresentativi egli sostanzialmente non assolve al compito di stabilire, tanto in generale e in astratto, quanto in concreto e di volta involta, chi è comparativamente più rappresentativo di un altro e chi non lo è affatto. Il nodo circa la rappresentatività sindacale verrà sciolto in caso di conflitto sulla esistenza del requisito della maggiore rappresentatività in assoluto, o su chi fra due sindacali è più rappresentativo dell'altro, attraverso il rinvio dal legislatore al giudice. La legge impone, dunque, al giudice o alla P.A., di attribuire effetto al contratto che sia stato stipulato dalle parti (organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori) che comparativamente siano più rappresentative di quelle che hanno stipulato l’altro contratto, cui andranno negati gli effetti giuridici (ma non la sua efficacia come contratto collettivo). La comparazione andrà compiuta sulla base di indici tradizionalmente elaborati: consistenza numerica, diffusione territoriale, partecipazione effettiva alla dinamica delle relazioni industriali..

GLI ORGANISMI DI RAPPRESENTANZA DEL SINDACATO E DEI LAVORATORI NEI LUOGHI DI LAVORO.

I lavoratori si organizzano per fini di autotutela dei propri interessi sia fuori dai luoghi di lavoro che all’interno di questi. Alle origini, il movimento operaio si era dato una struttura di tipo prevalentemente territoriale, da cui derivava conseguentemente una minor forza organizzativa nei luoghi di lavoro. La risposta all’esigenza di una adeguata organizzazione interna all’azienda, fin dai primissimi anni del secolo, fu la creazione di un canale di rappresentanza diverso e comunque separato da quello dei sindacati. Mentre questi ultimi si davano la struttura associativa che ancora conservano (e cioè organizzazioni stabili ad adesioni libera), nascevano organi che assumevano la forma di una struttura elettiva di rappresentanza di tutti i lavoratori impiegati nell’imnpresa. Si formava così il doppio canale di rappresentanza costituito da sindacati aventi struttura associativa e da altri organi di rappresentanza dei lavoratori aventi struttura elettiva.
LE COMMISSIONI INTERNE.
La più antica forma di rappresentanza dei lavoratori d’azienda, e nelle nostre esperienze la più tipica espressione del c.d. doppio canale, è data dalle commissioni interne, affiorate nei primi anni del 900. Queste commissioni furono poi soppresse durante il regime fascista e furono ripristinate immediatamente dopo la caduta del regime fascista, sotto il governo di Badoglio con il c.d. Patto Buozzi Mazzini. Bisogna ricordare, in particolare, che con questo patto attribuiva alle commissioni interne un compito di contrattazione coltiva a livello aziendale.  Per quanto concerne la composizione delle commissioni interne, questa era determinata da una elezione  a suffragio universale per le liste contrapposte, e all’interno di queste, con voto di preferenza; la ripartizione dei seggi avveniva con il metodo proporzionale e la presentazione delle liste era aperta a qualsiasi gruppo: sia inquadrato sindacalmente, sia indipendente. Successivamente, con un accordo del 1966 è stata esclusa ogni funzione contrattuale delle commissioni interne, imponendo che fosse rimessa alle organizzazioni sindacali. 

LE SEZIONI SINDACALI AZIENDALI.
Alla metà del 900 oltre alla creazione delle commissioni interne, sono stati  compiuti numerosi tentativi per radicare le strutture associative nei luoghi di lavoro mediante la costituzione di  sezioni sindacali aziendali (SAS)       propugnate soprattutto dalla CISL, contraria a strutture di rappresentanza che fondassero la loro legittimazione su un mandato elettorale aperto anche ai lavoratori non iscritti.
I DELEGATI ED I CONSIGLI.
Tra il 1968 ed il 1969 nacquero e rapidamente si affermarono nuove strutture di rappresentanza dei lavoratori all’interno delle imprese: i delegati ed il consiglio di fabbrica. Queste strutture sostituiscono nel giro di pochi anni le commissioni interne e da esse si differenziano per un più stretto  rapporto tra rappresentanti e rappresentati e per l’instaurazione di un legame organizzativo e politico con il sindacato esterno. Le tre maggiori confederazioni (CGIL, CISL, UIL) allora riunite in una federazione, riconobbero, infatti, questi organismi come la propria struttura di base all’interno dei luoghi di lavoro. I delegati rappresentavano i lavoratori appartenenti ad uno stesso gruppo omogeneo, cioè da un gruppo individuato dalla sua collocazione nel processo produttivo e dunque, da un elevato grado di omogeneità di interessi (i lavoratori di uno stesso reparto, di uno stesso ufficio ecc.), la loro elezione era in genere libera  da ogni vincolo di designazione da parte delle istanze sindacali esterne, non era neanche previsto che il delegato fosse iscritto al sindacato, anche se, comunque, la grande maggioranza lo era, e lo divenne sempre di più nel tempo. Il consiglio di fabbrica (o consiglio di delegati), era formato da tutti i delegati di una certa unità produttiva; nelle fabbriche più grandi, dato l’elevato numero di questi, veniva nominato un esecutivo. Il patto federativo stipulato nel 72 tra CGIL, CSL e UIL, attribuiva al consiglio poteri di contrattazione sui posti di lavoro. La grande ristrutturazione dell’apparato produttivo avvenuta negli anni 80, determinò lo spostamento dell’asse del sistema produttivo, da un lato verso i servizi, dall’altro verso la piccola impresa manifatturiera; in questi settori i consigli o non erano stati creati per nulla, o erano stati un fenomeno di imitazione.
LE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI DELL’ART. 19 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI.

ART. 19. - Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva:

  1. nell'ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità produttiva.
  2. nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento

Gli interessi che assumono una rilevanza politica ampia e generale (temi delle pensioni e del Welfare State) vengono rappresentati e tutelati dal livello di vertice del sindacato quello nazionale confederale. Altre questioni ed altri interessi, più particolari e circoscritti, richiedono, invece, di essere rappresentali e tutelati dalle strutture periferiche e decentrate del sindacato, sia territoriale sia aziendale. A quest'ultimo livello la legge si preoccupa addirittura di promuovere e sostenere la costituzione di specifici organismi aziendali del sindacato, le c.d. RSA (art 19 St. lav.). (Rappresentanze Sindacali Aziendali) senza però regolarne la struttura. Questa norma ha un carattere definitorio, serve cioè ad identificare i soggetti titolari per legge dei diritti sindacali. I soli requisiti perché si produca l’effetto della titolarità dei diritti sindacali sono:

  1. che la costituzione della rappresentanza sindacale aziendale avvenga ad iniziativa dei lavoratori;
  2. che essa operi nell’ambito delle organizzazioni che rispondono ai requisiti indicati nell’art. 19.

LE RAPPRESENTANZE SINDACALI UNITARIE NEL SETTORE PRIVATO.
Con il protocollo tra governo e parti sociali del luglio del 93 sono state previste le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) regolate da un accordo delle tre confederazioni con la Confindustria e con l’intersind  (confederazioni sindacali) del dicembre 93. L’accordo prevede che l’iniziativa della costituzione delle RSU o del loro rinnovo (di regola ogni tre anni), possa essere presa anche disgiuntamente dalla RSU di cui sta per scadere il mandato, da ciascuna delle associazioni sindacali firmatarie del protocollo del luglio 93 e dell’accordo interconfederale, o ancora dagli altri sindacati, che formalmente costituiti con un proprio statuto ed atto costitutivo, aderiscono all’accordo, e raccolgono un numero di firme non inferiore a 5% dei lavoratori aventi diritto al voto. Un’altra caratteristica dell’accordo è la sua non esclusività; all’accordo stesso, possono, infatti, aderire organizzazioni non affiliate alle confederazioni inizialmente sottoscrittrici (CGIL CISL UIL), e queste organizzazioni possono anche partecipare alle elezioni delle RSU all’unica condizione che abbiano che abbiano sottoscritto il contratto collettivo nazionale, oppure raccolgono un numero di firme non inferiore al 5% dei lavoratori aventi diritto al voto. Nell'elezione delle RSU, solo due terzi dei seggi sono ripartiti tra tutte le liste regolarmente presentate in proporzione ai voti conseguiti, sull'altro terzo concorrono solo le liste presentate dai sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale. Le elezioni sono valide se si realizza il quorum del 50% + uno degli elettori; peraltro con una norma si consente alle commissioni elettorali ed alle associazioni sindacali di considerare valide le elezioni anche se il quorum non è stato raggiunto “in relazione alla situazione venutasi a determinare". Inoltre la durata del mandato è rigidamente determinata in 3 anni, senza possibilità di proroghe. Il protocollo del luglio 93 spiega la sua efficacia sia nei confronti del
lavoro privato, sia di quello pubblico e quindi le RSU devono essere costituite
anche in ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa che abbia almeno 15 dipendenti.   Le  RSU  rispondono contemporaneamente a due logiche distinte. Queste strutture costituiscono ad un tempo organismi periferici dei sindacati che decidono di darsi terminali organizzativi, unitari e non separati per sigla sindacale, ma sono anche strutture di rappresentanza diretta, e non mediata dal sindacato, della comunità dei lavoratori. Il fatto che lo stesso organismo rappresenti ad un tempo i sindacati esterni che lo promuovono e la collettività dei lavoratori di una azienda realizza il c.d. modello dei canale unico di rappresentanza, (è una scelta abbastanza eccentrica). In altri sistemi, nei luoghi di lavoro coesistono, ma con funzioni distinte e separate, organismi di rappresentanza della comunità dei lavoratori ed organismi di rappresentanza dei sindacati (modello del doppio canale).

ALTRI ORGANISMI DI RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI IN AZIENDA: L'ATTIVITÀ' DI PARTECIPAZIONE.

L’art. 46 della nostra costituzione, prevede il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’impresa, ma è stata del tutto carente la pressione delle forze sociali e politiche per l’emanazione di una legge che vi desse attuazione. In un primo momento questa mancata attuazione è stata dovuta alla ferma opposizione degli imprenditori, ma, successivamente anche alla acquisita convinzione da parte dei sindacati italiani dell’inopportunità che rappresentanti di lavoratori dipendenti fossero presenti negli organi di gestione delle imprese. Sono stati comunque messi in atto strumenti per far pesare in qualche misura gli interessi dei lavoratori nei processi decisionali delle imprese. Infatti, vi sono dei casi in cui è la legge a promuovere la costituzione di altri organismi di rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; organismi che rispondono ad un' esigenza di specializzare, per così dire, la rappresentanza nei luoghi di lavoro. Infatti dati gli interessi generali che coinvolge (tutela della salute e della sicurezza) si impone la costituzione di rappresentanze dei lavoratori ad hoc. Per questa ragione il d.lgs. n. 626/1994 che attua le direttive CEE prevede che l'attività di elaborazione e partecipazione alla gestione del sistema di prevenzione nei luoghi di lavoro siano obbligatoriamente coinvolti rappresentanti dei lavoratori, cui sono attribuiti specifici diritti di informazione e di formazione, oltre che poteri di controllo dell'esatta applicazione delle regole di sicurezza e di efficienza complessiva del sistema dì prevenzione. La legge riconosce a tali rappresentanti anche il diritto a riunioni periodiche, la facoltà di formulare osservazioni di proporre ricorso alle autorità competenti ecc.
Nella materia della salute e della sicurezza i rappresentanti dei lavoratori vengono, infatti coinvolti in un'attività più di partecipazione che di negoziazione come invece avviene per tutti gli altri organismi di rappresentanza; basti pensare a questo proposito che non sarebbe possibile né lecito negoziare, secondo una logica tipica dello scambio contrattuale e sindacale,minori misure di sicurezza e prevenzione in cambio di un maggiore salario. Ciò proprio perché il concetto di prevenzione e di sicurezza che si impone attraverso la legislazione comunitaria ma che si intravede anche nella nostra Costituzione è un concetto assoluto e non relativo.

IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA.

Una forma specializzata di rappresentanza dei lavoratori in azienda legalmente prevista, è quella del rappresentante per la sicurezza, che ha competenza in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. La formazione di questo rappresentane è obbligatoria in tutte le aziende, o se l’azienda è articolata in più unità produttive, in ciascuna di queste. Nelle aziende con meno di 15 dipendenti il rappresentante è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno, in quelle con più di 15 dipendenti, invece, il rappresentante per la sicurezza va individuato nell’ambito delle rappresentanze sindacali operanti in azienda (naturalmente se queste esistono). Questi rappresentanti per la sicurezza che  devono ricevere un’adeguata formazione sia sulla normativa che sui rischi specifici esistenti nel proprio ambito di competenza, hanno diritto a permessi retribuiti e ai mezzi necessari per l’esercizio delle loro funzioni; oltretutto possono accedere liberamente ai luoghi di lavoro e devono essere consultati su una serie di temi, ricevere tutte le informazioni necessarie per accedere ai documenti utili.

 

I COMITATI AZIENDALI EUROPEI COME TITOLARI DI DIRITTI DI INFORMAZIONE NELLE IMPRESE DI DIMENSIONE EUROPEA.

Importanti strumenti dì partecipazione dei lavoratori in azienda sono i comitati aziendali europei (CAB) regolati dal diritto comunitario ed in particolare dalla direttiva n. 94/45/CE che è intesa a migliorare il diritto all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie.
La preoccupazione che accompagna la direttiva sui CAE (comitati aziendali europei) è di evitare che il sempre più ricorrente carattere transnazionale delle attività di impresa penalizzi i lavoratori attraverso trattamenti "al ribasso" differenziati da paese a paese, il c.d. dumping sociale (concorrenza basata sul gioco al ribasso delle condizioni di lavoro). La direttiva intende così garantire uniformità di trattamenti in materia di informazione e consultazione indipendentemente dal paese in cui ha sede l’impresa.

I DIRITTI SINDACALI NEL PUBBLICO IMPIEGO.

Per i  dipendenti dello stato e degli altri enti pubblici soggetti alla riforma, oggi, è vigente l’art. 2 del d. lgs n. 165/2001 che, disponendo la c.d. privatizzazione del pubblico impiego, ha affermato che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, e tra esse, dallo statuto. In coerenza con questq norma di principio il d. lgs n. 165/2001, dispone esplicitamente che anche nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l’attività sindacale siano tutelate nelle forme previste dalla legge n. 300/70. questo discorso, però, non  toglie che anche in questa materia vi siano importanti differenze con il settore privato; ignoti nel settore privato, i diritti sindacali spettano alle diverse r.s.a. in misura paritaria, mentre, nel settore pubblico, i diritti ai permessi previsti  degli articoli dello  statuto, sono determinati quantitativamente nella loro misura complessiva, e ripartiti tra i diversi sindacati in proporzione al loro grado di rappresentatività.

CAPITOLO VII

LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE.

ART. 28 . - Repressione della condotta antisindacale.
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse (non sono dunque legittimati né i singoli lavoratori, né le organizzazioni sindacali prive di rappresentatività sul piano nazionale, ma soggetti collettivi quali gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse), al Tribunale, in composizione monocratica, del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo.
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. Il processo si conclude se il giudice ritiene fondata l’azione promossa dal sindacato con una condanna del datore a ripristinare la situazione di pieno godimento delle libertà sindacali e del diritto di sciopero. In questa fase il legislatore mira solo a ripristinare lo status quo ante, senza ulteriori conseguenze sanzionatorie per il datore di lavoro.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda; come maggior sanzione sociale al riprovevole comportamento, la sentenza di condanna penale è anche soggetta a pubblicazione. Infatti, l'autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall'articolo 36 del codice penale.
Il limite della legittimazione attiva agli organismi locali dei sindacati nazionali, ha sollevato problemi di legittimità costituzionale tra i più dibattuti. Le obiezioni si sono fondate in vario modo sugli articoli:

  1. 24 della Costituzione che riconosce ad ogni soggetti di diritto di agire in giudizio tutela delle proprie posizioni giuridiche;
  2. sull'articolo 2 relativamente ai diritti dei cittadini nelle formazioni sociali;
  3. e sugli articoli 3 e 39 relativi all'uguaglianza e alla libertà sindacale.

La corte costituzionale ha respinto tutte queste obiezioni con le stesse argomentazioni: la scelta del legislatore non limita in alcun modo i diritti individuali e collettivi di libertà sindacale, ma attribuisce soggetti qualificati uno strumento di azione giudiziaria di particolare efficacia. Il contrasto con l'articolo 24 della costituzione è stato escluso in quanto l'articolo 28 non sostituirebbe i mezzi di tutela giudiziaria assicurati ai sindacati e alle altre organizzazioni, ma ne introdurrebbe uno  nuovo.
 LA CONDOTTA ANTISINDACALE
L’azione in giudizio ha come presupposto una condotta antisindacale posta in essere dai soggetti che nella gerarchia dell’impresa svolgono attività imputabile al datore di lavoro. Inizialmente secondo una interpretazione restrittiva si riteneva che la condotta doveva definirsi antisindacale solo quando colpiva un interesse esclusivo del sindacato; in realtà è prevalso un diverso orientamento, secondo il quale la condotta è antisindacale anche quando il comportamento lede un interesse individuale che abbia una propria tutela giudiziaria. Si è parlato a proposito di plurioffensività del comportamento, nel senso che questo è idoneo ad incidere nello stesso momento sull’interesse individuale e sull’interesse collettivo.

LA CONDOTTA ANTISINDACALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI.
Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al primo comma, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al primo comma. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.

CAPITOLO VIII
IL CONTRATTO COLLETTIVO.
LA FUNZIONE NORMATIVA ED ALTRE FUNZIONI.

Il  movimento sindacale ha da sempre avuto tra i suoi fini primari quello di ottenere minimi di tutela economica e normativa della condizione di vita e di lavoro degli operai e degli altri lavoratori subordinati; questo fine è stato perseguito soprattutto attraverso il contratto collettivo, cioè attraverso un’attività di contrattazione tra il sindacato e i datori di lavoro o le associazioni imprenditoriali.
Il contratto collettivo costituisce lo strumento per definire bilateralmente e quindi convenzionalmente le condizioni di trattamento economico e normativo dei rapporti di lavoro subordinato di soggetti che, rispetto a tale fonte si presentano formalmente terzi; infatti il contratto collettivo è stipulato da organizzazioni di rappresentanza e cioè, da soggetti collettivi, ma esplica molti dei suoi effetti, non tutti, su terzi formalmente estranei: i singoli lavoratori e i rispettivi datori di lavoro.
Funzione normativa del contratto collettivo (determinazione delle condizioni economiche e normative dei lavoratori); all’interno della categoria giuridica dei contratti, il contratto collettivo si distingue in relazione alla sua funzione. Alle origini il suo contenuto era costituito solo da clausole sui minimi di trattamento economico e normativo per i contratti di lavoro; le clausole aventi tale contenuto sono riconducibili a quella che è stata definita funzione normativa. Sotto questo profilo il contratto il contratto collettivo si colloca all’interno della categoria del contratto normativo, di quel contratto cioè che, invece di porre in essere direttamente un atto di scambio, determina i contenuti di una futura produzione contrattuale; le parti nel contratto normativo si accordano circa le condizioni alle quali si atterranno nell’attività contrattuale che svolgeranno in futuro.  Un elemento peculiare del contratto collettivo è dato dal fatto che almeno una delle parti  stipulanti è necessariamente un soggetto collettivo; se infatti dal lato degli imprenditori, il contratto può essere stipulato da un solo imprenditore, (è il caso dei contratti aziendali) dal lato dei lavoratori il soggetto stipulante è sempre una coalizione, di solito associazione sindacale. Oltretutto bisogna ricordare che il contratto collettivo predetermina le clausole dei contratti individuali di lavoro e non solo di quelli futuri, bensì anche di quelli in corso al momento della stipulazione. Si tratta di una funzione unitaria una sorta di nucleo duro che serve per la composizione degli interessi contrapposti tra datori di lavoro e lavoratori. Essa tende dunque ad una mediazione in caso di conflitto di interessi per il raggiungimento di un equilibrio tra i contrapposti poteri sociali.
Funzione obbligatoria. La dottrina ha teorizzato all’interno del contratto collettivo una distinzione secondo la quale, accanto ad una funzione normativa, costituita dalla disposizioni contrattuali preordinate a determinare minimi di trattamento economico e normativo, sarebbe individuabile un’altra parte che viene definita obbligatoria. La caratteristica comune alle clausole obbligatorie è individuata nel fatto che instaurano rapporti obbligatori non facenti capo alle parti del contratto individuale di lavoro, bensì a soggetti collettivi. Tali soggetti possono essere gli stessi che hanno stipulato il contratto collettivo o latri, per esempio il contratto collettivo stipulato tra il sindacato nazionale dei metalmeccanici e la contrapposta organizzazione imprenditoriale, crea rapporti obbligatori tra il sindacato provinciale e l’associazione provinciale degli industriali.
Funzione gestionale del contratto collettivo: si tratta di una funzione attraverso cui è possibile ad es. concordarsi sulle modalità di orario di lavoro flessibile- in modo da consentire una riduzione d'orario quando la domanda dei beni prodotti dall'azienda è bassa per ragioni congiunturali o di ciclo stagionale ed un suo incremento magari oltre i normali limiti settimanali, quando la domanda è invece alta. In altre parole si gestisce congiuntamente il ricorso al lavoro flessibile (assunzioni di lavoratori stagionali a termine, di lavoratori somministrati, intermittenti, part-time.).
Funzione di ripartizione dei sacrifici in situazioni di crisi: tale funzione permette di concertare anche le situazioni di crisi, in modo da ridurre il rischio di licenziamenti di gruppi di lavoratori, magari con contratti di solidarietà, vale a dire distribuendo sacrifici economici sull'intera comunità aziendale (si concorda, x es. una generalizzata riduzione di orario e retribuzione per evitare il licenziamento soltanto di alcuni lavoratori.
In questi casi l'attività più che negoziale, si presenta come partecipativa: le partì si incontrano, non per negoziare o scambiare beni o utilità, ma per assumere iniziative e decisioni comuni, spesso di carattere molto tecnico perché direttamente riferite alle strategie dell'impresa, più che al trattamento dei lavoratori.

L’INDEROGABILITA’ IN PEIUS.

Il rapporto tra l’autonomia collettiva e quella individuale è strettamente regolato dal meccanismo della inderogabilità in peius di natura reale del contratto collettivo da parte di quello individuale. In pratica il contratto individuale che regola il singolo rapporto di lavoro, non può disporre trattamenti normativi ed economici peggiori per il lavoratore, di quanto previsto dal contratto collettivo applicabile a quel rapporto di lavoro. Qualora ciò avvenga la conseguenza non è solo una azione di risarcimento del danno, bensì l’automatica sostituzione delle clausole di contenuto peggiorativo con quelle più favorevoli per il lavoratore, previste dal contratto collettivo (ed in questo consiste la c.d. natura reale, cioè automatica e non meramente obbligatoria dell’inderogabilità).

LA DEROGABILITA’ IN MELIUS.

L’inderogabilità del contratto collettivo concerne solo i trattamenti peggiorativi per lavoratori; è invece, possibile che il contratto individuale di lavoro si discosti dal contratto collettivo derogandolo in melius. Complessa e contrastata è la soluzione del problema della comparazione dei trattamenti derivanti dalle due diverse fonti, non sempre, infatti, è agevole stabilire se il trattamento previsto dal contratto individuale sia più favorevole per i lavoratori, rispetto al trattamento previsto dal contratto collettivo. La questione è di semplice soluzione quando varia un solo elemento (es. a parità di tutte le altre condizioni varia solo la durata delle ferie), a volte possono però variare due o più elementi (es. il contratto individuale prevede una retribuzione maggiore ed un più breve periodo di ferie). Su questo problema si sono delineati due orientamenti di fondo: i sostenitori della tesi del c.d. conglobamento ritengono che la comparazione debba essere operata tra i trattamenti complessivi previsti da ciascuna fonte, applicando esclusivamente la regolamentazione che, valutata globalmente, risulti più favorevole per il lavoratore. Secondo, invece i sostenitori del c.d. cumulo, bisogna invece porre a confronto le singole clausole di ciascuna regolamentazione, estrendo da ogni contratto le clausole più favorevoli e cumulandole tra loro.

 

DIVERSITA’ DI AMBITO DI APPLICAZIONE DEI CONTRATTI COLLETTIVI.

Il problema dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo si riduce all'alternativa tra efficacia generale o erga omnes e pertanto si applicherebbe a tutti i lavoratori solo per il fatto che l'azienda da cui essi dipendono è inquadrata nella categoria merceologica a cui si riferisce il contratto, ed efficacia limitata agli iscritti all'organizzazione firmataria degli accordi, efficacia soggettiva limitata.
Esistono contratti collettivi quali il contratto o l'accordo c.d. interconfederale che, riguarda tutte le categorie e tutti i settori merceologici ; ovvero nel settore pubblico l'accordo intercompartimentale che riguarda tutte le P.A. e i relativi lavoratori a prescindere dal comparto pubblico di appartenenza. Un ambito di efficacia più circoscritto di quello del contratto interconfederale o intercompartimentale è quello del contratto nazionale di categoria, in questo caso l'ambito di applicazione riguarda la categoria merceologica: vale a dire le imprese e i relativi lavoratori del settore o della categoria- per es. - dei metalmeccanici, dei chimici, del credito ecc.
Ancora più circoscritto è l'ambito dì efficacia dell'accordo aziendale o decentrato; il contratto aziendale nel settore privato o il contratto decentrato nel settore pubblico produce effetti nei confronti di un singolo datore e dei lavoratori occupati presso quella unità produttiva o amministrativa. Il contratto aziendale nell'attuale assetto del sistema contrattuale italiano si pone, come un contratto integrativo, non sostitutivo, del contratto nazionale di categoria secondo regole di coordinamento tra i due livelli stabilite dal protocollo Ciampi, nel settore privato e dalla legge, nel settore pubblico. Meno diffuso in Italia rispetto ad altri ordinamenti (per es. la Spagna) è il contratto territoriale (di ambito provinciale o di distretto).

EFFICACIA ERGAOMNES ED EFFICACIA SOGGETTIVA LIMITATA,

Efficacia soggettiva — a chi si applica il contratto collettivo?
La regola canonica di ogni contratto è infatti che esso esplichi i propri effetti soltanto tra i soggetti stipulanti, ovvero nei confronti di terzi (i lavoratori e i datori di lavoro mandanti) che abbiano conferito un esplicito mandato a coloro che stipulano il contratto (le OOSS dei lavoratori e le associazioni imprenditoriali mandatane), i quali possono impegnare i terzi proprio perché dotati del potere di rappresentanza che implica pure il potere di vincolarli.
Il dato di esperienza sociale, invece, dice che il contratto collettivo finisce per esplicare i suoi effetti anche nei confronti dei lavoratori e degli imprenditori non aderenti ad alcuna organizzazione sindacale o, associazione imprenditoriale e cioè nei confronti di soggetti che non hanno conferito mandato alcuno.

 

L'EFFICACIA SOGGETTIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO NELL'ESPERIENZA CORPORATIVA ED IMMEDIATAMENTE POST-CORPORATIVA.

In Italia, nella dottrina pre-corporativa, Giuseppe Messina, civilista, importando la concezione del Lotuar, giurista svizzero di cultura tedesca, affermò l'inderogabilità del contratto collettivo, spiegando il rapporto tra aderente e soggetto collettivo stipulante in termini di rappresentanza; il Messina si espose però alla critica di chi  rilevava che nonostante le associazioni sindacali dei datori di lavoro agissero in nome per conto dei soci, cioè lavoratori e datori di lavoro, in realtà  ciascuna coppia di costoro, nello stipulare il singolo contratto di lavoro, avrebbe potuto modificare quanto pattuito tra le parti collettive.
La legislazione del 1926 istitutiva dell’ordinamento corporativo, prevedeva che per ciascuna categoria di datori di lavoro, lavoratori, artisti, professionisti, potesse essere riconosciuta legalmente una sola associazione sindacale.
L’associazione diveniva persona giuridica di diritto pubblico, ente ausiliario dello Stato, sottoposta ad una serie di penetranti controlli da parte di quest’ultimo. Il sindacato veniva dotato del potere di rappresentanza legale di tutti i soggetti (iscritti e non) appartenenti alla categoria per cui era costituito; di conseguenza il contratto collettivo dal medesimo stipulato, era vincolante per tutti gli appartenenti alla categoria, ed era inderogabile in peggio da parte del contratto individuale. Con l’emanazione del codice civile del  1942, il contratto collettivo venne inserito nella categoria delle norme corporative e sottoposto ad una specifica disciplina;  nell’inquadramento tra le fonti del diritto esso comunque venne posto in una posizione gerarchicamente subordinata rispetto alla legge ad ai regolamenti cui non poteva derogare. Con la soppressione dell’ordinamento corporativo nel 44 venne meno anche il contratto collettivo corporativo. Venuto meno l’ordinamento corporativo, il contratto collettivo ritorno nell’area dell’autonomia privata, in quanto le organizzazioni sindacali stipulanti i nuovi contratti, erano tornate sotto il regime privatistico.  

 

L'EFFICACIA SOGGETTIVA NELLA COSTITUZIONE E NELLA FASE IMMEDIATAMENTE POST-COSTITUZIONALE.

Il legislatore costituente esattamente all'opposto del regime corporativo, voleva garantire il principio di libertà e autonomia sindacale che presuppone sindacati liberi ed indipendenti, la cui soggettività ed attività non poteva essere regolata dal diritto pubblico, ma necessariamente ricondotta alla sfera del diritto privato e allo stesso tempo, fornire a tali soggetti poteri para-legislativi, vale a dire il potere di stipulare contratti collettivi aventi efficacia erga omnes. Per acquisire il potere di stipulare contratti collettivi vincolanti erga omnes i sindacati, infatti, avrebbero dovuto secondo quanto stabilito dall'art. 39 della Cost.:
a)   registrarsi ed acquisire la personalità giuridica e ciò subordinatamente all'adozione di uno statuto ispirato ai principi di democrazia (art 39 III comma). Avrebbero dovuto cioè accettare una limitazione della autonomia in funzione di un controllo esterno riguardante l'adozione di regole di democrazia associativa.
b)   Sottoporsi ad una competizione giocata sul numero degli iscritti. I contratti collettivi erga omnes   sarebbero   stati  stipulati  non  direttamente  dai   singoli   sindacati,   ma   da  una rappresentanza unitaria di tutti ì sindacati registrati, nella quale ogni sindacato avrebbe inviato un numero di delegati proporzionale al numero dei suoi iscritti.

Ragioni della scelta costituzionale dell'art. 39:
A)   il quadro storico post-corporativo presentava un sindacalismo diviso e frammentato ideologicamente e socialmente debole (l’art 39 fungeva così da incentivo all'unità d'azione tra i sindacati).
B)    necessità di trovare un criterio in grado di conciliare pluralismo sindacale e regolazione unitaria dei rapporti di lavoro, che è la conseguenza che il contratto collettivo erga omnes automaticamente impone. Per ottenere tale conciliazione il legislatore si rivolge al criterio della rappresentanza proporzionale degli iscritti   che è un tipico criterio della rappresentanza politica.
Le norme necessarie per concretizzare i principi dell'art 39 cost. non furono mai emanate. Per cui ancora oggi tale disposizione attende di essere attuata e si assiste al paradosso tutto italiano, di un sistema di contrattazione collettiva erga omnes previsto dalla Costituzione, ma mai compiuto, e di un sistema di contrattazione di fatto che ha assunto una propria fisionomia e che tuttavia non può tollerare interventi del legislatore sull' efficacia erga omnes, alternativi a quelli proposti dall'art. 39 Cost. pena la loro incostituzionalità (è questa la ed. valenza ostativa o impeditiva dell'art 39 cost)

Ragioni della mancata attuazione dell'art. 39:
A) timori di ingerenza statuali nella vita associativa interna dei sindacati a seguito dei controlli sulla democraticità; verifica del numero degli iscritti.
B) opposizione dei sindacati minoritari
C) efficacia erga omnes  "di  fatto"  del contratto  collettivo  di  diritto comune  (per prassi, giurisprudenza, e leggi speciali.

LA SOLUZIONE TRANSITORIA DELLA LEGGE VIGORELLI DEL 1959.

Tale soluzione fu individuata nella emanazione di una legge delega- la legge n. 74/1959 (denominata Vigorelli dal nome del relatore) tramite la quale il parlamento delegava il governo ad. emanare una serie dì decreti delegati che avrebbero dovuto recepire i contratti collettivi privatistici, al tempo in vigore.
In tal modo si sarebbe rispettata, formalmente, la natura privatistica del contratto ma, al contempo, con un atto avente forza di legge, si sarebbe ottenuta l'efficacia erga omnes; il tutto evitando il problema dell'attuazione del. complesso procedimento previsto dall'art. 39.
La soluzione del  '59  fu sottoposta al  giudizio della Corte Costituzionale, il messaggio dì quest'ultima valse come monito per il futuro: il legislatore ordinario non è obbligato a seguire la via
indicata dal costituente con l'ari 39, ma se decide di dare una soluzione al problema dell'erga omnes, non può farlo evitando il confronto con quella disposizione.
Diverse tipologie di contratto collettivo:
a)   il contratto collettivo "costituzionale"
b)    il contratto collettivo corporativo
e)    il contratto collettivo esteso erga omnes
d)  il contratto collettivo di diritto comune.

 

 

 

IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE: LE DIVERSE SOLUZIONI PER LA SUA EFFICACIA SOGGETTIVA "ULTRA VIRES".

Il contratto collettivo di diritto comune produce effetti giuridicamente vincolanti, soltanto tra le parti stipulanti e i loro iscritti. Le parti dì tale contratto sono le OOSS, in rappresentanza dei lavoratori iscritti, e le associazioni imprenditoriali, in rappresentanza delle imprese associate. 1 soggetti che stipulano assumono obbligazioni in proprio ( derivanti dalle ed. clausole obbligatorie) ed obbligazioni che ricadono nella sfera giuridica dei soggetti rappresentati (clausole normative), sulla base del principio della traslazione degli effetti tipico della rappresenta volontaria, che è l'istituto normalmente utilizzato per spiegare il rapporto giuridico intercorrente tra lavoratore iscritto e organizzazione sindacale.
Il  contratto collettivo, secondo i principi di diritto comune dei contratti, non potrebbe (o non dovrebbe) produrre effetti nei confronti di soggetti terzi- siano essi lavoratori o imprese  rimasti estranei al contratto: vuoi perché non iscritti ad alcun sindacato o associazione imprenditoriale, vuoi
perché iscritti ad organizzazioni o associazioni diverse rispetto a quelle che hanno stipulato il contratto.
Ma nella prassi, problemi di natura gestionale, contabile e amministrativa inducono i datori di lavoro a non operare distinzioni di trattamento fra iscritti e non iscritti alle associazioni sindacali, perché ciò comporterebbe grosse difficoltà di pianificazione dei costi, una doppia contabilità e diverse strategie di gestione delle risorse umane.

LA TESI GIURISPRUDENZIALE "REGINA" SULL'APPLICABILITÀ' "ULTRA VIRES" DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE: IL RICORSO AL COMBINATO DISPOSTO DEGLI ART. 36 Cost. e 2099, 2° comma c.c.

La tesi che sin dalla fine degli anni 50, ha messo a disposizione dei giudici un ragionevole meccanismo di estensione delle clausole retributive dei contratti collettivi nazionali di lavoro ai lavoratori che ne avessero fatto richiesta, e a prescindere dall'adesione del datore di lavoro all'associazione imprenditoriale firmataria, è quella che fa leva sul combinato disposto di due articoli:
A)  l'art 36 Cost. che fissa il diritto di ogni lavoratore ad una retribuzione che abbia i caratteri della proporzionalità (alla qualità e quantità della prestazione di lavoro) e della sufficienza (a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa);   si  tratta  di  una  disposizione  immediatamente  precettiva   e  non programmatica, ciò significa che il giudice può immediatamente applicarla nei rapporti tra i privati senza attendere l'intervento legislatore.
B)   l'art. 2099, 2°comma, c.c. che lascia al giudice la determinazione equitativa della retribuzione « in mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti».
Nella concreta prassi i giudici intervengono non solo quando manca l'accordo sulla retribuzione ( in mancanza di norme corporative o di accordo tra le parti), ma anche e soprattutto allorché l'accordo c'è ma è nullo poiché considerato contrario al principio di sufficienza sancito dall'art 36 Cost.
Punto di riferimento del giudice al fine di un giudizio equitativo può ravvisarsi nelle tabelle   retributive   contenute   nei   contratti   collettivi.   Il   giudice   tuttavia   non   è giuridicamente obbligato ad applicare gli standard retributivi previsti dai contratti collettivi; lo fa soltanto come scelta equitativa, ritenendo le tariffe contrattuali il parametro di riferimento socialmente più adeguato ed equo; proprio per questo egli rimane libero di discostami in concrete valutazioni, sia in melius, ma anche in peiu, da tale parametro.
A questo punto ci si chiede se la combinazione dell'art. 36 Cost con l'art. 2099 C.C. risolve in generale il problema dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune:
Tale soluzione per quanto razionale e seguita in maniera univoca dalla giurisprudenza, rimane, pur sempre .una tipica espressione dell'equità giudiziale del caso singolo, inidonea a produrre effetti al di là delle parti della concreta controversia giudiziaria.
La tesi regina è dunque una soluzione che si presenta in qualche misura esposta al rischio di soggettive vantazioni dei giudici e che oltretutto va riferita soltanto alla parte retributiva   standard   del   contratto   collettivo;   tutti   gli   altri   contenuti   normativi normalmente presenti nel contratto collettivo (disposizioni in materia di orario, di straordinario, di inquadramento..) non rientrano nella descritta operazione di estensione equitativa degli effetti del contratto collettivo di diritto comune.

L'EFFICACIA SOGGETTIVA DEI CONTRATTI COLLETTIVI AZIENDALI, IN PARTICOLARE I CONTRATTI DI CONCESSIONE E GESTIONALI: POSIZIONE DEL PROBLEMA.

La questione dell'efficacia soggettiva di tali contratti che da ora in poi si definiscono contratti collettivi aziendali si pone in modo parzialmente diverso rispetto al modo in cui si pone, invece il problema affrontato sopra dell'efficacia del contratto collettivo nazionale.
In che cosa consiste questa differenza?
Differenza nella diversità di contenuti del contratto aziendale nonché nelle funzioni che spesso tale contratto svolge. Il contratto aziendale può assumere, infatti contenuti che "integrano" quelli già presenti nel contratto nazionale. Già per questa funzione che si può definire di integrazione dei trattamenti standard o minimi- appare evidente come per spiegare l'efficacia soggettiva ultra vires di tale contratto, non può essere richiamata la tesi regina basata sull'art 36 Cost. e sull'art. 2099 C.C.. tale tesi come si è avuto modo dì vedere è stata elaborata per garantire anche ai lavoratori non iscritti ai sindacati o appartenenti a sindacati che non hanno sottoscritto il contratto, soltanto l'applicazione dei trattamenti minimi o standard previsti dai contratti nazionali dì categoria e come tale non può essere impiegata per attribuire a tutti i lavoratori ì miglioramenti che si aggiungono ai minimi, integrandoli.
Si possono evidenziare due grandi tipologie di contratti aziendali che non svolgono funzione acquisitiva
A) contratti aziendali “dispensatori di sacrifici" detti pure di concessione, che hanno la funzione di distribuire sacrifici. Si pensi all'ipotesi dei contratti di solidarietà nella doppia versione della solidarietà interna (per evitare licenziamenti collettivi) ed esterna (per consentire nuove assunzioni) mediante i quali i lavoratori accettano, in funzione del vincolo di solidarietà, una riduzione del proprio orario di lavoro e conseguentemente della retribuzione per evitare licenziamenti o consentire nuove assunzioni ecc.
B) contratti aziendali lato sensu gestionali che intervengono a regolare materie e situazioni su cui il datore di lavoro avrebbe comunque il potere unilaterale di decisione. Si tratta di quei contratti che come si dice procedimentalizzano il potere, altrimenti esercitatile unilateralmente, dell’imprenditore. Tali sono per es., i contratti collettivi che determinano ì criteri dì scelta dei lavoratori da licenziare collettivamente, in alternativa ai criteri legali; i contratti aziendali che determinano Ì lavoratori da trasferire ad altra azienda nel corso dì procedure di trasferimento d'azienda; ovvero ancora i contratti collettivi che determinano ; le prestazioni minime che devono essere in ogni caso, garantite in caso di sciopero in aziende pubbliche o private che erogano servizi pubblici essenziali e che coinvolgono beni ed interessi costituzionalmente rilevanti ecc.
Ci si domanda a questo punto quale sia l'elemento comune per quanto riguarda il problema dell'efficacia soggettiva nei contratti aziendali (con funzione diversa da quella tradizionalmente migliorativa).
Il problema dell'efficacia soggettiva per essi si presenta in modo esattamente rovesciato rispetto al contratto che è stato definito acquisitivo di diritti e trattamenti migliorativi: in quest'ultimo caso è il singolo lavoratore cui tale contratto non si applicherebbe in virtù della regola dell'efficacia limitata, che chiede l'estensione soggettiva della clausola collettiva più favorevole rispetto alla clausola del contratto individuale che regola il suo rapporto di lavoro. Nelle ipotesi dei contratti aziendali di concessione e di tipo gestionale i ricorsi giudiziali sono invece introdotti da singoli o da gruppi di lavoratori che, in virtù della regola di diritto comune- o perché non iscritti, o perché appartenenti a sindacati che non hanno sottoscritto il contratto- rifiutano la clausola del contratto collettivo, spesso perché in dissenso con la decisione dei sindacati di stipulare un contratto collettivo dispensatore dì sacrifici e che impone comunque, un vincolo all'autonomia privata individuale.
L'elemento comune è individuato dal fatto che il contratto collettivo aziendale non si pone come strumento distributivo di risorse, ma come vincolo giuridico; diventa strumento di assoggettamento coattivo dell'interesse del singolo all'interesse collettivo. Il problema sociale sottostante all'efficacia soggettiva del contratto aziendale spesso non è la richiesta di applicazione del contratto (come per i contratti incrementali), ma la "fuga" dallo stesso.

LE INCERTE SOLUZIONI DOTTRINALI E GIURISPRUDENZIALI AL PROBLEMA DELL'EFFICACIA SOGGETTIVA DEI CONTRATTI AZINDALI.

La giurisprudenza e la dottrina si sono sbizzarrite per trovare il fondamento giuridico di tale potere vincolante e quindi per fornire una credibile soluzione ai problema dell'efficacia generalizzala del contratto aziendale gestionale ( o di concessione) anche nei confronti dei lavoratori non iscritti.
Spesso sì è invocato un intervento legislativo a sostegno di tale efficacia, sostenendo che in tale ipotesi non opererebbe la portata ostativa della II parte dell'art. 39 Cost. poiché questo farebbe riferimento solo al contratto nazionale di categoria. Considerata la funzione di questi contratti, essi "naturalmente" si rivolgerebbero a tutti ì lavoratori i cui interessi si presentano, in quelle situazioni, indivisibili: un contratto di solidarietà non si può applicare ad alcuni e non altri. Questo argomento che vuoi trarre una regola giuridica (la efficacia erga omnes di un contratto aziendale) da una ragione di opportunità valida in via di fatto.
Altre soluzioni hanno fatto leva sulla natura dell'agente negoziale: si è sostenuto che la natura di sindacati maggiormente rappresentativi o comparativamente più rappresentativi dei soggetti che stipulano tali accordi dovrebbe giustificarne l'efficacia erga omnes in virtù di una presunzione di consenso maggioritario che sosterrebbe l'azione di tali sindacati; ma anche in tal caso si tratta di un'argomentazione priva di fondamento giuridico positivo, la corte di Cassazione nel 1990 (sent. n. 1403) ha argomentato che pur dovendosi escludere in linee, di massima la efficacia erga omnes dei contratti aziendali, tutte le volte che la legge opera un rinvio esplicito ai contratti aziendali posti in essere da strutture appartenenti ai sindacati maggiormente o comparativamente più rappresentativi, si potrebbe sostenere l'efficacia erga omnes.
Allo stato attuale del quadro giuridico positivo, le uniche ipotesi in cui si può sostenere, con qualche margine di credibilità, l'efficacia generalizzata di contratti gestionali, sono quelle legislativamente tipizzate, in cui effettivamente il contratto aziendale assume la funzione di procedimentalizzare j poteri, altrimenti esercitabili unilateralmente, dell’imprenditore.
In tal senso si è pronunciata la Corte costituzionale (sent. n.. 268/1994 importante). In materia di licenziamenti collettivi e riduzione di personale, la corte ha ritenuto, infatti, infondata la questione di legittimità (sollevata per presunta violazione della II parte dell'art. 39 Cost.) della disposizione legale (art 5, 1 comma, legge n. 223/1991) che prevede che un accordo sindacale possa stabilire criteri di scelta dei lavoratori da licenziare alternativi a quelli previsti dalla legge.
Ci si chiede dunque come abbia fatto la Corte a superare l'effetto di blocco dell'ari 39 Cost. Innanzitutto bisogna dire che i contratti collettivi di procedurizzazione non sono i contratti di cui si occupa l'ari. 39 Cost. e che gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla specie dei contratti collettivi normativi, i soli di cui si occupa l'art. 39 Cost. sì tratta di un tipo diverso di contratto, la cui efficacia si esplica esclusivamente nei confronti degli imprenditori stipulanti
In sintesi il problema dell'efficacia erga omnes si pone soltanto per i contratti collettivi che incidono normativamente sui contratti individuali, non per i contratti che procedimentalizzano poteri datoriali altrimenti illimitati.

 

L'EFFICACIA OGGETTIVA DEL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE.

Nel caso dell'efficacia soggettiva la domanda cui rispondere era: a chi si applica il contratto collettivo?
Circa invece l'efficacia oggettiva la domanda cui rispondere è: qual’è il meccanismo giuridico in base al quale il contratto collettivo si rende giuridicamente vincolante nei confronti dei soggetti a cui si applica? quali sono gli effetti che il contratto collettivo produce sul contratto individuale dei suoi destinatari? Perché 1 'ordinamento giuridico si deve preoccupare di garantire che il contratto collettivo prevalga sul contratto individuale difforme?.
Si vuole evitare di vanificare la funzione di tutela propria della contrattazione collettiva, consentendo che i lavoratori uti singoli accettino condizioni deteriori rispetto a quelle standard o minime, stabilite collettivamente.
La regola che discende dal meccanismo dell'efficacia oggettiva è pertanto, la seguente: il contratto individuale non può contenere clausole peggiorative rispetto al contratto collettivo. Tale obiettivo viene perseguito dagli ordinamenti giuridici attraverso due tecniche similari: la tecnica della inderogabilità o efficacia obbligatoria e la tecnica della inderogabilità o efficacia reale del contratto collettivo.
Il fatto che in un ordinamento giuridico i contratti collettivi sono assistiti da tale regime di inderogabilità significa che le clausole del contratto collettivo si sostituiscono automaticamente alle clausole difformi (peggiorative) del contratto individuale che si intendono invalide.
Inderogabilità o efficacia obbligatoria: è una tecnica che mira a garantire la prevalenza del contratto collettivo sui contratto individuale facendo leva soprattutto sul sistema dì responsabilità contrattuale. Datore di lavoro e lavoratori cui senza incertezza si applica il contratto collettivo, sono vincolati a rispettarne le clausole: essi non possono derogarvi neppure di comune accordo. Dunque se un lavoratore iscritto al sindacato, d'accordo con il datore di lavoro, consente una deroga ad una clausole! del contratto collettivo, o accetta in via di fatto un trattamento ad esso difforme in senso peggiorativo, pone in essere una violazione dell'obbligo di rispettare il contratto 'collettivo. La violazione della clausola inderogabile da luogo ad inadempimento contrattuale e alle sue conseguenze (risarcimento del danno, altro).
Inderogabilità o efficacia reale: tale tecnica produce l'effetto di sostituzione automatica della clausola difforme, comunque invalida, con la clausola valida.

L'EFFICACIA   OGGETTIVA   DEL   CONTRATTO   COLLETTIVO   DI   DIRITTO COMUNE NELL'ORDINAMENTO ITALIANO. TESI E PROPOSTE.

In Italia non c'è alcuna legge speciale che rafforzi lo stato giuridico del contratto collettivo, che rimane, invece, regolato dalle norme generali del codice civile sui contratti. Il problema che si sono posti giudici e giuristi è stato allora quello di trovare disposizioni o principi in grado di garantire, in ogni caso, l'effetto reale del contratto collettivo almeno per le deroghe peggiorative apportate dal contratto individuale, facendo salve, invece, per il principio del favor nei confronti del lavoratore subordinato, le deroghe migliorative.
La tesi dottrinaria più recente, ma anche più credibile perché fondata su un dato legislativo specifico, è quella che fa riferimento al combinato disposto di due norme del codice civile: l'art 1374 c.c. norma che rinvia ad una disposizione in grado di integrare il contratto individuale con riferimento all'efficacia oggettiva del contratto collettivo e l'art 2113 c.c. che risponde proprio a questa esigenza nella misura in cui richiama l'inderogabilità dei contratti collettivi, stabilisce infatti che« le rinunzie o le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’'art. 409 del codice di proc. civ. non sono valide.»
L'inderogabilità dell'art. 2113 c.c. è presidiata da un meccanismo di annullabilità delle clausole del contratto individuale difformi, non da un meccanismo di sostituzione automatica. Si tratta pur sempre di un sistema di inderogabilità obbligatorio, che non garantisce la sostituzione automatica. Tale effetto nel codice civile è garantito soltanto da una disposizione, l'art. 2077 che è la norma cui, con maggiore favore guarda la giurisprudenza per spiegare l'efficacia reale del contratto collettivo. Dal confronto tra le due norme si evince che l'art 2077 c.c. garantisce l'inderogabilità del contratto collettivo attraverso la nullità e sostituzione automatica delle clausole individuali difformi. L'art 2113 c.c. garantisce l'inderogabilità attraverso l'annullabilità di quelle clausole qualificate alla stregua di rinunzie o transazioni, l'art 2113 sancisce solo l'inderogabilità non l'effetto ulteriore della sostituzione automatica. È vero che l'art. 2077 non è riferibile al contratto collettivo di diritto comune perché esso presuppone un ben diverso contratto collettivo, quello corporativo nei quali i contratti collettivi erano equiparati alla legge e ciò giustificava il meccanismo dell'inserzione automatica. La giurisprudenza incurante dell'incoerenza dell'art 2077 continua ad applicare tale disposizione, essa infatti ha scopi pratici e mira al concreto, vuole garantire il risultato dell'efficacia reale perché lo ritiene equo socialmente e non si cura molto del fatto che lo strumento utilizzato sia inappropriato e approssimativo. La dottrina con il riferimento all'art. 2113 mostra invece maggior preoccupazioni , in quanto il risultato è più instabile sul piano pratico, ma concettualmente più coerente. Questo compromesso in fondo è accettato da tutti e negli ultimi anni il problema non ha destato particolare attenzione.

LA STRUTTURA INTERNA DEL CONTRATTO COLLETTIVO: PARTE OBBLIGATORIA E PARTE NORMATIVA.

Nella struttura tradizionale, ma ancora attuale, dei contratti collettivi si suole distinguere la parte obbligatoria dalla parte normativa. Si è più volte detto che l'elemento caratterizzante il contratto collettivo è che esso è stipulato da soggetti collettivi, ma finisce per produrre molti dei suoi effetti su terzi, formalmente estranei al processo di formazione del contratto (i singoli lavoratori e datori di lavoro), la parte obbligatoria del contratto collettivo è quella i cui soggetti collettivi (che stipulano il contratto) inseriscono clausole da cui derivano obblighi reciprochi, regolando così i loro rapporti futuri o con le quali essi si impegnano a gestire ed amministrare il contratto. La parte normativa del contatto è invece formata da quelle clausole destinate a regolare, predeterminare il contenuto dei singoli rapporti individuali di lavoro di coloro estranei alla stipulazione del contralto, ma assoggettati ad esso in virtù del principio di efficacia soggettiva. In sintesi   è   la parte   del   contratto   collettivo   che   regola   il   rapporto   individuale   di   lavoro ( determinazione della retribuzione, dell'orario di lavoro ecc).  Le clausole obbligatorie si differenziano per contenuto.
Esistono clausole obbligatorie strumentali, funzionali alla parte normativa del contratto. Sì tratta di clausole mirate ad organizzare l'attività negoziale futura o a migliorare la gestione della parte normativa del contratto collettivo.
Una seconda tipologia di clausole obbligatorie che non sono strumentali alle parti normative del contratto collettivo.- è quella delle c.d. clausole obbligatorie pure. Tali clausole non sono destinate alla tutela collettiva dei lavoratori (clausole normative), né alla gestione del sistema contrattuale (clausole obbligatorie del primo tipo), ma a regolare gli interessi diretti delle associazioni sindacali stipulanti. Come esempio si possono richiamare le clausole sui diritti di informazione, mediante le quali gli imprenditori si impegnano a fornire periodicamente ai sindacati informazioni sui programmi aziendali di investimento, sull'innovazione tecnologica ecc. Se il datore di lavoro viola una clausola obbligatoria la giurisprudenza è orientata a ritenere esperibile il rimedio dell'ari. 28 dello St. lav. al fine di reprimere la condotta antisindacale consistente, in questo caso, nella violazione di un diritto proprio del sindacato. In alternativa, secondo una parte della giurisprudenza, il sindacato potrebbe esercitare gli ordinali rimedi esperibili per l'inadempimento dei contratti. Diverse le conseguenze della violazione di una clausola normativa; qui l'interesse leso è direttamente quello individuale e non quello collettivo del sindacato; non si giustifica dunque l'applicazione dell'art. 28.a meno che la rilevanza sia tale da infliggere una ferita alla credibilità del sindacato stesso nei confronti dei lavoratori e quindi ad incidere fortemente sull'efficacia della sua azione futura. Il problema è complicato dal fatto che, sempre più spesso i contratti collettivi contengono clausole la cui qualificazione in termini di clausole obbligatorie o normative si presenta complessa (ed. clausole ibride). Quanto più il sindacato tenda ad invadere con la sua azione, l'area delle prerogative datoriali, tanto più cresce,  per qualità ed importanza la parte obbligatoria del contratto collettivo. Rientrano nella parte obbligatoria anche le norme contrattuali che obbligano l'imprenditore andare alle rappresentanze dei lavoratori informazione preventiva su alcune decisioni gestionali che intende assumere; in genere a seguito dell'informazione le rappresentanze sindacali possono chiedere un incontro per esaminare il problema, e il potere dell'imprenditore di assumere decisione rimane sospeso per la durata del procedimento. Questa tecnica normativa ha assunto il nome di procedimentalizzazione del potere dell'imprenditore, la quale consiste in una complicazione del processo decisionale dell'imprenditore, essenzialmente volta a garantire che nel formarsi di certe decisioni tenga conto degli interessi antagonistici sui quali va ad incidere l'esercizio del potere.

CONTRATTAZIONE  COLLETTIVA.

L'attività svolta dai soggetti del diritto sindacale è un'attività di negoziazione e di mediazione ed in alcuni momenti può anche assumere la forma del conflitto.
La contrattazione collettiva, oltre che costituire un'attività di regolazione normativa tipica è pure un'attività propriamente sociale, infatti storicamente ha costituito una sorta di rimedio alla debolezza del singolo lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro.
La contrattazione collettiva ha svolto una fondamentale funzione economica facendosi carico della redistribuzione di quote di reddito nazionale ai lavoratori che nella veste di consumatori oltre che di produttori, contribuiscono con la propria spesa- grazie a retribuzioni che la contrattazione collettiva dovrebbe mantenere al passo del tasso di inflazione o della produttività media del sistema  a tenere alto il ciclo consumi/investimenti; è la tipica funzione keynesiana affidata alla contrattazione collettiva, essa soprattutto a livello nazionale, ha la funzione di fissare le condizioni minime di trattamento economico, ma anche normativo, dei lavoratori.
La contrattazione collettiva impedisce il c.d. social dumping evita cioè che le imprese si facciano concorrenza abbassando le retribuzioni sotto lo standard considerato economicamente compatibile con la produttività media del sistema e socialmente minimo ed equo.
La contrattazione collettiva è un procedimento a diversi livelli (nazionale, territoriale,aziendale ecc) destinato a produrre regole normative contenute nel contratto collettivo, essa è in qualche modo formalizzata e regolata o da norme statali, come avviene in Italia nel settore pubblico, ovvero da norme prodotte dagli stessi attori del procedimento, come avviene invece nel settore privato.

 

IL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Contratto collettivo—♦ tipico atto fonte del diritto del lavoro.
Contrattazione collettiva—'attività da cui il contratto collettivo scaturisce.
Sì dice pertanto che contrattazione collettiva e contratto collettivo sono per così dire in un rapporto dì contenitore e contenuto.  La contrattazione collettiva rappresenta il metodo principale di composizione del conflitto, poiché per suo tramite i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro, definiscono congiuntamente la regolamentazione dei rapporti individuali e collettivi di lavoro. La contrattazione collettiva costituisce, quindi, l’attività fondamentale attraverso la quale il sindacata tutela gli interessi dei soggetti che rappresenta. Il processo contrattuale può svolgersi periodicamente ed esaurirsi con la stipulazione del contratto con la conseguenza che i rapporti tra le parti sono occasionali e sporadici, oppure può essere permanente, cioè continuare anche nelle fasi di applicazione di amministrazione della disciplina negoziale. La contrattazione collettiva, inoltre può articolarsi verticalmente su diversi livelli in genere corrispondenti ai modelli organizzativi dei soggetti negoziali. Si parla allora di struttura contrattuale proprio per indicare l’insieme di livelli ai quali si svolge la contrattazione collettiva e le rispettive sfere di competenza e i reciproci rapporti.  Il  riferimento alla struttura della contrattazione collettiva in un dato sistema implica la considerazione:
dei vari livelli ove si svolge la contrattazione collettiva. I livelli principali nell'esperienza italiana sono: interconfederale, nazionale, aziendale, territoriale. Il primo del sistema contrattuale è il contratto collettivo nazionale di categoria: esso viene stipulato periodicamente, attualmente ogni 4 mesi, dai sindacati nazionali di categoria delle parti. Esso disciplina per ciascuna categoria i minimi di trattamento economico-normativo applicabili ai rapporti individuali di lavoro, nonché le relazioni sindacali tra i soggetti stipulanti e le loro articolazioni organizzative. Ad un livello superiore troviamo gli accordi interconfederali che vengono stipulati senza una periodicità ed una scadenza predeterminata direttamente dalle confederazioni sindacali e datoriali e disciplinano singoli istituti (per esempio in passato i licenziamenti individuali e collettivi, oggi le RSU) per i quali le parti ritengono utile o necessaria una regolamentazione uniforme per una pluralità di categorie. Ad un livello inferiore al contratto collettivo nazionale di categoria vi è poi il contratto decentrato. Questo contratto  viene stipulato a livello territoriale, generalmente provinciale (es: nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, del commercio), oppure a livello di luogo di lavoro. Questo contratto disciplina gli standard di trattamento economico-normativo, applicabili ai rapporti individuali di lavoro, e le relazioni sindacali rientranti nel suo ambito di applicazione, oppure interviene sui singoli problemi gestionali. Una struttura contrattuale può essere definita centralizzata a decentrata, a seconda che essa sia tendenzialmente dominante dal punto di vista gerarchico o funzionale, il livello od ambito di applicazione più esteso (ad es. interconfederale o nazionale di categoria), ovvero quello più ristretto (aziendale). Una struttura contrattuale si definisce in ultimo quando entrambi i livelli negoziali hanno formalmente o di fatto competenze e funzioni ampie e rilevanti, ancorché distinte.
>   dei soggetti che contrattano ai vari livelli (sindacati, associazioni imprenditoriali, singolo datore di lavoro, organismi di rappresentanza dei dipendenti nei luoghi di lavoro);
>   delle diverse materie e contenuti che si negoziano ai vari livelli;
>   dei rapporti (dì rinvio ed integrazione o di esclusione) che intercorrono tra i diversi livelli.
Una struttura contrattuale si definisce centralizzata  quando tendono a prevalere i livelli superiori, (nazionale di categoria,interconfederale); decentralizzata, invece quando prevalgono i livelli periferici (aziendale, provinciale, regionale).
Ogni sistema contrattuale può organizzarsi su più livelli o su un unico livello.
Tradizionali livelli:
•    il livello nazionale intercategoriale o interconfederale
•    il livello nazionale categoriale
•    il livello aziendale
•    il livello territoriale infranazionale (regionale o provinciale o di distretto)
•    il livello territoriale sopranazionale (verso la contrattazione collettiva europea?)

 

IL  CONTENUTO DEL PROTOCOLLO CIAMPI del 23 luglio del 1993: riforma della struttura contrattuale.

  • Si formalizza la" struttura della contrattazione collettiva individuando due soli livelli in cui può essere svolta legittimamente l'attività di negoziazione: il livello nazionale di categoria ed il livello aziendale (e solo in alternativa a questo, il livello territoriale).
  • Si forniscono esplicite indicazioni sulle competenze e funzioni dei due livelli e sui  loro reciproci  rapporti.  Per esempio la contrattazione aziendale può occuparsi di materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli della contrattazione    nazionale     (principio     di    specializzazione     e    di    non sovrapponibilità delle materie già preventivamente definite al livello superiore).

Si ammette dunque un decentramento ma nei limiti rigorosamente stabiliti dal contratto nazionale (principio della prevalenza gerarchica del livello centrale). La contrattazione aziendale per esempio, per quanto riguarda la retribuzione, si può occupare soltanto di istituti retributivi legati a precisi indicatori di produttività, qualità e redditività aziendale e non può riguardare, dunque, la retribuzione standard o minima, che rimane di competenza del contratto nazionale.

  • Sono regolate anche le procedure negoziali e i soggetti che possono condurre la negoziazione in modo tale da garantire omogeneità tra i soggetti contrattuali del livello centrale e del livello periferico.
  • Vengono pure prestabiliti i periodi di vigenza dei contratti nazionali e dei contratti decentrati. Per il contratto nazionale viene introdotta una differenziazione in ragione delle materie regolatela durata è così, quadriennale per la parte normativa; biennale per la parte economica. Il contratto decentrato ha invece durata quadriennale.

LE PROCEDURE DI STIPULAZIONE E DI RINNOVO DEL CONTRATTO.

Per quanto concerne le procedure di stipulazione e rinnovo del contratto, il protocollo del 23 luglio del ’93, stabilisce che, 3 mesi prima della scadenza le parti si incontrano per avviare le trattative di rinnovo del contratto: per rinnovo si intende la stipulazione di un nuovo contratto che sostituisce il precedente. Sostanzialmente però, la contrattazione non porta al mutamento dei termini del precedente contratto nella sua globalità, bensì lo aggiorna più o meno intensamente solo nei contenuti che hanno formato oggetto del conflitto e sui quali si è formato il consenso. Le trattative vengono precedute dalla presentazione, normalmente da parte delle associazioni dei lavoratori, della c.d. piattaforma rivendicativa, che contiene l’elenco  delle richieste di modifica del contratto in scadenza. Le trattative possono prolungarsi nel tempo, una volta scaduto il periodo di raffreddamento previsto dal protocollo del ’93, possono essere intramezzate da scioperi quando il conflitto è poi particolarmente aspro, e le parti sono molto distanti, può esservi l’intervento di un soggetto pubblico, in veste di compositore (prevalentemente il ministro del lavoro).
Le trattative terminano con la stipulazione dell’accordo di rinnovo del contratto collettivo; è ormai prassi affermata quella della sottoposizione dell’accordo, talvolta chiamato per questo ipotesi di accordo, alla ratifica dei lavoratori tramite le assemblee o tramite referendum.
Infine, nel caso in cui alla stipulazione di un contratto collettivo, siano rimaste estranee una o più associazioni sindacali, queste sono spesso ammesse a sottoscriverlo a parte senza potervi però apportare alcuna modifica, in modo da estendere gli effetti ai propri iscritti. È questo un contratto per adesione, proprio perché l’organizzazione minore è posta dinnanzi ad un testo già predisposto al quale può solo adeguarsi.

SUCCESSIONE DI CONTRATTI COLLETTIVI NEL TEMPO.

Di solito il rinnovo di un contratto collettivo apporta delle modifiche che si risolvono in miglioramenti retributivi o normativi del trattamento dei lavoratori, ma accade a volte, che queste modifiche siano peggiorative.
Mentre per le modifiche migliorative non ci sono problemi, notevolmente complessa è la questione dell’ammissibilità delle modifiche peggiorative. La giurisprudenza del tempo ha risolto il problema confermando l’ammissibilità delle modifiche peggiorative, questo sulla base della considerazione che il  principio dell’immodificabilità in peius del contratto collettivo da parte di quello individuale, non si applica ai rapporti tra contratti collettivi. Si può dire, quindi, che un contratto collettivo successivo può modificare in peuis un contratto collettivo precedente. Un primo limite però, è costituito dal fatto che possono essere modificati in peggio solo gli istituti che trovano la loro fonte in precedenti contratti collettivi; un altro limite è costituito dall’inderogabilità di quei diritti che siano entrati a far parte del patrimonio del lavoratore (diritti quesiti o acquisiti), quale corrispettivo di una prestazione già resa e nell’ambito di un rapporto o di una fase del rapporto già esaurita.

 

EFFICACIA NEL TEMPO DEL CONTRATTO COLLETTIVO. (ULTRATTIVITA’).

Se la trattativa per il rinnovo del contratto collettivo non si esaurisce entro il termine di scadenza del precedente, si verifica un vuoto normativo, ed il datore di lavoro non è più tenuto al rispetto del contratto, e può convenire pattuizioni individuali peggiorative dei trattamenti minimi previsti dal contratto collettivo scaduto, fatti salvi, naturalmente, i diritti che siano già entrati nel patrimonio del lavoratore (diritti quesiti). L’art. 2074 del c.c. risolve questo problema con il meccanismo dell’ultrattività, in forza del quale il contratto collettivo continua a produrre i suoi effetti dopo la scadenza, fino a che non sia intervenuto un nuovo contratto collettivo. La norma, però, concerne solo il contratto collettivo corporativo e, secondo una consolidata giurisprudenza, non è applicabile anche al contratto collettivo di diritto comune; quest’ultimo contiene, invece, spesso delle clausole che ne sanciscono  l’ultrattività. Un altro genere di problemi si pone quando il nuovo contratto collettivo contiene clausole che prevedono la retroattività del nuovo regolamento contrattuale. Per i contratti corporativi la retroattività non era ammessa, mentre oggi i contratti collettivi di diritto comune, possono legittimamente contenere clausole che ne facciano decorrere gli effetti da date anteriori a quella di stipulazione. In ultimo se la clausola retroattiva ha un contenuto peggiorativo per il lavoratore, questa è comunque ammessa, purchè il diritto che scaturisce dalla regolamentazione precedente non sia già entrato nel patrimonio del prestatore di lavoro.

LE CONSEGUENZE DELLA  RIFORMA DELLA STRUTTURA E DEL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA. IL PROBLEMA DEL CONCORSO-CONFLITTO TRA I VARI  LIVELLI. (si riferisce sempre all’efficacia erga omnes).

La riforma del sistema di contrattazione collettiva ha prodotto effetti positivi cioè risolutori anche su questioni che in precedenza avevano animato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La questione più importante è quella del concorso-conflitto tra i contratti collettivi appartenenti a livelli negoziali diversi. Prima della riforma del 1993 con la quale si introduce esplicitamente il principio della prevalenza gerarchica del contratto nazionale di categoria sul contratto decentrato (aziendale ma anche territoriale) poteva accadere che un contratto nazionale e un contratto aziendale mancando regole di definizione delle competenze, delle funzioni e della prevalenza finissero per regolare, in maniera diverga (concorso) o contraddittoria (conflitto), la stessa materia o un medesimo istituto. In queste situazioni, in mancanza di regole certe di riparto e attribuzione delle competenze, il concorso/conflitto veniva risolto dalla giurisprudenza con criteri non sempre uniformi; il criterio della applicazione della norma contrattuale più favorevole al lavoratore, il principio della prevalenza della norma speciale (cioè della norma più aderente alla situazione regolata, purché posta in essere da soggetti negoziali omogenei a quelli che avessero stipulato il contratto nazionale), il principio della successione cronologica ( vale a dire della prevalenza della norma più recente), non poteva essere certo richiamato il principio di gerarchia, proprio perché il sistema si presentava senza un centro e dunque privo di un livello gerarchicamente prevalente. La riforma del 93 ha risolto questo problema nella misura in cui, come si è detto, ha organizzato la struttura della contrattazione collettiva su due livelli gerarchicamente ordinati, stabilendo con certezza la prevalenza del contratto collettivo nazionale e individuando con precisione le diverse competenze dei vari livelli di contrattazione (principio di specializzazione). Oggi un giudice di fronte a fattispecie in cui appaia incerta la norma contrattuale di riferimento ha ormai a disposizione una serie di criteri certi (principio di gerarchia, di competenza, di specializzazione per risolvere, con notevoli margini di sicurezza, il problema del concorso conflitto tra norme contrattuali di diverso livello.

LA CONTRATTAZIONE E LA LEGGE – INDEROGABILITA’ UNILATERALE DELLA LEGGE

La regolamentazione del rapporto di lavoro è il risultato della combinazione delle regole dettate dal contratto individuale, dai contratti collettivi e dalla legge. Per quanto riguarda il rapporto tra l’autonomia collettiva (che si esprima mediante i contratti individuali e collettivi) e la legge, lo schema classico di regolamentazione di tale rapporto è impostato nel senso che l’autonomia privata è subordinata alla legge. Più specificatamente le norme di legge predispongono un livello di tutela minima per i lavoratori mediante norme unilateralmente inderogabili, e i contratti collettivi ed individuali possono apportare deroghe migliorative ma non peggiorative del trattamento dei lavoratori. Questo clima non è però privo di eccezioni, si pensi ad esempio al caso in cui la legge impone al contratto collettivo di non disporre trattamenti migliorativi di quelli da essa indicati (i c.d. tetti della contrattazione collettiva).  

CAPITOLO XI

AUTOTUTELA E DIRITTO DI SCIOPERO.

L'autotutela degli interessi collettivi può esprimersi in diversi comportamenti che hanno il compito di esercitare una pressione sulla controparte per indurla a fare o non fare qualcosa, e per determinarne in tal modo un differente equilibrio tre fra i fattori della produzione. La forma più incisiva di autotutela degli interessi collettivi e data dello sciopero. Fino al 1889 lo sciopero era considerato un reato, il codice puniva tutte le intese degli operai allo scopo di sospendere e ostacolare il lavoro senza ragionevole causa. Nel 1889 con l'emanazione del nuovo codice penale viene abrogato il divieto di coalizione, e lo sciopero non fu più considerato perseguibile sotto il profilo penale, purché  posto in essere senza violenza o minaccia. Con l'ordinamento corporativo si ritornò alla repressione penale e venne delineata tutta una serie di figure criminose considerate delitti contro l'economia nazionale che passarono nel codice del 1931 tuttora vigente. Ad esempio gli articoli 330 e 333 del codice penale del 1931 punivano con particolare severità lo sciopero dei pubblici dipendenti e degli addetti ai servizi pubblici, considerandoli reati contro la pubblica amministrazione. Questi articoli sono stati abrogati con una legge del 1990  N° 146. Nella Carta Costituzionale la norma fondamentale in materia di conflitti di lavoro è l’art. 40, che garantisce l'esercizio del diritto di sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano. Il riconoscimento del diritto di sciopero, conferisce al principi di libertà di organizzazione (articolo 39) un potente strumento di affettività, perché  proprio la garanzia dello sciopero è quella che consente all'organizzazione sindacale di esistere e di operare nell'ambito di un sistema economico largamente incentrato sul mercato e sull'iniziativa economica privata. L'articolo 40 considera lo sciopero come un diritto pubblico (espressione di un diritto pubblico di libertà) soggettivo di libertà. La qualificazione del diritto di sciopero come diritto pubblico di libertà, comporta che non può essere emanato alcun provvedimento legislativo, amministrativo o giurisdizionale che contrasti con il diritto di sciopero. Il diritto di sciopero esplica poi i suoi effetti anche nei rapporti soggettivi privati inibendo al datore di lavoro la possibilità di compiere atti diretti a mortificare l'esercizio del diritto.

IL DIRITTO DI SCIOPERO NELLA COSTITUZIONE, NELLA DOTTRINA E NELLA GIURISPRUDENZA.

Lo sciopero è lo strumento di conflitto tipico dei lavoratori subordinati, coalizzati in sindacati o in forme anche più rudimentali (per esempio, comitati di base più o meno spontanei), che si astengono collettivamente dal lavoro, per fini di rivendicazione politica, sociale ed economica. Lo sciopero è formalmente riconosciuto dall'art. 40 della ns. Costituzione come un diritto. Il riconoscimento dello sciopero come un diritto, in particolare, come diritto pubblico di libertà, è una conquista giuridica delle moderne costituzioni degli Stati democratici e pluralistici, è stato recentemente inserito nella Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. del 2000 (art 28). Lo sciopero come mera libertà significa soltanto che chi promuove o aderisce ad uno sciopero non può essere, perseguito penalmente in quanto Fazione di sciopero è riconosciuta come lecita e legittima sul piano penale, cioè non costituisce reato. Mentre l'astensione dal lavoro è pienamente legittima, illegittima diviene la reazione in termini dì sanzione disciplinare o di licenziamento. Al datore di lavoro costretto a subire l'azione dì sciopero non è consentito altro che trattenere la retribuzione relativa al periodo di astensione, cioè la retribuzione che egli avrebbe dovuto erogare nel caso in cui la prestazione di lavoro fosse stata regolarmente eseguita.
Soltanto nel 1960 la Corte ha dichiarato incostituzionale l'art. 502 c.p. che vietava lo sciopero e la serrata per fini contrattuali, vale a dire per ragioni di carattere economico.

 

LO SCIOPERO POLITICO.
lo sciopero politico è stato considerato in un primo tempo illegittimo da un lato, per l'impossibilità di qualificare come economico professionale l'interesse gli scioperanti, e dall'altro, perché la rivendicazione avanzata dagli stessi non è nella disponibilità del datore di lavoro. È stato poi affermato che bisognava distinguere tra lo sciopero politico in senso stretto, cioè quella attinente al prevalere di questa o di quella scelta intorno a specifici problemi politici, e lo sciopero economico politico, cioè quello diretto ad ottenere dalla pubblica autorità interventi, o a resistere ad interventi che riguardino le condizioni socioeconomiche dei lavoratori. La corte costituzionale ha quindi disposto che costituiscono legittimo esercizio del diritto di sciopero, quegli scioperi che siano attuati contro la riduzione di servizi sociali o per sollecitare interventi per l'occupazione o per altri fini analoghi, questi scioperi sono caratterizzati dal fine di tutelare interessi di natura economica che possono essere soddisfatti solo dati legislativi di governo centrale o locale. Bisogna l'ultimo ricordare che ormai neanche uno sciopero politico puro costituisce più di per sé reato. Infatti, la Corte, ha lasciato in vigore l'art 503 che prevede come reato lo sciopero politico, solo nei casi in cui lo sciopero sia diretto a sovvertire l'ordinamento costituzionale, ovvero ad impedire o ad ostacolare il libero esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime la sovranità popolare.

LO SCIOPERO DI SOLIDARIETA’

La Corte costituzionale con un'apposita sentenza ha riconosciuto la legittimità del cosiddetto sciopero di solidarietà; questa ipotesi prevista come reato dall'articolo 505 del codice penale, ricorre quando alcuni lavoratori si pongono in sciopero senza avanzare una pretesa che influisce sul loro rapporto di lavoro, ma per solidarizzare con le rivendicazioni gli altri gruppi, oppure contro la lesione degli interessi di un singolo lavoratore. La Corte costituzionale ha affermato la legittimità di questa forma di lotta sindacale, ma a condizione che sussista una comunione di interessi tra i due gruppi dei lavoratori.

CHI E' IL SOGGETTO TITOLARE DEL DIRITTO DI SCIOPERO?

Innanzitutto deve escludersi che la titolarità del diritto di sciopero spetti alle organizzazioni sindacali dei lavoratori; infatti lo sciopero può essere praticato anche da gruppi di lavoratori monorganizzati in sindacato. Il diritto di sciopero può essere definito quindi come un diritto individuale ad esercizio collettivo; la sua titolarità spetta cioè ad ogni singolo lavoratore anche se, essendo tale diritto riconosciuto per la tutela comune di un interesse collettivo, e il suo esercizio si esplica collettivamente.
L'alternativa si pone tra:
a) il singolo lavoratore e
b) l'organizzazione sindacale che normalmente promuove ed organizza il conflitto. Normalmente gli scioperi sono proclamati dai sindacati. Normalmente perché può avvenire che gruppi di lavoratori si coalizzino spontaneamente e diano luogo ad una protesta pur sempre organizzata a prescindere da ogni proclamazione o riconoscimento da parte di sindacati ufficiali ( i c.d. scioperi selvaggi).
In Italia per ampia e consolidata convenzione dottrinale e giurisprudenziale- titolare del diritto di sciopero è il singolo lavoratore e non il sindacato (in altri sistemi per es. nella Repubblica federale tedesca, la giurisprudenza riconosce nel sindacato, e non nel singolo lavoratore, il soggetto titolare del diritto, con la conseguenza di considerare illegittimi gli scioperi "non ufficiali”, cioè non proclamati dal sindacato).
Ne deriva che in Italia sono legittime tutte le forme di sciopero attuate anche da gruppi di lavoratori, senza alcuna proclamazione o copertura sindacale ( si tratta, pur sempre, di un diritto individuale ad esercizio collettivo) purché abbiano requisiti fattuali minimi → deve trattarsi di una coalizione con un minimo di organizzazione che ponga in essere una protesta per scopi anche latamente sociali e professionali, Solo nel settore dei servizi pubblici essenziali esistono regole legali dettagliate sulla proclamazione dei conflitti.

LO SCIOPERO COME DIRITTO POTESTATIVO E COME NEGOZIO GIURIDICO.

Alcuni autori hanno qualificato lo sciopero come diritto potestativo del lavoratore: l’esercizio di questo diritto costituirebbe un negozio giuridico che produce l’effetto di far venire meno il diritto del datore di lavoro alla prestazione lavorativa. Secondo questa tesi tale diritto non può esercitarsi se non in funzione di una pretesa diretta contro il datore di lavoro, per cui lo sciopero per essere legittimo deve essere praticato solo per rivendicazioni la cui soddisfazione sia nelle mani del datore di lavoro. 

 

 

SCIOPERO E RETRIBUZIONE.

L'effettuazione di uno sciopero sospende per il lavoratore che vi abbia partecipato il diritto alla retribuzione, e tale sospensione non si estende a diritti diversi da quelli relativi alla retribuzione. Inoltre la giurisprudenza ha affermato che la sospensione della retribuzione deve essere riferita a tutti gli elementi della stessa, e quindi anche gli elementi accessori che abbiano carattere retributivo; di conseguenza la giurisprudenza ha riconosciuto la natura di retribuzione differita alla gratifica natalizia e alla tredicesima mensilità; ha riconosciuto, pertanto, la legittimità della trattenuta di una quota della tredicesima proporzionale alla durata dello sciopero. Si ritiene che anche il periodo di ferie retribuite vada ridotto proporzionalmente al periodo di sciopero. La giurisprudenza ha anche desunto la legittimità della non corresponsione della retribuzione per le giornate festive che ricadano durante i giorni di sciopero. Per quanto concerne gli scioperi brevi, cioè della durata inferiore alla giornata di lavoro è stato sostenuto che la trattenuta sulla retribuzione deve essere operata in proporzione non  alla durata dello sciopero, ma alla diminuita utilità della prestazione effettuata.

LE ATTIVITA’ STRUMENTALI ALL’ESERCIZIO DELLO SCIPERO.

L'ordinamento giuridico riconoscendo il diritto di sciopero, riconosce la propria tutela anche a quei comportamenti strumentali che sono strettamente collegati con l'esercizio di quel diritto. Si pensi ad esempio all'attività di propaganda diretta a far aderire allo sciopero tutti i componenti del gruppo professionale coinvolto nell'azione sindacale. Si pensi ancora alle pubbliche manifestazioni previste per indurre l'opinione pubblica a socializzare con gli scioperanti o infine ai cortei interni. Bisogna poi ricordare il cosiddetto picchettaggio, e cioè l'organizzazione da parte dei sindacati e dei lavoratori sciopero, di una vigilanza all'ingresso dei luoghi di lavoro; esso è considerato lecito a condizione che non si traduca in comportamenti autonomamente rilevanti sul piano penale. Per esempio spesso la giurisprudenza ha affermato che non rientra nel diritto di sciopero ed è illegittima, la condotta diretta di impedire con la violenza e la minaccia, l'esecuzione della prestazione da parte dei lavoratori non scioperanti. È stato parimenti ritenuto illecito il blocco delle merci e degli accessi al cantiere, in quanto tali comportamenti risultano lesivi del diritto dell'imprenditore, nonché dei dipendenti non aderenti alla manifestazione di protesta a svolgere la loro attività lavorativa.

 

LE MODALITA’  DI REGOLAZIONE DELLO SCIOPERO. LIMITI INTERNI E LIMITI ESTERNI.

Per lunghi anni sicuramente nel periodo intercorrente tra l'entrata in vigore della Costituzione e la fine degli anni 60, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno inteso limitare surrettiziamente il diritto di sciopero in due modi:
1)   con una definizione restrittiva di sciopero come azione di astensione dal lavoro, di durata giornaliera,   concertata   e   coordinata,   posta   in   essere   contemporaneamente   dai lavoratori interessati, ai fini di tutela economico professionale, per lasciar fuori dall'area dello sciopero legittimo tutte le forme di sciopero più incisive i ed scioperi articolati: gli scioperi a  scacchiera  ( in cui i vari reparti di una stessa impresa scioperano non contemporaneamente, ma secondo turai successivi prestabiliti) e a singhiozzo ( in cui i lavoratori spesso senza preavviso scioperano a intervalli irregolari, per periodi brevi e quindi inferiori   alla   giornata).  Nella prassi sindacale, queste due forma di sciopero possono presentarsi variamente combinate tra loro; in tal caso so parlerà di sciopero articolato: si altera l’organizzazione produttiva pertanto si produce il massimo danno per la controparte con la minima perdita di retribuzione per gli scioperanti. Sullo sciopero articolato la giurisprudenza ha elaborato la teoria del c.d. danno ingiusto o della corrispettività dei sacrifici. Nelle forme normali di sciopero, al danno subito dall’imprenditore corrisponde con un nesso di corrispettività, la perdita di retribuzione da parte dei lavoratori; al contrario in uno sciopero articolato questa corrispettività non ricorre, e ciò determina l’ingiustizia del danno subito dal datore di lavoro. In base a questa teoria lo sciopero articolato non era legittimo. Ma la teoria in questione è stata oggetto di critiche, in quanto non fornisce strumenti idonei a valutare la normalità sia dello sciopero che del danno. Oltre   a   questi,   anche   il   c.d.   sciopero   bianco   consistente nell'applicazione pedante e scrupolosa dei regolamenti, tale da ostacolare o rallentare ugualmente lo svolgimento del lavoro e lo sciopero a braccia incrociate vale a dire lo sciopero posto in essere da lavoratori che interrompono l'attività di lavoro senza tuttavia abbandonare il posto di lavoro, tutte queste forme di conflitto, diverse dall'astensione prolungata per l'intera giornata di lavoro venivano pertanto considerate non sciopero e quindi sottratte dall'area di tutela del diritto.
Dall’inizio degli anni 70 la dottrina è intervenuta in materia di danno ingiusto con una migliore impostazione, sulla base dei principi che regolano la responsabilità aquiliana. Secondo questa dottrina sui partecipanti allo sciopero, al pari di ogni altro soggetto estraneo al rapporto obbligatorio , grava l’obbligo di rispetto della sfera giuridica altrui, nella quale deve essere ricompresso anche l’interesse del datore di lavoro alla conservazione dell’organizzazione aziendale, in vista della ripresa dell’attività produttiva. Danno ingiusto, in sostanza, sarebbe quello che lede l’interesse del datore di lavoro alla conservazione dell’organizzazione aziendale.
Tutte quelle forme di sciopero prima descritte (a scacchiera, a singhiozzo..) venivano considerate illecite per il fatto che infliggevano al datore di lavoro un danno superiore al sacrificio affrontato dagli scioperanti con la perdita della retribuzione, causando al datore dì lavoro un danno non proporzionato.
Entrambi i percorsi argomentativi avevano un preciso scopo: quello di limitare Io sciopero, al di là di ogni previsione normativa, individuandone i c.d. limiti interni.
Con la sentenza n. 711/1980, la corte di cassazione affermò, prendendo atto della realtà delle dinamiche sociali del conflitto industriale, che lo sciopero non poteva soffrire di alcun limite interno edificato sulla base di astratte definizioni della fattispecie. Dunque sciopero non è quello qualificato come tale dall'interprete, ma quello ritenuto tale dai suoi protagonisti, da coloro, cioè che decidono di attuarlo per perseguire un interesse collettivo, con le forme e le modalità ritenute di volta in volta più adeguate ed opportune. Non sono dunque, posti limiti alla possibilità di incidere, mediante un'azione di sciopero, sulla produzione, ovverosia sulla quantità di merci e manufatti prodotti o servizi erogati, allo scopo dì arrecare un danno economico al titolare dell'attività. Se un limite può essere invece individuato , esso consiste nel fatto che io sciopero non può mai incidere sulla produttività di un impresa non può mai arrivare a disarticolare i fattori produttivi sino al punto di comprometterne la capacità e la potenzialità produttiva futura. Uno sciopero che blocchi il sistema produttivo di una fabbrica causando, per es. lo spegnimento di forni permanentemente funzionanti o fermando completamente gli impianti ed. ciclo continuo, non può essere considerato legittimo perché incide sulla produttività (la capacità produttiva) e non sulla produzione (la quantità di prodotto) e risulta pertanto lesivo di un bene costituzionalmente tutelato: la libertà di iniziativa economica dell'imprenditore (art. 41 Cost.). detto ciò lo sciopero dunque non può soffrire di limiti interni, ma può subire limiti esterni (x es. art. 41) in ragione del suo bilanciamento con altri diritti di pari o superiore rilevanza costituzionale.

 

LA REGOLAMENTAZIONE DELL'ESERCIZIO DI SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI.

Terziarizzazione del conflitto o dello sciopero → intendendo con questa espressione che lo sciopero, nelle moderne società post-industriali, spesso finisce per produrre danni, in termini di disagi ma anche di costi economici, nei confronti di chi (gli utenti, i consumatori) non ha la disponibilità della pretesa degli scioperanti e rischia anzi di essere utilizzato come ostaggio dagli stessi, per far pressione nei confronti di chi invece, ha tale disponibilità (datori di lavoro, aziende pubbliche o private).

LA SOLUZIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE PRIMA DELL'INTERVENTO DEL LEGISLATORE.

La Corte Costituzionale aveva formulato la teoria dei limiti esterni del diritto dì sciopero, formulando i seguenti principi:
a)   l'esercizio del diritto di sciopero può trovare limitazione solo al cospetto di diritti di superiore o pari rango costituzionale il cui effettivo godimento non può essere compromesso dall'esercizio del diritto di sciopero;
b)   il contemperamento tra diritto di sciopero e altri diritti costituzionali non può tuttavia comportare una compressione totale del primo, ma solo una sua limitazione, pertanto tale contemperamento dovrà avvenire attraverso l'individuazione di servizi minimi da garantire, comunque, in caso di sciopero.

COME E' REGOLATO LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI: LA LEGGE N. 146/1990 E SUCCESSIVE MODIFICHE.

La legge n. 146/1990 e con un intervento successivo la 1. n. 83/2000 hanno regolamentato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (s.p.e.).
La regolamentazione attuale segue il seguente schema:
a)   diritti della persona:  il legislatore ha specificato quali diritti della persona meritano protezione eguale al diritto di sciopero. Lo ha fatto utilizzando la tecnica dell'elencazione tassativa (vita, salute, libertà di circolazione, sicurezza, assistenza e previdenza sociale, istruzione e libertà di comunicazione).
b)   Servizi essenziali: ad ogni diritto della persona corrispondono i servizi essenziali meritevoli di tutela.
Per  es. vita, salute, libertà, sicurezza corrispondono a servizi quali,—► la sanità, l'igiene pubblica, la protezione civile, la raccolta e lo smaltimento dei rifiutar amministrazione della giustizia, la protezione ambientale ecc.
Libertà di circolazione corrisponde a servizi quali,  → trasporti pubblici urbani ed extraurbani, trasporti ferroviari. aerei e marittimi limitatamente ai collegamenti con le isole.
Previdenza e assistenza corrispondono a servizi quali, → erogazione di stipendi e di pensioni. Libertà di comunicazione corrisponde a servizi quali,     poste, telecomunicazioni, informazione
Istruzione corrisponde a servizi quali,  → asili, scuole,ecc.
c) Prestazioni minime indispensabili di servizio. Gli scioperanti hanno l'obbligo di garantire prestazioni minime, in modo che il danno e il disagio che gli utenti sono costretti a subire non superi una certa soglia considerata convenzionalmente tollerabile. Tale soglia non è fissata rigidamente dalla legge, ma è rimessa alla determinazione convenzionale (operata tramite contrattazione collettiva) delle amministrazioni o delle imprese erogatrici dei servizi e delle organizzazioni sindacali.
d)   Valutazione di idoneità degli accordi. Per valutare se gli accordi   sui minimi dei servizi siano idonei a garantire   che le posizioni soggettive degli utenti vengano effettivamente tutelate, la legge, a questo proposito, prevede un articolato procedimento che ruota intorno ad un'autorità amministrativa indipendente  di  origine  parlamentare:   la commissione  di garanzia. Nel caso in cui la valutazione è positiva, l'accordo viene reso operativo. Nel caso in cui la valutazione è negativa si innesta un ulteriore fase nel procedimento: la commissione formula una propria proposta alternativa. Se le parti accettano la proposta e stipulano l'accordo, il procedimento si conclude. Se le parti invece non concordano, la commissione adotta una provvisoria regolamentazione in attesa di un accordo futuro.
e)   I doveri legali relativi all'esercizio dello sciopero. La legge si preoccupa di stabilire direttamente alcune modalità di esercizio dello sciopero nei s.p.e., ponendo a carico degli scioperanti e delle OOSS alcuni precisi doveri. Sono cosi previsti:
f)   l'obbligo del preavviso e della comunicazione della durata dello sciopero che devono essere fomiti almeno 10 giorni prima del medesimo, salva la previsione di un termine più lungo   ad   opera   dei   contratti   collettivi.   La   comunicazione   che   deve   avvenire obbligatoriamente per iscritto, ha ad oggetto la durata, le modalità di attuazione e le motivazioni dall'astensione collettiva dal lavoro e deve essere inviata ai soggetti erogatori del servizio e all'autorità competente alla precettazione (ministro o prefetto),  quest'ultima deve, a sua volta, trasmettere queste comunicazioni alla commissione. La legge prevede due sole eccezioni all'obbligo del preavviso: a) scioperi posti in essere in difesa dell'ordine costituzionale; b) proteste per gravi eventi lesivi dell'incolumità e della sicurezza di lavoratori. La eccezionalità e la straordinarietà di queste due diverse situazioni giustifica il fatto che non occorra attendere 10 giorni per la effettuazione dello sciopero.
2)   L'obbligo di comunicazione, a carico delle amministrazioni e delle imprese erogatrici ed in favore degli utenti, dei modi e dei tempi di erogazione dei servizi durante lo sciopero e delle misure di riattivazione degli stessi. Tale comunicazione va fornita nelle forme adeguate almeno cinque giorni prima dell'inizio dello sciopero. La ratio di questi obblighi di preavviso   e   di   comunicazione   è   evidente:   dare   modo   alle   imprese   di   organizzare l'erogazione delle prestazioni minime e mettere in guardia gli utenti dei possibili disagi cui andranno incontro nel momento dell'effettuazione dello sciopero. La novella del 2000 ha pure introdotto il divieto del ed. effetto annuncio, vaie a dire dì quelle prassi diffuse prima dell'intervento dì riforma, per cui lo sciopero veniva proclamato con l'intenzione di non essere poi attuato e veniva pertanto revocato immediatamente prima della sua realizzazione. Il danno sugli utenti era pressoché analogo a quello prodotto da un esercizio effettivo dello sciopero, con in più il vantaggio, per gli attori del conflitto, di non subire la perdita di retribuzione. Questa pratica oggi èesplicitamente sanzionata dalla legge che considera la revoca spontanea dello sciopero proclamato, dopo che è stata data informazione all'utenza, forma sleale di azione sindacale.
Altre modalità di esercizio non sono previste direttamente dalla legge, ma devono essere obbligatoriamente contenute negli accordi di regolamentazione, esse diventano in tal modo oggetto di valutazione della Commissione; gli accordi devono prevedere procedure di raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti e da esperire prima della   proclamazione dello sciopero. Nel periodo di riflessione e di ricerca dell'accordo, il conflitto viene raffreddato per cui i lavoratori non possono ricorrere allo sciopero, i sindacati non possono proclamarlo e le imprese e le amministrazioni erogatrici debbono astenersi pure dal dare attuazione alla misura controversa cioè assumere iniziative sulle materie oggetto della controversia in corso. Gli accordi devono indicare pure intervalli minimi da osservare tra l'effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo (la c.d. rarefazione oggettiva). In virtù di tale regola, se scioperano i lavoratori del trasporto aereo, non possono contemporaneamente scioperare i lavoratori del trasporto ferroviario, in modo da dare la possibilità agli utenti di utilizzare il treno anziché l'aereo o viceversa. Frutto della regolamentazione contrattuale sono infine i ed. periodi di franchigia., vale a dire quei periodi dell'anno in cui in coincidenza di particolari festività (pasqua, natale ecc.) o delle ferie non è consentito ricorrere allo sciopero.
f) il ruolo delle associazioni degli utenti e dei consumatori. La legge nella versione novellata nel 2000 ha pure previsto un ruolo delle associazioni degli utenti e dei consumatori al processo di regolamentazione dello sciopero riconoscendo, anche se in modo non proprio incisivo, la rilevanza degli interessi di cui queste ultime sono portatrici.

CAPITOLO XII

SOGGETTI E STRUMENTI DELLA REGOLAZIONE DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI.: LA COMMISSIONE DI GARANZIA; LE SANZIONI.

La Commissione di garanzia: si tratta di un'autorità amministrativa indipendente dal Governo e dal Parlamento: i suoi nove membri sono scelti, su designazione dei Presidenti delle due Camere, tra esperti in materia dì diritto costituzionale di diritto del lavoro e di relazioni industriali e sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica; sono inamovibili durante tutto il periodo di mandatotene dura tre anni)e che può essere rinnovato una sola volta.
Oltre al potere di valutare gli accordi sui minimi di servizio (che può certamente essere considerato il potere primario della Commissione) e al potere di indire referendum nei casi previsti, la commissione 1) può esprimere il proprio giudizio sulle questioni interpretative e applicative dei contenuti degli accordi; 2) può emanare lodi arbitrali, su richiesta congiunta delle parti interessate, sul merito della controversia; 3) può assumere informazioni o convocare le parti in apposite audizioni per verificare se sono stati esperiti i tentativi di conciliazione e se vi sono le condizioni per una composizione della controversia. Questi poteri attengono al ruolo di mediazione ed arbitrato della Commissione. Inoltre la Commissione può invitare i soggetti interessati a riformulare la proclamazione dello sciopero in conformità alla legge, agli accordi o ai codici di autoregolazione, questo potere attiene ad una diversa funzione,della commissione che in tal caso, agisce come garante della legalità. Segnalare all'autorità competente alla precettazione le situazioni nelle quali dallo sciopero o dall'astensione collettiva , può derivare un imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati. In  questo caso la commissione riveste il ruolo di soggetto di avvio della procedura di precettazione. Ma uno dei principali poteri della commissione è certamente quello di deliberare le sanzioni, collettive e individuali, che devono essere irrogate nei casi in cui le norme legali e contrattuali che regolano le modalità dello sciopero nei s.p.e. vengano violate. Una delle principali innovazioni della legge n. 83/2000 attiene appunto al ruolo sanzionatorio della commissione di garanzia che è diventata il soggetto titolare del potere di irrogare sanzioni.
L'apparato sanzionatorio della legge. Possono essere deliberate dalla Commissione sanzioni collettive, individuali con esclusione delle misure estintive del rapporto o di quelle che comportino mutamenti definitivi dello stesso. Sanzioni a carico dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e dei legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i s.p.e.: sanzioni amministrative pecuniarie. Per i lavoratori sanzioni disciplinari: multe e sospensioni con esclusione delle misure estinte o definitive. Per i sindacati: sospensione dei permessi e dei contributi, esclusione dalle trattative, sanzioni pecuniarie per i soggetti che non fruiscono di permessi o che     non partecipano alle trattative. Contro le sanzioni irrogate sia i singoli sia le OOSS possono ricorrere al giudice del lavoro.

LA NORMA DI CHIUSURA DEL SISTEMA: L'ORDINANZA DI PRECETTAZIONE.

Il legislatore per chiudere il sistema di regolazione dell'esercizio del diritto di sciopero nei s.p.e. ha previsto la possibilità di un intervento esterno coattivo in grado di comprimere eccezionalmente l'esercizio di tale diritto. Tale intervento si opera attraverso l'ordinanza di precettazione; quest'ultima è un provvedimento amministrativo in senso tecnico, che può essere adottato dal Presidente del Consiglio o da un Ministro delegato, nei casi di conflitti di rilievo nazionale, e dal Prefetto nei casi di conflitti di rilievo locale. Tali autorità possono intervenire di propria iniziativa nei casi di necessità ed urgenza o su segnalazione della Commissione di garanzia. Il provvedimento di, precettazione ha come indefettibile presupposto il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati. Occorre dunque una prognosi seria di gravita del danno e di fondatezza del pericolo.
Per quanto attiene alla procedura, Sa legge prevede che prima di emanare l'ordinanza, l'autorità competente debba ammonire le parti; debba cioè invitare le parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo ed esperire un tentativo di conciliazione, da esaurire nel più breve tempo possibile, solo in caso di esito negativo dei tentativo, essa può adottare con ordinanza, ampiamente discrezionale, te misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati. Il provvedimento deve essere emesso inoltre almeno 48 ore prima dell'inizio dell'astensione( salvo che sia ancora in corso il tentativo di conciliazione o vi siano ragioni d'urgenza).
Contro l'ordinanza di precettazione è ammesso ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale competente, da parte dei destinatari del provvedimento che ne abbiano interesse, entro 7 giorni dalla comunicazione o dal giorno successivo alla eventuale affissione della comunicazione del provvedimento. L'ordinanza è comunque immediatamente esecutiva. Nel caso di inadempimento della ordinanza sono previste sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall'autorità precettante ed applicate dall'ispettorato del lavoro.       

SINDACALISMO UNITARIO E PLURALISMO SINDACALE.

Fermo restando, nei paesi a libertà sindacale, la libertà giuridica di costituire organizzazioni di qualsiasi orientamento, di fatto in alcuni paesi esistono confederazioni che raggruppano tutti o quasi tutti i sindacati esistenti (unità sindacale). Il sindacalismo unitario è proprio della Gran Bretagna, della Germania e della Svezia. In Italia nel 44, quando ancora la liberazione dal fascismo non era ancora compiuta, la democrazia cristiana, il partito comunista e quello socialista, stipularono a Roma un accordo (patto di Roma) per far riconoscere il sindacalismo libero, creando un’unica confederazione (la confederazione generale italiana del lavoro). Ma nel 48 la CGIL unitaria fu abbandonata dalla corrente cattolica, che formò la CISL (confederazione italiana sindacati liberi). L’anno successivo uscirono i lavoratori della corrente social democratica e repubblicana, formando la UIL (unione italiana del lavoro).
Nel 1972 le tre organizzazioni stipularono un patto con il quale fu creata la FEDERAZIONE DELLE CONFEDERAZIONI, denominata FEDERAZIONE CGIL; CISL UIL.
Gli organi di questa federazione erano composti pariteticamente dai corrispondenti organi delle tre confederazioni che si riconoscevano reciprocamente pari peso nelle decisioni e contemporaneamente si impegnavano a prendere le proprie decisioni solo unitariamente. Questo equilibrio resse fino all’84 quando il mancato accordo con il governo portò allo scioglimento della federazione.
Successivamente la reciproca convenienza impose la ripresa di una prassi unitaria. Oltre a CGIL CISL E UIL esiste poi un insieme di organizzazioni cosiddette autonome, come la CIDA che organizza i dirigenti di azienda o la SNALS degli insegnanti di scuole secondarie.
Il pluralismo sindacale può essere considerato uno degli effetti del principio di libertà sindacale cui si ispira l’ordinamento italiano.
Contenuto basilare di tale principio è appunto la libertà di ognuno di contribuire alla formazione di organizzazioni, di aderirvi liberamente e di fuoriuscire da esse.
Il fatto che il sistema sindacale sia improntato ai canoni del pluralismo significa:

  • che il sistema sindacale non è regolato dallo Statuto con una legge che determina i requisiti necessari per dar luogo ad una organizzazione qualificabile giuridicamente come sindacale, né con una legge che imponga l’ideologia o gli scopi che la stessa deve perseguire come avveniva nel sistema corporativo.
  • che i singoli ed i gruppi che danno luogo a coalizioni qualificabili come sindacali possano farlo sulla base di diverse motivazioni anche ideali, culturali, religiose o di identità etnico territoriali oltre che professionali.

In Italia il pluralismo sindacale riguarda due aspetti fondamentali:

  • un aspetto originariamente ideologico, oggi di natura più politica;
  • un aspetto di tipo organizzativo e professionale.

PLURALISMO SINDACALE DI TIPO ORGANIZZATIVO E PROFESSIONALE.

Rappresentato dalla proliferazione di sigle e di forme di sindacalismo autonomo, collegato a questioni materiali di rappresentanza di interessi volti alla contestazione delle strategie e dell’eccesso di politicismo del sindacato confederale (CGIL, CISL, UIL),  o collegato all’esigenza di rappresentanza di specifiche categorie professionali che si ritengono non sufficientemente rappresentate dal sindacalismo generale (per esempio il sindacalismo dei quadri)

PLURALISMO SINDACALE DI TIPO IDEOLOGICO.

Oggi più di natura politica è rappresentato dal sindacalismo ufficiale (CGIL, CISL, UIL).
Nel momento in cui il pluralismo sindacale di tipo organizzativo e professionale si propaga oltre un certo limite, esso finisce per rappresentare un sintomo di crisi della capacità di rappresentanza degli interessi del sindacalismo ufficiale e di disfunzione dei meccanismi di governo dei processi sociali con ripercussioni negative sul sistema economico  ( aumento dell’inflazione, della spesa pubblica) e produttivo (alta conflittualità, perdita di competitività delle imprese ed inefficienza dei servizi pubblici).

AUTONOMIA COLLETTIVA.

 (d. lav.) art. 39 Cost.


È il potere riconosciuto al datore di lavoro (o ad un gruppo di datori di lavoro) e ad un’organizzazione di lavoratori (o a più organizzazioni congiuntamente) di regolare i rapporti lavorativi, normativi e retributivi, intercorrenti tra essi, mediante la stipulazione di contratti collettivi. Il contratto collettivo formalizza l’accordo stipulato tra le associazioni sindacali  dei lavoratori e dei datori di lavoro. È il fine della contrattazione collettiva e costituisce una delle fonti di regolamentazione del rapporto di lavoro subordinato.

LA SERRATA.

La serrata è costituita da una chiusura o interruzione temporanea dell'attività aziendale, totale o parziale, nonché dal rifiuto di accettare e retribuire le prestazioni di lavoro, attuata da una sola (serrata individuale) ho da più imprese (serrata collettiva), con finalità di pressione e di lotta. La serrata di ritorsione è una reazione a forme di lotta particolarmente incisive per le modalità attuative o per le realtà produttive investite, quali gli scioperi articolati e gli scioperi negli impianti a ciclo continuo. Tale serrata costituisce violazione del diritto di sciopero, dato che quello attuato in modo articolato è di per se legittimo. Inoltre, la serrata di ritorsione ha preso la forma di un rifiuto del datore di lavoro di accogliere e retribuire il lavoro offerto da personale attualmente non scioperante, in occasione di uno sciopero pur pienamente legittimo.  Le finalità della serrata possono identificarsi nell’impedire eventuali azioni illegittime da parte dei lavoratori o per indurre gli stessi a recedere da un determinato comportamento, distinguiamo:

  • La serrata per fini contrattuali: (art. 502) alla luce degli articoli 39 e 40 della costituzione lo sciopero è un diritto, un comportamento penalmente e civilmente legittimo, mentre la serrata è una libertà, un comportamento solo penalmente lecito. Tale linea conduce ad una dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 502 comma 1 e 2, cioè del divieto penale della serrata e rispettivamente dello sciopero  a fini contrattuali, per contrasto con gli articoli 39 e 40 della costituzione.
  • La serrata per fini non contrattuali: se solo la serrata a fine contrattuale costituisce una libertà, una volta eliminato il divieto penale di cui all'articolo 502 comma 1 del codice penale,  ogni altro divieto rimarrebbe al suo posto.
  • La serrata di coazione alla pubblica autorità;
  • La serrata scopo di solidarietà in di protesta;
  • La serrata di esercenti di piccole industrie commerci.

La Costituzione, mentre riconosce il diritto di sciopero, nulla dice per quanto riguarda la serrata. Dunque, la serrata, non costituisce un diritto ma rimane pur sempre una libertà. Parte della dottrina ritiene ammissibile, in caso di serrata (considerata come illecito civile), l’azione di risarcimento danni da parte del dipendente per “mora accipiendi” ex art. 1206 c.c. e segg.

 

Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/168520/28380/IL%20DIRITTO%20SINDACALE%20giugni.doc

Sito web da visitare: http://lab.artmediastudio.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Il diritto sindacale

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Il diritto sindacale

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Il diritto sindacale