Accessi vascolari

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Accessi vascolari

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P. Castelli, R. Beretta

u Per accesso vascolare si intende qualsiasi forma di cateterismo di un vaso venoso o arterioso, avente lo scopo di somministrare prodotti farmacologici o di rimuovere dal sangue sostanze tossiche esogene o endogene.

Storicamente la prima incannulazione venosa risale agli esperimenti di Wren nel 1656, mentre le prime infusioni endovenose sono descritte da Boyle nel 1663. Lo sviluppo delle tecniche per gli accessi vascolari si deve a Seldinger, che per primo alla fine degli anni Venti introdusse il cateterismo venoso centrale. Arriviamo poi agli anni Cinquanta con Kollf che espletò con successo la prima emodialisi. Fu Scribner, nel 1960, a comprendere per primo l´utilità di confezionare uno shunt artero-venoso per garantire un´emodialisi adeguata e salvaguardare il più possibile il patrimonio vascolare. Negli anni Settanta, infine, furono ideati (Broviac, Hickman) dei cateteri venosi centrali che potessero rimanere in sede anche per periodi di tempo prolungati. Infine, nel corso degli ultimi 15 anni, l´introduzione in chirurgia vascolare protesica del PTFE ha sicuramente aperto nuove possibilità di confezionamento di fistole artero-venose per l´emodialisi.

Emodialisi

L´obiettivo di un accesso per emodialisi è ovviamente quello di permettere di effettuare un´emodialisi efficace; ciò implica la capacità di rimuovere, depurare e reinfondere un grande volume di sangue per un periodo di tempo adeguato. Da ciò nasce l´esigenza di confezionare degli accessi vascolari che consentano non solo di espletare l´emodialisi a tali condizioni, ma anche di poterlo fare per periodi tempo estremamente lunghi, anche per tutta la vita del paziente.
In particolare, a seconda che il trattamento emodialitico debba essere condotto in regime di emergenza o in elezione, si possono utilizzare accessi vascolari differenti.

Terminologia

  • Accesso per dialisi acuta: cateterismo di una vena di calibro adeguato per insufficienza renale acuta. Il suo utilizzo è caratterizzato dall´urgenza ed è estremamente limitato nel tempo.
    Il catetere viene solitamente posizionato in vene di grosso calibro (giugulare, succlavia, femorale), è in materiale plastico (generalmente poliuretano) e può tranquillamente essere posizionato al letto del paziente. In effetti esistono dei cateteri venosi centrali in silastic che possono rimanere in sede anche per parecchi mesi, essendo predisposti in modo tale da creare una barriera contro possibili infezioni; il loro posizionamento avviene solitamente in ambienti adeguatamente sterili.
  • Accesso per dialisi cronica: accesso per dialisi in insufficienza renale cronica; il suo impiego può protrarsi per periodi di tempo lunghi, anche per tutta la vita del paziente; con tale termine si indicano solitamente le fistole arterovenose. Attualmente vengono utilizzati due tipi di FAV: quelle sottocutanee, in cui viene abboccata l´arteria alla vena direttamente e quelle protesiche, in cui si utilizza una vera e propria protesi vascolare, generalmente in PTFE, per collegare un´arteria a una vena.
    Tra le prime, la più diffusa è quella tra arteria e vena radiale al polso, con una pervietà a 1 anno del 90% e a 4 anni del 75%, durata che può essere ulteriormente prolungata correggendo chirurgicamente o con metodiche endoluminali eventuali complicanze.
    Eseguita la fistola, la pressione arteriosa è trasmessa direttamente al distretto venoso, che si dilata e sviluppa un´ipertrofia della tonaca muscolare.
    L´arterializzazone permette la formazione, dopo circa 6 settimane, di vasi venosi di opportune dimensioni, con una parete sufficientemente resistente da tollerare frequenti punture per l´emodialisi. La portata varia tra 150 e 500 cc/minuto nelle FAV tra vasi di piccolo calibro, e tra 500 e 1500 cc/minuto a livello di vasi di maggiori dimensioni.
    L´anastomosi latero-laterale, con apertura anastomotica di circa 1 cm, è la più agevole e possiede il più alto flusso; peraltro può provocare occasionalmente ipertensione alla mano. L´anastomosi artero-venosa termino-laterale riduce il rischio di emometacinesia distale (cioè fuga di sangue ossigenato nel distretto venoso), ma comporta un flusso più ridotto. L´anastomosi artero-venosa latero-terminale garanticse un alto flusso, con ridotta ipertensione venosa distale, ma è generalmente più difficile da eseguire. L´anastomosi termino-terminale ha il più basso rischio di furto e di ipertensione distale, ma possiede pure il più basso flusso a livello della fistola (Fig. 4.11).
    Nell´impossibilità di eseguire una FAV a livello del polso, sedi alternative sono il distretto brachio-cefalico e brachio-basilico, che presentano una pervietà a 2 anni nel 70% dei casi.
    Nell´impossibilità di eseguire una FAV diretta tra arteria e vena, la migliore alternativa consiste nel praticare un innesto protesico tra arteria e vena, anastomizzato termino-lateralmente, a decorso sottocutaneo, facilmente palpabile e utilizzabile in genere dopo 2 settimane.
    Le sedi preferenziali sono rappresentate dall´arto superiore (arteria radiale - vena antidecubitale, arteria omerale - vena cefalica, arteria omerale - vena ascellare) e in seconda istanza la coscia (arteria femorale comune o superficiale - vena femorale o grande safena).
    I migliori risultati in termini di pervietà si ottengono con le FAV confezionate alla coscia, anche se esse sono gravate da un rischio più elevato di infezione e di ischemia periferica.
    Il materiale preferenziale per il confezionamento di tali FAV è rappresentato da vena autologa (safena), ove sia disponibile, in caso contrario un´ottima alternativa è il PTFE, che ha dimostrato buoni risultati a distanza, con percentuali di pervietà a 2 anni pari al 70%.
  • Accessi per dialisi in età pediatrica: nei bambini la difficoltà maggiore al confezionamento di accessi per emodialisi è rappresentato soprattutto dalle dimensioni ridotte dei vasi, soprattutto venosi, che non hanno ancora raggiunto il loro completo sviluppo. Nei prematuri e nei neonati, si tendono a utilizzare i vasi ombelicali, mentre in caso di bambini di età maggiore, si utilizza una vena centrale, (cava superiore o inferiore), incannulata attraverso la giugulare o la femorale.
    La tecnica per garantire un accesso per emodialisi duraturo nel tempo in età pediatrica varia in rapporto al peso del bimbo; in particolare, sotto i 20 kg di peso corporeo, generalmente si predilige il confezionamento di uno shunt esterno (il cosiddetto shunt di Scribner; Fig. 4.12), mentre per bambini di peso superiore a 20 kg si può procedere al confezionamento di una FAV sottocutanea o un innesto artero-venoso.


 

 

  • Complicanze: la complicanza più frequente, sia per le FAV sia per gli innesti protesici, è rappresentata dalla trombosi. Essa si può manifestare sia precocemente, e in questo caso è causata quasi esclusivamente da un errore tecnico nel confezionamento, sia tardivamente, allorquando si crea una reazione fibrotica a carico del distretto venoso, in risposta alle ripetute punture, o una stenosi in sede anastomotica. Attualmente tale complicanza può essere agevolmente corretta con metodiche endovasali.
    Un´altra complicanza frequente, soprattutto negli innesti protesici, è rappresentata dalla comparsa di pseudoaneurismi anastomotici, per cui attualmente è proposto un trattamento percutaneo di stenting, qualora compromettano il funzionamento dello shunt.
    Lo stato di immunodepressione, tipico dei pazienti emodialitici, può favorire l´insorgenza di complicanze settiche, che evidentemente sono assai più frequenti negli shunt esterni. Le caratteristiche emodinamiche della fistola possono condizionare la comparsa di scompenso cardiaco congestizio, emometacinsia periferica, ipertensione venosa distale.
    L´insorgenza di insufficienza cardiaca si instaura in pazienti portatori di shunt con flusso superiore a 500-600 ml/min in condizioni di riposo.
    L´insufficienza arteriosa periferica, dovuta a un fenomeno di furto, si osserva specie nelle FAV con anastomosi latero-laterali e negli innesti prossimali ad alto flusso.
    Quadri di ipertensione venosa distale possono generarsi in seguito ad incompentenza valvolare, provocata dall´ipertrofia e dalla dilatazione del distretto venoso arteriolizzato.

Nutrizione parenterale
e chemioterapia

Sin dall´introduzione nella pratica clinica della tecnica di Seldinger per l´incannulamento dei vasi centrali, è stato possibile utilizzare un accesso venoso per l´infusione di sostanze o farmaci per periodi di tempo protratti, in un sempre maggior numero di casi e per patologie differenti.
L´utilizzo degli accessi venosi periferici, oltreché di limitato utilizzo temporale, non permette l´infusione di sostanze irritanti (chemioterapici) o ad elevata osmolarità (glucosio ad alte concentrazioni), per cui sono ormai di impiego routinario gli accessi venosi periferici.

Terminologia

  • Dispositivi in emergenza: si tratta di cateteri in poliuretano di 7-8 Fr di diametro che vengono posizionati per via percutanea in vena giugulare o succlavia, senza essere tunnellizzati nel sottocute. Essi permettono l´infusione di cospicui volumi di liquidi rapidamente e, contemporaneamente, il monitoraggio di parametri emodinamici importanti, quali la pressione venosa centrale, nei pazienti critici o nel postoperatorio. La durata di tali dispositivi è tuttavia abbastanza limitata nel tempo, vanno spesso incontro a complicanze trombotiche e infettive, inoltre sono poco tollerati dal paziente.
  • Dispositivi a medio termine: hanno le medesime caratteristiche dei cateteri precedenti, ma il loro impiego si può protrarre anche per periodi di tempo più lunghi, inoltre, potendo essere posizionati attraverso una vena periferica, generalmente la vena antidecubitale al braccio, sono più tollerati dal paziente; tuttavia permane la possibilità di occlusione e di infezione.
  • Cateteri tunnellizzati: questi dispositivi, generalmente in silastic, sono costituiti da una porzione intravenosa e una porzione esterna che viene posizionata nel sottocute. Il loro impianto, generalmente nella vena succlavia, è effettuato sotto guida radiologica in ambiente adeguatamente sterile (Fig. 4.13). Esistono due tipi di tali device attualmente in uso: il catetere di Broviac, inizialmente proposto per effettuare la nutrizione parenterale nei bambini, e il catetere di Hickmann, utilizzato soprattutto per la somministrazione di farmaci in pazienti sottoposti a trapianto; frequentemente tali dispositivi vengono utilizzati in combinazione allo scopo di ottenere un catetere a due lumi. Attualmente il loro impiego clinico è richiesto nei casi di nutrizione parenterale totale protratti nel tempo; infatti, grazie al materiale di cui sono costituiti, sono resistenti alle infezioni e si mantengono pervi anche per periodi di tempo estremamente lunghi.
  • Port-a-cath: sono costituti da un catetere venoso collegato ad un serbatoio di titanio o plastica e vengono posizionati, generalmente in succlavia, sotto guida radiologica con intascamento del serbatoio nel sottocutaneo. Il loro impiego clinico è rappresentato dalla chemioterapia a cicli intermittenti. Sono resistenti alle infezioni, ma possono andare incontro a occlusione, per cui necessitano di particolari attenzioni nel mantenimento e spesso il paziente deve sottoporsi a una profilassi antitrombotica.
    Rientrano in questo gruppo anche i cateteri che richiedono un posizionamento in arteria per effettuare una chemioterapia loco-regionale (per es. arteria epatica); questi ultimi sono generalmente posizionati dal chirurgo in anestesia generale.

 

Fonte: http://www.area-c54.it/public/accessi%20vascolari.doc

Sito web da visitare: http://www.area-c54.it

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