Leopardi Operette morali

Leopardi Operette morali

 

 

 

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Leopardi Operette morali

“Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez”

Il brano si apre con un dialogo tra due personaggi storici, Cristoforo Colombo e il suo compagno di viaggio Pietro Gutierrez. I due si interrogano sul buon esito del viaggio intrapreso che, a causa della lunga durata e dell’ignota estensione rimanente, ha reso dubbioso e scettico l’animo di entrambi. Il primo, bisognoso di spiegazioni schiette e sincere, rivolgendosi al proprio capitano raccoglie le più aperte confessioni di quest’ultimo. Lo stesso promotore della spedizione è consapevole di avere affrontato questo viaggio sulla base di una ‘speculazione’, probabile ma non comparabile alla certezza della vista e del tatto. Il pensiero di Colombo non può tendere alla verità più di quanto non possano farlo altre previsioni, poiché ognuna, per quanto possa risultare irrazionale, non permette di essere scartata sulla base di congetture. I due si rendono conto di essersi avventurati nell’ignoto ma, nonostante questa realtà drammatica appaia spaventosa e negativa agli occhi di molti, Colombo ne estrapola diversi aspetti positivi. Se in mare rischi la vita, in terra soccombi alla noia; perciò la navigazione diventa metafora dell’utilità dell’azione per attenuare l’infelicità della condizione umana: ci tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremmo in considerazione. La vita negli oceani è come la rupe di Leucade, da cui nell’antichità si lanciavano gli innamorati delusi: una volta tuffatosi e sopravvissuto, l’amante rivalutava l’importanza dell’esistenza. Così il rischio quotidiano in mare dona una maggiore piacevolezza verso la vita. Sul finale la conversazione assume una connotazione più ottimistica, in quanto il basso fondale, il volo degli uccelli e il colore delle nuvole sembrano auspicare l’imminente approdo verso la terraferma.
I personaggi del dialogo:
Colombo nel dialogo è portavoce di Leopardi: è uomo disposto al sogno, alla meditazione, al senso d’infinito; rappresenta l’uomo d’azione ma è anche un poeta: nei confronti dell’infinitudine del mare prova sgomento nel momento in cui non sa se le sue ipotesi scientifiche saranno verificate. Colombo è l’uomo che non chiede il risultato pratico, ma che si dispone nei confronti della vita in un’ottica di prova e ricerca, indipendentemente dall’esito finale delle imprese.
Per Gutierrez, al contrario, contano i risultati concreti, la sicurezza, lo sfuggire ai pericoli della navigazione (cioè ai pericoli della vita); la sua preoccupazione più grande è quella di approdare a terra. È legato al risultato certo, ed è quindi “l’uomo della terra ferma” che ha costante bisogno di certezze verificate e di stabilità.
I temi:

  1. rapporto fra la piccolezza e lo smarrimento dell’uomo nell’universo
  2. utilità dell’azione per vincere l’insensatezza della vita, come antidoto alla noia
  3. teoria del piacere: emerge nell’aspettativa di conoscenza da parte di Colombo, come attesa e impossibilità di prefigurarsi in modo certo cosa vi sia all’orizzonte

Elena Bisceglie, Daniel Fagioli, Denis Macari
Assenti: Sara Fontana, Filippo Martini

 

“Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo”

Un folletto, creatura dell’aria, e uno gnomo, creatura della terra, si incontrano e si ritrovano a discutere della scomparsa della razza umana. Lo gnomo si dimostra incredulo di fronte alla notizia della totale scomparsa del genere umano, chiede il perché di tale fatto e il folletto ne elenca i motivi. Le cause che hanno causato l’estinzione del genere umano sono varie: guerre, navigazioni, antropofagia, suicidio, ozio, vita disordinata; in definitiva l’uomo ha studiato tutte le vie di far contro alla propria natura e per questo si è autodistrutto. Lo gnomo, sconcertato per tale perdita, viene rassicurato dall’altra creatura: gli astri, il tempo, la natura, non hanno mutato il loro corso, tutto precede normalmente come sempre, nonostante la mancanza del genere umano. Concludono il dialogo concordando sulla presunzione degli uomini che vedevano il mondo fatto a loro misura, infatti ogni specie potrebbe dire altrettanto.
Il dialogo delle due creature è volto a criticare l’atteggiamento del genere umano nei confronti dell’ universo, l’uomo crede di essere al centro del mondo e che ogni cosa sia finalizzata al suo servizio. Infatti solo nell’uomo è prevalso quell’egoismo che è stato motivo di espansione e causa del suo stesso declino. La natura, in tutto questo, rimane immutata continuando così il suo ciclo vitale. Il genere umano, inseguendo un progresso sempre maggiore, non ha migliorato la sua condizione di vita, bensì è  regredito allontanandosi dalla condizione originaria di felicità. Da qui si evince che il pensiero leopardiano non ricade nel pessimismo storico, perché, anche se è solo l’uomo ad essere causa della sua infelicità, la condizione negativa dell’uomo non è associata ad un periodo storico ben preciso; ma non si tratta nemmeno di pessimismo cosmico, poiché la natura non è ancora maligna, pertanto si trova in una via di mezzo dove subentra quell’atteggiamento ironico, distaccato e rassegnato, che ritroviamo spesso nelle Operette morali.
L’indifferenza del sole alle sorti dell’umanità con cui si conclude il dialogo anticipa, in modo pacato,  quell’indifferenza della Natura che apparirà netta e drammatica nel Dialogo della Natura e di un Islandese. 

Leonardo Fantini, Nicole Lanzetti, Giulia Marzaloni
Assente Jonathan Teodorani

"Dialogo della Moda e della Morte"
Il dialogo, fra l’ironico e il lugubre, ha come interlocutrici le personificazioni della Moda e della Morte; la prima invoca la sorella, che in un primo momento non la riconosce, anzi la scaccia considerandola mortale. Successivamente la Morte riconosce la sorella, in seguito ad una serie di argomentazioni riguardo pene, sofferenze, dolori e usanze che portano al disfacimento della vita, confermando di essere entrambe figlie della stessa madre: la caducità. La Morte, che inizialmente non comprende a pieno il lavoro svolto dalla misteriosa sorella, si convince della sua potenza: sforacchiare orecchie, nasi e bocche, abbruciacchiare le diverse parti del corpo, storpiare colle calzature snelle, chiudere il fiato con la strettura dei bustini, sono tutte pratiche che prefigurano la Morte. In definitiva, per seguire i costumi della Moda, l'esistenza degli uomini è più morta che viva. Con ironia la Moda afferma che la fama non ha mai potuto garantire l'immortalità a nessuno, anche se nel passato alcuni uomini si sono fatti questa illusione, che ha potuto in qualche modo disonorare la sorella Morte; ci ha pensato lei, la Moda, a togliere di mezzo anche questa abitudine dei mortali a considerarsi immortali: ho levata via questa usanza di cercare l'immortalità. Il dialogo si conclude con la Morte che accetta il lavoro svolto dalla sorella decidendo di collaborare insieme.
Leopardi, all’interno di questa operetta morale, fa emergere il concetto importante di caducità, ispirato da Petrarca, come costante di ogni cosa mortale; ogni cosa infatti ha un inizio ed una fine e l’unica continuità tra passato e presente, nonché soluzione per sfuggire alla sofferenza del presente è la ricordanza, altro tema caro all’autore. Il dialogo svela che l'alleanza fra la Moda e la Morte si fonda sulla comune capacità di annullare le cose, travolgendone la memoria. Leopardi assume perciò un atteggiamento critico nei confronti della Moda tanto da paragonarla alla Morte. Infatti, secondo l’autore, la Moda è come una forza elegante che inganna gli uomini dando loro l’illusione dell’immortalità, un inganno, e di conseguenza li porta a preferire la morte alla vita stessa. Questa simboleggia il passato, l’antico e viaggia di pari passo con la morte poiché alla nascita di una nuova moda una passata trova la morte.
Arianna Coppola, Marco Gardini, Giovanni Gibertoni
Assente: Sabrina Garattoni

 

“Dialogo di Tristano e di un amico”

Tristano, alter ego di Leopardi, dialoga con un amico, fingendo di aver ritrattato le sue tesi sull'infelicità umana, accettando l'ottimismo dell'Ottocento. Critica l'umanità che per vivere si illude di essere felice, non guardando la realtà ma ciò che le conviene. Suddette caratteristiche del genere umano derivano dalla sua codardia e dalla debolezza d'animo; al contrario Tristano non dissimula l'infelicità umana, ma accetta coraggiosamente la triste realtà. In alcuni passaggi, il protagonista abbandona l'atteggiamento ironico assumendone uno più critico: polemizza contro la spiritualità cattolica che, prediligendo l'educazione dello spirito, svalorizza il corpo ed esalta gli antichi per il loro atteggiamento contrario. Un'altra polemica è mossa contro l'istruzione, allargata a molti, ma incapace di formare veri dotti, atti ad “accrescere solidamente (…) il sapere umano”. Tristano è contrario anche al falso ottimismo che i giornali dell'epoca diffondevano, alimentando l'illusione di avere una conoscenza completa e grande dignità.
Nella parte finale dell'operetta, l'alter ego di Leopardi abbandona l'ironia e la critica per concentrarsi su una riflessione riguardante la morte: “se ottengo la morte, morrò così tranquillo e così contento, come se mai null'altro avessi sperato né desiderato al mondo”. Tristano trova liberazione solo nella morte, poiché non invidia “più né stolti né savi, né grandi né piccoli, né deboli né potenti”, e non lo turbano più il ricordo della giovinezza e la consapevolezza di aver vissuto invano.
I personaggi:
L’amico rappresenta il punto di vista del concreto ambiente cattolico-moderato fiorentino, con il quale Leopardi era stato lungamente a contatto nel biennio 1830-31.
Tristano è portavoce del pensiero di Leopardi, soprattutto all’inizio del dialogo è evidente il riferimento autobiografico al libro (le Operette morali uscite a Milano nel 1827) che il protagonista-Leopardi finge di ricusare. Quando oramai l’amico incomincia a dubitare della buona fede di Tristano e gli chiede cosa si deve fare di questo libro, lui risponde: “Bruciarlo è il meglio. Non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici, ovvero come un’espressione dell’infelicità dell’autore”; se si legge il metalinguaggio dell’affermazione, Leopardi insinua la cattiva accoglienza che ha ricevuto il suo libro; a una cultura radicalmente avversa al suo pessimismo, Tristano-Leopardi contrappone la sfida della testimonianza individuale, una sfida all’ottimismo del secolo.

Cristina Pesaresi, Valentina Bartolucci, Giuseppe Gucciardo, Filippo Pivi Magnanelli
Assente: Sara Bisceglie

 

"Dialogo di Plotino e di Porfirio"

L'operetta riporta il dialogo tra Porfirio e Plotino, due filosofi del III secolo a.C. Il primo confessa all'amico di volersi suicidare dimostrando attraverso la ragione legittimità di quest'azione; alla base del ragionamento c'è l'idea di una natura malvagia che rende perpetuamente infelice l'uomo. La morte, secondo Porfirio, è l'unica via per raggiungere l'imperturbabilità dell'animo con l'annullamento dell'essere (morte intesa come medicina di tutti i mali). Plotino, nonostante non possa confutare razionalmente le tesi dell'amico, sostiene che il suicidio sia un atto contro natura, ma viene smentito in quanto l'uomo ha già creato una “seconda natura” allontanandosi dallo stato originario di essa tramite il progresso, secondo la concezione illuminista è perciò lecito il suicidio in quanto si afferma la propria libertà di uscire dalla sofferenza: se la natura ci ha ingenerato l'amore per la vita, ci ha anche procurato l'odio per l'infelicità, dunque fuggire dall''infelicità con l'unico mezzo possibile, la morte, non può essere contro natura. A questo punto Plotino abbandona l'idea di un'argomentazione secondo gli schemi della logica, appellandosi a quelle dell'animo. L'immaginazione, irrazionale, cela in qualche modo la nullità delle cose e quindi fa rinascere la speranza nell'uomo e la vita si mostra così piena di interesse; il dolore, la solitudine, il senso dell'assoluta vanità delle cose, l'odio per se stessi e per il mondo colpiscono tutti, ma viene il momento in cui, anche per motivi impercettibili che sgorgano dall'animo, si insinua di nuovo il gusto per la vita, riappare la speranza e si persevera, si "tira avanti". Il suicidio, nonostante sia giustificato dalla ratio, viene considerato da Plotino come il supremo atto di egoismo dal momento che con questa azione si perseguono unicamente i propri interesse, non curandosi del dolore che esso provochi nelle persone vicine. Siccome l'infelicità è una condizione insuperabile, l'unica cosa che possiamo fare è conviverci; ciò è reso più facile se condividiamo le nostre inquietudini e debolezze con un compagno.
Leopardi nel dialogo riesce a conciliare due posizioni opposte considerandole entrambe legittime. In un certo modo la posizione di Porfirio è illuminista, poiché egli basa le proprie idee sulla ragione, al contrario di Plotino che, non potendo confutare le sue tesi, razionalmente ineccepibili, richiama l'importanza dell'animo e dei sentimenti, in una presa di posizione di solidarietà umana decisamente utopica. La natura è inevitabilmente malvagia, punto sul quale entrambi concordano, poiché ha dato all'uomo solo dolori e noie, curandosi solo della conservazione della specie e sacrificando la felicità del singolo individuo. Il suicidio in questa situazione sarebbe quindi da elogiare perché unico mezzo per liberarsi dei mali, ma Leopardi, che esprime il suo pensiero attraverso Plotino, lo condanna in quanto atto fine a se stesso, incurante delle persone vicine all'uomo e dei loro sentimenti, andando ad aggravare la loro posizione di infelicità già onnipresente. Vivere significa sopportare il dolore, ma anche condividerlo con gli altri, nel reciproco soccorso e incoraggiamento.

Nicola Casali, Jacopo Tosi, Lorenzo Roccoli, Virginia Stacchini
Assente: Debora Trotta

 

Fonte: http://www.mcurie.gov.it/files/crociani.veronica/Lavoro_di_gruppo_sulle_Operette_morali_5C.docx

Sito web da visitare: http://www.mcurie.gov.it

Autore del testo: vari indicati nel documento di origine

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