Atrofie localizzate

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Atrofie localizzate

 

ATROFIE DA INANIZIONE
Sono localizzate a un tessuto o a un organo. Il meccanismo principale che porta a una atrofia è la mancanza di nutrimento, è il diminuito flusso ematico a un tessuto o a un organo che è il principale responsabile dell’insorgenza di una atrofia locale di tipo circolatorio. Il diminuito afflusso di sangue deve essere lento e graduale e non rapido e improvviso perché se la sospensione del flusso di sangue è totale rapida e improvvisa non si avrà atrofia ma una necrosi. La riduzione del flusso potrà avvenire con due meccanismi, o uno esterno al vaso che esercita una compressione sul vaso stesso o uno interno al vaso in cui c’è stata riduzione del vaso stesso e allora le dividiamo in atrofie circolatorie da cause extravascolari e quelle intravascolari.
Extravascolari
Sono quelle atrofie nelle quali si ha una compressione dall’esterno sul vaso provocate ad esempio da tumore, cisti, da un essudato, da un processo infiammatorio cronico con una fibrosi che costringe il vaso, da legature. Tutte le situazioni in cui si ha una compressione che riduce il calibro del vaso, ci porteranno ad una atrofia.
Intravascolari
Sono rappresentate dalle conseguenze di un processo precedente che sarà un aterosclerosi, determinerà un ispessimento della parete e la formazione di un ulcera ateromatosa ma la conseguenza dell’aterosclerosi sarà la comparsa di un trombo cioè un coagulo che si forma all’interno dell’arteria, questo coagulo potrà ostruire totalmente il vaso (allora non si avrà atrofia bensì un infarto, una necrosi) ; se invece il trombo non occlude completamente il vaso si avrà l’atrofia da cause intravascolari (trombi, emboli non totalmente occludenti arteriosi, endoarteriti).
ATROFIE DA COMPRESSIONE
Quando c’è una compressione su un tessuto, questa si esercita sia sui vasi che sulle cellule, quindi è difficile discriminare se l’atrofia è dovuta dalla compressione sui vasi o solo da quella sulle cellule. Ci sono però alcuni casi in cui si ha compressione diretta sul tessuto:
Fegato da stasi
Si ha quando si ha un diminuito deflusso nelle vene sovraepatiche (congenito o da trombosi o da compressione), per cui è impedito il deflusso e si crea un ristagno al livello del fegato, cosa che si ripercuote fino nel lobulo e fino a livello della vena centrolobulare; ciò determina la comparsa di due situazioni, una steatosi e un accumulo di sangue di colorito rosso scuro nelle zone degli epatociti intorno alla centrolobulareà si ha alternanza di zone scure rossastre dovute alla stasi con zone giallastre dovute alla steatosi. Questo è chiamato fegato a noce moscata.
Amiloidosi
Deposizione di una sostanza biancastra sulla parete dei vasi che determina una compressione diretta sulle cellule, il meccanismo non è di compressione sul vaso arterioso  ma è compressione che viene esercitata direttamente sulle cellule e quindi non è mediata da cause vascolari.
Necrosi renale
E’ la formazione di cisti non piene di trasudato ma di urina e sono dovute a ostruzioni a carico dell’uretere, per tumori che comprimono l’uretere, per inginocchiamenti dell’uretere troppo lungo, per ostruzioni dello sfintere vescicale, per ipertrofia prostatica; in tutti questi casi l’urina, continuamente fabbricata dal rene, aumenta di pressione che si eserciterà sul bacinetto e a poco a poco determina compressione sui tubuli, dilatandoli e determinando compressione sulle cellule dei tubuli che vanno in atrofia, si assottigliano, si formano dei cedimenti, si formano delle sacche piene di urinaà idronecrosi e atrofia del parenchima renale, sono atrofie da compressione per aumento della pressione renale.
Aterosclerosi
Si ha la formazione fra l’endotelio e la media, a carico dell’intima, di un deposito di materiale lipidico, glucidico, sangue, materiale necrotico che esercita compressione sull’endotelio sovrastante, questo è però sottoposto a una contro pressione che è quella del sangue, in queste arterie si avrà una pressione del sangue che comprime l’endotelio e da sotto l’endotelio c’è questa massa di materiale che comprime l’endotelio dal di sotto e ciò comporta atrofia dell’endotelio che si assottiglia e poi si rompe e si forma l’ulcera ateromatosa.
ATROFIE DA IPOFUNZIONE O INATTIVITA’
Classica è l’atrofia muscolare che si ha in seguito a una frattura con ingessatura protratta per 30-40 gg, queste atrofie sono reversibili perché sono dovute alla ipofunzione e con la fisioterapia si ripristina l’uso. Questo capita anche a carico di soggetti che sono a letto per parecchi mesi si determina una atrofia a carico delle masse muscolari. In entrambi questi casi si ha anche atrofia del tessuto osseo, questi soggetti sono esposti con facilità a delle fratture spontanee. Lo stesso si può avere quando per un trauma viene tagliato il tendine di un muscolo (tenotomia), questo va in atrofia per inattività. Atrofie da ipofunzione si possono avere anche per legatura dei dotti escretori, questo è un meccanismo simile a quello da compressione, con legatura del dotto il secreto non viene eliminato (il ristagno del materiale secreto che non viene eliminato, rimane all’interno e comprime), l’esempio più classico è quello della legatura del dotto pancreatico con ostruzione dell’escrezione del secreto pancreatico (la parte esocrina, la scoperta del pancreas endocrino è stata fatta proprio inducendo legatura del dotto pancreatico). Caso importante da ricordare è quello che si può avere da trasfusioni di sangue, nel sangue devono essere trasfuse solo le cose che servono e non una trasfusione totale di sangue (o solo piastrine, o solo globuli rossi ecc.. .), si possono creare infatti delle complicazioni fra le quali quella dell’atrofia del midollo emopoietico che è una conseguenza del mancato stimolo del midollo che non sente la carenza perché la carenza è supplita con la trasfusione, manca l’effetto dell’emopoietina (fattore di crescita) e il midollo andrà in atrofia e nel momento in cui, finita l’emergenza, si sospende la ripetuta somministrazione di sangue, questi soggetti andranno incontro ad una anemia aplastica da atrofia del midollo.
ATROFIE DA CAUSE ENDOCRINE
In questi casi manca lo stimolo ormonale che può dipendere ipofisectomia o da una massa neoplastica o per una necrosi da emorragia cerebrale ecc., se si ha un deficit a carico dell’ipofisi non verranno prodotti gli ormoni conseguenti e sulle cellule delle ghiandole endocrine bersaglio verrà a mancare quello che è lo stimolo necessario e le ghiandole andranno in atrofia, lo stesso rischio lo si può correre quando facciamo delle terapie ormonali protratte per diversi mesi, questa supplisce a quella che è la carenza che la ghiandola deve sentire per produrre l’ormone, se lo si somministra già pronto la ghiandola non ne risentirà la carenza e non mantiene il trofismo necessario e va in atrofia (è il caso delle terapie cortisoniche). Stesso problema si ha nel corso della castrazione su quelli che sono gli organi sessuali secondari (ghiandola mammaria) o primari (utero) che sono ormone-dipendenti, se c’è stata una ovaiectomia o un’orchiectomia mancherà quello che è lo stimolo ormonale e si avrà atrofia degli organi ormone-dipendenti. Atrofia testicolare si ha anche negli alcolisti cronici perché l’alcool porta ad una castrazione chimica (classico segno è la ginecomastia).
ATROFIE DA DENERVAZIONE
Queste sono quelle che si hanno in seguito a delle lesioni del nervo motore, in seguito a dei traumi o a causa di compressioni (sull’uscita dei nervi dal midollo spinale), oppure per cause che determinano lesioni a carico delle corna anteriori del midollo (esempio il virus della polio). Se manca la funzione trofica a carico di un muscolo per denervazione questo va in atrofia, è simile alla tenotomia.
ATROFIE DEGENERATIVE
Non sono atrofie vere e proprie; a carico del fegato e del cuore si può avere la comparsa di un pigmento scuro molto evidente che è dovuto alla precipitazione di lipofuscine che sono dei lipidi perossidati che si sono complessati con delle proteine, formano un complesso con acido grasso perossidato e proteina che è insolubile, non è demolito dai lisosomi e determina accumulo all’interno delle cellule. Ci sono delle forme di lipofuscinosi  (lipofuscinosi ceroidi neuronali) che portano ad accumulo di lipofuscine (es. nel morbo di Halzaimer, o nell’invecchiamento a carico del tessuto cerebrale), qui il meccanismo non è dell’atrofia ma da malattia lisosomale con accumulo nei lisosomi, l’atrofia sarà solo una conseguenza.
ATROFIA MUCOIDE O GELATINOSA
Tutte le volte che il tessuto adiposo va in atrofia, viene sostituito da un accumulo di glicosamminoglicani  e di proteoglicani, il polisaccaride ha la caratteristica di essere idrofilo, quindi assorbe acqua, e riempie come una spugna la massa di tessuto adiposo che è andata in atrofia per cui questi soggetti sono degli edematosi, sono dei falsi magri (è il caso dei soggetti ipoalimentati) si va in cachessia da fame e questa è nascosta da quello che è invece un aumento della quota di glicosamminoglicani e di proteoglicani che si riempiono d’acqua e che danno questa falsa immagine di floridezza che in effetti non esiste. Anche questa non è un’atrofia che invece è quella provocata dalla fame, dalla malnutrizione, l’accumulo di sostanza mucoide, gelatinosa, è solo una distrofia di quello che è il metabolismo mucoide. Atrofie degenerative sono in effetti delle distrofie che si instaurano sopra un meccanismo atrofico che c’è stato precedentemente.

Se l’atrofia colpisce delle cellule perenni o delle cellule stabili , non si avrà recupero, invece si avrà ripristino della funzione se l’atrofia è a carico di cellule che sono in grado di rimoltiplicarsi (cellule labili e stabili). Alcune atrofie sono quindi reversibili e altre no, un’atrofia della corteccia cerebrale non è reversibile, un’atrofia a carico degli epatociti invece rigenera. I meccanismi sono o da diminuito apporto o da aumentata distruzione, e poi quelle da aumentata distruzione (alterazione dei lisosomià in effetti sono alterazioni a carico dei lisosomi); un’atrofia per essere tale deve interessare il meccanismo di sintesi proteica, il reticolo endoplasmatico rugoso.

MORTE CELLULARE
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Ci sono tre diverse modalità: l’apoptosi, la necrobiosi, la necrosi.
Apoptosi
E’ una morte cellulare che avviene per singola cellula (indipendentemente dalle altre), è una morte programmata che arriva ad una determinata scadenza.
Necrobiosi
E’ una morte cellulare a carico di più cellule, che interessa porzioni di tessuto, che è preceduta da un periodo, più o meno lungo, da un processo distrofico regressivo (steatosi, rigonfiamento torbido).
Necrosi
E’ una morte che coinvolge più cellule (tessuti, organi) che avviene per una causa che ha agito in maniera rapida, violenta, è una sorta di assassino delle cellule, a differenza della necrobiosi che è preceduta da un periodo di distrofia e della apoptosi che è una sorta di suicidio.
Questi sono i tre tipi di morte cellulare ai quali se ne può aggiungere un quarto che è una estensione della necrosi che è la Gangrena, si parla di gangrena quando la necrosi è estesa a tutto un organo oppure a tutto un arto.
Le apoptosi sono sempre state considerate delle morti programmate, un qualcosa che serve per il continuo rinnovamento del tessuto, rientrano nell’apoptosi i rinnovamenti morfogenetici, quello di popolazioni cellulari e le involuzioni cellulari. Ci sono poi delle reazioni difensive da tossicità, è un meccanismo citotossico, poi ci sono le perdite cellulari da fattori lesivi esogeni o endogeni. I processi regressivi sono da considerarsi totalmente irreversibili, una volta che la cellula è morta verrà sostituita da altre cellule, ma non è una riparazione bensì una nuova crescita. E’ una morte che avviene fisiologicamente, ma vi si può includere anche morti cellulari di singole cellule anche quando l’agente patogeno è stato un agente di lieve intensità (trauma, tossine ecc.). Come ci si oriente per distinguere una apoptosi da una necrosi? Per fare apoptosi una cellula per prima cosa deve essere isolata dalle cellule circostanti, si tagliano le giunzioni che ci sono con le cellule vicine, poi si inizia a frammentare la cellula dando origine a quelli che sono i corpi apoptotici e questi vengono poi fagocitati dai macrofagi finché la cellula viene eliminata e sostituita con un’altra cellula.
La più importante diversità con la necrosi è che qui vengono distrutti gruppi di cellule, distrutti da uno stesso agente (per un processo necrobiotico o per un processo veloce), la necrobiosi e la necrosi terminano con un processo analogo, ciò che cambia è il tempo e la modalità con cui si raggiunge lo stesso risultato. Quando una cellula va in necrosi, si rompe la membrana cellulare e il materiale citoplasmatico viene dismesso, finisce negli spazi circostanti e poi nel sangue; questa è una grossa differenza dal punto di vista clinico, perché noi non riusciremo mai a vedere una apoptosi dal punto di vista clinico, mentre una necrosi con un esame istopatologico, poi un indicatore della necrosi è la presenza in circolo di enzimi che erano nelle cellule che si sono rotte (lattico deidrogenasi, transaminasi), quindi con un esame del sangue possiamo sapere se c’è stata una necrosi (o una necrobiosi), mentre invece non c’è nessun segnale di apoptosi.
APOPTOSI
E’ considerata una morte programmata che è un meccanismo normale, fisiologico, avviene nei processi di involuzione dei tessuti, od anche nei processi di difesa o per degli insulti patogeni (meccanismi che una volta erano considerati di necrosi), ad esempio nelle atrofie numeriche dove diminuisce il numero delle cellule (meccanismo involutivo dovuto all’apoptosi). Alcuni includono nell’apoptosi le terminazioni differenziative che sono il ricambio di cellule di determinate popolazioni (rientrano nel rinnovamento), solo alcune cellule possono rinnovareà le cellule labili e parte delle stabili. In effetti non c’è nessuna differenza tra apoptosi e terminazione differenziativa.
FASI DELL’APOPTOSI

  • Fase della separazione: la cellula deve essere separata da quelle circostanti, le giunzioni hanno  funzione molto importante, dentro presentano delle proteine, le connessine che sono quelle che servono per la trasmissione dei segnali neuroendocrini, il fatto che vengano tagliate le giunzioni, non vuol solo dire che si rompe l’impalcatura fra le cellule, ma vuol dire eliminare quella che è la trasmissione di tutti i segnali. Tagliata la giunzione, la cellula assume l’aspetto di una pallottola, aspetto tondeggiante, si appiattisce e comincia a perdere i microvilli che ha in superficie che non hanno più la funzione di assorbimento che hanno in una cellula normale, la scomparsa di questi però non è accompagnata dalla presenza di blebs che sono delle estroflessioni che la plasmamembrana della cellula fa quando si ha un cedimento di quella che è la struttura del doppio strato lipidico, i blebs sono invece caratteristici della necrosi. In un preparato se si vedono delle cellule con i blebs si sa che è una cellula in necrosi e non in apoptosi. Sempre in questa fase si inizia ad assistere alla condensazione del citoplasma, si ha dilatazione con produzione di vescicole del reticolo endoplasmatico liscio che poi si spostano e si fondono con la membrana; anche la cromatina del nucleo si addensa in semiluna. I mitocondri in questa fase sono ancora perfettamente funzionanti, consumano O2 e producono energia (a differenza della necrosi dove i mitocondri si rompono subito).
  • Fase di segmentazione: si frammenta prima il nucleolo, poi si formano delle invaginazioni della membrana nucleare finchè si ha segmentazione del nucleo in tanti piccoli pezzi, tanti addensamenti cromatidici circondati dalla loro membrana nucleare, non c’è disfunzione del nucleo che si frammenta ma viene mantenuto all’interno della membrana nucleare. Inizia poi la segmentazione citoplasmatica, si formano delle incisure nella membrana che attraversano tutto lo spessore della cellula e portano alla formazione di frammenti cellulari che sono i corpi apoptotici. Quest’ultimi conterranno dei pezzi di nucleo circondati dalla membrana nucleare, del citoplasma, dei mitocondri funzionanti, il citoplasma potenzialmente potrebbe ancora funzionare. Questo fenomeno lo si osserva fisiologicamente nel nostro organismo, le piastrine si formano per frammentazione del cariocita, e questo è un meccanismo analogo alla seconda fase della apoptosi che è fisiologico.
  • Fase della fagocitosi: il corpo apoptotico deve essere eliminato per fagocitosi da parte del macrofago. I corpi apoptotici sono eliminati anche dalle cellule circostanti, quelle epiteliali sono in grado di fagocitare questi corpi, solitamente questo fatto non è proprio delle cellule epiteliali.

L’apoptosi è responsabile del continuo rinnovamento che si ha a livello di alcuni epiteli (gastrointestinale), si ha perdita delle cellule superficiali e la neoformazione di cellule sottostanti. I polimorfonucleati neutrofili vivono 24 ore e poi muoiono per apoptosi; nelle atrofie fisiologiche c’è tutto un rinnovo di cellule che avviene con questo meccanismo, stessa cosa avviene nell’invecchiamento. Nel sistema immunitario i linfociti vanno incontro ad apoptosi, quelli che si differenziano nel timo. Anche nel ciclo mestruale ci sono delle cellule che muoiono per apoptosi, sia a livello dell’endometrio che della ghiandola mammaria. Rientrano nell’apoptosi anche quei fenomeni che si hanno in seguito ad uno stimolo iperplastico, in quelle situazioni in cui si ha stimolo alla crescita (ipertrofia cardiaca, epatica, ecc.), quando lo stimolo di iperproliferazione viene a cessare l’organo deve tornare ad avere le sue dimensioni primitive e se non servono più le cellule ipertrofiche queste devono essere eliminate.
C’è anche un’apoptosi mirata che è quella che si ha nella selezione dei cloni neoplastici; in una neoplasia quello che si forma sono dei cloni di cellule neoplastiche, alcune prendono il sopravvento su altre e sono quelle che hanno un vantaggio selettivo rispetto alle altre, quelle che sono le meno cattive vengono eliminate per apoptosi e  riescono a far metastasi quei cloni che sono più insensibili degli altri a quello che è il controllo dell’organismo immunitario e le cellule più immature, più indifferenziate sono quelle che riescono a far metastasi.
Si hanno poi alcuni esempi di apoptosi in forme patologiche lievi, ad esempio nell’epatite cronica attiva dove nelle fasi iniziali si hanno le necrosi a morso di tarma (pierce meal) che sono delle necrosi distribuite nel lobo epatico, ma non sono necrosi vere e proprie perché sono poche cellule che muoiono e muoiono per apoptosi. Il rigetto dei trapianti è un meccanismo che non coinvolge una necrosi massiva di tutto il tessuto che viene trapiantato, ma ogni cellula muore per conto suo; degli shock termici possono portare ad apoptosi. Tutti questi sono fenomeni che si trasformano poi in una necrosi, ma le cause lievi iniziali possono portare ad apoptosi.
INNESCO DELL’APOPTOSI
Alcuni hanno sostenuto che vengono espressi sulla superficie della cellula dei recettori per i c.d. caloni (questi caloni non esistono, sono dei fattori di crescita negativi, sostanze che bloccano il fattore di crescita). Attivazione di endonucleasi Ca-Mg dipendenti, ci sono quelli che dicono che le cellule muoiono per mancanza di Ca e altri che dicono che muoiono per causa del Ca. Il meccanismo può essere quello di alterazione della pompa, il Ca precipita all’interno dei mitocondri e del reticolo endoplasmatico e impedisce il funzionamento della cellula, in pratica è la permeabilità della cellula che è modificata entra più Ca e si accumula.
Modificazione di superficieà si modificano i recettori glucidici che sono sulla plasmamembrana, vengono riconosciuti dal macrofago che fagocita i corpi apoptotici e non la cellula intera e quindi il meccanismo dell’apoptosi è già avvenuto.
Teoria dei geni cronoregolatori.
NECROSI
La necrosi è un grosso capitolo che comprende la necrobiosi e le necrosi vere e proprie; la necrobiosi è la conseguenza di un lento, progressivo processo distrofico con fenomeni regressivi a carico del tessuto (steatosi, rigonfiamenti torbidi, malattie lisosomiali), se non c’è la possibilità di reversibilità del processo distrofico si ha come conclusione finale la necrosi. La necrobiosi è solo la sequenza degli eventi che portano alla morte cellulare. La necrosi è la morte cellulare da cause che hanno agito improvvisamente senza essere preceduta da fenomeni regressivi, avviene non per necrobiosi ma per danno cellulare.
CAUSE
Le cause della necrosi vengono indicate come cause genetiche. Nel tessuto di un adulto l’effetto di geni letali e subletali non si avrà più (la classificazione che c’è sul dianzani non piace a Nanni); è un discorso che va bene per ciò che riguarda l’ovulo, l’embrione nei confronti dei quali vi sarà un effetto dei geni letali che porta ad aborto spontaneo, ma non è questo il meccanismo che si può richiamare in causa per una necrosi in un adulto differenziato. Anche se non come causa diretta di necrosi, è da ricordare l’effetto dei geni disvitali, che sono tutte quelle condizioni patologiche che comprendono il diabete, la gotta, le malattie a carico degli a.a. ecc.. . questi non sono altro che dei fenomeni regressivi che portano poi a distrofia e questa porta a necrosi, il meccanismo è quindi quello della necrobiosi, non è il gene che provoca la morte delle cellule e quindi le cause genetiche vengono così ridimensionate.
Cause fisiche: sono cause frequenti di necrosi, ad es. l’effetto delle radiazioni ionizzanti, la temperatura (congelamenti ed ustioni), le cause meccaniche (ferite), l’elettricità, ultrasuoni, modificazioni della pressione. Non tutte le cause fisiche di malattia portano a necrosi, ad es. modificazioni della gravità non portano a necrosi come anche modificazioni del magnetismo, dei suoni.
Cause chimiche: moltissime sostanze causano necrosi, acidi e basi forti (caustici), i veleni, le sostanze tossiche ambientali sia endogene che esogene (ogni farmaco ad una certa concentrazione arriva ad essere letale).
Cause biologiche: infezione da batteri e virus, cause infestive.
 Cause alimentari: si è parlato di quelle che sono le cause generali, ci sono poi le cause locali dove si ha necrosi ischemica (infarti bianchi e rossi), sono necrosi rapide da afflusso di sangue (2\3 ore); nel processo infiammatorio, nella fase d’iperemia passiva quando si ha anossia, questa può essere responsabile di necrosi (oltre alla necrosi provocata dall’agente flogistico, si può formare la necrosi conseguente all’iperemia passiva, alla stasi, all’ischemia). Tutte le reazioni linfocitarie, l’attività citotossica dei CD8+ e delle NK, l’attivazione del complemento sono tutti meccanismi che portano a necrosi.
MECCANISMI PATOGENETICI
Quando si parla di meccanismi patogenetici della necrosi, si deve tenere presente che ci sono delle possibilità di recupero oltre le quali il recupero poi non avviene più. C’è sempre una progressione di fenomeni: 1 fase risposta sufficiente. Si ha una cellula in omeostasi, che funziona bene, interviene un qualsiasi agente patogeno che provocherà alterazione di questa omeostasi e altera l’equilibrio fisiologico di quel determinato tessuto. La cellula di fronte a uno stimolo patogeno ha alcune possibilità di risposta fra cui quella di fare una risposta sufficiente, ha un meccanismo di recupero che le consente di tornare nella situazione precedente (aumentando tutte quelle che sono le sue funzioni metaboliche di base). 2 fase risposta insufficiente. La risposta può essere insufficiente e in questo caso la cellula va incontro ad un processo distrofico e quindi regressivo, va incontro a necrobiosi. La necrobiosi a sua volta o riesce a recuperare il processo regressivo oppure diventa irreversibile e si va verso morte cellulare. 3 fase risposta mancata. L’evenienza è che una cellula non abbia alcuna risposta, cioè la causa è stata talmente violenta che la cellula non riesce a mettere in atto nessuna risposta, ad es. in un’ustione di terzo grado si ha una temperatura talmente elevata che gli enzimi di riparo a livello nucleare o i lisosomi vengono distrutti e la risposta è totalmente mancante e si va obbligatoriamente verso gli stadi successivi di morte cellulare. La seconda fase in cui c’è un punto critico di reversibilità superato il quale si va inevitabilmente verso la terza fase che è quella irreversibile. 4 fase morte cellulare. E’ la fase in cui si possono avere vari tipi di morte cellulare, si può avere una morte cellulare extravitale che è l’autolisi postmortale (si ha nel cadavere, dove ci sono fenomeni di  necrosi da attivazione di enzimi lisosomiali e quindi autolisi); altro tipo di necrosi è quello intravitale che è quello che porta a necrosi vera e propria. Ci sono due grossi meccanismi della necrosi vera e propria che avvengono nell’organismo vivo e che portano a morte alcune cellule e non altre.
Dal punto di vista patogenetico si devono ancora valutare le caratteristiche dello stimolo e quelle del tessuto, ci sono variazioni a seconda delle caratteristiche dello stimolo e dove questo stimolo viene applicato.
Per ciò che riguarda lo stimolo è importante che questo abbia una certa intensità, perché se questo non è intenso provocherà un processo regressivo e non una necrosi, anche la durata è importante; in una elevata temperatura l’intensità sarà data dalla temperatura di quel determinato oggetto e la durata sarà il tempo durante il quale l’oggetto viene applicato sul nostro organismo. Si dice che uno stimolo ha una dose sufficiente quando è in grado di provocare un danno sul nostro organismo, dipende però anche quali tipi di cellule sono interessate dal danno, ogni cellula avrà una risposta diversa in base alle condizioni iniziali di quella determinata cellula (se la cellula è nuova e resistente reagirà meglio ad un’eventuale offesa). Vi sono poi alcune cellule più suscettibili e altre meno, la stessa temperatura, con gli stessi gradi, per lo stesso tempo, applicata sul palmo della mano oppure sul dorso della mano avrà effetti diversi (il palmo ha resistenza molto maggiore).
Fattori della necrosi, divisi secondo che la causa abbia agito rapidamente o lentamente. Quando si è parlato di atrofie si è detto delle cause circolatorie delle atrofie, se la sospensione del circolo in un tessuto è lenta, graduale, progressiva, provoca un atrofia, se invece se è rapida, intensa, totale, provoca una necrosi. Sono ancora importanti le condizioni ambientali come la temperatura e l’umidità; in alcune condizioni si avrà una determinata necrosi diversa da altre condizioni. E’ importante poi la natura delle cellule che se hanno un grosso contenuto di H2O e sono in ambiente di elevata umidità risponderanno con una necrosi di un determinato tipo, se sono in condizioni di secchezza e senza H2O risponderanno con un altro tipo di necrosi, sono le due necrosi fondamentali e cioè quelle coagulative e quelle colliquative ( se si è in un ambiente con H2O gli enzimi lisosomiali possono agire e si avrà una necrosi colliquativa, se questi enzimi non possono agire si avrà una necrosi coagulativa).
Meccanismi di necrosi: si ha blocco della pompa del Ca++, AUMENTA IL Ca++ intracellulare, finisce nei mitocondri, si lega con l’acido citrico, oppure finisce nel r.e.. Altri meccanismi sono quelli della denaturazione delle proteine, questi sono i meccanismi base per le necrosi coagulative, quelle per le quali è alterata la struttura delle proteine. Altri meccanismi possono essere modificazioni della pressione, osmotiche, enzimatiche. Meccanismi di inibizione enzimatica, es. classico è quello del cianuro che ha effetto sulla catena respiratoria e sulla citocromo ossidasi, il cloruro sul ciclo di Krebs, il dinitrofenolo. I meccanismi possono quindi portare a tipi di necrosi diverse, ma le necrosi in comune hanno di essere delle alterazioni che si possono avere dal punto di vista anatomopatologico sia macroscopiche che microscopiche che submicroscopiche. Innanzitutto avviene sempre prima il danno a livello citoplasmatico, poi viene coinvolta tutta la cellula col danno nucleare che è più tardivo. L’unico caso in cui si ha necrosi che inizia a carico del nucleo e poi del citoplasma è quello da avvelenamento da amanita phalloides. All’inizio nel citoplasma ci sarà un edema cellulare, il che vuol dire che è stata modificata la permeabilità della membrana cellulare e quindi i meccanismi di regolazione dell’ingresso e dell’uscita dei sali e dell’acqua sono modificati. Si formano poi dei vacuoli nel citoplasma, che sono simili a quelli della degenerazione vacuolare vera e propria; inizia poi la lipofanerosi che è la distruzione della struttura della plasmamembrana, si sgancia la proteina legata al doppio strato lipidico e quindi la membrana perde la sua struttura e inizia ad avere dei punti di cedimento che sono i blebs, quando si formano questi blebs si ha il primo segno del cedimento della plasmamembrana; poi interviene la degranulazione del r.e.r., si staccano i ribosomi e si accumulano nel citoplasma e questo è il segnale che si è arrestata la sintesi proteica; si hanno poi i rigonfiamenti, quello dell’apparato del Golgi, che si intasa e si ha arresto del traffico delle sostanze che vi devono passare dentro. Si ha poi il rigonfiamento dei mitocondri che all’inizio hanno le modificazioni della membrana come quelle del plasmalemma (entra H2O), si gonfiano talmente tanto che scoppiano e si ha frammentazione del mitocondrio con rottura della membrana interne, esterna e delle creste, finisce quindi la produzione di energia (a differenza dell’apoptosi dove la produzione di energia permane per un po’). Si ha poi l’attivazione dei lisosomi che avviene se si ha un ambiente acquoso (ustione di 3° fa evaporare anche l’acqua dei lisosomi e le idrolasi non funzionano più), se invece l’acqua rimane e la  pompa protonica consente un pH acido sufficiente al funzionamento degli enzimi dei lisosomi allora si avrà l’attivazione dei lisosomi e questo fatto ci porta verso le necrosi di tipo colliquativo, quelle cioè che sono regolate da distruzioni lisosomiali. Compaiono dei marcatori di necrosi nel sangue, molti enzimi compaiono in circolo e molti di questi sono di provenienza citoplasmatica (aldolasi, lattico-deidrogenasi, e in base al tipo di LDH possiamo capire quale tessuto è interessato dalla necrosi perché ogni tessuto fa un LDH diverso; compaiono poi le transaminasi, la fosfatasi acida ecc.. .), la comparsa di questi enzimi sono un segno della necrosi e della rottura delle membrane. I danni nucleari iniziano dopo e sono 4 le principali: picnosi, carioressi, cariolisi e la vacuolizzazione. Questa è una vecchia classificazione. La picnosi è un fenomeno fisiologico, è il condensamento del nucleo, i globuli rossi, i reticolociti vanno in picnosi, così come gli strati più superficiali dell’epidermide. Carioressi: frammentazione del nucleo con rottura della membrana nucleare (anche nell’apoptosi c’è frammentazione del nucleo, però come il nucleo si frammenta, la membrana nucleare si riavvolge intorno ai frammenti e ricostruisce la membrana intorno ai frammenti), qui non sono riavvolti i singoli frammenti della membrana nucleare e quindi si ha carioressi vera e propria. Cariolisi: consiste nel non vedere più il nucleo perché è stato lisato, sono state attivate delle nucleasi e si sono liberati degli enzimi dei lisosomi e una ribonucleasi o una desossinucleasi ha sciolto il nucleo e quindi è scomparso. Vacuolizzazione: comparsa di vacuoli all’interno del nucleo, è l’espressione del cedimento della struttura della membrana nucleare, si formano degli aumenti di permeabilità, entra dell’acqua che si raccoglie dentro dei vacuoli che sono delle zone in cui si è retratta la porzione del nucleo.
TIPI DI NECROSI
Necrosi per coagulazione sono necrosi nelle quali si ha la denaturazione delle proteine, questa inizia ad interessare prima di tutto la struttura quaternaria delle proteine, si rompe poi l’assetto spaziale della proteina e quindi salta la struttura terziaria, in alcuni casi si rompe anche la struttura secondaria e raramente si rompono i legami peptidici della primaria. Le cellule in necrosi avranno un aspetto inizialmente focato, il citoplasma ha aspetto granuloso e diventa una massa amorfa friabile e spesso nel preparato istologico si vede solo l’immagine negativa, cioè il vuoto che è stato rappresentato dal tessuto in necrosi che durante i processi di fissazione è stato portato via. Queste necrosi sono tutte quelle provocate da cause fisiche (ustioni, congelamenti, traumi ecc..), si deve però tener presente che una elevata temperatura piò provocare un ustione di 3° ma si deve tener presente se sia stata provocata da una sorgente secca od umida, se il calore3 è secco provoca la evaporizzazione dell’acqua e quindi provoca una necrosi coagulativa, se invece è un calore umido provoca una necrosi colliquativa. Acidi forti (caustici) possono dare necrosi coagulativa perché assorbono acqua dai tessuti e provocano denaturazione delle proteine, invece le basi forti provocano idrolisi della struttura della cellula e si avrà necrosi colliquativa ma non da attivazione dei lisosomi ma da idrolisi della base forte sulle proteine e i lipidi della plasmamembrana. Necrosi da cause infettive per la maggior parte dei casi sono di tipo coagulativo, così anche quelle nutrizionali (ischemiche, infarto miocardico), quelle meccaniche; in questo gruppo di necrosi con coagulazione c’è la necrosi caseosa tubercolare che inizialmente è di tipo coagulativo perché il tubercolo non ha vasi, non gli arriva H2O e quindi inizialmente è di tipo coagulativo, poi può evolvere successivamente in necrosi colliquativa e lo farà quando muoiono molti macrofagi e cellule epiteliali che liberano i loro enzimi (se c’è H2O a sufficienza). Sono coagulative, quindi, tutte quelle nelle quali il meccanismo è della degenerazione proteica e non dell’attivazione degli enzimi lisosomiali.
Necrosi per colliquazione sono quelle per cui c’è una attivazione dei lisosomi; le condizioni sono che vi sia un tessuto ricco di enzimi lisosomiali che non siano stati denaturati da nessuna causa (temperatura), che vi sia una sufficiente quantità di H2O e che vi sia un pH acido (quindi vi devono essere 3 condizioni). Il meccanismo sarà di autolisi, cioè gli stessi enzimi lisosomiali prodotti dalla cellula vengono attivati e autodistruggono la cellula, si parla invece di eterolisi nel caso in cui gli enzimi litici provengano da altre cellule circostanti (macrofagi, polimorfonucleati). Esempio classico di necrosi colliquativa è il pus (infiammazioni purulente), qui si attivano gli enzimi lisosomiali dei neutrofili. In questo tipo dobbiamo anche includere la gomma luetica (granuloma sifilitico). Le cisti apoplettiche del sistema nervoso centrale sono un discorso a parte, sono la conseguenza di  fenomeni di emorragia o di trombosi a livello del circolo cerebrale, questo è un circolo di tipo terminale (Willis), dopo il quale tutte le arterie sono tutte a carattere terminale senza collaterali e anastomosi, la stessa cosa si ha nel circolo cardiaco; tutte le volte che si occlude il circolo di una arteria terminale si ha necrosi. Però nel tessuto nervoso centrale, sia per la ricchezza di fosfolipidi e la mancanza di macrofagi e sia perché non c’è connettivo vero e proprio ma c’è la glia, il materiale che è andato in necrosi viene poi circoscritto, racchiuso da una specie di cisti che all’esterno ha della glia, e all’interno ha del materiale acquoso di provenienza ematica ed è per questo che si formano le cisti dette apoplettiche (caratteristiche dell’apoplessia, cioè di quelle zone di necrosi che si vedono nell’ictus).

ESCARA
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Per escara si intende il materiale necrotico, quando un tessuto va in necrosi avremo una parte di materiale che è andato in necrosi e poi ci sarà una porzione di tessuto che non è stato aggredito dalla necrosi. Se la necrosi è stata di tipo colliquativo con evaporazione dell’acqua allora parleremo di necrosi secca se avremo una necrosi con una certa quantità di acqua disponibile, avremo una necrosi umida, allora il materiale necrotico si raccoglierà in una escara secca se c’è stata evaporazione di acqua, escara umida se invece l’acqua non è evaporata. Esempio classico di escara secca è quello di un ustione di terzo grado (ferro rovente), necrosi umida si può avere nell’intestino a livello delle placche del Peyer con formazione di un escara molle e questa è come uno stampino sopra le placche in corso di tifo. Sotto l’escara il materiale che rimane, il tessuto dal quale poi riprende la rigenerazione è l’ulcera. Anche qui vi sarà riparazione o rigenerazione a seconda del tipo do cellule interessate.

 

 

GANGREANA

E’ una necrosi che è molto ampia (arti inferiori, fegato, ecc.), anche qui si dovrà distinguere fra gangrene secche od umide a seconda che vi sia stata una necrosi colliquativa  o coagulativa. Gangrena secca quando è possibile l’evaporazione dell’acqua che se evapora farà rimanere un tessuto asciutto, secco, nerastro, che è ciò che capita negli arti inferiori ad es. quando c’è arteriosclerosi, c’è diminuzione progressiva del calibro non arriva sangue in periferia, si ha dapprima spetto cianotico e poi nerastro del tessuto. Anche nel diabete si può avere gangrena secca con atrofia dei vasi, stessa cosa si ha nell’endoarterite obliterante di Burgher in cui si ha riduzione del calibro del vaso e quindi il diminuito afflusso. In questi casi si ha un’ampia zona di gangrena che si estende a poco a poco risalendo sempre più su, delimitata dalla zona sana da una linea difensiva che sarà il processo infiammatorio, si forma una linea di demarcazione rossa con iperemia che tende di delimitare la zona di gangrena. Il chirurgo deve intervenire sopra la linea di demarcazione altrimenti non può avvenire il processo riparativo. Gangrena umide  si hanno quando ci sono ampie necrosi colliquative (es. nel tratto intestinale per riavvolgimento delle anse intestinali), lo stesso si può avere a carico del fegato per intossicazione, o del pancreas per autodistruzione. Gangrena gassosa è una complicanza che si può avere di una ferita quando questa viene contaminata dal clostridium perfriges, è un ospite abituale del tratto intestinale, è un anaerobio e fa CO2, quindi nella zona che va in gangrena ci saranno delle piccole bollicine di gas, questa è un’evenienza abbastanza frequente. La scoperta della gangrena gassosa è stata fatta nella prima guerra mondiale per la contaminazione con le feci delle ferite.

SEQUESTRO

E’ un’ampia zona di necrosi a carico del tessuto osseo (nei processi infiammatori purulenti con ampia distruzione del tessuto osseo), queste zone rimangono chiuse quasi fossero sequestrate dal resto del tessuto osseo. La riparazione può avvenire con lo svuotamento di quello che è il materiale necrotico sequestrato  e poi si ha una riossificazione (come nelle fratture).

DISTROFIE

Le distrofie sono state individuate inizialmente come delle alterazioni morfologiche, questo fatto ha dato un impronta a tutto l’argomento della fisiopatologia cellulare prevalentemente morfologica. Sono alterazioni che hanno l’aspetto conclamato di alterazione morfologica una volta che la causa, il meccanismo si è completamente sviluppato. Per distrofie definiamo quelle alterazioni metaboliche dei tessuti morfologicamente evidenti e in alcune di queste si ha aumento o comparsa ex novo di materiali che si accumulano. Distrofia vuol dire nutrimento alterato, è qualcosa che interessa i meccanismi metabolici generali.
DISTROFIE INTRACELLULARI
Sono quelle per le quali il materiale si accumula all’interno delle cellule; una delle più comuni è il rigonfiamento torbido (degenerazione albuminoidea), questa è una distrofia nella quale si ha rigonfiamento delle cellule e una opacità del citoplasma cellulare, si riteneva all’inizio che l’opacità che si aveva nel citoplasma fosse dovuta alla precipitazione dell’albumina. Un’altra è la degenerazione vacuolare caratterizzata dalla comparsa di vacuoli nel citoplasma, simile a questa è la degenerazione idrofila, queste due degenerazioni sono il classico tipo di distrofie intracellulari perché il rigonfiamento torbido sarà una conseguenza di una alterazione di ciò che è il funzionamento dei mitocondri, la vacuolare sarà un malfunzionamento dei lisosomi. L’idrofila è dovuta ad una degenerazione a carico della plasmamembrana. Vedremo poi le steatosi (accumulo di lipidi), poi ci sarà un sottogruppo di steatosi nelle quali si accumulano sgfingolipidi, colesterolo ecc. .C’è poi la degenerazione con accumulo di colloide (es. tiroide), e la degenerazione mucosa degli epiteli.
DISTROFIE EXTRACELLULARI
Sono quelle che colpiscono la matrice extracellulare; una delle più importanti è la degenerazione amiloidea, l’accumulo di sostanza amieloide specialmente attorno ai vasi, sarà caratterizzata dalla composizione chimica dell’amieloide. Ci sono diversi tipi di sostanza amieloide, possono essere delle immunoglobuline o delle proteine di fase acuta. Parleremo poi di degenerazione ialina che è una delle più irreversibili; degenerazione fibrinoide che è quella che precede la necrosi fibrinoide; degenerazione mucosa dei connettivi (se ne è parlato con quella degli epiteli); c’è poi il grosso capitolo della sclerosi, cioè la fibrosclerosi.

RIGONFIAMENTO TORBIDO

Il rigonfiamento torbido si può definire come un’alterazione del sistema mitocondriale, di solito è uno dei processi più facilmente reversibili (alcuni sono irreversibili, come la degenerazione amiloidea). E’ reversibile a condizione però che non siano stati troppo stressati i mitocondri. Gli organi colpiti da questa patologia sono il fegato, il rene, il pancreas, la mucosa digerente, il miocardio. La maggior parte dei pazienti lamenta mal di fegato, e in questi soggetti si trova una epatomegalia (due dita sotto l’arcata costale) alla palpazione non presenta noduli. Il rigonfiamento torbido è dovuto a tantissime alterazioni: nutrizionali, nervose ecc.. . da un rigonfiamento torbido si può passare poi ad una steatosi, dove c’è sempre epatomegalia ma con accumulo di lipidi. A livello del rene saranno colpiti i tubuli e non il glomerulo, con alterazioni della funzionalità tubulare, con presenza di albumina nelle urine. A carico del miocardio, le miocardosi sono sempre dei rigonfiamenti torbidi.
L’organo in r.t. è ingrossato, è più pallido perché tutte le cellule che lo compongono si sono ingrandite, dilatate e comprimono. Quando inizialmente è stato chiamato rigonfiamento proprio perché all’esame morfologico le singole cellule sono ingrandite, è quindi la somma dell’ingrandimento delle singole cellule che provoca l’ingrandimento dell’organo. Queste cellule si vedono bene al microscopio perché sono più sferiche del normale e ciò fa sì che i confini di una cellula con l’altra si sovrappongono fra loro e i limiti sono più indistinti, il citoplasma ha un aspetto torbido, ed anche il nucleo si vede poco bene perché rimane coperto dal citoplasma e dai grossi mitocondri. Il citoplasma lo troviamo granuloso e si può pensare che sia precipitato qualcosa (albumina, proteine), in effetti nulla è precipitato l’unica cosa che succede è che si gonfiano i mitocondri e per cui si riescono a vedere all’ottico come una fine granulazione. Si può anche avere rottura delle creste mitocondriali con una matrice che si addensa e con una dilatazione delle cisterne del reticolo endoplasmatico.
I mitocondri hanno capacità di movimento e di crescita (nell’etilismo si hanno i megamitocondri), inoltre vanno normalmente incontro a dei meccanismi di rigonfiamento e raggrinzamento, il mitocondrio con la sua funzione respiratoria è come se respirasse (si dilata e si raggrinza in continuazione); è un ciclo continuo che avviene fisiologicamente, sono piccole variazioni di volume, ed è quando supera questa capacità che si inizia a parlare di rigonfiamento vero e proprio. Fenomeni oscillatori normali sono quelli legati all’ingresso di calcio e di acqua, all’uscita di protoni, e questo è un ciclo che si automantiene. Si possono avere rigonfiamenti in condizioni patologiche di grande ampiezza che faranno dilatare il compartimento interno e quello esterno si espande tanto fino a rompersi, si avranno così le due fasi successive che sono quelle della modificazione della forma. Se le modificazioni sono di grande ampiezza si avrà un’espansione del compartimento interno, una deposizione di proteine che precipitano sulla matrice, si ha così perdita del controllo respiratorio e inizio di dissociazione della fosforilazione ossidativa. Il rapporto P\O normalmente è 3, qui si inizierà ad avere dei valori minori che indicheranno che è aumentato il consumo di ossigeno e che è diminuita la sintesi di ATP; tutto ciò lo si può avere con un mitocondrio che ancora conserva la sua forma, la sua struttura. La fase successiva, quella di necrosi, si avrà quando il mitocondrio andrà incontro a ulteriore ingrandimento , una espansione talmente ampia che porterà ad interruzione della membrana esterna, che è quella che consente alla membrana interna di espandersi ancora di più; sulla membrana interna abbiamo un’ATP sintasi, che è quella che pompa dentro il protone (ADP +P= ATP), se però il protone va perso nell’ambiente esterno, questa pompa si ferma e si perde la possibilità di fare legami ad alto livello energetico. Si dilata ancor più la membrana interne del mitocondrio finchè avremo la frammentazione anche delle creste mitocondriali con fine della funzione mitocondriale. Quindi quando il mitocondrio si dilata di più si avrà un maggior consumo di O2, il flusso di elettroni sulla catena respiratoria sarà aumentato e si avrà una liberazione di energia aumentata e si fabbricherà più ATP (il r.t. nelle fasi iniziali è conveniente perché produce più ATP), se però il rigonfiamento continua, il consumo di O2 sarà sempre elevato, ma si avrà una dissociazione e un disaccoppiamento col sistema  fosforilante per cui a fronte di maggior consumo di O2 non si avrà corrispondente sintesi di ATP; sarà quindi una macchina che consuma ma non produce. L’ultimo stadio è poi quello della necrosi con rottura del mitocondrio e tutto ciò che la cosa comporta. Si avranno così cellule che hanno i mitocondri che non funzionano più che non consumano O2 e che non producono ATP. La cellula tenta di compensare, siccome c’è un’elevata quantità di ATP e di P che non è utilizzato per fare ATP, tenterà attraverso la via glicolitica di compensare la mancanza di ATP dai mitocondri facendolo attraverso la glicolisi, e questo basta per riuscire a mantenere l’attività di base della cellula (sintesi proteica). C’è quindi una sequenza di alterazioni, nel r.t., che parte dai fenomeni più lievi fino ad arrivare a distrofia. Si può anche avere la possibilità che il mitocondrio rigeneri, il mitocondrio è in grado di fabbricare gran parte delle proteine che gli servono perché ha un suo DNA (mitocondriale, di origine materna), le proteine che non riesce a fare le importa attraverso la membrana. Se non riesce a rigenerare tenta di passare ad un’altra distrofia (es. steatosi) e se non ci riesce va in necrosi e la cellula muore.

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Dal punto di vista morfologico, sia micro che macroscopico, quindi il rigonfiamento delle cellule, l’opacità del citoplasma, del nucleo ecc.. , il r.t. è uguale in tutti i suoi tipi, i r.t. sono diversi invece dal punto di vista delle modificazioni che si hanno a livello ...... . Si possono dividere i diversi tipi di r.t. in 2 grossi tipi, uno è quello che insorge in seguito a rigenerazione, ad es. in seguito a epatectomia parziale (cirrosi) o dopo una nefrectomia o quando il rene controlaterale viene distrutto da una massa neoplastica o da un processo infettivo, sia che noi asportiamo un rene, sia che il rene controlaterale venga distrutto per cause patologiche, l’altro rene va incontro a una ipertrofia di compenso e quindi compare un r.t. nei primi giorni. Il rene raggiunge una massa che equivale a quella dei 2 reni insieme nel giro di 7 gg al massimo, ma da 24 a 48 ore si ha già la comparsa del r.t.. si hanno r.t. a  carico del fegato, del rene; si hanno r.t. anche nelle ipertrofie compensatorie come ad es. quella che si può avere a livello cardiaco (situazioni in cui si ha stenosi o delle insufficienze valvolari cardiache in cui necessita una ipertrofia della parete del ventricolo sn. che va in ipertrofia e quindi incontro a r.t.), lo stesso può capitare a livello di ogni tessuto ogni volta che si richiede una prestazione eccezionale. Una prima condizione è quella che si ha nel corso di ipertrofie iniziali, qui si ha rigonfiamento dei mitocondri (aspetto di un r.t. dal punto di vista morfologico) che dal punto di vista biochimico comporta un aumentato consumo di O2 e parallelamente una aumentata sintesi di ATP (processo utile nei casi che abbiamo visto prima). Nei r.t. in questa fase si avrà una fosforilazione ossidativa che sarà perfettamente accoppiata (aumento di sintesi proteica), deve aumentare il volume delle cellule e quindi è necessario questo incremento energetico e proteico. Dopo si può avere che l’organo che è  andato incontro ad una ipertrofia di compenso vada incontro a una fase di scompenso, se noi gli richiediamo una prestazione superiore a quella che può fare questo andrà in scompenso; se noi diamo un sovraccarico al rene (idrico) questo è costretto a fare un superlavoro, lo stesso può succedere a carico del fegato, se questo rigenera ma noi lo sovraccarichiamo di materiale da metabolizzare  può andare incontro a scompenso; un soggetto che ha un cuore compensato (compenso cardiaco) e viene sottoposto a sforzo che richiede maggiore attività del muscolo cardiaco, va incontro a scompenso (scompenso emodinamico, cioè alterazione del volume della gittata sistolicaà vi saranno scompensi a livello periferico; prima di quello emodinamico c’è però lo scompenso energetico che è dato dal r.t. a livello del miocardio). Altro tipo di r.t. nei quali l’aspetto morfologico è sempre lo stesso ma cambia quello biochimico, si ha sempre un aumento del consumo di O2 al quale però non corrisponde un aumento della produzione di energia; questo secondo tipo di r.t. si ha nelle ipertrofie scompensate nelle quali si ha aumento di consumo di O2 al quale non corrisponde una fosforilazione ossidativa accoppiata, il rapporto P\O sarà inferiore a 3. Ci sono poi i r.t. che si hanno per cause tossiche, si deve distinguere i processi tossici esogeni  da quelli endogeni, fra i primi ci sono i metalli pesanti, i pesticidi, i conservanti ecc. (tutte sostanze chimiche che possono essere metabolizzate a livello epatico danno r.t.), se queste sostanze vengono poi eliminate attraverso la via renale possono provocare danno renale e provocheranno r.t. a questo livello. Fra i tossici endogeni ricordiamo l’urea (nell’insufficienza renale), la bilirubina (insufficienza epatica) provocano r.t. . Si hanno poi i processi tossiinfettivi sono quelli che si hanno in corso di malattie gastrointestinali, vi è produzione di endotossine (da parte di escherichia coli) e così via, in corso di tossina difterica, i processi tossiinfettivi soprattutto con liberazione di endotossine sono responsabili dell’insorgenza del r.t. .
Febbre a carico di tutti i tessuti del nostro organismo ma soprattutto a carico del tessuto muscolare striato che è il più preponderante, in corso di febbre si ha aumento del volume dei mitocondri e quindi si ha dilatazione mitocondriale alla quale corrisponde un aumento del consumo di O2 al quale non corrisponde una aumentata sintesi di ATP ma corrisponde invece una liberazione dell’energia che deriva dalla catena respiratoria sotto forma di calore. In tutti i processi febbrili si ha un r.t. a carico di tutti gli organi del nostro organismo (soprattutto a carico del tessuto muscolare); la febbre è l’esempio più classico di r.t. a carico di tutti i tessuti. Vi sono poi quelli sperimentali (es. da 2-4dinitrofenolo) dovute a sostanze disaccoppianti che disaccoppiano la fosforilazione ossidativa. Si ha una prima fase simile a quella della ipertrofia iniziale (aumento O2, ATP), nell’ipertrofia scompensata aumenta il consumo di O2 ma non la produzione di ATP. Processi che portano al r.t.; inizialmente si ha modificazione della permeabilità di membrana (> H2O nella cellula), si ha poi il rigonfiamento dei mitocondri che corrisponde a un aumento del consumo di O2 che corrisponde ad aumentata sintesi di ATP perché la fosforilazione ossidativa è accoppiata, contemporaneamente si ha aumento della sintesi proteica, tutto ciò è quello che si ha nell’ipertrofia iniziale e nelle fasi iniziali dei processi tossici o tossiinfettivi, dopo succede che aumenta il consumo di O2 ma diminuisce la sintesi di ATP perché la fosforilazione ossidativa è disaccoppiata, il paradosso è che anche in corso d’ipertrofia scompensata od anche in corso di processi tossici o tossiinfettivi continua ad aumentare la sintesi proteica (le sostanza tossiche sono degli induttori); alla fine si avrà che diminuisce la sintesi di ATP, diminuisce la funzionalità della pompa del sodio e aumenta l’H2O nella cellula e nel mitocondrio (che poi scoppia). L’alterazione del mitocondrio comporta la impossibilità anche di consumare O2, nelle fasi finali l’organismo tenta di compensare alla diminuzione del consumo di O2 e quindi di energia facendo aumentare la glicolisi anaerobia; l’aumento della glicolisi avviene facilmente perché nella cellula si ha disponibilità di ATP e di P inorganico molto elevata, arrivati a livello del piruvico però il ciclo di Krebs non funziona e così il piruvico si trasforma in lattico (causa di acidosi). Anche nella parte terminale del r.t. si ha aumento della sintesi proteica, vuol dire che l’energia che serve per la sintesi degli a.a. è sufficiente. Alla fine del r.t. si hanno 2 possibili situazioni, o un r.t. reversibile (> parte dei casi) che arriva fino alla fase di fosforilazione ossidativa disaccoppiata e poi dopo regredisce, oppure sarà irreversibile e arriva fino alla rottura del mitocondrio (glicolisi anaerobia aumentata), da questo si passa poi o a un processo di necrosi o a una distrofia (steatosi).

DEGENERAZIONE VACUOLARE

La degenerazione vacuolare è una distrofia legata a una degenerazione del sistema fagolisosomale, questo porta come conseguenza alla formazione di vacuoli all’interno del citoplasma che saranno di forma sempre maggiore fino ad arrivare a forma vescicolare vera e propria. All’interno di questi si accumulano materiali che sino  o di origine plasmatica, entrano nella cellula e non vengono metabolizzati oppure saranno delle sostanze prodotte all’interno della cellula che non vengono eliminate e vengono accumulate dentro questi vacuoli; anche la degenerazione vacuolare se è di grado lieve è reversibile, se è di forma più grave diventa irreversibile. Queste degenerazioni si trovano prevalentemente negli organi parenchimali, inizialmente si trova in quelle zone che sono rivolte verso il polo vascolare della cellula, si avrà inizialmente una forma di edema a semiluna e poi si formano i vacuoli che sono di diverse dimensioni, però hanno la caratteristica comune di rendere la cellula schiumosa come se fosse piena di sapone, il nucleo in questa distrofia non viene spostato e questa è un’importante differenza con le steatosi dove invece il nucleo viene spostato alla periferia. Nelle steatosi, per artifizio tecnico (istologico), quando si scioglie il grasso si formano delle vescicole e questo è da tenere presente per differenziare le steatosi dalle degenerazione vacuolare . I lisosomi hanno una forma rotonda, hanno un solo foglietto  e non due come il mitocondrio, gli enzimi idrolasici gli vengono fatti dal r.e.r., la parete viene fatta invece dal Golgi, importante è la presenza di enzimi idrolasici all’interno e poi la presenza di un pH che consenta la funzione di questi enzimi (deve essere intorno a 5) e il pH è mantenuto da una pompa protonica che utilizza ATP e immette idrogenioni all’interno del lisosoma. Tutte le volte che si fa un preparato istologico per essere sicuri di essere di fronte a un lisosoma si deve cercare la fosfatasi acida che è l’enzima caratteristico dei lisosomi, questa si trova anche in circolo e per cui il dosaggio in circolo della fosfatasi acida è il marcatore del dosaggio lisosomale che permette di riscontrare una patologia a carico dei lisosomi.
Il materiale entra nella cellula o per diffusione transmembrana o per formazione di vescicole che possono essere grandi o piccole, nel caso siano piccole vuol dire che servono per fare entrare dei liquidi (pinocitosi), se sono grandi entra del materiale (fagocitosi); il meccanismo di fagocitosi porta alla formazione di un fagosoma (picosoma se è piccolo) che è la vescicola che contiene il materiale. Molte volte il materiale che entra non viene digerito e si accumula, è questo ciò che si accumula nella cellula in corso di degenerazione vacuolare. Normalmente il fagosoma si fonde col lisosoma primario (che deriva dal Golgi endoplasmatico reticolo “laito” (GERL), che è una struttura simile all’insieme fra Golgi e r.e.), e da origine al fagolisosoma che normalmente fa un meccanismo di eterolisi, cioè del materiale esterno che viene demolito nel fagolisosoma e poi viene eliminato attraverso un sistema di fusione di membrane. Lo stesso meccanismo si ha all’interno della cellula con l’autolisi che sarà un meccanismo in cui si forma un citolisoma (insieme di pezzi di membrana, mitocondri, e altro che deve essere eliminato che viene rinchiuso dentro una vescicola che poi si fonde con un lisosoma primario e si forma appunto il citolisomaàserve per la digestione di tutto il materiale contenuto nella cellula). Alla fine c’è la formazione del telolisosoma che è rappresentato o da vacuoli d’accumulo o da corpi residui; il corpo residuo poi o è eliminato all’esterno (ciò che capita normalmente), oppure non viene eliminato e rimane nel citoplasma e può dare origine ai vacuoli caratteristici della degenerazione vacuolare che daranno l’aspetto schiumoso alla cellula.
Le fasi sono: un aumento di permeabilità con ingresso di materiale nel lisosoma (1° fase, reversibile); la membrana del lisosoma si rompe, si ha fuoriuscita di enzimi lisosomiali che provocano danno nei tessuti circostanti (2° fase); il meccanismo di fusione tra lisosoma primario e fagosoma si ha per gemmazione di vescicole dal Golgi, queste vengono rivestite di clatrina per il trasporto, giunte a destinazione perdono la clatrina, le vescicole vengono trasportate sul citoscheletro che funziona da binario, le vescicole sono poi indirizzate da delle proteine (RAB) a destinazione. Ciò che è difficile è capire il meccanismo di fusione fra le due membrane; entrambe hanno doppio strato lipidico e si devono integrare dando vita ad un solo strato di bileyers,  il meccanismo è regolato dall’isoprenoide (dolicolo libero ed esterificato con acidi grassi). Intervengono 3 meccanismi diversi: il binario (citoscheletro), la formazione della clatrina e delle proteine RAB e del meccanismo di riconoscimento (mannoso 6P), e la fusione. Se non avviene la fusione rimangono delle vescicole nel citoplasma che costituiscono la degenerazione vacuolare (3° fase).

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Dal punto di vista patogenetico si deve affrontare il problema a tre livelli: quello dell’enzima, del substrato e dei meccanismi di trasporto e fusione.
A livello dell’enzima può succedere che alcuni enzimi non ci sono e si avrà una deficienza di quel determinato enzima (malattie lisosomali congenite). Se manca l’enzima quella sostanza che doveva essere matabolizzata si accumula all’interno di vescicole e formerà una degenerazione vacuolare da accumulo per difetto genetico di mancanza dell’enzima corrispondente. L’enzima può anche esserci ma venire inibito nella sua funzione, si forma un complesso tra l’enzima e sostanze estranee che vi si complessano (interazioni con farmaciàgentamicina, antibiotico ototossico e nefrotossico); queste inibizioni possono essere permanenti o temporanee, se il farmaco viene poi metabolizzato a poco a poco si ripristina la funzione, altrimenti si ha danno permanente. Gli enzimi lisosomali funzionano bene a pH acido, un pH sopra a 5 riduce la funzionalità di questi enzimi, nell’interazione con farmaci.
Substrato: si possono avere dei substrati che non sono degradabili perché non c’è il corrispondente enzima (ad es. nei confronti dei metalli pesanti come il mercurio); ci sono poi sostanze come il destrano (e altre) usati per integrare il volume ematico (succedanei del plasma), alcuni di questi succedanei del plasma non sono metabolizzabili e se entrano nelle cellule rappresentano un substrato inerte (che non può essere degradato). Alcuni farmaci possono interagire col substrato che è all’interno del fagosoma e si formano dei complessi non degradabili, i farmaci che fanno questa azione sono ad es. i farmaci antidepressivi, gli inibitori della sintesi del colesterolo, gli antimalarici (chinacrina che complessa col substrato, clorochina che complessa con l’enzimaà è molto difficile trovare una terapia antimalarica che non sia tossica di per sé). Questi farmaci provocano quindi un ingorgo fagolisosomale, si accumula materiale all’interno del fagolisosoma.
Quando viene introdotta una eccessiva quantità di materiale ( es. dei lipidi polari, proteine, lipoproteine) attraverso un aumento della permeabilità e della fagocitosi e della captazione, si viene ad avere uno sbilanciamento tra la quantità di enzima e quella di substrato (l’enzima non riesce a digerire tutto il materiale) e quindi si formano dei vacuoli; queste però sono chiaramente forma reversibili perché a poco a poco il materiale viene eliminato.
Meccanismo di trasporto e fusione: qui c’è tutto il problema del meccanismo di trasporto sul citoscheletro che viene compromesso da avvelenamenti e intossicazioni (trattamenti con citocalasina che determina alterazioni del citoscheletro impedendo lo scorrimento delle vescicole). Esiste poi il meccanismo della fusione (da 2 doppi strati lipidici si deve passare ad uno solo) di vescicole, in questo interviene la falloidina che è una sostanza che inibisce questi meccanismi, anche lo stesso cortisone fa’ questo lavoro. Se non avviene la fusione fra il lisosoma primario e il fagosoma non si riesce ad avere la demolizione.

 

Malattie lisosomali congenite
Fra le più frequenti c’è la glicogenosi di tipo 2 che provoca un accumulo di glicogeno perché c’è deficit della 1-4 glicosidasi, nel fegato e nel muscolo si avrà deposizione di glicogeno.
Malattia di Wolman dove manca la lipasi lisosomale e si accumulano gliceridi (esteri del colesterolo). Malattia di Niemann-Pick che interessa il sistema nervoso, un’altra forma il reticolo endotelio, un’altra ancora la parete del digerente, qui manca una sfingomielinasi e si accumulano sfingomieline. Gangliosidosi interessano prevalentemente il sistema nervoso, mancano i galattosidi. Gaucher fra tutte le malattie lisosomali è la più frequente in alcuni tipi di popolazioni (ebrei), interessa il sistema nervoso e il fegato, si accumulano dei glucocerebrosidi, manca infatti la glucocerebrosidasi. Mucopolisaccaridosi interessano il fegato e il sistema nervoso e in parte lo scheletro, qui si accumulano dei mucopolisaccaridi acidi, mancano gli enzimi corrispondenti (eparan-solfatasi, condroitin-solfato-solfatasi, ecc.. ). Cistinosi sono dei difetti a carico del rene in cui si accumula cistina e in questi soggetti si ha cistinuria e vanno incontro a calcoli di cistina. Mucolipidosi si accumulano dei sialil-gangliosidi, dei sialil-mucopolisaccaridi nei neuroni o nei fibroblasti.
Oltre alle malattie congenite e a quelle da assunzione da farmaci si possono avere delle degenerazioni vacuolari anche e soprattutto nel caso dell’ipossia ipossica di tipo acuto (le altre ipossie sono l’anemica, la circolatoria, la istotossica), questa può comprendere o la mancanza di O2 nell’ambiente o quando l’O2 ha difficoltà a raggiungere l’alveolo. Le ipossie possono essere croniche o acute (improvvise, quando manca l’aria), nelle acute se si sopravvive si arriva a d.v. , queste sono le asfissie, l’ossido di carbonio (gas in generale), gli annegamenti, gli shock, i collassi cardiocircolatori. Queste ipossie sono quelle da ingorgo lisosomale, eccesso di substrato rispetto alla quantità di enzima. Più frequenti sono quelle da sostanze non metabolizzabili come le lipofuscine che si formano da perossidazione degli acidi grassi; l’atrofia bruna del miocardio è dovuta ad un accumulo di lipofuscina con degenerazione vacuolare . Dei succedanei del plasma (destrano), i micobatteri della tubercolosi ecc.. provocano tutti degenerazione vacuolare .
C’è poi un gruppo che provoca ingorgo lisosomale che sono quelle sostanze che si hanno per avvelenamenti da amanita phalloides, in corso di epatectomia parziale, nelle tubulo-necrosi  e nell’emolisi (proteinurie renali) e quelle da reazione antigene-anticorpo.
Patogenesi
Le sequenze che si hanno per arrivare all’ingorgo lisosomale la degenerazione vacuolare avviene nella cellula verso il polo vascolare, il materiale che si accumula e che provoca l’ingorgo arriva dal sangue, entra nella cellula per transmembranosi o pinocitosi e quindi è la modificazione della permeabilità della membrana che porta alla formazione di un vacuolo ipossico che sarà sul polo vascolare, dopo si forma il vacuoo a semiluna e poi si ha la fusione col lisosoma e quindi la formazione del fagolisosoma e se c’è materiale che non riesce ad essere smaltito si forma il fagolisosoma che non riesce ad essere smaltito e si formano i vacuoli (quindi 2 tipi di vacuoli, uno ipossico e uno a semiluna).

STEATOSI

Aumento chimicamente e morfologicamente dimostrabile di grassi totali in un organo. La steatosi è stata individuata inizialmente con dei preparati istologici, poi ci si è resi conto che per essere sicuri che ci sia steatosi non è sufficiente vederla istologicamente ma è necessario dosare la quantità di lipidi che sono eventualmente presenti e aumentati in quel tessuto. Si ha accumulo in un organo che normalmente non ne contiene, non si può parlare di steatosi nei confronti del tessuto adiposo. Si deve tenere distinta la steatosi dalla lipofanerosi (se ne è parlato insieme ai meccanismi di necrobiosi, per i quali per una lesione necrotica della membrana cellulare si ha dissociazione del lipide legato alla proteina, si formano lipidi che si liberano dalla proteina e compaiono dando un aspetto di goccioline di grasso, non è la vera e propria steatosi). Bisogna anche chiarire i tipi di grassi che si accumulano, questi possono essere dei trigliceridi, dei fosfolipidi, dei glicolipidi, esteri del colesterolo. Se ci sono fosfolipidi si è di fronte a delle fosfolipidosi, e così delle glicolipidosi o delle gangliosidosi. Nella maggior parte dei casi di steatosi si parla di accumulo di trigliceridi che sono le più frequenti. Le colesterinosi sono degli accumuli di colesterolo, l’accumulo semplice di colesterolo determina delle macchie giallastre sulla cute, se invece si amplifica il discorso si deve includere anche l’aterosclerosi  ( che è anch’essa una colesterinosi).
Steatosi da trigliceridi
morfologicamente vediamo nel citoplasma delle cellule che vanno in contro a steatosi la presenza di gocce di trigliceridi, si formano dapprima delle goccioline che poi confluiscono fra loro formando gocce più grandi. Diventano tanto grandi che si avrà una sola grossa goccia nel citoplasma che spinge tutto il citoplasma e il nucleo nella periferia della cellula (nelle degenerazioni vacuolari si ha la formazione di materiale di accumulo ma il nucleo non viene spostato). Gli alcoli che si usano nei preparati istologici sciolgono i trigliceridi e quindi si avrà un’immagine negativa (cellule con buchi dove prima c’era il grasso); se invece si usano delle colorazioni selettive per i trigliceridi, si riesce a vedere il grasso. Il 90% delle steatosi sono a carico del fegato, ma ce n’è anche a carico del rene, del miocardio, i granulociti (infiammazioni purulente), le cellule nervose, i tendini, i menischi, le cellule muscolari scheletriche, gli istiociti ecc.. . Ci sono 3 forme di steatosi epatica a seconda che l’accumulo di grasso avvenga alla periferia del lobulo (steatosi periferiche) oppure nel tratto portale o intorno alla vena centrolobulare (steatosi centrolobulari). Si possono poi avere steatosi a piccole gocce o con una sola grossa goccia. I lipidi introdotti con la dieta, vengono demoliti nel tratto intestinale ad opera degli enzimi pancreatici per emulsione da parte della bile. Si ottengono degli acidi grassi non esterificati, quindi ciò che è assorbito dall’enterocita non sono trigliceridi; una volta che l’acido grasso è entrato verrà di nuovo, ad opera della trigliceride sintetasi, ricostituito a trigliceride, questo viene poi legato ad una proteine (chilomicrone primario). Gli acidi grassi a catena corta arrivano al fegato direttamente senza entrare nel chilomicrone, quest’ultimo avrà una specie di mantello proteico molto sottile ma sufficiente ad impedire la coalescenza delle gocce di grasso fra loro, se questa si formasse si avrebbe un’embolia liquida ogni volta che si mangia. I chilomicroni primari vengono poi assorbiti via linfatici e si trasformano in chilomicroni secondari (che via vene sopraepatiche se ne vanno in giro, un’altra parte va via attraverso il dotto toracico), quelli che finiscono nel dotto toracico faranno poi la strada della succlavia sinistra e arrivano all’arteria epatica. Quelli che vanno in periferia troveranno una cellula endoteliale, una lipoproteinlipasi e si fa di nuovo la strada inversa, quindi negli adipociti si avrà l’ingresso di acidi grassi che si ricomplessano di nuovo col glicerolo dando di nuovo origine alla goccia di trigliceride che viene accumulata nel tessuto adiposo. Quando c’è necessità di mobilizzare i grassi dai depositi, si dovrà attivare una lipasi ormone dipendente ad opera di AMPc (sintetizzato da un’adenilciclasi stimolate da adrenalina), la via di demolizione dell’AMPc è rappresentata da una fosfodiesterasi che lo scinde in AMP; la quantità di AMPc può aumentare anche per diminuita demolizione da parte della fosfodiesterasi (che può essere bloccata da sostanze come la caffeina). La lipasi scinde poi il trigliceride, liberando acidi grassi non esterificati che vengono dismessi in circolo dove però non possono restare come non esterificati perché distruggerebbero tutte le membrane dei globuli rossi (sono tensioattivi), devono quindi essere trasportati dall’albumina ai tessuti periferici o a l fegato. Se vengono portati ai tessuti periferici subiscono il solito processo. All’epatocita può arrivare il grasso attraverso varie strade, una via è quella che passa per la vena porta con acidi grassi a catena corta che arrivano all’interno dell’epatocita dove arrivano anche i chilomicroni secondari (via dotto toracico), questi avranno una proteina intorno, ci sarà allora una lipoproteinlipasi endoteliale sul sinusoide che farà in modo che nello spazio di Disse passino solo i prodotti di demolizione che entreranno nell’epatocita come acido grasso non esterificato (non entrano mai i trigliceridi). L’acido grasso non esterificato è anche quello che viene portato dall’albumina, questa dal tessuto periferico viene trasportata all’epatocita, dove però entra solo l’acido grasso. C’è poi una quota di proteina che può essere recuperata dalla attività della lipoproteinlipasi (sono dei remmants che tornano per essere riutilizzati). Abbiamo quindi due strade, una è l’apporto all’epatocita di grassi che vengono dalla dieta (trasportati all’epatocita via chilomicroni) e che comportano steatosi da dieta iperlipidica; c’è poi il trasporto di grassi che avviene per mobilitazione dal tessuto adiposo (via albumina) e in questo caso si potranno avere delle steatosi da aumentata mobilizzazione dai tessuti di deposito. Nell’epatocita quando sale una certa quota di grassi deve uscire una certa quota di lipoproteine, se i grassi salgono di più e l’uscita è sempre la stessa si avrà un ingorgo (steatosi). Può poi succedre che i NEFA che vengono internalizzati vengano poi trasportati da delle proteine di trasporto (proteine Z, Y, ligantina ecc.. ); l’acido grasso , una volta internalizzato, può avere 3 destini; il primo è quello di venire ossidato, può poi essere utilizzato per essere infilato nel normale turn-over di rinnovamento delle membrane cellulari, infine può essere risintetizzato di nuovo a trigliceride da parte di una trigliceride sintetasi che lo trasforma poi in fosfolipidi o in esteri del colesterolo (il tutto va a cstituire la molecola che viene dismessa alla fine che è la VLDL e la HDL). Una certa quota di acidi grassi può essere anche sintetizzata a partire dall’acetilCoA (4° possibile destino). Le lipoproteine vengono dismesse in circolo, faranno un marcatore (apoB 100) che viene poi riconosciuto in periferia dal suo recettore. Le lipoproteine una volta immesse in circolo continuano a scambiarsi fra loro trasformandosi le une nelle altre (es. le LDL non si formano a livello dell’epatocita, ma si formano derivando dalle VLDL). Le HDL, fatte dall’epatocita, sono quelle ad alta densità, quelle che quando escono dall’epatocita sono povere di colesterolo, ma che andando in giro si ricaricano di colesterolo e poi tornano al fegato. LDL e HDL vanno a finire alla periferia e quando arrivano alla cellula del tessuto periferico, a livello della cellula endoteliale esiste un’altra lipoproteinlipasi che stacca l’apoproteine che viene poi riutilizzata come remmants (torna al fegato), i grassi invece entrano nella cellula del tessuto periferico come normale apporto di grassi. Possiamo avere così delle steatosi rappresentate dal difetto che può succedere a livello dell’epatocita, ci può essere un difetto delle vie ossidative, uno da aumentata sintesi di acetilCoa, oppure può essere inibito il meccanismo di sintesi della molecola di VLDL e di trasporto a livello dell’epatocita e di dismissione della molecola delle VLDL e se non viene dismessa si accumula all’interno dell’epatocita. Normalmente si ha invece un ricircolo continuo di lipoproteine, vengono ceduti i grassi in periferia, la lipoproteina torna di nuovo indietro viene riutilizzata e di nuovo dismesse (il ricircolo dei remmants dura per circa 7\8 volte).
Meccanismi di patogenesi delle steatosi
Gli acidi grassi costituiscono il punto di partenza delle steatosi, abbiamo visto da dove possono derivare gli acidi grassi  (3 vie). L’aumento di disponibilità di acidi grassi all’interno dell’epatocita può causare che parte di questi acidi grassi vengano utilizzati per la sintesi di altri lipidi (ma in quantità trascurabile); una parte sono ossidati dai mitocondri; una parte è ricomplessata con glicerolo e si va a riformare un trigliceride (costituisce il pool dei trigliceridi epatici, che è un pool dinamico, si forma e si disfa in continuazione); una minima quota di trigliceridi può essere idrolizzata via lipasi lisosomale; la maggior parte se ne va via lipoproteine plasmatiche. Possiamo così classificare le steatosi in due tipi: Steatosi per aumento dei precursori e steatosi per diminuito smaltimento.
Nel primo tipo i precursori sono gli acidi grassi, si ha questa situazione in tutti quei casi in cui si ha apporto di acidi grassi con i chilomicroni, con i NEFA dal tessuto di deposito o dalla dieta, in tutti i casi in cui si ha aumentata sintesi di acetilCoA o ancora nei casi in cui gli acidi grassi aumentano per mancata ossidazione.
Nel secondo tipo non sono sintetizzate le lipoproteine, oppure vengono sintetizzate ma non vengono immesse in circolo.
Le lipoproteine si scambiano fra di loro, i chilomicroni vengono sintetizzati, dal luogo di sintesi vengono appiccicati a fosfolipidi, colesterolo, trigliceridi, ma poi vengono appiccicati delle apoA, apoB. Quando vanno in circolo iniziano a scambiarsi le apoC, le apoE con tutto quello che trasportano, c’è un interscambio continuo fra i cari componenti, la stessa cosa succede anche per le VLDL, le HDL ecc.. . Questo continuo mescolamento significa che l’analisi che si può fare delle lipoproteine in circolo non è sempre predittiva di quella che è la funzionalità epatica.
Steatosi per aumento dei precursori
A loro volta si dividono in due tipi: le steatosi con danno epatico secondario e con danno epatico primitivo. Le prime sono quelle che quando inizia la steatosi il fegato sta benissimo, sono anche dette delle steatosi che insorgono su fegato sano; le altre sono quelle in cui ci sono state delle sostanze che hanno agito sull’epatocita primitivamente e lo hanno danneggiato, la steatosi sarà quindi una conseguenza. Alla fine si avrà lo stesso risultato ma la partenza è diversa. Le steatosi con danno epatico per aumento di precursori sono quelle da dieta iperlipidica. Le diete iperlipidiche più pericolose sono quelle che sono anche ipoproteiche, perché se si deve sintetizzare una lipoproteina che è quella che fa uscire il grasso dall’epatocita, è necessario che si sintetizzi l’apoproteina, che a sua volta si sintetizza da un pool disponibile di a.a. , che sono quelli che si introducono con la dieta.
Altro meccanismo è quello della mobilizzazione da tessuto di deposito, si ha danno epatico secondario perché il fegato stava benissimo, però vengono mobilitati i grassi per attivazione della lipasi da parte dell’AMPc, tutte quelle condizioni che stimolano l’adenilciclasi sono quelle che porteranno ad una steatosi epatica. Fra queste ci mettiamo le steatosi da stress, da catecolammine, quelle da cortisone, da ACTH, da tiroxina (ipertiroidismo), da glucagone, quelle che si possono avere nel soggetto diabetico (il diabetico tende a non introdurre glucidi, e per mantenere l’apporto calorico sufficiente tende a introdurre più lipidi, mobilizza anche grassi dai depositi, una quota di questi saranno demoliti  ad acetato e daranno origine ai corpi chetonici, un’altra quota fa invece steatosi). Altro meccanismo è quello della fosfodiesterasi, sostanze che la bloccano fanno aumentare l’AMPc che fa mobilizzare i grassi via lipasi (queste sostanze sono la caffeina e altre simili). Si ha mobilizzazione dall’adipocita e un arrivo di NEFA all’epatocita e la sua trasformazione in trigliceride.
Steatosi con danno epatico primitivo da aumentata sintesi locale di trigliceridi o per aumentata disponibilità di trigliceridi.
Una può essere quella per aumento dell’attività della trigliceride sintetasi, questa è la via normale dalla quale dall’acido grasso si formano i trigliceridi, però non si hanno forme spontanee o indotte sicure in cui ci sia una stimolazione della trigliceride sintetasi.
Nelle steatosi da aumento dei precursori l’aumento può avvenire attraverso due strade, o per aumento della sintesi locale di acidi grassi a partire da acetilCoA, o per blocco dell’ossidazione degli acidi grassi. Il primo caso ha diverse modalità, una è quella da dieta carente di acidi grassi poliinsaturi (origine vegetale), provocano steatosi perché quando il nostro organismo è di fronte a una situazione del genere tenta di farli lui ma non ci riesce, questi grassi poliinsaturi sono necessari, però l’epatocita non sapendoli fare, ne fa altri che poi non possono essere metabolizzati e quindi si accumulano sottoforma di trigliceride.
Ci sono poi quelle da c.d. meccanismi induttori, l’induttore principe è il fenobarbital, i barbiturici inducono la sintesi proteica nell’epatocita ma anche la sintesi di enzimi fra i quali quelli che servono per la sintesi degli acidi grassi dell’acetilCoA. Tutti i soggetti epilettici sono trattati con barbiturici per tutta la vita e questo provoca un danno di questo genere.
Altro meccanismo col quale si può avere steatosi da aumentata sintesi di acidi grassi è quello di un’eccessiva introduzione di etanolo; questo funziona anche favorendo la mobilizzazione dei grassi di deposito, quindi la steatosi da etanolo vede sia una aumentata mobilitazione dai tessuti di deposito , ma anche una aumentata sintesi di acidi grassi a livello dell’epatocita, si inverte il rapporto NAD+\NADH.
Altro meccanismo è il blocco dell’ossidazione degli acidi grassi , questi entrano nel mitocondrio, vengono ossidati qui e demoliti, se c’è un blocco ossidativo a questo livello, l’acido grasso non viene distrutto e si accumula. Si può avere blocco dell’ossidazione degli acidi grassi nei mitocondri con l’ipossia (che può esserci con il r.t., la degenerazione vacuolare, con la steatosi); la steatosi può essere il transito da una degenerazione molto lieve a una situazione molto grave. L’etanolo può essere responsabile anche di questo meccanismo, e poi tutti i veleni che agiscono sulla catena respiratoria.

15\4\97
Meccanismi che provocano un blocco della sintesi delle apoproteine
Un esempio di sostanze che determinano un blocco dell’RNA polimerasi sono le amanitine, ve ne sono 4-5 tipi, sono prodotte dall’amanita phalloides, determinano un blocco della sintesi dell’apoproteina, quindi il danno da amanita phalloides (oltre alla necrosi provocata dalla amanitina che è un veleno nucleare) è in grado di provocare steatosi. L’acido orotico agisce più o meno con lo stesso meccanismo, veniva usato come farmaco indicato nelle epatopatie come epatoprotettore (fino a 10 anni fa). Importante è il meccanismo delle sostanze alchilanti, le quali oltre a provocare attivazione delle lipoproteine, sono anche delle sostanze cancerogene, importante è la dimetilnitrosamina, questa provoca steatosi, in campo sperimentale provoca cirrosi epatica, ma soprattutto provoca insorgenza di neoplasie; questa si può formare nell’organismo per la presenza di amine e per la presenza di nitrati, nello stomaco può autosintetizzarsi; ciò che è rischioso è la introduzione di questa sostanza più che la autosintesi, viene introdotta con dei farmaci poi trasformati a livello gastrico ed epatico. Si devono poi ricordare gli inibitori della traslazione (emetina). C’è poi la tossina difterica che ha come ligando la muscolatura cardiaca ma viene anche metabolizzata a livello epatico dove può determinare una steatosi.
C’è poi un grosso gruppo di tossine vegetali fra cui la più pericolosa è la ricina che deriva dai semi del ricino che sono molto tossici (10 semi sono già tossici, letali), se la dose è inferiore si ha blocco della sintesi proteica e steatosi.
Steatosi da blocco della reazione d’inizio
quelle che hanno come meccanismo d’azione il CCl4 e gli alogenoalcani. L’avvelenamento da CCl4 è ormai raro perché non si usa più (una volta si usava per la terapia della tenia), veniva anche impiegato come detergente nelle lavanderie, al giorno d’oggi si impiegano invece tutta quella enorme serie di pesticidi, gli alogenoalcani che hanno vaste funzioni. Il rischio è quindi rappresentato da questi. Anche rischioso è il fosforo giallo anche se non si trovano più casi di avvelenamento.
Altre sostanze che bloccano la sintesi dell’apoproteina sono la falloidina (4 o 5 tipi), il paracetamolo che è una sostanza antipiretica e analgesica (impiegato in campo pediatrico); provocano steatosi.
Nel mantello della lipoproteina sono inseriti dei fosfolipidi che se vengono a mancare alterano la struttura della lipoproteina stessa; in questo gruppo ci sono quelle da ipovitaminosi (rare), e quelle da dieta carente di colina.
Ci può essere poi un meccanismo in cui la apoproteina si forma, i fosfolipidi ci sono, i trigliceridi anche però il tutto deve poi essere messo insieme e quindi ci sono i difetti legati al montaggio e al trasporto. Il montaggio delle lipoproteine avviene a livello dell’apparato di Golgi che le glicosila, in effetti sono delle lipoglicoproteine. Se il Golgi è danneggiato (da CCl4, etanolo ecc..) si formano delle lipoproteine parzialmente glicosilate o non glicosilate e queste non vengono dismesse e si accumulano nel Golgi.
L’etanolo agisce a livello di tutti i meccanismi di cui abbiamo parlato, a livello della mobilizzazione dei grassi di deposito, favorisce l’assorbimento di grassi dall’intestino, favorisce la sintesi locale dei grassi a partire da acetilCoA, determina il danno mitocondriale e un blocco della glicosilazione, in pratica l’etanolo provoca steatosi con tutti i meccanismi possibili e conosciuti.
Infine può succedere che le lipoproteine vengano sintetizzate ma poi denaturate con, per es., un danno perossidativo (CCl4, radicali liberi ecc..), una quota riesce ad essere dismessa e ad andare in circolo e sarà questa la quota di LDL ossidate che poi sono responsabili dei danni che si hanno nella aterosclerosi, se però il danno ossidativo di queste è elevato, non riescono ad essere dismesse e quindi si accumulano trigliceridi.
Ci sono poi delle sostanze che agiscono a livello del citoscheletro e dei microtubuli, interferiscono quindi nel trasporto delle vescicole dell’apparato di Golgi che si dirigono verso la plasmamembrana, ad es. la falloidina.
(Vedere elenco sostanze che provocano steatosi.)

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Steatosi da etanolo
Di tutte le steatosi quella da etanolo è la più frequente, le altre sono degli incidenti casuali che possono capitare mentre questa è molto diffusa nella popolazione. L’etanolo viene metabolizzato attraverso la via della alcooldeidrogenasi che è quella usuale, può anche venire metabolizzato a livello della mucosa gastrica e di altri organi ma in quantità modesta, in massima parte è quindi metabolizzato a livello del fegato (85%); quest’enzima è nel citosol ed è costituito da diversi isoenzimi legati a NAD e NADH e produce acetaldeide come prodotto intermedio. Altra via di metabolizzazione dell’etanolo è la via di metabolizzazione dei farmaci, quella del citocromo P450, via del sistema ossidativo metabolizzante l’etanolo, questa via è localizzata nel r.e.r. e in parte nel r.e.l., il citocromo P450 utilizza come cofattore un NADP e anche questo fa acetaldeide. La terza via, molto meno importante è rappresentata dalla catalasi che utilizza il perossido di idrogeno e genera acetaldeide. Esistono altre due vie collaterali che sono la formazione di un radicale idrossietile e la formazione di radicali dell’O2. Così è spiegato, in parte la possibilità di danno radicalico da etanolo. L’acetaldeide deve poi essere smaltita dalla acetaldeideDH che è la via principale di smaltimento, è localizzata nei mitocondri (80%); ci sono poi due vie collaterali della liasi e della ossidasi-catalasi che sono trascurabili. L’acetato quando si è formato diventa acetilCoA. L’etanolo porta un apporto calorico elevato (7:1) è pari a quello dei glucidi ed è per questo che il soggetto che fa uso d’alcool non è portato ad alimentarsi; però ovviamente mancano tutte le strutture necessarie che nell’alcool non ci sono (a.a., acidi grassi, glucidi ecc.. ). L’alcoolDH e l’acetaldeideDH sono distribuite in maniera diversa nelle popolazioni e ci sono molti isoenzimi che le caratterizzano. Nelle varie popolazioni ciascuna di queste ha una percentuale maggiore di alcuni tipi di alcoolDH, nella nostra popolazione è molto presente la alcoolDH 2 ed anche nei neri ma non negli orientali. Anche la 3 è molto frequente da noi. Questo fatto spiega perché ci sono popolazione che reggono bene l’alcool. Stesso discorso si fa per l’aldeideDH, il 50% degli orientali non ha questo enzima e quindi non riescono a smaltire l’eccesso di aldeide (vomitano).
Patogenesi della steatosi da etanolo.
I meccanismi possono essere quelli già visti.

  • Aumentato apporto di precursori (maggior apporto con la dieta o aumentata mobilizzazione dei grassi), l’etanolo abolisce, via lipasi e AMPc la mobilizzazione dei grassi di deposito (favorita la steatosi epatica).
  • Altro meccanismo è quello della aumentata sintesi locale che avviene per induzione enzimatica, l’etanolo è un induttore, e quindi determina dipendenza; ci sono due forme di dipendenza, quella fisica e quella psichica; la prima è dovuta al fatto che, essendo un induttore , aumenta la sintesi di citocromo P450, e quindi l’etanolo viene metabolizzato più rapidamente. Gli effetti favorevoli  dell’etanolo scompaiono rapidamente se c’è un enzima che lo demolisce rapidamente, l’etanolo agisce via endorfine (sulla corteccia) e se viene distrutto rapidamente il soggetto per avere gli stessi effetti deve aumentare la dose e facendo ciò aumenta la sintesi di P450, è così spiegato il meccanismo della dipendenza fisica come un circolo vizioso che si autoalimenta. La dipendenza psichica è strettamente collegata, il soggetto beve molto per avere sempre lo stesso benessere e non può farne a meno. Il nocciolo del problema è quindi l’induzione enzimatica, se ne viene introdotto di più aumenta la sintesi locale di acidi grassi perché sembra che l’etanolo inverta il rapporto NAD\NADH cioè diminuisce il primo e aumenta il secondo, questo favorisce la sintesi di acidi grassi a partire da acetilCoA. Non c’è però sequenza cronologica, l’accumulo di trigliceridi ci mette delle ore a formarsi, l’inversione del rapporto NAD\NADH avviene nel giro di pochi minuti e poi torna normale, quando il rapporto è tornato normale inizia l’accumulo di trigliceridi, così non tornano i conti perché quando si accumulano i trigliceridi e quindi dovrebbe essere favorita la sintesi degli acidi grassi, il rapporto NAD\NADH è tornato normale. Inoltre se noi somministriamo a degli animali del sorbitolo, questo fa invertire il rapporto NAD\NADH ma non gli viene mai la steatosi.
  • Rigonfiamento mitocondriale; determina blocco ossidativo, diminuisce l’ATP e l’ossidazione degli acidi grassi, è un meccanismo tardivo, non è dovuto all’alcool ma questo serve a mantenere la situazione.
  • Blocco della dismissione in circolo delle lipoproteine e allora si può avere una perossidazione lipidica da parte dell’etanolo (forma radicali, fa aumentare la malonildialdeide) e si forma radicale idrossietile.
  • Il danno da etanolo è causato anche dal blocco della glicosilazione, si ha una glicosilazione iniziale a livello del r.e.l. e una finale nel Golgi, a livello dell’iniziale il trasferimento di oligosaccaridi dal citoplasma al r.e. avviene col dolicolo P, l’etanolo diminuisce la quantità di dolicolo. Vengono anche bloccate le glicosiltransferasi a livello del Golgi da parte dell’acetaldeide e quindi si interrompe anche la glicosilazione terminale e si formano delle lipoglicoproteine parzialmente glicosilate e c’è un blocco del trasporto.

Il continuo eccessivo consumo di etanolo determina dipendenza fisica e psichica. Le alterazioni da etanolo però non sono solo a livello epatico (epatiti, cirrosi), si ha un sacco di altri apparati che sono interessati al danno o da etanolo o da acetaldeide. A livello neurologico, gastrointestinale (pancreatiti), cardiovascolare (ipertensione), ematologico (macrocitosi e delle neutropenie), endocrino (atrofia testicolare, ginecomastie), scheletrico (fratture, osteoporosi), infettivo (immunodepressione), in gravidanza.
Le femmine sopportano l’etanolo alla metà dei maschi, il danno per loro è maggiore, se per un uomo il limite di sicurezza è sui 40 gr al dì per una donna è 20 gr. I limiti sicuramente tossicià 120gr al dì determinano una cirrosi sicura se viene assunto tutti i giorni per un periodo che va da 5 a 10 anni; 60\80 gr al dì provocano steatosi epatica nel 70% della popolazione; il limita di sicurezza è 40 gr per l’uomo e 20 gr per la donna. In un litro di vino ci sono 100 gr (10%), nella birra (5%), superalcolici (40\50%), se il rischio è 40 gr questi si mettono insieme con 400cc di vino (2 bicchieri al dì). La mortalità in Italia è il 3% delle morti (cirrosi), sono qui però inclusi molti casi di epatite C (che è asintomatica nel 25% dei soggetti, questi quindi vanno in cirrosi senza aver avuto alcun segno).

DISTROFIE DELLA MATRICE EXTRACELLULARE

ATEROSCLEROSI

E’ una combinazione variabile di alterazioni, non è caratterizzata da una sola alterazione; ogni paziente ha una propria aterosclerosi diversa da quella di un altro. Le alterazioni si hanno a carico dell’intima delle arterie ma non delle arteriole, inizia a carico dell’intima e solo successivamente si può espandere alla media. La combinazione variabile di alterazioni consiste nell’accumulo focale di lipidi, il che significa che l’accumulo di lipidi che si verifica nell’intima delle arterie è circoscritto, localizzato, si formano delle zone rotondeggianti come delle monete ovalari di grassi che sono infilati sotto l’endotelio. Se guardiamo un’arteria dal lume, si vedono delle zone dove questa è sollevata come se sotto ci fossero delle monete (sotto l’endotelio). Gli accumuli saranno di lipidi (colesterolo e trigliceridi ), di carboidrati complessi (glicosaminoglicani, proteoglicani) , di sangue, di prodotti del sangue (sostanze filtrate attraverso la parete endoteliale). Insieme a questa zona focale di accumulo c’è anche una deposizione di tessuto fibroso, all’inizio sarà fibrosi e poi sclerosi (il connettivo diventa rigido e irrigidisce la parete della arteria), che rende anelastica la parete dell’arteria; in queste zone di accumulo focale si avranno dei depositi di Ca++ che danno delle calcificazioni estese, lunghe e rendono la parete dell’arteria come se fosse intonacata; in seguito si hanno delle associazioni con comparsa di alterazioni a carico della tonaca media, ma queste sono delle estensioni della lesione dell’intima, non sono iniziali.
Classificazione tipi di aterosclerosi .L’aterosclerosi è inclusa in quel gruppo di malattie che sono le arteriosclerosi che sono delle sclerosi a carico delle arterie, l’aterosclerosi è un tipo di arteriosclerosi (non sono la stessa cosa). Le altre arteriosclerosi sono: la sclerosi arteriolare che colpisce le arteriole e che ha lesioni iniziali sia nell’intima che nella media; l’arteriosclerosi diBurger che è la vera arteriosclerosi che colpisce le grandi e le lunghe arterie e inizia dalla media (è rara); la più frequente è invece l’aterosclerosi che è causata dalla comparsa dell’ateroma (accumulo focale di materiale). L’aterosclerosi colpisce le grandi e medie arterie, più le grandi, e inizia dall’intima; i distretti più interessati sono quello coronarico, quello cerebrale e quello degli arti. Si possono avere quindi infarti miocardici, gli ictus, lesioni a carico del circolo periferico (arti) con delle gangrene secche. Il termine aterosclerosi è uscito dal fatto che la lesione caratteristica è rappresentata dall’ateroma che è l’accumulo focale di tutto il materiale sotto l’endotelio con aspetto giallastro di tessuto di necrosi e grassi. Ateros in greco vuol dire farinata.
Le arterie sono fatte da tre strati. Il primo è l’intima che è uno strato endoluminale che si prosegue fin nei capillari, che è formato da mucopolisaccardi. C’è poi il monostrato delle cellule endoteliali che saranno collegate fra loro con dei desmosomi e vi sono dei pori fra le fessure delle diverse cellule endoteliali e c’è il meccanismo di trasporto delle vescicole che passano attraverso, l’endotelio appoggia su una membrana basale continua (solo in alcuni tratti è incompleta); l’endotelio è un setaccio che lascia passare alcuni materiali con una permeabilità che può variare a seconda di vari fattori, l’aterosclerosi è proprio uno di questi fattori (la permeabilità aumenta), uno dei punti fondamentali è che si producono sostanze che sono in grado di fare aumentare la permeabilità, ciò ha fatto sì che venisse ipotizzata una teoria infiammatoria dell’aterosclerosi, intervengono i fattori che dell’infiammazione in genere. Sotto c’è una lamina propria che ha matrice, collagene, elastina, glucosaminoglicani, proteoglicani, con l’aterosclerosi aumenta il collagene, diminuisce l’elastina (si va verso la fibrosi), aumentano i glicosaminoglicani (acido ialuronico), poi anche i proteoglicani. Per ciò che riguarda le cellule che ci sono nella lamina propria, le più importanti sono delle cellule muscolari lisce dette anche miointimale o aterofila, è una cellula pluripotente che è in grado di fagocitare, di migrare, di sintetizzare la matrice extracellulare (fa fibrosi); insieme a queste cellule ci sono anche i soliti istiociti che sono le cellule destinate a fare connettivo. Sotto c’è la tonaca media che sarà limitata dalla membrana elastica esterna ed interna, queste sono ampiamente fenestrate, sotto la interna ci sarà il tessuto muscolare, il tessuto elastico e le fibre reticolate cioè la parete vera e propria dell’arteria. La membrana elastica interna è fenestrata perché consente a quelle cellule muscolari lisce che normalmente sono scarsamente rappresentate nell’intima, sono residenti nella media, passano attraverso le fenestrature e migrano dalla media nell’intima (quando c’è lo stimolo). L’irrorazione della parete dell’arteria avviene a partire dai vasa vasorum, che sono nella tonaca avventizia, penetrano la membrana elastica esterna ed entrano fino a circa metà della media, il nutrimento delle cellule della parete dell’arteria avviene in due modi: una parte della parete, dall’avventizia fino a circa metà della media viene fornita dai vasa vasorum; la parte sovrastante (l’intima e metà della media) prende nutrimento per filtrazione dal lume del vaso. Ciò significa che c’è una zona a circa metà della media che è la meno irrorata e nutrita (arriva poco sangue e poco nutrimento per diffusione) è una zona debole che andrà incontro a quei fenomeni di approfondimento della necrosi che si hanno quando compare l’ateroma. L’ateroma inizialmente si forma nell’intima (sotto l’epitelio) e solo dopo si estende alla media e questo perché trova una zona della media che è poco nutrita e quindi è una buona sede di attacco dell’ateroma, questo può approfondarsi tanto fino a consumare tutta la parete dell’arteria. Altro meccanismo importante di formazione dell’ateroma è l’accumulo di materiale che proviene dal sangue (le lipoproteine), le VLDL (prodotte dall’epatocita) hanno un contenuto di circa il 50% di trigliceridi, il 19% di colesterolo, del 18% di fosfolipidi, e l’8-10% di apoproteine. Queste quando sono in circolo si scambiano e si trasformano in LDL che saranno il risultato dopo che le VLDL hanno ceduto ai tessuti periferici i trigliceridi e quindi sono scese a circa il 10% di trigliceridi, però percentualmente si sono arricchite di colesterolo (contenuto medio di circa il 45%); le HDL, sintetizzate dal fegato, nei tessuti periferici hanno la funzione di caricarsi di colesterolo (hanno pochissimi trigliceridi, il 18% di colesterolo preso dal tessuto periferico, 30% di fosfolipidi, 50% di apoproteine che servono per il trasporto del colesterolo dal tessuto periferico al fegato dove poi viene utilizzato o demolito). Quindi le LDL saranno ricche di colesterolo che va dal fegato ai tessuti, le HDL il contrario. Normalmente in clinica viene dosato il colesterolo totale ma ciò non ha significato, ha significato il colesterolo-LDL e quello VLDL. Quello totale ha valori normali fra 160 e 260 mg\cc, questo è però un errore perché il calcolo del normale viene fatto su tutta la popolazione che per la maggior parte (europea e americana) è sovralimentata (colesterolo alto), i valori normali sono 150 mg\cc (nei bambini); ci sono poi i casi limite. Con 150\160 mg\cc si è abbastanza al riparo dal rischio di aterosclerosi. Il colesterolo LDL oscilla fra 50 e 190 mg\cc (più alto nei maschi); quello HDL varia fra 30 e 90 mg\cc (più alto nelle femmine, quindi sono più protette dal rischio di aterosclerosi, dopo la menopausa però i conti si pareggiano).
Fattori di rischio di aterosclerosi . si dividono in fattori di rischio primari e secondari.
Primarisono l’ipertensione, il colesterolo LDL e il fumo di sigaretta; incidono in maniera diversa nei diversi distretti vascolari.

  • Ipertensione è il rischio primario quando supera i valori di 140\90 (sistolica\diastolica), è poi più pericoloso un aumento della minima che della massima (90\105 lievi, 105\110 modiche, 110\115 gravi); è così rischiosa perché può modificare i meccanismi di permeabilità delle arterie; poi fra i vari meccanismi dell’aterosclerosi c’è anche quello delle cause meccaniche (urto pressorio ad ogni battito cardiaco), si hanno infatti delle placche di aterosclerosi in maniera più evidente alla biforcazione delle arterie, perché qui l’urto pressorio è sempre maggiore e si creano dei vortici che alterano le cellule endoteliali. L’ipertensione è un fattore di rischio per l’insorgenza dell’aterosclerosi, però l’aterosclerosi produce ipertensione perché diminuisce la elasticità della parete arteriosa e aumenta la resistenza, è un circolo vizioso. I distretti vascolari più a rischio sono quello cardiaco, cerebrale e degli arti, il rischio maggiore è a livello del cerebrale (con un rapporto 4 a 1, provoca emorragie centrali, trombosi cerebrali, ictus); a livello coronarico il rischio scende a 2 a 1 (è responsabile della formazione di placche ateromatose delle arterie, infarto ischemico).
  • C’è poi il discorso delle LDL che è importante per quello che è il contenuto in colesterolo e no per i trigliceridi, il colesterolo totale deve oscillare fra i 160 e 180 mg\cc ma di cui la quota più importante è rappresentata dal colesterolo LDL che è circa la metà (100 mg\cc), e 70\80 mg\cc quello HDL. Il contenuto in trigliceridi nei soggetti con aterosclerosi, può superare anche i 180 mg\cc, normalmente i trigliceridi sono fra 100 e 150 mg\cc. Il rischio poi aumenta se gli acidi grassi sono saturi ed è minore se sono insaturi (olio di semi). Il rischio dell’innalzamento del colesterolo è maggiore per l’infarto del miocardio e aumenta con un rapporto 3 a 1.
  • Il fumo di sigaretta esercita la sua azione attraverso tanti meccanismi, uno è quello dello stimolo contrattile che  determina (sono più quelli che muoiono per aterosclerosi che per tumore dovuto al fumo); con la nicotina si determina poi un ipossia della parete, si produce ossido di carbonio e si produce un ipossia della cellula endoteliale che è quella che facilita l’aumento della permeabilità, il danno endoteliale è quello che innesca il passaggio di colesterolo e la formazione della placca ateromatosa. Il terzo meccanismo è la formazione di radicali che attaccano la parete endoteliale e provocano danno a questo livello.

Secondari. Il più importante è il diabete mellito. Questo è responsabile dell’insorgenza della microangiopatia diabetica, l’unico punto dove si vede bene il danno vascolare di un soggetto diabetico è il fondo della retina. Quando ci sono soggetti con sospetto di aterosclerosi associata a diabete è bene far vedere il fondo della retina ad un oculista (il fondo della retina è l’unico punto dove si vedono le arterie faccia a faccia). La microangiopatia diabetica è responsabile di aterosclerosi che insorge soprattutto nei distretti periferici, si va incontro ad ischemie ed ipossie delle dita dei piedi che poi vanno in gangrena (nera, secca) che si estende a tutto il piede e progredisce nella gamba (amputazione).
Nel gruppo delle cause secondarie c’è poi l’ipertiroidismo, gli ipercorticalismi, l’aumento del somatotropo, ma anche necrosi, epatopatie croniche, cirrosi.
Altro fattore di rischio secondario è l’obesità, è legato all’ipersedentarietà. C’è poi lo stress.
Il rischio di aterosclerosi aumenta con l’età, fra i 25 e i 35 anni è di 10 a 100000, fra i 55 e i 65 è di 1000 a 100000; l’incidenza è maggiore nei maschi con un rapporto di 5 a 1.
Una volta che c’è aterosclerosi, questa rimane, si deve quindi fare un discorso di prevenzione e non di cura, conviene anche dal punto di vista economico sociale.
Lesioni dell’aterosclerosi
l’aterosclerosi inizia presto, i bambini sui 10-12 anni sono già aterosclerotici, la loro aterosclerosi consiste solo in un ispessimento dell’intima che è la prima lesione che si ha a carico della parete, consiste in un aumento della matrice (collagene, elastina, proliferazione delle cellule muscolari lisce), le miointimali sono le cellule che producono la matrice extracellulare, l’aumento dello spessore dell’intima rende difficoltosi gli scambi (il nutrimento dell’arteria viene dai vasa vasorum per diffusione dal lume se si ispessisce l’intima si altera la nutrizione della parete); dopo possono comparire delle strie lipidiche giovanili che all’inizio si trovano esclusivamente a livello dell’aorta addominale, toracica o dell’arco, è in queste zone che si vedranno i depositi focali a moneta che sono provocati dal filtraggio attraverso l’endotelio di materiale lipidico (colesterolo, trigliceridi ecc.. ), questo viene poi fagocitato dalle cellule muscolari lisce che si comportano come fagociti e quindi si riempiono di grassi, però lo stimolo contemporaneo è quello di produrre connettivo. Dopo si passa alle strie lipidiche transizionali che compaiono tra la seconda e quarta decade, saranno delle strie che si estendono anche alle arterie di medio calibro, circolo cerebrale e coronarico, a questo punto i lipoidi che hanno continuato ad arrivare non riescono più ad essere fagocitati perché le miointimali sono già piene, anche quelle che arrivano nuove non bastano e i lipidi si accumulano fuori delle cellule e si troveranno anche in zona extracellulare, inoltre le cellule muscolari lisce che si erano riempite di lipidi vanno incontro a processi degenerativi necrotici; si ha così la lesione iniziale che sarà data da lipidi extracellulari, da cellule degenerate, necrotiche. In più l’inizio che c’era stato di proliferazione del connettivo aumenta sempre più finchè iniziano a formarsi delle placche fibrose come un anello intorno all’ateroma. Poi le lesioni evolvono e ci si avvicina all’ateroma vero e proprio, cioè le strie lipidiche regressive, qui l’infiltrazione di lipidi è massima, ci sono grosse gocce di lipidi che si estendono fino alla membrana elastica interna che viene facilmente rotta, le fibre elastiche si frammentano, viene fabbricata meno elastina e vengono prodotte dalle cellule muscolari lisce delle metallo-proteinasi che demoliscono la elasticità della parete. Contemporaneamente si ha sempre ispessimento della parete del vaso per aumento del tessuto collagene; si possono poi anche formare delle placche lipoidi che sono fatte di materiale filtrato attraverso la parete del vaso in cui si ha un grosso accumulo di glicosamminoglicani, lipidi, fibre elastiche denaturate. Si forma così la placca fibrosa vera e propria che avrà una zona centrale con materiale lipidico, una capsula di tessuto connettivo, con molti glicosaminoglicani e glicoproteine e vi sarà proliferazione di cellule muscolari lisce, fibroblasti, e tutte le altre cellule della parete. Al centro della placca fibrosa c’è il materiale molle, ciò che è chiamato la “pappa ateromatosa” cioè l’ateroma molle, e intorno possono esserci delle zone di necrosi di tipo fibrinoide. Questa è la lesione ormai conclamata.

 

 

 

 

24\4\97
DISTROFIE DELLA SOSTANZA FONDAMENTALE DEL CONNETTIVO

AMILOIDOSI

Vedere prima appunti del 21\4\97

Amiloidosi endocrina. Insorge in soggetti portatori di tumori APUD che sono quelli che insorgono soprattutto nei carcinoidi intestinali ed anche nei tumori della tiroide, pancreas. E’ una forma accessoria che non è formata da immunoglobuline né da proteine di fase acuta.
Amiloidosi familiare. Ve ne sono vari tipi (già accennati)
Amiloidosi cardiovascolare. (già accennato)
Morbo di Halzaimer. (già accennato)
Ci si deve ricordare che la amiloidosi è una distrofia totalmente irreversibile, delle regressioni parziali si possono avere solo nelle situazioni iniziali, se lo stimolo che la ha indotta viene soppresso. La diagnosi deve essere fatta in tempi precocissimi, il tessuto non torna alle condizioni normali ma si può arrestare il progredire della malattia. Il tempo di sopravvivenza dal momento in cui si è fatta diagnosi di amiloidosi è di 16 mesi, si devono trovare metodi per fare diagnosi precocissima.

DGENERAZIONE IALINA-IALINOSI

E’ un accumulo nella sostanza fondamentale del connettivo di una sostanza vitrea traslucida, è una glicoproteina ma non se ne sa nulla, ha affinità tintoriali simili all’amiloide ma non ha struttura granulare; probabilmente è una specie di degradazione del collagene, delle proteine della matrice che assume questo aspetto ialinoso. Si trova nei tessuti cicatriziali, nei processi infiammatori cronici specialmente nelle cicatrici vecchie, la si trova associata ad aterosclerosi e ne è un ulteriore complicazione soprattutto a carico delle arteriole dei glomeruli renali, si trova quindi nell’insufficienza renale e nelle glomerulonefrite cronica. E’ irreversibile.

FIBROSCLEROSI
(argomento più importante)

Per fibrosclerosi s’intende un aumento del volume dello stroma connettivale. Caratteristico è l’aumento di produzione di fibre collagene ed insieme a queste anche glicoproteine, glicosaminoglicani e proteoglicani; quindi aumenta tutta la matrice extracellulare. Si devono tenere distinte due fasi che avvengono in successione.
FIBROSI
E’ una fase di ipertrofia, di progressione di cellule che si moltiplicano e che poi produrranno la matrice extracellulare, questa prima fase evolve poi nella seconda che è la sclerosi. Le fibrosi si hanno nei processi infiammatori cronici, ma la si può avere in un sacco di altre situazioni di stimolo dei fibroblasti da parte di attivatori (citochine). Si hanno in pratica in tutti gli organi, anche a carico degli organi cavi. Il collagene prodotto è soprattutto di tipo 3°, scompaiono poi le fibre elastiche.
SCLEROSI
E’ una fase di regressione vera e propria ed è dovuta al fatto che il collageno che si è formato si compatta, si restringe e le fibre saranno sempre più spesse ed insolubili, prevarrà collagene di tipo 1°, inizieranno ad essere prodotti tutti gli inibitori delle collagenasi e le metallo-proteinesi, che lo potrebbero demolire, vengono inibite. Si formano legami crociati che avvicinano le fibrille del collagene e si rende sempre più duro il tessuto connettivo, è sempre più sclerotico, questo è il meccanismo della retrazione che porta poi all’insorgenza della sclerosi. La sclerosi è importante perché è una sorta di barriera tra le cellule parenchimali e il nutrimento che arriva dai vasi, si è detto delle atrofie, queste sono atrofie da mancata nutrizione e colpiscono tutti gli organi interessati da fibrosclerosi. Una volta iniziato il processo di fibrosclerosi è inevitabile che si arrivi all’atrofia delle cellule parenchimali. Si deve prevenire.
Cellule implicate nella fibrosclerosi
Fibroblasti che nella fase di fibrosi sono i più abbondanti e nella fase di sclerosi scompaiono (rimane solo il connettivo). I fibroblasti fanno connettivo ma anche altre glicoproteine.
Cellule stellate perisinusoidali (miofibroblasti) presenti nel fegato, polmone, rene, milza, sono le cellule di Ito che si trasformano in cellule muscolari lisce che sono in grado di avere un marcatore di contrattilità e di attivazione per la presenza della desmina e poi si metteranno a fare la matrice extracellulare.
Mastcellule
Adipociti
Condrociti
Osteociti
C’è un’attivazione generale di tutta una rete di cellule che va dal macrofago alla cellula endoteliale al fibroblasto e al miofibroblasto, sono tutte attivate per produrre la matrice. Sono attaccate fra loro attraverso quelle molecole che intervenivano nell’infiammazione, ci saranno interazioni cellula-cellula e cellula-matrice che servono a far si che queste cellule stiano insieme e si passino dei messaggi attraverso le citochine; le citochine implicate nella fibrogenesi sono quasi tutte. La moltiplicazione di queste cellule avviene attraverso due citochine fondamentalmente, uno è il PDGF che è quello mitogeno, cioè che fa moltiplicare le cellule muscolari lisce e quindi ne determina l’attivazione; l’altra è il TGFb che ha la funzione secretoria, induce a secernere la matrice extracellulare, queste due citochine sono attivate in sequenza.
Nella attivazione della fibrosclerosi si ha l’interazione di un altro sistema di controllo che è quello delle metallo proteinasi: collagenasi, elastasi, ialuronidasi, proteilisilossidasi sono tutto un insieme di enzimi che sono codificati da due gruppi di geni distinti che sono presenti nel connettivo. Quando inizia la fibrosclerosi c’è un’inibizione a livello genico della produzione delle metalloproteinasi e ciò stoppa la degradazione della matrice che eventualmente viene fatta, in più le citochine riescono a indurre la produzione degli inibitori delle metalloproteinasi fra cui ci sono i TIMP (inibitori metalloproteinasi tipo 1 e 2) che inibiscono la attivazione delle metalloproteinasi. Il macrofago che ha sentito il danno endoteliale produce citochine che servono per attivare il fibroblasto e la fibrocellula muscolare liscia, per primo il PDGF e poi il TGFb; tutto sarebbe finito se non venissero toccate le metallo proteinasi perché se queste ci fossero tutto il collagene prodotto verrebbe poi demolito, invece viene prodotto il TIMP che le inibisce. In questo modo si garantisce che la matrice extracellulare fatta dai fibroblasti non venga degradata e così aumenta la produzione del connettivo. Il fenomeno della sclerosi, una volta partita la fibrosi, è inevitabile, potrebbe regredire solo se ci fossero le metalloproteinasi. 
Fibrosclerosi primitive
Sono quelle per azione diretta sul fibroblasto (da radiazioni ionizzanti e quelle che si hanno durante l’invecchiamento)
Fibrosclerosi secondarie

  • La riparazione delle necrosi (ferite, processi regressivi)
  • Processi infiammatori cronici interstiziali (cirrosi epatiche, etilismo, epatiti virali, epatiti croniche attive, croniche persistenti); granulomatosi.
  • A carico della parete dei vasi (aterosclerosi, amiloidosi, degenerazione ialina)
  • Edema cronico, provoca fibrosclerosi quindi in tutte le stasi (del circolo periferico, epatica, filariosi)
  • Senescenza (a cavallo tra primitive e secondarie)
  • Condizioni croniche autoimmuni (deposito complesso antigene-anticorpo che induce la produzione di PDGF e TGFb)
  • Rene grinzo (ultima conseguenza di glomerulonefrite acuta che poi diventa cronica e poi all’insufficienza renale)

Patogenesi
Monocito\macrofago, attivazione da parte del danno cellulare del macrofago, secrezione di citochine (PDGF), proliferazione del fibroblasto, aggancio via molecole di adesione, poi inizia il TGFb che induce a secernere matrice extracellulareà fibrosi e sclerosi. La vitamina A è una buona strada per controllare la fibrosclerosi solo che è tossica, ma se si riuscisse a controllare la produzione di citochine e quella conseguente di matrice extracellulare si riuscirebbe ad impedire tanti danni nell’anziano.

ISCHEMIA

E’ la diminuzione o in alcuni casi la soppressione del flusso arterioso, le iperemie possono invece essere o arteriose o venose.
Cause

  • Intrinseche al vasoà comprendono due meccanismi diversi: spasmo della parete della muscolatura liscia dell’arteria; o riduzione del calibro vero e proprio. Se la causa è solo lo spasmo si avrà un tipo di ischemie dovute a questo, altrimenti si avrà un altro tipo di ischemie. Cause intrinseche al vaso sono la riduzione del lume, le endoarteriti (es. morbo di Burger, cioè l’endoarterite obliterante), la aterosclerosi (ispessimento della parete, strie lipidiche, fibrosclerosi), trombosi totali e parziali, presenza di emboli, diminuzione vis a tergo per insufficienza di circolo locale o generale (sono queste situazioni che aggravano la ischemia ma non la generano).
  • Estrinseche al vasoà situazioni in cui dall’esterno c’è compressione dell’arteria. Compressione da corpi estranei o per effetto delle masse neoplastiche vicine, o degli essudati infiammatori di notevoli dimensioni, o le infiammazioni croniche interstiziali, dei granulomi o delle aderenza, da cisti da cicatrici, da malformazioni congenite. Si hanno ischemie da rottura del vaso, non arriva più sangue perché è  interrotta la via.

Evoluzione delle ischemie
Ischemie temporanee e permanenti. Le prime sono quelle di breve durata che se si sono prolungate per poco tempo non hanno provocato nessun danno tissutale. Le permanenti sono quelle che agiscono sempre e secondo le loro modalità d’insorgenza potranno portare o un’atrofia o una necrosi (ischemiche). Fattori importanti sono:
Tipo di circolo il circolo periferico si distingue in arterie terminali e arterie con collaterali. Quelle terminali sono quei circoli il cui tessuto è irrorato da una sola arteria che si divide poi nei rami periferici la cui distribuzione è fatta in modo piramidale; se si ha interruzione di un arteria terminale, la zona che non è più irrorata avrà una forma a piramide, tronco di cono (es. infarto del miocardio). Se invece il circolo periferico è dotato di collaterali, cioè di anastomosi, e il tessuto è irrorato da più arterie, il sangue può arrivare dal collaterale e si avrà una necrosi diversa dall’altra.
Le conseguenza sono dipendenti dall’entità dell’occlusione che a sua volta è strettamente collegata al calibro del vaso, più questo è grosso, maggiore sarà il danno.
Durata, se l’ischemia è lenta, progressiva e di lunga durata si avrà un’atrofia; se invece è totale, brusca, completa, si avrà necrosi.
Tipo di tessuto, il tessuto nervoso centrale sopporta male l’ischemia, il danno è irreversibile se l’ischemia è protratta per oltre 4 minuti; a livello cardiaco si possono avere ischemie senza conseguenze anche se questa dura 15\ 20 mintui. Dai 30 minuti in su c’è danno necrotico irreversibile.
Condizioni preesistenti del tessuto, se un tessuto ha una distrofia è più esposto a un fenomeno di danno cellulare.
Temporanee. di breve durata, hanno come caratteristica lo spasmo. Un tipo di ischemia temporanea è il classico formicolio da compressione. Ci sono ischemie temporanee da suddividere in base alle zone dove si verificano:

  • arti inferiori si possono avere le endoarteriti obliteranti (morbo di Burger) che consiste in una proliferazione dell’intima con una riduzione progressiva del calibro dell’arteria che diviene sottile come un capello; si ha qui claudicatio intermittens, i pazienti che hanno una riduzione del calibro delle arterie degli arti inferiori camminano per un po’ e poi sono costretti a fermarsi perché non hanno O2 sufficiente e si accumula acido lattico che fa dolore.
  • arteriosclerosi, si ha riduzione di calibro, agli arti inferiori.
  • ischemie temporanee cerebrali, danno o una lipotimia (svenimento) o sincopi accessoriali, insorgono in soggetti con aterosclerosi grave del circolo cerebrale. Sono chiamati TIA: attacchi ischemici transitori, dura pochi minuti, se dura più di 4 minuti provoca danno permanente.
  • coronarica, è la angina pectoris o attacco stenocardico, è lo spasmo delle coronarie che di per sé sono già ristrette per altri motivi, interviene inoltre lo spasmo che riduce ulteriormente il calibro, l’angina di solito non supera i 10 minuti (è breve), se supera i 30 minuti è un infarto. La localizzazione del dolore dell’angina è retrosternale con proiezione al braccio sinistro ma la si può avere anche in sede epigastrica o al dorso. L’angina è un segno premonitore importante che compare dopo sforzo, anche dopo un riposo notturno (perché c’è ipossia) (si deve vedere di quanto il calibro è ridotto e semmai si fa by-pass).
  • ischemia del tronco celiaco, aterosclerosi dell’arteria più spasmo dovuto a un pasto copioso, dal freddo, da sforzo, da emozioni. Il dolore può avere proiezione in sede colica ma anche epigastrica (come l’infarto del miocardio).
  • sindrome di Raynaud, colpisce gli arti superiori, viene innescata da diminuzione di temperatura esterna, si ha subito un’ischemia con successiva fase paralitica  nervosa e con fenomeno di necrosi. Il meccanismo è immuniatario.

Le ischemie temporanee sono un campanello dall’arme, non portano a una lesione permanente del tessuto ma sono dei segni che quell’arteria ha già un calibro ridotto in cui il meccanismo spasmo è solo una manifestazione in più dell’aggravamento.
Permanenti. Se l’ostruzione è parziale o lenta si avrà atrofia, se è totale e rapida si avrà necrosi ischemica (tronco di cono, perché è a carattere terminale). Nel meccanismo del danno si è enfatizzato molto quello che il danno da radicali dell’O2 nel provocare la necrosi, il danno radicalico avviene soprattutto nella fase di riperfusione; la necrosi ischemica porta a morte cellulare, poi però c’è una riperfusione con afflusso di sangue dai tessuti vicini, ed è in questa fase che si ha liberazione di radicali dell’O2 e possibile aggravamento della necrosi. La liberazione di enzimi che avvengono dalla necrosi ischemica sono quelli che si usano per la diagnostica dell’insorgenza di infarto.
Infarto bianco e rosso. Se l’infarto interessa un’arteria a carattere terminale, sarà bianco perché è completamente ischemico (a tronco di cono) con necrosi coagulativa. Infarti di questo tipo si hanno nel miocardio, nel rene, nella milza, nel fegato; nel fegato c’è una doppia circolazione (arteriosa e venosa), però un’occlusione dell’arteria epatica può essere responsabile d’infarto bianco. Gli infarti bianchi sono quelli con necrosi totale, con liberazione d’enzimi in circolo, nell’infarto del miocardio si avranno delle creatinfosfocinasi fra gli isoenzimi di questa compare per primo l’isoenzima MB , più taedi l’MM, mentre la CPK MB aumenta verso la 5-6 ora ed è il segno più precoce dell’infarto del miocardio. Molti dosano anche LDH che ha un picco dopo 24 ore e quindi compare troppo tardi. Un ‘infarto, dovunque compaia è una zona di necrosi che verà riparata con un meccanismo cicatriziale. La cicatrizzazione parte dal processo infiammatorio che circonda la zona infartuata, quetsa è qualcosa di estraneo per il tessuto, come tale viene riconosciuta e viene fatto un processo infiammatorio di delimitazione, questo sarà responsabile di altri due segni che si hanno nell’infarto del miocardio, la comparsa della febbre (IL-1, IL-6), ed anche la leucocitosi, ci sarà poi la produzione di proteine di fase acuta. Ad accompagnare gli infarti ci sono sempre delle risposte di tipo infiammatorio che derivano dall zona che circonda la zona necrotica e sono poi queste che innescano il meccanismo riparativo di attivazione del fibroblasto, con attivazione delle citochine, che fa poi connettivo (cicatrice). Se si è a livello del miocardio, la cicatrice, interrompe le vie di conduzione e si ha l’insorgenza di aritmie (blocchi di branca). La necrosi tissutale portra inoltre ad assottigliamento della parete del tessuto, la parete può cedere sotto la pressione (miocardio) con possibile formazione di aneurisma che è una specie di ernia sulla parete del tessuto che si può rompere.
Gli infarti rossi, sono quelli che vengono da una occlusione di un arteria che però ha dei circoli collaterali, la forma sarà sempre a tronco di cono anche se non così netta come gli altri. Ci può essere un ricircolo dai tessuti vicini che può essere di due tipi, o è collaterale arterioso con afflusso di sangue nella zona infartuata dalle arteriole vicine, per cui lo stesso sangue riesce ad arrivare, oppure c’è un reflusso venoso che può avvenire per un meccanismo neurogeno di ipertensione venosa locale (si può invertire anche il flusso) e si ha reflusso di sangue venoso nella zona infartuata (porta g.r., leucocit ecc.. ); è questo il vero infarto (come terminolgia, infarto deriva da infarcimento), quando un tessuto viene infarcito dal sangue si parla di infarto, a rigor di termine infarto bianco non presenta infarcimento. L’infarto rosso presenta la zona necrotica imbibita di sangue che è arrivato o dalle vie collaterali o per riflusso di sangue venoso e quindi ha infarcito il tessuto. Dov’è che si hanno gli infarti rossi ? Nel polmone, nell’intestino, nel fegato (circolazione mista), nel circolo cerebrale. Conseguenze infarti rossi . si ha una necrosi di tipo colliquativo perché con il riflusso venoso e il circolo collaterale, sangue ed acqua continuano ad arrivare, non è un tessuto asciutto come quello ischemico dell’infarto bianco, il tessuto bagnato consente l’attivazione degli enzimi lisosomiali che con H2O e pH acido sono in grado di svolgere una funzione colliquativa. Circolo cerebrale è un circolo a carattere terminale, dovrebbero essere degli infarti bianchi, però a livello del tessuto cerebrale si formano delle zone di tessuto che invece di essere necrotiche asciutte come nella necrosi ischemica coagulativa, e si ha una colliquazione del tessuto che è molto ricco di fosfolipidi, ha pochissimo tessuto che fa una difesa (come nel miocardio), ha della glia, non ha molti macrofagi e va facilmente incontro a colliquazione, il tessuto cerebrale che colliqua viene raccolto dentro una specie di cisti che sono le c.d. cisti apoplettiche che sono il risultato di questa necrosi.

IPEREMIE

Sono il contrario delle ischemie, si dividono in arteriose e venose.
Arteriose
Sono quelle attive da aumentato flusso e sono quelle dove si ha una vasodilatazione con sfinteri che lasciano passare una maggiore quantità di sangue, classica è quella della prima fase dell’infiammazione. Da calore, da cause meccaniche, gravità, meccanismi immunitari, neurogene, angioneurotiche. Es. di quelle di natura neurogena sono quelle da stimolazione della corda del timpano, quelle psicogene, emotive, o quelle che si hanno per resezione del nervo simpatico vasocostrittore. Fra le angioneurotiche ci sono quelle rare legate a eritromelangie con edema o quelle da dolore agli arti inferiori (trauma), si chiamano angioneurotiche perché insieme all’iperemia spesse volte c’è anche un edema, si somma l’iperemia al meccanismo essudatizio. Ci sono poi le iperemie da vasodilatazione del circolo collaterale, quelle da ostruzione del circolo principale (infarti rossi). Ci sono poi quelle ex vacuo che si verificano quando svuotiamo troppo rapidamente delle raccolte liquide, sono due esempi, il versamento ascitico peritoneale o una pleurite; il liquido nel peritoneo o nella pleura esercita una pressione sui vasi, se svuotiamo rapidamete il liquido si hanno queste forme d’ipermeia arteriosa ex vacuo che se è intensa porterà ad una emorragia ex vacuo, in un primo tempo si avrà vasodilatazione, in seconda fase si ha rottura della parete e comparsa di emorragia ex vacuo; si mettevano delle ventose sulla schiena dei pazienti creando il vuoto e questo tirava il sangue dal polmone dei soggetti che avevano la polmonite (stessa cosa si faceva con le sanguisughe).
Venose
Si ha diminuzione del deflusso generale o locale. Locale, per compressione delle vene da parte di cicatrici o tumori. Generale, per occlusione endovasale es. flebite, infiammazione da insufficienza ventricolare. Si ha cianosi, edema da aumentata pressione idrostatica, ipossia dovuta al fatto che il sangue rimane più a lungo. Si ha un processo regressivo delle cellule parenchimalià necrosi. Come compenso si ha lo sviluppo del circolo collaterale venoso, ad es. nelle cirrosi epatiche si formano tre circoli: vene gastroesofagee, varici nei 2/3 inferiori dell’esofago; circolo emorroidale; caput medusae superficiale.

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TROMBOSI

La trombosi deve essere distinta dal coagulo perché fondamentalmente trombo e coagulo sono fatti delle stesse cose, però sono due cose del tutto diverse. Si definisce trombosi la formazione intravitale e intravasale di masse solide, i coaguli si formano anche post mortem; sono intravasali perché si hanno fenomeni di coagulazione ed emostasi tutte le volte che si hanno delle lesioni dei vasi, si forma un coagulo ma fuori dal vaso. L’emostasi è intravitale ma extravasale, il coagulo è intravasale ma non è intravitale. L’emostasi va quindi distinta dal coagulo che avviene per un emorragia. In medicina legale quando si fa un autopsia, si deve stabilire se i coaguli di sangue sono avvenuti fisiologicamente post mortem o se sono espressione di un trauma subito. Queste masse solide che si formano sono costituite dai costituenti normali del sangue, non è l’invasione del letto vascolare da parte di qualcosa di estraneo. Il trombo è ben attaccato alla parete, ha un peduncolo, una porzione in cui manca l’endotelio e in questo punto si sono fermate le piastrine che lo hanno attaccato alla parete del vaso, cosa che invece il coagulo non ha, è staccato dalla parete del vaso. Il trombo è friabile, si può rompere in pezzi più piccoli, e questa sarà una delle complicanze della trombosi che sarà l’embolia; il coagulo invece è elastico e non friabile, quando lo si estrae dal vaso ha una consistenza duro-elastica ma non è friabile. Il trombo ha una superficie irregolare mentre il coagulo ha superficie liscia.
Natura dei trombi:
Bianchi. Sono trombi fatti prevalentemente da piastrine e fibrina, le piastrine saranno andate incontro ad aggregazione, ci sarà stata aderenza piastrinica nella zona in cui l’endotelio è andato distrutto (presupposto della trombosi è che ci sia una lesione endoteliale). Inizia la cascata coagulativa, dal fibrinogeno si forma un reticolo di fibrina che intrappola fra le sue maglie qualche leucocita e alcuni globuli rossi; il trombo bianco si forma lentamente, ha tempo di formarsi la rete di fibrina e non intrappola tanti globuli rossi; è ben aderente alla parete del vaso e la lesione è sufficientemente ampia sulla quale si attacca la neoformazione del trombo bianco, se invece avesse un peduncolo di attacco non ampio e solido potrebbe staccarsi ed andare in circolo.
Rossi. Sono tali per la gran quantità di globuli rossi, saranno fatti di piastrine, da una rete di fibrina ma avranno una gran quantità di globuli rossi intrappolati nella rete di fibrina e si formeranno in tutti i casi in cui c’è un certo rallentamento del circolo, quando il circolo è più veloce si formano prevalentemente dei trombi bianchi. Il rosso è attaccato alla parete tramite un piccolo peduncolo, basta la lesione di poche cellule endoteliali alle quali si attaccano delle piastrine e si forma il trombo; sono trombi molto grossi che fluttuano all’interno del vaso, quindi il peduncolo può staccarsi, se il sangue subisce variazioni del flusso questo evento sarà facilmente possibile. Con l’aumento del flusso il trombo si torce su sé stesso torcendo il peduncolo che si rompe e il trombo viene portato dalla corrente sanguigna (embolo solido). I trombi rossi sono quindi molto più pericolosi degli altri, è quello che somiglia di più al coagulo.
Variegati. Sono trombi fatti da strati bianchi e rossi, inizia come gli altri, si formano poi strati diversi, ciò vuol dire che si è formato lentamente ma anche che (questo alternarsi di strati) ci sono state delle variazioni di flusso con la possibilità di intrappolare globuli rossi o meno. Sono le strie di Zahn.
Forma dei trombi:
Ostruenti. Trombi che crescono e proliferano sino ad occupare tutto il lume del vaso. Possono partire da una placca di aterosclerosi e arrivano a occludere per es. una coronarica.
Parietali. Trombi che occupano solo parzialmente il lume del vaso e quindi ne riducono il lume. Questi se sono posti alla biforcazione di un vaso sono detti a cavalliere (dove ci sono turbolenze tali da poter ledere il vaso).
Sede dei trombi:

  • Aretriosi. Si formano nelle grosse arterie e nelle piccole e medie. Nelle grosse, tipo l’aorta, è difficile che si formi un trombo per il forte flusso e il forte peso del sangue. Sono di più facile formazione nelle medie e piccole arterie. Le condizioni predisponenti sono tutte quelle condizioni patologiche in cui si ha una lesione dell’endotelio, l’ulcera dell’aterosclerosi è una delle complicanze più gravi perché va perso lo strato endoteliale e rimane solo un’ulcera dove non c’è endotelio e si fermano delle piastrine che daranno origine a un trombo che inizialmente sarà all’interno della parete, nella profondità dell’ulcera, ma siccome continuano a depositarsi piastrine e fibrina, uscirà fuori dal profilo della parete dell’arteria e diventerà un trombo parietale parzialmente occludente e se continua ad aumentare diventa totalmente occludente. La maggior parte degli infarti del miocardio sono dovuti ad un processo di aterosclerosi con lesione della parete e formazione di un trombo. Si possono avere trombosi in corso di arteriti uretiche, qui la lesione invece di iniziare dall’intima (strato endoteliale), inizia dall’avventizia e quindi si formeranno dei difetti di vascolarizzazione della parete del vaso, nelle arteriti uretiche ci sarà una specie di manicotto intorno al vaso (anche nell’amiloidosi) e ci saranno processi di sclerosi a carico della parete del vaso. Le endoarteriti obliteranti inizieranno con una lesione a carico dell’intima e della media del vaso che prolifera, si restringe, si altera l’endotelio e si forma la trombosi . trombi arteriosi sono pericolosi perché portano ischemia, perché si possono staccare e andare in periferia e danno origine ad emboli arteriosi che possono fermarsi nei diversi tessuti.
  • Venosi. Possono insorgere nelle vene in seguito a due diversi situazioni. Flebotrombosi trombosi che si verificano in vene che non sono soggette a fenomeno infiammatorio ma si hanno nelle situazioni post operatorie e nella stasi, quindi aggregazione piastrinica e rischio di trombosi. Quelli post operatori hano patogenesi ambigua, sono soggetti che hanno subito intervento a carico del torace, dell’addome e le flebotrombosi si verificano invece nelle vene degli arti dove non c’è stato nessun intervento chirurgico. Si è pensato che fosse dovuto alla stasi e al rallentamento del circolo, ecco perché il chirurgo tende sempre a far rialzare il paziente il più presto possibile (entro le 24 ore). Tromboflebiti, qui le vene sono anfate incontro ad un processo infiammatorio in seguito a traumi o per  processi settici a carico della pareete venosa, saranno delle endoflebiti, delle periflebiti, si arrestano piastrine e il trombo. Fattori favorenti le trombosi venose. Soprattutto sono dovute alle varici agli arti inferiori. Sono sfiaccamenti della parete venosa, nelle vene vi sono i nidi di rondine che hanno la funzione di sostenere il peso della colonna di sangue, c’è una certa ereditarietà, debolezza della parete della vena con sfiaccamento della stessa (varici). Le verici sono aggravate da situazioni professionali (stare fermi in piedi per parecchie ore). Alle ulcere varicose che sono spesso la complicanza della malnutrizione legata alla stasi delle vene varicose. Trombosi venose post partum alle vene uterine, subito dopo il parto c’è una grossa stasi del circolo e poi si ha un utero grosso, flaccido che deve ancora tornare alle dimensioni normali, prima del parto è grosso con apporto ematico notevole, ipertrofico, e dopo il parto questa grossa necessità di sangue non c’è più però la dilatazione dei vasi rimane e si ha stasi. Si formano nelle vene uterine dei grossi trombi di 10-15 cm, spessi 0,5 cm e sono trombi totalmente occludenti. Si hanno trombosi veonse in segutio a sinusiti od otiti e provocano trombosi nei seni venosi della dura madre, sono le più pericolose perché necessitano di intervento. Si hanno poi trombosi che compaiono in corso di malattie infestive, tifo, brucellosi, strepto e staffilococco e sono a cavallo fra questa forma di trombosi venosa e quella che avviene nel corso di situazioni tossiche (shock tossico).
  • Trombi cardiaci. Distinguiamo quelli che si hanno tra gli atrii e i ventricoli e quelli che si hanno nelle cavità. Tra atrii e ventricoli. I trombi dovrebbero essere più frequenti negli atrii che nei ventricoli perché la velocità è minore, il sangue ristagna più a lungo, però la maggior parte sono posti appunto fra atrio e ventricolo e quindi sono sul bordo valvolare dove ci saranno lesioni in seguito a procesi infiammatori (da streptococco), con delle endocarditi che generano una lesione a carico del bordo valvolare, si forma un’ulcera dove si fermano piastrine e si formano microtrombi, questi possono staccarsi e se si staccano vengono sparati in tutto il circolo (più frequenti sono quelli mitralici). La valvola poi si ripara, la cicatrice che si forma genererà o un restringimento (stenosi) o insufficienza valvolare. All’interno delle cavità. Più frequente è quello ventricolare, insorge in soggetti che sono andati incontro a uno scompenso cardiaco, a disturbi del ritmo (pericolosa è la fibrillazione e il flutter che porta i battiti a 200 è una sorta di contrazione vermicolare che determina dei mini vortici con ristagno di sangue), si formano trombi intraluminali che hanno forma rotondeggiante (trombi a palla), sono localizzati fra le corde tendinee delle valvole cardiache, non vanno in circolo.
  • Disseminati. Detti multipli. Sono quelli della coagulazione intravasale disseminata (CID), si possono formare sia a livello delle vene che delle arterie che dei capillari. Sono scatenati dallo shock endotossico, shock settico è quello che insorge in seguito a processi infettivi sia da germi che producono endotossine sia, soprattutto, da staffilococco. Durante lo shock tossico si posono formare questi CID (trombi disseminati) di diverse dimensioni che si localizzano nei diversi vasi. Si possono avere nel corso di malattie endotossiche, in corso di cachessie (neoplastiche, tossiche, da digiuno ecc.. ). I CID sono legati a modificazioni di quella che è la coagulazione del sangue e a delle microlesioni disseminate a carico delle cellule endoteliali.

Conseguenze.
Delle trombosi arteriose. Le conseguenze sono diverse se il trombo si forma lentamente o velocemente. L’atrofia sarà la conseguenza di un trombo occludente che si è formato lentamente; se il trombo si forma rapidamente e sarà occludente, si avrà una forma ischemica. Le forme ischemiche saranno diverse secondo se l’arteria è terminale o collaterale, comunque l’ischemia porta alla comparsa della necrosi che sarà diversa se l’arteria era terminale o collaterale, se è terminale ci sarà un infarto bianco, se c’è un flusso di sangue c’è infarto rosso.
Delle trombosi venose. Occlusione del deflusso di sangue attraverso la vena, insorgenza di rallentamento del circolo se è occlusione parziale, e poi la stasi se l’occlusione è totale. Il segno di stasi venosa è l’iperemia passiva che è un mancato reflusso, comporta aumento della pressione idrostatica del sangue che causa formazione di trasudato e quindi  edema. Un soggetto con varici agli arti inferiori va incontro ad occlusione, per es., della safena, compare edema monolaterale all’arto inferiore. Se c’è anche un processo infiammatorio, e quindi non c’è solo una flebotrombosi ma una tromboflebite, non avremo solo un edema da stasi ma un edema infiammatorio con i caratteristici segni (dolore, rossore ecc.. ), sarà quindi un essudato. Le trombosi venose sono pericolose perché danno origine con maggior facilità al distacco e alla formazione di un embolo. Gli emboli che partono dalle vene vanno tutti a finire nel cuore destro e poi nell’arteria polmonare.
Delle trombosi intracardiache. Sono più frequenti quelle legate alle valvole che alle cavità. Danno origine ai microemboli e tra le forme di embolia più frequenti c’è quella che consegue a un’endocardite, si staccano dei microemboli che vanno a finire nell’arteria renale e si fermano nei glomeruli e danno la glomerulonefrite embolica (da occlusione del circolo del glomerulo).

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Evoluzione di una trombosi
Si deve vedere quali rischi corre il paziente e quale prognosi può essere fatta.

  • Organizzazione del trombo. Le cellule dei vasi e quelle intorno (cellule endoteliali e macrofagi) e in parte anche i linfociti, elaborano delle citochine che inducono sui fibroblasti la produzione di collagene (matrice), questo utilizza la trama di fibrina come rete di supporto, il connettivo poi sostituisce la fibrina e trasforma il trombo fibrinoso in una cicatrice. A questo punto non può più esserci riassorbimento e quindi in un certo senso è un peggioramento della situazione che era rappresentata dal trombo perché è un qualcosa che non può più essere sciolto; d’altro lato ha dei vantaggi perché ancora il trombo saldamente alla parete del vaso, minor rischio di embolia. Molte volte si fa sclerotizzare un trombo come terapia per ancorarlo. Questa è quindi la meno peggio evoluzione che può avvenire.
  • Ricanalizzazione. E’ la neoformazione di capillari che proliferano all’interno del trombo, questa rete capillare è parzialmente utile perché riesce a far passare sangue dall’altra parte del vaso e ricostituisce un certo flusso al di là dell’ostruzione (è però un flusso trascurabile).
  • Rammollimento. Può essere dovuto o cause batteriche (enzimi), oppure sono idrolasi che in corso di processo infiammatorio sono liberate da dei polimorfonucleatineutrofili e producono il rammollimento del trombo; normalmente dovrebbe essere la plasmina a sciogliere il coagulo che man mano si forma, c’è però il rischio, soprattutto nei trombi che hanno un peduncolo di fibrina molto piccolo come i trombi rossi, che si sciolgano dei frammenti di trombo e vanno a costituire un embolo solido che va in circolo. Le terapie con streptochinasi, acido acetilsalicilico, eparina ecc.. che sono usate abitualmente nelle trombosi , andrebbero fatte subito man mano che si forma la fibrina. Se si somministrano anticoagulanti, antiaggreganti nelle prime tre ore della formazione della trombosi si ha nel 70% dei casi il non instaurarsi dell’ischemia e quindi dell’infarto; farlo dopo c’è il rischio di far avvenire il rammollimento che non è ben controllabile (si possono tagliare dei pezzi).
  • Riassorbimento. Avviene solo ed esclusivamente per plasmina, la quota di proteolisi è minima, è preponderante invece la fibrinolisi. Il riassorbimento è l’ideale soprattutto se avviene senza il distacco di emboli. Ciò può avvenire se trombi sono molto piccoli.
  • Suppurazione. Quando si ha un trombo fortemente infetto, sede di colonie di germi (staffilo, strepto ecc.. ), che provocano rammollimento, ma hanno come conseguenza la formazione di emboli settici, e dove si fermano provocano il danno dell’embolo e in più trasportano l’infezione.
  • Calcificazione. Può succedere perché sulla fibrina e sulle zone di necrosi precipitano i sali di Ca++ e così si forma un trombo calcificato, resistente che blocca un eventuale distacco, ma il vaso diventa talmente duro che c’è il rischio che si possa rompere.

Patogenesi delle trombosi .
Tre meccanismi diversi (già riconosciuti 100 anni fa da Virchow: triade di Virchow).

  • Alterazione della parete del vaso. Devono essere lese in qualche modo le cellule endoteliali, è necessario perché si posa formare il trombo che aderiscano delle piastrine, queste aderiscono solo su cellule lese.
  • Rallentamento locale del circolo. Questo spiega che sono più frequenti le trombosi nelle vene che nelle arterie, nelle grosse arterie è difficile vedere un trombo. Il flusso rallenta per cause centrali (insufficienza cardiaca, è lo stesso meccanismo dell’iperemia passiva),ipotensione, collasso, compressione extravasale, vortici del flusso (dove c’è biforcazione).
  • Alterazione dei meccanismi della coagulazione. E’ opzionale, non è detto che per avere il trombo ci devono essere tutti e tre questi fattori, è essenziale il primo, è importante il secondo, non è necessario in un soggetto in condizioni normali il terzo. Sono comunque a rischio tutti quei soggetti che hanno i fattori della coagulazione alterati. Bisogna tener presente un aumento del fibrinogeno (durante l’aumento delle proteine di fase acuta) e\o protrombina; l’attivazione del fattore XII; la produzione di tromboplastina tissutale (fattore X); di fattore V; di fattore VIII (è più facile che ve ne sia una diminuzione, ma in molti soggetti carenti di VIII glielo somministriamo e quindi si deve stare attenti a non esagerare); un aumento del numero delle piastrine (invece di avere 150000\200000 arrivano a 800000); aumento della aggregazione piastrinica, sono soggetti a rischio quelli in cui si valuta un aumento della serotonina, della 5HT, dell’ADP, aumenti di trombossano, diminuzione di prostacicline (antiaggreganti); deficit di antitrombina III, eparina. Oppure si può avere un deficit del sistema fibrinolitico, in condizioni normali un po’ di piastrine si perdono sempre, un po’ di fibrina si forma sempre, normalmente c’è un sistema fibrinolitico che garantisce la pulizia del vaso, soggetti a rischio possono avere questo sistema insufficiente. Si deve vedere qual è l’assetto coagulativo di un paziente.

EMBOLIA

Per embolo s’intende la presenza in circolo di sostanze estranee alla normale composizione del sangue.
Emboli solidi. Sono quelli già visti cioè dei trombi che si staccano per una parte, più raro è che si stacchino in toto (ad es. quelli della safena, delle vene uterine nel post partum. Emboli solidi possono poi essere rappresentati da dei frammenti di tessuti necrotici, un trauma, una necrosi, una frattura ossea, un’ulcerazione in un tessuto (ulcere diabetiche, ateromatose), sono tutti materiali necrotici che possono andare in circolo e se costituiscono una massa costituiscono l’embolo. Un’altra evenienza è la presenza di metastasi, ma non di metastasi della singola cellula che viaggia come un globulo rosso, bensì di metastasi compatte di più cellule (50-100) che si staccano dai tumori; la maggior parte dei tumori vanno in necrosi, sono i tessuti più delicati che ci sono, inoltre la parete che li vascolarizzata è molto sottile, anzi la parete è fatta dalle cellule neoplastiche stesse (es. un sarcoma è vascolarizzato dalla parete fatta da cellule neoplastiche, non ci sono cellule endoteliali), è ovvio che in queste condizioni pezzi del tumore possano andare in circolo. Ci possono poi essere dei parassiti che possono entrare in circolo, fra i tanti il plasmodio della malaria (falciparum), questo ha dei gameti talmente grossi che deformano persino i globuli rossi e non riescono a passare attraverso i capillari cerebrali, a questo punto si fermano e costituiscono un embolo che si arresta; la stessa cosa succede con tutti gli altri parassiti, sia macro che micro. Emboli settici. Se ne è parlato prima e sono quelli che vengono o da focolai settici o da trombi infetti. Ultima evenienza sono quelli da corpi estranei.
Emboli liquidi. Sono quelli fatti da sostanze che non si riescono a mescolare con la fase acquosa del plasma, quindi rimangono come gocce separate. Ciò accade quando si fanno delle intramuscolari di farmaci in veicolo oleoso, quelli a deposito (non ce n’è quasi più), il rischio è di beccare il vaso quando si fa l’iniezione. Oppure ci può essere la presenza di materiale estraneo accidentale in una ferita aperta con emorragia con vasi aperti che viene contaminata da materiale oleoso che può penetrare. Molto frequente nelle persone anziane sono invece le fratture delle ossa lunghe. Il midollo emopoietico diventa midollo giallo; se si rompe un femore (ad es.), i vasi decorrono nello spessore della parete ossea, l’avventizia del vaso è attaccata al canale osseo, normalmente nell’organismo quando c’è un trauma e si rompe un vaso, questo collabisce e si chiude. Nell’osso invece il vaso rimane beante, il midollo osseo può quindi entrare in circolo, se entra del midollo giallo è pericoloso.
Emboli gassosi. Sono formati da azoto (70% aria respirata), va a finire nell’alveolo, non passa attraverso questo e nel sangue non passa (passa solo l’O2). Quando aumenta la pressione atmosferica, anche l’azoto si scioglie, passa la parete dell’alveolo, del vaso, si scioglie nel plasma e viene portato in giro. Come l’O2 esce dai vasi e va a finire fra i liquidi interstiziali fra le cellule, anche l’azoto lo fa, anzi molte volte passa anche la membrana cellulare e penetra nelle cellule. Soprattutto ciò è importante per il sistema nervoso, spiega il perché molte volte proprio in un sub che abbia avuto embolia gassosa, un delle lesioni più gravi è a livello del S.N.. Finchè rimane la pressione elevata, cioè finchè il sub sta giù, non succede nulla, il problema è quando torna su che diminuisce la pressione, quando si torna alla pressione a livello del mare, tutto dipende dalla velocità con la quale si è risaliti; se si è saliti lenti, lenti, l’azoto torna allo stato gassoso e non succede nulla, se si va forte torna allo stato gassoso ma quando è ancora in circolo e costituisce bolle di gas nel vaso; lo stesso può succedere per lesione di grosse vene del collo con pressione negativa toracica che lo fa assorbire all’interno.
Sede degli emboli. Tutti quelli che si formano nel circolo arterioso vanno a finire alla periferia (nei vasi che a poco a poco si stringono verso la periferia). Conseguenza di tutti gli arteriosi saranno delle ischemie, arrivano si fermano chiudono completamente il vaso e a valle c’è una ischemia. Quelli venosi sono quelli che si staccano dalle vene e vengono portati tutti nei capillari polmonari perché le vene vanno via via crescendo di calibro e solo dopo aver passato atrio dx, ventricolo dx, vanno nelle arterie polmonari che invece diminuiscono di calibro. Tutti gli emboli venosi che riescono a superare il cuore si fermano nel circolo polmonare dando infarto polmonare. Emboli paradossi e retrogradi si avranno quando vi sono delle anastomosi, cioè il passaggio da un circolo all’altro.
Conseguenze dell’embolia. Se sono venosi vanno al polmone e provocano infarto (rosso). Alcuni di questi portano dietro dei germi, altri provocano zone di infarto, di atelettasia dove possono fermarsi dei germi, allora saranno delle broncopolmoniti (a focolaio); gli anziani che si rompono un osso lungo vanno incontro ad embolia liquida che provoca infarto polmonare e poi muoiono per broncopolmonite. Gli arteriosi possono essere di origine cardiaca o vasale e danno ischemia; possono invece essere di quelli che hanno bypassato il circolo polmonare e superato il filtro polmonare arrivano nell’atrio sn, ventricolo sn e vengono sparati in circolo, daranno ischemie soprattutto nel S.N.C. . pericolose sono anche le placche di aterosclerosi che si staccano e vanno a finire nel circolo cerebrale (ictus). I gassosi arrivano in atrio dx portati dal sangue, parte delle bolle passano il ventricolo dx; i gas sono comprimibili e compressibili, tutte le volte che il ventricolo va in sistole, viene compresso, poi va in diastole e si riespande, così via ma rimane sempre lì, si mescola col sangue, forma una specie di schiuma che tappa il ventricolo, non arriva più sangue dalle cave, non c’è più flusso ijn arteria polmonare e il paziente muore di scompenso dx, muore per sovraccarico diastolico, non arriva sangue in ventricolo ma non riesce a espellere il gas che ha il ventricolo. Non si arriva a questo punto se si porta il paziente in camera di compressione (si deve giocare con la fase liquida e gassosa dell’azoto). I grossi trombi che danno grossi emboli (safena, uterine ecc.. ) partono e vanno su per la cava, entrano nel ventricolo dx, costituiscono una massa e il ventricolo non riesce ad espellerli, finiscono in arteria polmonare e il calibro di questi emboli è grosso come l’arteria polmonare, quindi ci si incastrano e la occludono; se si è pronti ad intervenire bene se no si muore (non c’è tempo).

 

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EMORRAGIE

E’ la fuoriuscita di sangue dai vasi e viene distinta in due grosse categorie: vasculopatiche o angiopatiche nelle quali l’uscita di sangue è dovuta a una alterazione della parete del vaso; malattie emorragiche che sono quelle coagulopatiche, c’è alterazione dell’emostasi (non solo difetto coagulativo, ma anche una minima lesione vasale che in condizioni normali non si verifica perché scatta l’emostasi).
ANGIOPATICHE
Devono essere separate a seconda del vaso dal quale prendono origine, arteriose, venose, capillari.

  • Arteriose. Da un’emorragia arteriosa si avrà uscita di sangue ossigenato (rosso), ad elevata pressione, ha un elevato flusso, è pulsante (segue il ritmo cardiaco), c’è emoglobina ossigenata, comporta una contrazione della parete muscolare vasale piuttosto intensa, in quanto la parete dell’arteria è piuttosto robusta e la contrazione è un meccanismo di difesa (oltre all’emostasi).
  • Venose. Sangue con emoglobina ridotta in elevata quantità, e la fuoriuscita non è pulsante ma continua (importante per i provvedimenti). Se l’emorragia è arteriosa si deve fare emostasi fra il cuore e la ferita (con un laccio), se è venosa si fa emostasi tra la periferia e la ferita.
  • Capillari.

Si distinguono ancora in esterne, interne, interstiziali.
Esterne. Saranno quelle nelle quali il sangue va all’esterno dell’organismo. Dalle cavità nasali si ha epistassi anteriore o posteriore, da quelle anteriori il sangue viene prevalentemente dall’area di Valsalva (sono di solito delle piccole varici che si hanno nelle vene anteriori) e viene emesso all’esterno; più pericolose sono quelle posteriori perché se avvengono durante il sonno, non dà segni, il sangue fuoriesce arriva in faringe e va nell’esofago, le conseguenze possono essere gravi, ma di solito ce se ne accorge con la melena (sangue nell’intestino), se non sono intense ma a stillicidio durano a lungo (anemia). Si ha poi fuoriuscita dalla cavità orale, emoftoe, non si sa da dove viene il sangue, si deve stabilire se arriva dall’albero respiratorio o dall’apparato digerente. Nel primo caso sarà un’emottisi, si può avere in corso di tubercolosi cavitaria, polmonare (con caverne erose), si ha anche per presenza di carcinomi polmonari (è più modesta come emorragia, ma è un segnale più pericoloso). Se proviene dall’apparato digerente si parla di ematemesi, può venire dall’esofago (terzo inferiore) e sarà dovuta a varici esofagee (nei cirrotici in cui il circolo collaterale che si è instaurato a livello dei vasi esofagei rappresenta il by-pass dell’ostacolo che i ha all’interno del parenchima epatico), sono emorragie imponenti (il soggetto sopravvive alla prima emorragia e difficilmente alla seconda); se viene dallo stomaco può essere un’ulcera peptica (erosi grossi vasi, arterie e vene esofagee), oppure può essere un carcinoma dello stomaco. Ematuria è l’immissione attraverso le vie urinarie, i globuli rossi possono venire dal glomerulo (glomerulonefrite), dal bacinetto (pielonefritte), dagli ureteri (calcolo che gratta sulla parete), dalla vescica, dalla prostata, dall’uretra, può essere macro o micro ematuria; ematuria può essere un carcinoma del rene, degli ureteri, della vescica. Menorragie e metroraggie sono fuoriuscita dalla cavità uterina, le prime sono un aumento durante il ciclo, le seconde sono extraciclo (ovulari, anovulari); le menorragie possono essere legate a fibromi, alterazioni endocrine, carcinoma dell’utero. Enterorragie e melene sono le due situazioni di fuoriuscita di sangue dalle vie digerenti; le prime sono fuoriuscite di sangue vivo (arterioso o venoso) che viene dal tratto inferiore (colon, sigma, retto); le melene sono più difficili da riconoscere, è una fuoriuscita che proviene dalle vie più alte, dal tenue, dal digiuno, dallo stomaco, da un’epistassi posteriore, è sangue che è passato attraverso l’intestino e ha subito un processo di digestione, alla fine è ridotto a una quantità di emoglobina trascurabile, ma rimane ferro, proteine, le feci hanno colorito nerastro pece. Melena sangue dall’alto, enterorragia sangue dal basso.
Interne. Sono quelle che avvengono all’interno di cavità preformate, sono l’ematopleura, emopericardio, emoperitoneo, ematocele (nel testicolo),emartro (nella cavità articolare), ematosalpinge, ematometra (nell’utero), ematocolpo (vagina). Le ultime tre possono succedere quando si hanno emorragie che formano un coagulo che è difficile ad essere espulso, la fibrina fa sì che si formi una specie di massa che può essere incarcerata all’interno delle salpingi, dell’utero, della vagina.
Interstiziali. Fanno parte esclusivamente delle emorragie di tipo capillare. Ecchimosi quando sono delle soffusioni puntiformi; petecchie quando sono 1-2 mm e porpore quando arrivano a 10 mm.
Emorragie acute si ha lesione del vaso rapida, completa e totale. Causano shock emorragico.
Emorragie croniche sono a stillicidio. Richiamano meno l’attenzione del paziente, possono durare mesi prima di essere diagnosticate. Causano anemia sideropenica.
PATOGENESI.

  • per ressi. Rottura vasale brusca e completa (ferita, trauma), traumatica.
  • per diabrosi. Sono quelle più insidiose. Avvengono per una erosione graduale progressiva della parete del vaso. Un es. è l’emottisi nella tubercolosi, la parete del vaso viene progressivamente erosa dall’allargamento della caverna tubercolare; nella lue (sifilide) lo stesso; le ulcere gastroduodenali; nei carcinomi in genere, il meccanismo è sempre lo stesso; lo stesso nel tifo; nella colite ulcerosa; nelle endovascoliti arteriose e venose. La maggior parte di queste emorragie per diabrosi sono croniche, eccetto nel momento in cui il vaso si rompe all’improvviso e si ha subito una acuta.
  • per diapedesi. Sono quelle che si hanno nei casi in cui aumenta la permeabilità capillare (nelle stasi, nelle iperemie passive, gruppo delle angioneurotiche (ad es. nei soggetti isterici o con morbo di Reynaud), per pressione negativa (coppette sulla schiena, sanguisughe)).

COAGULOPATICHE
Sono quelle che avvengono in un soggetto che ha un difetto di coagulazione, se c’è un’emorragia e non ci sono traumi o ulcere o un aumento di permeabilità, cioè se non è prevalente il meccanismo della alterazione vasale, allora ci può essere stato sotto una facilitazione dell’emorragia da un difetto coagulativo.
Possibili anomalie.
Piastrine. Queste possono avere alterazioni qualitative o quantitative.
Quelle quantitative possono essere in aumento o in diminuzione, se sono in aumento non ci interessano dal punto di vista dell’emorragia però possono dare altre complicazioni. Normalmente sono 150\300000 per mm3, perché le piastrine diminuiscano e possano dare dei segni devono scendere sotto le 50000, fino a questo punto la diminuzione è ben sopportata dal paziente; sotto i 10000 è indispensabile una sacca di piastrine. Le piastrine in aumento saranno delle trombocitosi, si hanno in situazioni post emorragiche, emolisi ecc.. queste sono pericolose per la trombosi. Quelle da diminuzione quantitativa possono a loro volta avere due meccanismi, o sono da diminuita produzione o da aumentata distruzione. Da diminuita produzione potranno essere congenite o acquisite; le prime saranno dei difetti di produzione delle piastrine che si possono avere in alcune malattie ereditarie (Wisckott-Aldrich, nella sindrome aplastica di Fanconi), in questi casi si hanno deficit di produzione (sono rare). Più frequenti sono quelle acquisite, fra queste ci sono prima di tutto le forme aplastiche nelle quali il midollo non fabbrica piastrine, ma non saranno piastrinopenie isolate, se sono forme aplastiche ci sarà anche una leucopenia, un’anemia, sarà un deficit complessivo di tutto il midollo e non selettivo; possono essere anche forme acquisite per cause autoimmuni, più frequente mente si hanno per trattamento con radiazioni ionizzanti soprattutto se si è fatto un total body (irradiazione totale per una leucemia o a scopo di trapianti). Alcuni farmaci possono provocare piastrinopenie, si hanno nelle leucemie, nell’etilismo, nelle anemie, nell’insufficienza renale ed epatica. Nella renale il deficit può essere da deficit complessivo del midollo e quindi da cause tossiche, in quella epatica spesse volte il danno  è associato anche ad un ipersplenismo (si associano i due meccanismi, diminuita produzione e aumentata distruzione), oppure può essere anche un sequestro piastrinico. Da aumentata distruzione. Quelle congenite sono quelle che si hanno classicamente nelle eritroblastosi fetale, da incompatibilità Rh, oltre che avere un deficit della serie rossa (emolisi) si ha anche una piastrinopenia. Si ha anche aumentata distruzione nel prematuro (5-6 mesi). Più frequenti sono quelle acquisite che si dividono in non immunologiche e immunologiche. Le prime sono quelle che si hanno in corso di infezioni, di veleni (vegetali, animali), in corso di ipossia, nelle ustioni (con anche una anemia), con uremia (associazione dei due meccanismi). Le seconde comprendono soprattutto il Werlhof che è una porpore idiopatica che può essere in una forma acuta o cronica con distruzione di piastrine, oppure può succedere che le piastrine facciano da spettatori innocenti, possono essere degli apteni che si legano sulla superficie della piastrina e nella reazione ag\ab viene coinvolta la piastrina stessa che viene distrutta, è un meccanismo che può riguardare anche le altre cellule del sangue.
Qualitative. Congenite, da difetto di adesione (malattia delle piastrine giganti di Bernard-Soulier), di aggregazione (tromboastenia di Glanzmann), si secrezione (deficit del pool dell’ADP, o delle ciclossigenasi), del fattore piastrinico III. Più importanti per frequenza sono quelle acquisite; si hanno nell’uremia (è la più grave conseguenza dell’insufficienza renale, fa diminuire le piastrine e i globuli rossi), nelle leucemie, in malattie epatiche o immunitarie, deficit da farmaci (aspirina o inibitori delle ciclossigenasi).
Teleangectasia emorragica ereditaria (rara) con deficit vasculopatici (a cavallo fra il deficit dell’emostasi e il meccanismo vasculopatico).
Quelle da anomalie della coagulazione fra le quali alcune sono ereditarie e altre acquisite.
Deficit da difettosa formazione di trombina.. Ce ne sono di più rare e di più frequenti. Rare sono il deficit del fattore XII, quelle da fattore XI, del X, del IX, e dell’VIII (con tutte le conseguenze dell’emofilia A, B), del VII, del V, del II (protrombina). Più frequenti sono le forme acquisite in tutte le epatopatie, se ne è parlato prima con le emorragie da varici esofagee, un soggetto con queste varici è cirrotico, con una grave epatopatia, si somma il meccanismo da varici esofagea a un meccanismo da deficit  coagulativo. Rare quelle da avitaminosi K, e autoimmuni.
Deficit da difettosa formazione della fibrina. Ereditarie, quelle con carenza di fibrinogeno e di XIII sono rare. Acquisite sono più importanti, fra queste le epatopatie (il fibrinogeno lo fa il fegato), le carenze proteiche (diminuita formazione), deficit per aumentato consumo (ne viene usato troppo) come nel post partum (vengono formati dei grossi coaguli di fibrinogeno), dopo emorragie (aumentata perdita), da aumentata eparina, da shock anafilattico (l’emorragia è uno dei segni dello shock anafilattico).
Difettosa retrazione del coagulo. Ereditarie (sindrome di Glanzmann), e congenite quelle da piastrinopenia.
Difettosa fibrinolisi. Si ha quando la fibrinolisi aumenta (in corso di tossiemia gravidica, dopo il parto, dopo interventi, in epatopatie, in soggetti con carcinoma alla prostata), in corso di trombosi disseminata (CID) si ha un consumo di fibrinogeno si può avere un aumento di fibrinolisi e si legano le due sindromi (da CID e da difetto di fibrinolisi).
CONSEGUENZE DELLE EMORRAGIE
Perdita di parte plasmatica.
Determina una riduzione del volume plasmatico, sarà un problema emodinamico, il deficit plasmatico si ripercuote sulla massa, sulla funzionalità renale e quella cardiaca e il diminuito afflusso cerebrale (shock primario o secondario). Per prima cosa si deve quindi ripristinare il volume, flebo o di soluzione fisiologica o glucosata, solo dopo si pensa alla parte cellulare.
Perdita della parte cellulare. La perdita della serie rossa (eritrociti) porta ad anemia e quindi ad ipossia, il problema è l’eventuale ipossia (collasso, shock, ipossia), il problema è di riuscire a evitare l’ipossia, si devono dare soprattutto i globuli rossi per ripristinare l’apporto di O2 sufficiente. Si deve abbandonare il criterio di fare delle trasfusioni in toto, si deve ripristinare solo ciò che è stato perso. Le anemie che si possono avere in seguito ad emorragia sono ben distinte se l’emorragia è acuta o cronica, se è acuta sarà normocromica (con perdita totale di globuli rossi senza lo squilibrio del contenuto di emoglobina), se è cronica si ha oltre alla perdita dei globuli rossi si ha perdita di ferro (anemia sideropenica) ed è necessario darglielo.
Emostasi. È un meccanismo fisiologico, non rientra in patologia del circolo se non quando è insufficiente. Ha tre fasi: 1) fase vasale (della contrazione), è difficile che vi siano deficit qui; 2) fase piastrinica endoteliale, qui ci possono essere tutti i deficit legati sia alla stimolazione dell’aggregazione piastrinica, sia dell’adesione delle piastrine; 3) fase coagulativa e quindi deficit della via estrinseca ed intrinseca.
CAUSE
Sono un mix di cause angiopatiche e coagulopatiche, si suddividono in base all’eziologia e quindi comprendono sia le une che le altre. Emorragie infettive, il tifo, l’endocardite, lo streptococco, la scarlattina, quelle legate all’assunzione di alcuni farmaci come il chinino, barbiturici. Traumatiche. Tossiche, veleni, metalli pesanti, il benzolo, insetti, pesci, serpenti. Discrasiche, avitaminosi K, C (morbo di Barlow). Disendocrine, diabete e morbo di Cusching. Vasoneurotiche, in pazienti neuropatici. Diatesiche, sono le coagulopatiche.

EDEMA

Infiammatorio e non infiammatorio, cioè essudato e trasudato. L’edema può essere generalizzato, si parlerà di anasarca e saranno diffusi in tutto l’organismo. Circoscritto fra i quali l’idrope che si raccoglie in alcune cavità (idropericardio, idroascite, idrocele, ecc.. ).
Patogenesi
Da aumento della pressione idrostatica o da diminuzione della colloidosmotica. La P aumenta o per cause centrali (cardiache) o periferiche e quindi ci sarà una stasi da aumento della P. Se diminuisce la P, sarà legata all’albumina, o c’è una ipoalbuminemia perché ne viene prodotta meno o perché viene persa, quindi può essere da diminuita sintesi o da danno renale (aumentata perdita). Questi sono tutti edemi non infiammatori (trasudati). Se a questi meccanismi si aggiunge l’aumento di permeabilità si avrà l’edema infiammatorio (essudato).
Cause
Edemi in corso di nefropatie, necrosi e nefriti con perdita di albumina; malattie cardiocircolatorie e quindi cause centrali o periferiche da insufficienza cardiaca o da stasi; grave è l’edema polmonare; da epatopatie (albumina); nelle malattie del sangue, le anemie, da ipossia; in corso di malnutrizione (problemi di assorbimento); quelli tossici (etanolo); traumatici (infiammatori); da malattie del S.N.C. e del S.N.P. (angioneurotico, edema di Quinke che colpisce il volto e la glottide); endocrini; post emorragici; malattie allergiche; dei vasi linfatici (linfedemi) in alcune malattie parassitarie, nell’elefantiasi  da filariosi; linfangiti; da asportazione dei linfonodi (carcinoma della ghiandola mammaria), s’interrompono le vie linfatiche e si ha una grossa stasi linfatica.

 

 

 

Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/6303/2526/Fisiop.rtf

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Autore del testo: Appunti svolti da A.Guaglianone

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