Promessi sposi personaggi

Promessi sposi personaggi

 

 

 

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Promessi sposi personaggi

Alessandro Manzoni

    1. La vita di Alessandro Manzoni

Alessandro Manzoni nacque il 7 marzo 1785 a Milano, dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Becaria, figlia del marchese Cesare Beccaria . Dopo pochi anni i genitori si separarono legalmente. Studiò in vari collegi formandosi una buona cultura classica e iniziando la propria attività letteraria. Compose varie poesie e un poemetto.
Uscito di collegio, il giovane Manzoni visse a Milano, nella casa del padre, fino al 1805. Fece molteplici esperienze di vita e di cultura. Nel luglio 1805 si riunì alla madre e si stabilì con lei a Parigi, dove rimase fino al giugno 1810. Nella capitale francese il giovane scrittore conobbe e frequentò il cosiddetto gruppo degli ideologi che sostenevano le dottrine del razionalismo e del sensismo , e strinse amicizia con Claude Fauriel .
Questa nuova esperienza di vita e di cultura fu veramente determinante per il Manzoni. Tornato per un breve soggiorno a Milano nel 1807, conobbe e sposò la giovane Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino. Nel 1810 aderì ai principi della fede cattolica. Nel giugno dello stesso anno il Manzoni con la sua famiglia abbandonò la capitale francese e si stabilì definitivamente a Milano. Questo fu il periodo della più fervida e feconda attività creativa, in cui lo scrittore compose le sue opere artisticamente più originali e mature.
Ritornati a Milano gli Austriaci, si rifiutò di dare la sua adesione al governo dei nuovi dominatori e ne Il proclama di Rimini 1815 espresse il suo ideale dell’indipendenza e dell’unità italiana. Nell’ottobre 1819 si recò con la famiglia a Parigi, dove rimase quasi un anno. Si trasferì anche per curarsi di persistenti nervosi di cui rimase sempre più o meno afflitto. Nell’agosto 1827, dopo la prima edezione de I promessi sposi, si recò con la famiglia a Firenze, soggiornandovi per due mesi, allo scopo di prepararsi alla revisione linguistica del romanzo secondo l’uso vivo del fiorentino parlato.


Durante questo soggiorno fiorentino, il poeta ebbe modo di conoscere alcuni noti letterati italiani del tempo, per esempio Leopardi e Giordani . Questi letterati frequentavano il Gabinetto Viesseux il quale costituì per molto tempo il centro della cultura liberale toscana.
Più tardi iniziò un periodo contristato da gravi lutti e sventure familiari. Nel 1833 gli morì la moglie Enrichetta, nel 1834 la primogenita Giulia, nel 1841 la madre e negli anni seguenti altre tre figlie. Nel 1861 perdette anche la seconda moglie, Teresa Borri, che aveva sposato nel 1837.
Durante il lungo periodo della dominazione austriaca, tenne sempre un attegiamento di decisa opposizione verso i governanti stranieri, rafforzandosi sempre più nei suoi ideali dell’indipendenza e dell’unità d'Italia. Nel marzo 1848, durante l’insurrezione delle cinque giornate di Milano , non esitò a incitare i suoi figli Pietro, Enrico e Filipo a prendervi parte. Sottoscrisse anche un appello a Carlo Alberto e ai principi italiani, perchè intervenissero contro l’Austria, in soccorso dei Milanesi. Nel 1859, dopo la liberazione della Lombardia, gli venne conferita dal re Vittorio Emanuele II una pensione annua in riconoscimento dei suoi meriti patriottici. L’anno seguente fu nominato, su proposta del Cavour , senatore del Regno.
Nel marzo 1861 si recò a Torino per partecipare alla seduta del primo Parlamento italiano, in cui venne solennemente proclamato il Regno d’Italia. Nel dicembre 1864 volle recarsi nuovamente a Torino per partecipare alla seduta del Parlamento, in cui si votava il trasferimento della capitale del nuovo Regno d'Italia da Torino a Firenze.  In questa occasione ebbe modo di manifestare la sua ferma convinzione che Roma dovesse diventare la capitale d’Italia. Nel 1872, infine, non esitò ad accettare la cittadinanza onoraria di Roma. Il Manzoni morì a Milano il 22 maggio 1873 a ottantotto anni, per i postumi di una caduta.


    1. Le opere di Alessandro Manzoni

Durante gli anni della giovinezza Alessandro Manzoni scrisse varie poesie di intonazione neoclassica . Il trionfo della libertà, scritto nel 1801, fu la sua prima esperienza poetica. Si tratta di un poemetto di quattro canti, in terzine. Con questo poemetto volle celebrare la ricostituzione della Repubblica Cisalpina. Fu influenzato da Vincenzo Monti . Nel 1803 scrisse l’idillio di endecassilabi sciolti, Adda. Nel 1805 compose il carme di endecassilabi sciolti, In morte di Carlo Imbonati. Questo carme fu dedicato al morto compagno di sua madre. Urania, il poemetto mitologico in versi sciolti, fu composto nel 1809. In questo poemetto sono molto evidenti gli echi letterari della poesia di Vincenzo Monti e Ugo Foscolo .
Negli anni immediamente seguenti alla conversione, tra il 1812 e il 1815, il Manzoni compose i primi quattro Inni Sacri, dedicati alle principali feste dell’anno liturgico. La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione. Alcuni anni dopo compose La Pentecoste, il più grande inno. Il Manzoni aveva intenzione di comporre dodici inni, ma compose solo questi cinque.
Il nostro autore scrisse anche due odi di ispirazione politica. Marzo 1821, scritto in strofe di endecassilabi, rimasto inedito, che fu pubblicato solo nel 1848. In questa ode espresse la sua fede nel Risorgimento e nell’indipendenza dell’Italia. Con Il Cinque Maggio, scritto nel luglio 1821, annunciò la morte di Napoleone , dalla quale fu profondamente colpito. L’ode, in strofe di settenari, fu di ispirazione storica e religiosa con una grande rievocazione epico-lirica della vita e del destino di Napoleone.

 

Tra il 1820 e il 1822, Manzoni scrisse anche due tragedie di struttura e di ispirazione romantica. Il Conte di Carmagnola, è una tragedia di cinque atti, in endecasillabi sciolti. Ha come protagonista la figura di Francesco Bussone, conte di Carmagnola, il quale fu valente capitano di compagnie di ventura . Prima fu al servizio di Milano, poi di Venezia e alla fine fu accusato di tradimento e condannato a morte.
L’Adelchi, è una tragedia divisa in cinque atti, in endecasillabi sciolti. Rappresenta la guerra tra Carlo Magno e Desiderio e la fine della dominazione longobardica in Italia.
Tra il 1821 e il 1823, dunque parallelamente alla composizione dell’Adelchi, il Manzoni si dedicò a scrivere un vasto romanzo, provvisoriamente intitolato Fermo e Lucia. La trama di questo romanzo sarà descritta in uno dei capitoli successivi della presente tesi. 
Compose anche numerose opere critiche, di ispirazione letteraria, storica o linguistica. Nella Prefazione al Conte di Carmagnola (1820) e nella Lettre à Monsiuer Chauvet sur l’unitè de temps et de lieu dans la tragédie (1823), trattò del principio classicistico dell’unità di tempo e di luogo nella tragedia. Nella lettera al marchese Cesare D’Azeglio Sul Romanticismo formulò le nuove dottrine romantiche e rifiutò l’uso della mitologia greco-latina e la imitazione dei classici. In questa opera sono espressi i principi fondamentali della nuova poetica manzoniana, secondo cui „la poesia, e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, e l'interessante per mezzo.“
Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia , scritta nel 1822, è un’opera di carattere erudito. Fu composta contemporaneamente all’Adelchi. Si tratta di un saggio in cui il Manzoni descrive le dure condizioni degli italiani sotto la dominazione longobardica. Nel saggio Sentir messa, scritto nel 1835 e pubblicato nel 1923, propugnò l’uso della lingua toscana.

Nella lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana, composta nel 1846, lo scrittore affermò che „[…] la lingua italiana è in Firenze, come la lingua latina era in Roma, come la francese è a Parigi. […]“ Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, è una relazione scritta nel 1868 al ministro Emilio Broglio , nella quale il nostro scrittore desiderò la compilazione di un nuovo vocabolario.


I promessi sposi

Il motivo per scrivere I promessi sposi  

La prima cosa che ci interessa potrebbe essere il motivo per il quale Alessandro Manzoni ha scritto I promessi sposi.
Nel marzo 1821  il nostro scrittore andò a Brusuglio, dove aveva una villa e dove trascorreva molto tempo con la sua famiglia, per riposarsi. Già da tempo aveva cominciato a raccogliere un’ampia documentazione basata sulla storia. Allora portò con sé le Storie milanesi di Giuseppe Ripamonti e le opere economico-politiche Sul commercio de’commestibili e caro prezzo del vitto di Melchiorre Gioia . In questi libri trovò delle cose molto interessanti. Nelle Storie milanesi per esempio la descrizione della carestia, informazioni riguardanti la peste, la rivolta di Milano. Dal libro di Gioia ricavò i vari tipi di personaggi come la Signora di Monza, l’Innominato, il cardinale Federigo, e pensò: „Non si potrebbe inventare il fatto a cui prendessero parte tutti questi personaggi e in cui vi entrassero tutti questi avvenimenti?”  
Fu anche influenzato della lettura dei romanzi di Walter Scott , soprattutto dell’Ivanhoe. Volle scrivere un’opera storica, psicologica e anche educativa. Tutto questo fu un impulso per cominciare a scrivere un romanzo.

Manzoni e la Lombardia seicentesca

Un’altra questione interessante potrebbe essere il motivo per cui scelse il Seicento invece del secolo diciannovesimo, nel quale visse, o qualche altro secolo.   
Volle avvicinare ai suoi lettori la storia e l’epoca del Seicento in maniera realistica, basata su una precisa documentazione storica. Il mondo seicentesco ebbe certi avvenimenti in comune con il secolo diciannovesimo.
Nel Seicento la Lombardia fu sotto la dominazione spagnola e nel secolo del nostro scrittore sotto la dominazione austriaca. Allora scrivere il romanzo in quella epoca non fu davvero facile. La spiegazione di questo dato di fatto si trova nel paragrafo successivo.        
Come si è già menzionato, Milano fu sotto la dominazione austriaca e tra il 1820 e il 1821 la polizia austriaca arrestò i patrioti della società segreta, chiamata Carboneria .
Fra gli arrestati furono anche amici di Manzoni. E siccome l’Italia fu sotto la dominazione straniera, la libertà di parola e di espressione furono molto limitate. Allora l’idea di scrivere un romanzo storico, che si svolge in Lombardia, fu molto pericolosa. Ma a Manzoni venne in mente un’altra idea. Collocò la trama nel Seicento, quando l’Italia fu sotto la dominazione spagnola, fingendo di aver trovato un manoscritto di un autore anonimo.
Anche i contemporanei del romanziere e in generale i critici dell’Ottocento sottolineavano per lo più un interesse di natura patriottica. „L’autore da vero italiano che ama la sua bella patria con tutte le forze dell’anima, volle darci un’opera veramente italiana e per questo ci riporta indietro nel sec. XVII, epoca della dominazione spagnola in Milano […] “
Nella critica più recente si affacciò la motivazione religiosa. Per esempio nell’interpretazione di Alberto Moravia, il quale, chiedendosi perché il Manzoni abbia scelto il Seicento più che un’altra epoca come fonte d’ispirazione per il suo romanzo, rispose:
„Ha scelto il Seicento perchè il Seicento fu un’epoca, l’ultima epoca, di assoluto predominio della religione cattolica come principio ispiratore della vita sociale, ovvero come ideologia dominante. Volendo infatti dimostrare nel romanzo, anzi col romanzo stesso, l’opportunità di un ritorno della società, dopo il fallimento della ribellione illuministica, sotto le grandi ali della religione e della Chiesa cattolica, e volendolo dimostrare col metodo del realismo, il Manzoni, anziché rappresentare la società contemporanea, dove la religione ha una importanza secondaria, ha rappresentato la società seicentesca, dove la religione ha appunto ancora una posizione di assoluto primato.“
E alla fine si può menzionare perché scelse proprio l’ambientazione lombarda. La risposta è semplice. Alessandro Manzoni, essendo di origine lombarda, volle descrivere l’ambiente che conosceva perfettamente e che amava. Si tratta degli stessi luoghi nei quali visse durante la sua infanzia. Sulle pendici del monte Resegone, sul quale l’autore si sofferma nella descrizione, era situata la casa della balia presso la quale Alessandro trascorse i suoi primi anni.

La trama del romanzo

Il romanzo, la cui azione si svolge in Lombardia tra il 1628 e il 1630, al tempo della dominazione spagnola, ha come i protagonisti principali due giovani popolani. Il filatore di seta Renzo Tramaglino e la sua promessa sposa Lucia Mondella. I due giovani vogliono sposarsi. Tutto è pronto per il matrimonio ma a Don Abbondio, curato di un piccolo paese posto sul lago di Como, viene imposto di non celebrarlo. Questo veto viene da don Rodrigo, il signorotto del luogo, perchè si è innamorato di Lucia. I due giovani sono costretti a lasciare il paese natale e separarsi. Il loro aiutante durante la fuga è padre Cristoforo. Lucia e la madre Agnese si rifugiano in un convento di Monza, mentre Renzo si reca a Milano. Don Rodrigo fa rapire Lucia dall’Innominato, un altro signore potente.
Ma L’Innominato quando vede lo sguardo della fanciulla così tormentata, invece di consegnare Lucia a Don Rodrigo, la libera. Intanto Renzo arriva a Milano mentre il popolo tumultua per la carestia. Renzo si ubriaca e fa gli appelli alla giustizia con gli altri. Il mattino dopo Renzo viene arrestato ma riesce a fuggire a Bergamo, da suo cugino Bortolo. La Lombardia è straziata dalla guerra e dalla peste ma Renzo torna a Milano per cercare Lucia, la sua promessa sposa. La ritrova in un lazzaretto insieme a padre Cristoforo che cura gli infermi. Tra questi infermi, abbandonato da tutti, è anche don Rodrigo che muore. La peste si placa e Renzo e Lucia possono finalmente diventare marito e moglie. Renzo acquista con il cugino una piccola azienda tessile e Lucia, aiutata dalla madre, si occupa degli figli. La religiosità e la cosiddetta «Provvidenza divina» , sono i temi fondamentali dell’opera.

Edizioni del romanzo

Il 24 aprile 1821, Alessandro Manzoni iniziò la stesura di un romanzo in prosa ambientato nella Milano del Seicento. Tra l’aprile e il maggio del 1821 compose i primi due capitoli e l’introduzione, ma poi sospese la scrittura per tornare alla tragedia Adelchi. Dopo l’aprile del 1822 riprese il lavoro sul romanzo con grande intensità.
La prima redazione del romanzo era giunta al termine il 17 settembre 1823. Non aveva ancora un titolo, ma sembra probabile che l’autore propendesse per quello di Fermo e Lucia. L’opera manoscritta era divisa in quattro tomi. 
Prevedeva al termineun’Appendice storica su colonna infame che fu relativa alla storia documentata dei processi agli untori durante la peste del 1630. Il romanzo Fermo e Lucia non fu pubblicato.
Nel 1824 Manzoni iniziò la seconda stesura la quale corrisponde al testo dell’edizione chiamata ventisettana e fu pubblicata nel 1827 in tre volumi. In questa stesura compare il titolo Gli sposi promessi che al momento in cui il romanzo venne pubblicato, fu sostituito con il definitivo titolo I promessi sposi. Storia milanese del secolo XVII. Scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni.
Il testo della ventisettana era estremamente rielaborato per quanto riguarda la lingua, lo stile, la struttura dell’opera, gli episodi, i personaggi ma anche le parti storico-morali.
Tra il 1827 e il 1840 Manzoni rivide ancora il romanzo dal punto di vista stilistico e linguistico. A tale scopo fece nell’estate del 1827 un viaggio a Firenze per «risciacquare i panni nell’Arno» e apprendere le forme del linguaggio fiorentino parlato della borghesia contemporanea.  Allora il romanzo diventò leggibile per  un pubblico nazionale.
Nel 1840 l’autore curò l’edizione definitiva, la cosiddetta quarantana, illustrata dal Gonin. In appendice a questa nuova edizione apparve la Storia della colonna infame in forma ampliata rispetto all’Appendice storica su colonna infame della edizione ventisettana.
    


I personaggi

I personaggi e la loro caratterizzazione

I personaggi rappresentano diversi tipi e caratteri umani e costituiscono nel racconto un elemento indispensabile. Qualsiasi personaggio svolge nel racconto una sua funzione. Sono caratterizzati dal loro aspetto, cioè dai tratti fisici o esteriori; dal loro carattere o personalità, cioè dai tratti psicologici, interiori, che possono essere descritti direttamente dal narratore o posssono essere dedotti dai comportamenti del personaggio. Per esempio dalle sue azioni, dai suoi pensieri, dalle sue parole, dai rapporti che stabilisce con gli altri personaggi.
I personaggi sono caratterizzati secondo la fisignomia, lo status sociale, il livello culturale, il profilo psicologico e l’orientamento ideologico. Per quanto riguarda la fisignomia, si tratta dell’aspetto fisico, l’età, l’abbigliamento del personaggio. Lo status sociale riguarda la classe di appartenenza, il tipo di lavoro, il grado di inserimento nei rapporti con gli altri e i legami familiari. Il livello culturale riguarda il grado di istruzione e i comportamenti derivanti dall’appartenenza ad un gruppo sociale, etnico, geografico o culturale. Il profilo psicologico riguarda il carattere del personaggio, i suoi problemi, i suoi comportamenti, il suo modo di relazionarsi con gli altri. L’orientamento ideologico riguarda la concezione del mondo del personaggio, le sue idee politiche e la sua fede religiosa.

 

 

I personaggi principali    

      1. Il mondo ecclesiastico

Don Abbondio

Don Abbondio è il curato del piccolo paese di Renzo e Lucia. È un uomo vile, che esibisce la forza solo con i deboli mentre è totalmente sottomesso ai più forti. Non possiede un carattere forte, è egosita ed è anche molto pauroso. La sua decisione di farsi frate aveva un motivo semplice.
Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, corraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, prima quasi di toccar anni della discrezione, d’essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete.
Questa sua paura si può vedere fin dai primi capitoli. Incontra i bravi di don Rodrigo, i quali gli vietano di celebrare le nozze di Renzo e Lucia. Il terrore dell’ incontro culmina con la febbre e con i sotterfugi continui verso Renzo. È sempre in preda alla paura, alla diffidenza e all’incertezza.
Don Abbondio è un curato appartenente al basso clero, privo di cultura e di denaro. Non ha ideali e  prospettive, vuole solo mantenersi e sopravvivere. Questo suo  istinto di sopravvivenza  l’aiuterà a superare la peste.
Pensa solo alla sua tranquillità ed evita situazioni che sono rischiose. Non favorisce né i deboli né i potenti, ma quando è costretto a prendere una decisione, sceglie sempre i più forti. Ha un proverbio preferito, il quale ci dice molto del suo carattere e secondo cui: „A un galantuomo, il qual badi a sè, e stia ne’suoi panni, non accadon mai brutti incontri.“ Ciò significa che don Abbondio ha una natura vile e preferisce non partecipare alle azioni rischiose.

Rappresenta un’uomo inoffensivo che detesta la sopraffazione. Anche se appartiene al mondo ecclesiastico, è il più vicino alla vita quotidiana dei protagonisti. Svolge il ruolo del curato in una società che è dominata da rapporti di forza. È un personaggio pauroso e vigliacco che preferirebbe non partecipare alle vicende, è assolutamente incapace di opporre resistenza ai violenti. In questa figura c’è anche una certa comicità. Ogni volta che don Abbondio compare, ci fa ridere. Attraverso questo personaggio Manzoni poteva iniziare il discorso sulla società del tempo, il tempo delle gride e dei bravi.
Claudio Toscani definisce la figura di don Abbondio così:
Manzoni ha dedicato a don Abbondio tutte le più fini risorse della sua creatività, della sua sapienza psicologica, della sua intelligenza di regista: tanto è vero che, carico di difetti e di magagne, don Abbondio non passa mai la misura nel gusto del lettore. Suo malgrado è sempre in scena: suo malgrado è sempre accettato e perdonato, umanamente compreso e, sia pure, compatito.

Padre Cristoforo

Padre Cristoforo è un frate cappuccino del convento di Pescarenico. È un sessantenne con gli occhi vivaci, ha la tipica chierica da cappuccino e la lunga barba bianca. Il suo volto  porta i segni della sobrietà e del digiuno. Non era sempre stato frate e non si chiamava Cristoforo. Il suo nome era Lodovico. Era figlio di un mercante, il quale quando ha abbandonato gli affari, viveva da signore. Lodovico ha ricevuto una educazione signorile. Viveva a distanza degli uomini e proteggeva i deboli.
Un giorno camminava per una strada della sua città, seguito da due bravi e accompagnato da Cristoforo, suo vecchio e fedele servitore. Si è incontrato con un altro nobile prepotente, il quale detestava Lodovico. Anche lui era accompagnato da suoi bravi. Cristoforo e Lodovico hanno snudato  le spade ed è cominciato il duello. Lodovico è stato colpito e il nobile voleva ucciderlo. Cristoforo voleva proteggere il suo signore e si è scagliato contro il nobile. Ma quel nobile ha colpito Cristoforo e poi è stato ucciso da Lodovico. Essendo ferito, Lodovico è stato  portato a un convento di cappuccini. Proprio là è cominciato un mutamento interiore culminato nella conversione. Lodovico ha deciso di farsi frate.
Da quel momento si dedica solo a proteggere gli oppressi e a risolvere le controversie. Padre Cristoforo è un frate profondamente umano nel quale Lucia pone tutta la sua fiducia. Cristoforo aiuta  i due promessi sposi. È coraggioso, non esita a visitare il temibile don Rodrigo ed è frustrato dal fatto che questa visita non ha nessun effetto. Si scaglia contro don Rodrigo con la minacciosa profezia […] Verrà un girno […] ciò significa che la giustizia divina prima o poi trionferà.
Organizza la fuga di Renzo, Lucia e Agnese. Renzo, lo manda a Milano, e le due donne al convento  in una città. Manzoni non rivela il nome di questa città ma succesivamente si saprà che si tratta di Monza. Dà alle donne una lettera da consegnare al padre guardiano del convento  e un’altra a Renzo, che deve essere consegnata al padre Bonaventura da Lodi.
Poi è allontanato dalla scena per l’intervento del conte zio. È mandato a Rimini. Nei capitoli successivi non è descritto  quello che fa e neanche dove si trova. Appare improvvisamente  nel lazzaretto a Milano. Presta qui il servizio da circa tre mesi, da quando è scoppiata l’emergenza dell’epidemia ed era neccessaria la presenza dei volontari. Il suo viso è cambiato, la sua statura è diventata curva, la sua voce è fioca, ma gli occhi sono pieni di carità.
Nel lazzaretto incontra anche Renzo, l’incontro di questi due è molto affettuoso. Indica a Renzo dove si trova il reparto del lazzaretto riservato alle donne un po’ guarite e dove potrebbe essere Lucia. Renzo incontra anche don Rodrigo, il quale sta per morire. Padre Cristoforo costringe Renzo a perdonare il moribondo don Rodrigo e a riconoscere la grandezza di Dio. Prima di morire di peste scioglie il voto di Lucia e benedice le nozze dei due giovani.
Padre Cristoforo rappresenta una delle figure che attraversano la conversione. Si tratta di conversione alla giustizia e alla verità. Approda al bene dopo il rifiuto di una precedente vita di peccato. Manzoni descrive la scena in cui il novizio chiede pubblicamente il perdono in tale modo che nei lettori suscita sentimenti di ammirazione per padre Cristoforo.
È una figura affascinante e buona. Ha anche la funzione di risolvere tutta l’azione dei due promessi sposi. È il simbolo di umanità e religiosità, „la sua vita è totalmente in credito con gli uomini e con Dio. “

Gertrude

Gertrude è la monaca del monastero di Monza. Si tratta di un personaggio storico, Marianna de Leyva. Alessandro Manzoni le ha cambiato il nome  in Gertrude. Alla sua vita è dedicato un ampio ritratto. Gertrude è figlia di un principe, un nobiluomo milanese, il quale è il più ricco di tutti. Non si sa bene quanti figli abbia, ma tutti i minori sono costretti a trascorrere la vita nel monastero e tutto il patrimonio è destinato al suo figlio primogenito.
All’inizio faccio un breve riassunto della fanciullezza di Gertrude. Sin da piccola aveva i giocattoli vestiti come suore, le davano i ritratti con i santi e quando volevano lodarla, le dicevano che era come una priora. Sempre sentiva allusioni al monastero. Quando aveva sei anni, l’hanno portata al monastero di Monza. Non ha potuto opporsi perché suo padre  aveva deciso così ed era anche piccola e non capiva bene la vita nel monastero. Le suore la trattavano come se fosse una principessa, le davano i dolci e volevano ingraziarla. Ma c’erano anche ragazze che non erano predestinate alla vita nel monastero ma alla vita familiare. La piccola Gertrude si comportava con una certa superiorità, diceva a queste ragazze a capo alto che un girno sarebbe stata  la priora del monastero, ma quelle non l’invidiavano e parlavano di matrimoni, della goia, dei banchetti e dei vestiti colorati. Ad un tratto si è decisa a non diventare suora. Il padre si arrabiava ed a casa era ricattata. I genitori non parlavano con lei, erano severi e tristi, la guardavano come una persona colpevole.  Quando non poteva più reggere quel comportamento dei suoi vicini, ha scritto una lettera al padre, piena di dispiacere, dolore e speranza. Chiedeva la scusa. Il padre era felice di aver raggiunto la sua e i rapporti con la famiglia erano come prima. La povera Gertrude è stata tragicamente destinata alla vita nel monastero contro la sua volontà.

  Gertrude ha circa venticinque anni, a prima vista è bella e snella, ma questa sua bellezza è come fosse  sfiorita. Ha gli occhi neri, la faccia pallida, le labbra rosee e indossa l’abito religioso dal quale sbuca una frangia nera che significa lo sprezzo degli ordini di monastero. È una signora tenebrosa, misteriosa, sofferente e bisbetica. Il suo comportamento è autoritario. Non osserva le regole del monastero, si comporta come vuole. È una vittima frustrata che vive sotto la pressione degli altri. All’inizio sotto la pressione del padre e poi sotto la pressione di Egidio, amante perverso e crudele che la costringe a un assassinio.
Questa monaca concede asilo a Lucia dopo la fuga in seguito al fallito tentativo del matrimonio. Si incontrano nel parlatoio, la monaca sta dietro una grata. Il colloquio con Lucia inizia in modo strano perché è presente anche Agnese, madre di Lucia. La signora vuole un colloquio privato. Infine alloggia le due donne nella camera della figlia della fattoressa.
Intanto don Rodrigo chiede a Innominato di rapire Lucia. Egidio naturalmente si avvale di Gertrude, la quale è in stretto contatto con la ragazza. Gertrude fa molta resistenza al progetto di Egidio. La proposta le sembra molto spaventosa. Ma alla fine Egidio la convince con la minaccia di dire a tutti dell’omicidio commesso da lei, e la povera Gertrude non può resistere. Il giorno prefisso parla con Lucia con tanta dolcezza e con tanto sentimento. Le chiede un favore, di andare dal padre guardiano per dirgli di venire subito al monastero. Lucia ha paura ma ubbidisce. Per strada incontra una carrozza con i bravi che la rapiscono.


I dati biografici sono ricavati da Seidl, Ivan, La letteratura italiana dell’Ottocento, Brno, Masarykova univerzita, 1985.

Cesare Becaria, 1738-1794, letterato italiano, autore del celebre libro Dei delitti e delle  pene.

Una tendenza filosofica basata sull’assunto che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza.

Elemento ideologico settecentesco, posizione estrema in campo religioso delle dottrine sensiste, che riducono tutte le attività dello spirito a sensazioni fisiche.

Claude Fauriel, 1772-1844, uno storico, linguista e critico letterario francese.

Giacomo Leopardi, 1798-1837, poeta, filosofo, scrittore e filologo italiano.

Pietro Giordani, 1774-1848, scrittore italiano.

Una specie di accademia scientifico-letteraria, fondata nel 1819 da Giovan Pietro Vieusseux, ha pubblicato la rivista L’Antologia.

La locuzione storica con cui si indica uno dei maggiori episodi della storia risorgimentale italiana, la popolazione di Milano lottava contro la occupazione austriaca.

Carlo Alberto di Savoia, 1798-1849, conte di Barge, settimo principe di Carignano, re di Sardegna dal 1831 al 1849.

Vittorio Emanuelle II. di Savoia, 1820-1878, l’ultimo re di Sardegna e il primo re d’Italia.

Camillo Benso, conte di Cavour, 1810-1861,  politico italiano, protagonista del Risorgimento, capo del governo del Regno di Sardegna, primo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia.

I dati riguardanti le opere sono ricavati da FERRONI, Giulio, Storia della letteratura italiana, Milano, Einaudi scuola, 1991 e SEIDL, Ivan, La letteratura italiana dell’Ottocento, Brno, Masarykova univerzita, 1985 e MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, Introduzione e note di Vittorio Spinazzola, Garzanti, 2000.

Neoclassicismo, movimento spirituale tra il Settecento e l’Ottocento, rinnovato interesse per l’arte antica (greco-romana).

Vincenzo Monti, 1754-1828, poeta, drammaturgo e scrittore italiano dell’età neoclassica.

Ugo Foscolo, 1778-1827, poeta e scrittore italiano, uno dei principali letterati dell’età neoclassica e preromantica.

Napoleone Bonaparte, 1769-1821, politico e militare francese, imperatore dei francesi.

I gruppi formati da soldati che sono pronti lottare per il denaro e per il bottino.

Carlo Magno, 742-814, re dei Franchi e dei Longobardi e l’imperatore del Sacro Romano Impero.

Desiderio, ?-774, re dei Longobardi e il re d’Italia dal 756 al 774.

Jean-Joachim-Victor Chauvet, 1788-1834, poeta e drammaturgo francese.

Cesare Taparelli D’Azeglio, 1763-1830, marchese piemontese.

MANZONI, Alessandro, Sul Romanticismo, in Biblioteca Italiana, 2008, disponibile all’indirizzo:
http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000247/bibit000247.xml&chunk.id=d89e128&toc.depth=1&toc.id=d89e128&brand=default 

Giacinto Carena, 1778-1859, naturalista e linguista italiano.

MANZONI, Alessandro, Sulla lingua italiana, in Biblioteca Italiana, 2008, disponibile all’indirizzo: http://www.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000271/bibit000271.xml&doc.view=print&chunk.id=0&toc.depth=1&toc.id=0 

Emilio Broglio, 1814-1892, politico italiano

Giuseppe Ripamonti, 1573-1643, un storico e presbitero italiano.

Melchiorre Gioia, 1767-1829, un economista, politico e intelettuale italiano.

Colloqui col Manzoni, a cura di G. Titta Rosa, Milano 1954, p.386 in Manzoni e il Seicento lombardo, GIRARDI, Enzo, Noè, Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1977, p.11.

Walter Scott, 1771-1832, uno scrittore, poeta e romanziere scozzese.

una società segreta italiana, fondata a Napoli durante i primi anni dell’Ottocento, su valori patriotici e liberali.

La recensione al romanzo, di Goethe-Strekfuss, in P.Fossi, La Lucia del Manzoni, Firenze, 1937, p.274 in Manzoni e il Seicento lombardo, GIRARDI, Enzo, Noè, Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1977, p.13.

MORAVIA, Alberto, A.Manzoni o l’ipotesi di un realismo cattolico, in L’uomo come fine, Milano, 1964, p.306 in Manzoni e il Seicento lombardo, GIRARDI, Enzo, Noè, Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1977, p.14.

il termine teologico, che indica la sovranità di Dio, la quale dirige o influenza le venture delle persone.

Francesco Gonin, 1808-1889, un pittore italiano.

I dati sono ricavati dai materiali riguardanti le lezioni di Analýza literárního textu, Termini base della narratologia, disponibili all’indirizzo: https://is.muni.cz/auth/dok/rfmgr.pl?fakulta=1421;obdobi=4703;studium=307563;kod=IJIB505a;furl=%2Fel%2F1421%2Fpodzim2009%2FIJIB505a%2Fum%2F6831703%2F;info=

MANZONI, Alessandro,  I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.16.

Ivi, p.17.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Ugo Mursia editore, Milano, 1984-1986, p.98.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.95.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Ugo Mursia editore, Milano, 1984-1986, p.100.

Marianna de Leyva, 1578-1650, nome monacale suor Virginia, meglio nota come La monaca di Monza, è stata una religiosa italiana.

Da questo fatto è evidente che la monaca di Monza attraversa un cambiamento in peggio, il quale è causato dalla passione. Da ospite e aiutante di Lucia si trasforma in aiutante dei suoi rapitori e non prova nessuna colpa. È molto vendicativa, forse per le esperienze di vita che ha avuto sin dalla piccola. Manzoni si interessava evidentemente del problema della educazione dei giovani, allora le pagine dedicate a questa monaca potrebbero avvicinarci a questo problema del Seicento. La monaca di Monza rappresenta un’immagine totalmente opposta del mondo degli ordini religiosi. Impersona „le contraddizioni e i malefici effetti dell’intreccio tra sistema ecclesiastico e prepotenza sociale.“

Federigo Borromeo    

Il cardinale Federigo Borromeo è colui che contribuise in maniera decisiva alla conversione dell’Innominato e prepara la liberazione di Lucia. È una figura storicamente esistita, fu cardinale e arcivescovo di Milano dal 1595. Nel primo capitolo che si occupa di Federigo Borromeo è descritta la vita del cardinale. Egli appartiene a quelli che sono amati da tutti. Una persona preziosa e simpatica, pronta sempre a fare del bene. Sin dalla giovinezza pensa a come rendere la sua vita fruttuosa e sacra, e allora si decide a fare il reverendo. La sua tavola è povera e il suo abito scalzo, la maniera del vivere e il suo comportamento sono simili a quell’abito e a quella tavola. All’inizio rifuita l’offerta di fare un arcivescovo milanese. Teme di assumere un incarico così alto perché pensa che non sia degno di fare il gerarca.
Manda cibo ai poveri. Ha fondato la Biblioteca ambrosiana nella quale è riuscito a raccogliere circa trentamila volumi stampati e quattordicimila manoscritti. Alla biblioteca ha unito un collegio di dottori e ogni dottore deve scrivere un lavoro divulgativo riguardante la materia che studia.
Adesso tornerei all’incontro del cardinale con L’Innominato che ha deciso  di andare a fare visita al cardinale Borromeo. Un cappellano annuncia la strana visita e il cardinale la riceve a braccia aperte e con tanta cordialità come se fosse una persona desiderata. L’Innominato si sente agitato e confuso, si vergogna di andare a chiedere perdono. Ma il viso del cardinale lo tranquillizza. La figura del cardinale è simmetrica, snella e flessibile. Gli occhi allegri e severi, la fronte serena e sapiente, la testa brizzolata, la faccia pallida e dimagrita dal lavoro e dalle preghiere. Anche se è già vecchio e stanco, si presenta bene. Il cardinale è felice che L’Innominato venga per chiedere perdono e fa un lungo discorso nel quale spiega all’Innominato che Dio è qui anche per i violatori e che gli perdona tutti i peccati. Durante questo discorso abbraccia L’Innominato e lui fa scendere le sue lacrime ardenti e si sente come un redivivo.
Dopo questa commozione L’Innominato manifesta l’intenzione di liberare Lucia il più presto possibile. Il cardinale dà un ordine di mandare una persona per Agnese, la madre di Lucia. Dà un ordine anche a don Abbondio. Quello deve trovare qualche donna affidabile con la quale don Abbondio possa partire verso al castello di Innominato per liberare Lucia. Come ho già menzionato in uno dei capitoli precedenti, questa donna è la moglie del sarto.
Lucia è accolta nella sua casa e questa casa visita anche il cardinale Federigo. Ascolta con attenzione tutta la vicenda di Lucia e del matrimonio a sorpresa. Poi ringrazia al sarto e decide di fargli una compensazione, paga tutti i debiti che i poveri avevano con lui.
Visita anche il paese di Lucia e tutta la gente festeggia questo arrivo. Terminata la cerimonia in chiesa, il cardinale ordina che si mandi una lettiga a prendere Agnese e Lucia perché possano almeno rivedere il loro paese. Don Abbondio viene chiamato dal cardinale il quale gli chiede una spiegazione perché ha rifiutato di sposare Renzo e Lucia. Gli rimprovera il fatto che non aveva protetto i due promessi sposi.
Durante la carestia a Milano aiuta tutti, manda i soldi e il grano ai poveri, ogni giorno offre zuppa a due mila persone. Aiuta come può e non vuole abbandonare la popolazione colpita dalla forte crisi. La peste si diffonde rapidamente e i decurioni si rivolgono al nostro cardinale affinché si faccia una processione con il corpo di San Carlo.
Credono che questa processione possa fare cessare la pestilenza. Il cardinale dapprima rifiuta questa idea ma col tempo si lascia convincere dai decurioni. Dopo la processione la pestilenza si diffonde enormamente. Molti frati muoiono di peste. Il cardinale non si è appestato e aiuta ai malati nel lazzaretto.
Federigo Borromeo è senza dubbio un esempio di grande dottrina, cordialità, umanità e generosità. Rapresenta l’alta gerarchia ecclesiastica e la presenza del bene nella struttura più alta della società. Ha la funzione esenziale nella conversione dell’Innominato. Con questo personaggio Manzoni forse voleva dire che anche nelle strutture più alte della società esistevano uomini buoni e giusti che non abusavano della loro posizione e potere. Cardinale Federigo Borromeo impersona nel modo migliore il bene e la fede religiosa. Dovrebbe essere uno dei personaggi più amati e ammirati da tutti i lettori.

 

      1. Il mondo dei popolani

Renzo Tramaglino

Renzo Tramaglino è il promesso sposo di Lucia Mondella. È un giovane onesto e serio, religioso ma impulsivo, rimasto orfano quando era piccolo. Ha circa venti anni e lavora come filatore di seta. Crede in Dio e nella provvidenza divina.
Sin dall’inizio del romanzo è visibile la sua natura spontanea, impulsiva ed energica. Quando scopre che non può sposare Lucia, va subito a casa di don Abbondio, chiude a chiave la porta, intasca la chiave e con violenza costringe il curato a dire la verità. Poi chiede scusa perchè si rende conto che ha commesso un errore.
L’amore verso Lucia l’aiuta a combattere il suo furore. Dopo aver scoperto che nell’improvviso ritardo del matrimonio c’è di mezzo Don Rodrigo, affiorano tutte le sue intenzioni vendicative. Ma basterà pensare all’amata Lucia per ritrovare una positiva e pacifica tranquillità.
Non ha molte esperienze, perché non si è mai allontanato dal suo paese. Durante i tumulti di Milano critica la giustizia. Nella folla c’è un perlustratore che ascolta il discorso. Renzo va all’osteria, si ubriaca e fa di nuovo degli appelli alla giustizia. Nell’osteria c’è anche quel perlustratore, il quale mette Renzo a letto e va a denunciarlo. Renzo viene arrestato ma riesce a fuggire.  
Renzo ha un gran cuore ed è anche caritatevole. Possiamo osservarlo in un viaggio da Milano verso Bergamo durante la fuga. Renzo dona i suoi ultimi soldi ad una povera famiglia di contadini. E poi anche a Milano, durante l’epidemia di peste quando si priva dei suoi ultimi pani per sfamare una donna e alcuni bambini che sono stati rinchiusi in un’abitazione.
Subisce un certo processo di maturazione a causa delle continue avventure alle quali va incontro. Realizza il suo progetto finale con l’acquisto di un filatoio nei pressi di Bergamo con suo cugino Bortolo. Sa trovare sempre una via giusta, anche tra errori e incidenti.

 

Il romanzo finisce con un riassunto delle cose che ha imparato durante le sue avventure:
Ho imparato a non mettermi nei tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardar con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che ne possa nascere.
Renzo è per Alessandro Manzoni simbolo di ideali morali e sociali, una figura vera e propria del Seicento. È l’immagine dell’onesto lavoratore, dell’uomo che crede in Dio. La sua fede è semplice e sincera. Potrebbe essere un esempio di uomo del popolo che impara sbagliando, che matura mediante le esperienze.

Lucia Mondella

Lucia Mondella è la giovane promessa sposa di Renzo Tramaglino. È una contadina garbata, timida, religiosa e costumatissima. Vive sola con la madre perché il padre è già morto. Crede assolutamente in Dio e nella provvidenza divina. Il pudore potrebbe essere il tratto distintivo di Lucia, la quale è sempre colta da grandi imbarazzi di fronte a qualunque cenno di malizia. È una ragazza casta e innocente, ha una straordinaria forza morale e sa superare le terribili difficoltà e inguistizie.
La vicenda di Lucia comincia nel momento in cui esce dalla sua casa, tutta preparata per il matrimonio:
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere: e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottole dirizzatutura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’raggi d’un’aureola, coma ancora usano le contadine nel Milanese.
Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a foiri, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch’esse a ricami.
Intanto arriva Renzo, molto arrabbiato perché don Rodrigo si permette di vietare a don Abbondio di celebrare le nozze dei giovani. Lucia spiega a lui e anche ad Agnese il segreto che ha affidato solo al suo confidente, padre Cristoforo. Proprio qui e con questo veto di matrimonio comincia tutta la storia di Lucia, piena di difficoltà.
Lucia è una ragazza anticonformista, non vuole fare le cose che secondo lei non sono giuste, ma qualche volta cede alle pressioni degli altri, come, per esempio, nel caso del matrimonio a sorpresa. Lucia non vuole partecipare a questo matrimonio perché una cosa del genere è incontrasto con i suoi propri principi. Ma dopo la pressione di Renzo e della madre Agnese acconsente.  
Tutta la sua esperienza si svolge in luoghi interni, dal monastero di Gertrude al castello dell’Innominato. Dalla casa del sarto alla casa di don Ferrante e donna Prassede e, infine, al lazzaretto. In questi posti emerge la vita interna di Lucia. Siccome è rinchiusa, ha tanto tempo per riflettere ed ha paura di quel che accade nella realtà esterna.
Ama Renzo con tutto il cuore ma quando si sente disperata come mai prima in vita sua, pronuncia il voto di castità. Si trova nel castello dell’Innominato, spaventata e con una voglia di libertà Dunque è pronta a sacrificare l’amore di Renzo. Col passare del tempo, quando si trova nel lazzaretto, incontra Renzo. Non vuole vederlo e neanche sposarlo e lo manda via perché ha dato il voto alla Madonna. Ma Renzo non bada a questa situazione e corre a chiamare padre Cristoforo, il quale scioglie questo voto.
Lucia è anche coraggiosa. Nel momento in cui L’Innominato va a farle visita, è spaventata dalla presenza dell’uomo ma dà segno della sua forza d’animo e della sua risolutezza e lo affronta con corraggio mostrandosi francamente pronta alla morte.     
Dopo tutti gli avvenimenti più brutti, i due promessi sposi celebrano le nozze e finalmente può cominciare la loro vita felice senza difficoltà.
Lucia rappresenta la forza positiva dell’operosità a della religiosità popolare. È un ideale di donna cristiana, sembra quasi come una santa, come una donna unica, moralmente insuperabile. Come ha scritto Giulio Ferroni: „essa è quasi una negazione di tutte le figure femminili della tradizione letteraria italiana e una esaltazione, privata di ogni elemento passionale o erotico, del ruolo ideale e insieme subalterno attribuito alla donna nella società dell’Ottocento.“

      1. Il mondo dei potenti

Don Rodrigo 

Don Rodrigo è un signore malvagio che impedisce il matrimonio di Renzo e Lucia. Un nobiluomo giovane, acuto e pretensioso. È un tiranno che in realtà non ha una grande forza, ma verifica il proprio piccolo potere perseguitando gli uomini socialmente più deboli come Lucia. Vive in una residenza che sembra un fortilizio posto su un’altura.
È circondato dai bravi, servitori pronti ad ogni azione. Il suo vizio sfrenato per Lucia mette in moto tutta la vicenda del romanzo. Inizia con una scommessa con suo cugino Attilio. Ordina a don Abbondio attraverso i suoi bravi di non fare le nozze. Non si ferma davanti a nessun ostacolo. Un giorno viene a trovarlo padre Critoforo che cerca di annullare quella brutta scommessa ma don Rodrigo non vuole sentire niente. Padre Cristoforo comincia con la sua predica e assicura il tiranno che la giustizia divina prima o poi trionferà. Don Rodrigo si annoia e accompagna questo cappuccino alla porta in modo assolutamente sprezzante. La mattina seguente don Rodrigo chiama Griso, capo dei suoi bravi, e gli ordina di organizzare il rapimento di Lucia. Ma questo tentativo fallisce.
Don Rodrigo inizialmente reagisce in modo stizzito ma poco dopo manifesta la sua comprensione per i bravi, perché si accorge, che qualcuno doveva aver fatto la spia. Il giorno successivo informa Attilio del rapimento fallito. Nel frattempo nel paese si fa un grande chiacchierare e don Rodrigo riceve alcune informazioni sul tentativo di matrimonio clandestino. Riceve anche l’informazione della fuga di Renzo, Lucia ed Agnese. Questo fatto provoca l’ira di don Rodrigo, e quando saprà che Lucia ed Agnese sono a Monza, ordinerà a Griso di andare a rapirla di nuovo.
È pieno di dubbi perché trova pericoloso rivolgersi alla monaca di Monza. Ma dopo l’arrivo di una lettera del conte Attilio che dà notizie rassicuranti, Rodrigo si fa potente di nuovo.
Don Rodrigo, con l’aiuto dell’Innominato e il suo bravo Egidio, fa rapire Lucia. Come ho già menzionato, proprio qui comincia la conversione dell’Innominato. Per quanto riguarda Rodrigo, non si può vedere neanche un piccolo cenno di compassione, è sempre una figura superba la quale ama fare del male ed essere violenta. È arrabiato per come le cose siano andate a finire.
Quando a Milano scatta l’epidemia di peste, è contagiato anche don Rodrigo e alla fine muore, tradito dal suo bravo fedele, il quale lo deruberà e fuggirà.
Don Rodrigo impersona il signore potente e nobile. Potrebbe essere il simbolo della degenerazione della classe dirigente nella Lombardia seicentesca. Rappresenta la prepotenza, la malvagità, un uomo per il quale non è  importante l’intelletto e la moralità. Come scrive Claudio Toscani „Don Rodrigo è, nei Promessi, l’incarnazione del male più vicina all’impossibilità della salvezza[…]“      

L’Innominato

L’Innominato è un tiranno assoluto e spregiudicato al quale si rivolge don Rodrigo per organizzare il rapimento di Lucia. È un uomo grande e calvo, con pochi capelli bianchi, la faccia rugosa e gli occhi vivi.
È un personaggio misterioso e temuto. L’Innominato ha come obiettivo principale „fare ciò che è vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui, senz’altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto da tutti […]“ Ha fatto molti delitti per conto suo o per conto degli altri ed è stato costretto ad abbandonare lo stato. Ma anche durante l’esilio fa gli atti tremendi.
Rientrato in patria, ha preso dimora in un castello della campagna bergamasca. Tutti i tiranni di quella zona dovevano scegliere se essere amici o nemici dell’Innominato. Anche don Rodrigo doveva scegliere e per lui non era una scelta difficile.
Il castello dell’Innominato è accessibile solo attraverso una strada tortuosa, nella quale si trova una taverna chiamata Malanotte. Un giorno don Rodrigo arriva a chiedere all’Innominato di rapire Lucia. Il tiranno acconsente ma quando Rodrigo se ne va, comincia a provare una specie di rimorso per le sue scelleratezze.
Da un certo tempo non gli piace fare le cattiverie e non si diverte. Rapita la ragazza, l’Innominato attende con inquietudine l’arrivo della carrozza. Ma invece di spedire Lucia al palazzo di don Rodrigo, la alloggia nel suo castello. Come ho già menzionato nel capitolo dedicato al cardinale Federigo Borromeo, l’Innominato va a chiedere perdono e proprio in quel momento comincia la sua trasformazione. Non descriverò più la sua commozione perchè quella è evidente già nel capitolo su Federigo Borromeo.
L’Innominato cambia improvvisamente posizione. La sua compassione per Lucia e la conversione lo trasformano in un uomo buono e aiutante delle persone che fanno del bene. La vita dell’Innominato cambia dopo la conversione. Diventa un uomo generoso e devoto, pronto ad aiutare gli altri. Apre le porte del suo castello ai fuggiaschi di paesi vicini già invasi. Fa delle preparazioni per poter ospitare un gran numero di persone. Accoglie con gentilezza anche don Abbondio, Perpetua ed Agnese. Offre a tutti i suoi ospiti pane,  minestra e vino.
L’Innominato potrebbe essere un bell’esempio di una trasformazione totale. All’inizio rappresenta il tiranno assoluto e temuto da tutti, alla fine l’uomo buono e generoso. Con questo personaggio Manzoni voleva dire che ognuno possa cambiare, basta solo la volontà di cambiarsi.  Non è mai tardi per chiedere il perdono e per far entrare Dio nella propria vita.

 

 

I personaggi minori

      1. Il mondo dei popolani

Perpetua

Perpetua è la serva di don Abbondio. Come ciascun’altra serva è molto laboriosa, energica ed acuta. Il suo viso non è descritto. Ha circa quaranta anni ed è nubile. Lei dice che ha rifiutato tutti gli uomini che volevano sposarla, ma le sue amiche dicono che non si trovava tale uomo che la volesse. Perpetua è una serva fedele che protegge il suo padrone e si interessa sempre delle cose di lui. Quando il padrone ha paura, lo sa risollevare. Sembra che Don Abbondio non potrebbe esistere senza questa serva. Usa il buon senso ed è sempre pronta a dare un consiglio. È buona, onesta e umile. Sa ubbidire ma anche comandare. È tollerante, tollera il brontolamento continuo di don Abbondio. Per la sua ironia svolge un ruolo comico, prende spesso in giro il suo superiore.
Non vuole far dispiacere a nessuno ma qualche volta lo fa perché ama i pettegolezzi delle donne. Questo suo vizio è evidente nel capitolo II. Con l’aiuto della sua astuzia riesce a sapere il nome del violatore il quale vuole interrompere le nozze di Renzo e Lucia. Quando arriva Renzo per domandare chi è questo violatore, Perpetua all’inizio dice che non sa niente  ma dopo la insistenza di Renzo non sa mantenere il segreto e dice che questo mondo è pieno di prepotenti, birboni e di uomini senza timor di Dio. Allora Renzo capisce che si tratta di un signore potente e corre a domandare a Don Abbondio. Quello pensa che Perpetua abbia sbardellato tutto. La nostra buona serva scompare durante la peste senza traccia.
Perpetua rappresenta una donna del popolo con un carattere di serva-padrona. Questo personaggio è strettamente connesso con la figura di don Abbondio. Ogni curato aveva la sua serva, allora anche don Abbondio doveva averla. Il nome Perpetua deriva dal latino e significa qualche cosa immutabile, eterna, è legata con la fede. Dai tempi manzoniani si usa il  sostantivo perpetua che signicava la domestica di un curato. Questo significato si è  diffuso e ancora oggi è usato comunemente.

Agnese Mondella

Agnese Mondella è la madre di Lucia. Una popolana onesta e furba, piena di buon senso, impulsiva, pronta a proporre sempre le soluzioni pratiche per superare le difficoltà. È una vedova e deve educare la figlia da sola. Crede in Dio e nella provvidenza divina. Agnese è una persona semplice e buona che sacrificherebbe tutto per la sua figlia unica. Ha molte esperienze di vita, è molto sicura di sé e crede che con queste esperienze possa aiutare a tutti. 
Quando verifica che a don Abbondio è stato ordinato di non celebrare le nozze, suggerisce a Renzo di recarsi a Lecco dal dottor Azzecagarbugli. Ma come già sappiamo, questa missione è inutile, perché l’avvocato protegge i potenti. Dopo questa missione inutile cerca di risolvere il problema con don Abbondio. È una iniziatrice del matrimonio a sorpresa. Crea un disegno per illudere don Abbondio. Bisogna cercare i due testimoni, andare a sorprenderlo e nella sua presenza pronunciare la promessa di matrimonio.
Nel giorno prefisso, Renzo, Lucia, Agnese e i due testimoni, Tonio e Gervaso, vanno a casa di don Abbondio. Tonio e Gervaso vanno a restituire venticinque lire al frate e possono entrare subito. Agnese con la sua furbizia e con i petteggolezzi delle donne dilaziona Perpetua e così possono entrare anche i due promessi sposi. Ma questo tentativo fallisce perchè don Abbondio, spaventato, getta sul capo di Lucia il tappeto del tavolo e la povera non recita in tempo la formula. Mentre don Abbondio grida aiuto, il sagrestano Ambroglio fa suonare le campane, in segno di allarme. Nella casa di Lucia e Agnese ci sono i bravi e cercano le due donne.
Lucia, Agnese e Renzo sono costretti a fuggire dal loro paese. Secondo i piani di padre Cristoforo, Renzo si dirige a Milano e la madre con la figlia sono trasferite al convento dei cappuccini a Monza. La monaca scalza Lucia, la quale sta zitta e arrosisce. Agnese immediatamente comincia a raccontare alla monaca degli avvenimenti accaduti e protegge sua figlia.  In quel momento si presenta evidente quanto importante è Agnese per Lucia.
Un giorno Agnese decide di tornare al paese. Fa una sosta dal padre Critoforo ma fra Galdino le risponde che il padre è stato mandato a Rimini. Agnese accoglie male questa notizia, si sente desolata e sconcertata.
Svolge un ruolo molto importante quando scrive a Renzo una lettera sul voto fatto da Lucia. Durante la carestia non ci sono notizie di Agnese. Ha trovato alcuni parenti a Pasturo e rimane qui fino a quando la situazione non migliorerà.
Ma il pericolo della peste non è ancora al termine e Agnese con Renzo rientrano al loro paese per aspettare Lucia. I due promessi sposi possono finalmente celebrare le nozze e la madre è molto felice.
Agnese Mondella rappresenta nel romanzo il mondo dei popolani poveri. È il modello di madre premurosa, di onesta e furba paesana, simbolo della vita contadina, semplicità e praticità.

Tonio e Bortolo Castagneri

     Tonio è un contadino, amico di Renzo. Vive con sua moglie, tre figli, madre e fratello in una casa povera. Con il fratello Gervaso svolge il ruolo di testimone nel tentativo di matrimonio a sorpresa. Renzo lo invita in taverna per un pranzo e gli chiede un aiuto. Tonio e suo fratello saranno i testimoni e Renzo in cambio pagherà un debito di venticinque lire a don Abbondio. Tonio accetta la proposta subito. È un uomo semplice ma intelligente, buono, sempre pronto ad aiutare i suoi amici. Nella notte prefissa va con suo fratello a casa di don Abbondio per restituirgli le venticinque lire. E sono appunto queste venticinque lire a far aprire la porta di casa e facilitare l’entrata dei due promessi sposi. L’ultimo riferimento a Tonio si può trovare nel capitolo trentatreesimo. Renzo ritorna al suo paese e incontra Tonio. Non vuole credere ai suoi occhi perchè Tonio non lo riconosce. La peste lo ha reso stupido, finisce con il ripetere sempre le stesse parole.
Bortolo Castagneri è il cugino di Renzo, molto generoso, cordiale e disponibile. Lavora in un filatoio bergamasco, è un emigrato che ha trovato la fortuna nella città straniera. Ricorda spesso la sua città natale, sente la nostalgia dei tempi passati quando era ancora ragazzo. Tiene in memoria tutte le esperienze e gli avvenimenti trascorsi con suo cugino. Accoglie Renzo quando cerca rifugio nella Repubblica Veneta. Non esita a prestargli i soldi. Ne ha abbastanza ed è felice di poter aiutare il suo parente. Gli procura il lavoro, lo conforta e gli dà sempre buoni consigli. È caritatevole, ascolta con attenzione tutta la vicenda di Renzo ed esprime tutto il suo dispiacere per la situazione emergente. Durante la peste non è appestato. Renzo è appestato ma riesce di guarire e va a trovare Lucia. Prima di uscire Bortolo promette di ritornare con tutta la sua famiglia. Alla fine della storia, quando Renzo ha sposato Lucia, comprerà con il cugino un filatoio nei pressi di Bergamo.

Tonio e Bortolo fanno parte dei poveri contadini. Il Manzoni elevava soprattutto la modesta figura di Tonio e la operosità di Bortolo. Tonio ha un carattere estroverso e estroso, è descritta la miseria nella quale vive. Ma anche questo ragazzo ha un certo senso di giustizia e non esita ad accettare il ruolo di un aiutante di Renzo. Lo scrittore voleva comunicare ai lettori che tutti i poveri sorreggevano a vicenda e si aiutavano quando era necessario.

      1. Il mondo ecclesiastico

Fra Galdino

Fra Galdino è un frate dell’ordine dei cappuccini incaricato della raccolta di elemosine. Un cappuccino laico e raccoglitore che viene a casa di Agnese e Lucia per prendere noci come un’elemosina. È un po’ furbo perché gli fa vedere quanto pochi ne ha nel suo sacco. Gli racconta del miracolo delle noci e Lucia colma il suo sacco. Fra Galdino comincia a ringraziare e loda tutte e due le donne che sono così generose. Lucia gli chiede un aiuto, di comunicare al padre Cristoforo che si rechi a casa loro perché le povere donne non possono andare in chiesa. Fra Galdino promette di comunicarglielo e va via.
È un uomo con molta autorità fra gli uomini e anche fra i cappuccini. Aiuta  quelli che hanno bisogno di aiuto ma si spassa ad esser servito dai potenti. Ovunque arrivi è umile e degno. In quei tempi i cappuccini erano adorati e anche sprezzati. Tranne elemosine non avevano niente e il loro abito era molto strano. Fra Galdino si affaccia anche nel capitolo successivo quando Agnese va a Pescarenico per trovare padre Cristoforo. Ma quel padre è inviato del padre provinciale a Rimini. Agnese è infelice e sconvolta. Fra Galdino la consola e dice che Agnese deve essere paziente.
Questo cappuccino laico è senza dubbi una figura degna e le pagine che trattano del miracolo sono molto toccanti per„l’ingenua grandezza d’animo, per l’umile sapienza con laquale conforta gli umili come lui.“ La storia sembra fittizia e non è certo originale, è solo uno strumento di Alessandro Manzoni per caratterizare il personaggio di fra Galdino. 

      1. Il mondo degli intellettuali

Dottor Azzeccagarbugli

Dottor Azzeccagarbugli è un avvocato addottrinato e astuto al quale si rivolge Renzo quando crede di poter risolvere il problema con don Rodrigo mediante un’azione legale. Azzeccagarbugli non è il suo vero nome ma solo il soprannome. Secondo Agnese il dottore è descritto come „[…] quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia.” Il dottore si presenta in veste da camera, una toga lisa che uttilizzava quando frequentava il tribunale di Milano. Da questo si conosce subito che il dottore non bada molto alla sua apparenza.
Nel libro è descritto anche il suo studio, pieno di libri vecchi e documenti, tutti coperti di polvere, ciò significa che è disordinato. Renzo gli dice qual è il suo problema ma il dottore non ha capito bene le sue parole  e pensa di avere davanti a sé un bravo che ha bisogno di protezione. Renzo se ne accorge subito e spiega che proprio lui è la vittima e tra le parole menziona il nome di don Rodrigo.
L’atteggiamento del dottor Azzeccagarbugli cambia immediatamente e Renzo capisce che questo dottore invece di garantire la giustizia preferisce difendere gli interessi dei potenti. Nei capitoli successivi emergerà che il dottore è un caro amico di don Rodrigo e che sono complici. Dottor Azzeccagarbugli si gode pranzi lauti con servilità, lusinga don Rodrigo e acconsente a tutto quello che lui idea. È una figura comica, ambigua e servile che ha il ruolo di imbroglione, di manipolatore dei codici. Cambia spesso idea per proteggere gli uomini potenti e per stare bene. Muore durante la peste.
Con il dottor Azzeccagarbugli Manzoni voleva esprimere la posizione della giustizia nel Seicento, la quale era molto disordinata, inefficiente e anche piena di corruzione. Si tratta di un tipico uomo di legge di quel secolo. Possiamo immaginare bene come funzionava la giustizia. I potenti avevano amici fra gli avvocati, così non dovevano regolarsi secondo la legge. Si può capire subito dal nome Azzeccagarbugli che questo ha un significato spregiativo.

Secondo il dizionario Garzanti il sostantivo azzeccagarbugli significa: „avvocato da strapazzo e disonesto, persona intrigante.“ Questo nome diventa molto popolare e si usa dai tempi manzoniani. 

  1.  

Donna Prassede e don Ferrante

Donna Prassede è la moglie di don Ferrante. È una vecchia nobildonna di Milano, autoritaria e soverchiatrice.  Vuole far bene ma molto spesso si propone per bene ciò che non lo è. Ha poche idee molto strane ma le ama. Le accade molto spesso di non vedere nel fatto quello che è nel reale. Ha sentito che il cardinale aveva trovato a Lucia un nascondiglio. Allora donna Prassede è curiosa di vedere Lucia e manda un suo vecchio amico a prendere Lucia e Agnese. Riceve gli ospiti con ostentazione e con parole compiacenti, e Lucia e Agnese la prendono subito a benvolere. Donna Prassede vorrebbe costringere Lucia a dimenticare Renzo. Fortunatamente non ci riesce. Tanto più dice di Renzo che è poveraccio, barabba e violatore, tanto più Lucia lo ama e non può levarselo dalla mente. L’ossessa donna Prassede la tormenta con consigli strani e tonti.
La storia di questa nobildonna finisce con la morte. Alessandro Manzoni con indifferenza scrisse: „Di donna Prassede, quando si dice ch’era morta, è detto tutto.“
Don Ferrante è il marito di donna Prassede. È un uomo gentile e molto erudito al quale non piace né comandare né ubbidire. Subisce le iniziative della moglie. Possiede una vasta biblioteca nella quale ama studiare e riflettere a lungo. Comprende molte discipline, per esempio l’astrologia, la filosofia, le scienze naturali, la magia, la storia e la politica, nelle quali è un vero specialista.  Sa rispondere a tutte le domande. Crede in se stesso e non ammette dubbi. Quando il paese è attaccato dalla peste, lui ne è l’avversario. Non combatte con gli atti ma con il suo cervello. Con l’aiuto della filosofia vuole dimostrare che la pestilenza non ha natura biologica e che non esiste.

 

All’inizio gli uomini ascoltano le sue predicazioni ma poi don Ferrante vuole comprovare che i dottori non hanno riconosciuto bene la causa dell’origine della pestilenza e gli uomini diventano suoi nemici. Ma lui è stato sempre felice ed interpreta la sua dottrina con mancanza di un sistema. Esplora e predica e non si protegge dalla pestilenza. Prende il contagio e alla fine muore.
Questa coppia aristocratica impersona il formalismo culturale del Seicento. Don Ferrante rappresenta l’intellettuale della capitale. È subordinato nella famiglia all’autorità e all’iniziativa della moglie. Viene rappresentato come il segretario di donna Prassede. Tutta l’iniziativa e i concetti sono dalla parte di lei mentre al dotto marito è riservata la scrittura e la forma. Donna  Prassede dirige la famiglia, prende tutte le decisioni. Suo marito è come un servitore di lei, è inesperto della vita, il suo unico mondo è quello dei libri. Il Manzoni voleva darci un quadro ironico e burlesco della cultura del diciassettesimo secolo.

Il sarto

Il sarto del villaggio è il marito della buona donna la quale arriva con Don Abbondio al castello dell’Innominato. A casa sua Lucia trascorre qualche tempo e finalmente riposa dopo l’avventura terribile. È un uomo assolutamente generoso, umano e gentile. Pronto ad aprire la propria casa ed offrire agli ospiti un po’ di cibo anche se la sua famiglia non ne ha molto. Ha letto più volte alcuni libri, allora sembra agli altri cittadini un uomo erudito e talentoso. Lui invece rifiuta la lode umana, è modesto. Per questo sarto è una gioia poter ospitare Lucia. Ha  buon cuore, è sincero e caritatevole. Invia alla vedova Maria e ai suoi figli un dono modesto, un po’ di tutto quello che pranzano appunto e anche una bottiglia di vino. Il cardinale Federigo Borromeo visita personalmente la casa del sarto. Il sarto è attonito, per lui è un vero onore. Quando il cardinale ringrazia, il sarto non sa cosa rispondere. Vuole fare  bella figura e far sapere che è un uomo intelligente e colto, ma non gli viene in mente nessun’idea e risponde „si figuri!“
Il cardinale come il ringraziamento pagherà i debiti per tutti quelli che non hanno potuto pagare  al sarto i servizi. Nel ventinovesimo capitolo visitano la casa del sarto anche Agnese, Perpetua e Don Abbondio. Sono in fuga perchè  il loro paese non è più sicuro.
Durante la fuga vogliono riposarsi perché vanno a piedi e sono già stanchi, allora visitano il paese del sarto. Colui è di nuovo felice di poter ospitare questi buoni uomini. Parlano delle novità, della conversione dell’Innominato e alla fine il sarto gli regala il suo barroccio perché possano viaggiare tranquillamente. Qui l’episodio del sarto finisce.
Il sarto svolge il ruolo dell’intellettuale del villaggio, perché sa leggere e scrivere, ma la sua figura è vista attraverso l’ironia. Si crede un intellettuale e non pensa ad altro che ai libri, ma il suo cosiddetto intelletto fallisce sempre nei momenti decisivi, come ad esempio nell’incontro con il cardinale. Gli manca la vera cultura del popolo, è sempre circondato dai libri, delle leggende e delle fiabe. Dalla sua figura risulta che per essere intellettuale non basta solo leggere ma occorrono anche le esperienze di vita e di cultura.

      1.   Il mondo dei potenti

Conte Attilio e conte zio

Conte Attilio è il cugino di don Rodrigo. Molto prepotente, spietato e malizioso. Con il suo cugino si avvicina a Lucia e cerca di fermarla mediante un discorso spiacevole. Rodrigo scommette con Attilio che questa ragazza sarà sua. I due cugini organizzano molto spesso banchetti dove invitano signori nobili e conversano di politica e di temi cavallereschi. Ad un banchetto viene anche padre Cristoforo. Vuole mettere in ordine le cose riguardanti le nozze di Renzo e Lucia ma non ci riuscirà. Attilio si diverte a prendere in giro Rodrigo. È pretenzioso e ha il sopravvento sul suo cugino. A causa di provocazioni continue Rodrigo diventa più crudele e spietato, si decide a rapire Lucia e portare a termine questa brutta scommessa. Il conte Attilio è colui che, attraverso il conte zio, fa allontanare padre Cristoforo da Pescarenico. Il suo modo di presentare la vicenda di padre Cristoforo e don Rodrigo è artificioso, pieno di strategia e menzogna. Alla fine del romanzo Attilio muore di peste ed il suo cugino pronuncia un discorso funebre.
Conte zio è lo zio di don Rodrigo e anche di conte Attilio. È un uomo politico, membro del Consiglio segreto del governatore. Ama essere adulato da tutti e simula più potere di quello che ha realmente.
Si occupa sempre dei suoi nipoti e cerca di raddrizzare tutte le stupidaggini che questi due commettono, specialmente don Rodrigo. Non importa se si tratta di fatti o atti brutti, lo zio mette tutto in ordine perché vuole proteggere i suoi nipoti.
Un giorno  conte Attilio va a trovare lo zio. Lo prega di risolvere la situazione tra don Rodrigo e padre Cristoforo. Gli racconta la storia e nella faccia del conte zio si può subito vedere che sa cosa fare e c’è anche un lampo di malignità.
Organizza un banchetto al quale invita i suoi parenti, sicuri di sé stessi, orgogliosi e sdegnosi, e anche il padre provinciale, suo vecchio amico. Attraverso il padre provinciale riesce a ottenere il trasferimento di padre Cristoforo. Con la sua arte oratoria raggiunge a convincere il padre provinciale, e il padre Cristoforo è trasferito e deve andare a piedi da Pescarenico a Rimini. Il conte zio è un vera autorità ma sa essere anche generoso e dota i cappuccini molto frequente.
Con il conte Attilio e il conte zio ci troviamo nel mondo dei potenti, ma potenti di una categoria speciale, tra i potenti che sono inutili per il mondo. Di tutti e due i conti è tipico il loro sterminato vantarsi di appartenere all’aristocrazia. L’orgoglio e la sporca politica li fanno appartenere fra gli uomini inutili nel mondo. Riescono ad esere sempre presenti dove si decide o si pensa di fare qualcosa malvagio. Abusano del loro potere per far male ma sono così astuti che mantengano anche i buoni rapporti con i cappuccini. L’autore voleva dire con queste due figure che i potenti abusavano molto spesso del loro potere e che il mondo seicentesco era pieno di persone simili.  

      1. Gli aiutanti dei potenti 

Griso e Nibbio

Griso è il capo dei bravi di don Rodrigo. Una figura mal avvezzata e senza coscienza. Dopo aver ucciso un uomo in piazza durante il giorno, è andato da don Rodrigo per chiedere la protezione. Da quel tempo è diventato il suo braccio destro ed il fedelissimo servitore. Con ubbidienza riceve e esegue gli ordini del suo superiore. Pratica le imprese più rischiose e violente. Ha una natura brutta, non esiste un compito il quale non assolva. Progetta il piano del rapimento di Lucia. Il primo tentativo del rapimento fallisce, con gli altri bravi devono scappare via perchè nel villagio suonano le campane.
Griso attraverso don Rodrigo chiede un aiuto ad Innominato. Questo tiranno organizza il rapimento di nuovo.
„Il fondo del suo animo, oltre che abietto nel senso delle imprese pratiche e praticate, è vile e spregevole anche per quanto riguarda i sentimenti comuni dell’amicizia, della fedeltà.“ Alla fine, quando don Rodrigo scorgerà su di sé i primi segni della malattia, lo tradirà. Chiamerà i monatti che lo portino lontano dagli altri malati, poi lo deruberà e fuggirà. Non resterà impunito. Per aver toccato gli oggetti di don Rodrigo e i suoi vestiti, morirà  anche lui di peste dopo pochi giorni. 
Nibbio è il bravo più fedele dell’Innominato, sempre preparato ad aiutarlo a compiere i delitti disumani. È un uomo abile, accorto e coraggioso. Con Egidio, amante di Gertrude, svolge un ruolo chiave nel rapimento di Lucia. Esegue il rapimento ma si commuove quando sente il pianto disperato di Lucia. La sua personalità non è così spietata di quanto si supponga, il suo atteggiamento cambia. Anche lui conosce già gli attimi nei quali sente un compianto. Cerca di spiegarlo al suo padrone:
„Ma…dico il vero, che avrei avuto più piacere che l’ordine fosse stato di darle una schioppettatta nella schiena, senza sentirla parlare, senza vederla in viso.“
„Cosa? Cosa? Che vuoi tu dire?“
„Voglio dire che tutto quel tempo, tutto quel tempo… M’ha fatto troppa compassione.“
„Compassione! Che sai tu di compassione? Cos’è la compassione?“
„Non l’ho mai capito così bene come questa volta: è una storia la compasione un poco come la paura: se uno la lascia prender possesso, non è più uomo.”
„Sentiamo un poco come ha fatto costei per moverti a compassione.“
„O signore illustrissimo! Tanto tempo…! Piangere, pregare, e far cert’occhi, e diventar bianca bianca come morta, e poi singhiozzare, e pregar di nuovo, e certe parole...“
Dopo questo dialogo si commuove anche Innominato ed è sulla via della conversione.
Alessandro Manzoni voleva dare ad intendere ai suoi lettori che nel Seicento esistevano  uomini che si chiamavano bravi. Questi bravi erano i malviventi al servizio dei signori potenti. Ogni signorotto aveva i suoi bravi, più o meno fedeli. Attraverso i bravi dimostravano il  loro potere alla gente povera.

Conclusione

In conclusione vorrei fare una sintesi della presente tesi di laurea. Ogni personaggio è diverso, ha il suo comportamento individuale, la sua natura, il suo modo di vivere. Alcune sono predestinate per fare del bene come per esempio il cardinale Federigo Borromeo, altre per fare del male come don Rodrigo.
Dalle pagine della presente tesi è evidente che nel romanzo si trovano anche  persone che attraversano una conversione e cominciano a comportarsi in un modo totalmente diverso. L’esempio di una conversione meravigliosa si può vedere  nell’Innominato. La sua compassione per Lucia e la conversione lo trasformano in aiutante delle forze del bene. Ma si possono trovare anche quelli che attraversano una conversione opposta come è il caso della monaca Gertrude, la quale si trasforma da un ospite e aiutante di Lucia in aiutante dei suoi rapitori.
Per quanto riguarda i due protagonisti principali, Renzo e Lucia, anche questi  cambiano. Renzo si è trasformato in un uomo moderato, adulto e calmo grazie alle esperienze che ha raccolto fuori del suo paese, e grazie a situazioni e problemi che ha dovuto affrontare. Lucia comincia ad essere altruista e meno egoista, e non bada solo a se stessa come all’inizio. Diventa più idipendente e meno timida e impacciata.
In questo romanzo svolge un ruolo importante anche la fede in Dio e nella provvidenza divina. Gli uomini che credono in Dio vivono  una vita più tranquilla, perchè superano meglio le situazioni difficili che  la vita porta e che devono sostenere.
Il messaggio contenuto ne I promessi sposi è evidente:  „Manzoni scrisse un’opera didascalica, di insegnamento morale. Vi sono personaggi buoni e personaggi cattivi. I buoni sono tutti buoni e i cattivi sono tutti e sempre cattivi.“ I buoni vengono premiati, i cattivi puniti.

 

I due promessi sposi alla fine trovano la loro felicità, insieme alla madre Agnese e al cugino Bortolo. Don Rodrigo, Azzeccagarbugli, Griso, conte Attilio, conte zio e donna Prassede sono puniti e muoiono di peste. Anche padre Cristoforo e don Ferrante muoiono ma  il motivo è diverso. Don Ferrante combatte contro la pestilenza con il suo cervello e non si protegge, allora muore. Padre Cristoforo muore aiutando i malati nel lazzaretto.
Alessandro Manzoni descrisse i personaggi de I promessi sposi persuasivamente,  con cura e accuratezza e li collocò nel seicento e nel contesto  degli avvenimenti culturali e politici di quel tempo. Il suo romanzo diventò fondatamente il suo capolavoro e contemporaneamente il gioiello tra i romanzi di tutti i tempi. 


Bibliografia

Letteratura primaria
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987.
MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, introduzione e note di Vittorio Spinazzola, Garzanti, Milano, 2000.
MANZONI, Alessandro, Snoubenci (přeložil Václav Čep), Praha, Odeon, 1973.

Letteratura secondaria
SEIDL, Ivan, La letteratura italiana dell’Ottocento, Univerzita J.E.Purkyně, Brno, 1984.
FERRONI, Giulio, Storia della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano, 1991.
CAPATA, Alessandro, I promessi sposi, Alpha Test, Milano, 2003.
TOSCANI, Claudio, Come leggere I promessi sposi di Alessandro Manzoni, Ugo Mursia editore, Milano, 1984-1986.
MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Manzoni, Ugo Mursia editore, Milano, 1985.
GIRARDI, Enzo, Noè – SPADA, Gabriella, Manzoni e il Seicento lombardo, Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1977.
SQUAROTTI, Giorgio Bàrberi, Il romanzo contro la storia, Studi sui Promessi Sposi, Pubblicazioni della Università Cattolica, Milano, 1980.

 

 

Sitografia
www.bibliotecaitaliana.it
www.garzantilinguistica.it
https://is.muni.cz/auth/dok/rfmgr.pl?fakulta=1421;obdobi=4703;studium=307563;furl=%2Fel%2F1421%2Fpodzim2009%2FIJIB505a%2F

 

 

 

FERRONI, Giulio, Storia della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano, 1991, p.169

Una storica biblioteca milanese fondata nel 1607.

MANZONI, Alessandro,  I promessi sposi a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.649.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi,  a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.36.

FERRONI, Giulio, Storia della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano, 1991, p.173.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, U. Mursia editore, Milano, 1984-1986, p.98.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.325.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, p.106.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.45.

Dizionario Garzanti, disponibile sul sito: http://www.garzantilinguistica.it/it/dizionario/it/cerca?q=azzeccagarbugli&commit=%C2%A0

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p. 630.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p. 409.

Una consulta composta di tredici personaggi civili e militari che consigliano il governatore e quando il governatore muore, uno di questi assume temporalmente il governo.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, p.105.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi, a cura di Mariateresa Sarpi e Adriana Tocco Tognon, Marco Derva editore, Napoli, 1987, p.352.

MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni, Ugo Mursia editore, Milano, 1985, p.197.

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/181185/ff_b/KATERINA_HUDCOVA_bakalarka_final.rtf

Sito web da visitare: http://is.muni.cz

Autore del testo: K.HUDCOVA

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