Autori letteratura

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Autori letteratura

 

Scheda
Giosue Carducci (Valdicastello- Versilia 1835- Bologna 1907)

Dopo Baudelaire in Europa prevalgono le tendenze alla poesia simbolista che fondano il linguaggio poetico moderno, mentre in Italia la tradizione classicista e antiromantica diventa egemone e il principale esponente di questa reazione classicista è un poeta-professore, Giosuè Carducci. La vita di Carducci attraversa cinque fasi:

  1. infanzia-adolescenza: dalla nascita all’ingresso della Scuola Normale di Pisa nel 1853. Paesaggio aspro della Maremma toscana e lettura dei classici
  2. 1853-1860: Carducci si dichiara scudiero dei classici. Pubblica le sue prime liriche (le Rime poi confluite in Juvenilia con lo pseudonimo di Enotrio Romano ed è il momento di un classicismo tutto letterario
  3. 1860-1871: ottiene la cattedra di eloquenza a Bologna e si trasferisce in questa città. E’ il momento repubblicano e giacobino di aspra polemica contro la Chiesa e la monarchia. Nel 1868 pubblica le poesie Levia gravia (poesie leggere e serie) e compone anche poesie di polemica civile che poi confluiranno in Giambi ed Epodi. Nel 1870 gli muore il figlioletto Dante. Nel 1871 pubblica una nuova raccolta dal titolo Poesie.
  4. 1872-1889: Terze Odi barbare. Fase della maturità: a)poesie nuove (Rime nuove) ispirate a temi più intimi e autobiografici b)esperienza della metrica barbara con la quale Carducci tenta di rendere in versi italiani la metrica latina e greca. Abbandona le idee giacobine e si avvicina alla monarchia: decisiva fu la delusione per la politica trasformista di sinistra e l’incontro con la regina Margherita per cui egli scrisse l’ode Alla Regina d’Italia. Condivise la politica imperialista dell’amico Crispi
  5. 1890-1907: è il momento dei massimi riconoscimenti e della sua fama come poeta-vate (deriva dal latino vates=indovino. Nella letteratura italiana dell’Ottocento indica la funzione ideologica dello scrittore). In questo momento scrive le sue poesie più retoriche, ma anche le liriche più intime turbate dalla paura della morte (Rime e ritmi). Nel 1906 ottiene il Premio Nobel per la letteratura italiana (è la prima volta per un poeta italiano).

Juvenilia e Levia gravia:scarsa originalità. Tuttavia, nell’Inno a Satana, l’esaltazione del progresso, identificato con il treno e con Satana, contrapposto allo spirito clericale costituisce un esempio del fervore aggressivo che domina i successivi Giambi ed Epodi.
Rime nuove riunisce 105 poesie dove si attenua l’elemento civile e satirico, mentre prevale quello lirico, legato ai ricordi d’infanzia e ai sentimenti d’amore e di morte (particolarmente per il figlioletto Dante). Le Odi barbare raccolgono 50 liriche caratterizzate dalla metrica barbara. La metrica classica contrasta con la prosaicità delle situazioni moderne (classicismo moderno). L’ultima raccolta Rime e ritmi raccoglie componimenti con una metrica tradizionale ed altri con la metrica barbara.

Analisi delle seguenti poesie
San Martino (Rime nuove)
Nella piazza di San Petronio (Odi barbare)
Nevicata (Odi barbare)
Alla stazione una mattina d’autunno (Odi barbare)
*n.b. Stabiliremo un paragone tra quest’ultima ode di Carducci e il mottetto di Montale Addii, fischi nel buio, cenni di tosse (Le occasioni)

 

 

 

 

 

 

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse.
Addii, fischi nel buio, cenni, tosse
e sportelli abbassati. E' l'ora. Forse
gli automi hanno ragione. Come appaiono
dai corridoi, murati!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

- Presti anche tu alla fioca
litania del tuo rapido quest'orrida
e fedele cadenza di carioca? -
(Eugenio Montale, Le occasioni, mottetti)

 Questo mottetto fa parte dell'opera "Le occasioni". In questa raccolta la letteratura è rappresentata come l'ultima difesa per la sua generazione, non solo dalla rozzezza e grossolanità del regime fascista, ma soprattutto dal dilagare della società di massa e dei suoi «automi». Ne deriva un'ideologia che oppone alla massificazione dilagante i valori elitari di un'aristocrazia dello spirito, che deriva dalla cultura liberale e dalla tradizione umanistica. Protagonista è Clizia, figura femminile che nella poetica di Montale rappresenta la cultura, poiché deriva dalla mitologia greca dove resta sempre fedele al sole, cioè Apollo, dio della cultura. Il treno indica la minaccia della modernità, inconciliabile con l'amore e qui rappresentata dalla alienazione degli uomini massificati. Il legame di autenticità fra il poeta e la donna e il valore di privilegio che esso assume nell'ideologia del poeta sono chiaramente contrapposti alla società di massa. Tale legame e tale valore sono però tutt'altro che sicuri: basta un attimo perché si dissolvano. La conclusione del mottetto, pur nella sua negatività, resta come sospesa lasciando aperto, con la domanda finale uno spiraglio di speranza.

Scheda
G. d’Annunzio (Pescara 1863- Gardone Riviera 1938)
Date significative:
1881 Roma giornalista letterario e cronista mondano. Prime raccolte di poesie e prose
1891-1893 Napoli suggestionato da Nietzsche e Wagner. 1898 Settignano nella villa “Capponcina”
1910 esilio volontario per debiti in Francia
1915 torna in Italia per partecipare alla guerra e compie nel 1919-20 l’impresa di Fiume
1921 abbandona Fiume e si ritira a Gardone Riviera nella villa “il Vittoriale degli Italiani”
Poesie
Testi iniziali caratterizzati da una forte influenza carducciana, ma segnati da una personale tendenza ad una musicalità più avvolgente e sensuale espressione di una sensibilità già decadente e da una vitalità panica
Primo vere (1879)
Periodo romano: Canto novo (1882) amore come forza animalesca, Intermezzo di rime (1884) languida atmosfera romana e ritorno alla tradizione, l’Isotteo e la Chimera (1890) la realtà circostante sembra trasformarsi in cupa allucinazione ed incubo, Elegie romane atmosfera languida e ritorno ai metri barbari (1892); Odi navali retorica nazionalista (1893);
Periodo della “bontà”: Poema paradisiaco (1893) distacco dalla sensualità del passato e riavvicinamento all’infanzia. Riferimenti alla quotidianità con un simbolismo minore portato al realismo (ripreso dai crepuscolari). Rimangono comunque richiami al mondo classico e la retorica della “commozione”.
Grande progetto delle Laudi: ultimo poeta della laus vitae (M.L. Altieri Biagi). Dovevano essere sette, ma furono quattro (tre- Maia, Elettra, Alcyone-uscirono nel 1903, la quarta-Merope-nel 1912). Alcuni elementi tipici: tema del viaggio e del mito, importanza della natura e conseguente panismo, l’io si smarrisce nella natura per ritrovarsi, Alcyone concepito come tregua del superuomo. Inaridirsi della vena poetica. (capolavoro Qui giacciono i miei cani, pubblicato postumo da L. Anceschi).
Prose
Influenza del naturalismo e di Verga, ma presenza anche qui di una notevole sensualità. Terra vergine (1882), Le Novelle della Pescara (1902).
Il piacere (1889) Andrea Sperelli, decadentismo e mito del superuomo. L’eroe è un superuomo, ma anche un inetto con una volontà debolissima; Giovanni Episcopo (1891) e L’Innocente (1892) appartengono alla fase della bontà e risentono dell’influenza dei romanzieri russi; Il trionfo della morte (1894) Giorgio Aurispa alter ego del poeta, tema dell’inettitudine e della follia; Le Vergini delle rocce (1895) superomismo fino alla megalomania; Il fuoco (1900): Stellio Effrena altro doppio del poeta ed esempio di arte totale; Forse che sì forse che no (1910) amore per gli aerei e la meccanica; Il Notturno (1916) e Il Libro segreto (1935) primo esempio di prosa d’arte. Stile nominale ed impressionistico.
Teatro
Desiderio di riprendere il progetto di Wagner di teatro nazionale. Limiti: teatro statico basato sulla parola. Unico capolavoro: La figlia di Iorio (1903) riprende il mito della natura primigenia.
Da ricordare
E. Raimondi, Una vita come opera d’arte. Novità di d’Annunzio nella consapevolezza di un pubblico borghese e nell’avvertimento di una inquietudine. (bovarismo borghese). Religione della Bellezza che diventa un mezzo per blandire il pubblico nel suo amore per l’irrazionale. Desiderio di eternare l’istante (La sabbia del tempo). La bellezza è merce (W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica).
C. Michelstaedter, Nota inedita sul Piacere. L’opera è bella dal punto di vista formale, ma è un’opera infame. Delusione di tutta la generazione degli anni Ottanta (compreso R. Serra)
Influenza di d’Annunzio sui poeti Guido Gozzano ed Eugenio Montale.
U. Saba, Il bianco immacolato signore. Delusione di fronte al Grande Smemorato.
Scheda
Luigi Pirandello (Girgenti-Caos- 1867- Roma 1936)

Tre ambienti che influirono sulla formazione psicologica e culturale di Pirandello:
1) Sicilia  2) Germania 3) Roma
Cinque periodi

  1. la formazione (1867-1892) influenza dell’ambiente siciliano da cui provengono le suggestioni magico- popolari presenti nelle novelle. Educato dal padre al patriottismo e al culto dei valori risorgimentali, all’Università di Palermo entra in contatto con un ceto intellettuale inquieto attraversato da fermenti anarchici. Si trasferisce a Roma in un ambiente più provinciale rispetto a d’Annunzio. Litiga con il professore di latino e si trasferisce a Bonn, laureandosi con una tesi di carattere linguistico sul dialetto di Agrigento.
  2. la coscienza della crisi (1892-1903) a Roma aveva incontrato Capuana che lo consigliò di scrivere romanzi (1893 Marta Ajala pubblicato nel 1901 con il titolo L’esclusa, 1895 Il turno,). Nel 1903 avviene il dissesto economico del padre che aveva investito la dote della moglie di Pirandello, la quale, per questo, viene colpita da una paralisi che mina il suo equilibrio mentale. L’ambiente siciliano e l’influenza del verismo, in particolare di F. De Roberto (I vicerè), sono ancora presenti nel romanzo più tardo I vecchi e i giovani (1913). Per molti aspetti anticipa il bellissimo romanzo di Tomasi di Lampedusa Il gattopardo
  3. la narrativa umoristica (1904-1915) Pirandello elabora la sua poetica dell’umorismo, approfondisce il relativismo filosofico e il contrasto di vita-forma. Il fu Mattia Pascal (1904) è il romanzo della svolta: appaiono il tema del doppio (il protagonista viene creduto morto e lui vive con il nome di A. Meis), il problema dell’identità, la critica alla civiltà delle macchine. Suo Marito (1910) e Si gira…(1915), poi pubblicato nel 1925 con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, mettono in evidenza i conflitti tra l’artista e la sua creatività in un mondo dominato dalle macchine. Uno, nessuno, centomila (iniziato nel 1909 e pubblicato nel 1925-26) è una narrazione retrospettiva e il protagonista Vitangelo Moscarda ha molti punti in comune con Mattia Pascal, ma, alla fine invece di estraniarsi come fanno Mattia e Serafino, scopre la vita nel totale rifiuto della forma, cioè di una maschera convenzionale.
  4. il teatro umoristico e il successo internazionale (1916-1925) Aveva già svolto adattamenti teatrali di alcune novelle anni prima (ad esempio, Lumie di Sicilia), ma dal 1916 cominciano ad uscire le opere più importanti in campo teatrale (Pensaci Giacomino e Liolà nel 1916, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli e Il piacere dell’onestà nel 1917). Subito critiche e feroci accuse per il suo teatro del grottesco. Nel 1920 scrive un discorso per gli 80 anni di Verga che considera un romanziere moderno in contrapposizione a d’Annunzio. Il successo internazionale arriva con Sei personaggi in cerca d’autore (1921) e l’Enrico IV (1922) (a questi due capolavori assoluti si aggiungono Vestire gli ignudi, 1922 e Ciascuno a suo modo, 1924). Con questi ultimi testi vuole dimostrare che neppure l’arte è in grado di cogliere il significato dell’esistenza. I personaggi diventano autonomi ed hanno vita propria (Sei personaggi…), teatro e metateatro si mescolano assieme, il senso è impossibile e l’allegoria è vuota. Solo ritirandosi dalla vita, rifugiandosi nella storia passata e nella follia è possibile conservare una lucida estraneità dal reale e dai propri sentimenti (Enrico IV).
  5. la stagione del surrealismo (1926-1936) di qui in avanti compare in Pirandello una tematica di tipo surrealista rivolta a valutare positivamente l’elemento inconscio, ingenuo, naturale e a privilegiare la vita contro la forma, ma anche il mondo dei miti e dei simboli contro le convenzioni (Lazzaro, 1929 e I giganti della montagna, iniziato nel 1930 e mai concluso). Riceve il Nobel nel 1934.

TEMI
umorismo, vita-forma, persona-personaggio, arte-macchina e modernità, follia, mito e simbolo
Scheda
Italo Svevo
(pseudonimo di Ettore Schmitz Trieste 1861- Motta di Livenza 1928)

Date significative
1872 frequenta una scuola commerciale di Trieste
1874 studia in un collegio di Baviera
1880 dissesti finanziari del padre, impiegato in una banca triestina
1892 muore il padre
1896 sposa nel  la cugina Livia Veneziani
1899 entra a far parte dell’industri del suocero e annuncia il proposito di abbandonare la letteratura
Cultura e poetica
La cultura di Svevo è caratterizzata da filoni di pensiero contraddittori e difficilmente conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il marxismo; dall’altro il pensiero negativo di Schopenhauer e di Nietzsche. Quanto all’evidente influenza di Freud, in essa agiscono elementi positivisti (esigenza di ricondurre a chiarezza scientifica lo studio dell’inconscio) e antipositivisti (la sottolineatura dei limiti della volontà e della ragione rispetto al potere delle pulsioni e alla forza dell’inconscio) (vedi Lettera sulla psicoanalisi a Valerio Jahier). Svevo assume dai diversi pensatori gli strumenti critici e conoscitivi piuttosto che l’ideologia complessiva.
Novelle
1888 Una lotta anticipa la trama del romanzo Senilità
1890 L’assassinio di via Belpoggio rivela l’influenza congiunta di Dostevskij, dei naturalisti e di Schpenhauer. Il protagonista, che ha ucciso per denaro, scopre la dissociazione tra azione e volontà.
1897 La tribù testimonia il rapporto di Svevo con il marxismo (esce sulla rivista teorica del socialismo “Critica sociale” diretta da Turati. Una tribù asiatica invia in Europa un eroe per conquistare la sapienza politica. Al suo ritorno insegna il capitalismo che non viene accettato.
1928 Le confessioni di un vegliardo esprime la tesi in base alla quale solo se la vita sarà “letteraturizzata” avrà valore
Commedie
1880-1890 scrisse otto commedie. Una nona, Un marito, è del 1903
ROMANZI
1892 Una vita. Il titolo del primo romanzo, che deriva da G. de Maupassant, in origine era Un inetto. Il protagonista è Alfonso Nitti, un letterato che vorrebbe apparire diverso rispetto all’umanità meschina che lo circonda. E’ costretto a fare il copista in banca, ma sogna il riscatto attraverso la letteratura e un idealismo megalomane influenzato da Schopenhauer. Rispetto ai romanzi del Naturalismo, c’è un elemento nuovo: il protagonista è un inetto, incapace di approfittare della situazione, che rinuncia alla lotta e si suicida. La conclusione è simbolica: la letteratura non solo non è considerata ed esaltata come valore (d’Annunzio), ma appare degradata a gioco di società e a strumento di seduzione. L’impiegato è presente anche in Pirandello (Il fu Mattia Pascal) o in Kafka (Processo); inoltre sono presenti la figura del padre e dell’antagonista che rivelano la forza di cui è privo l’inetto.
1898 Senilità (titolo originario Il carnevale di Emilio). Non esibisce più scene di ambiente di tipo verista, ma la rappresentazione sociale è filtrata dalle reazioni psicologiche dei personaggi. Il protagonista Emilio Brentani non si oppone più alla normalità in nome di una formazione umanistica, accetta le consuetudini borghesi e vi si uniforma. All’opposizione letteratura-vita del romanzo precedente, segue quella, tutta interiore, fra desiderio e repressione, fra principio di piacere e principio di realtà. Emilio ha scritto un romanzo e frequenta i circoli letterari. Come la sorella Amalia, zitella vissuta alla sua ombra, trascorre un’esistenza grigia. Si innamora di Angiolina, una bella popolana, ma subito la idealizza, scoprendola infine volgare. Lei si innamora dell’amico-antagonista, il Balli amato in segreto da Amalia, che, travolta dalla passione ricorre all’etere per dimenticare e si ammala. Il fratello la lascia morente per andare da Angiolina; alla sua morte il protagonista si chiude in una definitiva senilità. Il romanzo è costruito su un quadrilatero perfetto di personaggi. La struttura narrativa presenta la focalizzazione interna e quella del giudizio critico del narratore e in questo risulta uguale al romanzo precedente. Bisogna attendere l’assoluta novità del capolavoro di Svevo per registrare la svolta definitiva.
1923 La coscienza di Zeno. Viene meno il narratore oggettivo dei primi romanzi. Il racconto è svolto in prima persona da Zeno Cosini. Nel nuovo romanzo prevale il monologo interiore, anche se non manca il giudizio dell’io narrante sull’io narrato e questo segna la distanza con lo stream of consciousness di Joyce. La struttura del romanzo è aperta, si sviluppa seguendo un percorso tematico, legato alla nevrosi del protagonista. La scrittura del romanzo è ambigua: lo psicoanalista dottor S. presenta il memoriale del suo paziente Zeno, come un cumulo di verità e di bugie. In tal modo il lettore diffida subito: qual è la verità? Il romanzo è percorso da una atteggiamento antifrastico e parodico. L’autoananlisi di Zeno non riguarda solo lui, ma scompone anche la realtà in cui vive e la realtà borghese viene smascherata come malata. Svevo smaschera il rapporto tra sanità e malattia: è sano chi è malato perché non censura la malattia (vedi L. Pirandello, Enrico IV). L’inetto conserva la sanità delle pulsioni vitali, che sono represse nel mondo dei sani. Per questi motivi, il romanzo va collocato fra i grandi romanzi dell’avanguardia europea, accanto a quelli di Musil, Kafka, Proust, Joyce. La stessa psicoanalisi viene rovesciata: non finisce mai e i ruoli medico paziente sono interscambiabili.  Il titolo del romanzo riflette la consapevolezza del carattere sperimentale e d’avanguardia: è chiaro che Svevo gioca sull’ambiguità del termine coscienza (coscienza morale o consapevolezza acquisita o che si sta acquisendo. Può avere valore positivo o negativo).
Da ricordare
E. Montale, Omaggio a Italo Svevo, 1925 su L’Esame; Presentazione di Italo Svevo, 1926 (pag. 351).
Finale del romanzo da confrontare con G. Leopardi, Il cantico del gallo silvestre (pag. 383).
CREPUSCOLARI E FUTURISTI
Il primo quarto del Novecento è caratterizzato dalla compresenza di poetiche, tendenze e risultati di scrittura assai vari e spesso contraddittori: mentre prosegue la tradizione del Simbolismo (d’Annunzio, Yeats), si afferma una concezione nuova della poesia con il gruppo dei crepuscolari e dei futuristi, che operano una rottura più netta.
Crepuscolari: non si trattò di un vero e proprio movimento, ma di una tendenza, che si sviluppò tra il 1903 e il 1911. Riconducibile all’esperienza crepuscolare l’opera di Guido Gozzano (1883-1916), di Sergio Corazzini (1886-1907) e di Marino Moretti (1885-1979). Aldo Palazzeschi (1885-1974) esordisce tra i crepuscolari e poi aderisce al futurismo
Futuristi: il periodo d’oro del Futurismo italiano, fondato da Filippo Tommaso Martinetti (1876-1944), va dal 1909 all’inizio degli anni Venti, quando il cambiamento generale del clima allenta la tensione avanguardistica.
Guido Gozzano (1883-1916), attento lettore di Schopenhauer e Nietzsche, scrisse due importanti raccolte di poesia La via del rifugio (1907) e I colloqui (1911). Morì giovanissimo nel 1916, dopo aver sofferto per anni di tubercolosi. La sua poesia segna una reazione esemplare e precoce al modello dannunziano, che avrà una profonda reazione in tutti gli autori del Novecento. Sembrano due autori agli antipodi (“io mi vergogno d’essere poeta”- diceva Gozzano), ma l’influenza del modello è fondamentale, nonostante il rovesciamento parodico. Sono due letterati di mestiere nel senso che la letteratura è l’unica attività per entrambi e il binomio arte/vita è al centro anche della poetica di Gozzano, benché con risultato diverso. La poesia non è in grado di affermare nessun significato positivo, perché ha a che fare con una civiltà scomparsa. La letteratura è inutile e anacronistica e scrivere non può che significare che prendersi in giro da se stessi e la forma diventa la possibilità di censurare lo slancio e la passione dell’animo. Non va sottovalutata l’innovazione di Gozzano dal punto di vista linguistico: il poeta non rinuncia al linguaggio letterario di d’Annunzio e Pascoli entro coordinate stilistiche medio-basse e adotta le coordinate dell’ironia.
Testo rappresentativo: La signorina Felicita ovvero la Felicità (poemetto pubblicato nel 1909).
Scheda
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto-1888-Milano-1970)

Date significative
1906 si lega agli ambienti dei fuoriusciti anarchici (Enrico Pea) e legge riviste d’avanguardia, componendo le prime poesie
1912 si trasferisce a Parigi; nel 1914 si trasferisce a Milano
1915 pubblica le prime poesie sulla rivista Lacerba e combatte sul Carso
1916 esce Il porto sepolto. Alla fine della guerra ritorna a Parigi
1919 esce Allegria di naufragi
1921-1936 vive a Roma; nel 1931 pubblica le poesie con varianti con il titolo L’allegria
1933 pubblica Sentimento del tempo. Dal 1937 insegna letteratura italiana a S. Paolo in Brasile dove muore suo figlio
1942 torna in Italia e insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma
1947 esce la raccolta Il dolore (le ultime raccolte fino al 1970 sono La terra promessa, Un grido e paesaggi)
1970 muore a Milano
Formazione culturale
Ambienti anarchici e sovversivi di Pea, avanguardie parigine e amicizia con Apollinaire, futurismo italiano di Lacerba. Da una parte Simbolismo e avanguardia, dall’altra tradizione italiana (Leopardi e Petrarca). Ungaretti è uno dei più fini e intelligenti critici della cultura barocca nel saggio Poesia e civiltàin Vita di un uomo (esperto di Shakespeare e Gongora).
Come si può notare le componenti culturali sono spesso discordanti e definiscono due poli: la ricerca classica dell’equilibrio, dell’armonia e della purezza della tradizione classica legata al bisogno implacabile d diverse fasi: Allegria(espressionismo rivoluzionario, frantumazione metrica e sintattica) e Sentimento del tempo (taglio classicistico e armonioso, recupero della metrica tradizionale e di forme stilistiche meno estreme). Ma la costante, che lega i due periodi, è il culto della parola.
Allegria (1931) : in questa raccolta la religione della parola si incontra con un’urgenza biografica e realistica che permette di evitare il rischio di letterarietà. Trionfano la ribellione alle regole tradizionali della forma poetica e la tensione espressionistica: è rifiutata la punteggiatura per dare alla parola il massimo risalto e la massima autosufficienza (adozione di versi brevissimi fino alla coincidenza di verso e parola, potenziata al massimo l’energia dei verbi e dei nomi spesso isolati nello spazio bianco). Il taglio autobiografico dipende in larga misura dall’eccezionalità dell’esperienza che sta alla base della prima produzione ungarettiana: la vita di guerra nelle trincee. D’altra parte il bisogno di significato, presente nella poetica ungarettiana della parola individua nell’esperienza collettiva della guerra una possibilità di radici e di identità nella partecipazione a una condizione comune (il soldato semplice). Analogo bisogno quello di Renato Serra, che vive la stessa esperienza e la descrive ne L’esame di coscienza. Il contatto con la violenza rafforza la tensione del poeta verso la purezza, l’innocenza (allegria come ritrovamento di momenti autentici nel dolore del mondo). Attorno al nucleo forte della guerra si costruiscono vari arricchimenti tematici (la condizione di sradicamento e di anonimato del fante di guerra, da cui però può sprigionarsi l’affermazione intensa e positiva dell’individualità personale: un io che diventa espressione di una soggettività collettiva). Vi è poi il tema della vicenda biografica con i ricordi dell’infanzia egiziana, e il tema della natura. In sintesi per lo stile e la metrica, oltre a ciò che è già stato detto, si può aggiungere che prevale la paratassi con la valutazione simbolista della parola quale veicolo di verità e la rima viene praticamente abolita per sottolineare il senso di ogni singolo termine. La rilevanza del soggetto è messa in risalto per mezzo dell’analogismo, con slittamento continuo da un termine di paragone all’altro o con la fusione di esperienze e fenomeni diversi (ad esempio, I fiumi). E’ il testo più sperimentale della nostra letteratura novecentesca propenso non al canto ma alla pronuncia rilevata e scabra (vedi analisi dei testi in Primo piano).
Sentimento del tempo (1933) Furono fatte edizioni anche nel 1936 e nel 1943 che ampliano correggono la prima. Il ritorno all’ordine implica innanzitutto l’allontanamento dal vissuto e la ricerca di una poesia pura, sublimata nella letterarietà e resa in qualche modo stilizzata e astratta. La metrica tradizionale domina ovunque (con recupero dell’endecasillabo in alternanza con il settenario), è reintrodotto l’uso della punteggiatura. Il recupero del classicismo e di Leopardi rientra nel clima della rivista letteraria La Ronda. I capisaldi della poetica ungarettiana di questa seconda fase sono il preziosismo aulico, che comporta la ricerca di una raffinatezza petrarchista, e la libertà analogica, che porta alle estreme conseguenze il principio simbolistico delle correspondances, mettendo in primo piano le associazioni. La letteratura prevale sulla vita, o meglio l’atto della scrittura è sentito come unico possibile valore vitale: predominano l’allusività e l’indeterminatezza anziché gli elemti realistici. Per questo gli ermetici riconosceranno in questo Ungaretti un maestro (ma attenzione Ungaretti non si deve definire ermetico). Nella produzione poetica successiva-entro la quale spicca Il dolore sulla morte del figlioletto e sulla guerra- si trovano mescolate autenticità vitale e ricerca di raffinatezza (vedi testi di riferimento).
Da ricordare
G. Ungaretti, Il naufragio e l’assoluto, Vita di un uomo (pag. 131)
D. Rondoni, Ungaretti e il ringiovanimento del mondo (fotocopie)
G. Ungaretti, Le immagini, video
QUADRO STORICO. LE RIVISTE LETTERARIE
Altro romanziere del primo Novecento assai significativo fu Federigo Tozzi. La sua opera più importante si intitola Con gli occhi chiusi (1913): viene infranta ancora una volta la narrativa tradizionale, perché non vi è alcuna distinzione tra i fatti che, secondo il senso comune, vengono considerati rilevanti o irrilevanti. Può accadere che ai primi vengano dedicate poche righe e ai secondi numerose pagine. Nel Novecento la saggistica appare in forma di espansione. Il saggio è praticato non solo da filosofi, storici e politici, ma anche da romanzieri e poeti. Nella saggistica politica l’elemento comune è dato dalla riflessione sulla civiltà occidentale, vista come trionfo del capitalismo (Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere). Nella saggistica letteraria si affermano tre diverse modalità: la centralità dell’autore, la centralità del testo, la centralità del lettore. In Italia occorrerà attendere gli anni Sessanta per arrivare alla centralità del testo, poiché nel primo Novecento prevale B. Croce che si rifà apertamente a F. De Sanctis. Si chiamano vociani i poeti che collaborano alla Voce, il periodico di cultura dapprima settimanale e poi mensile, diretto da Prezzolini fino al 1914 e infine trasformato in rivista solo letteraria da G. De Robertis. Si tratta di Piero Jahier, Giovanni Boine, Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora e Dino Campana ( i testi da studiare fanno riferimento solo ai poeti sottolineati). Il periodo che va dal 1925 al 1956 è diviso in due fasi dalla seconda guerra mondiale (1939-1945). In Italia e negli altri paesi europei la prima fase (1925-1939) corrisponde all’epoca dei fascismi e della Grande crisi (1929). La poetica più importante degli anni Trenta è l’ermetismo, che identifica la vita con la poesia. La seconda fase (1945- 1956) corrisponde all’epoca della ricostruzione dopo i disastri provocati dalla guerra. Dal 1945 al 1948 si sviluppò a partire dal cinema dove ottenne i risultati più significativi il Neorealismo. La radio, il cinema, i rotocalchi segnano la nascita dell’era della comunicazione di massa, caratterizzata dall’omogeneizzazione del pubblico. Il letterato spesso rifiuta la cultura di massa, riproponendo una cultura d’elite, ma altri rifiutano questo distacco e si impegnano nella lotta politica. Questi due tipi di letterato sopravvivono anche nel primo decennio del dopoguerra, con la netta prevalenza del secondo tipo che sceglie decisamente la politica dell’impegno (vedi P. P. Pasolini, I. Calvino, C. Pavese). Nascono così numerose riviste, tra cui Il Politecnico fondata da E.Vittorini e Officina (1955) di Pier Paolo Pasolini.
Da ricordare
C. Sbarbaro, Taci, anima stanca di godere, Pianissimo
C. Rebora, Dall’immagine tesa, Canti anonimi
D. Campana, Viaggio a Montevideo, Canti orfici
Il neorealismo nel cinema italiano, pagg. 35-36, vol. 3, tomo III.
Scheda
Umberto Saba
(pseudonimo di Umberto Poli Trieste 1883-Gorizia 1957)

Date significative
1886 dopo essere stato affidato ad una balia, torna dalla madre abbandonata dal marito
1903-1904 dopo aver compiuto studi irregolari vive a Pisa dove attraversa una grave crisi depressiva
1905-1906 vive a Firenze dove stabilisce rapporti con La Voce
1909 sposa Lina (Carolina Woelfler) da cui avrà la figlia Linuccia
1911 assume il cognome dalla balia Peppa Sabaz cui era stato affidato ed esce a Firenze il volume Poesie
1915-18 dopo una crisi coniugale, partecipa alla guerra nelle retrovie
1919 torna a Trieste, dove diviene proprietario di una libreria antiquaria, che gli darà a lungo da vivere
1921 esce la prima edizione del Canzoniere
1932-1943 dopo essersi sottoposto a una terapia psicoanalitica vive in un crescente isolamento umano e culturale, aggravato dalla promulgazione delle leggi razziali. Dopo l’8 settembre vive clandestino a Firenze
1945 esce l’edizione accresciuta e pressoché definitiva del Canzoniere. L’anno successivo Scorciatoie e raccontini
1948 esce Storia e cronistoria del Canzoniere
1953 ottiene riconoscimenti a Roma; scrive il romanzo Ernesto, che resta incompiuto
1954 torna a Trieste per le precarie condizioni della moglie che muore nel 1956
1957 muore in clinica a Gorizia
Formazione culturale
Senza dubbio la nascita a Trieste (stessa condizione di Italo Svevo. La città rimase comunque estranea alle tendenze d’avanguardia italiane dell’epoca) e un’infanzia inquieta dominata dalla separazione dei genitori (la madre ebrea severissima, il padre ariano e spensierato) e dalla presenza dolcissima di una balia creano le basi si una profonda scissione nell’animo del poeta. Compie studi irregolari: la sua formazione culturale proprio per la sua origine fu arretrata rispetto ai contemporanei di Milano, Firenze e Roma. Gli esempi letterari furono quelli della grande tradizione italiana: Petrarca, Leopardi, Carducci e Pascoli. Tuttavia nascere a Trieste comportava considerevoli vantaggi per il legame con l’Europa. L’influenza della psicoanalisi e la forte esigenza di realismo, influenzato dal Positivismo ottocentesco, sono le principali direttrici delle opere di Saba. Nel 1921 esce la prima edizione del Canzoniere (nuove edizioni nel 1945-1948-1957 fino a quella postuma del 1961). Si presenta in apparenza come arretrata e facile per rivelarsi poi ad una lettura attenta, tra le più moderne e originali del panorama europeo novecentesco e tra le più complesse. Saba attribuisce alla poesia una precisa funzione insieme psicologica e sociale: aiutare l’uomo a trovare la propria identità e la propria integrità, ridandogli anche la possibilità di partecipare armoniosamente alla vita sociale. Il suo programma è in antitesi con quello di d’Annunzio: Saba concepisce una funzione nuova del poeta, che ha il dovere di essere onesto cercando nel fondo del proprio io le verità più nascoste e intime. Tale verità profonda è riconosciuta nella pulsione dell’eros, nel freudiano principio di piacere. La poesia deve coincidere con questa pulsione unificante: il poeta deve preferire versi brutti ma veri a versi belli ma falsi. Per questo il Canzoniere è complesso perché ha un carattere fortemente narrativo e la lettura di una poesia implica la lettura delle altre: è una sorta di romanzo psicologico in cerca della guarigione dalla nevrosi. Il tema centrale è dunque la scissione dell’io e il desiderio di ricomposizione tramite la pulsione vitale. Il primo volume del Canzoniere che coincide con l’edizione del 1921 raccoglie 156 testi, suddivisi in 8 sezioni. I testi sono tasselli di un mosaico complessivo.

Scheda
Eugenio Montale
(Genova 1896- Milano 1981)
Fasi

  1. Gli Ossi di seppia (1896-1926). Sono gli anni dell’infanzia ligure, del paesaggio delle Cinque Terre dove il padre ha una villa. Nel 1915 si diploma ragioniere, legge moltissimo in particolare i poeti francesi, ma anche l’avanguardia. Nel 1920 recensisce Sbarbaro, da cui desume la poetica dello scarto. All’influenza d Sbarbaro si aggiunge quella di Rebora. Il poeta è un outcast, un escluso privo di identità sociale eternamente spaesato (motivo ricorrente). Si innamora di Anna degli Uberti (Arletta). Nel 1925 esce Ossi di seppia a Torino presso l’editore Gobetti, firma il manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce. Il titolo stesso della raccolta rinvia all’immagine degli ossi di seppia presente nell’Alcyone di d’Annunzio. L’osso o galleggia sul mare o gettato sulla terra è come il poeta esiliato dal mare, escluso dalla natura e dalla felicità. Resta solo la chiaroveggenza e la lucida indifferenza (alcuni critici citano Leopardi) In tutto il libro si svolge un lungo confronto non solo linguistico e stilistico, ma esistenziale e morale con d’Annunzio(programma di “torcere il collo all’eloquenza). Doppio registro, momenti alti e bassi
  2. Le Occasioni (1927-1948). Nel ’27 si trasferisce a Firenze, che appare a Montale come la culla dell’Umanesimo, la patria delle lettere da difendere contro l’ignoranza del regime fascista. In questo periodo conosce Eliot e pubblica sulla rivista da lui diretta The Criterion la poesia Arsenio. Diventa amico dell’anglista M. Praz e del critico G. Contini. L’influenza di Contini e soprattutto di T. S. Eliot è decisiva nel volgerlo a interessarsi a Dante e a un metodo poetico e allegorico per molti versi affine al correlativo oggettivo di Eliot. Rifiuta il metodo analogico delle corrispondenze(distacco dal simbolismo) fra soggetto e oggetto per tendere a esprimere solo l’oggettività di immagini assunte come emblema di una condizione interiore taciuta o cancellata. Montale trasporta su un piano di astrattezza metafisica e di universalità la propria vicenda autobiografica, dall’altro riutilizza i termini cristiani all’interno di una nuova cultura laica, quella delle lettere. Ad avvicinarlo a Dante contribuisce anche la studiosa americana Irma Brandeis a cui dedica con la sigla I. B. il libro delle Occasioni, uscito nel 1939 presso Einaudi. E’ lei la donna-angelo Clizia, che assume la funzione di una salvifica Beatrice dantesca. Nello stesso anno va a vivere con Drusilla Tanzi (detta Mosca) già moglie del critico Matteo Marangoni. Dopo la caduta del fascismo si iscrive al Partito d’Azione e partecipa al Comitato di Liberazione Nazionale. Ma già nel 1947 la delusione politica dovuta all’egemonia di PCI e DC lo induce a ritirarsi dall’impegno politico.
  3. La Bufera e altro (1948-1964). Entrato nel mondo del giornalismo compie numerosi viaggi, scrive recensioni, articoli, prose narrative, queste ultime raccolte in Farfalla di Dinard (1956). Dello stesso anno è La Bufera e altro, il libro più vario e inquieto della produzione montaliana. La delusione nei confronti del mondo moderno, massificato e meccanizzato induce Montale a rinunciare a scrivere versi (silenzio poetico di 10 anni). Sul piano privato si innamora della giovane poetessa M. Luisa Spaziani (Volpe).
  4. Satura (1964-1971). Grande periodo di riconoscimenti in Italia e all’estero, culminati con la nomina di senatore a vita (1967). Nel 1971 esce Satura che determina una svolta in senso prosastico con un abbassamento di tono e di registro. Non è più possibile una forma di poesia alta. Le prime sezioni Xenia I-II sono dedicate alla moglie Drusilla (Mosca) morta da poco, che non ha avuto l’elevatezza di Clizia, ma lo ha compreso completamente.
  5. Diari, (1971) Quaderno di quattro anni, (1977)Altri versi, (1980). L’ultimo Montale è ancora più decisamente prosastico e diaristico con un frequente ricorso alla citazione e all’autocitazione ironica. Nel 1975 riceve il Nobel per la letteratura. Muore nel 1981. Escono le poesie di Diario postumo (1991-1996)

Scheda
Il nuovo realismo (anni Trenta) e il neorealismo postbellico
Nella narrativa meridionalistica si riflette la drammatica situazione del Sud negli anni Trenta, ma anche la scissione degli autori meridionali divisi fra la condizione dell’intellettuale d’estrazione contadina e piccolo borghese, legata a un capitalismo agrario e quella dell’artista inserito nei meccanismi sociali della metropoli moderna. Solo l’abruzzese Ignazio Silone sembra indicare, all’inizio, un’altra via, quella dell’impegno sociale e politico evidente in Fontamara. L’opera, scritta nel 1930 dopo che era uscito dal partito comunista di cui era stato uno dei dirigenti, per certi versi anticipa il Neorealismo postbellico, tanto l’impegno ideologico a favore dei contadini è scoperto. La forma risente fortemente della lezione sperimentale dei Malavoglia: il racconto è corale e la voce narrante è rappresentata da personaggi sempre diversi e spesso anonimi. Il romanzo racconta la rivolta dei contadini di un paese della Marsica contro i grandi proprietari, appoggiati dai fascisti che tolgono l’acqua ai campi dei “cafoni”.
Elio Vittorini e Cesare Pavese sono i maestri del “nuovo realismo” degli anni Trenta e poi del Neorealismo postbellico. Ma il loro realismo è sperimentale e non ha una matrice naturalistica o veristica, bensì lirica e simbolica: vi operano fermenti di origine surrealistica in Vittoriani , di origine junghiana e decadente in Pavese. Il mito dell’America di cui entrambi furono i promotori non portò solo all’assimilazione del realismo americano (scarno, sobrio e sintetico, fatto di frasi incisive), ma anche a sognare ideologicamente un’umanità totale, un uomo assoluto e universale, di cui si voleva cogliere l’essenziale attraverso l’arte. I romanzi più importanti di Vittorini sono Conversazione in Sicilia e Uomini e no.
Cesare Pavese (nato a S. Stefano Belbo nel 1908,morto suicida a Torino nel 1950) fu traduttore dall’inglese, poeta, saggista e impegnato in attività editoriali presso Einaudi. La sua cultura è caratterizzata dal vagheggiamento della campagna-contrapposta alla città-del selvaggio e dell’America come luogo primitivo dell’interesse. La ricerca artistica pavesiana oscilla fra due poli: può concentrarsi sull’estraneità e sull’impotenza dell’intellettuale oppure può seguire un progetto di sprofondamento nell’arcaico o di rivelazione del destino umano nei miti del passato. Per stare alle opere di narrativa più importanti la prima strada è quella di Paesi tuoi e La luna e i falò, ma anche Dialoghi con Leucò può rientrare in questa seconda tendenza. Nel romanzo Paesi tuoi il naturalismo dell’ambientazione contadina e il decadentismo delle atmosfere raggiungono una maggiore intensità. E’ il più americano dei libri di Pavese: evidente l’influenza di Faulkner. Per questo divenne uno dei punti di riferimento del Neorealismo. E’ una storia cupa e violenta, narrata in prima persona dal cittadino Berto, operaio uscito di galere che è andato a vivere in campagna con un suo compagno di prigionia, il contadino Talino. Scopre così un mondo arcaico, selvaggio e irrazionale, in cui Talino ha avuto un rapporto incestuoso con la sorella. Berto e la donna si innamorano suscitando le ire di Talino che, fuori di sé per la gelosia, uccide la ragazza per poi darsi alla fuga. La produzione del dopoguerra di Cesare pavese è ancora più significativa. Il romanzo migliore è La casa in collina (1948) che si distingue per il coraggio dell’autoanalisi. L’intellettuale, messo di fronte alla tragedia della guerra e alle esigenze dell’impegno poste dalla Resistenza, rivela la propria ambiguità. La solitudine si presenta come immobile condizione esistenziale e frutto di ina condizione storica, poiché il protagonista Corrado è un intellettuale che va a vivere in collina durante la guerra. Le ultime pagine sono segnate da una riflessione dolorosa sul senso della guerra e della realtà stessa. La guerra appare a Corrado in tutto il suo peso tangibile di orrore e di morte, ma anche come simbolo che rivela l’assurdità della vita.
Testi di riferimento: C. Pavese, Paesi tuoi, La morte di Gisella (pag.386); C. Pavese, La casa in collina, E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? (pag. 389)
Alberto Moravia (1907-1990) è l’iniziatore del romanzo borghese e in ciò è erede di I. Svevo. Ammalato di tubercolosi ossea, visse da ragazzo l’esclusione da tale condizione e ciò favorì la sua vocazione di scrittore. Il suo primo romanzo Gli indifferenti (1929) ebbe un notevole successo di pubblico. Altri straordinari successi appartenenti alla fase del Neorealismo sono: Agostino, La romana, La ciociara (celebre il film di V. de Sica con cui Sofia Loren vinse l’oscar come miglior attrice protagonista). Infine, il suo terzo periodo è caratterizzato dal tema della noia. Finita l’epoca del Neorealismo, nella società del miracolo economico non esiste più un’alternativa positiva rappresentata dal popolo: tutto il mondo è preda dell’insensatezza e dell’alienazione borghese. Ritorna qui il tema dell’indifferenza del primo romanzo, trasformata in noia, abulia, incapacità di avere rapporti. Tutto è mercificato e condizionato dal denaro, che stravolge ogni rapporto, facendolo diventare in autentico e inutile. L’opera più importante si intitola La noia (1960).
Testo di riferimento: A. Moravia, Gli indifferenti, Una cena borghese (pag. 395).
Il neorealismo di Beppe Fenoglio( 1922-1963) assume i connotati di un’epica esistenziale. Infatti, i risultati migliori del Neorealismo sono proprio in questi scrittori che non si possono definire solo Neorealisti. Pavese, Moravia e Fenoglio sono intellettuali che hanno il coraggio di guardare in faccia alle proprie contraddizioni e la Resistenza non è vista come prospettiva sociale e politica, ma come prova epica di un destino. E’ questo il caso di Fenoglio, indubbiamente il maggior narratore della Resistenza. Beppe Fenoglio è l’unico scrittore che rappresenti veramente eroi positivi, ma nessuno di essi muore per un ideologia politica. Ciò lo distingue nettamente dal Neorealismo
Il suo impegno è di tutt’altra natura: è un impegno verso la vita stessa, intesa come dignità d’esistere, come scommessa che si realizza in scelte radicali in cui si mette alla prova l’onore della persona umana in quanto tale. L’uomo è passione, ethos spontaneo, anche pura energia fisica e vitale: può morire per amore di una donna o per un’amicizia, in un estremo individualismo, tutto giocato sulla ricerca di una verità esistenziale che passa attraverso la lotta partigiana, ma che vale più di essa. Le sue opere sono: I ventitrè giorni della città di Alba (racconti) e La malora (romanzo breve), che risentono ancora di certi modi secchi e incisivi di certo Neorealismo postbellico ispirato a C. Pavese; Il partigiano Johnny e Una questione privata che sembrano lontani dal Neorealismo e mostrano il progetto di un romanzo di formazione, che si snoda con uno stile più disteso e con un ritmo quasi epico. Il partigiano Johnny è un’opera linguisticamente assai complessa: restano numerose frasi in inglese e vi si notano dialettalismi e numerosi neologismi. Tuttavia ciò non va in direzione dell’immediatezza neorealistica o del parlato, ma tende piuttosto a un rigore astratto a un sovrappiù di tensione esistenziale. La guerra di Resistenza vi si configura come prova terribile e assurda: Fenoglio non la interpreta secondo i miti ideologici del tempo, ma come segno dell’alterità dell’esistenza, della sua estraneità e negatività. E tuttavia l’uomo è chiamato ad impegnarvisi fino allo spasimo e alla morte, senza scappatoie: solo così può dimostrare anzitutto a se stesso la propria dignità
Testi di riferimento: Lettura integrale, B. Fenoglio, La malora
B. Fenoglio, Il partigiano Johnny, L’esperienza terribile della battaglia
Il Neorealismo vero e proprio nasce dal nuovo realismo degli anni Trenta, ma ha caratteri propri: un più deciso impegno ideologico e morale e una maggiore fedeltà alla tradizione nell’impianto narrativo. In genere il romanzo neorealista si limita al recupero di alcuni aspetti strutturali del romanzo tradizionale ottocentesco, realista e verista, come la trama, l’oggettività dei personaggi, l’autorità del narratore. Ma i risultati sono modesti. Il principale rappresentante del Neorealismo fu Vasco Pratolini (1913-1991). La sua opera più imporatante fu Metello che nasce con l’obiettivo di rappresentare la vita di un operaio, visto come eroe positivo sullo sfondo storico delle prime lotte di classe. Altra opera rappresentativa Il quartiere. Il Neorealismo come tendenza di scuola si impose con altri due romanzi L’Agnese va a morire di R. Vigano (1900-1976) e Le terre del Sacramento di Francesco Jovine (1902-1950)
Testo di riferimento: I. Calvino, Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno (pag. 66)

Scheda
La narrativa
Nella narrativa tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra diventa essenziale il concetto in chiave simbolica del tempo e dello spazio ( si pensi al mito americano di Pavese e di Vittoriani, in cui l’America non è un luogo storico-geografico ma coincide con il mito del selvaggio). Alla mitizzazione spazio temporale si affianca un’altra tendenza, quella del realismo magico, che assume invece la dimensione fantastica e surreale del sogno come strumento di decifrazione dell’irrazionalità del reale (D. Buzzati, Il deserto dei tartari).Totalmente immerso nel tempo della storia è invece il viaggio di P. Levi (Se questo è un uomo, La tregua) verso il lager, un viaggio attraverso l’orrore, che, per la sua incomprensibilità, assume i caratteri allucinati. Qui è una precisa realtà storica a scatenare gli uomini, aguzzini e vittime, gli istinti pre-umani e non-umani, sempre latenti nell’animo e a provocare nell’autore una riflessione: che cos’è l’uomo?. Due romanzieri del dopoguerra esemplificano meglio di altri la nozione di tradizione novecentesca nel campo del romanzo,con una voluta ripresa soprattutto delle componenti ottocentesche: Elsa Morante e Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Elsa Morante (Roma 1912-1985), moglie di Moravia negli anni della guerra e del dopoguerra (si separarono nel 1962), rivela un’adesione profonda e un’ammirazione sconfinata per la letteratura sentita come capacità di rivelazione della bellezza, la tendenza ad una narrazione totale, onnivora con esiti barocchi, fantastici, surreali. I suoi romanzi più famosi sono: Menzogna e sortilegio (1948), L’isola di Arturo (1957, vero e proprio romanzo di formazione), La Storia (1974). L’ultimo romanzo Aracoeli (1982) è la storia di un omosessuale alla ricerca della madre: sul libro pesano l’ultimo isolamento della scrittrice e la tragica morte dell’amico Pier Paolo Pasolini. Il nobile siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), vissuto sempre appartato ed estraneo agli ambienti letterari, ma appassionato di letteratura scrisse un unico romanzo Il Gattopardo, che fu pubblicato postumo e ottenne un immediato successo di critica e di pubblico (venne fatta anche la versione cinematografica per la regia di Luchino Visconti con Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale). Nel romanzo moduli ottocenteschi ispirati a Stendhal, Balzac e De Roberto si uniscono ad altri del tutto novecenteschi, filtrati attraverso l’insegnamento di M. Proust e V. Woolf. Da un lato il romanzo presenta la forma del romanzo storico, dall’altro la prospettiva è tutta interiore provocata dall’eco che gli avvenimenti hanno nell’animo del protagonista, il principe di Salina (La morte del principe, pag. 433). Un grande interprete della crisi del ceto intellettuale tra la prima guerra mondiale, il fascismo e la ricostruzione fu Carlo Emilio Gadda (Milano 1893-Roma 1973), che ha sempre rifiutato e deriso la risorgente figura dello scrittore-vate, dell’intellettuale-guida scagliandosi sia contro d’Annunzio sia contro il neorealismo postbellico. Dalla concezione d’intellettuale deriva quella gaddiana di scrittura. L’attività dello scrittore è rappresentata da Gadda quale dura lotta con la realtà esterna, con cui ogni pretesa dell’io deve misurarsi. Il mondo è un groviglio caotico di cose che rende impossibile e ridicolo ogni tentativo dell’io di fondare un giudizio sulla propria soggettività: cause esterne inglobano, avvolgono l’io fino a farne un elemento qualsiasi di disordine e di irrazionalità. Si è parlato per Gadda di realismo, che per lui consiste nella ricerca di una scrittura che rinunci ad adempiere a un atto creativo e aspiri a porsi quale conoscenza della realtà. Se la scrittura è conoscenza possibile della realtà, tuttavia l’unica realtà conoscibile per mezzo della lingua è la realtà linguistica. Lo scrittore moderno non può che cedere ala frammentazione dei linguaggi, espressione della frammentazione della realtà. Crisi di interpretazione del mondo in modo unitario, crisi del linguaggio letterario, crisi delle ideologie totalizzanti sono in Gadda la stessa cosa. L’assurda complessità del mondo, il suo caos invadono la pagina gaddiana fino a farne un pastiche.
La narrazione ne risulta di continuo distratta, costretta a percorrere vie secondarie nel tentativo di controllare ogni vuoto di senso che si apre nel procedere. Il suo libro più noto si intitola Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: ha le caratteristiche del giallo, il protagonista è un commissario, ma non si giunge mai alla conclusione per il gomitolo inestricabile di relazioni. Di qui ne deriva anche l’impossibilità dell’autore di concludere le proprie opere (L. Pirandello) e il suo passato glorioso si converte in una condizione di debolezza e vergogna, di debolezza e impotenza. E proprio da questa sconfitta prende origine il furore dissacratorio contro i valori della tradizione non più praticabili. L’unica funzione che resta ala letteratura è quella di registrare l’assurdità del reale e la stupidità dilagante della società borghese. Altre opere di Gadda sono: La Meccanica, La Madonna dei filosofi, La cognizione del dolore, costruzione che ricalca fedelmente le coordinate della biografia gaddiana e il protagonista Gonzalo con le sue nevrosi rispecchia la crisi della borghesia (L’incendio di via Keplero, pag.477).
Sono diverse le parole chiave in campo politico- economico-letterario del secondo Novecento: il neocapitalismo, il ’68, lo sperimentalismo, la Neoavanguardia, il Postmoderno. Il periodo considerato comprende due fasi successive: la prima comincia alla fine degli anni Quaranta negli Stati Uniti e all’inizio degli anni Cinquanta nei maggiori paesi europei ed è un periodo di sviluppo economico con risultati sorprendenti (miracolo economico), ma anche di ampie lotte sociali fatte da operai e studenti; la seconda si apre dopo il 1973 ed è segnata dalla stagnazione, dall’inflazione e dalla crisi economica. Sul piano letterario alla prima corrispondono lo sperimentalismo e la Neoavanguardia, mentre la seconda coincide con il Postmodernismo. Lo sperimentalismo è la tendenza letteraria a sperimentare contenuti nuovi rispetto al passato in polemica contro il Neorealismo e l’Ermetismo. Tuttavia, mentre lo sperimentalismo di Pasolini e di Officina non rinnega la tradizione (Pascoli, Carducci, i vociani), la Neoavanguardia (Gruppo ’63, i novissimi E. Sanguineti, Pagliarani) conduce una lotta radicale contro il Neorealismo, l’Ermetismo, ma anche contro l’intera tradizione italiana otto-novecentesca. A partire dal 1973 domina nel Postmoderno il senso del limite della relatività delle conoscenze. Tutto è già stato fatto e visto; ora ci si può solo orientare in un mondo labirintico.
Pier Paolo Pasolini (Bologna 1922-Roma 1975) si laureò con una tesi su Giovanni Pascoli. Esordì giovanissimo con un libro di poesie in dialetto friulano, la lingua materna, Poesie a Casarsa (1942), che ebbero la recensione del grande critico Gianfranco Contini. La severa durezza del padre e la mitezza dell’amatissima madre sono alla base di un profondo conflitto edipico al quale è da ricollegare l’omosessualità stessa del poeta. Nel 1949, dopo essere stato cacciato dal PCI per l’accusa di omosessualità, si trasferisce a Roma dove ottiene i primi successi con i romanzi Ragazzi di vita (1955) e Una vita violenta (1959). Nello stesso periodo partecipa alla vita della rivista bolognese Officina, aperta allo sperimentalismo formale e politicamente impegnata. Dal 1960 scopre il cinema come forma d’arte e alcuni dei suoi film più belli sono Accattone, Mamma Roma, La ricotta. Verrà assassinato il 2 novembre 1975. Non è facile valutare la grande varietà dell’impegno artistico dello scrittore, anche per la complessità della sua figura che accolse in sé per la dichiarata diversità le contraddizioni della società contemporanea. Si possono riconoscere comunque due fasi della sua attività. La prima fase è quella più tradizionale e qui la priorità è data alla letteratura: al suo interno si nota un’evoluzione significativa dal simbolismo decadente delle prime opere (raccolte in La meglio gioventù 1954, in dialetto friulano e in L’usignolo della Chiesa Cattolica 1958) all’impegno civile e ideologico della seconda metà degli anni Cinquanta (Le ceneri di Gramsci 1957 e La religione del mio tempo 1961). Nelle opere giovanili predominano il contrasto tra purezza e peccato e le influenze del Simbolismo e dell’Ermetismo. Nelle opere più mature prevalgono invece la tendenza narrativa, la scoperta del plurilinguismo dantesco (compone poemetti in terzine). Un verso straordinario esprime in sentesi la sua poetica: Tremando d’intelletto e passione. La seconda fase va al di là della letteratura: il cinema non è solo uno strumento alternativo alla letteratura, ma anche un modo di criticarla e persino di rifiutarla. Il cinema blocca la realtà, quindi la compie e le attribuisce un significato: viene  considerato la lingua scritta della realtà Dopo Poesia in forma di rosa (1964), con Trasumanar e organizzar (1971) presenta la condizione alienata dell’uomo-massa facendo ormai coincidere l’esperienza vissuta del poeta con l’unica verità. La tematica della corporalità e il rilancio della dimensione privata non avevano in Pasolini il valore di una alternativa alla politica, ma di una forma estrema di opposizione contro l’omologazione imperante. Negli Scritti corsari Pasolini riflette sulle trasformazioni linguistiche sul nuovo modello dopo la seconda rivoluzione industriale: la televisione e il primato della scienza e della tecnologia sulle vecchie discipline umanistiche. Sembra nascere una nuova lingua unitaria che ha alla base solo una logica aziendale e di consumo. Pasolini scrive anche diversi articoli sull’attualità con un punto di vista  (Contro la televisione, pag.921; Droga e cultura, pag. 923; In difesa del latino, pag.928).
Italo Calvino (Santiago de las Vegas 1923- Siena 1985) è un classico del Novecento e uno degli autori più noti all’estero. Ha frequentato tutte le tendenze del secondo Novecento senza per altro aderire a nessuna. Nel primo periodo (1945-1964) della sua attività ha sfiorato il Neorealismo con i romanzi sulla Resistenza Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e Ultimo viene il corvo (1949). Resta lontano da tentazioni ideologiche e propagandistiche, scegliendo come protagonista un ragazzo, Pin, che concepisce la vita come un’avventura picaresca. I suoi partigiani non sono esemplari: allo scrittore preme il ritmo fantastico del racconto. Negli anni Cinquanta continua il realismo, ma guarda anche allo sperimentalismo di Officina e del Menabò. Gli elementi costitutivi del Sentiero dei nidi di ragno (fantastico e realistico) si scindono in due filoni diversi: uno è quello fantastico allegorico, ispirato ad Ariosto e a Voltaire, l’altro quello sociale volto a una conoscenza critica della storia. Nel primo rientrano Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante(1957), Il cavaliere inesistente (1959), poi riuniti sotto il titolo de I nostri antenati. Nel secondo diversi racconti e il romanzo breve La giornata di uno scrutatore (1963). I due filoni si incontrano e si sovrappongono nei racconti Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (1963). Nel secondo periodo (1964-1985), trascorso per lo più in Francia, è passato all’interesse per la scienza e per la semiologia e infine a praticato le tematiche del Postmoderno. Questo periodo prende avvio da due libri Le Cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1967). Si tratta di un mondo fantastico antecedente all’umanità, ma le entità assumono forme umane e vivono la quotidianità. Il cosmo si presenta come una combinazione di eventi possibili, la scienza non rivela certezze, ma mette a nudo problemi. Ne deriva un senso di estrema relatività: l’evoluzione del cosmo non segue una strade sicura, ma una delle tante strade possibili. L’approccio al mondo si risolve in gioco linguistico (Il castello dei destini incrociati 1969). Il gioco combinatorio resta al centro anche del successivo Le città invisibili (1972) che si ispira al Milione di Marco Polo. Questo romanzo presenta risultati artistici più interessanti perché in esso resta aperto il confronto fra letteratura e realtà. L’ultima opera metanarrativa è Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979). Più che di un vero romanzo si tratta di un metaromanzo, di un racconto che intende mettere in discussione i meccanismi stessi della narrazione, affrontando la questione dei rapporti tra lettore e scrittore. Il libro è formato da dodici capitoli e comprende dieci inizi di altrettanti romanzi. I loro titoli, letti di seguito con l’aggiunta del titolo di un altro romanzo possibile, formano poi un altro incipit romanzesco. I dieci inizi si possono leggere come racconti autonomi, ma tutti interrotti. Questa struttura aperta e complessa è inserita in una storia chiusa, tradizionale, dotata di lieto fine, che ha funzione di cornice. Sin dall’inizio lo scrittore si rivolge con il tu al lettore che ha comprato una copia di Se una notte…, ma l’ha trovata difettosa. Egli ricerca una copia integra, incontra la lettrice Ludmilla a cui è accaduta la stessa cosa. Si mettono a cercare insieme ma i loro tentativi falliscono: alla fine si sposano. E’ una metafora: la ricerca del romanzo compiuto fallisce, come fallisce la ricerca di un significato complessivo da dare alla vita e al mondo. L’ultima opera narrativa sono i racconti di Palomar (1983). Il protagonista Palomar, che deve il suo nome ad un famoso osservatorio americano, vuol trovare la chiave per capire il significato della realtà. L’unica possibilità è annullare l’io e imparare ad essere morti. Si può leggere l’apologo della ragione di fronte all’insignificanza del reale, ma anche sulla sconfitta e la morte dell’intellettuale (La contemplazione delle stelle, pag. 875). Significative le parole finali de Le città invisibili di Calvino a chiusura del nostro percorso letterario:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne: Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno a diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”.

 

 

 

 

 

Riassunto canti XVIII-XXXIII
Canto XVIII
Dopo aver ascoltato le parole di Cacciaguida che gli ha indicato alcune anime beate del quinto cielo, Dante si accorge dall’aumentato splendore degli occhi di Beatrice di essere passato al cielo di Giove, dove risplendono gli spiriti giusti. Essi, come uccelli in volo levati, disegnano in cielo varie figure fino a formare diverse lettere dell’alfabeto. Dante chiede l’aiuto delle Muse per l’alta materia. Legge infine Diligite iustitiam qui iudicatis terram. La lettera finale si trasforma in un giglio araldico, poi in un’aquila (simbolo dell’impero e immagine dell’ordine politico predisposto da Dio). A Dante appare evidente che la giustizia terrena dipende dall’influenza di questo cielo.
Canto XIX
L’aquila formula in termini concreti il dubbio di Dante: perché deve essere escluso dalla salvezza chi si comporta in modo giusto, ma non ha fede, non per sua colpa, ma per essere nato in un luogo dove non ha mai sentito parlare di Cristo?
Canto XX
L’aquila ha finito di parlare e tutte le luci che la compongono cominciano a brillare e cantare, finché cessato il canto, attraverso il suo collo risale un mormorio come di fiume e dal becco escono parole che l’animo del poeta si aspettava. Dante è invitato a guardare l’occhio perché lì risplendono gli spiriti più alti di quel cielo: vi sono ebrei, cristiani, ma anche pagani (il troiano Rifeo proclamato da Virgilio il più giusto). L’aquila rivela che il regno dei cieli è vinto dall’amore e dalla speranza degli uomini, perché Dio stesso vuole essere vinto. Misterioso è il disegno della salvezza.
Canto XXI
Dante guarda Beatrice, la quale stranamente non sorride. Ella spiega al suo discepolo che non può farlo perché la sua bellezza si è tanto accresciuta salendo che se non si moderasse, egli sarebbe annientato. Ormai sono saliti nel settimo cielo(Saturno -spiriti contemplanti). Compare nel cielo una scala d’oro tanto alta che la cima si sottrae alla vista; lungo i gradini scendono innumerevoli luci. La luce più vicina brilla intensamente per dimostrare il suo amore ed è stata predestinata ad accoglierlo. A Dante resta difficile capire il perché della predestinazione, ma anche le anime dei beati gli dicono che il disegno di Dio è imperscrutabile. E’inutile ch’egli uomini abbiano l’ardire di saperlo. Dante non insiste e chiede allo spirito chi sia: è san Pier Damiano che visse poveramente dedicandosi alla contemplazione nel monastero di Fonte Avellana fino a quando venne fatto cardinale, ufficio svolto ora da uomini ben peggiori, che vivono tra agi e lussi (“Oh, pazienza di Dio che tanto sopporti!” v. 135). Il canto si conclude con il grido delle luci.
Canto XXII
Beatrice gli dice che quel grido annunciava la punizione divina. Gli si presenta una luce luminosissima: si tratta di S. Benedetto, fondatore dell’abbazia di Montecassino affiancato da due spiriti contemplanti: Macario e Romualdo. Dante prende coraggio e chiede di poter vedere il loro volto, ma Benedetto gli risponde che sarà possibile solo nell’Empireo. Beatrice, vincendo con il suo potere la forza di gravità, spinge Dante sulle scale e il passaggio al cielo successivo è subitaneo. I due ritrovano nel cielo delle Stelle fisse, fermandosi nella costellazione dei gemelli sotto il cui segno il poeta è nato. Dante su invito di Beatrice guarda in basso per vedere il cammino, da ultimo gli appare la terra (L’aiuola che ci fa tanto feroci,v.151).
Canto XXIII
Beatrice attende, rivolta verso la parte più alta del cielo e Dante partecipa della sua attesa: dopo poco tempo Beatrice annuncia la venuta delle schiere delle anime salvate da Cristo. Tra migliaia di luci ne appare una più luminosa come luna tra le stelle: si tratta del corpo luminoso di Cristo e Dante non riesce a reggere lo sguardo. La mente del poeta in un rapimento mistico esce da se stessa e non ha memoria dell’esperienza fatta. Il poeta ha però potenziato le sue doti umane e può sostenere il sorriso della sua donna, ma il suo aspetto è tale da non potersi descrivere con parole umane (tema dell’ineffabile). Beatrice lo esorta a guardare il giardino illuminato dalla luce di Cristo i cui fiori sono le anime dei beati: tra loro ci sono la rosa, Maria, e i gigli, gli apostoli. Il poeta si rivolge a Maria da lui sempre invocata: è cinta da una luce piena, un angelo che le canta intorno. Anche i beati si protendono verso di lei come bambini verso la madre e intonano il Regina Coeli.
Canto XXIV
Scomparse le luci di Cristo e di Maria, risplendono le anime dei beati: ad esse Beatrice si rivolge perché diano conforto al desiderio di conoscenza del poeta. La donna si rivolge a San Pietro, il gran viro, che tiene le chiavi del Paradiso, pregando di esaminare Dante sulla fede. Dante si prepara a rispondere come uno studente di teologia: che cos’è la fede (ciò che dà realtà alle cose che si sperano), se lui la possiede (assolutamente sì), come l’ha acquisita (attraverso le Sacre Scritture confermate dai miracoli) e quale sia l’oggetto della sua fede (Dio uno e trino,verità proposta dalla ragione e dalla sacra scrittura).
Canto XXV
Dante esprime la speranza dell’esule, cioè che grazie al suo poema sacro possa ritornare in patria. Dal cerchio di luci si stacca San Giacomo, che lo interroga sulla speranza facendogli tre domande: che cosa sia la speranza, in quale misura egli la possieda e da dove gli sia venuta. Alla seconda domanda risponde Beatrice: la Chiesa non ha nessun figlio che abbia più speranza di Dante, perciò gli è stato concesso il viaggio ultramondano. Dante inizia con la definizione di speranza (“Spene”-diss’io-è uno attender certo della gloria futura,vv.67-68). Uno spirito si avvicina a loro danzando e il sommo poeta cerca di riconoscerlo penetrando con lo sguardo la fiamma di luce. E’ San Giovanni che lo rimprovera dicendo che solo Gesù e Maria sono in cielo con la veste corporea, mentre gli altri beati la rivestiranno al momento fissato
Canto XXVI
Mentre Dante è ancora accecato dalla nuova luce, San Giovanni lo conforta dicendo che riacquisterà la vista grazie a Beatrice. Inizia il suo esame sulla carità,chiedendogli quale sia l’oggetto del suo amore. Il poeta risponde che è Dio, principio e fine di ogni amore. Da chi o da che cosa è stato indotto l’amore verso Dio? Dalla ragione umana e dalla lettura delle Sacre scritture: San Giovanni non si accontenta. Dante indica ancora quattro cose che lo hanno portato ad amare Dio: la creazione del mondo e di lui stesso, la morte di Cristo per la sua salvezza e la resurrezione che è oggetto di speranza. Dante si accorge della presenza di una quarta luce e chiede chi sia: Beatrice gli rivela che si tratta di Adamo e Dante abbassa lo sguardo per riverenza, ma poi gli chiede ciò che gli sta a cuore. Quando fu posto nel Paradiso terrestre, per quanto tempo vi era rimasto (appena sette ore), qual è stato il motivo dell’ira divina (aver superato il limite imposto da Dio) e quale lingua abbia usato (4302 anni nel Limbo dopo essere stato 930 anni sulla terra, la sua lingua non si parlava più al tempo della costruzione delle torri di Babele).
Canto XXVII
Le anime intonano il Gloria, Dante è inebriato dalla dolcezza, San Pietro cambia colore e diventa rosso perché il suo usurpatore sulla terra ha trasformato in fogna il suo sepolcro. Tutti gli altri spiriti, compresa Beatrice, arrossiscono. Segue una requisitoria dell’apostolo in difesa della Chiesa delle origini e affida al poeta di riferire in terra ciò che gli ha manifestato. Le quattro luci (gli apostoli e Adamo) salgono in cielo fino a scomparire, Beatrice lo invita a guardare in basso, lo aveva già fatto nel cielo ottavo, ma ora il punto di vista è più ampio. Il poeta torna a guardare la donna amata, la prodigiosa virtù del suo sguardo lo spinge al cielo superiore, il Primo Mobile. E’ un cielo uniforme e singolare, perché da esso ha origine il movimento di tutto l’universo e ha il suo luogo nella mente stessa di Dio. Luce e amore lo avvolgono. Beatrice è amareggiata perché gli uomini non volgono lo sguardo al cielo e si dedicano alla corruzione.
Canto XXVIII
Dante scorge un bagliore negli occhi di Beatrice che ha appena pronunciato la sua amara denuncia. Egli si volge  a guardare da dove provenga la luce riflessa negli occhi della sua donna: scorge un punto luminosissimo e Beatrice gli spiega che da quel punto dipende tutto l’universo e che la velocità del movimento di ogni cerchio deriva dall’amore che lo spinge. In questo canto si lascia definitivamente il mondo dei miseri mortali, per incontrare i cori angelici. Tale cielo avvolge come un manto tutte le sfere celesti. Vengono descritte le gerarchie angeliche
Canto XXIX
La questione che ora Beatrice affronta andando incontro alla domanda di Dante riguarda la creazione degli angeli e le false idee che su di loro hanno gli uomini (ad esempio, l’idea che abbiano la memoria, mentre non hanno bisogno di ricordare poiché vedono tutto direttamente in Dio)
Canto XXX
I cori angelici spariscono come al mattino le stelle ed ora Dante è costretto a volgersi verso Beatrice, la cui bellezza è tale che solo il creatore può goderla. La donna gli annuncia che sono usciti dal Primo Mobile e sono nel cielo che è pura luce, l’Empireo: qui gli sarà concesso di vedere le schiere angeliche e dei beati, questi ultimi rivestiti della veste corporea che avranno nel giorno del giudizio finale. Una luce  lo avvolge per potenziarne la vista. Ora Dante riesce a vedere un fiume di luce, che, dopo aver preso forma circolare, si allarga sempre di più formando una rosa. Beatrice conduce Dante a centro della rosa e indica i posti vuoti, uno dei quali è destinato ad Arrigo VII.
Canto XXXI
Tutti nella rosa hanno il volto e il cuore rivolto a Dio e il poeta prorompe in u n’indicazione al Padre perché rivolga lo sguardo alle tempeste della vita terrena. Dante si volge a Beatrice per interrogarla, ma al suo posto scorge un vecchio dall’aspetto venerando, in atteggiamento paterno. Il vecchio gli indica Beatrice nel terzo ordine di seggi, spigandogli di essere stato da lei incaricato di guidarlo nell’ultima parte del viaggio (lumen gloriae). Dante solleva lo sguardo alla sua donna e le rivolge una commossa preghiera quella di custodire in lui fino alla morte l’opera di salvezza iniziata. Il santo vecchio invita Dante a guardare la candida rosa così da prepararsi alla visione di Dio: la regina del cielo, Maria, gli concederà la grazia perché a pregarlo è lui, il suo devoto Bernardo.
Canto XXXII
Bernardo con gli occhi fissi a Beatrice descrive la disposizione dei santi nella candida rosa: Antico e Nuovo Testamento. Dopo la venuta di Cristo è stato indispensabile il Battesimo. Il tempo della visione è finito, è giunto quello della contemplazione. Per questo occorre chiedere la grazia a dio per intercessione di Maria, e il santo invita Dante a seguire con il cuore la preghiera che sta per fare.
Canto XXXIII
Inizia la splendida preghiera alla Vergine, a cui San Bernardo non chiede solo la contemplazione, ma anche la protezione del pellegrino dante che possa tornare sulla terra senza le nubi della mortalità. Maria gradisce la preghiera poi torna con lo sguardo a Dio. Bernardo invita Dante a guardare in alto, ma lui lo sta già facendo. Egli implora di riuscire con i suoi versi a dare una pallida immagine di ciò che ha visto. Una luce acutissima colpisce Dante e fissando quella luce il suo sguardo si inoltra nel mistero di Dio: vede come tutta la realtà possa essere molteplice e nello stesso tempo una. Il ricordo è confermato dalla gioia che egli sente a raccontarlo: egli ne ha fatto esperienza.  Distingue tre cerchi di diversi colori ma di uguali circonferenza: il secondo sembra riflesso dal primo, il terzo sembra un fuoco che sprigioni dai primi due (Trinità). Nel secondo cerchio appare dipinta l’immagine dell’uomo (Incarnazione). D’improvviso la mente del poeta è percossa da un lampo luminoso che esaudisce il suo desiderio. Qui gli viene meno la possibilità di vedere, ma ormai il suo desiderio è mosso dall’amor che move il sole e l’altre stelle.

 

 

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