Origini della professione negli Stati Uniti

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Origini della professione negli Stati Uniti

2. Un po’ di storia

 

2.1 Edward Bernays

Edward Bernays (1891-1995) nasce a Vienna da Anna Freud, sorella di Sigmund, il quale a sua volta aveva sposato la sorella del padre di Edward. Il padre della psicoanalisi gli è zio due volte. Insieme ad Arthur Page e Ivy Lee (si veda poi il paragrafo 2.2), Bernays è il personaggio più emblematico della storia delle relazioni pubbliche. Nella sua lunga carriera professionale e nell’articolata riflessione espressa in molteplici saggi e libri, egli riassume in modo esplicito le tante ambiguità delle relazioni pubbliche di cui abbiamo parlato nel capitolo 1 .
Emigrato a New York da ragazzo, nel 1915 si occupa dei rapporti con i giornalisti per i balletti russi del grande coreografo Diaghilev e nel 1917 lavora anche per Caruso, Nijinsky e Ziegfield. A Broadway, cuore dello spettacolo americano, diviene rapidamente una celebrità: è il press agent più ambito. Durante la prima guerra mondiale entra a far parte del cpi (Committee for Public Information) del ministero della Guerra, creato dal presidente Thomas Wodroow Wilson e, dopo l’armistizio, lavora nell’ufficio stampa della Conferenza di pace di Parigi. Subito dopo si occupa attivamente del reinserimento lavorativo dei veterani di guerra. Nel 1920, su richiesta della naacp (National Association for the Advancement of Coloured People), promuove ad Atlanta (Georgia) la prima, assai coraggiosa e provocatoria convention regionale della storica organizzazione per la tutela dei diritti degli afroamericani. Dal 1923 e per oltre trent’anni, Bernays ha come cliente più fedele la Procter & Gamble, una delle maggiori aziende americane, fra le prime nel settore dei beni di largo consumo. Per Bernays, la P & G è il “bread and butter” del suo lavoro e, al tempo stesso, uno straordinario terreno di sperimentazione creativa, in un contesto di cultura aziendale molto avanzata e disponibile all’innovazione. Nel 1928 gli viene chiesto di “riscaldare” l’identità del presidente Elvin Coolidge, considerato dall’opinione pubblica freddo e distante. Bernays prenota, a tarda notte, un intero treno in partenza da New York per Washington dopo la chiusura dei teatri di Broadway, e lo riempie di celebrità (attori, cantanti, scrittori): sotto gli obiettivi di fotografi di ogni testata e i microfoni di tutte le radio del Paese, gli invitati prendono la prima colazione alla Casa Bianca con il presidente e Mrs Coolidge, mentre il famoso cantante Al Jolson canta in diretta “Keep Cool…idge” (un gioco di parole, keep cool, “stai buono”), appositamente scritta da Bernays, e... gli americani si riconciliano con il loro presidente.
Nel 1929 organizza una campagna a favore dei diritti delle donne e, in particolare, del loro diritto a fumare (in alcuni Stati dell’Unione la legge vietava il fumo alle donne); campagna aperta da una marcia di personaggi famosi lungo la Fifth Avenue. Pochi sapevano (a proposito di esplicitazione degli interessi rappresentati!) che Bernays lavorava in quel tempo anche per la American Tobacco Company. Nel 1930, in piena Grande Depressione e con le grandi aziende prese di mira dalla stampa e dall’opinione pubblica, la General Electric e la Westinghouse affidano a Bernays la commemorazione del cinquantenario della scoperta della luce elettrica. Sempre negli anni Trenta, lavora per le Ferrovie tedesche e per questo verrà in seguito inquisito dal Congresso, con l’accusa di avere fatto propaganda a favore della Germania nazista. Nel 1932, lavora per la General Motors e, nel 1939, per la Philco. Nel 1960, dopo avere abbandonato l’incarico per l’American Tobacco, aiuta Action for Smoking and Health per far conoscere agli americani i rischi del fumo. Attivissimo fino agli ultimi giorni di vita, le biografie dicono che all’età di 103 anni dalla sua casa nel Massachusetts, dove una compagna cinquantenne lo accudì fino agli ultimi giorni di vita, riceveva assiduamente ammiratrici di giovanissima età e nel contempo erogava consulenze telefoniche ai clienti per la straordinaria (anche per oggi!) tariffa di 1.000 dollari l’ora. La sua battaglia finale (persa!) fu la promozione di una legge per il riconoscimento giuridico delle relazioni pubbliche, insieme all’istituzione dell’obbligo di registrazione pubblica in un apposito albo per gli operatori . I suoi avversari più decisi, proprio su questa fondamentale battaglia di trasparenza, furono (e sono) gli stessi operatori di relazioni pubbliche. Alla sua morte, il settimanale Life lo ha annoverato tra i cinquanta americani più influenti del xx secolo.

 

2.2 Arthur Page

Arthur Page (1883-1960) si laurea nel 1905 a Harvard e fa il correttore di bozze nell’azienda paterna, la Doubleday, Page & Co., una delle più autorevoli case editrici americane, con la quale collaborerà fino al 1927. Fa una rapida carriera, divenendo prima redattore del periodico World’s Work e quindi vicepresidente. L’esperienza editoriale gli apre le porte di un vasto sistema di relazioni che va dai fratelli Wright (inventori del primo aeroplano) al presidente Franklin Delano Roosevelt. Nel 1917, con l’intervento americano nella prima guerra mondiale, lavora per due anni in Europa come ufficiale addetto alla redazione di materiali di propaganda da diffondere dietro le linee nemiche. Dopo la guerra, lascia la casa editrice a seguito di un dissidio con Frank Doubleday e accetta l’offerta del compagno di studi Walter Gifford, divenuto nel frattempo presidente della at&t, di dirigere le relazioni pubbliche del colosso telefonico alla condizione di partecipare alla definizione e allo sviluppo delle strategie aziendali. Nella storia delle relazioni pubbliche, la at&t ha sempre svolto un ruolo importantissimo in termini di sperimentazione, innovazione, razionalizzazione e formazione di quadri. Appartengono a Page affermazioni quali: “Le relazioni pubbliche sono assai più che la gestione della stampa, sono un modo di essere dell’organizzazione”; e “Ogni azienda nasce con il permesso del pubblico e vive con il suo consenso”.
Arrivato alla at&t nel 1927, Page sviluppa una forte iniziativa di “ascolto” commissionando sondaggi periodici (è il primo a farlo!) per misurare attitudini e opinioni dei consumatori verso l’azienda e i suoi servizi; convince i suoi collaboratori che i relatori pubblici hanno anche la funzione di “coscienza critica” dell’azienda, sostenendo al tempo stesso che le relazioni pubbliche costituiscono il lavoro di tutti i collaboratori di un’organizzazione e non solo degli specialisti. Nel 1939 afferma: “Le relazioni pubbliche non sono l’ufficio stampa, e neppure riguardano soltanto il management, sono quello che tutti in azienda, dal vertice fino all’ultimo collaboratore, dicono e fanno quando sono a contatto con il pubblico”. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Page dirige il comitato esercito-marina per l’informazione alle truppe e, successivamente, viene invitato a riorganizzare le relazioni pubbliche dell’esercito. È attivamente partecipe del progetto Manhattan (quello della bomba atomica) e nel 1945 scrive il testo con cui, alle 11 di mattina del 6 agosto, il presidente Harry Truman informa gli americani che un aereo americano ha sganciato la prima bomba su Hiroshima. Alla fine degli anni Quaranta, lavora a sostegno del piano Marshall approvato nel 1947, e nel 1949 organizza il Comitato nazionale per una Europa libera (quello che dà vita a Radio Europa libera), ritenuto da molti un’organizzazione anticomunista finanziata dalla cia. Attaccato dalla stampa progressista, chiede una commissione di inchiesta che lo libera da ogni accusa, ottenendo anche un appoggio esplicito dal generale Dwight D. Eisenhower. Nel 1952 ricambia il favore ricevuto e sostiene con determinazione l’elezione di Eisenhower alla Presidenza degli Stati Uniti.

I profili di questi due grandi protagonisti della storia delle relazioni pubbliche (Bernays e Page), così simili nonostante le diversità ideologiche – democratico il primo, repubblicano il secondo – e culturali – orientato soprattutto dalle scienze psico-sociologiche Bernays, immerso nella politica quotidiana e nel giornalismo Page – segnalano la straordinaria contiguità delle relazioni pubbliche con la storia del xx secolo.

 

2.3 Le origini della professione negli Stati Uniti

Scott M. Cutlip, il più importante storico delle relazioni pubbliche, ha pubblicato nel 1995 e con parecchio scalpore un affascinante libro in cui fa risalire le origini delle relazioni pubbliche:

  • alle campagne di informazione realizzate da consorzi di investitori inglesi alla fine del Seicento per convincere i britannici a diventare coloni e bonificare quelle paludi americane che sarebbero poi diventati gli Stati della Georgia e della Carolina;
  • alla nascita e diffusione in tutto il mondo, che risale al Settecento, del mito dello scout Daniel Boone, per attirare verso le terre dell’Ovest i coloni, delusi dalle paludi ma ormai impossibilitati a rientrare nel Regno Unito;
  • alla “tematizzazione” della Dichiarazione di Indipendenza americana dall’Impero britannico predisposta, alla fine del Settecento, da Samuel Adams e dai suoi seguaci indipendentisti per attirare il consenso di un’opinione pubblica americana che non vedeva allora grandi ragioni per staccarsi dal Regno Unito;
  • agli sforzi degli ultimi anni dell’Ottocento dei grandi capitalisti di impedire un eccessivo controllo da parte di una stampa che, in quegli anni, iniziava a essere maggiormente “indipendente” rispetto ai “padroni del vapore”.

 

Sono tutti momenti storici in cui operatori di relazioni pubbliche hanno lavorato in modo consapevole e sistematico per influenzare le opinioni e i comportamenti di altri, e l’interessante studio di Cutlip ne analizza con meticolosità strategie, programmi e strumenti.
Più tradizionalmente, invece, la nascita delle relazioni pubbliche come professione viene collocata ai primi del Novecento, quando a Boston (1900) nasce la prima società specializzata, la Publicity Bureau, che esordisce sul mercato gestendo i rapporti con la stampa per conto di un cliente assai prestigioso: l’Università di Harvard. Lo sviluppo delle relazioni pubbliche segue anche le dinamiche della politica americana: l’assassinio nel 1900 del presidente William McKinley, legatissimo al grande capitale monopolistico, porta alla Casa Bianca un Theodore Roosevelt assai più attento agli umori dell’opinione pubblica. Il nuovo presidente attiva inchieste e indagini sui grandi monopoli privati, in particolare quello delle ferrovie, che si devono anche difendere dai muckracker, come vengono definiti quei giornalisti senza “peli sulla penna”, dai quali nasce il mito del giornalismo investigativo anglosassone. I ricchi proprietari delle ferrovie (i Rockefeller, i Vanderbilt, i Morgan) non possono accettare che, nel momento in cui invocano il cosiddetto “interesse pubblico” e chiedono soldi al governo federale per costruire nuove infrastrutture, i giornali pubblichino inchieste in cui vengono continuamente rivelate le loro malefatte. Nasce, quindi, a Washington nel 1902, la società dell’avvocato William Wolff Smith, il primo lobbista ufficiale, cui viene affidato il compito di persuadere i politici ad assicurare i finanziamenti ai proprietari delle ferrovie, indipendentemente da ciò che i giornali scrivono su di loro. I rapporti con i giornali vengono invece gestiti, a New York, dalla Parker & Lee, nata nel 1904.
Lee, anzi Ivy Ledbetter Lee (1877-1934), è riconosciuto come il padre delle relazioni pubbliche, anche perché è il primo a teorizzare che il potere economico deve accettare il principio secondo cui il giornalista ha il diritto di sapere e, quindi, che sia meglio aiutarlo piuttosto che ostacolarlo.
Particolarmente interessante, nella letteratura sulla storia delle relazioni pubbliche, un saggio di Marvin Olasky , in cui l’autore, un liberista “estremo”, sostiene con dovizia di documenti e citazioni che lungo l’arco della storia americana del ventesimo secolo le relazioni pubbliche sono state una potente arma di condizionamento dello sviluppo politico e sociale del Paese nelle mani della sinistra americana. Dal momento in cui – scrive Olasky – alcuni “pseudo-imprenditori” come Morgan, Rockefeller e altri hanno ritenuto di convincere il governo federale a fornire le risorse finanziarie per la costruzione delle grandi infrastrutture (ferrovie, strade, ponti, miniere, grandi stabilimenti industriali) per l’unificazione del Paese e lo sviluppo dell’occupazione, il potere economico si è trovato “obbligato” ad assoldare operatori di relazioni pubbliche capaci di legittimare presso l’opinione pubblica proprio l’erogazione di quei fondi in nome di un astratto concetto di “interesse pubblico”. Da qui, ha preso avvio una lunga deriva (definita dall’autore come “il passaggio dalle relazioni private alle relazioni pubbliche”) che dura ancora oggi e che vede larga parte dei responsabili delle relazioni pubbliche delle grandi imprese investire tempo e risorse per legittimare il ruolo sociale del potere economico. Si tratta di attività, conclude Olasky, del tutto inutili se il potere economico non fosse così inestricabilmente compromesso con il potere politico e con quello dei media. E questo è avvenuto soprattutto grazie al lavoro degli operatori delle relazioni pubbliche definiti “quasi tutti ideologicamente legati alla sinistra americana”. Un pamphlet sicuramente fazioso, ma attentamente redatto e ricco di suggestive informazioni.
Nel 1906, alcuni proprietari di miniere di antracite ingaggiano Ivy Lee, ex giornalista, per stemperare e addolcire gli attacchi dei media contro l’ostilità padronale alle richieste dei minatori, volte a ottenere salari migliori. Lee riesce a ridurre sensibilmente la tensione convincendo i proprietari a rispondere, per la prima volta, alle domande della stampa. Nel 1912, lo stesso Lee passa a lavorare per le ferrovie della Pennsylvania dove, fedele alle ragioni del suo successo, tiene un comportamento considerato insolito: fornisce alla stampa ogni informazione relativa agli incidenti ferroviari, applicando una politica informativa trasparente e aperta. Lee lavora quindi per i Rockefeller a partire dal 1917, per la Croce Rossa durante la prima guerra mondiale, per l’associazione tedesca dei produttori chimici (I.G. Farben) agli esordi del nazismo e per la Camera di commercio russa quando l’Urss cerca il riconoscimento americano. Gli ultimi due clienti gli procureranno due diverse inchieste del Congresso per attività antiamericane.
Negli anni compresi fra l’inizio del secolo scorso e la prima guerra mondiale, le relazioni pubbliche sono soprattutto la risposta organizzata delle imprese alle critiche mosse dall’opinione pubblica americana ai comportamenti del grande capitale considerato monopolistico e assoluto. Ai nuovi professionisti della comunicazione, le aziende affidano l’incarico di elaborare e fornire ai giornalisti argomenti, più o meno verosimili, che testimoniano la convergenza oggettiva tra gli interessi del sistema delle imprese e l’interesse generale. Nel 1913, preoccupato di quella che allora poteva sembrare una vera e propria offensiva delle relazioni pubbliche nella costruzione dell’opinione pubblica americana, il Congresso vara una legge speciale che vincola a un’autorizzazione preventiva l’utilizzo di fondi governativi per retribuire “esperti di relazioni pubbliche”. In particolare, la preoccupazione principale riguarda allora le attività della Hamilton Wright, la prima società di relazioni pubbliche internazionali, che rappresenta a Washington e con molta efficacia gli interessi economici, politici e culturali delle Filippine.
Ma con l’arrivo della prima guerra mondiale è lo stesso grande capitale, mosso da inequivocabili interessi economici, a offrire i suoi servizi di relazioni pubbliche al governo per convincere l’opinione pubblica americana, tradizionalmente isolazionista, a inviare truppe sul fronte europeo. Una delle più straordinarie esperienze di quegli anni, in parte organizzata anche da Ed Bernays, è rappresentata dai fourminutemen . In pratica e per un anno intero, migliaia di “moltiplicatori” volontari (liberi professionisti, operatori economici, pensionati, insegnanti, impiegati e casalinghe) dislocati nei centri abitati di tutto il vasto territorio americano, opportunamente addestrati e coordinati dalla già citata cpi, pronunciano in continuazione discorsi spontanei, lunghi al massimo quattro minuti, per spiegare le ragioni che richiedono la partecipazione americana alla prima guerra mondiale: nei cinema, nei bar, nei mercati, nelle scuole, negli stadi… ovunque vi sia qualche assembramento. L’opinione pubblica americana, grazie anche al lavoro di questi “fourminutemen”, finisce per appoggiare l’intervento in Europa.
In proposito, risulta anche di fondamentale importanza il considerevole sforzo di comunicazione realizzato dal governo britannico. Il primo atto concreto del governo britannico, allo scoppio della guerra, è infatti quello di far saltare ogni cavo di comunicazione transatlantica fra la Germania e gli Stati Uniti. Per molti mesi, approfittando anche della lingua comune, il Regno Unito diventa, in tutti gli Stati Uniti, l’unica fonte diretta di informazioni dal teatro di battaglia. L’opinione pubblica americana viene così investita da una potente macchina di informazione tutta tesa a dimostrare come la salvezza dell’umanità dipenda dall’appoggio americano agli inglesi, contro i tedeschi. I tedeschi capiscono troppo tardi il danno subito e contrattaccano con aggressività comunicativa, esponendosi oltre i limiti della credibilità .
Dopo l’armistizio del 1918, si riacutizza il conflitto sociale interno e le imprese affidano ai loro esperti di relazioni pubbliche l’incarico di contribuire a forgiare quel sistema di valori americani che pone in primissimo piano l’impresa privata, il mercato, il profitto e la concorrenza. Finita la grande crisi del 1929, il presidente Franklin Delano Roosevelt lancia il New Deal, ed è, tra l’altro, il primo a intuire l’importanza della “dimensione visiva” delle relazioni pubbliche affidando alla fotografia sociale il compito di diffondere nel Paese il senso della rinascita degli Stati Uniti all’insegna di valori simbolo come il lavoro, i grandi spazi, la terra, la famiglia. L’imponente rilevazione fotografica realizzata, su disposizione di Roosevelt, dalla Farm Security Administration viene resa gratuitamente disponibile a tutti i media e vede in campo i migliori fotografi sociali americani.
Nel 1938, anche a seguito delle polemiche sui presunti aiuti alla Germania nazista di operatori come Ivy Lee e Ed Bernays e sulle attività di rappresentanza di Paesi terzi presso il Congresso da parte di società come la Hamilton Wright, il Congresso americano approva il Foreign Agents Registration Act, che obbliga chiunque svolga relazioni pubbliche per conto di un governo straniero a registrarsi presso un apposito albo e a rendere conto delle sue attività. Qualche decennio dopo (negli anni Sessanta) verrà istituita un’apposita commissione parlamentare presieduta dal senatore Fullbright, che, a seguito di testimonianze rese da molti operatori, deciderà ulteriori restrizioni alle attività degli operatori di relazioni pubbliche per conto di Paesi esteri. Da molti anni, le agenzie di relazioni pubbliche che operano negli Stati Uniti sono obbligate a dichiarare presso un apposito registro, quali interessi stranieri rappresentano, quali attività svolgono per conto di questi interessi e quale compenso percepiscono per realizzarle. Si tratta di dichiarazioni pubbliche e obbligatorie, pena il divieto di esercitare. In una newsletter settimanale, molto seguita dagli operatori, Jack O’Dwyer informa continuamente su questi contratti . Ma c’è di più: ogni lobbista americano è legittimato a svolgere la sua attività soltanto quando abbia registrato, sempre presso il Congresso o il Senato, oppure presso il Congresso del singolo Stato ove svolge l’attività, il proprio nome, l’identità dei suoi clienti, gli onorari percepiti e le spese effettuate. Naturalmente questo non risolve le perplessità che le attività dei lobbisti sollevano in molti benpensanti e, proprio negli Stati Uniti, le polemiche sono spesso feroci. In ogni caso, è però certo che la regolamentazione americana impone un minimo di visibilità. In Italia, solo molto recentemente la Regione Toscana ha approvato una legge che regolamenta i gruppi di interesse.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale impegna nuovamente le relazioni pubbliche a sostegno della politica estera americana: lo stesso Roosevelt deve per prima cosa convincere gli americani, come aveva già fatto Wilson alla vigilia del primo conflitto mondiale, delle ragioni del conflitto e poi, a conflitto avviato verso la vittoria, riattivare le relazioni con le popolazioni dei territori occupati.
Nel secondo dopoguerra, le grandi imprese americane affidano nuovamente alle relazioni pubbliche il compito di riprendere il dialogo sociale con l’opinione pubblica. Nel 1945, la Standard Oil incarica il grande regista cinematografico Robert Flaherty di produrre Louisiana Story, uno straordinario documentario sulla vita nelle paludi alla ricerca del petrolio. È un trionfo mondiale. Qualche anno dopo, gli esperti di relazioni pubbliche vengono anche utilizzati per ottenere il consenso del popolo americano sul piano Marshall (1947) e in seguito per agevolarne l’attuazione in Europa, riducendo le critiche più accese delle opposizioni politiche nei Paesi beneficiari. Negli anni Cinquanta, il maccartismo (termine che deriva dal nome del senatore ultraconservatore Joseph McCarthy, il quale – a sostegno della cosiddetta “vera America” e a guerra fredda appena avviata – sferra una durissima offensiva contro liberali e progressisti accusati di essere al soldo del comunismo bolscevico), il boom economico, la vittoriosa guerra di Corea guidata dal generale Douglas Mac Arthur e, soprattutto, l’arrivo della televisione nelle famiglie americane….sono tutti fattori che inducono le aziende a trasformare i propri apparati comunicativi, orientandoli maggiormente al mercato commerciale per spingere la crescita dei consumi. È il trionfo della pubblicità, la televisione entra in tutte le case, esplode la comunicazione di massa e le relazioni pubbliche si adeguano aprendo un nuovo fronte, quello del marketing public relation ancora oggi largamente prevalente: iniziative che affiancano, per sostenerle, le grandi campagne di marketing riguardanti i prodotti di largo consumo. La specializzazione delle marketing public relations diviene rapidamente preponderante nei mercati anglosassoni e questo enorme successo offre una motivazione economica ai migliori e più intraprendenti consulenti, fino ad allora di fatto liberi professionisti, per dare vita alle prime grandi agenzie di relazioni pubbliche.
Nel 1954, un attore di secondo piano, Ronald Reagan, viene scritturato come portavoce prima dalla General Electric e poi dalla National Manufacturers Association, la “Confindustria” americana. Questa duplice esperienza lo vede percorrere tutti gli Stati per parlare ai lavoratori delle fabbriche e agli operatori economici, spiegando le scelte di politica aziendale della General Electric oppure le rivendicazioni della Confindustria americana. In tal modo Reagan si convince a “scendere in campo” e intraprendere in prima persona quella carriera politica che lo porterà alla Casa Bianca. Nel 1955, Chester Burger, un importante consulente, attivo fino a pochi anni fa, su incarico della at&t scrive il primo manuale, destinato a essere utilizzato internamente dal gruppo dirigente, su Come utilizzare bene la televisione. È infatti iniziata l’era televisiva. Daniel Edelman (ancora oggi alla guida della Edelman Public Relations, la maggiore società di relazioni pubbliche del mondo non quotata in Borsa e non facente parte di un gruppo pubblicitario), per lanciare lo shampoo Toni negli anni Cinquanta, inventa le Toni-Twins, due bellissime ragazze gemelle che diventano vere e proprie celebrità. Dagli anni Sessanta, le relazioni pubbliche sono parte integrante della vita degli americani. Nascono e crescono le grandi agenzie guidate da eccellenti professionisti come Carl Byor, consulente del presidente Wilson durante la prima guerra mondiale, il già citato Daniel Edelman, David Finn, John Hill, fino a Harold Burson, a Loet Voelmans (il primo europeo a occupare la posizione principale in una grande multinazionale delle relazioni pubbliche, la Hill & Knowlton) e, più recentemente, Robert Dilenschneider (autore del famoso Dartnell’s Public Relations Handbook ).
Con l’arrivo e la diffusione di Internet, nonché il forte impatto comunicativo dell’attacco dell’11 settembre, la centralità affidata alla comunicazione dalla presidenza Bush e la caduta verticale delle Borse, causata dalle truffe dei dirigenti delle grandi imprese americane, cambiano paradigma e panorama delle relazioni pubbliche americane.
Fra le tendenze più accentuate: un sensibile tentativo delle organizzazioni di sviluppare relazioni dirette con i pubblici influenti e aggirare un sistema dei media considerato infido e comunque scarsamente autorevole; una forte accelerazione verso l’accumulazione di competenze e di conoscenze sistemiche e organizzative, nonché l’adozione di metodi di misurazione e valutazione dell’efficacia delle relazioni pubbliche tali da legittimare l’affidamento ai relatori pubblici di ruoli strategici nelle organizzazioni; la crescente consapevolezza, in una società sempre meno compatta e omogenea, del valore delle diversità (di genere, religiosa, etnica, razziale, di preferenza sessuale) come nuovo paradigma di relazioni pubbliche efficaci.

2.4    Italia: gli antecedenti

Le relazioni pubbliche, come attività distinte dalla propaganda e dalla pubblicità, arrivano in Italia nell’estate del 1943, insieme alle truppe alleate che sbarcano in Sicilia. L’Italia è il primo Paese dell’Asse a cedere agli Alleati e quindi costituisce un interessante terreno di sperimentazione per identificare le modalità migliori per riannodare le relazioni con le comunità locali, dopo i tanti bombardamenti e la violenta occupazione del territorio. Il comando alleato recluta al proprio interno relatori pubblici di origine italiana, aggiungendo a questi anche un nucleo di italoamericani ad hoc, esterni all’apparato militare e selezionati per l’occasione. La nostra pubblicistica e alcuni storici parlano di “mafiosiitaloamericani” inviati in Sicilia, al seguito delle truppe americane, per assicurare che le amministrazioni locali non finiscano in mano ai comunisti quando gli alleati si avviano a risalire la penisola. Si tratta di una tesi verosimile, anche se allora l’anticomunismo non costituiva la preoccupazione principale degli americani. Così come è anche verosimile che qualche operatore di relazioni pubbliche fosse mafioso e viceversa. In ogni caso, alcuni di questi operatori che operavano al fianco degli Alleati durante la guerra, decidono di continuare a lavorare per il comando militare che rimane in Italia anche dopo la fine del conflitto, oppure di passare al servizio delle prime multinazionali, soprattutto petrolifere (Mobil, Shell, Esso), che -prevalentemente a Genova- riaprono i battenti nel nostro Paese dopo gli anni di esilio obbligato causato dalla politica autarchica del regime fascista.
Anche in Italia, però, come negli Stati Uniti, si trovano esempi di attività di relazioni pubbliche prima del secondo dopoguerra. Un bel libro dello storico Simona Colarizi racconta nei particolari i “sistemi di ascolto” adottati dal regime fascista che fin dagli anni trenta adottano metodologie di relazione molto sofisticate, che ancora oggi definiremmo avanzate. Una curiosità: gli informatori, a cui le centrali di ascolto chiedevano in continuazione di fare anche previsioni, venivano allora in gergo un po’ spregiativo chiamati “tarocchisti”. Ebbene, nei primi anni Ottanta, grazie all’ottimo analista e consulente strategico inglese Geoffrey Morris cofondatore del gruppo Intermatrix, apparve nella tecnica di costruzione degli scenari politici e socio-culturali una particolare e raffinata applicazione della metodologia Delphi, dal nome Trend Analysis by Relative Opinion Testing, chiamata, in gergo, Tarot (in italiano, tarocco). Delphi è una metodologia di ricerca qualitativa che normalmente si attiva per analizzare in chiave predittiva le tendenze di un fenomeno socio-culturale, tecnologico, economico o politico. In particolare, viene identificato un gruppo ristretto di dieci, massimo venti persone a diverso titolo competenti del fenomeno da analizzare. Nessuno degli esperti conosce il nome degli altri. Il coordinatore invia un primo documento a tesi e formula alcune (al massimo cinque) domande alle quali i partecipanti sono tenuti a rispondere in modo articolato. Ricevute le risposte, il coordinatore isola le aree di consenso e concentra un secondo giro di domande sulle posizioni diverse emerse dal primo giro. Ricevute queste seconde risposte il coordinatore propone ai partecipanti una prima bozza di relazione, chiedendo contributi ulteriori che vengono poi integrati in un rapporto finale. Il termine Delphi, come spesso accade, è molto abusato anche fra gli addetti ai lavori. Si fanno tanti pseudo Delphi, non predittivi, non scritti, con i partecipanti che conoscono gli altri e così via.
Un secondo e più specifico antecedente riguarda l’avventura italiana in Etiopia nel 1936: intervento fortemente osteggiato dal governo britannico, alleato all’imperatore Hailè Selassiè. Nelle settimane che precedono l’invio delle truppe d’invasione italiane, Mussolini è preoccupato che i tradizionali legami di amicizia fra Regno Unito e Stati Uniti possano spingere gli americani ad abbandonare la loro posizione di neutralità. In tale eventualità, il governo italiano sarebbe stato molto probabilmente costretto a rivedere il suo programma. Il capo del governo invia quindi d’urgenza negli Stati Uniti un alto funzionario del ministero della Propaganda, Bernardo Bergamaschi, affinché selezioni un’agenzia di relazioni pubbliche americana per sviluppare una rapida azione di relazioni (lobby) con l’amministrazione americana capace di neutralizzare le pressioni britanniche. L’azione mobilita anche le comunità italiane delle grandi aree urbane del continente nordamericano a sostegno delle mire coloniali fasciste e raccoglie fondi sufficienti a pagare l’intera operazione senza gravare sui conti nazionali.
Sempre negli anni Trenta, la società Linoleum del gruppo Pirelli, sotto la guida di Giuseppe Luraghi, manager illuminato che nel dopoguerra guiderà anche l’Alfa Romeo, affida la sue relazioni pubbliche a due intellettuali di grido: Leonardo Sinisgalli e Alfonso Gatto. È il primo gruppo industriale privato italiano a istituire un ufficio relazioni pubbliche (il primo ente pubblico sarà nel 1954 la Provincia di Bologna).
Nel 1934, Dino Villani progetta e lancia per la Motta il Premio Notte di Natale. Si tratta di quello stesso Villani che inventerà il concorso “Cinquemila lire per un sorriso”e, più avanti, “Miss Italia”. Vero antesignano di quella che, mezzo secolo dopo, verrà definita “comunicazione integrata”, Villani diventa nel dopoguerra, con Guido Mazzali e gli altri componenti della redazione del periodico Ufficio moderno, il faro di attrazione milanese per una generazione di giovani intellettuali, attirati dalle lusinghe dell’industria e della nascente comunicazione di massa.

 

2.5 Le macerie

Protagonisti della storia delle relazioni pubbliche italiane come Alvise Barison (che sarà cofondatore e, per tanti anni, presidente onorario della ferpi), Vittorio Crainz (fondatore, insieme a Piero Arnaldi, della prima società di consulenza in relazioni pubbliche, il Sipr, Studio italiano public relations), Guido de Rossi del Lion Nero (ufficiale di collegamento dell’esercito italiano, imprenditore di relazioni pubbliche, mentore e grande saggio della professione per molti decenni), Guido Lopez (prima alla J.W. Thompson poi alla Mondadori) e Vittorio Gambaro (fondatore della Publirel di Milano), avviano la professione in Italia nei primi anni Cinquanta. Qualche anno prima, nel 1947, è un operatore di relazioni pubbliche del sindacato americano, Vanni Montana, il più attivo ispiratore oltre che protagonista della scissione socialista di Palazzo Barberini: una scissione che cambierà il corso della politica italiana. Il partito socialista aveva infatti ottenuto nel 1946 una strepitosa vittoria alle elezioni politiche, sorpassando il partito comunista, al quale però lo lega un patto di unità di azione. Ed è proprio questo patto che preoccupa la Casa Bianca e il sindacato degli Stati Uniti. Vanni Montana viene incaricato di agire per convincere i socialisti non filocomunisti a separarsi dal Psi, allora guidato da Pietro Nenni e a unirsi in un nuovo partito socialdemocratico diretto da Giuseppe Saragat (il quale diventerà più avanti presidente della Repubblica), fortemente voluto e incoraggiato, anche finanziariamente, dagli americani. La scissione di Palazzo Barberini rappresenta un successo non solo perché molti deputati vengono convinti ad abbandonare il Psi, ma soprattutto perché questi stessi deputati possono farlo con il parziale consenso dell’opinione pubblica, ottenuto attraverso un attento lavoro di gestione dei media e degli influenti svolto dallo stesso Montana. Il resto, naturalmente, è dovuto al fatto che la Democrazia cristiana assicura ai transfughi socialisti rilevanti incarichi in un nuovo governo e che il neonato partito socialdemocratico trova le sue casse ben fornite dalle donazioni dei sindacati americani. Anche questi fattori vengono coordinati, almeno in parte, da Montana.
Con le elezioni politiche del 1948, esce alla luce del sole – ma operava già, con maggiore riservatezza, fin dal 1943 – l’usis (United States Information Service), organismo del Dipartimento di Stato Usa (Ministero degli Esteri) preposto a svolgere in Italia un’intensa attività di relazioni pubbliche, che proseguirà per diversi decenni. All’usis, infatti, si forma una parte importante della nuova generazione dei relatori pubblici italiani. Rispetto a quella tornata elettorale così decisiva per il futuro del Paese, l’usis ha il compito di assistere e aiutare la campagna contro il Partito Comunista Italiano. Il notiziario quotidiano usis per la stampa, una sorta di “agenzia” che risale al 1943 e ricco di notizie e informazioni sulla vita quotidiana negli Stati Uniti, diventa per la campagna del 1948 una vera e propria “clava elettorale” che sottolinea quotidianamente gli aiuti economici americani all’Italia (cibo, carburante, medicinali), senza omettere che quegli stessi aiuti cesserebbero immediatamente qualora i comunisti vincessero le elezioni. Molti i resoconti e i servizi giornalistici che descrivono iniziative spontanee di solidarietà e amicizia del popolo americano verso gli italiani, purché dichiaratamente anticomunisti. Al notiziario viene allegato un bollettino che fornisce agli altri media informazioni puntuali e precise su tutti gli aiuti distribuiti, indicando dettagliatamente i nomi delle navi, i porti di sbarco, il tipo di carico e la data dell’arrivo avvenuto o imminente. La consegna degli aiuti viene accompagnata da molteplici eventi pubblici. Ogni nave americana (le cosiddette “Liberty”) che sbarca in un porto italiano prevede una cerimonia e un discorso dell’ambasciatore americano, largamente diffuso e ripreso dai giornali italiani. A sua volta, il governo italiano stanzia ben 500 milioni di lire di allora per stampare manifesti e realizzare cinegiornali dedicati all’aiuto americano, e altri 8 milioni per stampare volantini. Il sindacato americano, nel frattempo, sostiene il dipartimento di Stato nell’attuazione del piano Marshall e, successivamente, avvalora le minacce di sospensione degli aiuti in caso di vittoria comunista. Nel gennaio del 1948 il notiziario riporta le affermazioni con cui il presidente del Committee for Industrial Organization (cio) avverte che, se l’Italia desidera ancora usufruire dei finanziamenti del piano Marshall deve aderirvi senza riserve. Lo stesso Vanni Montana, tramite il notiziario e le trasmissioni radiofoniche della Voice of America, fa arrivare ai lavoratori italiani il secco invito del Dipartimento di Stato a non credere alle menzogne dei comunisti (Togliatti e Nenni), i quali sostengono che, nel caso di vittoria comunista, non ci sarebbe alcun blocco agli aiuti americani. Sul notiziariovengono anche pubblicate lettere scritte da cittadini americani ai loro parenti e amici in Italia, con inviti espliciti a votare per De Gasperi. Segue, sempre sul notiziario, la minaccia di un imminente divieto agli italiani emigrati in America di inviare soldi, doni e lettere ai familiari rimasti in Italia, nel caso si intende di vittoria comunista alle elezioni.
Dopo la vittoria elettorale della Democrazia cristiana e la sconfitta del partito comunista, lo sviluppo della guerra fredda fra Est e Ovest nonché il crescente ruolo strategico dell’Italia al centro del Mediterraneo, inducono l’usis a intensificare anche le sue attività culturali: traduzioni di libri, proiezioni di film, contatti con il mondo economico, scientifico e culturale. Cresce, inoltre, il numero di operatori italiani nelle molte sedi, anche periferiche, dell’usis. Dal 1949, l’agenzia sviluppa una nuova attività di scambi e visite fra i due Paesi cui partecipano studenti universitari, professori, laureati e professionisti che intendono incrementare le loro conoscenze in differenti campi: scienze, tecnologia, sociologia e comunicazione. Il notiziario pubblica articoli e documenti sulla vita nei Paesi dell’Est, sulle prese di posizione sovietiche in politica internazionale, insieme a vignette, barzellette e storielle umoristiche che si propongono di aiutare gli italiani a comprendere la realtà dei regimi comunisti. Tra il 1951 e il 1952, vengono diffusi almeno nove milioni di copie di opuscoli anticomunisti. Lo scopo del notiziario non è solo quello di denigrare l’Unione Sovietica, ma anche di diffondere notizie sul miracoloso sviluppo economico italiano ottenuto grazie agli aiuti americani. Vengono diffusi dati sulle innovazioni, il benessere, l’aumento di produttività e la modernizzazione dello Stato. Il notiziario si diffonde sui lavori pubblici realizzati grazie al piano Marshall (ricostruzioni di strade, stazioni ferroviarie, reti di telecomunicazione, acquedotti, impianti elettrici e abitazioni), informa sulle visite di tecnici italiani negli Stati Uniti o sugli incontri con industriali americani in Italia. Con questi “scambiculturali” molti italiani hanno la possibilità di accrescere la loro cultura in termini di organizzazione del lavoro, di direzione aziendale, di tecniche di marketing e di comunicazione aziendale (public relations e human relations).
L’usis viene anche incaricata di curare in Italia l’identità della nato. Oltre mezzo milione di materiali vengono stampati e distribuiti ogni mese in tutta Italia per spiegare il ruolo della nuova alleanza militare: giornalini affissi nelle bacheche delle fabbriche, nelle trattorie e nelle rivendite di alimentari. Il grande messaggio è che la nato consente la speranza di una pace duratura e di un aumento del tenore di vita. Gli articoli evidenziano gli scopi difensivi di un’adesione italiana al Patto atlantico, la possibilità di ricostruzione e stabilità economica, oltre che il riconoscimento di una rilevante posizione internazionale, perduta con la sconfitta del fascismo. Alla radio e alla stampa viene affidata la “propaganda difensiva” immediata e continuativa, mentre libri, film, mostre, centri di informazione, scambi di persone e programmi educativi si pongono invece obiettivi di lungo termine e, soprattutto, intendono trasferire agli italiani la visione americana del progresso e della libertà, il senso di sicurezza. Gli opuscoli, i volantini, i manifesti sono diretti e distribuiti prevalentemente ai lavoratori, fra i quali è massiccio il voto comunista. Si tratta, in larga parte, di fumetti e fotoromanzi, con forte impatto visivo, più semplici da leggere e facili da memorizzare. Tra i media tradizionali, il cinema è, forse, il più importante. Cortometraggi e documentari vengono proiettati nei cinema cittadini prima dei film commerciali in programmazione in tutto il Paese grazie all’uso di unità mobili. Gli automezzi raggiungono paesi di montagna o di campagna. Mentre i film sono diretti al grande pubblico, altre attività dei centri di informazione si rivolgono a un pubblico selezionato e colto. Le sedi usis ospitano biblioteche molto fornite, convegni, mostre e conferenze. Il programma più selettivo, ma anche di maggiore efficacia, è lo scambio di persone: l’usis seleziona studiosi, giornalisti, sindacalisti, studenti e industriali influenti e offre loro l’opportunità di recarsi negli Stati Uniti per conoscere personalmente la realtà americana, purché al rientro siano disponibili a raccontare l’esperienza in conferenze e dibattiti.
Quattro sono i centri che vedono nascere e crescere in Italia la professione delle relazioni pubbliche: Genova, Trieste, Milano e Roma. A Genova hanno sede le multinazionali petrolifere Esso, Mobil e Shell, ma anche l’Iri. A Trieste, con l’occupazione delle truppe alleate che durerà ancora per molti anni, anche le compagine marittime e assicurative della città acquisiscono una cultura della comunicazione. A Roma i primi liberi professionisti imparano il mestiere prestando servizio per l’usis. Milano, invece, è il centro finanziario dell’Italia durante la ricostruzione economica.
Il ruolo degli uffici di relazioni pubbliche delle multinazionali è fondamentale, perché essi favoriscono lo sviluppo della comunicazione e dell’informazione in Italia e creano i primi professionisti aziendali. Le grandi aziende americane basano, infatti, la loro politica comunicativa sulla cosiddetta “trasparenza” e, a differenza della maggior parte delle imprese italiane di allora, desiderano che la comunità conosca i loro progetti e i loro risultati. Per fare questo, utilizzano sia la stampa che la radio. I relatori pubblici diventano così “l’occhio e l’orecchio” dell’impresa, fungendo da anello di congiunzione fra l’azienda e la comunità. Il loro lavoro consiste nel captare e capire le aspettative e i bisogni della comunità, riferire alla direzione aziendale le proprie impressioni e sensazioni e infine, trasmettere al cittadino notizie, informazioni e politiche attuate dall’azienda.
Nel 1952, sorge a Milano l’ipr (Istituto per le relazioni pubbliche), un’associazione nata per iniziativa di tecnici e studiosi e presieduta per molti anni dall’onorevole Roberto Tremelloni, autorevole esponente di quel partito socialdemocratico di Saragat, fortemente legato, come abbiamo visto, alle attività di Vanni Montana. Scopo fondamentale dell’ipr è quello di diffondere e promuovere la conoscenza delle relazioni pubbliche nel mondo imprenditoriale italiano, privato e pubblico. Gli obiettivi dell’associazione sono perseguiti attraverso pubblicazione di monografie, trasmissioni radiofoniche e corsi informativi. Nasce in quel periodo, su iniziativa dell’ipr, l’Oscar di Bilancio, che oggi viene gestito dalla ferpi ed è divenuto il più ambito premio in Europa di comunicazione finanziaria. La prima azienda a ricevere l’Oscar è la Motta, con la motivazione che l’azienda dolciaria è la prima a far conoscere il suo fatturato! Nel 1953, lo stesso ipr organizza il primo corso di Relazioni pubbliche, seguito nel 1955 da un corso di perfezionamento per dirigenti di aziende, tenuto al Politecnico di Milano. Dal 1955 al 1974, l’Istituto conferisce un premio annuale, il Premio Ezio Vanoni, a persone che con la loro opera favoriranno lo sviluppo delle relazioni pubbliche.
Nel 1956, Vittorio Crainz e Piero Arnaldi costituiscono a Roma il primo studio professionale, la sipr, preceduta nel 1955, sempre per iniziativa dei due operatori, dalla nascita di una casa editrice, la sepa, che stampa riviste aziendali, in particolare per la stanic, società petrolifera nata dalla fusione dell’americana Standard Oil con l’italiana anic (del gruppo eni), e per la Compagnia carrozze letti (Wagon Lits).

 

2.6    La ricostruzione

Negli anni Cinquanta, il Paese avvia la ricostruzione. I gruppi economici più impegnati nelle attività di relazioni pubbliche sono la Finmeccanica, con Leonardo Sinisgalli che a Roma dirige il mensile Civiltà delle macchine; Franco Fedeli, che a Genova si occupa della comunicazione interna dell’Italsider e le aziende petrolifere multinazionali (Lorenzo Cantini alla Esso, Francesco Vizioli alla Bp). Anche l’eni di Enrico Mattei, per approvvigionarsi direttamente di petrolio senza dover sempre passare attraverso le “sette sorelle” (le grandi multinazionali che controllavano alla fonte l’estrazione del petrolio), consolida le sue relazioni con i governanti dei Paesi del Nordafrica affidando ai giornalisti Italo Pietra e Mario Pirani (oggi lucido e puntuale analista del quotidiano La Repubblica) l’incarico di gestire le relazioni pubbliche del gruppo. L’eni si distinguerà per tanti anni (e si distingue ancora oggi) per una intensa attività di relazioni pubbliche internazionali, spesso in contrasto o, comunque, diversa e autonoma rispetto a quella ufficiale del governo . Rilevante, in quegli anni, è anche l’attività comunicativa della fiat, ma è soprattutto l’Olivetti, sotto la carismatica guida di Adriano Olivetti, ad attirare nella sede decentrata di Ivrea – utilizzando come “irresistibile” attrazione il Movimento Comunità, una delle più curiose esperienze politico-sociali del nostro Paese dal secondo dopoguerra – alcuni dei più brillanti intellettuali italiani, da Ottiero Ottieri a Franco Momigliano, ad Antonio Saffi, da Libero Bigiaretti a Giorgio Soavi. Sarà una stagione irripetibile, che durerà almeno un decennio oltre la morte di Adriano Olivetti avvenuta nel 1960, e che darà origine al mito mondiale, ancora oggi assai diffuso, del marchio Olivetti. In particolare, l’azione di Renzo Zorzi direttore della comunicazione Olivetti fino agli anni Ottanta, poi segretario generale per lunghi anni della fondazione Cini, costituisce un mirabile esempio di come un’organizzazione possa e debba integrarsi con le comunità in cui opera. Anche la Edison, influenzata dal successo ottenuto a livello mondiale dalla Standard Oil con Louisiana Story di Robert Flaherty, avvia un’intensa attività di produzione di documentari cinematografici, fra i quali si distinguono le prime opere di Ermanno Olmi. Un’attività che sarà poi intensamente proseguita anche dall’Enel, dopo la nazionalizzazione del 1963. Sempre sul fronte della cultura dell’immagine visiva, la Ferrania, allora di proprietà dell’ifi, finanziaria della famiglia Agnelli e produttrice della omonima pellicola film usata dalle produzioni italiane, affida all’intellettuale Guido Bezzola la pubblicità e le relazioni pubbliche, comprendendo in queste ultime anche la direzione dell’omonimo mensile culturale, ritrovo puntuale della nuova cultura cinematografica italiana del dopoguerra. Per molti aspetti, la politica sociale delle imprese italiane (iri e Olivetti in prima fila) e soprattutto il modo in cui queste comunicano con i loro dipendenti fanno scuola, in quegli anni, nel resto d’Europa.
Nascono nel 1956 l’Associazione italiana per le relazioni pubbliche e il Sindacato nazionale professionisti relazioni pubbliche. Le due associazioni, insieme, promuovono a Stresa, l’11 e il 12 ottobre dello stesso anno, la prima conferenza internazionale sulle relazioni pubbliche. Un’attenta lettura degli atti della conferenza rivela, fra l’altro, una curiosità: Piero Arnaldi, uno dei padri fondatori delle rp in Italia, viene redarguito dall’establishment della conferenza perché osa sollevare la questione della necessità e possibilità di misurare i risultati delle relazioni pubbliche, questione che tornerà a essere discussa alla fine degli anni Ottanta. Nel frattempo, la Pro Deo di Roma, istituzione educativa vaticana diretta da Padre Morlion che successivamente si trasformerà nell’Università Luiss, avvia il primo corso postlaurea di Relazioni pubbliche. Fra i docenti, si trovano Piero Arnaldi, Bartolo Ciccardini e Vitaliano Rovigatti. Nel 1958, nasce l’unerp (Unione nazionale degli esperti di relazioni pubbliche). Otto anni dopo, nel 1966, con Alceo Moretti presidente l’associazione radicalizza i contrasti fra i due poli di Roma e di Milano, incentrati soprattutto sul ruolo, sui criteri e sul tipo di rappresentatività delle associazioni. Giovanni Terranova viene eletto presidente, ma molti soci, prevalentemente milanesi, abbandonano. Nel 1967, si costituisce a Milano la fierp (Federazione italiana esperti di relazioni pubbliche) rappresentativa soprattutto dei quadri aziendali. Viene subito avviato un lavoro volto a organizzare strutture regionali e comitati, per garantire una più equilibrata rappresentanza e approfondire le diverse tipologie di intervento proprie della libera professione. Viene anche affrontato il tema dei rapporti tra relazioni pubbliche e giornalismo, definitie “due funzioni diverse ma interdipendenti”. Nel 1968 l’unerp cambierà il suo nome in firp (Federazione italiana delle relazioni pubbliche) e Alvise Barison, attivo professionalmente a Milano e responsabile del Centro commerciale americano, verrà eletto presidente. Fra il 1968 e il 1969 i rapporti fra le due associazioni si intensificheranno fino alla unificazione sancita il 17 marzo 1970 con l’assemblea costitutiva della ferpi, preceduta dalle assemblee di scioglimento della firp e della fierp.
In quegli anni, continuano in tutta Italia le attività dell’usis. I suoi uffici sono ormai presenti nelle principali città, dal Nord al Sud, ma il personale viene diminuito a causa della riduzione dei fondi stanziati dal Congresso americano. Nonostante i tagli, le attività rimangono suddivise in quatto settori:

  • l’informazione, che utilizza come canali privilegiati la stampa, la radio e il cinema;
  • la cultura, promossa attraverso le biblioteche, gli scambi e i contatti tra americani e italiani;
  • i progetti speciali, finanziati direttamente dal presidente degli Stati Uniti (che era ancora Dwight D. Eisenhower);
  • le funzioni di consulenza e supporto all’ambasciata e ai consolati.

 

I funzionari dell’usis intrattengono frequenti relazioni con gli opinion leader che influiscono sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Il dipartimento di Stato infatti, è convinto che i messaggi, se presentati da opinion leader italiani, risultano più efficaci. Per esempio, un ufficiale di collegamento tiene costanti contatti con cisl, uil e Confindustria, per ottenere da parte loro la distribuzione di materiali favorevoli alla politica economica americana in cambio di informazioni, consulenze e servizi offerti dallo stesso usis. La funzione principale dell’ufficio stampa rimane quella di fornire notizie, documentazioni, fotografie, testi di discorsi e procurare interviste con personaggi americani ai giornalisti italiani. Il notiziario contiene sempre informazioni relative allo sviluppo economico stimolato dagli aiuti americani, dalle loro consulenze tecniche e dai corsi di formazione del personale. Continua anche l’offerta di viaggi e borse di studio. Viene data la possibilità di ricevere i libri, per posta, direttamente a casa. Dal 1956, per facilitare ulteriormente la consultazione dei testi, sono pubblicate bibliografie su arte e architettura, economia, letteratura, storia, sociologia e comunicazione. A Trieste, Milano, Firenze e Roma vengono organizzate mostre per far conoscere e valorizzare la cultura americana. Presso la sede milanese dell’usis, viene offerta l’opportunità di tenere corsi di relazioni pubbliche agli imprenditori, mentre, per quanto riguarda gli universitari, ciò è possibile presso l’Università internazionale per gli studi sociali di Roma. Dal 1954 l’usis pubblica anche un mensile, Mondo occidentale, che invita gli italiani a comprendere la coincidenza fra gli obiettivi economico-politici e le tradizioni culturali dei due Paesi, in quanto entrambi parte del “mondo occidentale”. La Voice of America prosegue le trasmissioni anche in collaborazione con la Rai. La formula è sempre la stessa: notiziari, documentari radiofonici, musica e attualità. Settimanalmente, le trasmissioni radio rispondono a migliaia di quesiti degli italiani riguardo alla vita, l’arte e la cultura negli Stati Uniti. Nel 1955 si vendono in Italia ben 800 milioni di biglietti d’ingresso al cinema: un vero e proprio boom. L’usis partecipa a mostre sul cinema, proietta pellicole a militari, studenti, gruppi di lavoratori, associazioni culturali, in occasione di fiere ed esposizioni, collabora alla preparazione dei cinegiornali, produce documentari, doppia e distribuisce film americani. In base a un accordo con il ministero dell’Istruzione, molti film usis vengono proiettati nelle scuole, raggiungendo 4 milioni di bambini all’anno. Nel 1955, le biblioteche usis sono undici, distribuite in tutta Italia, solitamente nel centro delle città. Gli utenti possono scegliere tra 59.000 libri in inglese e 22.000 in italiano. La consultazione dei testi è libera. Nello stesso anno, gli Stati Uniti partecipano ufficialmente per la prima volta alla Fiera campionaria di Milano.
Il padiglione dell’usis ospita un Trade Information Center e una mostra intitolata “Main Street Usa”. Il Trade Information Center (Centroinformazioni commerciali) viene realizzato da Alvise Barison, sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti e impiegato all’usis di Trieste, il quale, dopo aver lavorato a lungo nell’ufficio relazioni pubbliche dell’azienda tessile Marzotto di Valdagno, si trasferisce a Milano per gestire il nuovo centro di relazioni pubbliche americano in Italia. Lavora con Alvise Barison, e in seguito lo sostituisce, Gherarda Guastalla Lucchini, oggi attivissima imprenditrice di relazioni pubbliche e vicepresidente vicario della ferpi, nonché segretario generale dell’Oscar di bilancio. Scopo del Centro è quello di promuovere i rapporti commerciali tra Italia e Stati Uniti, incoraggiare la conoscenza del mercato americano e illustrare le facilitazioni ottenibili tramite le ambasciate e i consolati. Vengono messi a disposizione del pubblico elenchi di produttori e distributori americani, dati di mercato, statistiche sulla produzione, sul consumo e sul commercio estero. “Main Street Usa” si propone di presentare al pubblico l’autentica vita americana. La main street è infatti la via centrale, l’arteria che attraversa ogni città americana e intorno alla quale si svolge la vita quotidiana dell’americano medio. La mostra ricostruisce diversi ambienti modello: la casa, la scuola, la fattoria, la fabbrica e il grande emporio.

 

2.7    Le riforme sociali e il centrosinistra

Con l’avvento del primo governo organico di centrosinistra (alla fine del 1963) cresce nelle imprese la necessità di innovare il tradizionale dialogo con il sistema politico. Fino ad allora, infatti, il rapporto con l’opposizione di sinistra era stato per lo più affidato alle relazioni sindacali, mentre quello con il governo si limitava a un monologo con la Democrazia cristiana. La nazionalizzazione dell’energia elettrica – prezzo pagato dai moderati ai socialisti per convincerli a entrare nella coalizione di governo – suscita la forte opposizione della Confindustria creando anche al governo la necessità di avviare un rapporto diverso con le imprese. Antonio Giolitti, ministro del Bilancio, e il suo giovane collaboratore, Giorgio Ruffolo, segretario generale della programmazione, oggi esponente dei Democratici di sinistra e commentatore del quotidiano la Repubblica, tematizzano nel Paese il concetto di programmazione economica e riescono a inserirlo nell’agenda mediatica. Per incentivare gli investimenti nel Mezzogiorno, presentano un apposito strumento operativo definito “contrattazione programmata”, lanciandolo con un vero e proprio piano di relazioni pubbliche: un tentativo illuminato di orientare gli investimenti industriali mediante lo strumento del negoziato e degli incentivi. Ma la Confindustria non cede all’invito del tandem Giolitti-Ruffolo e invita i suoi associati a ignorare l’offerta di dialogo. Soltanto alcune multinazionali illuminate approfittano dell’opportunità (come, per esempio, la 3m che progetta e sviluppa un’unità produttiva a Caserta). Anche Roberto Tremelloni, ministro socialdemocratico delle Finanze, fondatore e presidente dell’Istituto per le relazioni pubbliche, tenta uno sfortunato ma nobile e articolato sforzo per avviare un dialogo interattivo e intelligente fra Fisco e contribuente.
È interessante notare come, all’inizio del 1999, un’analoga esperienza del governo D’Alema, coordinata da Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro dell’Economia, e Antonio Bassolino, ministro del Lavoro, per rilanciare gli investimenti privati inducendo negli operatori la fiducia in una programmazione concertata degli investimenti pubblici, soprattutto nel Mezzogiorno, si sia irrimediabilmente infranta contro l’opposizione delle Regioni, seccate per non essere state sufficientemente coinvolte. Il principale comunicatore di questa operazione è stato Paolo Peluffo, consulente di Ciampi e oggi al Quirinale insieme ad Arrigo Levi. È lo stesso Peluffo che negli anni 1996-97 coordinò, insieme a Ricardo Franco Levi, la campagna di comunicazione del governo Prodi per l’ingresso nell’euro.
In quegli anni Sessanta, oltre alla Olivetti, suscita ammirazione l’esperienza della Pirelli, con i Quaderni dedicati al dibattito e alla formazione manageriale e la rivista omonima che descrive e interpreta la complessità della società industriale avanzata attraverso inchieste e saggi di ottimo livello, accompagnati da servizi fotografici di grande qualità effettuati dalla nuova leva di fotografi sociali italiani (Gabriele Basilico, Cesare Colombo, Gianni Berengo Gardin, Toni Nicolini).
Sul finire degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, quando, grazie al primo governo di centrosinistra, il partito socialista entra nella coalizione di governo, le imprese tendono ad affidare le loro relazioni pubbliche a intellettuali, quasi sempre progressisti, tentando in tal modo di colmare le forti distanze socioculturali fra società civile e società imprenditoriale.
Dopo un’esperienza operativa alla Bassetti, nel 1961 apre a Milano l’agenzia di Aldo Chiappe, uno dei protagonisti delle relazioni pubbliche italiane.
Nel 1963, alla vigilia delle elezioni politiche, la Democrazia cristiana chiama dagli Stati Uniti Ernst Dichter, forse il più noto consulente di relazioni pubbliche del momento, per impostare temi e messaggi della campagna elettorale. Dichter fa svolgere una ricerca e scopre che gli italiani, pur disponibili a votare dc, ne hanno una percezione di vecchiezza. Il consulente suggerisce di ringiovanire le liste e trasferire messaggi che proiettino un’identità più giovane. Questi consigli vengono ingenuamente tradotti dai democristiani in un manifesto, affisso a ogni angolo di strada, che ritrae una giovane bella e prosperosa con la headline “La dc ha vent’anni”. Si racconta che il leader del pci, Palmiro Togliatti, non appena visto il manifesto, abbia dato l’ordine ai militanti delle sezioni comuniste disseminate in tutto il territorio nazionale di aggiungere al manifesto, a mano, il pay off “...ed è ora di fotterla”. Per la dc è un grande tonfo elettorale.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, le relazioni pubbliche della Ferrania, acquisita nel 1964 dall’americana 3m, si allargano dal cinema all’ambito più strettamente fotografico con l’intensa attività del cife, circolo di cultura fotografica, che a Milano organizza mostre storiche, offre spazi espositivi, tempi e occasioni di dibattito culturale alla nascente cultura italiana dell’immagine visiva. Nel mondo della comunicazione professionale è assai vivace in quegli anni anche l’attività della yaya (capitolo italiano della Youth in Advertising Association), dove giovani comunicatori come Claudio Masi, Aldo Chiappe, Giuseppe Berger e Lillo Perri danno vita a tematizzazioni e confronti con la comunità politica, imprenditoriale e dell’informazione, affermando la presenza di una comunità della comunicazione attiva, pensante e partecipe della classe dirigente del Paese.

 

2.8    La paralisi

Dalla fine degli anni Sessanta, il sistema politico si paralizza. Il partito comunista rimane forte, la Democrazia cristiana è indisponibile al dialogo e il partito socialista non cresce. Si alimenta la tensione sociale, e appena dopo l’esplosione del movimento studentesco, scoppiano le lotte sindacali dell’“autunno caldo”. Dimentichi della tutela degli interessi generali e con la complicità di un sistema dei media quasi interamente di proprietà di potenti forze economiche, i partiti di governo e il sistema delle imprese trovano nella illegalità della corruzione un intenso terreno di scambio che la sola opposizione comunista non riesce a ostacolare. Quest’ultima, peraltro, dopo qualche tentativo, smette persino di provarci.
Nel 1974, anno del referendum del divorzio e della prima tv privata (TeleBiella di Enzo Tortora), Emilio Renzi, in Olivetti come copywriter insieme a Irene Bignardi, scrive un bel saggio sulle abilità comunicative di Marco Pannella, mentre la trimurti della flm (Carniti, Mattina e Trentin) avvia i lavoratori metalmeccanici a una estenuante lotta sindacale per strappare nel nuovo contratto l’introduzione di una clausola che vincola le imprese a informare i consigli di fabbrica su strategie, investimenti e programmi aziendali corredando le informazioni con analisi delle implicazioni sui livelli occupazionali, delegando agli stessi consigli l’informazione ai lavoratori. Questa conquista si trasforma per il mondo del lavoro in una vittoria di Pirro. La gran parte delle imprese, in una situazione economica complessivamente difficile, è (irresponsabilmente) felice di interrompere ogni iniziativa di dialogo con i lavoratori e di delegare il sindacato a farlo. Quest’ultimo, a sua volta, non disponendo di risorse comunicative adeguate, diventa un vero e proprio ostacolo alla circolazione delle informazioni. Con il risultato che ci vorranno molti anni (fino alla marcia dei 40.000 a Torino del 1981!), prima che le imprese si convincano della necessità di riannodare relazioni decenti con i lavoratori.
In quei primi del decennio muove i primi passi (era nata nel 1970) la ferpi (federazione relazioni pubbliche italiana) che riassume in sé due associazioni presistenti (Fierp e Fipr) nate nel 1956.
A trascinare la neonata federazione è soprattutto Attilio Consonni, dirigente della Coca Cola e oggi presidente di Assobibe, insieme a Italo Capizzi e Federico Spantigati della Esso Italiana e a Guglielmo Trillo, capo delle relazioni pubbliche di Finsider. Con loro, molto attivi sul fronte della consulenza sono invece Guido De Rossi del Lion Nero, Lino Cardarelli e Aldo Chiappe. Quest’ultimo consolida l’avviato studio professionale nato a Milano nel 1961, e alla metà degli anni settanta dà vita all’Isforp, il primo istituto di educazione delle relazioni pubbliche, la cui esperienza viene prontamente seguita nel 1976 dalla iulm di Baridon, Alberoni e Roggero.
Sempre nei primi anni Settanta, le relazioni fra impresa e società subirono una forte accelerazione con l’approvazione da parte di Confindustria dello Statuto Pirelli: un documento che porta la rappresentanza industriale fuori dalle secche corporative e della conservazione, consentendone la crescita fino all’assunzione di un ruolo di protagonista, naturalmente di parte, dello sviluppo civile e sociale del Paese. L’avvocato Agnelli assume la presidenza e protegge, fra il divertito e il complice, le irruenti avances relazionali verso l’opposizione e il sindacato del vice presidente e capo dei giovani industriali Piero Pozzoli. Curioso osservare il parallelismo dell’Avvocato allora “benignamente” in movimento verso sinistra e oggi un altro avvocato, Luca di Montezemolo, suo erede anche in Confindustria (oltre che in fiat) che riapre il tavolo con le forze sociali dopo anni di appiattimento del suo predecessore su Palazzo Chigi in una linea di contrapposizione che ha prodotto tanti danni.
Gli anni Settanta sono, per la neonata ferpi, anni di grande attività. Si tematizza nel Paese, per la prima volta e in un clima culturale turbato dal forte conflitto sociale in corso, l’importanza e il ruolo della comunicazione di impresa.
A Firenze, nel 1972 – presidente Lino Cardarelli, che poi è stato fra l’altro viceresponsabile della ricostruzione della Repubblica Irakena – si svolge un convegno su “Immagine, pubblicità e comunicazione globale” ove si sottolinea la crisi dell’informazione indipendente, politica prima ancora che tecnica. La pubblicità viene vissuta dall’opinione pubblica come deviante, disinformativa, illusoria e negativa. È necessaria, dice la ferpi, una diversa concezione della comunicazione d’impresa, una grande alleanza di giornalisti, pubblicitari e operatori di relazioni pubbliche, responsabilmente uniti contro le mistificazioni…
Nel 1974, a Milano, su iniziativa di Aldo Chiappe, la ferpi affronta per la prima volta in Italia la questione del consumerismo, la difesa del consumatore e il suo impatto potenziale sulle relazioni pubbliche.
Nel 1976, presidente Guglielmo Trillo, la ferpi promuove a Roma il convegno “Comunicazione, partecipazione e opinione collettiva” nel quale si discute animatamente il concetto di opinione collettiva, teorizzato da Italo Capizzi, come la nuova frontiera nella segmentazione trasversale dei pubblici dal punto di vista degli interessi collettivi della società.
Nel 1978, a Genova, la stessa ferpi promuove in accordo con la Regione Liguria, per la prima volta in Italia un confronto pubblico sul tema della comunicazione dell’amministrazione pubblica.
Nel 1975 le sinistre avevano conquistato i grandi comuni e, grazie anche alle risorse del settore privato apportate dalla nascente pratica di sponsorizzazione culturale fortemente caldeggiata dai relatori pubblici, si inaugura la stagione dei grandi eventi culturali. Gli assessori alla Cultura assumono un rilievo pari a quelli all’Urbanistica: Franco Camarlinghi a Firenze, Renato Nicolini a Roma. Nella seconda metà dell’anno Eugenio Scalfari, aiutato da un infaticabile Giampaolo Gironda, avvia il suo Scalfagiro, un vero e proprio road show di venti tappe in altrettante città italiane per presentare il suo progetto di La Repubblica. Un trionfo di pubblico e di critica, quasi (?) un nuovo partito politico.
Nel 1976, sulla prima pagina di una Repubblica da poche settimane in edicola, Giorgio Forattini scandalizza i benpensanti disegnando un pacchetto di Marlboro come podio sul quale Riccardo Muti dirige La Scala che in quei giorni avvia la tournee per il bicentenario americano grazie a una sponsorizzazione, per l’appunto, della Philip Morris.
Sempre nel 1976, il deputato comunista Pietro Ichino – poi sostituito nella legislatura successiva dal compagno di partito Elio Quercioli, e quindi dal socialista Aldo Aniasi – presenta una proposta di legge per la regolamentazione delle attività lobbistiche e l’imposizione dell’obbligo di registrazione per tutti coloro che professionalmente lavorano per influenzare il processo decisionale pubblico. L’iniziativa, sostenuta dalla ferpi, è osteggiata dalla Confindustria perché una sua approvazione comporterebbe la “registrazione” di molti funzionari di Confindustria e un ulteriore esempio di quelli che l’allora presidente Guido Carli chiamava “lacci e lacciuoli’.
Vince, ovviamente, la Confindustria grazie anche a un violento articolo in prima pagina del Corriere della Sera, a firma dell’allora direttore generale Paolo Annibaldi (poi direttore “relazioni esterne” della fiat, e oggi sempre consulente del gruppo torinese), fratello di Cesare, a sua volta per lunghi anni direttore dei rapporti sindacali e poi culturali della fiat.
L’agente di cambio Urbano Aletti, allora presidente della Borsa di Milano, futuro senatore democristiano, affiancato da Furio Garbagnati, oggi ceo di Weber Shandwick, accoglie per la prima volta la visita di una delegazione comunista guidata dal deputato Eugenio Peggio.
E sempre nello stesso anno, Franco Reviglio insieme ad Alberto Meomartini, Giulio Tremonti, raggiunti poco dopo da Domenico Siniscalco, fonda e lancia il cesec (Centro studi economici), prima think tank moderata del partito socialista che perderà rovinosamente le elezioni provocando la congiura del Midas e l’avvento alla segreteria di Bettino Craxi, sostenuto da un Claudio Martelli attento alla comunicazione e alla modernizzazione del Paese.
Attento alla comunicazione era anche, sul fronte comunista, il giovanissimo Walter Veltroni, frustrato da un clima caratterizzato dall’austerità pauperistica invocata da Enrico Berlinguer; dall’anti-industrialismo di una rai monopolista e dalla esplosione del terrorismo che spinge il Paese a sperimentare un governo di grande coalizione.
Tutti fattori che lasciano grandi spazi ai due amici “milanesi” Craxi e Berlusconi, che troveranno piena espansione nel decennio successivo:

  • il primo raccoglie nel 1976 un partito socialista agonizzante e lo rilancia con temerarietà e spregiudicatezza fino a conquistare per sé la presidenza del Consiglio e per i suoi compagni il 50% del potere del Paese a fronte di poco più e poco meno del 10% dei voti, grazie al suo “potere coalittivo’, decisivo per consentire alla dc di restare al governo del Paese;
  • il secondo, imprenditore edile, fonda TeleMilano nel suo quartiere satellite di Milano Due e punta tutte le sue carte sulla crescita della televisione privata.

 

Protetto soprattutto da Craxi, Berlusconi forza l’interpretazione della legge e alimenta la spinta del mercato della pubblicità, fino a far saltare il monopolio rai mettendo a disposizione dell’impresa privata prima uno, poi due e infine tre canali privati commerciali di grande successo non solo dal punto di vista della pubblicità – la quale soprattutto per questo esploderà negli anni Ottanta – ma anche dal punto di vista dei valori e dei contenuti culturali trasmessi, omologhi allo sviluppo della società dei consumi di massa.
Negli anni Ottanta, complici la cultura modernizzante di un partito socialista la cui forza è sempre più sproporzionata rispetto al peso elettorale, e la cultura preindustriale dei due partiti maggiori (dc e pci), va in scena la cosiddetta cultura dell’immagine (oggi, si potrebbe definirla della “visibilità”): non contano più le azioni e i fatti, credibilità e consenso si ottengono grazie ad articolate e sofisticate manipolazioni comunicative.
Luca di Montezemolo guida le relazioni pubbliche della fiat e tiene, insieme a Renzo Zorzi, il discorso più rilevante al convegno sulla sponsorizzazione culturale (il primo di una serie interminabile di ripetizioni che si susseguono tutt’oggi) che si tiene con Paolo Grassi alla Piccola Scala di Milano nel 1980.
Qualche anno dopo lo stesso Montezemolo fa sognare gli italiani con le imprese di Azzurra nella Coppa America. È il primo esempio di un consorzio di grandi imprese costituito appositamente per una iniziativa di relazioni pubbliche.
Nel 1981 nasce Assorel, associazione delle agenzie di relazioni pubbliche.
Assorel non si contrappone alla ferpi, cui riconosce il ruolo di Federazione di persone e di tutela e promozione generale della professione, ma promuove una azione interna alla comunità delle agenzie (contratto comune, criteri base per la definizione di una agenzia rispetto a una società di professionisti ecc.) ed esterna (sviluppo della conoscenza fra le imprese di cosa siano e come operino le relazioni pubbliche).
Nel 1982, il consiglio nazionale della ferpi approva un documento base sulle sponsorizzazioni culturali che diviene in breve la piattaforma professionale per questa nascente applicazione delle relazioni pubbliche. A Firenze, nello stesso anno, la ferpi tematizza in un convegno la figura del difensore civico.
Nel frattempo, in Confindustria il neopresidente Vittorio Merloni inaugura a Genova e prosegue a Firenze la serie dei grandi convegni mediatici che lanciano l’organizzazione imprenditoriale come una stella del cinema, mentre il presidente della Montedison Mario Schimberni affida le relazioni pubbliche a Carlo Bruno, ex dirigente editoriale di Rizzoli, oggi titolare dell’agenzia Bonaparte 48. Nasce il progetto “Cultura”, coordinato da Pasquale Alferj, una esperienza temeraria e unica nel suo genere che si propone di affermare l’identità di una Montedison (nei fatti, aggressiva e pigliatutto) come azienda legata e intrecciata alla migliore cultura scientifica internazionale.
Sono anche gli anni del grande successo della moda italiana: Beppe Modenese, attivo fin dagli anni Sessanta come esperto di relazioni pubbliche nel settore dell’abbigliamento, assume un ruolo di primo piano, che mantiene tutt’oggi, e diventa il vero “primo ministro” della moda mondiale.
Le grandi imprese italiane (Alitalia, Montedison, Ferruzzi ecc.), fanno a gara per rifarsi il look (il logo) e accaparrarsi i costosissimi servizi della Walter Landor, società di corporate identity di San Francisco.
Per la prima volta, nella seconda metà degli anni Ottanta, le imprese investono di più per sapere cosa i consumatori pensano della loro comunicazione che non dei loro prodotti.
Nel 1986 si svolge a Roma, per la prima volta in Italia e in Campidoglio, il congresso europeo delle relazioni pubbliche sul tema: “Le relazioni pubbliche nella società europea che cambia”.
In quegli anni, la scr, la maggiore società italiana di consulenza in relazioni pubbliche, produrrà un considerevole sforzo di sintesi di riflessione teorica e operativa definendo la metodologia “gorel” (governo delle relazioni) che consente, fra l’altro, di misurare i risultati di una attività non soltanto di relazioni pubbliche, ma di comunicazione integrata.
Sempre nella seconda metà degli anni Ottanta, nonostante i continui richiami alla sobrietà e alla moderazione lanciati mensilmente dalla newsletter Scrap, diretta da Antonio Pilati, poi autorevole membro dell’Autorità per la Comunicazione e quindi dell’Antitrust, le relazioni pubbliche italiane seguono, quando non alimentano, il cupio dissolvi dell’intreccio perverso della corruzione fra sistema economico, sistema politico e sistema dell’informazione che, nel 1992 con l’arresto di Mario Chiesa, verrà portato alla luce da “mani pulite”.
Nel 1989, per la prima volta il Corriere della Sera guidato da Giulio Anselmi dedica per due giorni consecutivi quattro colonne dedicate alla comunicazione di impresa.
Le relazioni pubbliche delle aziende a partecipazione statale e quelle di una parte significativa del settore privato, assumono i connotati di centri di potere, delegati a smistare i favori che, reciprocamente e sulle spalle di un debito pubblico che aumenta a dismisura, si scambiano i tre sistemi portanti della società italiana (dell’economia, della politica e dell’informazione).
Le eccezioni sono peraltro significative: mentre sul fronte dell’amministrazione pubblica, Stefano Rolando, allora direttore del dipartimento Informazione e Editoria della presidenza del Consiglio e oggi docente all’Università IULM, accelera verso metà decennio la sua lunga marcia verso l’affermazione della identità dei comunicatori pubblici e fonderà nei primi anni Novanta l’Associazione della Comunicazione Pubblica; sul fronte delle associazioni industriali, la Federchimica – diretta da Guido Venturini (oggi direttore generale del Touring Club) e con l’attenta e sapiente regia comunicativa di Paolo Rossi Doria – avvia l’esperienza di Fabbriche Aperte, una iniziativa che porta la società civile a vedere come le industrie chimiche italiane si avviano verso modelli più sostenibili.
Sono anche molti gli imprenditori e i manager che, fortunatamente, resistono al degrado: e il lavoro dei loro operatori di relazioni pubbliche impedisce la rovina definitiva della professione.
La svolta avviene dopo il ’92, con i processi di Tangentopoli che travolgono la prima repubblica svelando il ruolo di intermediazione avuto nella corruzione da diversi operatori di relazioni pubbliche. Si susseguono avvisi di garanzia e arresti di operatori di aziende e di società di consulenza.
L’associazione culturale Correnti, ispirata da Federico Spantigati, teorizza che la sola comunicazione di impresa ormai credibile è quella che comunica i comportamenti reali e che, dopo tanti anni di consociativismo nel suo senso deteriore, l’identità di una organizzazione è il frutto della contrapposizione con le identità di altre organizzazioni.
Giuliano Bianucci affianca Mario Segni nella strepitosa vittoria del referendum elettorale e nella elezione al Parlamento di oltre 150 deputati trasversali aderenti al “patto per la riforma elettorale”.
L’avvio del grande processo di privatizzazioni – mentre si prolunga la fase di transizione a una seconda Repubblica fondata su una auspicata semplificazione del sistema partitico indotta da una legge elettorale però solo tendenzialmente maggioritaria – offre alle relazioni pubbliche uno spazio insperato, anche in termini di “governo” dell’intero processo di comunicazione integrata. Le agenzie di pubblicità si trovano, nella maggior parte dei casi, a subire, per la prima volta in modo esplicito, il coordinamento di operatori di relazioni pubbliche.
Anche il boom della new economy, con la nascita di decine e decine di nuove iniziative economiche alla ricerca di fondi per decollare, tende a dare un ruolo centrale ai consulenti di relazioni pubbliche rispetto alla agenzie di pubblicità. Ma è un fenomeno di breve durata (come peraltro anche quello delle privatizzazioni) destinato a sgonfiarsi e che lascia migliaia di stock option senza alcun valore in mano alle agenzie di relazioni pubbliche che avevano accettato di rischiare insieme ai loro clienti.
Nel 1994, Berlusconi travolge tutti con una massiccia campagna di comunicazione “virale” basata su migliaia di moltiplicatori e di testimoni e diventa primo ministro. L’esperienza dura poco e nel 1996 Romano Prodi, affiancato da Silvio Sircana (oggi direttore relazioni esterne delle fs), conquista Palazzo Chigi per l’Ulivo, soltanto per venire a sua volta scalzato da un Massimo D’Alema affiancato da Claudio Velardi e da Gianni Cuperlo.
A partire dal 1997, le imprese tradizionali riprendono in modo significativo gli investimenti in relazioni pubbliche. Sul mercato che rinasce, la domanda diviene più competente e prende il sopravvento sull’offerta che invece aveva dominato la situazione fino ad allora.
Prima della metà degli anni Novanta, il ministero del Tesoro, titolare delle azioni dei maggiori gruppi economici messi sul mercato (eni, enel, Telecom, ina, le grandi banche ecc.), è governato dai cosiddetti “Ciampi boys”: da Mario Draghi a Fabrizio Barca, a Paolo Peluffo.
Sarà soprattutto quest’ultimo a supervisionare e a consentire la “presa del potere” delle relazioni pubbliche nella appena nascente comunicazione finanziaria italiana, che esploderà a fine decennio con l’opa di Olivetti su Telecom Italia.
Si confrontano su questa opa due strutture italiane di relazioni pubbliche: la Barabino & Partners di Luca Barabino per conto di Olivetti e la Massmedia & Partners di Andrea Garbarino per Telecom Italia.
L’elezione di Carlo Azeglio Ciampi alla presidenza della Repubblica, seguito dal portavoce Peluffo, porta per la prima volta al Quirinale in forma ufficiale anche un “consulente” di relazioni pubbliche: Arrigo Levi, noto fino ad allora soprattutto come giornalista e inviato, già direttore del tg1.
L’elezione di Prodi alla presidenza dell’Unione Europea trasferisce a Bruxelles, nella inedita veste iniziale di responsabile della comunicazione della Commissione e non di semplice portavoce del presidente, Ricardo Franco Levi, ex giornalista economico, poi fondatore e direttore del quotidiano L’Indipendente, quindi portavoce dello stesso Prodi quando era a Palazzo Chigi.
Oggi il successore di Prodi, il portoghese Barroso ha addirittura elevato la funzione della comunicazione al rango di Commissario affidandola alla svedese Wallstrom!
Nel 1999 le imprese italiane, al pari delle amministrazioni pubbliche e delle municipalizzate si trovano per la prima volta insieme alle prese con il cosiddetto millennium bug, una emergenza planetaria largamente anticipata che mette alla prova la capacità del Paese di “fare sistema” (come si direbbe oggi). È un momento magico poiché, sotto la attenta e appassionata co-regia di Franco Bassanini e di Ernesto Bettinelli per conto del governo, per la prima volta tecnici e comunicatori di tutte le organizzazioni private, pubbliche e sociali sul territorio nazionale si incontrano, formulano e realizzano con modalità coordinate e in pochi mesi programmi complessi di preparazione, di adeguamento e di comunicazione in attesa del possibile black out di Capodanno. Un vero miracolo, una esperienza di condivisione e di co-ompetizione la cui eredità si è dissolta sia perché il baco del millennio non aveva prodotto danni, sia perché i nuovi inquilini di palazzo chigi hanno preferito optare per una politica di contrapposizione.
Sempre nel 2000 il successo del Giubileo esalta il sindaco romano Francesco Rutelli, sostenuto da tempo dalle abilità comunicative di Paolo Gentiloni, già direttore di Nuova Ecologia e poi redattore dell’Espresso. Entrambi si lanceranno nell’avventura della sfida nazionale a Berlusconi e si faranno aiutare inutilmente dal guru americano Greenberg. L’ultima volta che un politico italiano aveva chiamato un comunicatore americano era stato nel 1962, quando la dc chiamò Ernst Dichter di cui abbiamo già parlato.
Dal 2000 la comunicazione delle organizzazioni italiane avvia un forte balzo in avanti, grazie alla coincidenza di molteplici fattori.
Sul fronte del settore pubblico, in esecuzione delle riforme Bassanini degli anni Novanta che avevano accelerato la modernizzazione dello Stato, l’approvazione della legge 150/2000 che riconosce e incardina il ruolo della comunicazione nell’amministrazione stimola e spinge i comunicatori pubblici (stimati nel 2001 in 40.000 dal dipartimento della Funzione pubblica, oggi intorno ai 60.000 secondo le stime dell’Associazione della comunicazione pubblica) a darsi una identità e a formare una comunità professionale. I due annuali appuntamenti del Forum pa di maggio a Roma e del Compa di Novembre a Bologna, sono opportunità ove i comunicatori pubblici si scambiano casi, esperienze e nuovi paradigmi. La legge 150 è oggi ancora lontana da una sua piena applicazione, pur mostrando in bella vista le sue storture e contraddizioni. Ciò nonostante la legge è stata una leva di consapevolezza importante e la comunicazione pubblica ha rivelato impegni, dedizioni e talenti ragguardevoli, soprattutto a Torino ove opera Anna Martina, a Bologna ove il neo sindaco Cofferati si fa ora aiutare da Alessandro Rovinetti, a San Giorgio a Cremano ove Giancarlo Panico raccoglie  crescenti consensi, a Roma ove Mariella Gramaglia svolge con passione e competenza il suo ruolo di assessore alla Comunicazione e a Genova ove l’assessore alla Comunicazione Anna Castellano raccoglie i frutti positivi di Genova 2004.
Sul fronte del settore non profit, l’improvvisa crescita del settore, la presenza di personalità di spicco come Susanna Agnelli, Umberto Veronesi, Giovanni Moro, l’esperienza del settimanale Vita di Riccardo Bonacina, di associazioni come Sodalitas e alcuni eccellenti comunicatori come Giangi Milesi del cesvi, Carlo Barburini del Meyer e Alessandra Veronese della Banca degli Occhi, hanno dato ampia dignità e qualità alla comunicazione del non profit.
Sul fronte della business and financial community, questi ultimi anni sono segnati da una stasi di investimenti sul fronte della comunicazione esterna ma da una notevole presa di potere da parte dei comunicatori nelle gerarchie dell’organizzazione. Si pensi solo che nel 2000, delle prime cento aziende della classifica Mediobanca soltanto in 60 il direttore della comunicazione dipendeva dal vertice. Oggi questo si riscontra in tutte e 100.
Una crescita di ruolo rapidissima che vede in posizioni di eccellenza professionale comunicatori come Ludovico Passerin d’Entreves alle prese con il travaglio della fiat; Gianluca Comin che è riuscito a portato l’enel fuori dalle secche di una identità pubblica a una identità privata, socialmente responsabile e fortemente attenta ai valori; Carlo Fornaro che dai ripetuti successi raccolti in una Vodafone ricca di risorse si trova ora in una rcs, ricca di programmi ma ancora frastornata da azionisti che stentano a trovare unità di intenti; Andrea Kerbaker, raffinato brand enricher di Telecom Italia che prova a dare ordine a un progetto Italia in cui c’è dentro tutto il suo contrario; Andrea Prandi che ha dato un forte contributo a fare di Merloni un nome di prestigio nei mercati del mondo e ora si trova a governare i processi comunicativi di una Edison esposta alle inquiete folate di pacchetti di azioni che passano da una mano all’altra. Né si può sottacere il cambiamento radicale in corse nella comunicazione delle banche ove operano fior di professionisti come Pierluigi Celli (Unicredit), Stefano Lucchini (Intesa) e Davide Cefis (bnl) e neppure il lavoro paziente, certosino, eccellente e integralmente internazionale che Anna Adriani sviluppa da Trieste per una illycaffè multinazionale di nicchia, vero gioiello dell’imprenditoria italiana nel mondo.
Sono solo alcuni nomi di professionisti stimati che oggi dirigono la comunicazione delle nostre migliori organizzazioni.
Ma per capire meglio come sono cambiate le cose in questi trent’anni conviene raccontare la metafora dell’Oscar di Bilancio che il 1 dicembre 2004 alla Borsa di Milano, con una prolusione del Nobel Stiglitz, ha celebrato il suo cinquantesimo.
Nato nel 1954 su iniziativa dell’ipr di Roberto Tremelloni, poi andato in letargo negli anni settanta, quindi riattivato da Gherarda Lucchini, sempre come ipr nei primi anni Ottanta, infine affidato alle sapienti mani di Paolo Pasini negli anni Novanta quando fu la volta della ferpi ad andare in un lungo letargo. Ecco che nel 2000 l’Oscar viene rilanciato alla grande dalla stessa ferpi, rinata grazie a un sito popolare e interattivo (www.ferpi.it) che oggi riceve diverse migliaia di visite al giorno, e grazie alla decisione di partecipare attivamente alla fondazione, ottenendone la prima presidenza, della Global Alliance, organismo mondiale che raccoglie 65 associazioni nazionali.
Fino alla fine degli anni Ottanta, l’Oscar veniva consegnato soltanto alle imprese, poi vennero istituiti premi speciali anche per le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni non profit. Prima si premiavano solo i bilanci economici-patrimoniali, poi progressivamente venivano dati premi speciali anche ai bilanci sociali e a quelli ambientali, fino negli ultimi due anni a quelli di sostenibilità o di triple bottom line.
Attivamente sostenuto da tutte le organizzazioni della business community (Borsa, Confindustria, abi, ania, dottori commercialisti, revisori, direttori finanziari, analisti), dell’amministrazione pubblica (anci, upi, Conferenza delle Regioni, Forum pa), della comunità non profit (Sodalitas, Vita, fivol, Anima) e dalla presidenza della Repubblica, l’Oscar del cinquantesimo verrà assegnato, per la prima volta, all’organizzazione (non più soltanto necessariamente impresa) che abbia rendicontato meglio le sue performance economiche, ambientali e sociali.
E questo anche in omaggio a quella pratica crescente di politiche di responsabilità sociale delle organizzazioni che in questi ultimi anni ha davvero rivalutato e rafforzato il ruolo del comunicatore.
Un bel passo avanti rispetto al primo premiato del 1954, la società Motta, con la motivazione che era la prima azienda italiana a rendere pubblico il volume del suo fatturato!
Dunque ne ha fatti di passi la comunicazione delle organizzazioni.
La comunità professionale è oggi stimata in almeno 70.000 persone e, partendo dal presupposto che si tratta di una attività labour e non capital intensive, un corretto approccio di valutazione porta a stimare in 12 miliardi di euro l’indotto annuo nel nostro Paese delle relazioni pubbliche!
Nel bene e nel male, la comunicazione è divenuta la struttura stessa della nostra società e si potrebbe anche aggiungere che fra le tante discontinuità forti della storia, quest’ultima della globalizzazione è davvero la prima il cui centro propulsore, come dice Anthony Giddens, è proprio la comunicazione. Vero o non vero che sia, non c’è dubbio che la nostra classe dirigente (privata, pubblica e sociale) ne è pienamente convinta. Questo pone al comunicatore professionista una grande sfida di responsabilità e di consapevolezza.
Da un lato, se tutti diventano comunicatori (fenomeno già in atto e in accelerazione) si corre il rischio della irrilevanza e della “commodity” della professione; dall’altro è necessario che gli stessi comunicatori si trasformino da tecnici in facilitatori aiutando le organizzazioni per le quali lavorano a trasformarsi da comunicative (dove esiste una funzione efficace di comunicazione) in comunicanti (dove tutte la struttura è abilitata comunicare).
Come uscire da questa apparente contraddizione? La consapevolezza del problema è già il primo passo verso il suo superamento, quindi c’è un gran bisogno di studiare, di discutere di approfondire. Esistono poi due questioni specifiche che sono al tempo stesso una grande opportunità e un grande rischio.
La prima è che è sempre necessario, oggi più che mai, che la stampa sviluppi nei lettori una visione “critica” della comunicazione delle organizzazioni, private, pubbliche e sociali. La fuffa, la panna montata (avrebbe detto anni fa Eugenio Scalfari) salgono ogni giorno, le manipolazioni e le mascalzonate crescono in maniera direttamente proporzionale ai costumi generali di un Paese che certo non migliorano (vedere per credere l’ultima classifica di Transparency International sul tasso di corruzione dei Paesi) e le persone prendono tante fregature grazie a una pervasiva e persuasiva comunicazione che tende a passare grazie alle scorciatoie tipiche dell’aumma-aumma generale fra sistema dei media, pubblicità, proprietà e organizzazioni.
La seconda è che i professionisti della comunicazione devono riuscire a impedire che la moda imperante della responsabilità sociale di questi anni si trasformi in una semplice operazione di immagine.

Numerose le pubblicazioni sull’opera di Bernays. Tra i suoi scritti un posto di rilievo occupano: Crystallizing Public Opinion, 1922; The Enginireeng of Consent,1956; The later years. Public Relations Insights, 1986.
Diversi anche i testi che hanno scritto della sua attività professionale partendo dal libro di Stuart Ewen pr! The Social History of Spin,1996, per arrivare fino a quello di Larry Tye, The Father of Spin. Edward L. Bernays and the birth of Public Relations, 1998. Da segnalare infine la biografia online di Bernays consultabile su http://www.prmuseum.com.

Nel settembre 1977 Bernays scriveva un articolo per ipra Review (divenuta poi ipra FrontLine) in cui fra l’altro sosteneva: “[…]le relazioni pubbliche sono diventate una professione. […] professione è una vocazione in cui l’arte viene applicata a una scienza nella quale l’interesse pubblico, piuttosto che la remunerazione economica, gioca il ruolo prevalente. Capisaldi di una professione sono: le sue associazioni volontarie di professionisti, il suo corpo consolidato di conoscenze e le sue articolazioni educative; la sua letteratura; il suo codice di etica. In più i suoi membri sono registrati e autorizzati dallo Stato. […]Le relazioni pubbliche hanno tutti questi requisiti, salvo uno: l’ultimo.
[…]Le rp produrranno il massimo beneficio quando i suoi operatori saranno formati ed esperti. Questo si potrà raggiungere quando la professione si batterà per la registrazione e gli esami di Stato, come protezione dell’interesse pubblico e della stessa professione. Soltanto in questo modo la professione potrà proteggere la società dagli eccessi di coloro che oggi si chiamano relatori pubblici ma che in realtà non lo sono.”

Cutlip S. M., Public Relations History. From the 17th to the 20th Century. The Antecedents, 1995. Sulla storia delle relazioni pubbliche, sempre dello stesso autore si segnala anche The Unseen Power. Public Relations. A History,1994.
Citiamo anche Cutlip, Center, Broom , Effective Public Relations, 1994; trad. it.: Nuovo manuale di relazioni pubbliche, a cura di Roggero, 2002.

Anche James Grunig (1984) fa notare come esistessero una serie di attività riconducibili alla pratica delle relazioni pubbliche che possono essere equiparate a delle pre-manifestazioni – seppur non consapevoli e programmate – della professione. Sono quelle che lo studioso chiama “public relations-like activities”, identificandovi tutte le attività, a partire dalla civiltà greca e romana, che miravano all’influenzamento delle opinioni altrui.

Riprendendo alcuni passi tratti dalla Dichiarazione dei principi di Ivy Lee: “Questo non è un ufficio segreto; tutto il nostro lavoro è fatto alla luce del sole. […] I nostri contenuti sono precisi. Ulteriori dettagli su qualsiasi argomento trattato verranno forniti prontamente e ogni giornalista verrà assistito nel verificare l'esatto stato dei fatti. […] Garantiamo piena informazione a tutti, anche a coloro che lavorano per i giornali che ci hanno criticato. […] Noi diffondiamo informazioni di cui possiamo verificare l’esattezza insieme con gli stessi giornalisti. […]”.

Olasky M. N., Corporate Public Relations. A New Historical Perspective, 1987.

Citiamo tra gli altri, Fernando Fasce, La democrazia degli affari: comunicazione aziendale e discorso pubblico negli Stati Uniti 1900-1940, 2000 e il già citato Stuart Ewen, pr! The Social History of Spin, 1996.

Un avvincente resoconto di questa “guerra di comunicazione” si può leggere – insieme a tanti altri casi relativi a conflitti internazionali: dalla deposizione del presidente venezuelano ottenuta da Ed Bernays per conto della United Fruit, preoccupata dell’esprorio di qualche piantagione di banane; alla guerra del Golfo del 1992 scatenatasi anche, se non soprattutto, per la campagna condotta dalla Hill & Knowlton per conto del governo del Kuwait in esilio – nel saggio dello studioso tedesco Michael Kunczik, Images of Nations and International Public Relations, 1996.

Per maggiori informazioni e curiosità: http://www.odwyerpr.com.

Robert Dilenschneider, già presidente e ceo Hill & Knowlton, oggi presidente di Dilenschneider Group. Tra le sue pubblicazioni principali: Dartnell’s Public Relations Handbook, 1996; oltre che Power and Influence, A Briefing for Leaders, Moses: ceo, e più recentemente 50 plus! Critical Career Decisions for the Rest of Your Life.

Simona Colarizi, L’opinione degli Italiani sotto il Regime 1929-1943, Laterza Bari-Roma, 1991.

Si veda al proposito il bel libro di Franco Briatico (già direttore relazioni esterne dell’eni): Ascesa e declino del capitale pubblico italiano, Il Mulino Bologna 2004.

Tutti i riferimenti sulle attività dell’usis in questo capitolo sono una libera trasposizione di un ottimo lavoro di Valeria Mainini per la sua tesi di laurea allo iulm di Milano del 2000 dal titolo Le relazioni pubbliche in Italia dal secondo dopoguerra alla nascita della ferpi (1943-1970)”

 

Fonte: http://www.methodos.com/_methodos/_toni/governare/Governare_cap2.doc

Sito web da visitare: http://www.methodos.com/

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