Letteratura romanzo picaresco

Letteratura romanzo picaresco

 

 

 

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Letteratura romanzo picaresco

Il romanzo picaresco

 
Il termine picaresco deriva dallo spagnolo picaro, corrispondente all'italiano «pi­tocco», parola dall'etimologia incerta con cui nella Spagna del Cinquecento venivano chiamati i vagabondi, i servi più vili e miseri e certi soldati che disertavano e vivevano di espedienti. Pare che il termine si possa far risalire o al verbo spagnolo picar = pun­gere, beccare, o al francese picard = abitante della Piccardia, la regione francese da dove provenivano molti soldati di ventura che, rimasti senza ingaggio, vivevano ai mar­gini della società vagabondando da una città all'altra.
Protagonista del romanzo picaresco è dunque il picaro, un simpatico vagabondo che non ha famiglia né casa, né un mestiere o un ruolo nella società e per sopravvivere può contare solo sulle proprie forze, in particolare sull'astuzia, sull'inganno, su stratagem­mi di ogni genere che costituiscono l'unico modo attraverso il quale egli entra in rap­porto con la società. Fondamentale diventa dunque in questo genere di romanzo lo spostamento sia nello spazio sia attraverso i vari strati sociali: il personaggio compie infatti un lungo viaggio muovendosi orizzontalmente da un luogo all'altro e vertical­mente da un ambiente all'altro al servizio di molti padroni.
Il romanzo picaresco ha solitamente un taglio autobiografico: si configura infatti co­me una successione lineare di episodi raccontati in prima persona dal protagonista che, ormai vecchio, narra le sue avventure in una rigorosa sequenza cronologica. La sua pre­senza costituisce il filo conduttore che unisce i diversi episodi, ciascuno dei quali è au­tonomo e in sé concluso.
Il taglio autobiografico comporta alcune conseguenze sul piano delle strutture nar­rative: verbi al passato remoto e all'imperfetto e intreccio di almeno due punti di vi­sta, quello del picaro vecchio e quello del picaro al momento dell'azione. La narra­zione inoltre è «aperta», potrebbe cioè continuare al di là della conclusione del ro­manzo che è sempre provvisoria, dato che il personaggio sta ancora vivendo la propria avventura esistenziale e talora, alla fine del romanzo, si trova in una condizione peg­giore di quella iniziale.
Come si può facilmente dedurre dalla breve descrizione fin qui condotta, il romanzo picaresco è un antigenere, una specie di capovolgimento parodico del romanzo ca­valleresco. Infatti, mentre l'eroe cavalleresco è un personaggio di nobili origini, agisce  ispirandosi agli ideali della cavalleria, affronta ogni genere di prova in difesa dei debo­li o per conquistare la donna amata, e si sposta da un castello all'altro in cerca di av­venture sempre più straordinarie, il picaro proviene da un ambiente basso e furfantesco, è guidato nel suo agire esclusivamente dall'esigenza di soddisfare i propri bisogni materiali, entra in contatto con personaggi del suo stesso livello sociale e si sposta da una locanda all'altra per compiere beffe e raggirare il prossimo nel tentativo, spesso fallito, di innalzarsi dalla sua condizione. Considerato sotto questo aspetto, pertanto, il romanzo picaresco rivela, sia pure sotto il velo dell'invenzione fantastica, la realtà della Spagna che alla fine del Cinquecento fu investita da una grave crisi economica in conseguenza della quale una gran massa di contadini, artigiani, soldati di ventura, per­duto il lavoro, si riversò nelle città che potevano ancora offrire qualche possibilità di sopravvivenza.
Il primo romanzo picaresco è la Vita di Lazarillo de Tormes e delle sue fortune e avversità, composto da un autore anonimo nel 152526 e pubblicato nel 1554. Ai primi del Seicento grandissimo successo ottenne il Guzmàn de Alfarache di Ma­teo Alemàn, un ebreo convertito che condusse una vita avventurosa tra la Spagna e il Messico. Il romanzo narra la storia di un ragazzo che lascia la casa del padre e se ne va in giro per il mondo affrontando varie vicissitudini e venendo a contatto con diversi strati sociali nei quali trova solo corruzione e inganni. Se nel Lazarillo le vicende seguono uno sviluppo logico e conducono il personaggio a migliorare la condizione di partenza, nel Guzmàn le avventure del protagonista sono dominate esclusiva­mente dal caso e si concludono con la sconfitta. Il genere picaresco fu ripreso in Spagna da molti scrittori durante il Seicento. Ad esso si ispirarono anche autori eu­ropei del Settecento. Ricordiamo in Germania L'avventuroso Simplicissimus di Christoph von Grimmelshausen, in Francia Gil Blas di Alain René Lesage, in Inghilterra Moll Flanders di Daniel Defoe, che ha per protagonista una donna.
È stato detto che la scoperta operata grazie al romanzo picaresco «di un nuovo e de­cisivo elemento sociale non è meno importante di quelle che nel frattempo operavano i navigatori» nel Nuovo Continente. Non solo infatti venivano portati alla luce individui e ambienti fino a quel momento esclusi dal mondo dell'arte e della letteratura, ma emergeva una nuova dimensione della vita affidata all'istinto, all'allegria e priva di sche­mi e categorie ideali.

 

Il romanzo di avventura

Agguati, scontri con pirati, banditi o selvaggi, viaggi alla ricerca di qualcuno o di  qualcosa, naufragi: sono questi gli ingredienti del romanzo d'avventura, uno dei ge­neri narrativi più appassionanti e diffusi soprattutto fra gli adolescenti. Proviamo a de­linearne un rapido profilo, mettendo in evidenza le componenti contenutistiche e strutturali.

Contenuto

Solitamente un romanzo d'avventura si apre su una situazione di equilibrio che vie­ne improvvisamente turbata da qualcosa di imprevisto: ilritrovamento della mappa di un'isola nella quale è nascosto un tesoro, una scommessa, una tempesta che fa nau­fragare la nave sulla quale si trova il protagonista, la scomparsa o il mancato ritorno di una persona cara e così via.
Scatta a questo punto il meccanismo della  ricerca che spinge il personaggio a compiere un viaggio per terra, per mare, o per aria. Non sempre però il viaggio è determinato dalla ricerca di qualcosa; a volte può capitare che il protagonista viaggi per me­stiere: può essere un marinaio, un medico di bordo, un mercante e così via.
Il viaggio segna solitamente l'inizio dell'avventura principale cheracchiude al suo interno una serie di avventure minori in sé concluse, le quali per un verso portano avanti l'azione, per l'altro, con il loro susseguirsi, ne ritardano la conclusione e contri­buiscono a far crescere la tensione.
Nel corso della vicenda il personaggio si sposta nello spazio coprendo lunghe di­stanze e giunge a luoghi esotici, misteriosi e selvaggi. Pertanto la narrazione si arric­chisce di digressioni sulle caratteristiche geografiche di tali zone e sugli usi e costumi delle popolazioni che vi abitano.
Una delle situazioni che più frequentemente ricorrono nei romanzi d'avventura è il naufragio in un’isola deserta o abitata da popoli selvaggi e aggressivi. Nel primo caso il protagonista deve aguzzare l'ingegno per poter sopravvivere e in certo qual modo ri­percorre le tappe della civilizzazione della società, come fa Robinson Crusoe nell'omo­nimo romanzo di Daniel Defoe; nel secondo deve fronteggiare nuovi pericoli e utiliz­zare ogni risorsa per sfuggire all'aggressività degli indigeni.
Alla fine l'eroe, superate le difficoltà, rientra nel suo mondo, più ricco di beni ma­teriali e di esperienze e spiritualmente più maturo.

Struttura

Sul piano delle strutture narrative il romanzo d'avventura presenta una sostanziale coincidenza tra fabula e intreccio. Il narratore infatti segue la vicenda nel suo svi­luppo cronologico poiché l'interesse e la curiosità del lettore, stimolati dal susseguirsi  di sempre nuove avventure, si proiettano verso il futuro piuttosto che verso il passato.
La narrazione si svolge secondo una duplice struttura: a cornice e a gradini, che la possiamo cosí schematizzare.

Avventura principale

Avventure secondarie

 

Le avventure minori presentano tutte lo stesso schema che è poi quello che si ritro­va anche nella vicenda principale, ovvero: evento che mette in moto l'azione, peripe­zie, Spannung, scioglimento. Conclusa un'avventura ne inizia un'altra e così via fino allo scioglimento finale.
I ruoli dei personaggi sono chiaramente definiti e riconoscibili: il protagonista deve vedersela con un antagonista pericoloso e ostinato, che vuole ad ogni costo osta­colarlo nel raggiungimento del suo obiettivo, e con diversi oppositori. Egli dal canto suo è sostenuto dall'appoggio di uno o più aiutanti.
I fatti possono essere raccontati da un narratore onnisciente o dallo stesso prota­gonista che, una volta tornato a casa, sente il bisogno di lasciare una testimonianza del­la sua avventura. In questo caso la narrazione è condotta in prima persona e viene adot­tata la focalizzazione interna.

Le componenti contenutistiche e strutturali del romanzo d'avventura hanno origini  antiche: molte di esse si ritrovano già nei poemi epici, nel romanzo greco e latino e nei romanzi cortesi di età medievale. Nell'Odissea, per esempio, sono presenti il viaggio per mare, il naufragio, l'incontro con popolazioni selvagge e ostili, l'arrivo in terre sco­nosciute e misteriose; pirati, agguati, tranelli, viaggi abbondano nel romanzo greco e latino; gli eroi medievali lasciano la raffinata corte di re Artù per andare alla ricerca di una dama rapita, di una spada fatata, del Santo Graal e così via e si avventurano in bo­schi paurosi dove si scontrano con maghi, mostri e incantesimi. Nel Settecento il mo­tivo dell'avventura viene invece usato come pretesto per rappresentare 1'uomo bor­ghese che, superato ogni genere di ostacoli grazie alla sua intelligenza, pone le basi del­la nuova società. È questo il caso di romanzi come Robinson Crusoe di Daniel Defoe o I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, che riuniscono in sé i caratteri del romanzo d'avventura e di quello realista. È nell'Ottocento che nasce il romanzo d'avventura co­me noi oggi lo intendiamo, grazie alle opere di Stevenson e di Verne e successivamente di Emilio Salgari. Il genere continua nel Novecento, assumendo però caratteri di­versi: questa volta infatti l'avventura si carica di significati simbolici e viene utilizzata per raffigurare metaforicamente la lotta dell'uomo contro le forze misteriose che si an­nidano dentro e fuori di lui. Ne sono un esempio i romanzi di Joseph Conrad, Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, Moby Dick di Herman Melville, La partita di Al­berto Ongaro e cosí via.

 

Il romanzo storico

Nato nella prima metà dell'Ottocento, in un'epoca particolarmente sensibile all'interesse per la storia, il romanzo storico è un testo narrativo in prosa nel quale si intrecciano componenti storiche e parti inventate. L'autore colloca una vicenda immaginaria in un momento storico preciso del quale ricostruisce fedelmente la situazione politicosociale, i costumi, le condizioni di vita.

I fatti sono ambientati nel passato, in un'epoca lontana dal tempo in cui l'autore vive. Nell'Ottocento, per esempio, veniva privilegiato il Medioevo, un periodo vastissimo e dai confini imprecisi, nel quale si rintracciavano le origini delle future realtà nazionali. Nel romanzo storico infatti il passato non è staccato dal presente e proiettato in una lontananza assoluta, né è un elemento decorativo, ma è considerato come la «preistoria oggettiva del presente» (G. Lukàcs), cioè il momento in cui si possono cogliere le radici del presente. La storia appare come uno sviluppo continuo di eventi concatenati gli uni agli altri da rapporti che si proiettano lontano nel tempo. Alla luce di questa visione gli avvenimenti contemporanei possono essere letti come conseguenza diretta o indiretta di eventi passati. Ecco perché lo scrittore inglese Walter Scott vede nell'esito della lotta tra Sassoni e Normanni, conclusasi con la fusione dei due popoli, le origini della nazione inglese, e Manzoni coglie nella situazione dell'Italia del Seicento sottoposta alla dominazione spagnola una condizione simile a quella dell'Italia del suo tempo assoggettata all'Austria.
Il contesto storico-sociale è ricostruito con precisione grazie all'utilizzazione di una vasta documentazione storica, di materiale folklorico (leggende, canti popolari) e di notizie relative a usi, costumi, oggetti, arredi del periodo prescelto che consentono di caratterizzare i personaggi e di inquadrare l'azione in un'ambientazione verosimile.
Le vicende individuali e private sono intrecciate con le grandi vicende collettive dei popoli e direttamente influenzate da esse. Personaggi storici si affiancano a personaggi inventati, popolando il romanzo di figure maggiori e minori ciascuna delle quali rappresenta una situazione e una classe sociale, sicché la vicenda particolare, pur essendo inventata, diviene lo strumento per interpretare la storia di un intero popolo.
Per esempio, nei Promessi sposi, il più importante romanzo storico della letteratura italiana dell'Ottocento, Renzo e Lucia sono due personaggi inventati, ma ricostruiti con assoluta verosimiglianza storica. Non solo essi agiscono e parlano come avrebbero agito e parlato due persone della medesima condizione sociale realmente vissute nel Seicento, ma la loro storia (un matrimonio contrastato con relativo rapimento della fanciulla) avrebbe potuto effettivamente verificarsi in quell'epoca nella quale i signori spadroneggiavano, le leggi non venivano rispettate, la Chiesa non sempre si poneva al fianco dei diseredati e degli oppressi. La vicenda privata di Renzo e Lucia si intreccia con gli eventi storici del tempo e ne è direttamente influenzata. Renzo viene coinvolto nei tumulti di Milano, la sua casa e la vigna sono distrutte dall'invasione dei Lanzichenecchi, i due giovani vengono colpiti dalla peste. In conseguenza di ciò accade che i personaggi inventati entrino direttamente in contatto con alcuni personaggi storici: per esempio, Lucia viene rapita dall'Innominato e viene liberata dal cardinale Borromeo, entrambi realmente esistiti; durante i tumulti di Milano Renzo incontra Ferrer, il governatore spagnolo della città e così via. Nei Promessi sposi inoltre Renzo e Lucia sono espressione della nuova classe borghese che si va faticosamente facendo strada tra i soprusi e i privilegi dell'antica nobiltà feudale. Nei romanzi di Walter Scott, l'iniziatore del genere, tutti i personaggi rappresentano le posizioni e le reazioni delle varie classi sociali e delle parti in lotta. Il loro comportamento dunque non è casuale, ma dipende dalle caratteristiche storiche del tempo e della classe a cui appartengono.
Per quel che riguarda la struttura narrativa il romanzo storico solitamente prende l'avvio da una situazione iniziale di equilibrio nella quale interviene un ostacolo che impedisce la realizzazione di un progetto o desiderio. I protagonisti passano attraverso una serie di peripezie che ritardano lo scioglimento finale e la loro vicenda si incrocia con quelle di altri personaggi che svolgono il ruolo di aiutanti o di oppositori.
All'azione principale si intrecciano pertanto diversi filoni secondari e i personaggi si moltiplicano. La narrazione si arricchisce spesso di digressioni nel corso delle quali l'autore si sofferma sugli avvenimenti storici che interferiscono con la vicenda dei prota­      gonisti. Sono frequenti anche inserti narrativi nei quali viene ricostruita la storia di alcuni personaggi che svolgono nel romanzo un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell'azione. Si tratta di veri e propri romanzi nel romanzo, come per esempio quelli che nei   Promessi sposi narrano le vicende della monaca di Monza e dell'Innominato. Lo scio­glimento finale è legato al risolversi di una situazione storica: la fine di una guerra o di una pestilenza, la conclusione di un'alleanza, la morte di un personaggio potente ecc.  La narrazione è affidata a un narratore onnisciente che conosce lo svolgimento dell'azione, analizza le motivazioni psicologiche e i sentimenti dei personaggi e interviene spesso a commentare i fatti o a esprimere giudizi. Talora, per avvalorare la veridicità di quanto sta raccontando, l'autore ricorre all'espediente del «manoscritto ritrovato»: fin­ge cioè di non essere lui l'autore della storia, ma di averla trovata in un antico mano­scritto risalente all'epoca in cui sono avvenuti i fatti e di essersi limitato a trascriverla in un linguaggio più moderno. A questa finzione hanno fatto ricorso sia Scott che Manzoni e in tempi più moderni Umberto Eco per il suo romanzo Il nome della rosa.     
Gli immediati precedenti del romanzo storico vanno ricercati nel romanzo gotico o nero sviluppatosi in Inghilterra nella seconda metà del Settecento e così chiamato per le ambientazioni tenebrose e spettrali e per i personaggi misteriosi e diabolici.
Fanno parte di questo filone I misteri di Udolfo di Ann Radcliff, Il castello di Otranto di Horace Walpole, Il monaco di Matthew Lewis, tutti costruiti su una serie di luoghi comuni: fanciulle perseguitate, castelli cupi, vicende misteriose collocate su uno sfon­do storico generico, solitamente medievale, la cui funzione è esclusivamente orna­mentale. Dal romanzo gotico o nero ilromanzo storico riprende l'ambientazione nel passato che però non è un elemento decorativo, ma ha funzione conoscitiva, serve cioè a far comprendere la dinamica dello sviluppo storico. Rifiuta invece i toni truci e le complicazioni avventurose dell'intreccio che diviene più equilibrato.
Fondatore del romanzo storico si può considerare Walter Scott che nei suoi nume­rosissimi romanzi, Ivanhoe, Waverly, Kenilworth, ha rappresentato le diverse tappe della storia inglese, facendo emergere le leggi fondamentali che ne hanno determina­to l'evoluzione. A Scott si ispirò in Italia Alessandro Manzoni che con I promessi sposi rinnovò il modello scottiano ponendo per la prima volta gli umili al centro della rap­presentazione e conferendo maggior rigore alla ricostruzione del contesto storico che   in Scott svolgeva spesso una funzione prevalentemente scenografica. Rientrano nel fi­lone del romanzo storico molti grandi romanzi dell'Ottocento: La certosa di Parma di Stendhal, La figlia del capitano di Aleksàndr Puskin, I Viceré di Federico De Roberto, Les Chouans di Honoré de Balzac, Guerra e pace di Lev Tolstoj ecc. Verso la metà del secolo, venuta meno la tensione ideale che aveva portato il mondo borghese a riflette   re sulla propria storia, l'attenzione degli scrittori si rivolse direttamente alla realtà bor­ghese contemporanea, della quale il romanzo realista mise in luce vizi e virtú, elimi­nando ogni riferimento al passato. Il romanzo storico si trasformò allora in una narra­zione avventurosa, ricca di intrighi e di colpi di scena, come nei Tre moschettieri di Alexandre Dumas padre.

Conclusasi la grande stagione ottocentesca, non si può dire che il romanzo storico sia del tutto tramontato. Il genere è stato ripreso anche da scrittori contemporanei che hanno ancora una volta scavato nel passato per riflettere sui problemi del presente. Non si può tuttavia parlare di un ritorno alle forme ottocentesche: l'esigenza della do­cumentazione storica si affianca oggi a un sempre più vivo interesse per l'indagine psi­cologica dei personaggi che sono diventati il vero centro del racconto con il conseguente spostamento del punto di vista dall'esterno all'interno. Pensiamo a opere come Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi diLampedusa, La Storia di Elsa Morante, le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini, I fuochi del Basento di Raffaele Nigro, La chimera di Sebastiano Vassalli ecc. Le strutture narrative sono diventate più complesse, grazie all'introduzione di tecniche proprie del romanzo sperimentale: è il caso, per esempio, del Sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo. È mutato soprattutto l'atteggiamento nei confronti della storia: se nelle opere ottocentesche essa poteva ancora apparire come uno sviluppo organico e positivo, frutto dell'agire degli uomini, dopo le violenze e gli orrori a cui ci hanno purtroppo abituati gli avvenimenti del Novecento, la storia, per usare le parole della scrittrice Elsa Morante, si configura come «uno scandalo che dura da diecimila anni», come un succedersi di eventi che stritolano uomini e cose, lasciandosi dietro una scia di sangue e di violenza, senza che nulla cambi. Il romanzo storico del Novecento, se è possibile usare ancora questa formula, è dunque un prodotto complesso che innesta sulle componenti tipiche del genere elementi provenienti da altre forme narrative sia «alte» (romanzo d'analisi, romanzo sperimentale) sia «popolari» (il romanzo giallo utilizzato da Umberto Eco nel famosissimo Il nome della rosa), risultando pertanto difficilmente classificabile.

 

Il romanzo realista dell’Ottocento

Adoperiamo l'espressione romanzo realista per indicare quel tipo di romanzo che prende a prestito personaggi e situazioni del mondo reale ed è solitamente ambientato in un'epoca vicina o addirittura contemporanea all'autore. Si tratta di una categoria molto vasta che attraversa un po' tutte le epoche, dall'antichità fino ai giorni nostri, comprendendo opere assai diverse tra loro, ma accomunate dalla specifica attenzione al reale. Due sembrano essere, secondo una famosa definizione del critico tedesco Erich Auerbach, i caratteri del realismo moderno:

  • la trattazione seria della realtà quotidiana, in particolare dei ceti socialmente inferiori;
  • l'inserimento di persone e avvenimenti della vita di ogni giorno in uno sfondo storico, sociale ed economico che li influenza e li condiziona.

Abbiamo parlato di realismo moderno per distinguerlo dal realismo antico. Infatti gli autori antichi, da quelli latini e greci fino agli scrittori europei del Seicento, quando si rivolgevano al mondo basso e quotidiano, lo rappresentavano sempre comicamente e con un atteggiamento di distacco e non inquadravano personaggi e situazioni in una precisa realtà storicosociale.
La nascita del romanzo realista si può collocare nell'Inghilterra del Settecento, all'epoca della prima rivoluzione industriale e del conseguente affermarsi della nuova classe borghese, che investe il suo denaro nella nascente industria, nel commercio, nella finanza, nell'agricoltura e coinvolge in queste dinamiche e redditizie attività anche l'aristocrazia. La trasformazione economica determina l'allargamento del pubblico e un nuovo status sociale dello scrittore: si forma infatti una cerchia relativamente ampia di lettori che regolarmente acquistano e leggono libri, assicurando così a un certo numero di autori l'indipendenza economica. Essi infatti possono vivere dei proventi diretti della loro attività che si avvia a diventare una professione indipendente e regolare. La mentalità borghese, fatta di spirito di iniziativa, culto del lavoro, brama di successo e di guadagno, trova espressione, da questo momento, in un nuovo tipo di romanzo non più imperniato su vicende avventurose e complicate, tipiche del romance seicentesco, ma volto a rappresentare l'uomo nuovo della classe media.
Per la prima volta dunque il mondo quotidiano assurge a dignità letteraria e viene raffigurato seriamente e non più in chiave comica. Papà Grandet, 1'impiegatuccio del Cappotto di Nikolay Gogol', Emma Bovary sono personaggi qualunque, non si atteggiano a eroi, né si elevano al di sopra del livello medio del pubblico che legge la loro storia.
Gli autori non si limitano a raccontarne le vicende o a seguirne l'itinerario psicologico, ma li collocano in un preciso contesto, facendone l'espressione di una realtà economica e sociale che viene minuziosamente descritta e analizzata nella complessità delle sue componenti. L'ambiente in cui i personaggi si muovono non è più uno scenario che serve solo per dare risalto alle azioni dell'eroe, ma è esso stesso oggetto di analisi e di descrizione.
1 fatti non sono collocati in epoche lontane dal presente, come avviene nel romanzo storico, ma si svolgono nella realtà contemporanea all'autore, poiché l'interesse degli scrittori è rivolto ai fenomeni sociali, culturali, politici del loro tempo.
Il narratore onnisciente interviene a commentare i fatti e a giudicare i personaggi.
Sono questi i tratti distintivi che accomunano le opere appartenenti al filone realista, anche se il genere, data la sua lunga persistenza nel corso dei secoli, si è andato via via modificando e ha assunto caratteristiche differenti in relazione alla diversità dei luoghi e dei tempi in cui si è affermato.

Il romanzo realista inglese Nell'Inghilterra del Settecento l'analisi della realtà quotidiana e della problematica borghese viene affrontata ora direttamente, in roman­zi come Tom Jones di Henry Fielding e Pamela di Samuel Richardson, che narrano l'ascesa sociale di personaggi umili, ora indirettamente, come nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe o nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift che, attraverso la struttura del romanzo di viaggi e di avventure, alludono alla nuova realtà sociale. Per esempio, Robinson, il naufrago che con le sole sue forze riesce a creare le basi di una società ci­vile là dove esisteva solo un mondo selvaggio e ostile, è i1 classico esponente del ceto medio.
Swift, invece, servendosi del medesimo schema del viaggio in paesi sconosciu­ti, presenta l’altra faccia della medaglia e delinea un quadro satirico della nuova società europea.                             .
Nell’Ottocento il romanzo realista inglese si colora di toni umanitari con Charles Dickens, il quale mette in luce le condizioni inumane nelle prigioni e nelle fabbriche, il crudele trattamento dei bambini, ma non va oltre il grido di allarme e propone come soluzioni la beneficenza privata e la bontà dei ricchi.

Il romanzo realista francese Il romanzo realista vive sicuramente la sua sta­gione più  sfolgorante in Francia tra il 1830 e il 1870, allorché con Stendhal, Balzac, Maupassant, Flaubert compie un ulteriore passo in avanti in direzione dell'approfondimento e della complessità della rappresentazione. Le opere di Stendhal, in partico­lare Il rosso e il nero, sono cronache politiche nelle quali l’autore rappresenta la de­gradazione della società francese nell'età della Restaurazione, attraverso le vicende in­dividuali di giovani ambiziosi che non arretrano di fronte a nulla, pur di avere nella società una parte adeguata alle loro capacità e alle loro aspirazioni. I romanzi di Balzac sono invece delle cronache sociali. Il personaggio non ha importanza di per sé, ma solo in quanto rappresenta un gruppo sociale ed è esponente di un conflitto di classe.
Balzac dà una rappresentazione negativa della moderna società borghese che ha sacrificato al denaro i valori più sacri, la famiglia, l'amore, i principi morali, ma al tempo stesso ne coglie la forza innovatrice e progressiva, ammira l’industria moderna ed è af­fascinato dalle gigantesche metropoli.

Il romanzo naturalista francese – Rientra nel filone del realismo ottocentesco anche il romanzo naturalista, sviluppatosi in Francia nella seconda metà dell’Ottocen­to. Esso assume alcuni caratteri specifici che lo distinguono dalla produzione prece­dente e ne fanno un prodotto chiaramente riconoscibile. Proviamo a definirli breve­mente:

  • l’ambiente è quello delle città industrializzate; i protagonisti appartengono alle clas­si più umili, solitamente al proletariato e sottoproletariato urbano; la vicenda è ambientata nel presente;
  • lo scrittore si pone di fronte alla materia trattata con lo stesso atteggiamento con cui lo scienziato studia i fenomeni naturali. Convinto che l'uomo sia condizionato nel suo agire da tre elementi: fattori ereditari, ambiente sociale, momento storico, l'autore, una volta scelta la «fetta di vita» (tranche de vie) che vuole rappresentare, studia accu­ratamente le relazioni di causa ed effetto che intercorrono tra i fenomeni. Il compor­tamento dei personaggi pertanto non è mai casuale, ma rigorosamente determinato dal fattore ereditario, dall'ambiente sociale e dal momento storico nel quale vivono;
  • l'autore non interviene mai a commentare i fatti, come accade nel romanzo storico o in quello realista, ma fa parlare i personaggi con il loro linguaggio e cerca di ritrarre si­tuazioni e ambienti quasi in modo fotografico, affinché l'opera dia l'impressione di es­sersi fatta da sé. Questo atteggiamento che prende il nome di impersonalità, è un mezzo mediante il quale l’autore si eclissa dal romanzo, ma non implica indifferenza o disinteresse per i temi trattati. Al contrario, lo scrittore naturalista è ricco di umori polemici e desideroso di correggere  le storture della società in cui vive;
  • i naturalisti scrivono di solito cicli di romanzi, cioè compongono diversi romanzi, ciascuno in sé concluso, che hanno come protagonisti personaggi della famiglia appartenenti a generazioni diverse. Ciò allo scopo di verificare sia il mutamento dei comportamenti umani in relazione alle modificazioni dell'ambiente e della situazione storica sia l'influenza dei fattori ereditari.

I maggiori esponenti del romanzo naturalista francese sono Emile Zola (I Rougon-Macquart, un
ciclo di venti romanzi) e i fratelli Edmond e Jules de Goncourt (Suor Filomena, Germinie Lacerteux), ai quali si ispirarono gli scrittori italiani Giovani Verga e Luigi Capuana.

Il romanzo verista italiano La narrativa verista, sviluppatasi in Italia nella se­conda metà dell'Ottocento, si collega a quella naturalista della quale riprende i caratteri essenziali, ma se ne distacca per due aspetti:

  • il regionalismo: l'artista si volge a rappresentare i ceti più umili della società, preferendo però al proletariato urbano, che in Italia è pressoché inesistente, dato il ritardo processo economico, le plebi contadine. Ogni scrittore pertanto rappresenta il mondo della propria regione: Verga e Capuana la Sicilia, Matilde Serao la Campania, Renato Fucini la Toscana e così via;
  • il pessimismo: lo scrittore verista si piega a contemplare con pietà sincera la mi­seria delle plebi contadine, ma non ritiene possibile un mutamento delle condizioni sociali.

Il romanzo realista russo Ha avuto la sua massima fioritura nella seconda metà dell'Ottocento con Ivan Gončarov (Oblomov), Ivan Turgenev (Padri e fìgli), Lev Tol­stoj (Anna Karenina, Resurrezione), Nikolay Gogol' (Il cappotto), Fedor Dostoev­skij (Delitto e castigo, Umiliati e offesi, Il sosia, L'idiota). La narrativa russa presenta tre caratteristiche fondamentali:

  • l'interesse e la compassione per le masse contadine, nelle quali vengono riconosciuti i valori positivi del popolo russo (a questo atteggiamento si suole dare il nome di populismo);
  • una profonda ispirazione morale, per cui al centro della narrazione si pone il problema del male e della sofferenza subita dagli innocenti (frequente è la figura del perso­naggio umiliato e offeso). Da qui la funzione di turbamento delle coscienze attribuita al romanzo, il cui scopo non è quello di intrattenere e divertire il lettore, bensì di su­scitare problemi e di mettere in crisi certezze;
  • la sottigliezza dell'analisi psicologica che mette a nudo le contraddizioni e il dissidio dell'animo dei personaggi.

 

Il romanzo realista del Novecento

Nel Novecento la narrativa realistica assume nuovi caratteri in relazione al mutato clima culturale, politico e sociale. L'attenzione degli scrittori si rivolge alla crisi dell'uomo che viene analizzata in tutte le sue componenti e messa in rapporto con il contesto sociale che la determina: la famiglia, la città, i nuovi processi industriali, la situazione politica ecc. Se il romanzo ottocentesco aveva messo in primo piano l'ambiente e le leggi economiche che governano la società, il realismo del Novecento privilegia il personaggio, pur non trascurando il mondo che lo circonda.

Il romanzo americano Verso il realismo si orienta, a partire dai primi anni del Novecento, la narrativa statunitense «che segue con occhio critico la nascita e lo svi­luppo grandiosamente caotico di una società caratterizzata da enormi squilibri» (A. Marchese). Oggetto di questi romanzi è solitamente la società americana fra le due guerre, contrassegnata dalla crisi economica del 1929. Gli autori amano raccontare la vita vuota e monotona della provincia, le grandi fortune dei nuovi ricchi, la miseria dei contadini e degli operai, la mediocrità della piccola borghesia, il desiderio di evasione del personaggio emarginato, sradicato, alla ricerca di emozioni e di avventure, 1'impossibilità di creare rapporti autentici con gli altri. Il linguaggio è volutamente semplice, ricco di elementi gergali e dialettali; la sintassi, breve e poco articolata, vuol dare l'impressione del parlato. Gli autori più rappresentativi sono: Ernest Hemingway (Addio alle armi, Per chi suona la campana, Il vecchio e il mare), Francis Scott Fitzgerald (Il grande Gatsby, Tenera è la notte), William Faulkner (L'urlo e il furore), John Steinbeck (Uomini e topi, Pian della Tortilla), John Dos Passos (42° parallelo). Le loro opere hanno costituito un significativo punto di riferimento per gli scrittori italiani degli anni trenta.

Il romanzo italiano Nell'Italia del Novecento la narrativa realistica ha una ri­presa a partire dagli anni trenta, quando nasce un romanzo che, ispirandosi al contemporaneo modello americano, esplora ora l'esistenza opaca e indifferente della bor­ghesia cittadina, ora la realtà del meridione. Una particolare attenzione viene rivolta ai conflitti interiori dei personaggi e al loro rapporto con il mondo esterno, che non si po­ne più come qualcosa di immobile e oggettivo, ma come una realtà in movimento, dif­ficile da afferrare e da comprendere. Intorno a queste tematiche si incontrano scritto­ri appartenenti a generazioni diverse e lontani tra loro per provenienza e formazione: Vittorini, Pavese, Moravia, Alvaro, Silone, Jovine, per non citarne che alcuni. Sul pia­no stilistico si privilegia un linguaggio realistico che però si piega a esprimere anche momenti lirici, sensazioni impalpabili e tensioni polemiche. Negli anni del dopoguerra e della ricostruzione, l'attenzione degli scrittori si sposta sulle problematiche legate al­la guerra e alla Resistenza, mentre man mano che ci si avvicina ai giorni nostri il ro­manzo si avvia a esplorare le contraddizioni e i mali della moderna società borghese. Il panorama della narrativa del Novecento di ispirazione realistica è dunque tutt'altro che compatto e uniforme; al suo interno è possibile distinguere filoni diversi per tematica e scelte espressive. Ecco un sintetico quadro di riferimento.

  • Realismo esistenziale Questa formula è stata applicata alla narrativa di Cesare Pavese (La bella estate, Prima che il gallo canti, La luna e i falò, Il compagno) e di Elio Vittorini (Il garofano rosso, Conversazione in Sicilia, Uomini e no) che si possono considerare i fondatori del realismo novecentesco. Essi hanno operato tra il 1930 e il 1950, intrecciando nelle loro opere una spiccata attenzione ai problemi poli­tici e sociali del loro tempo e un'attenta analisi dei moti interiori e degli stati d'animo dei personaggi.

 

  • Narrativa meridionalistica È bene parlare di narrativa meridionalistica e non meridionale perché si tratta di opere che, pur affrontando í problemi sociali ed economici del sud, non sono state composte esclusivamente da autori meridionali. Fanno parte dalla narrativa meridionalistica infatti scrittori del nord come Carlo Levi, originario di Torino, ma vissuto per un certo periodo della sua vita in un paese dei mezzogiorno, e intellettuali che, pur essendo nati nel meridione, si sono allontanati talora definitivamente dalla terra d'origine, come, per esempio, Ignazio Silone.
  • La prima caratteristica che accomuna queste opere è la ripresa del Verismo a cui i narratori meridionalisti si richiamano per la rappresentazione oggettiva e dolorosamente realistica del mondo contadino e dei problemi del sud, ma dal quale si distaccano per una più profonda consapevolezza politicosociale che li porta a sperare in una possibilità di riscatto delle masse umiliate e oppresse.
  • Sul piano tematico questi scrittori da una parte denunciano lo sfruttamento delle classi sociali più deboli e la generale arretratezza del meridione, che subisce i contraccolpi della trasformazione dell'Italia da paese agricolo a paese industriale, dall’altra guardano con nostalgia alla progressiva estinzione della millenaria civiltà contadina. Ecco allora che il sud assume connotati mitici, viene celebrato come una terra arcaica e incantata, fuori da ogni concreta dimensione spaziotemporale, e diviene simbolo di una purezza ormai scomparsa.
  • L'esigenza di dar voce a questo mondo ingenuo e popolare induce gli scrittori a ricorrere a inserti dialettali e a una sintassi spezzata e paratattica che riproduce 1e caratteristiche del parlato.

 

Sviluppatasi tra gli anni trenta e quaranta, la narrativa meridionalistica ha i suoi significativi rappresentanti in Ignazio Silone (Fontamara), Corrado Alvaro (Gente d’Aspromonte), Carlo Bernari (Tre operai), Carlo Levi (Cristo si è fermato a Eboli).

  • Narrativa della testimonianza Comprende tutte quelle opere scritte nell’immediato dopoguerra con l'intenzione di ricordare, di dare testimonianza di eventi spesso dolorosi che gli autori hanno vissuto in prima persona: la guerra, le persecuzioni razziali, l'esperienza della deportazione, la Resistenza. La narrazione in questi casi si configura come un resoconto asciutto che si sforza di essere rigorosamente fedele ai fatti e rifiuta qualunque eleganza formale, come se la dolorosa realtà degli avvenimenti narrati potesse essere sminuita dal ricorso alla letteratura. Ci limitiamo a ricordare, tra le opere più rappresentative di questo filone, Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, sobria narrazione della ritirata di Russia, 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti e soprattutto i romanzi di Primo Levi (Se questo è un uomo, La tregua), nati dall'esigenza morale di testimoniare la realtà dei campi di sterminio.

 

  • Narrativa della memoria Rientrano in questa categoria un gruppo di opere nelle quali gli autori rievocano vicende e personaggi della loro vita passata collocandoli sullo sfondo dei grandi eventi storici del Novecento: il fascismo, la guerra, le persecuzioni razziali. La narrazione ora ha un taglio autobiografico, come in Lessico familiaredi Natalia Ginzburg, ora è condotta in terza persona, sicché la vicenda personale è schermata dalla finzione, come nei romanzi di Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini e Le storie ferraresi, che ruotano intorno alla città di Ferrara e agli affetti dello scrittore sconvolti irreparabilmente dalla guerra. Numerose sono le scrittrici del Novecento che privilegiano questa dimensione del privato e della memoria: Natalia Ginzburg, Anna Banti, Francesca Sanvitale, Gianna Manzini, Lalla Romano, Elsa Morante.
  • Realismo critico Sotto questa etichetta vengono collocati quei narratori che tendono a dare una rappresentazione critica della realtà che appare contraddittoria e complicata. Essi adoperano le strutture narrative tradizionali e una lingua comunicativa e immediata, un italiano «medio» attraverso il quale mettono a nudo, spesso con ironia graffiante, le debolezze e i guasti della società borghese. Rientrano in questo settore autori appartenenti a generazioni diverse (Moravia, Sciascia, Brancati, Flaiano, Soldati ecc.) che offrono della realtà italiana immagini spesso discordi, ma sono accomunati dalla capacità di far emergere in modo lucido e rigoroso il male e le contraddizioni del mondo rappresentato.

 

  • Romanzo neorealista - Con il termine neorealismo si suole indicare una produzione letteraria e soprattutto cinematografica (ricordiamo film come Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, Roma città aperta e Paisà di Roberto Rossellini), compresa tra l'immediato dopoguerra e la metà circa degli anni cinquanta (1940-1955) e contrassegnata:
  • da un nuovo modo di rappresentazione della realtà popolare che viene riportata sulla pagina e sullo schermo quasi in presa diretta, escludendo volutamente qualsiasi artificio letterario;
  • dall'impegno politico dell'autore, scrittore o regista che sia, e dalla sua fiducia nelle risorse dello spirito popolare e nei valori collettivi;
  • da un linguaggio di tipo medio che sembra essere la voce stessa del popolo il quale sale alla ribalta della storia per raccontare se stesso e i fatti a cui si trova a partecipare.                

Un tale atteggiamento trova la sua logica spiegazione nel contesto storico di quegli anni attraversati da eventi che segnarono una svolta nella nostra storia: la caduta del regime fascista, la Resistenza, la riconquistata libertà, la ricostruzione postbellica. Ci ha lasciato una vivida descrizione dell'atmosfera in cui maturò la narrativa neorealista Italo Calvino nella prefazione al suo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno, scritta nel 1964, quando il fenomeno era stato già superato.

L'essere usciti da un'esperienza - guerra, guerra civile - che non aveva risparmiato nessuno, stabiliva un'immediatezza di comunicazione tra lo scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari, drammatiche, avventurose, ci si strappava la parola di bocca. La rinata libertà di parlare fu per la gente al principio smania di raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare, gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d'olio, ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le vicissitudini che gli erano occorse e così ogni avventore ai tavoli delle «mense del popolo», ogni donna alle code dei negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava cosa d'altre epoche; ci muovevamo in un multicolore universo di storie.  (I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno,Einaudi, Torino, 1964)

Questa voglia di raccontare, di partecipare agli altri le proprie esperienze dà vita a una produzione narrativa i cui caratteri possono essere così sintetizzati:

  • predilezione per i contenuti legati agli eventi più recenti: da un lato la lotta di liberazione, la guerra, l'esperienza dei campi di concentramento, dall'altro le condizioni del popolo;                    
  • scelta di personaggi popolari e quotidiani (operai, contadini, piccoli borghesi), solitamente esclusi dalle pagine dei romanzi; viene applicata alla narrativa quella «poetica del vicino di casa» teorizzata per la cinematografia dal regista Cesare Zavattini il quale afferma che basterebbe seguire con la macchina da presa una persona qualsiasi per scoprire aspetti illuminanti della società;
  • rifiuto della bella scrittura che viene sostituita da un linguaggio parlato, ottenuto integrando nella lingua nazionale le voci dialettali e gergali e dando la preferenza al dialogo e alla paratassi;
  • adozione di un io narrante che sottolinea il carattere di partecipazione diretta agli eventi da parte del personaggio;
  • rapporto vivo con i1 pubblico, soprattutto con il popolo che si è trasformato da massa passiva in entità attiva, protagonista delle lotte, e chiede all'intellettuale dialogo e partecipazione.

I modelli a cui gli scrittori si ispirano, sempre secondo la testimonianza di Calvino, sono I Malavoglia di Verga, Paesi tuoi di Pavese e Conversazione in Sicilia, di Vittorini. Bisogna però sottolineare che il realismo di Vittorini e di Pavese si differenzia notevolmente da quello degli scrittori neorealisti: i primi privilegiano problematiche esistenziali e conferiscono alle loro opere un'impronta lirica e simbolica, i secondi guardano ai problemi economici, politici e sociali dell'Italia del secondo dopoguerra, caratterizzata dall'arretratezza e dagli squilibri, ma anche da una sincera volontà di ricostruzione e di progresso. Da Verga e dai veristi invece gli scrittori neorealisti si distinguono per una maggiore fiducia nelle possibilità di rinnovamento del paese e nel progresso dell'intera umanità.
Negli anni in cui il neorealismo sì affermava furono ricondotte a questo filone le esperienze letterarie pii diverse, purché accomunate dall'attenzione al reale e dall'impegno politico e morale dell'autore: dall'alta testimonianza di Se questo è un uomo di Primo Levi, al romanzo di Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli, fino alle opere di Cassola, Pratolini, Bassani ecc. Oggi, tenuto conto anche dell'evoluzione che ciascuno di questi scrittori ha avuto negli anni successivi, si tende a far rientrare nell'ambito del neorealismo solo quei romanzi che presentano in modo evidente le caratteristiche sopra riportate. Possono essere pertanto considerati romanzi neorealisti, pur con i limiti che comporta ogni tentativo di applicare a un'opera letteraria un'etichetta definita, Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, L'Agnese va a morire di Renata Viganò, L'oro di Napoli di Giuseppe Marotta, Spaccanapoli di Domenico Rea, Metello di Vasco Pratolini che segna la fine di questa corrente.
A conclusione di questo quadro di riferimento, è bene precisare che esso non pretende dì esaurire l'immensa nebulosa della narrativa realistica del Novecento, ma si propone solo come uno schema generale al quale ricondurre le singole opere per darne una sommaria definizione, senza dimenticare che ciascuna di esse ha una sua originalità e complessità che sfugge a qualsiasi catalogazione.

 

Il romanzo d’analisi

Come si è già detto nell'introduzione a questa sezione, con il romanzo d'analisi l'attenzione dello scrittore si sposta dall'esterno all'interno. Al centro della narrazione non sta più il rapporto tra il personaggio e l'ambiente, ma lo scavo interiore che mette a nudo tutte le sfaccettature del sentimento e finanche le pulsioni dell'inconscio.
L'attenzione ai moti dell'animo naturalmente è presente anche nelle opere di taglio realistico: basti pensare alle finissime indagini psicologiche di Alessandro Manzoni, o all'acuta introspezione che Thomas Mann conduce sui suoi personaggi. Ma in questo tipo di narrativa essa è solo una delle componenti del romanzo, mentre nella narrativa  di analisi diviene l'elemento fondamentale su cui poggia l'intero impianto dell'opera.
Romanzi d'analisi sono presenti nella letteratura europea e italiana del Settecento e dell’0ttocento (pensiamo a romanzi epistolari, quali le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, o a opere come Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij, Malombra di Antonio Fogazzaro e così via), ma è solo a partire dai primi del Novecento che ci troviamo di fronte a una serie di radicali innovazioni nel modo di costruire il romanzo.
La nascita della moderna narrativa d'analisi va ricondotta a una serie di importanti trasformazioni che all'inizio del secolo hanno investito l'economia, la società, il pensiero scientifico e filosofico e hanno influenzato la posizione dell'uomo di cultura e il suo rapporto con la realtà. A Livello economico si assiste tra la fine dell'Ottocento e        i primi anni del Novecento all'affermarsi della seconda rivoluzione industriale contrassegnata dalla nascita di un capitalismo monopolistico che soffoca la libera concorrenza e influenza pesantemente le scelte politiche. L'aumento vertiginoso della produzione comporta infatti la ricerca di nuovi territori in cui esportare le merci e dai quali trarre le materie prime. Da qui il sorgere del colonialismo e dell'imperialismo.
Contemporaneamente si va diffondendo una mentalità ispirata alla ricerca dell'utile personale, all'egoismo e al rifiuto di qualsiasi sentimento autentico e disinteressato, in particolare di quei valori (libertà, solidarietà, uguaglianza) che avevano guidato la borghesia del primo Ottocento. L'intellettuale non si sente più integrato in questa società, anzi ne rifiuta la logica dell'utile, il falso perbenismo, l'ipocrisia. A sua volta la società lo respinge perché lo ritiene inutile: l'artista infatti non è inserito nel ritmo produttivo e l'opera d'arte non crea guadagno. Ecco allora nascere la figura dell'inetto, incapace di integrarsi nella società borghese, ma al tempo stesso dotato di un'acuta capacità di penetrazione che gli consente di intuire le contraddizioni e i mali che si annidano sotto le sane apparenze borghesi. Intanto gli sviluppi della scienza mettono in crisi l'immagine tradizionale di un mondo in cui i fenomeni possono essere spiegati secondo un preciso e univoco rapporto di causa ed effetto. La ricerca scientifica mostra nuove relazioni che sfaldano le antiche sicurezze: si scopre che per ogni fenomeno esiste una pluralità di spiegazioni, mutano gli stessi concetti di spazio e di tempo. Su un altro versante gli studi di psicoanalisi portano alla scoperta dell'inconscio, ovvero di quella parte dell'io che si colloca al di sotto del piano della coscienza e, senza che l'individuo se ne renda conto, influenza in maniera decisiva il suo comportamento.
A questo punto la realtà sia esterna sia interiore non appare più unitaria e compatta, ma si frammenta e si sfaccetta, sfuggendo ai tradizionali metodi conoscitivi. Nasce allora l'esigenza di trovare nuovi strumenti espressivi che siano capaci di riflettere la molteplicità del reale, il continuo mutare della coscienza, il nuovo malessere esistenziale.
Caduta la fiducia nella possibilità di rappresentare dall'esterno il mondo secondo i moduli tipici del romanzo realista ottocentesco, si afferma una produzione letteraria del tutto nuova, che si sviluppa in tre aree geografiche e assume in ciascuna di esse connotazioni specifiche, pur mantenendo alcuni comuni caratteri di fondo. Le tre aree sono:

  • la Francia, in cui Marcel Proust realizza, con Alla ricerca del tempo perduto, il romanzo della memoria;
  • l'Irlanda, che dà i natali a James Joyce il quale con l'Ulisse conduce una vera e propria esplorazione dell'inconscio;
  • l'area mitteleuropea, ovvero la zona centrale dell'Europa, che ha i suoi centri a Praga e a Vienna ed è forse la più feconda di autori e di opere. Rientrano in essa Thomas Mann con La morte a Venezia e La montagna incantata, Franz Kafka, di cui ricordiamo in particolare Il processo e Il castello, Robert Musil con L'uomo senza qualità. All'area mitteleuropea si possono ricondurre, per gli influssi che ne hanno subito, anche i due maggiori scrittori italiani che hanno rinnovato il romanzo sul piano sia dei contenuti sia delle tecniche espressive: Luigi Pirandello e Italo Svevo. Il primo, di cui ricordiamo Il fu Mattia Pascal, Si gira, Uno, nessuno e centomila, pone 1'accento sul venir meno dell'oggettività del reale, sulla falsità degli schemi e delle convenzioni in cui l'uomo accetta di farsi imprigionare per poter vivere nella società e, al tempo stesso, sulla solitudine e sull'impossibilità di comunicare. Il secondo esplora e mette a nudo gli autoinganni con i quali gli inetti mascherano la loro incapacità di integrarsi nel mondo borghese.

Poiché il romanzo d'analisi novecentesco segna un vero e proprio capovolgimento delle tradizionali strutture narrative, per definirne le caratteristiche faremo riferimento alle componenti tipiche del romanzo in modo da scoprire i mutamenti che ciascuna di esse ha subito nel passaggio dalla narrativa ottocentesca a quella del pruno Novecento.

Fabula - Assume una funzione molto marginale. L'attenzione si sposta dagli eventi ai personaggi; le vicende narrate sono grigie, quotidiane, senza storia. Si assiste a un indebolimento dell'intreccio, inteso come narrazione continua, portata avanti da un narratore che tiene in mano i fili della vicenda, muove i personaggi, organizza gli eventi. La materia del racconto tende sempre più a coagularsi in blocchi tematici che non si dispongono in successione logico-temporale, ma appaiono staccati l'uno dall'altro, dando così 1’impressione della frammentarietà del reale.

Personaggi - Si assiste alla dissoluzione dell'autonomia e dell'univocità del personaggio, che soleva trovare espressione nel ritratto diretto, attraverso il quale l'autore ne fissava i tratti fisici, morali, intellettuali, ponendolo in relazione con il contesto storico-sociale. Nel romanzo d'analisi il personaggio non viene presentato «dal di fuori», ma «dal di dentro». Non ne conosciamo quasi mai le fattezze fisiche, l'abbigliamento, l'estrazione sociale; lo scrittore preferisce penetrare nella mente delle sue creature, descriverne le sensazioni, i pensieri, le reazioni che vengono provocate dal rapporto con il mondo esterno, i tentativi compiuti per giungere alla conoscenza e alla comprensione della realtà. Il personaggio inoltre non è mai uguale a se stesso, ma muta a seconda del tempo, delle situazioni in cui si trova e soprattutto in relazione alla molteplicità dei punti di vista attraverso i quali viene presentato. Si passa dunque dalla caratterizzazione fisica, sociale, psicologica alla rappresentazione della dinamica della coscienza. Per esempio, nel romanzo proustiano Alla ricerca del tempo perduto, il personaggio di Swann è raffigurato prima attraverso le impressioni che il narratore ne aveva nella sua infanzia, poi attraverso quelle, ben diverse, che ne ha da adulto; Albertine, cangiante e sfuggente, viene colta in una molteplicità sincronica di atteggiamenti che corrisponde non tanto all'effettiva mutevolezza del suo essere, quanto al variare degli stati d'animo dell'io narrante che la osserva. Fa inoltre la sua comparsa in questi romanzi la figura dell'inetto, un individuo caratterizzato da una vera e propria sfasatura tra il piano della coscienza e quello dell'azione: egli elabora nella sua mente mille progetti, si propone di assumere determinati comportamenti, ma non riesce a tradurre in atto nessuno dei suoi propositi. Tipici inetti sono i protagonisti dei romanzi sveviani: dall'Alfonso Nitti di Una vita, all'Emilio Brentani di Senilità, fino a Zeno Cosini, protagonista della Coscienza di Zeno, che ne riassume tutti i più tipici connotati, arricchendoli con il filo sottile dell'autoironia. Rientra nell'ambito del romanzo d'analisi il Bildungsroman o romanzo di formazione che è il racconto di una crescita. Narra infatti il modo in cui il personaggio, solitamente un giovane o addirittura un adolescente, entra in contatto con la società e, attraverso un processo di maturazione spesso costellato di delusioni, prende coscienza di sé e del mondo che lo circonda. Tipici romanzi di formazione sono L'educazione sentimentale di Gustave Flaubert e Il giovane Holden di Jerome David Salinger.

Tempo - Il tempo non scorre più in un'unica direzione, in quanto i fatti non vengono narrati secondo il loro cronologico dipanarsi. Si assiste a un continuo trapassare dal presente al passato, da un ricordo all'altro; gli episodi rievocati inoltre non sono generalmente vicini nel tempo, ma sono separati da una distanza di anni. È quanto accade nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo, il cui protagonista rievoca, nelle varie sezioni del romanzo, eventi, situazioni, sensazioni che, pur accomunati da uno stesso tema (il vizio del fumo, i rapporti con il padre, il matrimonio ecc.), risalgono a momenti diversi e spesso lontani tra loro. Anche nella monumentale opera di Marcel Proust il ricordo svolge una funzione predominante. Lo scrittore francese distingue tra la «memoria volontaria», che per mezzo di un processo logico e razionale consente di ricordare con         una certa completezza eventi e persone, ma non può restituire l'atmosfera del passato, e la «memoria involontaria» che, suscitata improvvisamente da una sensazione (un profumo, un sapore) ci rituffa immediatamente nel passato e ci fa recuperare stati d'animo che si credevano perduti e che solo attraverso il ricordo vengono rivissuti in tutta la loro intensità. Deriva da tutto ciò un rapporto ambiguo e complesso tra presente e passato: i due piani temporali non si succedono l'uno all'altro, ma coesistono in una specie di «tempo interiore» o «tempo misto», cioè in una dimensione che non è esterna e oggettiva, ma soggettiva e tutta interna al personaggio. Si viene inoltre a creare una sfasatura fra tempo della storia e tempo del racconto: sensazioni, ricordi, pensieri, che in pochi attimi si accavallano nella mente del personaggio, vengono analizzati e descritti a rallentatore, con una forza analitica che arresta il flusso del tempo.         

Spazio - Il mondo esterno, paesaggio o ambiente sociale, non ha più una sua autonomia, ma esiste in funzione del personaggio che lo guarda, perciò assume una luce diversa a seconda delle angolazioni psicologiche da cui l'io narrante lo contempla. È spesso uno spazio vuoto, privo di quegli oggetti e arredi che nel romanzo realista servivano a ricostruire l'ambiente.  

Focalizzazione - Naturalmente in romanzi di questo tipo prevale la focalizzazione interna. I fatti narrati, cioè, sono filtrati attraverso le percezioni e i pensieri del protagonista grazie all'adozione della cosiddetta restrizione di campo: il lettore è informato soltanto di ciò che ricade nell'ottica del personaggio o che accade nella sua mente. Il punto di vista inoltre non è unico, ma si frantuma in una miriade di ottiche diverse se l'autore mette in campo più personaggi, o si modifica con il trascorrere del tempo.

Tecniche narrative - Il romanzo d'analisi è caratterizzato da profonde innovazioni che riguardano sia la struttura sia le scelte espressive, in particolare la maniera in cui viene data la parola ai personaggi. Alla frammentazione e alla disorganicità del mondo quale appare agli occhi dello scrittore, corrisponde una struttura compositiva volutamente disarticolata: si pensi alla Coscienza di Zeno, un romanzo costituito da blocchi staccati l'uno dall'altro, ognuno dei quali verte intorno a un tema centrale.             
L'interesse per tutto ciò che accade sul piano della coscienza e nel labirinto dell'inconscio fa si che acquistino un ruolo predominante sia il monologo interiore sia il flusso di coscienza. Quest'ultima tecnica è sistematicamente adoperata da James Joyce nell'Ulisse, in cui l'autore segue nel corso di un'intera giornata i pensieri, le sensazioni, i ricordi che si succedono e si accavallano per libere associazioni nella mente di tre personaggi qualunque che sono i protagonisti del romanzo: Mr. Bloom, sua moglie Molly e il giovane Stephen Daedalus.

Le innovazioni che abbiamo sommariamente delineato non hanno investito soltanto il romanzo del primo Novecento, ma continuano a essere utilizzate anche dagli scrittori dei giorni nostri: costituiscono pertanto un patrimonio di tecniche ormai definitivamente acquisite dalla narrativa.

 

Il romanzo sperimentale

Sin dal suo nascere il romanzo è stato espressione letteraria della borghesia, che ha trovato in esso il genere più adatto a rappresentare se stessa, attraverso la finzione ro­manzesca, nella molteplicità dei suoi aspetti.

L'autore di un romanzo di solito si presenta come interprete del mondo a cui appartiene e ne dàun'immagine il più possibi­le organica e razionale, denunciandone e correggendone le presunte storture. Anche  quando, come per esempio nelle opere di Jonathan Swift, prevalgono i toni satirici, la  polemica è comunque interna al sistema, non intende cioè distruggere il mondo rappresentato, ma rafforzarlo attraverso quella che potremmo definire una critica co­struttiva. Può però accadere che la realtà si presenti agli occhi dello scrittore non co­me una molteplicità di eventi, situazioni, sentimenti, ideali che, pur confusi e contrad­dittori, riescono a comporsi in forma organica, ma come un magma in continuo movimento, inconoscibile e stravolto, di cui l'artista è incapace dì fornire una razionale chiave di lettura. A questo punto le strutture del romanzo tradizionale si rivelano inade­guate a rispecchiare il disordine esterno e interno al soggetto. Bisogna allora ricorre­re a strumenti espressivi diversi, capaci di raccontare una realtà mobile e inafferrabi­le, segnata da continue e imprevedibili trasformazioni.

Nasce così il romanzo sperimentaleo antiromanzo, che può essere considerato un tipico prodotto del Novecento. Sono stati infatti proprio gli scrittori moderni più at­tenti e sensibili che, sconvolti dalla degenerazione della società borghese, privi di cer­tezze e di punti fermi, non si sono più riconosciuti nelle rassicuranti strutture del ro­manzo tradizionale, espressione di un sistema da essi contestato, e hanno sentito il bisogno di esprimere il loro rifiuto della società attraverso la scomposizione e la defor­mazione delle consuete forme narrative. Padri del moderno romanzo sperimentale si possono considerare James Joyce, con Ulìsse,Italo Svevo con La coscienza di Zeno, Carlo Emilio Gadda con Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizio­ne del dolore. Non bisogna tuttavia dimenticare che il primo antiromanzo risale ad­dirittura al Settecento: è stato Laurence Sterne con il suo Tristram Shandya mette­re per la prima volta in discussione i codici della società borghese che in quegli stessi anni veniva raffigurata in chiave ora realistica ora satirica nei romanzi di Defoe (Robinson Crusoe), Richardson (Pamela) e Swift (I viaggi dì Gulliver).
Osserviamo adesso da vicino il romanzo sperimentalee proviamo a metterne in lu­ce le caratteristiche più significative.

  • In romanzi di questo genere viene meno solitamente la linearità e consequenzia­lità della fabula. Essi narrano storie apparentemente futili, spesso prive di conclu­sione, talora interrotte improvvisamente e senza motivo (è il caso dei romanzi di Sterne e di Gadda), sempre complicate dalle più svariate digressioni e divagazioni.
  • Scompare anche la verosimiglianza cronologica. Alla naturale successione tem­porale degli eventi, tipica del romanzo avventuroso e realistico e, tutto sommato, ri­spettata anche da quello d'analisi, si sostituisce una sorta di andirivieni di giorni, mesi e anni. La narrazione ora procede in avanti, ora torna indietro, senza seguire un ordi­ne cronologico, mentre il tempo del racconto si dilata a dismisura rispetto al tempo della storia a causa delle frequenti digressioni che spezzano la continuità dell'azione.
  • Si modifica radicalmente la funzione del narratore, il quale esce dall'ombra e mette a nudo la finzione narrativa e i meccanismi del racconto. Si rivolge direttamente al lettore per informarlo sul modo in cui ha intenzione di portare avanti la narrazione o sul ruolo della scrittura e sul suo rapporto con essa o sulla possibilità di dare di uno stes­so materiale narrativo diverse versioni in modo da far emergere differenti punti di vi­sta. Quando ciò accade il romanzo diventa metaromanzo, ovvero un testo che parla di se stesso e del modo in cui è scritto. Uno degli esempi più clamorosi di metaromanzo, a parte il Tristram Shandy di Laurence Sterne, è Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino, un'opera che, attraverso l'esasperata messa a nudo degli artifici narrativi, esprime l'impossibilità di raccontare storie di senso compiuto.
  • Confluiscono spesso nel romanzo sperimentale materiali di tipo diverso, letterari e non letterari: l'autore utilizza brani tratti da altre opere, passi di saggi storici, scientifici o filosofici, senza filtrarli attraverso la sua personale rielaborazione, ma con l’intenzione di creare una sorta di collage, cioè una mescolanza di elementi eterogenei. È questa la tecnica adoperata dallo scrittore contemporaneo Vincenzo Consolo nel romanzo Il sorriso dell'ignoto marinaio.
  • La dissoluzione della tradizionale forma del romanzo e dell'immagine organica del mondo che in essa si riflette passa soprattutto attraverso la deformazione e la mescolanza dei linguaggi. Lo scrittore accosta lingua e dialetto, termini moderni, arcaismi e neologismi, espressioni colte e gergali, con l'intento di dar voce a una molteplicità di livelli culturali e sociali o di riprodurre il disordine della realtà e la confusione dell'io. Fanno uso della mescolanza dei linguaggi Gadda e Consolo.

Naturalmente questi elementi non sono presenti contemporaneamente nella stessa opera e nello stesso autore. Ogni scrittore utilizza di volta in volta quelli che ritiene più conformi alle sue esigenze narrative e alla sua personale visione del mondo.

 

 

Fonte: http://www.istitutoeuropaunita.it/didattica/libanoro/Tipi_di_romanzo_(1).doc

Sito web da visitare: http://www.istitutoeuropaunita.it/

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