Letteratura fantastica giapponese

Letteratura fantastica giapponese

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Letteratura fantastica giapponese

Discorsi sulla letteratura fantastica giapponese - 1
di Massimo Soumaré

1. Stato attuale delle opere fantastiche giapponesi in patria e all’estero.
S’assiste oggi a un’ampia diffusione del cinema horror nipponico in tutto il mondo. Produzioni come Ringu [Ring/Il cerchio, 1998], Honogurai mizu no soko kara [Dark Water/Dal fondo di un’acqua oscura, 2001], Chakushin ari [The Call/Chiamata in arrivo, 2003] ne sono state la punta di diamante. Il fenomeno si è rivelato di tale intensità da aver convinto i produttori americani (da sempre capaci d’individuare le tendenze del mercato e di fiutare buoni affari) ad acquisire i diritti per i remake di molti film quali il suddetto Ringu, Juon [La maledizione dell’odio, 2002] e così via. Tuttavia, a ben guardare, possiamo davvero affermare che questo boom riguardi in generale la letteratura fantastica giapponese?
La realtà pare assai diversa.
Il volume Ringu (1991) scritto da Suzuki Kôji (1957-) è stato tradotto, ma la sua pubblicazione inglese e poi italiana si è basata sulla realizzazione del film americano, come dimostra il fatto che la sua opera forse più interessante, Rakuen [Paradiso, 1990; storia ambientata in tre diverse ere della storia umana – Mongolia preistorica, piccola isola nei mari del sud durante il periodo delle esplorazioni europee del XVIII secolo e Arizona oggi] sia stata ignorata. D’altronde uguale processo si è verificato in Francia – paese che per primo ha tradotto il libro distribuendo contemporaneamente l’originale versione cinematografica giapponese nelle sale – e, come hanno fatto notare Asamatsu Ken (1956-) (1) e altri scrittori nipponici, persino nello stesso Giappone il successo di Ringu si è legato maggiormente al film che non all’opera letteraria in sé.
Ma se dell’horror, pur nella sua connessione cinematografia-letteratura, si è incominciato in qualche modo a parlare, per gli altri generi del fantastico, ovvero fantascienza, fantasy, grottesco ecc., il buio è quasi completo. Questo almeno per quel che riguarda l’Occidente, dal momento che vari volumi sono invece stati tradotti in diverse lingue asiatiche – cantonese, coreano, tailandese. –. In particolare essi conoscono un’ampia diffusione a Hong Kong – va qui sottolineato come alcuni scrittori dell’isola, ad esempio Jin Yong (1924-) (2), siano riusciti a loro volta a ottenere grande fama in Giappone –, luogo dal quale vengono introdotti nella Cina continentale in quanto lì la letteratura fantastica, tradizionalmente mal vista dal locale establishment culturale e quindi poco sviluppata rispetto a quella giapponese, viene oggi molto richiesta dal pubblico giovanile.
È superfluo dire che, nonostante la quantità di volumi e di scrittori del genere presenti in Giappone e del fatto che si vendano un gran numero di copie molto spesso superiori al fatturato della cosiddetta jun bungaku (letteratura colta), in Europa e America questa vasta produzione è ampiamente sconosciuta. Nomi che per il lettore giapponese o anche asiatico in genere rappresentano icone sacre della letteratura fantastica, all’orecchio dell’occidentale, anche nel caso si tratti di un rinomato esperto del settore, non dicono assolutamente nulla.
A questo punto diviene lecito chiedersi il motivo di tutto ciò e fare alcune considerazioni che, a ben guardare, possono valere anche per la scarsa diffusione mondiale di produzioni – fantastiche e non – d’altri paesi (Italia inclusa).
Innanzitutto dobbiamo considerare che la presentazione all’estero di un’opera scritta in una lingua minoritaria (intendendo qui con il termine minoritario semplicemente una lingua con una ridotta diffusione globale come può essere il giapponese o lo stesso italiano, in contrapposizione con le lingue a diffusione media – francese, spagnolo, cinese – e quello che, attualmente, si può definire l’unico linguaggio mondiale, ovvero l’inglese) a grandi linee può sostanzialmente seguire due canali. Uno è proprio quello della traduzione inglese e l’altro è il passaggio tramite il lavoro dei traduttori delle lingue minoritarie. Di entrambi andremo in seguito a esplorare le problematiche in rapporto alle opere fantastiche del Sol Levante.
Avendo avuto occasione di parlare con diversi scrittori giapponesi sulle difficoltà di presentare le proprie opere all’estero, è risultato evidente come siano riusciti a farsi conoscere soprattutto quegli autori che hanno avuto la fortuna d’avere un loro volume tradotto in inglese (un caso eclatante può essere quello di Natsuo Kirino, 1951-). Per lo scrittore nipponico essere tradotto in inglese significa avere la possibilità di presentarsi sul mercato globale. Sembrerà banale ma, a ben pensarci, delle case editrici europee e americane quante conoscono qualcosa della situazione del mercato editoriale giapponese? Chi è informato sulle novità e sugli autori lì presenti?
Ad esempio, poche (e certamente non le medie o piccole case editrici) sono a conoscenza del fatto che gli autori giapponesi, a differenza di quelli americani e similmente invece agli italiani, in molti casi non hanno agenti ma ed è invece spesso possibile trattare direttamente con loro o eventualmente con le case editrici che ne hanno pubblicato i volumi. Inoltre, i diritti per la traduzione chiesti dagli autori spesso non sono così esosi come si sarebbe invece portati a credere considerando l’alto costo della vita giapponese. Il problema maggiore consiste nel fatto che pochissimi sono i siti, sia delle case editrici sia dei singoli scrittori, con pagine in inglese e, visto che il numero di coloro che sono in grado di leggere la lingua giapponese a un tale livello da poter seguire l’incessante evolversi di un mercato editoriale che si rinnova a un ritmo vorticoso è estremamente esiguo, diviene difficile ottenere informazioni utili. Ciò crea una situazione paradossale per cui, seppure gli scrittori giapponesi siano molto interessati a uno scambio con l’esterno, s’assiste a una quasi completa alienazione della loro realtà dal mondo americano ed europeo. Se una parte della responsabilità di questo stato di cose è da imputare a una scarsa volontà delle case editrice occidentali a interessarsi alla letteratura fantastica orientale (poche hanno seri consulenti), dall’altra parte le case editrice nipponiche concentrano in maniera massiccia le proprie forze esclusivamente per la promozione interna – eventualmente mirando al promettente mercato cinese e asiatico – con massicce campagne di vendita. Memorabili sono i party organizzati da grandi editori che pubblicano collane di fantascienza, mistery, fantasy e fiaba quali la Shûeisha, la Kadokawa o la Bunkôsha nei più grandi e lussuosi alberghi di Tôkyô in occasione di premi o speciali eventi cui partecipano centinaia d’affermati scrittori, critici e attori – la Kadokawa s’occupa difatti, ad esempio, anche di produzioni cinematografiche. Nonostante tutto questo apparato pubblicitario, gli sforzi per far conoscere in Europa e in America i loro migliori autori sono invece molto limitati. La causa va probabilmente ricercata in una certa inadeguatezza delle strutture delle case editrici. Problema spesso segnalato dagli scrittori locali i quali lamentano una politica editoriale ancora fortemente legata a vetusti moduli di pensiero, non capace di far sviluppare strutture di livello internazionale.
Pare poi permanere un senso d’inferiorità verso la letteratura straniera, una paura di non riuscire a far comprendere i propri lavori al lettore occidentale (paura che, come vedremo, può anche avere alcuni fondamenti).
Si crea quindi una tensione tra l’aspirazione internazionale degli autori e la miope visione delle case editrici, che, pur disponendo di mezzi che in Italia sono difficilmente immaginabili, esitano a uscire dal proprio guscio, lasciando che autori d’ottime capacità e idee assai innovative restino a disposizione di un limitato numero di fruitori.
Gli editori americani stessi, poi, non paiono nutrire interesse nel far troppa pubblicità a scrittori che potrebbero in un futuro diventare pericolosi concorrenti dei loro e la cui gestione sarebbe decisamente più complicata. È ancora troppo viva nella loro mente l’esperienza dell’esplosione mondiale di popolarità dei manga [i fumetti giapponesi] e degli anime [disegni animati] che hanno sottratto loro il monopolio mondiale nel genere. Per quanto riguarda i film, in effetti possono arginarli abbastanza facilmente rifacendoli – purtroppo però spesso stravolgendo al contempo le atmosfere e il fascino degli originali – ed utilizzando attori americani che per loro funzionano anche meglio dal punto di vista degli incassi dal momento che godono di maggior popolarità a livello globale. Evitano in questo modo d’essere travolti dalle produzioni originali del Sol Levante. Ma una tale barriera sarebbe completamente improponibile per delle opere letterarie… Non stupisce pertanto che, tra gli occidentali, a nutrire interesse verso il fantastico e soprattutto il mistery giapponese e a dedicarsi alla traduzione di queste opere siano, più che gli americani, i francesi.
Un altro grave handicap per la diffusione della letteratura fantastica giapponese è poi, come già accennato, dovuto alla mancanza di traduttori. Per quanto riguarda le lingue minoritarie, va subito detto che la maggioranza dei traduttori gravitano negli ambienti accademici e, volenti o nolenti, rimane in molti di loro l’idea che la letteratura d’«intrattenimento», o popolare che dir si voglia, sia un qualcosa di poco serio, che, all’atto pratico, non è sfruttabile come valido curriculum per avanzare nella carriera universitaria. Molto meglio allora tradurre scrittori «colti», no? Si finisce quindi per tralasciare un’ampia gamma di opere di genere e si lasciano sfuggire autori che, qualitativamente, non sono certo inferiori ai grandi romanzieri. Non bisogna assolutamente dimenticare che molti famosi scrittori della jun bungaku si sono dedicati alla letteratura fantastica, segno che la ritenevano un valido mezzo espressivo. Sia ben inteso, identico problema si ha per la presentazione del fantastico italiano in Giappone. Fantastico italiano che interessa moltissimo gli scrittori moderni giapponesi in quanto loro grande fonte d’ispirazione sono stati autori come Italo Calvino e registi come Lamberto Bava e Dario Argento (a questo proposito va ricordato che la stessa Yoshimoto Banana, 1964- , ha affermato più volte su riviste giapponesi d’essere stata molto influenzata da Dario Argento e di ritenerlo uno dei suoi maestri).
Sottostimare la difficoltà di traduzione della letteratura fantastica nipponica può inoltre rivelarsi un imperdonabile errore. Si tratta di una letteratura spesso molto colta e raffinata, capace di giocare su invenzioni linguistiche totalmente innovative e alimentata da un notevole numero di scrittori estremamente originali e indipendenti nel loro afflato creativo come giustamente segnalato da Danilo Arona nella postfazione ad ALIA2. Ne sanno qualcosa i traduttori della casa editrice Kurodahan di Stephen Carter, Edward Lipsett e Chris Ryal impegnati nella traduzione dei due volumi antologici d’ispirazione lovecraftiana Hishinkai [I rifugi degli dei nascosti, 2002] a cura del già citato Asamatsu Ken. Seppure si tratti di professionisti dalla grandissima esperienza che in passato si sono dedicati a opere dei maggiori autori nipponici, hanno incontrato non poche difficoltà davanti a questo compito.
Il ruolo attuale del traduttore consiste nel dedicarsi a un’opera generalmente scelta dall’editore ma, come abbiamo appena visto, nel caso del mercato giapponese le case editrici straniere hanno pochissima libertà di movimento. In tale situazione sarebbe opportuno il delinearsi di una figura di traduttore-promotore che sappia orientarsi nel mercato locale, scegliere e proporre degli autori arrivando ad assommare in sé la figura d’agente internazionale. Uscire insomma da un ruolo troppo passivo per divenire infine un elemento attivo nel processo di produzione libraria. Una soluzione che diversi autori giapponesi ritengono ottimale – nutrendo anche la speranza che il traduttore sia a sua volta un artista capace di mantenere o ricreare nella propria lingua il sapore dell’originale –, ma che presenta molte serie difficoltà. Spesso i traduttori non sono figure particolarmente amate dalle case editrici e i loro compensi non sono molto cospicui. Ciò non contribuisce certo alla creazione di una figura professionale d’alto profilo. Figura professionale la cui complessa preparazione non è quindi delle più semplici.
È interessante infine notare che un’acuta personalità come Kadokawa Haruki (1942-, editore, produttore cinematografico e poeta di haiku) abbia espresso l’intenzione d’ampliare la sua casa editrice su scala mondiale. Non è ancora chiaro in che modo egli intenda agire, ma questa sua dichiarazione potrebbe rappresentare una svolta importante per la diffusione del fantastico (e non solo) giapponese e dare il via a una nuova linea politica editoriale nel paese.
2. Chiavi di comprensione del fantastico giapponese: passato e contemporaneità.
Sostanzialmente, è bene suddividere il tipo d’approccio da scegliere quando ci si trova di fronte alla produzione fantastica nipponica. Esso differisce a seconda che si affrontino delle opere della prima metà del XX secolo piuttosto che novelle e romanzi contemporanei. Rimane sottointeso che la letteratura fantastica giapponese ha una lunghissima tradizione che certo influisce non poco sul modo di vedere di tutti i romanzieri, ciononostante generi particolari che possono grosso modo essere inclusi nella letteratura fantasy o fantascientifica cominciano a delinearsi solo dopo la fine del XIX secolo. Sicuramente sarebbe interessare discorrere su tutta la vasta produzione fantastica precedente che copre uno spazio temporale assai ampio intercorrente dal periodo Heian (794-1192) sino al periodo Edo (1603-1867), era che vide la pubblicazione di numerosi libri incentrati su storie di fantasmi ed eventi prodigiosi. Indimenticabili opere quali il lunghissimo romanzo Nansô Satomi hakkenden [La storia degli otto cani dei Satomi di Nansô], avventure mirabolanti di otto spadaccini uniti dal destino e impegnati a salvare la famiglia Satomi, completato nel periodo che va dal 1814 al 1842 e che nell’attuale edizione della Iwanami Bunko si compone di dieci volumi ad opera di Takizawa [Kyokutei] Bakin (1767-1848), ma il discorso s’allungherebbe eccessivamente e meriterebbe piuttosto un saggio a parte. Ci si limiterà quindi, in questo saggio, ad analizzare la sola produzione del Novecento.
Vediamo ora come comportarci innanzi a quella nutrita schiera d’autori che sono considerati i padri della moderna letteratura fantastica. A questo proposito, partiamo da due elementi di critica che sono stati rivolti ai racconti inclusi nell’antologia ALIA1, e che, sostanzialmente, si possono sintetizzare nelle due seguenti affermazioni «Si tratta di racconti avulsi dalla sensibilità occidentale e poco comprensibili» e «Il racconto Un filo di fumo di Davide Mana risulta essere più giapponese delle novelle degli scrittori nipponici». Sono queste posizioni rappresentative del modo errato di porsi di fronte al fantastico del Giappone – la seconda essendo esplicativa di una certa visione stereotipata del Giappone e dell’Oriente in genere ancora molto diffusa pure tra i letterati.
Per la prima affermazione, basta ricordare come l’arte africana sia stata per lungo tempo misconosciuta e considerata «troppo aliena e primitiva» prima che le avanguardie europee si rendessero conto del suo valore e ne facessero il punto di partenza dello sviluppo dell’arte moderna… Di questi tempi si parla molto di confronto culturale, d’accettazione della diversità. Dovremmo quindi rallegrarci d’aver trovato qualcosa d’insolito e fuori dagli schemi della mentalità occidentale – cosa d’altronde naturale essendo in presenza di autori che svolgevano la loro attività dall’altra parte del globo e che, non dimentichiamolo, tentavano d’amalgamare le passate esperienze autoctone con le conoscenze provenienti da un mondo esterno a loro quasi del tutto sconosciuto in un rapido processo d’apprendimento che faceva pulsare d’attività l’intero Giappone – e invece, al contrario, questa diversità, che è una ricchezza, viene vista come un ostacolo… decisamente assurdo.
Per quanto riguarda la seconda affermazione, il racconto di Mana si basa essenzialmente sui canoni e gli stilemi della letteratura americana noir e lovecraftiana, interpretati secondo il peculiare senso umoristico dell’autore. Non è pertanto catalogabile come «tipico racconto giapponese». Per fare una simile affermazione il presupposto sarebbe quello d’aver potuto leggere numerose opere di fantastico giapponese, ma, non essendo stato tradotto quasi nulla – per quanto short short come Otasuke [L’aiuto, 1958] di Tsutsui Yasutaka (3) siano state edite su riviste specializzate per orientalisti, esse non hanno avuto circolazione tra gli esperti di fantastico – e il poco che è arrivato per di più essendo stato mediato dalla lingua inglese (vedi Ring, il recente Spiral e l’antologia La leggenda della nave di carta che presenta tuttavia solo autori di fantascienza), rimane da chiedersi come si possa con qualche fondamento arrivare a esprimere un simile giudizio. Considerando poi, come fatto notare da Mana e da altri, che gli americani hanno tendenzialmente tradotto i lavori più affini al loro tipo di letteratura i quali non sono necessariamente rappresentativi del vero modello di racconto giapponese, l’affermazione riportata in partenza risulta ancor maggiormente priva di fondamento.
Bisogna pertanto distinguere molto bene quello che per la concezione occidentale è un racconto giapponese da quello che in realtà è un racconto di scrittori giapponesi. Si tratta di due cose profondamente distinte.
Dai dati fino ad ora raccolti, sembra che l’accoglienza riservata ai racconti giapponesi di ALIA1 si possa dividere in due tipi. La prima, che trova espressione concreta nelle due sopraccitate opinioni, giunge da elementi che frequentano il mondo accademico, la seconda esprime invece un giudizio decisamente favorevole e proviene da appassionati di fantastico di diversa formazione culturale ed età. Perché questo? È proprio analizzando tali risultati che possiamo trovare una chiave di lettura del fantastico nipponico.
Applicando una visione accademica è praticamente impossibile riuscire a comprendere questi racconti appunto perché si tende ad affrontare con sistema analitico e di paragone opere che in realtà non hanno termini di confronto con quelle occidentali. Per fare un esempio concreto, prendiamo un autore come Yumeno Kyûsaku (1889-1936) (4). Si tratta di un unicum nello stesso panorama letterario nipponico. Se già ci si trova sgomenti di fronte alle poche pagine di I pazzi ridono, allora come si può pensare di riuscire a leggere il suo capolavoro Dogura-Magura [Dogra-Magra, 1935], infinito intreccio di dialoghi folli, un’opera che in originale supera le mille pagine e che recentemente è uscita in traduzione francese? E lo stesso si può dire per Miyazawa Kenji (1896-1933) (5) che in Italia non ha conosciuto un grande successo in quanto forse molto spesso i suoi lavori sono stati eccessivamente presentati come racconti per bambini, quando in verità sono quanto di più complesso abbiano saputo produrre i letterati giapponesi. Se si volesse seriamente catalogare tali autori si dovrebbe accedere al vasto apparato critico che gli studiosi giapponesi hanno tessuto loro intorno – loro stessi riscontrando molte difficoltà nell’analizzarli. Apparato che però necessita di una conoscenza di fatti storici, opere letterarie e via dicendo non conosciuti dagli specialisti del fantastico occidentali e neppure da molti esperti di letteratura giapponese. Tanto per farsi un’idea di tale complessità, vale la pena leggere il saggio Da Tôkyô alla Via Lattea: la scomparsa del dottor Brukaniro di Ôsawa Masachi (1958-) (6) uno dei più attivi giovani sociologi giapponesi. Quella che sembrava una semplice fiaba è messa in relazione con l’importanza dello sviluppo della ferrovia e con il cosiddetto fascismo giapponese in una estremamente dotta analisi culturale che lascia esterrefatto (e intontito) il lettore per la sua profondità intellettuale.
Quindi, non essendo possibile allo stato presente affrontarli accademicamente, più fruttuoso si rivela fare come i secondi, umilmente riconoscendo di trovarsi davanti a qualcosa di totalmente al di fuori dalle proprie esperienze culturali e tentando d’immergervisi senza abborracciare facili paragoni, aspettando per un’analisi critica d’avere molti più dati a propria disposizione. D’altronde, il segreto per comprendere la letteratura fantastica giapponese è quello di lasciarsi andare alle sensazioni, agli stati d’animo, alle ambientazioni sfumate eppure reali che essa sa fornire. Abbandonarsi completamente svuotando la mente.
Per quanto concerne invece gli scrittori moderni, in effetti un paragone con gli autori occidentali è in parte possibile in quanto i suddetti autori hanno avuto la possibilità d’attingere alla vasta letteratura fantastica americana ed europea rimanendone in parte influenzati. Ad ogni modo, è però bene tener conto che, al contempo, presentano aspetti e caratteristiche assai peculiari e che quindi non si deve esagerare nel portare il livello di comparazione oltre un certo limite. Molti scrittori hanno creato generi fantastici talmente personali da non essere facilmente inseribili nella categorie preesistenti, a volte, come sarà accennato nella terza parte del presente saggio, arrivando a dar vita a un intreccio ibrido tra diverse correnti letterarie.
È quindi interessante notare come, seppure notoriamente i giapponesi operino nella società per gruppo più che come individuo, nella letteratura si sia in presenza di molti elementi originali ed indipendenti che hanno contribuito a produrre un’estesa quantità di filoni.
3. Alcune caratteristiche salienti della letteratura fantastica e dell’editoria giapponese in genere.
A dispetto di una certa carenza di rinnovamento delle case editrici nipponiche di cui si è in precedenza parlato e a dispetto della crisi che ha colpito il settore in questi ultimi anni (dove comunque vi sono scrittori del fantastico che riescono tranquillamente a vendere più di cinquantamila copie di un volume in un solo mese!), all’editoria giapponese va riconosciuto un estremo dinamismo interno assolutamente assente nel panorama italiano. Viene prestata molta attenzione verso i potenziali nuovi autori che hanno così la possibilità di farsi conoscere partecipando ai vari premi letterari (nei quali in generale si distinguono giovani scrittori dal momento che il concorso viene percepito dagli organizzatori come un mezzo per individuare talenti sconosciuti o per consolidare autori scoperti di recente e non scrittori d’ormai riconosciuta fama ai quali vengono invece riservati speciali riconoscimenti per meriti culturali conferiti dallo stato) oppure inviando i loro manoscritti alle case editrici – in tal modo ha iniziato la sua carriera Kyôgoku Natsuhiko, [1963-], (7) – dove sono letti dagli editor, importantissime figure del sistema editoriale giapponese.
L’editor, così come viene tradizionalmente concepito in Giappone, è una figura in pratica oggi inesistente nel meccanismo italiano. Suo compito principale è quello della scoperta e valorizzazione di nuovi scrittori. Per trovarli deve leggere il più possibile il materiale inviato dagli aspiranti autori all’editore allo scopo di poter selezionare quelli validi, prestando allo stesso tempo attenzione alle pubblicazioni d’esordienti su riviste minori. Deve inoltre seguire gli autori nel loro percorso formativo sin dall’inizio aiutandoli ad affinare le proprie capacità e coadiuvare lo scrittore importante nella sua attività creativa. Lo scrittore ha così un valido sostegno che gli permette di migliorarsi e di tenere conto delle richieste del pubblico e della casa editrice che vengono costantemente fatte presenti dall’editor all’autore. Insomma, l’editor ha il non facile compito di scoprire, aiutare a crescere i nuovi autori, tenere i contatti tra loro e la casa editrice e facilitare il compito agli scrittori professionisti.
In passato gli editor provenivano quasi tutti da facoltà universitarie letterarie e quindi erano spesso dotati di una notevole capacità di giudizio, erano pertanto veri e propri indispensabili partner per gli scrittori. Attualmente questa professione è venuta man mano cristallizzandosi, divenendo un’occupazione simile a quella di un normale dipendente. Sono infatti sempre meno coloro che hanno una preparazione culturale letteraria adeguata al loro compito, eppure rimangono un elemento costante della struttura editoriale e parte della loro funzione primaria resta ancora integra.
Che cosa intendono i giapponesi per «scrittore professionista»? Essenzialmente due sono i requisiti che permettono di essere inclusi in tale categoria. Prima di tutto la pubblicazione di un volume. Per quanti racconti si siano scritti ed editi su riviste e antologie, la consacrazione ufficiale arriva solo dopo la stesura di un romanzo completo. Requisito ancora più importante che qualifica lo scrittore professionista è il fatto che viva solo del suo lavoro di scrittura. Egli non compie nessuna altra attività a parte quella di produrre libri, racconti, saggi o articoli. Da questo punto di vista, la quasi totalità degli scrittori italiani tecnicamente risulterebbero per il mercato editoriale nipponico autori dilettanti in quanto molti hanno pubblicato solo racconti e di certo non vivono dei proventi delle proprie opere ma svolgono altre attività. Ovviamente questa diversità concettuale nasce da una differente estensione del mercato librario dei due paesi.
In particolare, come accennato poco sopra, tra lo scrittore di entâteinmento bungaku [letteratura d’intrattenimento] e il lettore si crea un forte legame. Mentre in Italia si ha la tendenza a considerare anche lo scrittore di genere come un creatore assoluto della propria arte, che nel processo creativo non è tenuto a prendere in considerazione i desideri e i gusti dei lettori, lo scrittore giapponese deve mediare, appunto perché egli vive di quanto scrive e dipende quindi fortemente dal favore del pubblico, slancio creativo e domanda dei fan. Il pensiero italiano tenderebbe a liquidare, disgustato, una simile posizione adducendo che l’arte non è al servizio di chi ne usufruisce ma di chi la crea. Tuttavia, la letteratura di genere in verità è un qualcosa, come hanno ben imparato gli americani e gli inglesi, che vive del successo tra il pubblico. Ostinarsi nel non tener conto di quest’esigenza vuol dire rendere sterile la letteratura popolare dal momento che sia lo scrittore sia i lettori sono entrambi elementi essenziali e necessari per la sua sopravvivenza. Certo soddisfare solamente i desideri dei lettori si rivela fatale per la qualità delle opere, ma, al contrario, eccedere troppo in un egocentrico intellettualismo compiaciuto può causare danni altrettanto gravi. L’abilità dello scrittore nipponico sta esattamente nel riuscire a equilibrare i due estremi.
Non è un caso che molti scrittori giapponesi abbiano propri siti ufficiali su internet con BBS (messaggerie) dove possono interloquire con i lettori, parlare dei loro progetti e leggere le opinioni degli ammiratori (di cui tengono sicuramente conto). Nei volumi viene comunemente inserita dall’editore una scheda in cui si chiede di formulare un giudizio sul libro, su che cosa piacerebbe venisse pubblicato ecc. Queste schede sono un importante sistema di sondaggio del mercato, fornendo alle case editrici le direttive da seguire.
Leggendo i curriculum degli autori giapponesi si rimane profondamente colpiti dal gran numero di libri scritti. S’arriva spesso ad avere tra i quaranta e gli ottanta volumi prodotti in vent’anni d’attività per un singolo autore. Nonostante alcuni scrittori di letteratura d’intrattenimento completino un volume in circa un anno di lavoro, la maggior parte ne scrive assai di più. Anche perché per riuscire ad attirare l’attenzione in un mercato tanto ricco di proposte diviene necessario pubblicare mediamente almeno cinque volumi in dodici mesi. Non pochi sono i casi di scrittori che nel medesimo periodo arrivano a completare nove libri. Rammento a questo proposito una discussione fatta con un amico italiano il quale sosteneva, ragionevolmente, che con un simile ritmo produttivo non fosse possibile scrivere opere di qualità (d’altronde gli stessi scrittori giapponesi restano egualmente stupiti della parca produzione degli autori italiani!). Vanno però considerati alcuni fattori. Come già detto, lo scrittore professionista giapponese s’occupa solo di scrivere, ciò implica che può dedicare molte ore alla stesura delle opere. Nel caso di coloro che riescono a pubblicare nove volumi l’anno, spesso riescono a dormire solo tre ore a notte – il che ovviamente alla lunga può creare gravi problemi di salute. Non sono rari i casi, anche recenti, di scrittori che si siano gravemente malati o siano deceduti in giovane età a causa di uno stress da lavoro eccessivo –. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in Giappone le professioni legate alla scrittura di libri, sceneggiature e alla realizzazione di manga e anime sono difatti tra le più faticose e comportano un gran dispendio d’energia fisica e mentale (essendo poi la loro posizione lavorativa assai più precaria di quella di un normale salariato).
È qui interessante notare come il lavoro degli scrittori s’incroci spesso con quello di registi, di mangaka [fumettisti] e d’animatori in quanto non è raro che dalle loro opere vengano tratti film, manga oppure anime. Uno dei compiti più faticosi che possano essere commissionati a uno scrittore è la stesura di testi per videogiochi di console e computer. Come molti di noi avranno avuto occasione di notare, i giochi giapponesi sono ricchissimi di scenari. Per uno scrittore si tratta di una mole immensa di lavoro, equivalente quasi a scrivere una ventina di volumi da cinquecento pagine ciascuno. Senza contare tutti i problemi che possono sorgere con i programmatori in fase di sviluppo del gioco…
Una ferrea autodisciplina è quindi necessaria per dedicarsi a queste attività. Certo non tutti i volumi e racconti saranno dei capolavori, eppure è sempre mantenuto un livello di scrittura di buona qualità. In caso contrario l’editore non pubblicherebbe il libro. Per gli scrittori italiani è difficilmente concepibile il fatto che si possa scrivere così tanto senza diminuire il valore dei propri lavori, bisogna però riconoscere che scrivere poco non vuol dire automaticamente avere maggiori garanzie di creare un capolavoro o un’opera di buon livello. Si tratta pertanto più che altro di un differente atteggiamento mentale e di un diverso approccio tradizionale all’arte creativa della scrittura. Ad ogni modo, questo eccessivo ritmo creativo che logora l’individuo viene attualmente contestato da diversi scrittori i quali ritengono che le case editrici debbano aver maggior cura dei propri autori.
Gli scrittori prima d’iniziare la stesura di un libro generalmente presentano il progetto alla casa editrice illustrandone le linee generali. La casa editrice lo valuta fornendo, se necessario, alcune sue osservazioni – punti che andrebbero approfonditi o sviluppati, concetti da ridefinire ecc. – poi, nel caso lo ritenga valido, dà il suo consenso allo scrittore di modo che egli parta con il vero lavoro di stesura. È quindi importante che lo scrittore sappia proporre il progetto tenendo conto che deve saper destare l’interesse della casa editrice, la quale, a sua volta, tende a dare priorità a quei volumi capaci d’attirare l’attenzione dei lettori. Diventa a questo punto essenziale che ci sia un contatto tra scrittore e pubblico onde riuscire ad afferrare la situazione reale dell’editoria in quel dato momento.
Spesso è stato fatto notare come nelle opere giapponesi sia presente un dettagliato lavoro di ricerca storica o geografica. È interessante considerare il fatto che le case editrice coprano in molti casi le spese necessarie per le ricerche effettuate dagli scrittori.
In una simile situazione dove si progetta la pubblicazione di un libro prima d’iniziare a scriverlo risulta possibile per un autore programmare in anticipo la sua attività e distribuire i suoi sforzi, riuscendo a gestire il tempo in cui concentrarsi sulla fase creativa ed evitando lo stress e l’incertezza che nasce dal dover preparare un libro e andare poi a cercare un editore interessato alla pubblicazione.
Si sta in particolare assistendo al fenomeno della pubblicazione di libri dal gran numero di pagine (circa sette-ottocento). Questi sembrano attirare maggiormente l’attenzione dei lettori nipponici che certo non si spaventano davanti a opere di tale ampiezza. Pare questa tendenza si leghi anche a uno scopo pubblicitario, giacché libri così imponenti esposti nelle librerie tendono a essere molto visibili.
Il numero di libri pubblicati ogni anno in Giappone è sbalorditivo. Parlando con lettori e scrittori giapponesi spesso essi rimangono stupiti dell’alto prezzo dei libri in Italia. In un paese dove il costo della vita è quasi tre volte quello italiano, le edizioni in copertina rigida sono più economiche delle nostre e sono di migliore qualità (chiunque abbia visto dei libri giapponesi non può non rimanere impressionato dalla perfezione di stampa e della carta). Inoltre molto rapidamente escono le edizioni in formato bunkobon [economico] che hanno un prezzo bassissimo (tanto per farsi un’idea, potrebbero essere delle edizioni Newton vendute a due euro, ovviamente stampate decisamente meglio).
Ma chi sono i lettori «forti»? Si sente sempre dire che i giapponesi leggono molto, ma in realtà la forza delle case editrici non sono gli adulti, i quali hanno ben poco tempo libero e che leggono soprattutto durante gli spostamenti per recarsi al lavoro e tornare a casa, spostamenti che spesso richiedono diverse ore, piuttosto i ragazzi dai dieci ai ventiquattro anni. Sono loro che formano il nucleo centrale di lettori e che, quindi, sono attentamente seguiti dalle case editrice. Esiste tutta una serie di collane dedicate a quella fascia d’adolescenti (tredici-diciotto anni) che ricercano storie più serie di quelle proposte ai bambini seppure ancora diverse da quelle per adulti. Fascia in genere completamente trascurata dall’editoria italiana, ma che in Giappone ha dato vita alla cosiddetta junia bungaku [letteratura giovanile] che è stato uno dei filoni di maggior successo del mercato editoriale nipponico – lo scrittore [Hayami Yûji, 1961-], sta scrivendo interessanti saggi su tale genere (8).
Se negli anni Novanta l’editoria nipponica è stata dominata dall’horror, oggi il genere di letteratura d’intrattenimento che più sembra aver successo sono i romanzi incentrati su love story. A dispetto del fatto che molti ritengano trattarsi solo di un boom temporaneo, per quanto prima espresso, ovvero quell’attenzione prestata verso i gusti dei lettori, sia nel mistery sia nel filone fantastico vi sono opere che fanno propri gli elementi essenziali del romanzo sentimentale. Assistiamo qui a quella commistione di generi tipica della moderna letteratura popolare giapponese dove un filone può fondersi con un altro dando il via a tutta una nuova serie di possibilità e dove ogni autore può metterci del suo. Possiamo in tal modo vedere la fantascienza mischiarsi con l’horror, il mistery con gli studi sul folclore, il romanzo d’ambientazione storica con il grottesco surreale in un’evoluzione continua che non conosce fine.
Va ancora aggiunto che viene data una maggiore importanza al romanzo piuttosto che alle novelle e ai racconti – generi dove gli scrittori giapponesi hanno sempre eccelso –, espressioni le quali, causa anche la chiusura di molte riviste di jun bungaku che davano loro ampio spazio, hanno ora meno possibilità di trovare uno sbocco, considerato che anche le case editrici tendono a limitare l’uscita di volumi antologici.
Note:
1) Nato nel 1956 a Sapporo nell’isola di Hokkaidô, si è laureato all’Università Tôyô. In seguito ha lavorato in una casa editrice curando numerose collane e volumi. Nel 1986 esordisce con Makyô no gen’ei (L’illusione della religione demoniaca) dedicandosi in seguito a vari generi quali l’horror, la fantascienza e concentrando negli ultimi anni il suo interesse sulle opere storico-fantastiche ambientate nel periodo Muromachi (XIV-XVI secolo). Asamatsu ha saputo imporsi anche come eccellente antologista di novelle horror.
2) Letterato e romanziere nato nella provincia cinese dello Zhejiang. È uno dei più importanti esponenti dei romanzi incentrati sulla figura di coraggiosi combattenti d’arti marziali che si battono contro i malvagi in cui sono variamente presenti elementi di genere sentimentale, storico, mistery, comico o fantastico. Ha pubblicato dodici volumi e numerosi racconti da molti dei quali sono stati tratti film, sceneggiati televisivi, fumetti e videogiochi.
3) Otasuke [L’aiuto], di Tsutsui Yasutaka, trad. M. Maiorano, in «Quaderni Asiatici», pp. 55-57, 2000-2001, pp. 44-49. Nel medesimo volume è presente l’interessante saggio Tsutsui Yasutaka e la SF come indice dei malesseri sociali di un Giappone in evoluzione, di M. Maiorano, pp. 37-43.
4) Vedi introduzione alla sezione giapponese di ALIA1 - L’arcipelago del fantastico, C.S. Coop. Studi s.c.r.l., Torino 2003.
5) Ibid.
6) Da Tôkyô alla Via Lattea: la scomparsa del dottor Brukaniro, di Ôsawa Masachi, trad. C. Nakagawa, «LN-LibriNuovi» 28, inverno 2003, pp. 90-106, C.S. Cooperativa Studi, Torino.
7) Kyôgoku Natsuhiko - la serie di Kyôgokudô e lo yôkai misuteri di Hirayama Shin, trad. M. Soumaré, «LN-LibriNuovi» 25, primavera 2003, pp. 69-76, C.S. Cooperativa Studi, Torino.
8) Vedi introduzione alla sezione giapponese di ALIA2- L’arcipelago del fantastico, C.S. Coop. Studi s.c.r.l., Torino, 2004.

    Prima pubblicazione in  «LN-LibriNuovi» 32, inverno 2004, pp. 161-174, C.S. Cooperativa Studi, Torino.

 

Copyright © 2007 Massimo Soumaré. All rights reserved.

 

Fonte: http://www.webalice.it/m.soumare/raccontitraduz/fantastico%20giapponese1_Soumar%E9.doc

Sito web da visitare: http://www.webalice.it/

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Letteratura fantastica giapponese

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Letteratura fantastica giapponese

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Letteratura fantastica giapponese