Lezioni di economia aziendale

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Lezioni di economia aziendale

L’AZIENDA

Introduzione all’Economia Aziendale
I rami del sapere sogliono distinguersi in “rami del sapere storico” e “rami del sapere comune o permanente”. I primi, detti anche individualizzanti, quali ad esempio la Storia, individuano ciò che è particolare ed unico degli eventi, ponendone in luce le conseguenze ed analizzandone le cause. I secondi, definiti rami del sapere generalizzanti, pongono in luce ciò che, negli eventi osservati, può essere considerato generale, comune e permanente: questi ultimi soltanto possono essere considerati scienze.
Le scienze possono essere distinte in scienze formali (quali la Logica, la Matematica ecc.) ed in scienze empiriche che si sono sviluppate con lo scopo di descrivere, spiegare e, quindi, prevedere le relazioni tra fenomeni reali. Le scienze empiriche si distinguono in positive e normative, le scienze empiriche positive individuano e formulano leggi ed uniformità, sono dette “scienze di ciò che è”.
L’Economia Aziendale è quindi una scienza generalizzante empirica positiva, rientra fra le scienze sociali in quanto ha per oggetto l’uomo osservato quale unità elementare di un sistema o gruppo di appartenenza.

La concezione istituzionale dell’azienda

Al fine di individuare il concetto di azienda e di descriverne i tratti peculiari è opportuno premettere alcune nozioni fondamentali.
Per bisogno si intende la necessità o il desiderio dell’uomo di uscire da uno stato di insoddisfazione mediante l’utilizzo di mezzi ritenuti adeguati ed a tal fine destinati; questi ultimi sono detti genericamente beni e quando sono in quantità limitata rispetto ai bisogni prendono la qualifica di beni economici. Il complesso dei beni economici costituisce la ricchezza.
Si definisce sistema economico il complesso degli operatori economici agenti in un dato Paese, i quali vengono generalmente raggruppati nelle seguenti classi:

  • Operatore famiglie;
  • Operatore imprese;
  • Operatore Pubblica Amministrazione;
  • Operatore “Resto del Mondo”.

A differenza dell’Economia Politica, l’Economia Aziendale studia le operazioni economiche in relazione agli istituti sociali - intesi come organizzazioni di persone e di mezzi – costituiti per il perseguimento di particolari fini e regolati da stabili norme.
Nel 1494 Fra’ Luca Pacioli – detto il Paciolo – pubblicava il suo “Tractatus de Computis et Scripturis” in cui delineava, per la prima volta in modo formale, il metodo della partita doppia indispensabile per “incatenare” le partite di credito e di debito.

La classificazione delle aziende

Come si è detto, si giunge al concetto di istituto economico-aziendale o azienda quando l’attività economica espletata dall’istituto sociale si considera sotto l’aspetto economico così da accertare se e come tale istituto riesca a raggiungere i fini prefissati.
Pertanto, l’Economia Aziendale ha per oggetto di studio il sistema di operazioni economiche espletate da un istituto sociale, ovvero l’azienda, intesa come “coordinazione economica in atto istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani” (Gino Zappa).
Il concetto di azienda implica il compimento di un’astrazione, nel senso che occorre prescindere da tutte quelle operazioni che, non essendo classificabili tra quelle strettamente economiche, vengono ignorate.
La concezione istituzionale dell’azienda quale “istituto economico destinato a perdurare nel tempo” (Gino Zappa), consente di superare la nozione meramente giuridica definita dall’art. 2555 c.c. (“L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”) e richiama alcuni fondamentali caratteri: l’unità, l’autonomia e la durabilità.

Il soggetto giuridico nell’azienda

Il soggetto giuridico è dato dalla persona fisica, dal gruppo di persone fisiche o dalla persona giuridica che acquista i diritti ed assume le obbligazioni derivanti dalle operazioni economiche costituenti l’azienda.
Il soggetto giuridico può essere rappresentato da una persona fisica singola; altre volte , invece, due o più persone fisiche si riuniscono in un istituto sociale che in alcuni casi dà origine giuridicamente ad un autonomo soggetto di diritti ed obblighi che viene denominato persona giuridica.
Secondo il vigente codice si ha società quando “due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 c.c.).

 

A questo proposito, si osservi che esistono vari tipi di società:

  • Società semplice: quando l’attività, pur essendo economica, non è commerciale (es. società agricole);
  • Società commerciale: quando l’attività dell’azienda è commerciale;
  • Società cooperative: che possono essere a responsabilità limitata o illimitata.

In particolare, le società commerciali danno origine alle seguenti tipologie:

  • Società in nome collettivo (S.n.c.);
  • Società in accomandita semplice (S.a.s.);
  • Società per azioni (S.p.A.);
  • Società in accomandita per azioni (S.a.p.A.);
  • Società a responsabilità limitata (S.r.l.).

Il soggetto economico dell’azienda

Il soggetto economico risulta essere costituito dalla persona fisica o dal gruppo di persone fisiche che, di fatto, ha ed esercita nell’azienda il supremo potere di controllo e di comando, indirizzandone le operazioni aziendali verso obiettivi collimanti con i propri interessi.
L’identificazione del soggetto economico è la premessa indispensabile per esplicitare il fine istituzionale perseguito dall’istituto economico destinato a perdurare nel tempo; in effetti, quest’ultimo e lo strumento mediante il quale una persona fisica o un gruppo di persone fisiche agisce in campo economico.
Solitamente la persona fisica titolare dell’impresa individuale costituisce nel contempo il soggetto giuridico e il soggetto economico di tale azienda.

Il fine istituzionale dell’azienda

La conoscenza del soggetto economico si rivela indispensabile per comprendere le finalità istituzionali che si intende perseguire mediante le aziende nonché per interpretare correttamente l’amministrazione di queste ultime.
Le aziende di produzione per lo scambio di mercato vengono solitamente concepite come strumenti di produzione della ricchezza. Tuttavia, non bisogna dimenticare che tali istituti hanno anche il compito di distribuire la ricchezza creata attraverso la remunerazione del lavoro di ogni specie, la remunerazione dei capitali in qualsiasi modo vincolati all’impresa e attraverso i vari tributi da corrispondere alla pubblica amministrazione.
Ne consegue che le finalità assegnate alle aziende di produzione risentono del conflitto di interessi tra il detentore del capitale di comando, il detentore del capitale controllato, il fattore lavoro, l’amministrazione finanziaria ed i terzi in genere.

  • Il detentore del capitale di comando tende solitamente a far conseguire all’impresa la massima rimunerazione del capitale proprio investito.
  • Il fattore lavoro affida all’impresa il compito di salvaguardare la continuità del posto di lavoro ed una rimunerazione ancorata all’andamento del costo della vita.
  • L’amministrazione finanziaria assegna alle imprese il fine di contribuire adeguatamente alle esigenze finanziarie della pubblica amministrazione collegate all’erogazione dei servizi sociali.
  • Il legislatore civilistico tende alla tutela dei terzi (finanziatori con vincolo di credito, fornitori, ecc.); in modo particolare tende a tutelare la capacità dell’impresa di adempiere alle obbligazioni assunte. Tale problematica è particolarmente avvertita nelle imprese rette da società di capitali.

Giova osservare, in questo insieme di interessi contrastanti, che il fattore lavoro non può essere considerato alla stregua degli altri fattori della produzione per le implicazioni sociali ad esso inscindibilmente collegate. D’altra parte, s’insegna da gran tempo che la “prosperità si conserva durevolmente, e si sviluppa, diffondendola presso gli altri, piuttosto che difendendola. Non dura a lungo la prosperità degli individui, delle imprese e delle nazioni, costituita sulle miserie altrui. Le conclusioni dell’economia convergono, in questo, con le esigenze di una superiore etica sociale” (Pietro Onida).
Non resta che considerare il fatto che il fine istituzionale dell’impresa non può che collimare con quello del sistema economico nel quale è inserita; il fine istituzionale concretamente assegnato alle aziende di produzione per lo scambio di mercato nelle attuali condizioni viene enucleato considerando il contesto etico, culturale, tecnologico, demografico-sociale, politico, macroeconomico, microeconomico e normativo in cui il soggetto economico in senso stretto – rappresentato dal detentore del capitale di comando – può operare per il raggiungimento di obiettivi collimanti con i propri interessi.

Considerazioni conclusive

L’Economia Aziendale è una scienza empirica positiva – appartenente al novero delle scienze sociali – che studia l’attività economica afferente agli istituti sociali.
E’ stata poi delineata la concezione istituzionale dell’azienda che è un istituto economico destinato a perdurare nel tempo e si è definita l’azienda come l’ordine economico di un istituto sociale.
Le aziende sono state poi classificate in aziende di produzione e di erogazione a seconda che il processo fondamentale sia la produzione o la distribuzione della ricchezza.
Abbiamo poi osservato che l’azienda può essere definita come l’ordine economico di un istituto sociale nel quale è possibile rinvenire una molteplicità di sistemi o centri con unità di oggetto.
Proseguendo con l’analisi abbiamo individuato la persona fisica o il gruppo di persone fisiche o la persona giuridica a cui fanno capo i diritti e gli obblighi scaturenti dalle operazioni economiche afferenti allo stesso istituto sociale: è stato possibile delineare il soggetto giuridico dell’azienda.
Il soggetto economico è invece la persona o il gruppo di persone fisiche nel cui interesse le operazioni economiche sono poste in essere. L’analisi degli interessi di tale soggetto consente di percepire il fine istituzionale.
Il fine istituzionale richiama i mezzi necessari per perseguirlo: la considerazione del sistema dei mezzi o delle condizioni a disposizione dell’azienda in un determinato istante, riferiti alle condizioni prospettiche di svolgimento delle attività future, dà contenuto alla nozione di patrimonio aziendale che nelle aziende di produzione per lo scambio di mercato si denomina propriamente capitale.

 

LA GESTIONE AZIENDALE

 

Le varie fasi della vita dell’azienda

La vita dell’azienda viene generalmente suddivisa in quattro fasi:

  • La fase pre-aziendale o preparatoria;
  • La fase istituzionale o d’impianto;
  • La fase dinamico-probabilistica o di funzionamento;
  • La fase terminale o di cessazione.

Tali fasi possono, peraltro, ricondursi alla fase istituzionale, a quella di funzionamento e a quella terminale.
La fase pre-aziendale riguarda esclusivamente i soggetti che per mezzo di calcoli di convenienza economica esaminano la possibilità di costituire l’azienda e, dunque, può essere trascurata.
La fase costitutiva dell’azienda consiste in un complesso coordinato di operazioni economico-finanziarie necessarie per consentire l’avvio della fase di funzionamento operativo. La fase istituzionale dell’azienda giunge a termine quando sono raggiunte le previste condizioni minime di sopravvivenza (condizioni atte ad assicurarle un equilibrio economico durevole, capace cioè di consentire un’adeguata rimunerazione a tutti i fattori impiegati); a quel punto l’impresa deve tendere al perseguimento dei suoi fini istituzionali.
La fase di funzionamento operativo si estende senza soluzione di continuità per tutta la vita dell’azienda, esaurendosi solamente al sorgere della fase terminale.
Le cause che conducono alla fase terminale si possono riassumere nella mancanza o deficienza di adattamento sia delle forze aziendali all’evoluzione dei processi della gestione futura sia del sistema azienda al sistema economico nel quale essa opera; tale mancato o deficiente adeguamento è il risultato tanto di errori di prospettiva in ordine ai fenomeni futuri quanto dalla scarsa elasticità della struttura aziendale. La capacità di adattamento della struttura aziendale all’incessante variabilità dell’ambiente economico circostante è il problema vitale per l’economia delle aziende.

L’unitarietà del ciclo della gestione

L’amministrazione – ovvero la complessa attività che viene svolta per risolvere i problemi di scelta e di convenienza economica per il governo delle aziende – può essere analizzata in tre distinti ma correlati momenti, che sono:

  • Il momento oggettivo, rappresentato dalla gestione;
  • Il momento soggettivo, che conduce allo studio dell’organizzazione;
  • Il momento ricognitivo, che riguarda la rilevazione.

Lo studio della gestione riguarda il sistema di operazioni poste in essere in vista del perseguimento dei fini istituzionali delle aziende. Le operazioni di gestione vengono generalmente strutturate in quello che viene definito il ciclo di vita o ciclo di gestione delle aziende; esso si articola in una serie di classi di operazioni che si susseguono non tanto in ordine temporale ma in ordine al raggiungimento dei fini istituzionali delle aziende. In particolare, tali classi di operazioni sono individuabili:

  • Nei finanziamenti (politiche del settore finanziario);
  • Negli investimenti (politiche del settore economico);
  • Nei disinvestimenti (politiche del settore economico);
  • Nelle rimunerazioni (politiche del settore finanziario);
  • Nei rimborsi (politiche del settore finanziario).

La gestione si configura propriamente come un sistema di cicli che si estendono, tanto nello spazio quanto nel tempo, al fine di perseguire il fine istituzionale assegnato alle aziende.

 

Osservazioni sulla unitarietà della gestione: la gestione è unitaria nello spazio in quanto le operazioni che si svolgono simultaneamente o in uno stesso esercizio non sono autonome ma tra loro strettamente collegate; la gestione non appare come un succedersi di operazioni distinte ed indipendenti, ma come un sistema di operazioni unite da vincoli di complementarità in cui l’economicità di talune operazioni non va considerata in sé stessa ma va ricercata anche nelle altre operazioni, passate o future.
La consapevolezza dell’intima connessione che lega le operazioni aziendali nello spazio e nel tempo risulta di fondamentale importanza al fine di comprendere compiutamente l’evoluzione della gestione delle aziende, in quanto la considerazione delle operazioni aziendali potrebbe condurre ad interpretazioni distorte degli eventi che caratterizzano continuamente la vita delle aziende di ogni tipo.

Il ciclo di gestione nelle imprese

Gli scambi che continuamente avvengono fra l’impresa ed i soggetti appartenenti a terze economie conducono non soltanto a movimenti – in entrata o in uscita – di mezzi monetari, ma anche a movimenti di crediti e debiti numerari. I crediti ed i debiti numerari non sono soggetti di stima o valutazione e possono essere considerati come movimenti di mezzi monetari differiti nel tempo.
Per quanto riguarda i finanziamenti è opportuno distinguere quelli assunti con vincolo di capitale proprio (o di rischio) o con vincolo di prestito.
I mezzi monetari ottenuti  mediante i finanziamenti confluiscono successivamente a terze economie al fine di acquisire i fattori della produzione, in tal modo hanno origine gli investimenti. I fattori della produzione possono essere a veloce ciclo di utilizzo (materie prime e, in generale, tutti quei fattori che una volta impiegati nel ciclo produttivo necessitano di essere riacquistati) o a lento ciclo di utilizzo (impianti, macchinari e tutti gli altri beni strumentali).
La cessione dei beni o servizi ottenuti caratterizza quelli che vengono denominati disinvestimenti che comportano di norma un’entrata di mezzi monetari. Questi mezzi monetari devono essere tali da garantire la copertura dei costi sostenuti cosicché l’impresa sia in grado di mantenere in futuro l’autosufficienza economica. Facendo esclusivo riferimento alle imprese, per autosufficienza economica si intende la stabilizzata attitudine della gestione a rimunerare con i ricavi, alle condizioni richieste dal mercato, tutti i fattori produttivi, capitale compreso; è importante sottolineare che quando si parla di autosufficienza economica non si deve far riferimento al passato, ma, al contrario, è necessario volgere lo sguardo al futuro, in quanto è nel futuro che l’impresa deve soddisfare le condizioni per raggiungere e mantenere le condizioni prospettiche del suo equilibrio economico.
I finanziamenti, le rimunerazioni ed i rimborsi danno luogo a scelte configurabili in politiche di stretta competenza del settore finanziario della gestione, mentre, diversamente, gli investimenti ed i disinvestimenti in alcuni casi danno origine  a scelte relative al settore finanziario della gestione, mentre altre volte riguardano il settore economico della gestione medesima.

L’aspetto patrimoniale della gestione

La complessa attività posta in essere per raggiungere i fini istituzionali dell’impresa può essere utilmente studiata sotto diversi aspetti, ciascuno dei quali pone in rilievo determinante modalità qualitative e quantitative del ciclo di vita dell’istituto. Tale ciclo viene studiato sotto l’aspetto patrimoniale, sotto quello finanziario e sotto quello economico.
Con l’aspetto patrimoniale vengono poste in rilievo le caratteristiche quantitative, qualitative e temporali dei flussi di mezzi monetari o assimilati che contraddistinguono le varie fasi in cui si articola l’unità elementare della gestione. In particolare, con l’aspetto in esame si studiano le quantità di mezzi monetari che entrano nell’impresa con i finanziamenti ed i disinvestimenti o che escono da essa con gli investimenti, le rimunerazioni ed i rimborsi.
I flussi sopra citati possono essere configurati in:

  • Flussi monetari, che comprendono le disponibilità liquide;
  • Flussi numerari, che comprendono, oltre alle disponibilità liquide, i crediti ed i debiti numerari;
  • Flussi numerari allargati, che comprendono, oltre ai precedenti, i crediti e debiti non numerari;
  • Flussi di capitale circolante, che si ottengono aggiungendo ai precedenti tutto quello che si trasforma in moneta in un periodo inferiore alla durata del ciclo;
  • Flussi patrimoniali tout court, che comprendono ogni elemento destinato a trasformarsi in mezzi monetari o assimilati.

I flussi monetari risultano indispensabili al fine di indagare l’aspetto finanziario del ciclo di vita dell’azienda in quanto a questo scopo non risulta utile considerare i flussi numerari (i crediti numerari costituiscono degli impieghi di capitale mentre i debiti numerari rappresentano delle fonti di finanziamento). La conoscenza dei flussi numerari invece risulta indispensabile per l’analisi dell’aspetto economico del ciclo di gestione.

La gestione studiata sotto l’aspetto finanziario

L’analisi del ciclo di gestione sotto l’aspetto finanziario tende a correlare i flussi monetari per cercare le soluzioni idonee al raggiungimento ed al mantenimento delle condizioni prospettiche di equilibrio. L’indagine della gestione sotto l’aspetto finanziario consente di apprezzare l’evoluzione dell’autosufficienza finanziaria delle imprese; tale studio conduce, tra l’altro, all’analisi della variabilità temporale del grado di dipendenza dell’impresa nei confronti delle terze economie.
L’autosufficienza finanziaria di una azienda è la sua capacità di assicurare in ogni momento la conveniente correlazione tra fabbisogno di capitale e copertura finanziaria. Il fabbisogno di capitale è una quantità che deriva dalla correlazione dei flussi monetari scaturenti dal settore economico della gestione. La copertura finanziaria è una quantità che si origina dalla correlazione dei flussi monetari afferenti il settore finanziario della gestione.
Dalla contrapposizione della copertura finanziaria con il fabbisogno di capitale emerge un’altra quantità di azienda denominata riserve attuali di liquidità.
La copertura finanziaria equivale alla somma algebrica dei debiti numerari e non numerari, delle quote di capitale di apporto e delle quote di utili rilevati ma non distribuiti.
Dalle considerazioni di cui sopra si può desumere che tutte le operazioni che compongono la gestione possono e debbano essere analizzate sotto l’aspetto finanziario, in quanto tutte influiscono in via diretta o mediata sul fabbisogno di capitale o sulla copertura finanziaria; si deve osservare anche che l’aspetto finanziario ha carattere tipicamente temporale.
La differenza tra copertura finanziaria e fabbisogno di capitale nelle loro misure assolute esprime l’entità delle riserve attuali di liquidità, le quali sono costituite da tutti quei mezzi di varia natura che possono essere facilmente alienati in breve tempo senza danno per l’equilibrio economico dell’impresa. Le riserve attuali di liquidità non devono essere confuse con le riserve potenziali di liquidità che sono rappresentate dai fidi bancari non utilizzati o dalla possibilità di ampliare i finanziamenti dei fornitori nonché da tutto ciò che sta per trasformasi nelle riserve attuali di liquidità.
Nella ricerca dell’ottimale correlazione tra fabbisogno di capitale e copertura finanziaria, la politica finanziaria deve considerare i rischi finanziari ai quali è soggetta la gestione (es. aumento dei prezzi, restrizione del credito accordato ecc.). Tali rischi vengono fronteggiati mediante l’utilizzo delle riserve di liquidità, alle quali è quindi affidata una fondamentale funzione in vista del perseguimento e del mantenimento dell’equilibrio finanziario della gestione dell’impresa.

L’aspetto economico della gestione

L’aspetto economico è l’aspetto mediante il quale si studia il processo di produzione e di distribuzione della ricchezza che informa il fine istituzionale delle imprese. In senso lato l’aspetto economico della gestione è costituito dal complesso ordinato delle politiche, costituenti il ciclo di gestione delle imprese, aventi l’obiettivo di perseguire il fine istituzionale.
La gestione economica in senso lato, tuttavia, è opportunamente suddivisa nel settore economico e nel settore finanziario. Il primo circoscrive le politiche che nel ciclo di gestione delle imprese si preoccupano direttamente di conseguire il fine istituzionale. Il settore finanziario, invece, circoscrive le politiche che tendono al reperimento, alla rimunerazione ed al rimborso dei finanziamenti.
L’aspetto economico pone in rilievo le cause economiche immediate delle entrate e delle uscite di mezzi monetari o assimilati.
Il costo dei fattori di produzione deriva dall’accostamento logico dell’acquisizione di un fattore di produzione con l’uscita dei mezzi monetari; il ricavo di prodotto trae origine dall’accostamento logico della cessione di un bene o servizio con l’entrata di mezzi monetari o assimilati.
Anche i finanziamenti ed i rimborsi possono essere rilevati sotto l’aspetto economico. In particolare, l’accostamento logico fra un finanziamento con l’entrata di mezzi monetari o assimilati dà luogo ad un ricavo finanziario; e la connessione percepibile fra un rimborso o la rimunerazione di un finanziamento, e l’uscita di mezzi monetari o assimilati, dà vita ad un costo finanziario. Giova precisare che spesso al momento in cui si consegue il ricavo finanziario, connesso al finanziamento, l’impresa già conosce la misura del costo che essa sosterrà al momento del rimborso; da qui la possibilità di rilevare, in via anticipata, dei risultati differenziali.
La contrapposizione dei ricavi di prodotto e dei risultati differenziali positivi con i costi dei fattori di produzione ed i risultati differenziali negativi permette di determinare una quantità complessa di azienda denominata risultato economico di esercizio.
Il valore aggiunto è una particolare configurazione di risultato economico di esercizio in grado di esprimere l’efficienza dell’impresa, nonché il suo contributo allo sviluppo del sistema economico al quale appartiene. Il valore aggiunto può essere definito come l’incremento di valore apportato dalla gestione tramite l’impiego congiunto dei due fattori essenziali per la vita dell’impresa: il lavoro ed il capitale.
Quanto detto sino ad ora può essere riassunto nel seguente prospetto:

+             ricavi netti di vendita
+/-           variazione delle rimanenze di prodotti finiti, in corso e semilavorati
+             costruzioni in economia
=             valore della produzione ottenuta

Per quanto riguarda i costi dei fattori della produzione, giova osservare che l’importante non è tanto determinare gli acquisti degli stessi, quanto, piuttosto, il loro utilizzo o consumo.

 

+             acquisti di materie prime e sussidiarie
+/-           variazione delle rimanenze di materie prime e sussidiarie
=             consumi di materie prime e sussidiarie
+             costi per prestazioni di servizi
+             altri costi esterni
=             costo della produzione ottenuta

La differenza tra il valore ed il costo della produzione ottenuta consente di determinare una prima configurazione di risultato economico di esercizio, denominata valore aggiunto lordo.

+             valore della produzione ottenuta

  • costo della produzione ottenuta

=             valore aggiunto lordo

Tale risultato viene generalmente adottato al fine di indagare sull’efficienza economica dell’impresa, esso esprime il contributo dell’impresa medesima allo sviluppo del sistema economico al quale appartiene.
A questo ultimo riguardo, giova infatti osservare come il valore aggiunto lordo abbia anche una rilevanza macroeconomica in quanto il suo significato e le sue modalità di determinazione sono assai similari a quelle adottate per la quantificazione, a livello nazionale, del P.I.L.
Sottraendo al valore aggiunto lordo le quote di ammortamento dei beni strumentali si ottiene il valore aggiunto netto.

+             valore aggiunto lordo

  • ammortamenti

=             valore aggiunto netto

Dalla differenza tra il valore aggiunto netto ed il costo del personale si determina un’altra importante configurazione di risultato economico di esercizio, denominata, indifferentemente, margine operativo netto o reddito operativo.

+             valore aggiunto netto

  • costo del personale

=             margine operativo netto o reddito operativo

La rilevanza di quest’ultima configurazione deriva dal fatto che essa esprime il risultato economico pertinente alla gestione tipica o caratteristica; di conseguenza, sono esclusi dalla sua determinazione i componenti positivi e negativi di reddito riferibili alla gestione finanziaria, alla gestione straordinaria ed a quella fiscale.
Giova notare come la determinazione del margine operativo netto possa anche essere effettuata con “metodo diretto”, ovvero partendo dal reddito netto di esercizio e depurandolo successivamente di tutti i componenti di reddito estranei alla gestione tipica o caratteristica.      

=             reddito netto di esercizio
+             oneri finanziari

  • proventi finanziari

+             componenti negativi straordinari

  • componenti positivi straordinari

+             imposte
=             margine operativo netto o reddito operativo

L’ultima configurazione che si incontra prima di giungere al reddito netto dell’esercizio è il reddito ante imposte, la cui determinazione, come illustrato di seguito può essere diretta o indiretta.
Procedimento diretto:

=             margine operativo netto o reddito operativo

  • oneri finanziari

+             proventi finanziari

  • componenti negativi straordinari

+             componenti positivi straordinari
=             reddito ante imposte

 

 

Procedimento indiretto:

=             reddito netto di esercizio
+             imposte
=             reddito ante imposte

Accanto alle configurazioni di risultato economico evidenziate ne esiste un’altra estremamente importante: il margine operativo lordo o reddito corrente; questo esprime la differenza tra componenti positivi e negativi di reddito pertinenti esclusivamente ai fattori a veloce ciclo di utilizzo.
La determinazione del margine operativo lordo può essere effettuata seguendo due distinti procedimenti di calcolo.
Primo procedimento:

+             valore aggiunto lordo

  • costo del personale

=             margine operativo lordo o reddito corrente

Secondo procedimento:

+             margine operativo netto o reddito operativo
+             ammortamenti
=             margine operativo lordo o reddito corrente

La determinazione del margine operativo lordo o reddito corrente è alternativa a quella del valore aggiunto netto; infatti sebbene entrambe le configurazioni di risultato economico di esercizio siano estremamente significative non è possibile procedere ad una loro distinta indicazione in una stessa struttura di conto economico.

 

I COSTI DI PRODUZIONE

Il processo di formazione dei costi

La produzione della ricchezza può essere opportunamente analizzata rapportando i fattori impiegati al risultato od ai risultati ottenuti. Sorge, quindi, la necessità di determinare il valore dei fattori di produzione impiegati per l’ottenimento dei suddetti risultati. Tali determinazioni danno vita ad un sistema di rilevazioni che si pongono come obiettivo quello di calcolare i costi di produzione nelle imprese, il sistema di queste rilevazioni si chiama contabilità analitica.
Per costo di produzione si intende di norma il complesso delle spese o degli oneri, diretti ed indiretti, che esprimono i fattori produttivi impiegati per ottenere un prodotto; il costo di produzione è una quantità complessa di azienda, che tende a sintetizzare l’utilizzo, espresso in forma monetaria, dei fattori impiegati nei processi tecnici di trasformazione. Tale quantità di azienda presenta anche una natura astratta, in quanto la sua determinazione implica il compimento di un’astrazione tesa a recidere i molteplici legami che collegano le operazioni aziendali, le cui profonde ed intime relazioni rendono la gestione unitaria tanto nel tempo quanto nello spazio.
Lo studio della nozione di costo di produzione richiede l’individuazione dei seguenti elementi essenziali:

  • l’oggetto;
  • gli elementi;
  • il principio;
  • i criteri.

L’oggetto identifica l’entità di cui si vuole conoscere il costo.
Gli elementi sono i componenti elementari che vengono fatti concorrere all’ottenimento del predetto risultato utile.
Il principio costituisce la fondamentale linea-guida che informa l’imputazione dei componenti elementari di costo; solitamente tale principio è funzionale, nel senso che riflette il contributo dei corrispondenti fattori di produzione all’ottenimento del risultato utile.
I criteri, derivano logicamente dal principio, e rappresentano le regole seguite per la concreta determinazione dei valori attribuiti ai fattori impiegati.

Le fasi o i momenti attraverso i quali occorre logicamente passare per arrivare al concetto di costo di produzione sono sostanzialmente quattro.
La prima fase prende l’avvio dalla considerazione delle uscite monetarie o numerarie collegate ai regolamenti degli scambi nati per acquisire i fatto di produzione.
Con la seconda fase è necessario procedere al raggruppamento dei componenti originari di costo in classi omogenee in relazione al fattore di produzione acquistato. Si determinano in tal modo i componenti derivati di costo che possono venire classificati nel modo seguente:

  • costi per materie prime;
  • costi per il personale dipendente;
  • costi per energia e forza motrice;
  • costi per immobilizzazioni tecniche;
  • costi per immobilizzazioni economiche;
  • costi diversi di esercizio.

Nella terza fase del processo di formazione dei costi di produzione è necessario procedere all’imputazione dei componenti derivati di costo alle varie unità elementari in cui può essere suddiviso il complessivo processo produttivo.
La quarta fase del processo di formazione dei costi di produzione è assai semplice, riassumendosi nella somma degli elementi di costo: è così possibile pervenire a diverse configurazioni di costo di produzione.

Le varie configurazioni di costo di produzione

Una configurazione di costo di produzione deriva dal graduale addensamento di elementi di costo diretti o speciali e indiretti o comuni riferibili ad un determinato oggetto di costo.
Le diverse configurazioni di costo di produzione di distinguono in relazione ai seguenti elementi:

  • la funzione di riferimento;
  • le condizioni aziendali;
  • gli elementi componenti;
  • i criteri di valutazione di tali elementi;
  • il ruolo della variabile tempo.

Secondo la funzione di riferimento, i costi di produzione si distinguono in relazione ai diversi settori nei quali si suddivide la gestione aziendale: si hanno così i costi di produzione, i costi di distribuzione ed i costi di amministrazione. I costi di produzione sono riferiti alla funzione produttiva. I costi di distribuzione possono distinguersi in costi di vendita e in costi di distribuzione veri e propri. I costi di amministrazione si possono classificare in costi di amministrazione veri e propri, in oneri finanziari ed in oneri tributari.
In ordine alle condizioni aziendali, i costi di produzione si distinguono in effettivi e in ipotetici. I costi effettivi vengono determinati con riferimento a condizioni di impresa e a specifici volumi di produzione già realizzati nel passato. I costi ipotetici o standard rappresentano i costi che l’impresa sosterrebbe se operasse nelle condizioni ipotizzate.
In relazione al numero degli elementi introdotti nel calcolo del costo di produzione si hanno le seguenti configurazioni:

  • primo costo industriale: è costituito dalla somma dei costi elementari direttamente imputabili al prodotto considerato e relativi alla fase industriale (materie prime dirette, mano d’opera produttiva diretta ecc.);
  • costo diretto-industriale: comprende tutti gli elementi diretti relativi alla funzione produttiva;
  • costo industriale: si ottiene aggiungendo al costo diretto industriale una quota-parte di elementi indiretti o comuni relativi alla funzione industriale;
  • costo diretto mercantile: è formato dagli elementi diretti di carattere commerciale, finanziario, amministrativo, fiscale;
  • costo mercantile: è formato dal costo diretto mercantile, accresciuto di una quota di elementi indiretti o comuni relativi alle funzioni commerciali, finanziarie, amministrative, fiscali;
  • costo complessivo: si ottiene sommando il costo industriale e il costo mercantile;
  • costo economico-tecnico: è formato dal costo complessivo, accresciuto da alcuni oneri figurativi (interesse sul capitale proprio investito, la rimunerazione per l’opera prestata dall’imprenditore, il corrispettivo per l’uso di alcuni fattori di produzione conferiti gratuitamente).

Le finalità nella determinazione dei costi
Una prima finalità consiste nella formulazione di giudizi generali e parziali di convenienza economica per le decisioni aziendali.
Un altro scopo per il quale vengono calcolati i costi di produzione, consiste nell’esigenza di trovare una base per formulare un giudizio di convenienza al fine di poter predisporre un’adeguata programmazione aziendale
La determinazione dei costi di produzione può essere, inoltre, di ausilio nel processo di formazione dei prezzi di vendita, in particolare la determinazione del costo economico-tecnico serve per fissare i prezzi dei prodotto da collocare sul mercato.
Il calcolo dei costi di produzione può assolvere anche alla funzione di fornire, in sede di determinazione del reddito di esercizio, una base per la valutazione di prodotti finiti, semilavorati, fattori a lento ciclo di utilizzo costruiti in economia ecc.

 

 

 

IL REDDITO NELLE IMPRESE

La nozione di reddito globale
Il reddito è una particolare configurazione di risultato economico che viene determinata esclusivamente nelle imprese, in quanto rappresenta la remunerazione del capitale proprio, di proprietà o di rischio. Tale definizione risulta, tuttavia, indeterminata se non viene esplicitato anzitutto il periodo temporale di riferimento: quando si ha riguardo all’intera vita dell’impresa si ha il reddito globale o totale; quando si fa riferimento ad un periodo amministrativo si ha il reddito di esercizio.
Il reddito globale, essendo determinato alla fine della vita dell’azienda quando tutte le operazioni sono ultimate, si dimostra essere un risultato consuntivo che non richiede la stima dei futuri svolgimenti della gestione.
Il reddito globale può essere determinato seguendo tre diversi procedimenti.
Il primo procedimento consiste nel confrontare il capitale di costituzione con il capitale di liquidazione, questo procedimento è valido solo se durante l’intera vita dell’impresa non vi sono state rimunerazioni di capitale con vincolo di proprietà e se quest’ultimo non ha subito alcuna variazione.
Il secondo procedimento consiste nel confrontare tutti i flussi monetari in entrata con quelli in uscita, originatisi nel corso dell’intera vita dell’impresa.
Il terzo procedimento consiste nella somma algebrica di tutti i ricavi e di tutti i costi (i flussi in entrata ed in uscita opportunamente riclassificati danno origine a ricavi e costi).
Il reddito globale costituisce solitamente un dato incontrovertibile, derivando da una contrapposizione di valori definitivi, derivanti da operazioni che sono giunte tutte a compimento. Nonostante questo è necessario interpretare opportunamente il reddito globale in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta.

La nozione di reddito di esercizio
Diversamente dal reddito globale, il reddito di esercizio è una quantità astratta, in quanto prescinde dalla considerazione che la gestione è unitaria nello spazio e nel tempo. Più precisamente l’astrattezza del reddito d’esercizio viene comunemente intesa sotto questo aspetto: esso non si concretizza in taluni specifici beni.
Il reddito di esercizio rappresenta il massimo valore che può essere prelevato senza pregiudicare le condizioni prospettiche di equilibrio economico oppure il minimo valore che deve essere apportato per ripristinare le medesime condizioni.
Le condizioni prospettiche di equilibrio economico si verificano quando le operazioni in corso di svolgimento in un dato momento, considerate sotto l’aspetto economico, assicurano, per tutta la loro durata, un’eccedenza dei ricavi sui costi correlativi almeno sufficiente per consentire un’adeguata rimunerazione del capitale proprio investito. Il perseguimento dell’equilibrio economico presuppone, quindi, l’autosufficienza economica della gestione che esprime la stabilizzata attitudine del complesso aziendale a reperire e ad utilizzare in modo economico i fattori produttivi dei quali variamente necessita.
L’adeguatezza della rimunerazione del capitale proprio è condizionata da vari elementi, tra i quali:

  • il grado di rischio al quale la gestione sarà assoggettata in futuri;
  • le rimunerazioni ottenute dai capitali di rischio in imprese similari appartenenti allo stesso settore;
  • le condizioni dei mercati monetari e finanziari;
  • i vantaggi diretti ed indiretti di cui beneficerà il soggetto economico;
  • la politica del gruppo al quale eventualmente l’impresa fosse legata.

Se la rimunerazione viene ritenuta adeguata, il capitale proprio rimarrà vincolato all’impresa, e più precisamente non si sposterà verso investimenti alternativi più appetibili.
Le finalità (giustificazioni logiche che stanno alla base del calcolo del reddito di esercizio) del calcolo del reddito di esercizio sono molteplici e mutano in relazione ai diversi soggetti che, direttamente o indirettamente, sono interessati alla determinazione del reddito di esercizio; in generale, però, è possibile individuare tre categorie di soggetti e, conseguentemente, tre principali configurazioni di reddito di esercizio.

  • Soggetto economico: reddito di esercizio determinato per avere una base per attuare la politica di rimunerazione del capitale proprio o di ripristino delle condizioni idonee alla sopravvivenza dell’impresa;
  • Legislatore civilistico: tende alla tutela dei terzi e, quindi, al mantenimento della solidità patrimoniale dell’impresa, si configura come reddito legale ed è aderente agli art. 2423 e 2435 c.c.;
  • Legislatore fiscale: richiede una riclassificazione che conduce alla redazione di un bilancio “fiscale”, esso tende a rendere possibile il massimo prelievo tributario compatibilmente con l’osservanza della normativa fiscale.

A questo punto dobbiamo ricordare che se dall’entità del reddito di esercizio vengono portati in aumento o in diminuzione i componenti reddituali di origine stimata, rispettivamente, negativi e positivi, è possibile ricavare il cosiddetto cash flow o flusso di cassa collegato al reddito di esercizio. Alla luce di questa considerazione è possibile pervenire alla coclusione che la contrapposizione dei componenti di reddito di origine numeraria con quelli di natura stimata, da un lato, e la determinazione del cash-flow, dall’altro, forniscono indispensabili informazioni necessarie al fine di apprezzare il grado di affidabilità del reddito di esercizio in modo da affrontare e risolvere razionalmente il problema della sua destinazione.
I procedimenti per la determinazione del reddito di esercizio
La determinazione del reddito di esercizio può essere condotta mediante diversi procedimenti, ciascuno dei quali si caratterizza per una differente attitudine ad evidenziare il gradi di affidabilità del reddito stesso.
Il reddito di esercizio prelevabile o apportabile, come quantità astratta, necessita di essere interpretato per porre in rilievo le condizioni di impresa ed ambiente nel quale è stato calcolato; risulta necessario, infatti, tenere distinti i componenti reddituali frutto di stime, ipotesi e congetture da tutti gli altri che sono direttamente conseguiti agli scambi dell’impresa con terze economie misurati da variazioni monetarie e assimilate.
Per quanto riguarda i procedimenti, si è soliti distinguere quelli analitici dall’unico procedimento sintetico che consiste nel calcolare il capitale netto esistente alla fine del periodo amministrativo e quello esistente all’inizio del periodo stesso. Il procedimento sintetico è quello che rispecchia, meglio degli altri, la definizione di reddito di esercizio concepito come l’incremento o il decremento, espresso in forma monetaria, subito dal capitale netto iniziale per effetto della gestione durante un periodo amministrativo. Il procedimento in oggetto consente di pervenire correttamente alla misurazione del reddito di esercizio qualora non siano intervenute variazioni dirette nel capitale proprio o di rischio, nonché nei correlativi rimborsi o rimunerazioni. Il procedimento sintetico è stato e viene sempre applicato come procedimento sussidiario di controllo nello stato patrimoniale, presentando il pregio di una grande semplicità di applicazione.
Procedimenti analitici:

  • Il primo procedimento analitico è strettamente legato al procedimento sintetico, in quanto ne costituisce il suo sviluppo naturale teso all’individuazione delle cause elementari sottostanti alla variazione subita dal capitale netto iniziale. Tale procedimento giunge alla determinazione del reddito di esercizio attraverso la somma algebrica delle variazioni, subite nel periodo, dai singoli elementi di capitale. Non è un caso che questo procedimento conduca logicamente alla rappresentazione del reddito di esercizio in un prospetto denominato “profitti e perdite”. È comunque doveroso osservare che non esiste un solo valore dei singoli elementi patrimoniali, bensì esistono tanti valori quante sono le finalità conoscitive che ispirano il processo di attribuzione dei valori.
  • Un altro procedimento analitico (applicato nei paesi anglo-americani), che deriva dalla stessa base teorica, analizza il contributo dell’attività tipica o caratteristica dell’impresa. Questo procedimento viene comunemente denominato a costi e ricavi correlati oppure a costo del venduto e ricavi. Anche in questo caso è utile osservare che non esiste il costo di prodotto, ma tante configurazioni di costo con riferimento alle varie finalità che ne presiedono la determinazione; ne consegue che adottando criteri diversi di valutazioni si giunge a diverse configurazioni di costo e di ricavo della produzione venduta e, quindi, ad altrettanto vari e diversi risultati lordi, pur nell’invarianza del risultato netto complessivo. E poi c’è anche da considerare che la contemporanea determinazione del reddito di esercizio e del costo della produzione venduta risultano finalità difficilmente conciliabili tra loro. Il processo di formazione del costo del venduto brevemente spiegato evidenzia un’inevitabile confusione tra componenti di natura stimata e componenti di derivazione numeraria, la quale preclude la possibilità di conoscere il grado di affidabilità del reddito di esercizio.
  • Il terzo procedimento, denominato a valore della produzione e costi(dottrina tedesca), consiste nel contrapporre il valore della produzione ottenuta nel periodo al costo della stessa. Il valore globale della produzione ottenuta scaturisce dalla somma dei beni e servizi “allestiti” nel periodo considerato, indipendentemente che essi siano destinati alla vendita o al deposito temporaneo in giacenza. Risulta semplice comprendere come anche questo procedimento non offra un valido contributo al fine di apprezzare il grado di affidabilità del reddito di esercizio.
  • Consideriamo ora un procedimento, che riassume le diverse impostazioni teoriche poc’anzi illustrate, attraverso il quale si cerca di evidenziare, in prima approssimazione, i singolo componenti reddituali dai quali scaturisce il reddito di esercizio; questo procedimento è noto come a costi, ricavi e rimanenze. Questo procedimento trova il suo fondamento su un sistema contabile che, durante il periodo amministrativo, precede alla rilevazione soltanto delle operazioni che danno origine a scambi tra l’impresa e terze economie e che si estrinsecano in movimenti di mezzi monetari ed assimilati. Durante il periodo amministrativo, quindi, non vanno rilevati i componenti di reddito di origine stimata, i quali vengono considerati distintamente alla fine del periodo amministrativo, in sede di determinazione del reddito di esercizio. Con tale procedimento costi, ricavi e rimanenze compaiono distintamente nel conto economico consentendo di percepire il processi di formazione di tale quantità di azienda. Il giudizio in merito al grado di affidabilità del reddito di esercizio può, tuttavia, essere completo solo se tutti i componenti reddituali di derivazione numeraria sono tenuti nettamente distinti da quelli di matrice stimata, senza operare alcuna commistione di valori.

I tipici componenti del reddito di esercizio
Il reddito di esercizio risulterebbe formato, in prima approssimazione, dalla contrapposizione dei ricavi di prodotto e risultati differenziali positivi con i costi dei fattori di produzione a veloce ciclo di utilizzo e risultati differenziali negativi che hanno avuto la loro manifestazione numeraria durante il periodo amministrativo. Tali tipici componenti sono costituiti dai costi dei fattori di produzione a veloce ciclo di utilizzo e dai risultati differenziali negativi rilevati in diretta correlazione con variazioni numerarie passive e dai ricavi di prodotto e risultati differenziali positivi rilevati in diretta correlazione con variazioni numerarie attive. Tuttavia, si deve osservare che la differenza tra i suddetti componenti reddituali, positivi e negativi, non fornisce la misura del reddito che deve essere imputato al periodo amministrativo considerato. Al fine di determinare correttamente il reddito di esercizio, infatti, è necessario porre a confronto i componenti reddituali positivi e negativi, non già rilevati numerariamente nel periodo amministrativo considerato, bensì di competenza del medesimo esercizio. A fine esercizio si rende necessario espletare un complesso processo di assestamento dei componenti reddituali rilevato nel periodo in modo da discriminare i ricavi ed costi da imputare all’esercizio in oggetto da quelli da rinviare al futuro.
Introduciamo quindi a questo scopo due nuove categorie di tipici componenti reddituali: i costi ed i ricavi sospesi finali.
Possono essere definiti costi sospesi finali quei costi che, pur essendosi manifestati numerariamente nel periodo amministrativo in esame, non hanno trovato nello stesso il rispettivo ricavo e devono essere rinviati al futuro. I costi sospesi possono essere distinti in due gruppi: i risconti attivi finali e le rimanenze attive finali. I risconti attivi finali sono relativi a costi rilevati numerariamente nel periodo considerato, ma imputabili alla gestione futura in modo distinto ed in base al fattore tempo. Le rimanenze attive finali rappresentano componenti negativi di reddito che vengono stornati dall’esercizio in chiusura e rinviati alla gestione futura in modo indistinto.
Un tipico componente reddituale, proprio delle imprese industriali, analogo alle rimanenze attive finali è rappresentato dalle cosiddette costruzioni interne o in economia, si tratta di costi rilevati numerariamente durante il periodo che vengono aggregati con riferimento ad un fattore a lento ciclo di utilizzo (possono considerarsi rimanenze attive pluriennali).
Analogamente ai costi sospesi finali devono essere considerati i ricavi sospesi finali che sono dei componenti negativi di reddito che rettificano i ricavi rilevati numerariamente durante il periodo. Anche questi vengono suddivisi in due categorie: i risconti passivi finali e le rimanenze passive finali. I risconti passivi finali si riferiscono a ricavi rilevati numerariamente durante l’esercizio ma imputabili alla gestione futura in modo distinto ed in base al fattore tempo. Le rimanenze passive finali misurano dei ricavi rilevati numerariamente nell’esercizio considerato, ma che devono essere in parte rinviati agli esercizi futuri, nei quali troveranno la manifestazione i costi.
Per quanto attiene ai costi relativi a fattori a fecondità ripetuta, la determinazione del reddito richiede una procedura differente: il processo di ammortamento. Questo consiste nell’imputare una quota-parte del costo pluriennale a ciascun esercizio nel quale i fattori produttivi a lento ciclo di utilizzo presentano la loro utilità economica.
Introduciamo ora un’altra categoria di tipici componenti reddituali: i costi ed i ricavi presunti finali. I costi presunti finali rappresentano componenti negativi di reddito che avranno manifestazione numeraria in futuro, ma che sono imputabili all’esercizio in chiusura. I ratei passivi finali rappresentano quote di costi di futura manifestazione numeraria, accertabili per interno nell’esercizio successivo a quello a cui si riferisce l’imputazione e ripartibili tra i due periodi amministrativi in base al tempo. Le spese presunte finali misurano costi presunti finali connessi a specifici fattori produttivi e determinabili con sufficiente approssimazione, anche se non ripartibili in base al tempo. Le quote stanziate ai fondi alle spese future rappresentano costi presunti di ammontare incerto, ma di sicura manifestazione numeraria futura. Le quote stanziate ai fondi rischi si riferiscono a costi presunti connessi ai rischi che accomunano i vari esercizi, sono quote incerte sia nell’ammontare che nella manifestazione futura.
Analogamente devono essere considerati i ricavi presunti finali, ossia quei ricavi che avranno la manifestazione numeraria nel periodo successivo, ma che sono imputabili al presente esercizio, perché in esso hanno avuto il relativo costo. I ratei attivi finali rappresentano ricavi presunti ripartibili fra due esercizi proporzionalmente al tempo e rilevabili in modo distino. I proventi presunti finali si distinguono dai ratei perché esprimono ricavi non ripartibili in base al tempo.
Ora giova prendere in considerazione che al termine del periodo amministrativo sorge l’esigenza di determinare anche l’utile o la perdita su unità economiche particolari. Tali unità economiche particolari rappresentano investimenti in fattori non strumentali allo svolgimento dell’attività tipica o caratteristica dell’impresa; solitamente tali investimenti sono giustificati dall’intento di dotare l’impresa di convenienti riserve attuali di liquidità idonee a fronteggiare eventuali rischi finanziari connessi allo svolgimento dell’attività tipica dell’impresa. Le operazioni riguardanti le unità economiche particolari vengono considerate a sé stanti, così da condurre alla determinazione di un risultato economico parziale teso a dimostrare il contributo che queste portano al reddito di esercizio. Conseguenza dell’esistenza di queste unità economiche particolari sarà la determinazione di un altro tipico componente del reddito di esercizio prelevabile o apportabile che sarà un utile o una perdita da realizzo su unità economiche particolari in ordine al segno, positivo o negativo, della differenza tra il loro costo di acquisto ed il ricavo di vendita.

I tipici componenti del reddito attribuito al primo esercizio di vita di un’impresa possono essere sinteticamente ricondotti alle seguenti categorie:
+             RICAVI RILEVATI NUMERARIAMENTE  (Ricavi di prodotto e Risultati differenziali positivi)

  • RICAVI SOSPESI FINALI
  • Risconti passivi finali
  • Rimanenze passive finali

+             RICAVI PRESUNTI FINALI

  • Ratei attivi finali
  • Proventi presunti finali

+             UTILI DA REALIZZO SU UNITA’ ECONOMICHE PARTICOLARI
 



=             RICAVI DI COMPETENZA del primo periodo di vita dell’impresa (A)

 

+             COSTI RILEVATI NUMERARIAMENTE
(Costi dei fattori a veloce ciclo di utilizzo e Risultati differenziali positivi)

  • COSTI SOSPESI FINALI
  • Risconti attivi finali
  • Rimanenze attive finali
  • COSTRUZIONI IN ECONOMIA

+             COSTI PRESUNTI FINALI

  • Ratei passivi finali
  • Spese presunte finali
  • Quote ai fondi spese future
  • Quote ai fondi rischi

+             QUOTE DI AMMORTAMENTO
+             PERDITE DA REALIZZO E DA SVAL. SU UNITA’ ECONOMICHE PARTICOLARI
 



=             COSTI DI COMPETENZA del primo periodo di vita dell’impresa (B)

 

+             RICAVI DI COMPETENZA

  • COSTI DI COMPETENZA

=             REDDITO DEL PRIMO ESERCIZIO

I prudenziali valori-limite nella stima dei tipici componenti del reddito di esercizio
Dopo aver individuato i tipici componenti che concorrono a configurare il reddito di esercizio, si pone il problema di circoscriverne i corretti valori-limite al fine di pervenire ad un risultato che consenta il mantenimento delle condizioni prospettiche di equilibrio economico. La principale preoccupazione di non pregiudicare la capacità dell’impresa di remunerare in modo adeguato il capitale proprio investito negli esercizi futuri impone di individuare prudenziali valori-limite, superiori per i tipici componenti positivi ed inferiori per i tipici componenti negativi.
Per quanto riguarda i fattori a veloce ciclo di utilizzo, i valori-limite superiori presiedono alla quantificazione dei costi sospesi e dei ricavi presunti, mentre i valori-limite inferiori si riferiscono all’attribuzione di valore ai costi presunti ed ai ricavi sospesi.
Per quanto attiene i fattori a lento ciclo di utilizzo, i valori-limite superiori si riferiscono alla quantificazione del valore assegnabile alle costruzioni interne, mentre quelli inferiori riguardano la determinazione delle quote di ammortamento e delle minusvalenze da valutazione.
Come prima osservazione da valutare vi è quella che i componenti positivi o negativi al termine di un esercizio diventeranno, rispettivamente, componenti negativi o positivi all’inizio dell’esercizio successivo, ossia si ripercuoteranno con  segno opposto nell’esercizio seguente.
Ora dobbiamo distinguere le operazioni in corso di svolgimento, per facilità di comprensione, in quattro gruppi:

  • costi sospesi e ricavi presunti;
  • costi presunti e ricavi sospesi;
  • ammortamento;
  • costruzioni interne o in economia.
  • Si tratta di operazioni che hanno dato luogo, nel periodo amministrativo considerato, a uno o più costi correlabili distintamente ad uno o più ricavi che avranno manifestazione nel periodo o nei periodi successivi. Si tratta quindi di stabilire se è più opportuno optare tecnicamente per la sospensione del costo o dei costi sostenuti in questo esercizio o per l’anticipazione del ricavo o dei ricavi futuri. Per quanto riguarda la valorizzazione si dovrà scegliere tra: il valore presunto di realizzo diretto (che è una particolare configurazione di ricavo futuro opportunamente rettificato dai costi ancora da sostenere, da una quota di costi indiretti e da una quota-parte di oneri figurativi), il costo storico ed il costo attuale di riacquisto o di riproduzione (sono prudenziali limiti superiori). Il valore che andrà attribuito deve essere il minore tra il ricavo presunto di realizzo, il costo storico ed il costo attuale di riacquisto o di riproduzione.
  • Per quanto riguarda le operazioni del secondo gruppo, ossia quelle che vengono riflesse nei costi presunti e nei ricavi sospesi, le considerazioni effettuate in precedenza possono essere lette in modo speculare. Al fine di individuare il prudenziale limite inferiore, il primo parametro da ricercare è il futuro valore di presunta estinzione (che è il costo futuro integrato dai costi diretti, una quota-parte dei costi indiretti ed una quota-parte di oneri figurativi), poi andrà ricercato il ricavo attuale. Il valore che andrà attribuito dovrà essere non inferiore al maggiore tra il futuro valore di presunta estinzione ed il ricavo attuale.
  • Le operazioni del terzo gruppo riguardano i fattori a lento ciclo di utilizzo. Il costo di acquisto o di produzione di questi beni deve essere ripartito nei periodi in cui presumibilmente essi manifesteranno la loro utilità. Usando una approssimazione i costi di questi fattori possono essere determinati ricorrendo ad un dato tecnico che consenta di stabilire il grado di utilizzo in funzione dell’impiego avvenuto. L’opportuna considerazione del parametro tecnico in funzione del costo da ammortizzare consente di arrivare alla quota di ammortamento minima, che è il valore minimo che deve essere imputato all’esercizio in relazione all’utilizzo dei fattori. Da ricordare c’è il fatto che qualora il costo attuale di riacquisto o di riproduzione del fattore a fecondità ripetuta risultasse inferiore al valore di presunto realizzo indiretto, la determinazione della quota di ammortamento dovrà avvenire sul primo di questi parametri.

 

 

IL CAPITALE D’IMPRESA

 

Il capitale di funzionamento
Il capitale di funzionamento o capitale di esercizio o capitale di bilancio rappresenta la configurazione di capitale che viene determinata al termine del periodo amministrativo, simultaneamente al reddito di esercizio; esso è lo strumento che consente di rappresentare l’insieme di tutte quelle condizioni che avranno ripercussioni negative o positive nella determinazione dei redditi degli esercizi futuri.
In particolare, escludendo la zona numeraria, gli elementi attivi del capitale di funzionamento esprimono tutte quelle condizioni che eserciteranno una influenza negativa nella determinazione dei redditi degli esercizi a venire, mentre gli elementi passivi esprimono tutte quelle condizioni che eserciteranno un’influenza positiva nella determinazione dei redditi futuri. In effetti, basti pensare che gli elementi attivi non numerari del capitale di funzionamento sono costituiti tutti da costi sospesi e da ricavi presunti che diverranno componenti negativi di reddito del successivo o dei successivi esercizi, in qualità di costi sospesi iniziali, di ricavi presunti iniziali e di quote di ammortamento.
Analogamente, gli elementi passivi non numerari del capitale di funzionamento sono costituiti tutti da costi presunti o da ricavi sospesi che diverranno componenti positivi di reddito del successivo o dei successivi esercizi, in qualità di costi presunti iniziali e di ricavo sospesi iniziali.

Il capitale di funzionamento può essere determinato, nella sua misura netta, adottando due diversi procedimenti:

  • Il primo procedimento analitico parte da una ricognizione di tutti i singoli elementi attivi e passivi del capitale, giungendo all’individuazione di un complesso omogeneo di condizioni attive, esprimente il capitale lordo, e di un complesso omogeneo di condizioni passive, rappresentato in genere da debiti e poste rettificative, dalla cui contrapposizione si ottiene il capitale netto. Il procedimento analitico in esame consente di passare da una visione qualitativa dei vari elementi del capitale ad una visione prettamente quantitativa attraverso l’attribuzione di un valore a ciascuno di essi.
  • Il secondo procedimento sintetico si espleta effettuando la somma delle quote ideali di tale quantità. In particolare, nel primo esercizio di vita dell’impresa il capitale netto di funzionamento ricercato coincide con la somma algebrica del capitale d’apporto e del reddito, positivo o negativo, rilevato al termine del medesimo periodo amministrativo:

+     CAPITALE D’APPORTO
+/-   REDDITO DEL PRIMO ESERCIZIO
=     CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO ALLA FINE DEL PRIMO ESERCIZIO

 

Negli esercizi successivi il suddetto capitale scaturisce dalla somma algebrica tra il capitale netto iniziale, gli eventuali ulteriori conferimenti – o gli eventuali rimborsi – avvenuti nel periodo considerato, le rimunerazioni assegnate nel periodo ai conferenti il capitale proprio mediante la distribuzione degli utili rilevati nel precedente periodo e, infine, il reddito, positivo o negativo dell’esercizio considerato:

 

+     CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO INIZIALE
+     NUOVI CONFERIMENTI DI CAPITALE PROPRIO
-      RIMBORSI DI CAPITALE PROPRIO
-      RIMUNERAZIONI AI CONFERENTI IL CAPITALE PROPRIO
+/-   REDDITO DELL’ESERCIZIO
=     CAPITALE NETTO DI FUNZIONAMENTO FINALE

 

 

In sintesi, i tipici elementi attivi del capitale di funzionamento sono:
+             VALORI NUMERARI

  • Certi
  • Assimilati
  • Presunti

+             CREDITI NON NUMERARI
+             RIMANENZE:

  • Merci
  • Materie prime e sussidiarie
  • Semilavorati e prodotti in lavorazione
  • Prodotti finiti

+             RIMANENZE DI UNITA’ ECONOMICHE PARTICOLARI
+             RISCONTI
+             RATEI
+             PROVENTI PRESUNTI
+             COSTRUZIONI INTERNE O IN ECONOMIA
+             COSTI PLURIENNALI:

  • Costi residui da ammortizzare
  • Costi storici

=             CAPITALE LORDO (A)

Qui di seguito sono elencati i tipici elementi passivi del capitale di funzionamento:
+             VALORI NUMERARI:

  • -------------
  • assimilati
  • presunti

+             DEBITI NON NUMERARI
+             RIMANENZE
+             RISCONTI
+             RATEI
+             SPESE PRESUNTE
+             FONDI SPESE FUTURE
+             FONDI RISCHI
+             FONDI AMMORTAMENTO DEI COSTI STORICI PLURIENNALI
+             FONDI RINNOVAMENTO DEI COSTI PLURIENNALI
=             DEBITI E POSTE RETTIFICATIVE (B)

Come precedentemente detto la differenza tra il capitale lordo ed i debiti e le poste rettificative rappresenta il capitale netto esistente al termine del periodo preso in esame:
+             CAPITALE LORDO (A)

  • DEBITI E POSTE RETTIFICATIVE (B)

=             CAPITALE NETTO FINALE (C)

Il capitale di funzionamento è costituito in larga misura da elementi rettificativi o integrativi dei valori che direttamente concorrono alla formazione dei redditi determinati al termine del periodo amministrativo: per tale ragione al capitale di funzionamento viene comunemente attribuita la significativa funzione di interpretare il calore assegnato al reddito di esercizio.
Il capitale di funzionamento esprime, sia pure imperfettamente e limitatamente alle operazioni in corso alla chiusura dell’esercizio, l’entità del fabbisogno di capitale e della relativa copertura finanziaria riferiti al medesimo momento.
Il massimo valore da attribuire agli elementi in esame, come precisato precedentemente, non deve risultare superiore al valore di presunto realizzo diretto, tenendo conto, per fissare concretamente il valore, del costo attuale di riacquisto o di riproduzione, nonché del costo passato.
La determinazione del valore da attribuire ai beni a fecondità ripetuta richiede la formulazione di piani previsionali prospettici, dai quali possa essere desunto l’ammontare della produzione complessivamente ottenibile mediante l’economico sfruttamento del fattore a lento ciclo di utilizzo.
Il capitale di funzionamento, oltre a configurarsi propriamente come una quantità astratta, è essenzialmente un’entità ipotetica in quanto alla sua formazione concorrono non pochi valori fondati su stime, ipotesi e previsioni. Le difficoltà che si incontrano nell’effettuare le necessarie previsioni sui futuri svolgimenti gestionali rendono determinabile anzitutto un limite inferiore che presenta un notevole grado di affidabilità o di stabilità anche di fronte ad avversi andamenti futuri di gestione. Il limite inferiore del capitale netto di funzionamento viene ottenuto valutando gli elementi attivi del capitale al minimo tra i valori che ponderate previsioni consentirebbero di determinare e assegnando agli elementi passivi il massimo tra i valori che le stesse previsioni consiglierebbero di adottare. In altri termini, il limite inferiore accennato è ottenuto mediante la compressione al minimo del fabbisogno di capitale e la dilatazione al massimo della copertura finanziaria. Il limite superiore è, invece, subordinato al verificarsi di condizioni di gestione eccezionalmente favorevoli; esso è quindi ottenuto valutando gli elementi attivi al massimo tra i valori che accorte previsioni lasciano fondatamente sperare e assegnando agli elementi passivi il minimo tra i valori che le stesse previsioni consentono di supporre.
In conclusione di questa breve disamina sul capitale di funzionamento, è facile cogliere come reddito di esercizio e capitale di funzionamento costituiscano due concetti tra loro strettamente correlati ed interdipendenti, cioè a dire due modi di apparire di uno stesso fenomeno. In effetti, il reddito scaturisce dal flusso dei valori attribuiti ad un dato intervallo di tempo, dando una visione dinamica dell’unitario svolgimento gestionale; il capitale di funzionamento esprime la gestione aziendale, colta in un dato momento, ma apprezzata quale effetto della dinamica passata e premessa per la dinamica futura.
Il capitale di funzionamento si può dire economicamente integro solo se il valore ad esso attribuito consente, per mezzo delle operazioni in corso proiettate in futuro, di garantire la rimunerazione adeguata.

Il capitale d’apporto
La fase istituzionale dell’impresa è contrassegnata da alcuni momenti caratteristici che si concretano nella stesura e nell’esecuzione del progetto istitutivo dell’impresa. Sotto l’aspetto economico, il progetto istitutivo si concreta preliminarmente nella stesura di numerosi piani economici, ciascuno dei quali contempla una data combinazione produttiva a cui si connette necessariamente il sostenimento di determinati costi per l’acquisizione dei diversi fattori produttivi. Lo studio del fabbisogno finanziario connesso ai singoli piani economici si estrinseca nella determinazione della quantità e della qualità dei capitali che giova porre a disposizione dell’impresa.
Il capitale d’apporto, quindi, non è altro che quel complesso di elementi attivi e passivi che consentiranno all’impresa di sopravvivere senza pregiudicare le rimunerazioni spettanti ai conferenti il capitale proprio. Il capitale d’apporto tende, quindi, ad esprimere la politica di piano prevista per la fase istituzionale della vita dell’impresa affinché il nuovo istituto economico sia in grado di perdurare nel tempo alle condizioni stabilite dal progetto istitutivo. In altri termini, il capitale d’apporto rappresenta l’insieme delle condizioni che avranno effetti negativi o positivi sui redditi degli esercizi futuri o, più precisamente, sulle condizioni prospettiche di equilibrio economico.
Il capitale d’apporto viene determinato al fine di perseguire due fondamentali scopi: anzitutto, per pervenire alla determinazione del reddito del primo esercizio di vita dell’impresa considerata e, in secondo luogo, per consentire la ripartizione dei redditi rilevati nei diversi esercizi tra i finanziatori con vincolo di capitale proprio.
La determinazione del capitale netto d’apporto può essere condotta adottando tanto un procedimento analitico – che si attua contrapponendo il valore assegnato agli elementi attivi e passivi di tale capitale iniziale sulla base di un opportuno processo di ricognizione fisica degli elementi stessi – quanto attraverso un procedimento sintetico che si estrinseca nella somma algebrica di tutte le parti ideali positive e negative del capitale in oggetto.
Da ricordare c’è che tra le attività del capitale d’apporto trova collocamento l’avviamento, che non avrebbe ragione di esistere nel capitale di funzionamento dell’impresa conferita. L’avviamento, infatti, è originato dalla differenza tra il valore globale attribuito al conferimento mediante una valutazione economica di sintesi e l’importo netto dei valori attribuiti alle altre attività e passività in sede di determinazione del reddito dell’ultimo esercizio, cioè del connesso ultimo capitale di funzionamento.
La valutazione del capitale d’apporto deve essere sempre opportunamente confrontata con la configurazione del capitale economico in oggetto, al fine di evitare la sopravvalutazione degli apporti e per conseguenza l’annacquamento del capitale medesimo che, con riferimento alla tutela dei terzi creditori, produce effetti analoghi alla sopravvalutazione economica della quale si è detto prima.
In definitiva, la valutazione dei conferimenti in esame tende alla quantificazione dei valori monetari netti realizzabili dai beni o dalle condizioni produttive apportate, ossia tende ad esprimere i correlativi valori di liquidazione sulla base del valore presunto di realizzo diretto.

Il capitale di liquidazione
Il capitale di liquidazione è una particolare configurazione di capitale d’impresa che viene riferita alla fase terminale della sua vita, allorché si accerti che il normale funzionamento operativo non possa più proseguire. Con la liquidazione l’impresa viene disgregata e il suo capitale è convertito in denaro, mediante la vendita disgiunta degli elementi attivi e l’estinzione di quelli passivi.
L’avvio della procedura di liquidazione dell’impresa può derivare dia dall’autonoma volontà del soggetto economico (liquidazione volontaria), sia per imposizione di legge (fallimento o liquidazione coatta amministrativa).
Nel caso di liquidazione volontaria il soggetto giuridico pone, di norma, in liquidazione l’impresa quando non risulti possibile o conveniente la sua cessione in blocco, ossia quale complesso economico funzionante.
In sintesi, la determinazione del capitale di liquidazione si rende necessaria quando vengono meno le condizioni che consentono all’istituto impresa di perdurare nel tempo in condizioni di equilibrio economico e finanziario.
La determinazione del capitale iniziale di liquidazione si estrinseca nell’identificazione e valutazione di tutti quei mezzi e quelle condizioni che hanno un diretto e sicuro valore di scambio, o più precisamente, di tutti quei mezzi e quelle condizioni che si trasformeranno in entrate o uscite monetarie in un tempo più o meno breve.
La determinazione de capitale d’impresa alla data della liquidazione presuppone come primo atto la stesura di un inventario, attraverso tale inventario si dimostra la nuova composizione con cui si rappresenta il sistema dei valori di azienda alla vigilia del suo dissolvimento.
Si passa poi alla determinazione del capitale di liquidazione, esso si configura come l’insieme dei valori monetari attivi esistenti nel momento al quale tale grandezza è riferita e delle previsioni delle entrate o delle uscite monetarie che saranno cagionate dalla gestione di liquidazione, ossia dalla cessione dei beni realizzabili, dalla riscossione dei crediti, dalla estinzione dei debiti e dall’adempimento degli impegni di ogni altra specie.
Il conto economico dei bilanci di liquidazione rileva le differenze tra quanto riscosso dal realizzo delle attività ed i corrispondenti valori di presunto realizzo, nonché le differenze tra quanto pagato per l’estinzione delle passività ed i corrispondenti valori di presunta estinzione.
In conclusione, il capitale di liquidazione appare come una particolare configurazione quantitativa del capitale d’impresa; esso deriva dall’aggregato di valori che trova la sua connaturale espressione nella presumibile relazione quantitativa tra i valori distintamente attribuiti, in rapporto alla cessazione dell’azienda stessa, agli investimenti realizzabili, da un lato, ed agli impegni finanziari da estinguere, dall’altro.
I procedimenti che consentono di determinare il capitale netto di liquidazione coincidono sostanzialmente con quelli precedentemente illustrati in merito al capitale di funzionamento. Il primo procedimento analitico si basa sulla ricognizione concreta delle attività e delle passività e permette di passare da un coacervo eterogeneo ad un complesso omogeneo di elementi patrimoniali, dalla cui somma algebrica scaturisce il capitale netto. Il secondo procedimento sintetico perviene al calcolo del capitale di liquidazione mediante la sommatoria delle parti ideali positive e negative.
Nella fase di liquidazione, l’impresa, a differenza di quanto avviene durante la fase di funzionamento operativo, si presenta come un sistema “disintegrato”, dove il valore di ciascun elemento del capitale non è più determinato in funzione dell’attitudine strumentale alla futura produzione del reddito, ma è connesso all’idoneità più o meno immediata allo scambio, ossia ad essere prontamente alienato. Pertanto, il criterio fondamentale da seguire correttamente nelle attribuzioni dei valori del capitale di liquidazione è quello del valore presunto di realizzo diretto per le attività e del valore di presunta estinzione per le passività.
Inoltre è opportuno sottolineare che nella fase di liquidazione non è necessario salvaguardare la rimunerazione adeguata del capitale proprio, vista l’impossibilità di una gestione futura.
Per quanto riguarda la valutazione dei crediti è necessario sottolineare che risulta spesso necessario stralciare tutti quelli per i quali non vi è nessuna possibilità di riscossone; per gli altri crediti si deve procedere a parziali svalutazioni qualora sia fondato assumere che la loro riscossione richiederà la concessione di abbuoni, ribassi o sconti.
Il principio che informa la valutazione degli elementi attivi del capitale di liquidazione si fonda, dunque, sul concetto che, scomponendo il sistema aziendale, le attività hanno valore in quanto idonee ad essere vendute separatamente.
Per la valutazione dei debiti il dato base è costituito dal valore nominale di ciascun debito, eventualmente accresciuto in relazione ad eventuali interessi moratori, nonché in ordine alle spese giudiziali afferenti alle pratiche iniziate da più impazienti creditori.

 

L’INTEGRITA’ ECONOMICA DEL CAPITALE

Le oscillazioni del valore economico della moneta
La determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitale presuppone l’impiego di uno strumento idoneo ad esprimere in termini omogenei quantità per lo più eterogenee. Tale strumento è notoriamente la moneta di conto, la quale consente di ridurre una pluralità disomogenea di grandezze in una quantità omogenea di valori.
Tuttavia, non va trascurato che la moneta di conto, pur conservandosi nominalmente immutata, può presentare variazioni più o meno sensibili nel suo valore economico.
Giova ricordare che il valore economico di una moneta è il valore che ad essa viene attribuito allorché un altro bene – opportunamente prescelto – funge da unità di misura.
In presenza di sensibili oscillazioni del valore economico della moneta di conto è agevole osservare come i valori iscritti nei conti in tempi diversi, benché riferiti alla stessa moneta, non possono dirsi omogenei. In effetti nei periodi di oscillazione del valore economico della moneta la compilazione del bilancio di esercizio delle imprese diventa un compito irto di difficoltà: quando le valutazioni di fine esercizio non tengono nel dovuto conto le ripercussioni causate da tali perturbazioni, i bilanci presentano risultati illogici, incomprensibili o inattendibili.

Le metodologie di assestamento suggeriti dalla dottrina economico-aziendale
I risultati delle numerose ricerche promosse in questo campo hanno condotto ad individuare differenti metodologie, nessuna delle quali ha tuttavia polarizzato la generalità dei consensi. Queste metodologie consistono in procedure di assestamento intese a separare il cosiddetto reddito apparente (determinato applicando criteri di valutazione che non contemplano le variazioni del potere d’acquisto della moneta di conto) dal reddito reale (che tiene invece conto delle oscillazioni del potere d’acquisto della moneta di conto).

 

Esistono qui cinque metodologie:

  • Alla luce di una prima metodologia – che si deve soprattutto a Zappa – la rettifica necessaria ad eliminare l’influenza della variabilità del modulo monetario potrebbe essere operata sui costi al fini di renderli omogenei ai ricavi – o, viceversa, sui ricavi al fine di renderli omogenei ai costi – oppure, in alternativa, direttamente sull’utile complessivo. La metodologia in oggetto propone che la rettifica attinente alla variazione di valore economico della moneta venga di norma rilevata come distinto ed unico componente di reddito da iscrivere direttamente nel conto economico alla fine dell’esercizio, costituendo come contropartita una specifica apposizione denominata Fondo oscillazione valuta (S.P. avere).
  • Alcuni autori tedeschi e francesi suggeriscono una metodologia che si fonda sulla conversione dei valori iscritti in ciascuno dei conti accesi agli elementi attivi e passivi del capitale di funzionamento, aperti all’inizio del periodo. Essi sostengono che tale metodo – denominato progressivo – risulta più completo e razionale possibile, in quanto rende omogenei, non solo i valori del conto economico, ma anche quelli dello stato patrimoniale, consentendo così di analizzare più compiutamente la rettifica da apportare al reddito. Adottando questa seconda metodologia occorre preliminarmente classificare i movimenti totali, registrati durante il periodo amministrativo, in ciascun conto, per intervalli temporali caratterizzati da sensibili alterazioni del valore economico della moneta.
  • Una terza metodologia propone di rettificare i singoli valori iscritti nello stato patrimoniale iniziale così da renderli monetariamente omogenei ai valori esposti nello stato patrimoniali stilato alla fine del periodo amministrativo.
  • Una quarta metodologia – che si deve al De Dominicis – propone di rettificare il capitale netto iniziale in modo da renderlo monetariamente omogeneo al capitale netto finale, questa metodologia viene denominata procedimento sintetico di rettifica integrale dei valori contabili.
  • Una quinta metodologia si basa sul convincimento che in periodi di oscillazione del valore economico della moneta il reddito debba essere determinato dalla differenza tra i ricavi di vendita ed i costi di riacquisto dei beni venduti, calcolati all’epoca dello scambio. La peculiarità della metodologia in esame consiste nella tendenziale sistematica uniformità del criterio accolto nella misura dei valori – quello dei prezzi correnti – che in tale impostazione diviene l’assunto fondamentale.

La teoria della duplice tecnica di valutazione del capitale di funzionamento
Nella dottrina economico-aziendale italiana si è formata una corrente di pensiero che propone l’impiego complementare di due tecniche ai fini della determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitalo di funzionamento; tali tecniche vengono denominate tecnica di valutazione di esercizio e tecnica di valutazione fuori esercizio.
Nell’impostazione concettuale dei teorici della duplice tecnica di valutazione del capitale di funzionamento, riposa l’idea che le variazioni di capitale prodotte dalla gestione d’impresa si possano distinguere tra variazioni di capitale di esercizio e variazioni di capitale di rivalutazione.
Le prime – ossia le variazioni di capitale di esercizio – sono rilevate periodicamente con i bilanci di esercizio, nei quali esse appaiono sia come differenza tra il capitale netto finale con quello iniziale sia come risultato della somma dei componenti, positivi e negativi, attribuiti economicamente all’esercizio.
Le seconde – ossia le variazioni di capitale di rivalutazione – vengono invece rilevate saltuariamente, qualora si proceda ad una valutazione fuori esercizio del capitale di funzionamento: esse sono misurate dal confronto tra il capitale netto rivalutato con quello da rivalutare, entrambi riferiti al medesimo istante temporale.
La metodologia per la determinazione del reddito di esercizio e del connesso capitale di funzionamento si deve estrinsecare in due distinte tecniche di rilevazione, da applicarsi in modo intrecciato e congiunto: una prima tecnica tende alla rilevazione del reddito di competenza economica dell’esercizio, mentre la seconda si propone lo scopo di predisporre, mediante la valutazione fuori esercizio, un nuovo sistema di valori per le future determinazioni dei risultati economici di esercizio.

Analisi critica del concetto di integrità del capitale
L’illustrazione delle diverse metodologie che cercano di rimuovere i molteplici effetti negativi originati dalle oscillazioni del valore economico della moneta, nonché della teoria della duplice tecnica di valutazione, consente di pervenire alla conclusione che gli adeguamenti per variazioni monetarie tendono ad evitare, direttamente o indirettamente, che risulti compromessa l’integrità strutturale e funzionale del capitale. In altri termini, tutte le metodologie analizzate si basano sul comune fondamento che in periodi di alterazione del potere d’acquisto della moneta di conto la misura del reddito risulti corretta solo qualora sia salvaguardata l’integrità economica del capitale netto esistente all’inizio dell’esercizio.

Considerazioni conclusive
Ciò che, a questo punto, è importante sottolineare è che in sede di determinazione o di distribuzione de reddito debbono essere attentamente e scrupolosamente considerate tutte le eventualità negative che l’impresa potrebbe essere costretta ad affrontare in futuro, così da metterla al riparo dalle conseguenze infauste che potrebbero derivarne.
Pertanto, il reddito di esercizio ed il connesso capitale di funzionamento dovranno essere apprezzati per un valore che assicuri l’integrale possibilità di attuazione dei piani economici e di quelli finanziari, predisposti per indirizzare la gestione al conseguimento dei fini istituzionali assegnati all’impresa, in particolare al raggiungimento ed al mantenimento delle condizioni prospettiche di equilibrio collegate alla sopravvivenza dell’istituto economico-aziendale.

 

Fonte: http://www.demonello.it/ebook/Lezioni_Di_Economia_Aziendale_-_Universit%C3%A0_Di_Verona.rtf

Sito web da visitare: http://www.demonello.it/ e WWW.UNIVERSITY.IT

Autore del testo: Ivo Dal Bosco Riassunto del libro: LEZIONI DI ECONOMIA AZIENDALE Scritto da GIUSEPPE CERIANI, edito da CEDAM

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