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I Promessi Sposi
La prima redazione del romanzo, il Fermo e Lucia, fu scritta tra il 1821 e il 1823; la sua revisione avvenne fra il 1824 e il 1827, quando il romanzo fu pubblicato col titolo I promessi sposi. Nel 1840 uscì una seconda edizione, rivista sul piano linguistico sulla base del fiorentino parlato dalla borghesia colta. L'opera comprende una introduzione, dove compaiono l'inizio della trascrizione di un presunto manoscritto del Seicento, che conterrebbe la storia, e le successive riflessioni dell'autore su di esso; poi, trentotto capitoli di narrazione; infine, in appendice, la Storia della colonna infame.
Il romanzo è diviso in sei nuclei narrativi. I protagonisti, Renzo e Lucia, agiscono insieme solo nel primo e sesto nucleo; nella parte centrale sono divisi. Da questi sei nuclei restano esclusi i cc. 18-19° e i cc. 28-32° nei quali i protagonisti non appaiono in azione. Giacché le vicende dei due fidanzati si svolgono in modo parallelo, questi due gruppi di capitoli le collegano fra loro e favoriscono il trapasso dall'una all'altra.
primo nucleo narrativo (cc. 1-8°): Due bravi, al servizio di don Rodrigo, intimano a don Abbondio di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Il curato torna a casa e racconta tutto a Perpetua, la serva. Quando Renzo va a trovarlo per gli ultimi preparativi del matrimonio, rifiuta di celebrarlo. Agnese, madre di Lucia, consiglia di chiedere soccorso all'avvocato Azzeccagarbugli, mentre la figlia manda fra Galdino a chiamare in aiuto padre Cristoforo. Renzo è cacciato da Azzeccagarbugli, amico di don Rodrigo. Padre Cristoforo accorre. [Il narratore racconta la storia di questo personaggio che si chiamava Lodovico e che aveva ucciso un suo aggressore prima di farsi frate.] Cristoforo si reca al castello di don Rodrigo per farlo ravvedere e lo trova a tavola con il podestà, il cugino Attilio e Azzeccagarbugli, ma il successivo colloquio resta senza risultati. A questo punto Agnese consiglia a Renzo e Lucia di organizzare un matrimonio clandestino. I due testimoni saranno Gervasio e Tonio. Contemporaneamente don Rodrigo organizza il rapimento di Lucia. Ma, quando i bravi arrivano di notte alla casa di Agnese e Lucia, la trovano vuota, perché le due donne sono a casa di don Abbondio per tentare il matrimonio di sorpresa. Fallita anche questa iniziativa, i due fidanzati e Agnese cercano rifugio al convento di padre Cristoforo che li fa fuggire.
secondo nucleo narrativo (cc. 9-10°): Renzo e Lucia si separano. La ragazza va a Monza con la madre nel convento di Gertrude.
prima digressione (fine c. 9° e buona parte del c. 10): storia di Gertrude e della sua monacazione forzata.
terzo nucleo narrativo (cc. 11-17°): Renzo giunge a Milano con una lettera per padre Bonaventura, ma non la consegna, perché è attratto dai tumulti per il pane. Dopo il saccheggio ai forni, è assalita la casa del vicario di provvisione. Renzo aiuta i sostenitori di Antonio Ferrer e si atteggia a protettore della folla. Stanco, si reca all'osteria della Luna Piena accompagnato da una spia della polizia e si rifiuta di dare il proprio nome all'oste, ma lo dice al suo accompagnatore. L'oste va a denunciarlo al Palazzo di Giustizia. Alla mattina Renzo è arrestato, ma fugge con l'aiuto della folla. A Gorgonzola, in un'altra osteria, ascolta da un mercante la storia dei tumulti e la notorietà che ha acquistato in città. Fugge per tutta la notte, sinché giunge all'Adda. Dorme in una capanna e all'alba passa il fiume e si reca dal cugino Bortolo nel territorio della repubblica di Venezia.
seconda digressione (cc. 18-19°): Attilio si rivolge al Conte zio per averne l'aiuto contro padre Cristoforo, colpevole di proteggere Renzo, il cui mandato di cattura è arrivato sino al paese. Il Conte zio convince il Padre provinciale dei cappuccini a trasferirlo: padre Cristoforo è mandato a Rimini. Don Rodrigo si rivolge all'Innominato per averne l'aiuto. Storia dell'Innominato.
quarto nucleo narrativo (cc. 20-27°): attraverso Egidio, il suo amante, Gertrude è convinta a far uscire Lucia dal convento. La ragazza è rapita dal Nibbio, luogotenente dell'Innominato. La ragazza, portata al castello, è affidata a una vecchia serva. La notte, l'Innominato si reca a trovarla e esce sconvolto dall'incontro. Lucia fa voto di castità, se riuscirà a salvarsi. L'innominato passa la notte insonne e al mattino vede la festa per la visita pastorale del cardinale Federigo Borromeo. L'Innominato si reca da lui e si converte. I due decidono come salvare Lucia. Don Abbondio è mandato al castello con una brava donna. Lucia è liberata e portata a casa del sarto, poi al paese natio. Il cardinale va in visita al paese di Lucia e rimprovera don Abbondio, per non aver celebrato il matrimonio. Poi Lucia va a Milano presso donna Prassede e don Ferrante. Fra Agnese e Renzo, che ha cambiato nome (Antonio Rivolta), si svolge una faticosa corrispondenza.
terza digressione (cc. 28-32°): storia della carestia dell'inverno 1628-29. Scendono in guerra i lanzichenecchi nell'autunno 1629. Abbondio, Agnese e Perpetua fuggono nel castello dell'Innominato; dopo 23-24 giorni tornano alle loro case, che trovano saccheggiate; intanto si diffonde la peste. Le autorità milanesi non sanno fronteggiarla. L'11 giugno 1630 si tiene una processione che accelera la diffusione del contagio. Inizia la caccia agli untori.
quinto nucleo narrativo (cc. 33-35°): don Rodrigo a MIlano è colpito dalla peste e, tradito dal Griso, è portato al lazzeretto. Renzo nel Bergamasco si ammala, ma guarisce e va a cercare Lucia. Torna al paese e trova la sua casa semidistrutta. Un amico lo ospita. Poi parte per Milano e arriva nella città sconvolta dalla peste. Giunto a casa di don Ferrante e di donna Prassede, insiste per avere informazioni di Lucia, che è stata portata al lazzeretto. E' scambiato per un untore e si salva saltando su un carro dei monatti. Al lazzeretto incontra padre Cristoforo che, colpito dalla peste, continua a curare i malati. Assiste con lui all'agonia di don Rodrigo e lo perdona.
sesto nucleo narrativo (cc. 36-38°): Renzo ritrova Lucia che ha avuto la peste, ma sta guarendo. Vuole restare fedele al voto di castità. Fra Cristoforo scioglie il voto. Il giovane lascia il lazzeretto e torna al paese. La peste finisce. Al paese ritorna Agnese. Insieme la donna e Renzo aspettano Lucia che, uscita dal lazzeretto con una buona vedova, torna dopo la quarantena. Don Abbondio, guarito dalla peste che ha ucciso Perpetua, fa resistenza, finché non viene a sapere della morte di don Rodrigo. L'erede di costui, un marchese, agevola le nozze. Dopo le nozze, Renzo, Lucia e Agnese si trasferiscono nel Bergamasco, dove il giovane diviene un imprenditore nel campo della seta. Alla loro prima figlia è imposto il nome di Maria.
Capitolo 1°.
La vicenda è subito inquadrata nella cornice del paesaggio e dell'epoca storica (7 novembre 1628). La cornice storica spiega il carattere di don Abbondio e dei bravi, nonché la trama, che sarebbe incomprensibile fuori del clima di illegalità che caratterizza il Seicento. A collegare il particolare al generale è il narratore, che conosce tutto quanto conoscono i singoli personaggi ed anche le radici ultime di ciò che è narrato.
Manzoni si muove su due piani: la descrizione e il racconto, da una parte, e, dall'altra, la riflessione, che porta su un piano universale le osservazioni particolari. Dal carattere di don Abbondio si risale alle strutture sociali del Seicento e poi su un piano ulteriore, che riguarda la natura umana immutabile nei tempi: questo è l'ambito del moralista, che riflette sulla vita umana.
Don Abbondio è una figura innovativa, un personaggio complesso, ma prosaico. Manzoni lo osserva con ironia, ma lo prende anche sul serio. Con lui nasce il personaggio moderno, interessante senza essere convenzionalmente romanzesco e calato nel reale.
1. Isola nella descrizione introduttiva i punti in cui Manzoni si limita ad analizzare il paesaggio da quelli in cui individua la presenza del tempo e della storia umana.
2. Parlando delle attività dei soldati spagnoli a Lecco, Manzoni usa alcune ironiche metafore: chiariscine il senso.
3. Il ritratto psicologico di don Abbondio è illustrato prima da una litote e poi da una similitudine: individuale e approfondiscine il senso.
Capitoli 2-3°.
Tra le scelte innovative di Manzoni c'è quella di scegliere come protagonisti uomini e donne di modesta condizione sociale. Renzo e Lucia rappresentano un modello di vita umile, ma operosa e attiva. Sono poveri solo in relazione alla loro impotenza di fronte ai soprusi della società. Il protagonista è un ragazzo irruente, tentato dal rispondere al male col male, ma anche estraneo alla violenza, grazie al legame con Lucia. Di lei sono sottolineate la soavità, la ritrosia, la modestia, mentre Renzo è un eroe positivo, ma immaturo e destinato a mutare.
La sua reazione alla notizia del sopruso di don Rodrigo innesca una riflessione sugli effetti del male e sul pervertimento che causa negli animi degli offesi. La vicenda rimanda a un conflitto sociale più universale. Ma l'idea di Manzoni è che davanti all'ingiustizia di un potere irresponsabile, i poveri non devono cercare lo scontro, ma sopportare, confidando in Dio.
1. Traccia un profilo del carattere di Renzo e della sua condizione economico-sociale.
2. Per quale motivo don Abbondio pronncia in latino alcune delle cause previste dal codice per dichiarare la nullità del matrimonio?
3. Spesso il narratore interrompe la narrazione per esprimere giudizi di carattere generale. Rintraccia nel testo alcuni interventi e chiariscine il senso in relazione al contesto narrativo in cui sono inseriti.
Capitolo 4°.
La storia di Lodovico-Cristoforo ripropone i temi al centro del romanzo. Tra Lodovico e Renzo c'è analogia: entrambi possono cedere alla violenza, il frate che ha sbagliato non vuole vedere i propri errori ripetuti dal protetto. Lodovico è una vittima di un mondo inautentico, le cui regole lo portano allo scontro e all'omicidio: di esse Manzoni fa una esplicita parodia.
La conversione di Lodovico si svolge in una dimensione pubblica: i cappuccini seguono la vicenda come un caso politico, preoccupati dall'onore dell'ordine; il padre guardiano fa da intermediario fra Lodovico e il fratello dell'ucciso; la confessione davanti a tutti, però, modifica le carte in tavola. Non si tratta di una cerimonia per salvare il buon nome di tutti, ma diventa, grazie alla fede del nuovo frate, una testimonianza vera di fede, capace di mutare tutti i presenti. Lodovico-Cristoforo appare così quasi trasformato in un santo, che riesce a incidere sulla vita di chi gli sta attorno: in realtà, non sarà più così, come si vede nel seguito del romanzo. Questi elementi conferiscono al passo un tono agiografico, sul quale Manzoni opera alcune strategie di moderazione, come quando osserva che la folla dei domestici cambia atteggiamento troppo rapidamente.
1. Descrivi i tratti del carattere di Lodovico in rapporto all'ambiente in cui vive e sottolinea quelli che restano anche in Cristoforo.
2. M., nel riferire le regole del codice cavalleresco e il linguaggio che lo regola, ne vuol mettere in evidenza il formalismo vuoto. Individua i punti in cui l'autore sottolinea in chave ironica questi aspetti.
3. Nella scena del perdono Manzoni insiste sull'esemplarità del comportamento di Cristoforo. Individua gli elementi che creano intorno al frate quasi un'aureola di santità.
4. La storia di Lodovico presenta un collegamento con la vicenda appena vissuta da Renzo. Quali riflessioni puoi trarre dal confronto fra i due episodi?
Capitolo 5-6°.
Il tema della lotta fra bene e male, nella scena dello scontro fra padre Cristoforo e don Rodrigo, è calato in una dimensione realistica. Nessuno dei due assume una dimensione assoluta, tragica o romantica. Manzoni si preoccupa, invece, di rendere complessa la loro psicologia. Il frate è combattuto fra sentimenti e istinti contrastanti e la sua umiltà è una conquista. Il nobile è un uomo piccolo, sul quale le parole di padre Cristoforo hanno effetto.
Lo scontro riguarda non solo due personalità, ma due classi, che per confrontarsi devono scendere a patti con le convenzioni. Da una parte, l'uomo di chiesa usa lo stile semplice e sostenuto dell'oratoria sacra e costruisce un discorso intessuto di citazioni bibliche; dall'altra, lo Spagnolo si serve della lingua dell'onore, ma anche dell'arroganza. Il suo stile oscilla fra complicati giri di parole e scatti d'ira.
1. Come reagisce fra Cristoforo all'arroganza di don Rodrigo? Individua i suoi diversi stati d'animo.
2. Sottolinea le insinuazioni ironiche usate da Rodrigo nel colloquio.
3. Nel discorso del frate sono presenti citazioni bibliche: fa' almeno un esempio tratto dal testo.
4. Rodrigo si esprime col linguaggio dell'onore: individua le espressioni che rimandano a questo codice.
Capitolo 8°.
La scena della notte degli inganni inizia con un quadro tranquillo, domestico e ironico: don Abbondio sta leggendo; segue il dialogo fra Agnese e Perpetua, il quale prepara l'animazione successiva: la conversazione fra il curato e Tonio, alla presenza di Gervaso, l'entrata in scena di Renzo e Lucia col parapiglia successivo, infine le campane. La scena si allarga così dall'interno all'esterno.
Manzoni utilizza alcuni modi del melodramma: il crescendo ritmico (sempre più personaggi in scena, sempre più animazione), la comicità (la gag sui trascorsi amorosi di Perpetua, la presenza di Gervaso, le ansie dei paesani). Il tono parlato è ricreato grazie alla semplicità e alla frequenza di esclamazioni e modi di dire. Manzoni però rallenta, quando la sua attenzione si ferma su Lucia.
In particolare, nel passo dedicato all'addio ai monti, M., che ha rinunciato a uno stile lirico, lo ripropone: l'invocazione agli elementi del paesaggio, le anafore, le riprese creano un effetto di commozione, tutto reso dal punto di vista di Lucia.
1. Manzoni per descrivere il viso del curato usa una similitudine: quale idea del personaggio vuole tasmettere?
2. In cosa si può notare una struttura teatrale della prima scena?
3. Su cosa si fonda in questo passo la comicità di M.?
4. Nell'"Addio ai monti", è presente il tema dell'opposizione città-campagna. Con quali caratteri sono descritti questi luoghi?
3. Individua gli elementi stilistici e retorici (anafore, riprese, invocazioni, clausole ripetute, aggettivazione) che definiscono il lirismo del passo.
Capitoli 9-10°.
Gertrude, la fanciulla che il nobile padre, per evitare di impoverirsi, costringe alla monacazione, è vittima dello stesso mondo sociale inautentico nel quale vivono Renzo, Lucia e Lodovico. Ma, se essi rispondono all'ingiustizia con la fede, Gertrude la rifiuta e da vittima si muta in carnefice, finendo per essere condannata da Manzoni
Per essa come individuo, fin da subito, il padre non ha mai avuto interesse: la sua interiorità non è mai davvero contata, ma solo il prestigio della famiglia. Lo stesso atteggiamento, vanitoso e indifferente, sarà da lei riproposto in convento, dove finisce perché non riesce ad opporsi alle violenze del suo ambiente.
Questa inerzia, evidente soprattutto nella confessione con il vicario, è, secondo M., colpevole, come la sua complicità con Egidio e la scelta di farsi trascinare nel peccato. Gertrude si chiude in sé, rifiutando il mondo esterno: la sua vera prigione non è il convento, ma l'incapacità di guardare alla realtà e al dolore per superarlo nella speranza di un bene futuro, mentre la fanciulla si perde, finendone succube, nelle sue fantasie.
Del resto, la violenza, di cui è oggetto, non è mai del tutto aperta. In principio, è pura suggestione, per cui le si presenta come naturale ciò che non lo è; anche in seguito, essa tende a mascherarsi: il padre può essere duro, ma sempre con l'implicito sottinteso che è legittimato dall'interesse per un bene superiore.
1. Analizza su quali elementi si fa leva per instillatare in Gertrude l'idea della monacazione. Quali mezzi concreti e psicologici sono usati?
2. Fa' un ritratto psicologico del principe padre: descrivine il carattere, i valori, il modo di atteggiarsi in famiglia e società, il linguaggio.
3. Nell'episodio del paggio, Gertrude incontra qualcosa di vicino all'amore. Manzoni non usa questa parola. Perché? Rifletti sulla natura del sentimento provato dalla giovane donna.
4. Gertrude è un personaggio che segue un'evoluzione lineare, o un personaggio che si dibatte in un mondo chiuso?
Capitolo 12°.
Renzo arriva a Milano durante l'assalto ai forni. La folla, ridotta alla fame, si dà ad un gesto irrazionale e brutale. Manzoni la descrive, con disapprovazione e spavento, come fosse una castatrofe naturale, come una forza distruttiva lasciata a se stessa. Registrando e accostando i discorsi di chi la compone, Manzoni dimostra che sono falsi ragionameti, luoghi comuni, frasi fatte.
Ma, se la folla è bestiale, anche i rappresentanti dell'ordine pubblico sono ipocriti e inetti. L'unica voce di ragione è quella di Renzo, l'ingenuo montanaro che cerca di non farsi travolgere dal tumulto. Egli rappresenta, in contrasto con il popolo ribelle e sanguinario, un popolo buono, dotato di buon senso, moderato, cristianamente disposto alla sopportazione.
1. Descrivi il comportamento della folla che si prepara ad assaltare il forno e quello di coloro che si trovano chiusi dentro.
2. Individua gli interventi dell'autore i quali esprimono un giudizio negativo sulla folla, sottolineando i sostantivi e le metafore usati.
3. Esamina il comportamento del capitano del popolo, indicando i passaggi che svelano l'ipocrisia delle sue parole e mettono in luce i suoi veri sentimenti verso la folla.
Capitolo 17°.
Renzo fugge da Milano, ripensando agli eventi che l'hanno visto protagonista e al suo rapporto con Lucia, Agnese, padre Cristoforo, che rappresentano il mondo dei valori che lo guidano nella sua crescita morale, nella sua scelta di una vita "adulta". Alla fine, è il pensiero di Dio a contribuire alla sua accettazione delle avversità.
Il paesaggio nel quale si muove rispecchia i suoi timori, poi le sue speranze: in particolare, ha una forte confidenza con la voce dell'Adda. D'altra parte, il fuggiasco sta andando non verso la campagna, ma verso Bergamo: dunque, alla città sconvolta dai tumulti e dall'ingiustizia non è opposta la campagna, ma un'altra città dove si lavora nella pace e nell'ordine. Ed è così che, quando dà l'addio alla sua terra, lo fa sì con affetto, ma anche lamentandosi del "mondo birbone" nel quale è nato: in questo, è fondamentalmente diverso da Lucia, per la quale la patria era la casa, il luogo naturale in cui comporre gli affetti.
Due sono dunque i modelli della narrazione: il romanzo di formazione, nel quale il protagonista immaturo trova la strada per diventare adulto; e quello picaresco, nel quale invece il protagonista, giovane e ribaldo, affronta molte avventure in una regressione all'infanzia. Non a caso il tono stilistico dell'incipit ("Cammina cammina") è fiabesco.
1. Come si presenta il paesaggio all'alba? Qual è il significato simbolico di questa descrizione?
2. Come muta il paesaggio? Che relazione ha con gli stati d'animo di Renzo?
3. In che senso Lucia, Agnese e padre Cristoforo assumono, in questo contesto, un valore simbolico?
4. La Provvidenza è presente in questo capitolo in due punti: che significa la fiducia espressa da Renzo verso di essa?
Capitolo 20°.
L'innominato è una figura grandiosa e misteriosa: è un uomo solitario, superbo, dalla volontà indomabile, indipendente e abituato a svolgere un ruolo di supremazia. Le fonti storiche cui Manzoni si richiama sono attente a non rivelarne l'identità. Questo senso di mistero serve a collocarlo in uno sfondo di leggenda, rafforzato dall'aspetto sinistro del suo castello, posto fra la Lombardia spagnola e la repubblica veneta, da dove il potente signore può dominare tutto lo spazio all'intorno. Nelle stanze nude e buie, spiccano solo strumenti per aggredire e uccidere: tutti elementi che richiamano il romanzo gotico.
Il primo indizio della crisi che tormenta l'innominato è segnalato dalla rapidità con cui congeda don Rodrigo. A determinare il mutamento è una forza occulta, che lo induce a mettere subito a tacere i dubbi. Preferisce situazioni note anziché affrontare l'ansia di un confronto con l'angoscia che gli procurano i suoi atti scellerati. Altri pensieri si fanno strada nella sua mente: la vecchiaia, la morte, il giudizio di Dio; da qui nasce la sua solitudine, nella quale la voce divina si annuncia come un grido interiore, che si fa sentire quando l'uomo si sente abbattuto senza motivo, terrorizzato senza pericolo.
1. Descrivi il paesaggio del castello e il castello stesso, sottolineando le espresisoni che denotano aridità, vuoto, abisso, inaccessibilità.
2. Delinea il ritratto fisico dell'innominato.
3. Rintraccia gli elementi che fanno dell'innominato una figura eccezionale.
Capitolo 21°.
Il brano è articolato in due parti, legate da un rapporto di opposizione e analogia: da una parte, un'ansiosa Lucia trova nel pensiero di Dio la consolazione e quindi il sonno; dall'altra, l'ansioso innominato è ancora più angosciato dal pensiero di Dio e resta sveglio tutta la notte, finché anche a lui la salvezza è portata dalla fede.
Uno dei punti decisivi nella riflessione dell'innominato è rappresentato dal pensiero della morte: l'immagine del suo cadavere senza forza lo sgomenta, perché non può riconoscersi in quel corpo. La sua salvezza sta nel rendersi conto che rimarrà se stesso anche convertendosi al bene. Quando, la mattina, pentito, sente le campane e la festa di paese, può sottrarsi alla solitudine in cui si era chiuso e tornare nella società, rappresentata dalla folla. Tra gli altri, resta comunque un uomo d'azione, come padre Cristoforo: la sua è una fede militante. Quella di Lucia, invece, implica il sacrificio e la rinuncia, anche al matrimonio e quindi alla socialità.
1. Quali pensieri si alternano nell'animo dell'innominato e quali ricordi lo assalgono? Quale frase di Lucia gli torna in mente, procurandogli sollievo?
2. Com'è organizzata la struttura del brano? Quale rapporto c'è tra le sue parti?
3. Che senso ha lo spettacolo della folla e quale l'opposizione fra castello e ambiente esterno?
Capitolo 28°.
Raccontando la carestia e la successiva sommossa a Milano, Manzoni denuncia il malgoverno spagnolo: una prima sconsiderata misura presa dalle autorità rende inevitabili gli errori successivi. Le gride, con cui si esprimono le decisioni di don Gonzalo, con le loro ripetitive formule, sono commentate ironicamente dall'autore. La sua critica si rivolge sia alla folla irrazionale sia alla classe politica, che, espressione del popolo, ne commette gli stessi errori.
L'attenzione di Manzoni si sofferma sulle categorie umane rappresentate nei loro comportamenti sociali e psicologici. Questa descrizione pone l'accento anche sulla caducità della sorte degli esseri umani: in un momento, essi diventano da ricchi poveri, da attivi inerti. Lo stesso tragico contrappasso si coglie nella descrizione dei bravi che si trascinano per strada, là dove hanno ostentato prima la loro arroganza.
1. Ricostruisci nel riassunto il rapporto causa-effetto tra gli eventi raccontati.
2. In un punto Manzoni polemizza con la storiografia tradizionale. Perché? Chi è, secondo l'autore, il vero protagonista dei fatti storici?
Capitolo 29°.
I grandi eventi sono guardati in questo capitolo dall'ottica straniata e ironica dei personaggi, costretti alla fuga e ignari dei grandi disegni politici. Il brano smorza, così, i toni drammatici del racconto della guerra: prevale, grazie a don Abbondio, un tono umoristico. Due i procedimenti utilizzati: l'eroicomico, per cui Manzoni applica un tono solenne alla paura prosaica del curato, che teme che i Lanzichenecchi lo colpiscano proprio perché è un prete e quindi ha il terrore di diventare un nuovo martire; e il capovolgimento, per cui accusa gli altri di egoismo, lui che è egoista.
1. Com'è la storia vista dal basso?
2. Sotto quali aspetti le ansie dei personaggi sono simili e diverse?
3. Buona parte dell'effetto comico è affidata al contrasto fra Perpetua e il padrone. Confronta i loro caratteri.
4. Fra questo ritratto e quello del capitolo primo, c'è stato l'incontro con il cardinale che ha richiamato don Abbondio ai suoi doveri. C'è qualche cambiamento in lui?
Capitolo 33°.
Il passo prevede due novità rispetto all'impianto del romanzo sperimentato fin qui: da una parte, Manzoni non condanna esplicitamente don Rodrigo e il Griso (mentre in genere l'autore costantemente esprime i suoi giudizi morali), perché il giudizio sta nelle cose (è Dio che li condanna); dall'altra, mentre solitamente censura gli aspetti materiali della vita, qui li fa emergere, addirittura con violenza.
Il corpo malato di don Rodrigo è lo specchio della sua anima peccatrice: la peste è la sua punizione, il bubbone che scopre durante il sogno, quando riascolta la profezia di padre Cristoforo, rende concreto il suo rimorso. Col risveglio, alle sensazioni visive e tattili dell'incubo, si sostituiscono quelle uditive (lo scalpiccio nella stanza accanto) grazie alla focalizzazione interna (è il malato ad ascoltare e a rendersi conto del tradimento del Griso). Quando finalmente capisce, don Rodrigo si ribella, raccoglie le ultime forze, poi urla e cade sfinito. Manzoni prima lo definisce "l'uomo", poi "lo sventurato Rodrigo", per una volta non accompagnato dal titolo.
1. Analizza la progressione psicologica con cui Manzoni lascia trapelare i timori di Rodrigo.
2. Individua i riferimenti a fatti reali che emergono nel sogno di don Rodrigo. Quale gesto rimanda all'incontro con padre Cristoforo e dimostra che le sue parole hanno avuto un'eco profonda nell'animo di don Rodrigo?
3. Manca un giudizio dell'autore: esiste un altro tipo di giudizio?
Capitolo 34°.
La peste causa la perdita dei valori che sono alla base dei rapporti umani: da una parte, la natura umana cede all'istinto e all'irrazionale e così si diffonde l'idea che la peste sia trasmessa dagli untori; dall'altra, le strutture della società sono messe in discussione dal prevalere degli egoismi individuali. Milano diventa così un infernale mondo alla rovescia, nel quale la civiltà è stravolta: le gerarchie sociali non sono rispettate, la morte non è più sacra, il silenzio è interrotto solo dai lamenti e dalle grida dei monatti.
A difendere la sopravvivenza della civiltà è solo la religione, che tiene uniti gli uomini: il suono delle campane riunisce in preghiera i sopravvissuti, rendendo loro il senso di appartenere a una comunità; la madre di Cecilia, grazie alla forza interiore che le deriva dall'accettazione del proprio destino, impone il rispetto dei riti anche ai monatti. La donna è maestosa, il volto segnato da un dolore pacato. Tutto intorno a lei è sacro: dalla piccola che la madre tiene in braccio come un'offerta a Dio alla purezza della veste bianca e del lenzuolo su cui è adagiato il corpo.
1. Perché il narratore paragona i movimenti dei monatti a ciò che accade in un "mercato di granaglie"?
2. Descrivi l'atmosfera che grava su Milano: è la stessa città che Renzo ha conosciuto venti mesi prima?
3. La conseguenza più pericolosa della peste è la perdita di valori e civiltà. L'unico baluardo è la religione. Sviluppa questa affermazione, rintracciando nel testo gli episodi e le osservazioni che ti sembrano confermare questa tesi.
Capitolo 34°.
In città Renzo è già stato scambiato per un untore da un cittadino delirante, che, interpretando il gesto di rispetto del montanaro per un atto di aggressione, tenta di colpirlo con un bastone. L'episodio si ripete ora davanti alla casa di don Ferrante: una donna strilla perché pensa sia un untore. Ancora una volta, il corpo è messo in rapporto con l'anima: il volto sadico della vecchia manifesta tutti i sentimenti di chi vorrebbe prendere un untore. Le due venute a Milano sono prove che Renzo deve affrontare per maturare.
Quando il protagonista scappa, fugge su un carro di monatti. Torna il motivo del capovolgimento del sacro: i monatti si passano il vino sui cadaveri dei nobili; a Renzo che sale sul carro uno di loro afferma: "fa conto d'essere in chiesa"; infine, tutti cantano un ignobile inno alla peste.
1. Chiarisci il senso dell'ossimoro "Viva la moria".
2. Descrivi i sentimenti di Renzo inseguito dalla folla, sottolineando quelli che lo portano a sfoderare il coltello.
3. Analizza lo stato d'animo della folla e le differenze tra il momento dell'inizio dell'inseguimento e quello dell'avvicinarsi dei monatti.
4. Ricostruisci il percorso che fa di Renzo un untore e poi un untorello, sottolineando come l'episodio metta in evidenza l'indole buona del giovane e la sua maturazione.
Capitolo 35°.
Si compie finalmente il romanzo di formazione di Renzo, che, sposandosi, è inserito nella società e diviene imprenditore. Il progetto politico di Manzoni è chiaro: è nella borghesia, di origine contadina, che individua la classe sociale da mettere alla guida della nazione, educandola ai valori cristiani. Il successo sociale di Renzo va, dunque, preceduto dalla sua conversione dalla vendetta al perdono. Egli, insomma, deve divenire l'uomo nuovo che rinuncia al peccato.
Ciò si attua grazie al rapporto tra Renzo e padre Cristoforo:
Quest'ultimo diventa per l'eroe pienamente padre e autorevole, perché ha sperimentato l'istinto giovanile, ha commesso del male, ma ne è stato indotto ad abbracciare una vita di dedizione al prossimo. Rinunciando ad essere un padre vero, non s'è messo fuori del mondo, ma esercita una funzione paterna universale.
L'ultima immagine di Rodrigo capovolge quella iniziale: egli viene definito infelice, come già è successo a Gertrude. Il castigo di Dio impegna i cristiani alla pietà e al silenzio, ma è anche un atto di misericordia, perché può essere un'occasione di pentimento.
1. Perché padre Cristoforo chiede a Renzo di essere pronto a fare un sacrificio?
2. Descrivi il rapporto fra padre Cristoforo e Renzo: quali sono tra loro differenze e affinità?
3. Davanti a don Rodrigo morente, padre Cristoforo sostiene: "può essere gastigo, può esser misericordia". Approfondisci l'affermazione.
Capitolo 38°.
Manzoni non ci propone un finale rasserenante: don Abbondio resta lui e esita a celebrare il matrimonio; il marchese erede di Rodrigo non invita al suo tavolo i due contadini che devono lasciare il paese; la gente si stupisce che Renzo abbia fatto tanto per una donna normale; si amareggia e vuole cambiare paese.
Anche la morale immaginata da Renzo è negativa e non convince Lucia, che, al solito schiva, gli propone una prospettiva più ampia da cui leggere la propria vicenda. Essa, provenendo da povera gente, rientra nella strategia ironica di M.: i due protagonisti sono in grado di trovare conclusioni efficaci meglio di un intellettuale.
1. Con quale stato d'animo i protagonisti s'allontanano dal paese natale?
2. A quale conclusione giungono i due sposi?
3. Perché Manzoni fa esprimere il "sugo" della storia ai personaggi?
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