La poesia siciliana

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La poesia siciliana

IL DUECENTO

 LA POESIA SICILIANA

La prima scuola poetica nasce in questo periodo. E’ quella dei siciliani che trasferitasi nei comuni toscani pone le basi per il “dolce stil novo”. Sono gli anni in cui il volgare soppianta il latino sia nella prosa che nella poesia religiosa come nella poesia realistica toscana.
Alla base del primo movimento unitario ed istituzionale della letteratura italiana c’è una condizione politico- culturale nuova. Si costituisce il primo stato moderno d’Europa, cioè quello che ha il suo centro in Sicilia presso la corte di Federico II di Svevia.
La scuola siciliana si identifica con la scelta di uno stile elevato, di una forma elaborata, che si ricollega direttamente alla lirica che fiorisce nella Francia meridionale nel XII secolo.
La lingua letteraria è ricercata e ricreata a partire da una base linguistica, quella siciliana, che si arricchisce di calchi latini e occitani. Tutto ciò è reso possibile dai principi di casa Sveva che posero le basi per l’avvio di un’esperienza nuova e la incoraggiarono. Federico II , e dopo di lui il figlio Manfredi, furono esempio di nobiltà e di umanità e costituirono un polo d’attrazione per molti poeti.
La letteratura poetica prodotta si distacca, però, dai temi della vita politica e sociale. L’elite di funzionari, magistrati e notai vede la letteratura come evasione dalla realtà quotidiana e compone secondo la tradizione dell’amore cortese.
Evitano ogni argomento che non sia l’amore, tanto da essere definiti anche come agnostici. I poeti provenzali dell’Italia settentrionale, al contrario, sono impegnati nella polemica quotidiana e propongono riferimenti concreti.Trovatori e giullari accorrono nelle corti dando voce alla musa provenzale che dopo aver cantato gli amori lontani parla di armi, battaglie e contese in seno all’Europa. In Sicilia tutto questo tace. Dalla poesia si estrapola un’immagine rarefatta di vita; si compie una selezione dei temi ispirandosi, quasi unicamente, all’amore cortese. Sul piano delle forme ritroviamo come base il volgare siciliano modellato con la lingua di maggior prestigio capace di accogliere sia il patrimonio cavalleresco che quello di tradizione latina. I poeti si orientano verso l’aulico e l’astratto rifiutando i generi legati alla cronaca o al folklore musicale. Manca, quindi, la pluralità stilistica che si ritrova in molti provenzali.
La poesia si separa dalla musica; della simbiosi presente in quella provenzale rimane una conseguenza: la staticità e la mancanza di dialettica interna, l’autonomia e l’interscambiabilità delle stanze.
Troviamo anche un’innovazione: la mancanza della tornada cioè del congedo della canzone che conteneva spesso anche la firma dell’autore.
L’innovazione metrica più originale è il sonetto di tematica morale, filosofica o amorosa. Si ricerca il decoro, l’uniformità e l’astrattezza e si evita ogni riferimento al concreto. Caratteristica che di per sé non costituisce un limite. Siamo al cospetto di una poesia aulica, intellettuale e di carattere estremamente riflessivo.
Le immagini di fondo sono ispirate dalle poesie provenzali ma si rinnovano nei modelli. Non c’è una traduzione diretta ma una compagine linguistica che funge da richiamo. Gli elementi linguistici provenzali vengono trasposti in volgare siciliano. La poesia pur permeata nelle forme e nello spirito dall’influenza provenzale se ne discosta allo stesso tempo. Un  esempio riguarda la figura sociale del poeta stesso. E’ una poesia destinata alla lettura individuale e non alla recitazione con accompagnamento musicale e manca un termine che la classifichi come categoria.
Il clima concettuale e sociale è radicalmente diverso: non siamo in una società feudale, anche se nell’amore narrato riecheggia anche il motivo feudale. Manca una caratterizzazione definita della donna. L’aderenza ai modelli trobadorici è quindi di tipo tematico, ci si riallaccia ad un repertorio di idee, di linguaggio e di metrica. Sfondo sul quale si sviluppa la ricerca di una perfezione linguistica.
Oltre al tema dell’amore, nei componimenti, troviamo frequenti richiami alla natura, ispirati sia dalla tradizione provenzale che dall’interesse di Federico II e della sua corte per la scienza. Predominano le metafore tratte dal regno animale e vegetale, dai fenomeni atmosferici, dalla luce e dalle calamità come le tempeste ed il naufragio.
La poetica dei siciliani si fonda sulla concezione cortigiana dell’amore che si spiritualizza e si sfaccetta nei vari autori. La concezione dell’amore come rapporto feudale, basato su un privilegio, è fondamentale per tutti i poeti, più dell’immagine stessa della donna. L’amore, come per i provenzali, è amore extraconiugale e frutto d’infedeltà. La fenomenologia dell’amore si snoda in due momenti necessari: gioia e tormento. Momenti propri della natura stessa, ora visti come dipendenti dalla figura della donna. L’etica sociale affiora nel rapporto gerarchico, l’amore è –talvolta- amore fatale come quello tra Tristano e Isotta. Altre volte il sentimento si esprime in forma più spiritualizzata, come movimento interiore. Voce della fenomenologia stessa dell’amore dove tutto viene tradotto in immagini spettacolari.
La dinamica e lo sviluppo della poesia siciliana è difficile da cogliere per la mancanza di una cronologia. In essa si manifestano fin dalle sue origini tre generi metrico-tematici: la canzone con tematica lirica, la canzonetta ricca di sviluppi narrativi drammatici ed il sonetto prevalentemente di tono discorsivo. Tre generi che si specializzano e si differenziano. Ritroviamo anche esempi di ballate. Si sviluppa la canzonetta dialogica con varietà di toni e di stili dove si intrecciano motivi aulici a quelli popolari. 

 

 

UNO PIASENTE SGUARDO

Uno piasente sguardo
coralmente m’ha feruto,
und’eo d’amore sentomi infiammato;
ed è stato un dardo
pungente, sì forte, aguto,
che mi passao lo core e m’ha ‘ntamato;
or sono in tali mene
che dico:”oi lasso mene, -com faragio,
se da voi, donna mia, aiuto non agio?”.

 

Li occhi miei ci ‘ncolparo,
che volsero riguardari,
ond’ io n’ho riceputo male a torto
quand’elli s’avisaro
agli occhi suo’ micidari;
e quegli occhi m’hanno conquiso e morto.
e lo viso avenenti
e li sguardi piacenti –m’han conquiso
e tutte l’altre gioi’ de lo bel viso.

 

Traditrice ventura
perché mi ci amenasti,
ca io non ero ausato a sta partuta?
Volsi partire allura
e tu mi assicurasti
und’eo ricepetti mortal feruta.
Non avea miso mente
a lo  viso piangente,-e poi guardai
in quello punto ed io mi ‘namurai.

 

Di quella innamuranza
eo mi ne sento tal doglia,
che nulla medicina non mi vale.
Ancor tengo speranza
che si le muti la voglia  
a quella che m’ha fatto tanto male.
Ancor m’agia scondutto,
eo di ragio altro mutto-ca disdire,
poi ch’ella vederà lo meo servire.

 

Lasso, ch’io so incappato!
Vegiomi ‘n strana contrata
e son lontano da li miei paisi;
Amor m’ha impelagato,
furtuna m’è corrucciata,
da poi che ‘n questi tormenti mi misi.
Non so ove mi gire;
convenemi soffrire-este gran pene,
ca per durare male ha l’omo bene.

 

Se de lo suo parlare
non mi fosse tanto fera,
dicesse alcuna cosa,al meo parire,
solo per confortare
in ciò che mi disispera,
ch’eo mi pugnasse pur di ben servire.
Ca, s’eo fosse oltra mare,
converriami tornare- a sta contrata:
ben faria cento miglia la giornata!

 

Canzonetta piangente,
poi ch’amore lo comanda,
non tardare, e vanne alla più fina.
Saluta l’avenente
e dille:”a voi mi manda
un vostro fino amante di Messina;
mandavi esto cantare,
che vi degia membrare-del suo amore;
mentre che vive è vostro servidore.”

                             PIER DELLA VIGNA

Pier della Vigna: nato a Capiua nel 1180, morto suicida nella rocca di San Miniato nel 1249. in questa canzone il poeta descrive la sua condizione di vittima d’amore. Ferito nel cuore da uno solo sguardo tanto da farlo smarrire.

 

 

 

GIA’ MAI NON MI CONFORTO

Già mai non mi conforto
né mi voglio rallegrare.
Le navi son giunte a porto
e or vogliono collare.
Vassene lo più gente
In terra d’oltre mare
ed io lassa dolente,
como degio fare?

Vassene in altra contrata
e non lo mi manda a diri
ed io rimagno ingannata:
tanti son li sospiri,
che mi fanno gran guerra
la notte co’ la dia,
né ‘n cielo ned in terra
non mi par ch’ io sia.

 

Santus santus santus Deo,
che ‘n la Vergine venisti,
salva e guarda l’amor meo,
poi da me lo dipartisti.
Oit alta podestade
Temuta e dottata,
la mia dolse amistade
ti sia acomandata!

 

La croce salva la gente
e me face de sviare,
la croce mi fa dolente
e non mi val Dio pregare.
Oi croce pellegrina,
perché m’hai sì distrutta?
Oime, lassa tapina,
ch’i ‘ardo e ‘ncedo tutta!

 

Lo ‘mperadore con pace
tutto lo mando mantene
ed a meve guerra face,
che m’ha tolta la mia speme.
Oit alta protestate
temuta e dottata,
la mia dolze amistate
vi sia accomandata!

 

Quando la croce pigliao
certo non lo mi pensai,
quelli che tanto m’amao
ed illu tanto amai,
chi eo ne fui battuta
e messa in pregionia
in una celata temuta
per la vita mia!

Le navi son collate,
in bonor possan andare
con elle la mia amistate
e la gente che v’ha andare!
Oi Padre criatore,
a porto le conduci
che vanno a servidore
della santa cruci.

 

Però ti prego, Ducetto,
che sai la pena mia,
che me ne faci un sonetto
e mandino in Soria.
Ch’io non posso abentare
la notte ne la dia:
in terra d’oltre mare
sta la vita mia!

                        RINALDO D’AQUINO

 

Rinaldo D’Aquino: non ci sono notizie riguardo alla data di nascita e di morte. Canta limpossibiolità di descrivere la donna amata tanto né è incantato.

 

 

ANCOR CHE L’AIGUA PER LO FOCO LASSI

Ancor che l’aigua per lo foco lassi
la sua grande freddura
non cangeria natura
s’alcun vassello in mezzo non vi stassi;
anzi avveria senza lunga dimura
che lo foco astutassi,
o che l’aigua seccassi;
ma per lo mezzo l’uno e l’autra dura.
Cusì gentil creatura,
io me ha mostrato amore
l’ardente suo valore:
che senza amore er’aigua fredda e ghiacciata,
ma amor m’ha si allumato
di foco che m’abbraccia,
ch’eo fora consumato,
se voi, donna sovrana,
non fustici mezzana
infra l’Amore e meve,
ca fa lo foco nascere di neve.

Immagine di neve si pò dire
Om che non ha sentore
d’amoroso calore:
ancor sia vivo, non si sa sbaudiri.
Amore è uno spirito d’ardore,
che non si po’ vediri,
ma sol per li sospiri
si fa sentire in quello ch’ è amadore.
Cusì, donna d’aunore,
lo meo gran sospirare
vi poria certa fare
de l’amorosa flamma,und’eo so involto;
e non so com’eo duro,
si m’ave preso e tolto;
ma parm’ esser sicuro
che molti altri amanti,
per amor tutti quanti,
funo perduti a morti,
che non amaro quat’eo, ne si forti.

 

Eo v’amo tanto, che mille fiate
in un’or mi s’arranca
lo spirito che manca,
pensando, donna, la vostra beltate.
E lo disio c’ho lo cor m’abbranca,
crescemi volontate,
mettimi ‘n tempestate
ogni penseri, chè mai non si stanca.
O colorita e blanca
gioia de lo meo bene
speranza mi mantene;
e s’eo languisco non posso morire,
ca, mentre viva sete,
lo corpo meo tormenti;
ma, sol ch’eo tegna menti
vostra gaia persona,
obbrio la morte, tal forza mia dona.

 

Eo non credo sia quello ch’avia,
lo spirito che porto,
ched eo fora già morto,
tant’ho passato male tuttavia;
lo spirito ch’i’aggio, und’eo mi sporto,
credo lo vostro sia
che nel meo petto stia
e abiti con meco in gioi’ e diporto.
Or mi son ben accorto,
quando da voi mi venni,
che, quando mente tenni
vostro amoroso viso netto e chiaro,
li vostri occhi piangenti
allora m’addobraro,
che mi tennero menti
e divedermi nascoso
uno spirto amoroso,
ch’assi mi fa più amare
che non amò null’altro, ciò mi pare.

 

La calamita, contano i saccenti
che trarre non poria
lo ferro per maestria,
se no che l’aire in mezzo lo consenti;
ancor che la calamita petra sia,
l’altre petre neenti
non so cusì potenti
a traier, perché non n’hano bailia.
Così, madonna mia
l’amor s’è apperceputo
che non m’avria potuto
traer e sé, se non fusse per vui.
E si son donne assai,
m’hano nulla per cui
eo mi movesse mai,
se non per voi, piangete,
in cui è fermamente
la forza e la vertuti.
Adonque prego l’amor che m’aiuti.

 

                    GUIDO DELLE COLONNE

Guido delle Colonne:nasce a Messina nel 1210,muore dopo il 1287.la lirica ispirandosi a metafore della natura mastra come la donna sia tramite tra l’uomo e l’amore.

 

 

 

 

MERAVIGLIOSAMENTE

Meravigliosamente
un amor mi distringe
e sovvemmi ad ogn’ura;
com’om che tene mente
in altra parte,e pinge
la simile pintura,
così, bella, facc’eo:
dentr’a lo core meo
porto la tua figura.

In cor par ch’eo vi porti
Pinta como parete,
e non pare di fore;
anzi m’asembra morti,
che non so se sapete
com io v’amo a bon core;
ca son si vergognoso
ch’eo pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.

Avendo gran disio,
dipinsi una figura,
bella, a voi somigliante;
e quando voi non vio
guardo in quella pintura,
e par ch’eo v’agia avante:
sì com’che si crede
salvare per la sua fede
ancor non vi davante.

       Così m’arde una doglia,
com’om che ten lo foco
a lo suo seno ascuso,
che, quando più lo ‘nvoglia,
tanto prende più loco
e non po’ stare incluso;
similmente eo ardo
quando passo e non guardo
a voi viso amoruso.

      Per zo s’io v’ho laudato,
madonna in molte parti
di bellezze ch’avite,
non so se v’è contatto
ch’eo lo faccia per arti,
che voi ve ne dolite;
sacciatelo per singa
zo ch’eo vi dire’ a linga
quando voi mi vedite.

    Si ‘n corpo, quando passo,
inver voi non mi giro,
bella, per insguardare,
andando, ad ogni passo
si getta un sospiro
che mi faci ancosciare;
e certo bene ancoscio,
ch’a pena mi conoscio,
tanto, bella, mi pare.

    Canzonetta novella,
va canta nova cosa

  • levati da maitino-

davanti alla più bella,
fiore d’ogni amorosa,
bionda più ch’auro fino:
“lo vostro amor, ch’è caro,
donatelo al notaro,
ch’è nato da Lentino”.

                   IACOPO DA LENTINI

Iacopo da Lentini: nasce a Lentini nel 1210 e muore a Lentini nel1260. la lirica descrive l’amore interiorizzato e spirituale. L’uomo porta l’amata nel cuore ma non riesce a dichiararsi e ad esprimere i suoi sentimenti direttamente. Essi traspaiono da segni esteriori.

 

Fonte: http://www.vaggio.com/Public%5CDocumenti%5CIL_DUECENTO.doc

Sito web da visitare: http://www.vaggio.com/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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