Manzoni sofferenza e perdono

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Manzoni sofferenza e perdono

MANZONI: sofferenza, Provvidenza, perdono

“I GUAI …SONO LORO CHE SON VENUTI A CERCARE ME”

Nella poetica di Manzoni il tema della sofferenza è centrale. Anzi, possiamo meglio dire che è il motivo di fondo delle sue opere principali. Noi abbiamo visto uno degli inni Sacri, Il Natale, due cori della tragedia Adelchi e stiamo leggendo i P. Sposi.
Manzoni affronta questo problema con determinazione, profondità e una certa serenità di fondo, non comune agli altri autori che di solito i ragazzi incontrano a scuola.
La sofferenza nel mondo e in ogni uomo è inevitabile. Da questa constatazione discendono le sue riflessioni. Tutti soffrono sia poveri che ricchi, sia oppressori che oppressi, sia colpevoli che innocenti. Il dolore e le tribolazioni (i guai) talvolta sono causati dalla cattiveria dell’uomo (don Rodrigo che perseguita Lucia), talvolta dalla propria inesperienza o errori (come Renzo che si lascia trascinare nella rivolta del pane di Milano e si mette nei guai), talvolta colpiscono l’uomo senza una apparente motivazione (la peste). Chi soffre di più? È difficile rispondere, certo però che chi è debole e povero deve subire le angherie e gli egoismi dei “grandi”, dei ricchi, dei prepotenti (Lucia, Renzo, ma anche Ermengarda, il popolo italiano oppresso dai Longobardi) e spesso non ha difese perché ignorante (come Renzo che ingenuamente si reca dal dott. Azzaccagarbugli) e non ha possibilità di “scappare” (la peste colpisce maggiormente i poveri perché denutriti, perché vivono in ambienti malsani, perché non possono permettersi di traslocare in una villa lontana).
Stupisce che la poesia Il Natale inizi proprio dalla descrizione (attraverso una lunga e cupa similitudine) del peccato originale, ma ancora di più stupisce che la prima immagine di Gesù Bambino è quella di un fanciullo povero che piange (Senza indugiar cercarono / l’albergo poveretto / que’ fortunati, e videro / sì come a lor fu detto / videro in panni avvolto / in un presepio accolto / vagire il Re del Ciel).
Chi non vuole affrontare la sofferenza e le tribolazioni è come don Abbondio che proseguiva il suo cammino guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava dalla parte del monte (cap I) e rischia di rimanere un mediocre, come un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro (cap. I).

“LA C’E’ LA PROVVIDENZA”

La fiducia nella Provvidenza che non abbandona gli uomini è espressa in due frasi volutamente poste al centro del Romanzo e poste non a caso sulle labbra dei due protagonisti  “La c’è la Provvidenza” dice Renzo nel capitolo 17 facendo un atto di bontà. Nel castello dell’Innominato, Lucia di solito così timida è presa dal panico e parla senza sosta. Le escono parole spontanee e impulsive, non ragiona. Fra le tante cose le esce pure questa frase che è la parafrasi popolare di una frase della Bibbia (forse ascoltata in chiesa durante una predica o imparata al catechismo o usata in casa quasi come un proverbio): Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia.
Tale frase dà una motivazione al perdono fra gli uomini: se gli uomini sono buoni tra loro Dio userà loro misericordia. È la frase determinante per la conversione dell’Innominato, proprio nel momento in cui avrebbe voluto suicidarsi (Lasciò cadere l’arma e stava con le mani nei capelli, battendo i denti, tremando. Tutt’a un tratto gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite poche ora prima: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia!” E non gli tornavano già con quell’accento di umile preghiera con cui erano state proferite, ma con un suono pieno di autorità, e che insieme induceva una lontana speranza. Fu quello un momento di sollievo).
Queste due frasi sono basilari per comprendere il Romanzo. Manzoni racconta due anni di storia del 1600 e vuole dimostrare che tutti gli uomini di qualsiasi tempo e luogo sono accomunati dalle tribolazioni, dalla sofferenza e dalle difficoltà della vita. In questi due anni, proprio come nella vita di tutti, ci sono cambiamenti che fanno maturare i personaggi. Essi prendono consapevolezza – almeno in parte – che Dio svolge un suo Progetto nella storia di tutti e di ognuno. La Provvidenza c’è: è Dio che interviene nella storia degli uomini per volgerla al bene, sempre rispettando la libertà. La storia si volgerà al bene per tutti coloro che confidano in Dio e si lasciano aiutare da lui. Come bisogna dunque affrontare la vita? Confidando nella Provvidenza che non abbandona nessuno. Alla fine del Romanzo Lucia dimostra di avere capito molto, non tutto, ma certamente tutto quello che le occorre per vivere serenamente. Non può avere capito tutto il significato dei suoi guai o della sofferenza innocente, ma certo ha compreso molto di più di tanti personaggi che sono rimasti ai margini del Piano di Dio che comunque nella storia si svolge, perché qualcuno che collabora c’è sempre.

Lucia…disse un giorno… “Io non sono andata a cercare i guai: sono loro che son venuti a cercare me…” Dopo un lungo dibattito e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come sugo di tutta la storia

Dunque attraverso le loro traversìe i personaggi buoni sono maturati. La vita migliore non è solo la vita eterna, ma la vita terrena vissuta in serenità e pace. Anche il rapporto con Dio da ingenuo diviene più maturo e consapevole. Fanno sorridere le osservazioni di Renzo riguardo alle preghiere (quando trascorre la notte nella capanna … Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l’assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi, per dire le sue parole, di essere andato a dormire come un cane e peggio. – E per questo – soggiunse poi tra sé, appoggiando le mani sulla paglia, e da inginocchioni mettendosi a giacere: per questo mi è toccata la mattina quella bella svegliata ) e così il voto azzardato di Lucia per invocare da Dio la liberazione dalle grinfie dell’Innominato. È un po’ la religione del “Do ut des”, quasi che con Dio si potesse ragionare così, quasi che noi uomini potessimo fargli dei favori e lui avesse bisogno di noi. Ma le sofferenze oltre ad aprire il cuore alla bontà con gli altri, alla condivisione, a una maggiore sensibilità verso chi soffre, aprono anche la mente: chi soffre e sa soffrire prima o poi capisce, diventa essenziale, non si ferma a considerazioni superficiali.
Dunque la sofferenza non è solo un male inevitabile da sopportare nel modo più sereno possibile, è un mezzo di purificazione, è un modo con cui Dio (verso il quale tutti siamo nella condizione di peccatori come dice Manzoni nel Natale) ci pone nella schiera non più dei colpevoli, ma degli oppressi (te collocò la provida / sventura infra gli oppressi). Anche il popolo italiano dopo avere toccato il fondo della sofferenza dell’oppressione (longobarda, franca, ma anche austriaca) capirà e avrà la forza di riscattarsi e risorgere.
La Provvidenza non mira a fare star bene gli uomini evitando loro i guai (cosa del resto impossibile se tutti, anche i cattivi hanno la libertà), ma se ne serve per la crescita interiore.

 

Manzoni guarda con perdono e compassione i suoi personaggi, vede in tutti un destino comune e perdona quelli che sbagliano. Perdona con un sorriso bonario anche i personaggi peggiori: usa un umorismo bonario verso don Abbondio, verso don Ferrante, mette in luce forse l’unico lato positivo del Griso (l’astuzia), ci lascia intendere che forse don Rodrigo non avrebbe perseverato nel suo progetto se il Conte Attilio non lo avesse continuamente punzecchiato, la Monaca di Monza è scusata per la sua debolezza e l’autore lascia intendere che forse la vicinanza con Lucia ha mosso qualcosa nel suo animo. Ogni personaggio poi ha dei difetti: Agnese crede di avere sempre in mano la situazione e comanda alla figlia e a Renzo, ma lo fa per il bene dei suoi cari, Renzo è impulsivo, ma di buon cuore e Lucia all’inizio così ingenua e anche un po’ rigida, impara a sciogliersi e a essere più comprensiva e profonda. Godono di grande stima (condivisione autobiografica?) i personaggi che si convertono (Fra Cristoforo, l’Innominato) e in modo particolare il Cardinale Federigo Borromeo. I personaggi minori sono sapienzialmente tratteggiati con poche linee essenziali, ma anch’essi resi immortali. Gli sconfitti sono coloro che perseverano nella cattiveria. I vittoriosi sono gli oppressi che si lasciano aiutare da Dio. Nel finale del coro dell’Atto IV dell’Adelchi dopo avere spiegato a lungo come Ermengarda sia entrata nella schiera dei prediletti di Dio, Manzoni conclude con un’immagine volutamente quotidiana: un bravo contadino guarda il cielo rosso e sa che l’indomani sarà una bella giornata di sole. Il domani oltre le nuvole dell’oggi rappresenta non solo il Paradiso che Ermengarda si è conquistata purificandosi con la sofferenza, ma la vita migliore di chi ha deciso abbandonarsi alla Provvidenza. Ogni personaggio dei P. Sposi e in generale dell’opera di Manzoni (vedi Ermengarda) rappresenta ogni uomo con i suoi problemi e le sue paure, ma anche con le sue risorse (in modo particolare la sua libertà) per aggrapparsi alla Provvidenza e dare un senso alla propria vita.

 

Fonte: http://www.inpicciolettabarca.it/italiano/Storia%20sofferenza%20provvidenza.doc

Sito web da visitare: http://www.inpicciolettabarca.it/

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