Autismo e scuola

Autismo e scuola

 

 

 

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Autismo e scuola

LINEE GUIDA AUTISMO – SCUOLA
Sinpia-pedagogia speciale

 

LE SFIDE DELLA SCUOLA E L’INTERVENTO EDUCATIVO PER L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEI BAMBINI E DELLE BAMBINE CON AUTISMO

 

INDICE GENERALE

PRESENTAZIONE

  • Conoscere per comprendere

 

  • Definizione
  • Cause
  • Diagnosi clinica e valutazione funzionale
  • Programmi specifici al trattamento
  • Bibliografia
  • Collaborare per conoscere meglio: chi osserva e cosa

 

  • Caratteristiche cognitive e meta-cognitive del disturbo
  • Modalità sensoriali
  • Altre caratteristiche collegate all’età
  • Punti di riferimento per l’osservazione

A chi rivolgersi: l’intervento di rete e la collaborazione tra i differenti attori

 

  • Le finalità della scuola
  • Integrazione scolastica: il programma di intervento

 

  • Punti di forza e di debolezza
  • Problematiche che si possono incontrare a scuola
  • Strategie di lavoro e principi guida
  • Ruolo dei compagni di classe

F) Le raccomandazioni

 

PRESENTAZIONE

“ Ogni persona indipendentemente dal grado di disabilità ha il diritto fondamentale di influenzare mediante la comunicazione le condizioni della sua vita” sottolinea un documento redatto circa una decina di anni fa dall’Associazione Nazionale per il Diritto alla Comunicazione delle persone con Disabilità Gravi.  
La comunicazione rappresenta uno dei fondamenti dello scambio e della relazione. E’ noto che un messaggio efficace può essere trasmesso da un mittente e da un ricevente, solo nel caso in cui entrambi i soggetti della comunicazione condividano l’utilizzo di uno stesso codice comunicativo: esso si pone come condizione necessaria al fine della reciproca comprensione. In relazione alla sfera dei disturbi appartenenti allo spettro autistico, nei quali le competenze comunicative risultano essere qualitativamente alterate al punto da impedire o comunque limitare fortemente lo sviluppo di molte altre competenze, la possibilità di costruire percorsi e progetti per sostenere il progetto di vita e lo sviluppo dell’autonomia nelle persone con autismo diviene fondamentale. Le persone con autismo hanno caratteristiche individuali molto peculiari; per chi non ha mai avuto la possibilità di interagire con loro, non sempre può risultare semplice costruire processi di comunicazione efficaci. La comunicazione si può inceppare e la paura, le difficoltà, la non conoscenza di metodi e strategie specifici rischiano di paralizzare l’intervento educativo e di far giungere a semplici e scontate considerazioni che possono rinchiudere la persona all’interno del suo deficit rischiando di identificarlo solo con esso.
Ogni persona, e dunque anche i disabili, ha bisogno di molte cose che non possono essere generalizzate e per tale ragione ha bisogno di essere riconosciuto come originale. Il riconoscimento dell’originalità è importante poiché ci permette di comprendere che gli handicap (di natura organica, sociale, culturale, psicologica, educativa) da ridurre sono originali e non possono essere circoscritti in un’unica categoria con l’aspettativa di poter, attraverso una serie di indicazioni, risolvere le difficoltà e le potenzialità che la costruzione di un percorso unico e originale può offrire. Scoprire originalità è possibile insieme, non è un’azione che può essere imposta ma è necessariamente dialogica.
L’oggetto di indagine prioritario dell’educazione speciale è la disabilità. Esso è costituito dalla conoscenza dei deficit, dalla riduzione degli handicap, dalla scoperta delle risorse e dalla riorganizzazione positiva degli apprendimenti. Nello specifico concerne lo studio dei bisogni educativi speciali di persone con deficit congeniti e /o acquisiti o traumi psicofisici e del loro ambiente; dalla costruzione di sistemi di aiuto che ricercano le possibili integrazioni con i contesti di riferimento; dalla presa in carico e cura delle situazioni di vulnerabilità verso la promozione della salute, l’inclusione sociale e l’integrazione.  Sono trascorsi più di trenta anni da quando si è cominciato ad operare in favore dell’integrazione scolastica delle persone disabili. Molti passi avanti sono stati compiuti e molti altri ancora devono essere realizzati. Fra questi è necessario costruire azioni di collaborazione e una capacità di raggiungere nei contesti di vita reale (ad esempio la scuola, il lavoro…) i bisogni e le risorse di coloro che sono disabili. A tal fine è necessario che ad un bisogno corrisponda una competenza specifica ed una rete di sostegni e di collaborazioni che promuovano una reale integrazione ed non un semplice inserimento.   D. Mautuit ha cercato di vedere nelle situazioni di handicap tre aspetti: il primo riguarda l’individuo e l’identificazione del suo deficit, il secondo il contesto e l’individuazione degli ostacoli possibili, e il terzo riguarda le relazioni di aiuto necessarie a ciascun essere vivente, e in particolare per chi è disabile.  I tre aspetti permettono di assumere una direzione intenzionale possibile per la costruzione di un sistema multidisciplinare e multiprospettico per l’integrazione scolastica e l’inclusione sociale delle persone con autismo oggetto specifico di questo documento. L’incontro con un bambino con autismo a scuola può far scaturire dubbi e perplessità, molte volte derivate dalla non conoscenza, elemento da cui partire per un’elaborazione positiva e la costruzione di un percorso di apprendimento reale: la curiosità può attivare il desiderio di conoscenza. Conoscere il deficit e le sue implicazioni, ridurre gli svantaggi conseguenti attraverso azioni riabilitative, rieducative e compensative, valorizzare le risorse per scoprire l’originalità di ogni persona può essere una pista metodologica da intraprendere.  Tale direzione necessità della collaborazione di tutti e di ciascuno: in primo luogo dei centri specializzati, attraverso la costruzione di diagnosi precoci e interventi che aiutino a comprendere meglio la situazione ed avviare percorsi rieducativi, della famiglia e del bambino, degli insegnanti di classe, di quelli specializzati per il sostegno, del gruppo classe e non in ultimo della possibilità di integrare negli apprendimenti scolastici formali le conoscenze sull’autismo (in collaborazione con la famiglia e dopo aver stilato un percorso insieme) al fine di aiutare il bambino ed i compagni in un percorso di conoscenza reciproca.  La realizzazione di un progetto educativo individualizzato comporta l’assunzione nella propria professionalità, di una capacità di raggiungere, nei contesti di vita e nelle pratiche abituali di un contesto scolastico organizzato e organizzabile il bambino con autismo e la sua famiglia. Tale direzione favorisce un percorso d’integrazione negli apprendimenti delle conoscenze sui deficit (per accettarlo), degli handicap per ridurli e dei punti di forza su cui occorre operare.  A tal fine è fondamentale esaminare il contesto specifico di apprendimento attraverso l’analisi dei bisogni, la mappa delle risorse e la conoscenza del quadro delle regole in cui un progetto può realizzarsi. Un percorso, quest’ultimo, che esige: un approfondimento sull’autismo per comprendere meglio, la collaborazione dei differenti attori (genitori, educatori, insegnanti…), la conoscenza delle risorse del territorio per conoscere gli esperti a cui potersi rivolgere e attuare un percorso formativo specifico, la costruzione del percorso di insegnamento apprendimento a scuola. Esistono in Italia positive esperienze di integrazione con bambini con autismo, che non sono ancora divenute buone prassi e parte di un’organizzazione stabile generale per la scuola italiana. La presa in carico dei bambini con autismo, almeno in alcune Regioni, da alcuni anni viene realizzata dai centri specializzati diretti da un neurospichiatra che coordina un’équipe multidisciplinare all’interno della quale operano psicologi, educatori, pedagogisti in collaborazione con le risorse del territorio e il mondo della scuola. Le esperienze di lavoro condotte secondo un intervento multidisciplinare e multiprospettico stanno dando buoni risultati, tali da far scaturire l’esigenza di una formazione specifica e la diffusione nel territorio nazionale di alcune raccomandazioni utili a sostenere l’intervento anche degli operatori della scuola.
La constatazione dei risultati positivi che la collaborazione fra il mondo sanitario ed educativo ha fatto scaturire l’idea di realizzare le linee guida autismo – scuola che seguono al documento editato nel 2005 dalla Società di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva relativo alle Linee guida per l’autismo – Raccomandazioni tecniche – operative per i servizi di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva. Il presente documento nasce dalla stretta collaborazione fra il Gruppo di Pedagogisti Speciali che opera nelle università italiane, la Società di Neuropsichiatria dell’Età Evolutiva, alcuni dei massimi esperti che da molti anni si prendono cura dei bambini con autismo e delle loro famiglie e l’Associazione dei Genitori Bambini con Autismo (ANGSA). E’ stato redatto con l’auspicio che possa fornire alcune indicazioni utili al mondo della scuola che per definizione ha il compito di realizzare il processo di insegnamento apprendimento e di educare tutti e ciascun bambino anche attraverso la capacità di porre particolare attenzione ai bisogni educativi speciali. L’integrazione di un bambino con autismo ha bisogno di competenze specifiche e della collaborazione dei differenti attori che operano in favore del percorso di autonomia. Tale consapevolezza ha fatto nascere il desiderio di realizzare un documento, seppur non esaustivo, che permettesse al mondo della scuola (Dirigenti scolastici, insegnanti, insegnanti specializzati, educatori) di: orientarsi nella definizione di un progetto educativo individualizzato integrato nel contesto classe; avere indicazioni di base per conoscere il deficit ridurre gli handicap conseguenti e scoprire l’originalità di ogni singola persona; ridurre il rischio di puntare l’attenzione solo su di una tecnica di intervento; condurre azioni generali, superficiali e non in grado di rispondere con competenza ai bisogni e alle risorse particolari.
Il presente documento è destinato in primo luogo ai dirigenti scolastici e agli insegnanti che hanno tra i loro alunni un bambino con un disturbo di tipo autistico. E’ anche indirizzato ai genitori che rappresentano il partner principale del progetto educativo individualizzato del bambino.
Queste linee guida non affrontano in maniera approfondita tematiche di tipo organizzativo e altri aspetti più generali legati all’integrazione scolastica, che saranno oggetto di altri documenti. Tuttavia, la conoscenza di queste linee guida può facilitare la messa in atto di azioni educative adeguate alle esigenze del bambino con autismo
Non è, infine, da ritenersi sostitutivo di un percorso formativo specifico sull’autismo che è sempre auspicabile. Lo scopo è quello di fornire alcune informazioni di base e una serie di Raccomandazioni fondate sui dati della ricerca scientifica nel campo dell’educazione del bambino con problemi di tipo autistico.

 
A) CONOSCERE PER COMPRENDERE

 

  • DEFINIZIONE

Le Linee Guida per l'Autismo della SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Età Evolutiva) definiscono l'Autismo come "Una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all'interazione sociale reciproca, all'abilità di comunicare idee e sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri". Inoltre risultano implicati anche gli ambiti relativi agli interessi e al comportamento che appaiono ristretti e ripetitivi.

L’autismo è un disturbo che fa parte di una categoria più ampia chiamata “Disturbi pervasivi dello sviluppo”. In questa categoria troviamo descritti altri disturbi come quello di Asperger, di Rett, il Disintegrativo dell’Infanzia ed il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato, che condividono in maniera differente le tre aree sintomatologiche sopra indicate.
Per la diagnosi, in quest’ambito, viene ancora talvolta erroneamente utilizzata una vecchia nomenclatura: “Disturbo Generalizzato dello Sviluppo” o, peggio, “Psicosi precoce”, “Psicosi simbiotica”, “Disarmonia evolutiva”, “Disturbo precoce della relazione”, termini che vanno tutti, in linea di massima, intesi come indicativi di un Disturbo dello spettro autistico, ma che attualmente sono da ritenersi obsoleti e fuorvianti.
Deve essere posta particolare attenzione alla definizione dell’autismo come “psicosi”, storicamente legata all’errata interpretazione del disturbo come malattia mentale causata da una relazione madre-bambino precocemente disturbata. Con questo termine, infatti, si tende a non inquadrare correttamente l’autismo come disabilità grave e congenita della comunicazione e delle abilità sociali.

I Criteri Diagnostici per il Disturbo Autistico sono descritti dal Manuale Diagnostico e Statistico del Disturbi Mentali (DSM-IV-TR) e dall’Internalional Classification of Diseases (ICD-10) e sono di seguito riportati in maniera semplificata attraverso semplici esempi che sono naturalmente da ritenersi indicativi:

  • Compromissione qualitativa dell'interazione sociale:

 

  • difficoltà nell'uso di alcuni comportamenti non verbali necessari per modulare le interazioni sociali: ad esempio l’individuo può manifestare contatto oculare insolito, limitato utilizzo di espressioni facciali rivolte agli altri, postura corporea peculiare (eccessiva vicinanza o distanza), scarso ricorso ai gesti, interesse ridotto per le persone; 
  • incapacità di sviluppare interazioni con i coetanei adeguate all'età o al livello di sviluppo;
  • limitata ricerca spontanea di condivisione di gioie, interessi e obiettivi con altre persone (per esempio il bambino non mostra, non porta oggetti, non richiama l'attenzione su oggetti di proprio interesse…);
  • ridotta reciprocità sociale e/o emotiva.
  • Compromissione qualitativa della comunicazione:

 

  • ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio, senza il tentativo di compensare questa mancanza con modalità alternative quali gesti e mimica facciale;
  • assente o limitata risposta al nome;
  • tendenza ad usare il corpo dell'altro per comunicare (ad esempio il bambino prende la mano dell'adulto e la pone sul gioco per comunicare di azionarlo);
  • in soggetti con linguaggio verbale difficoltà a iniziare, sostenere o concludere una conversazione rispettando le comuni convenzioni sociali;
  • linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico (per esempio il bambino parla eccessivamente/esclusivamente dei propri interessi ristretti);
  • mancanza di giochi di imitazione o giochi di simulazione vari e spontanei (gioco di finzione e gioco simbolico).
  • Modalità di comportamento, interessi ed attività ristretti, ripetitivi e stereotipati:

 

  • dedizione assorbente, che quindi limita in qualche modo lo svolgimento di altre attività, a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità (ad esempio il bambino impara a memoria tutte le classifiche delle olimpiadi) o per tipologia (ad esempio si interessa ad un argomento o ad un oggetto insolito, considerata l'età ed il contesto socio-culturale);
  • sottomissione rigida a rituali o abitudini (ad esempio segue sempre la stessa strada per raggiungere un luogo e mostra disagio se il percorso deve essere modificato o al cambio dall’abbigliamento invernale all’estivo o altro);
  • manierismi motori stereotipati e ripetitivi (ad esempio battere o torcere le mani, “sfarfallamento”, dondolio del tronco o movimenti più complessi);
  • persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti (per esempio la ruota di una macchinina).

I manuali sopra citati stabiliscono un determinato numero di sintomi, tra quelli descritti, per diagnosticare l’autismo: un soggetto non deve presentare necessariamente tutti i sintomi per essere diagnosticato.
L’insorgenza del disturbo è stabilita prima dei tre anni di età.
In circa i 2/3 dei casi l’autismo si associa a Ritardo Mentale, che può manifestarsi in forme più o meno gravi e talora ad altri deficit che concorrono a complicare le capacità adattive.

Un disturbo complesso come l’autismo non può essere compreso se ci si limita soltanto ad un semplice elenco dei sintomi: non siamo infatti di fronte a semplici carenze o ritardi nello sviluppo, ma a modalità diverse d’interpretazione e di comprensione del mondo. 
Le persone con autismo si caratterizzano per uno sviluppo fondato su modalità percettive, immaginative, mnestiche, ideative e socio-affettive e, in generale, su uno stile di funzionamento cognitivo qualitativamente diverso. 

Esistono inoltre, nelle persone con disturbo autistico o altri disturbi pervasivi dello sviluppo, profili di competenze assolutamente disomogenei: si evidenziano alcuni ambiti nettamente deficitari rispetto al profilo complessivo (punti di debolezza) mentre altri ambiti che raggiungono livelli superiori (punti di forza) e più raramente livelli di eccellenza (isole di abilità).

  • CAUSE DELL’AUTISMO

 

L’autismo è un disturbo multifattoriale: le cause, tutte di natura neurobiologica (genetiche, neuroanatomiche, neurofunzionali, neurochimiche…), sono implicate e correlate tra loro in maniera diversificata e non del tutto conosciuta.
Dagli studi genetici fino ad ora realizzati, l’evidenza più forte è che non esiste “il gene” dell’autismo, ma esistono piuttosto una serie di geni che contribuiscono a conferire una vulnerabilità alla comparsa del disturbo.

3) DIAGNOSI CLINICA E VALUTAZIONE FUNZIONALE

La diagnosi deve essere compilata da un professionista competente nel settore, neuropsichiatria infantile o psicologo, e dovrebbe essere sempre formulata secondo i criteri dell’ ICD-10 o del DSM-IV.
Esistono attualmente strumenti standardizzati che aiutano il clinico in questo difficile compito.
La compilazione della diagnosi funzionale, del profilo dinamico-funzionale e del piano educativo individualizzato necessitano di una serie di conoscenze che possono essere portate da specialisti, genitori e personale educativo/riabilitativo.
E' fondamentale in questo processo individuare i punti di forza e di debolezza del bambino per fare leva sugli uni e potenziare gli altri.
La messa a punto di un piano educativo individualizzato, per un bambino con autismo, dovrebbe essere sempre preceduta da una valutazione funzionale effettuata con test standardizzati specifici per il disturbo e realizzata da un’équipe specializzata.

Generalmente, nei centri che si occupano in maniera specifica di autismo, viene utilizzato il test PEP-R (Psyco-Educational Profile - Revised di E. Schopler), che permette di tracciare un profilo di sviluppo dettagliato e di conseguenza di pianificare un programma di intervento specifico ed individualizzato in base alle caratteristiche di ogni singolo bambino.
Le funzioni ed i comportamenti indagati, che saranno poi oggetto di intervento specifico, sono: imitazione, percezione, motricità fine e grossolana, coordinazione oculo-manuale, livello cognitivo e verbale, relazione ed affetti, gioco e interesse per i materiali, risposte sensoriali e linguaggio.

I livelli di valutazione espressi dal test sono: “riuscito, emergente e non riuscito” e i programmi di intervento che seguono la valutazione si dovrebbero basano sulle capacità riuscite e su quelle emergenti in modo da garantire che i nuovi apprendimenti siano adeguati al livello di sviluppo del bambino.

E' raccomandabile, inoltre, effettuare una valutazione del comportamento adattivo attraverso strumenti standardizzati come la Vineland Adaptive Behavior Scale: tale scala è disponibile in tre forme (completa, ridotta e la versione per la somministrazione collettiva in classe) e permette di indagare i principali ambiti del comportamento adattivo (comunicazione, abilità di vita quotidiana, socializzazione e abilità motorie) nei diversi contesti di vita del bambino; anche questa valutazione, se effettuata presso un Centro Specializzato, permette di ottenere informazioni utili per la programmazione del piano di intervento.
L’assenza di valutazioni specifiche rischia di precludere il diritto del bambino di ricevere un’educazione adeguata.

 

 

4) PROGRAMMI SPECIFICI DI TRATTAMENTO

I trattamenti citati per l’autismo sono numerosi, di varia natura e orientamento teorico; non per tutti è stata provata la validità scientifica.
Sulla base della letteratura di riferimento e della pratica applicativa si riporta una sintesi dei principali, arbitrariamente suddivisi secondo le impostazioni teoriche di riferimento, sebbene spesso la linea di demarcazione tra essi sia molto sottile.

 

 

 

 

 

 

 

 

I trattamenti per l’autismo (adattato da L. Shreibman, The Science and Fiction of Autism)

Tipi di trattamento

Approcci

Modello

Efficaci

Presumibilmente efficaci

Di dubbia efficacia

Inefficaci

 

 

 

(validati)

(non valutabili ma basati su elementi validati)

(solo rapporti anedottici di casi singoli)

(nessuna evidenza di efficacia)

Comportamentali
(ABA)

DTT

LOVAAS

X

 

 

 

Naturalistici

PRT

X

 

 

 

 

Evolutivi

DIR

 

X

 

 

TEACCH

 

X

 

 

DENVER

X

 

 

 

TED

 

X

 

 

Psicoterapie psicodinamiche

 

 

 

X

Terapie sensoriali

AIT (Auditory Integration therapy)

 

 

 

X

 

SIT (Sensory Integration therapy)

 

 

 

X

 

Farmaci e terapie nutrizionali

Secretina

 

 

 

X

 

Vitamine

 

 

 

X

 

Diete

 

 

 

X

 

Farmaci

 

 

 

X

 

Altri

Comunicazione facilitata

 

 

 

 

X

Option Therapy

 

 

 

 

X

Pet Therapy

 

 

 

 

X

 

Trattamenti comportamentali

Le forme di trattamento comportamentale derivano i loro principi dalla analisi sperimentale del comportamento, che mira a scoprire le leggi che regolano il comportamento umano. L’applicazione di tali leggi al trattamento viene definito ABA (Applied Behavior Analysis, ossia Analisi Applicata del Comportamento) che quindi non è un modello specifico di trattamento, ma una piuttosto una metodologia di applicazione e di ricerca che implica una progettazione sperimentale specifica dell’intervento. I programmi educativi che ne derivano, rivolti alle persone con autismo, vertono sull’insegnamento di competenze attraverso tecniche specifiche (apprendimento senza errori, rinforzo, modellamento – shaping, aiuto – prompting, attenuazione – fading, concatenamento anterogrado e retrogrado – chaining, analisi del compito – task analysis, insegnamento incidentale).

Un tipo di intervento spesso utilizzato in programmi di trattamento di tipo comportamentale è il DTT (Discrete Trial Training – insegnamento in sessioni separate), intervento nel quale le competenze da apprendere vengono suddivise in sotto-obiettivi che vengono proposti singolarmente in un rapporto 1:1. La procedura d’insegnamento prevede che si tengano in considerazione tre componenti: istruzione (SD – stimolo discriminante), risposta, conseguenza. I progressi del bambino vengono valutati attraverso una rilevazione dei dati, determinando la percentuale di risposte corrette.

Le caratteristiche principali sono:

  • l’insegnamento è condotto dall’adulto;
  • l’operatore sceglie i materiali didattici, definisce il programma e prestabilisce quale sia la risposta corretta;
  • il rinforzo è estrinseco al compito;
  • vengono ripetute più volte le stesse attività;
  • il focus del trattamento è la risposta del bambino.

Altri tipi di trattamento comportamentale, quelli definiti “naturalistici”, sono un’evoluzione degli approcci d’insegnamento DDT, in quanto cercano di porre rimedio alle criticità spesso riconosciute in tale approccio, ovvero all’”artificiosità” dell’insegnamento e quindi alla difficoltà a generalizzare le competenze apprese all’ambiente naturale. I trattamenti comportamentali naturalistici tendono ad insegnare il comportamento all’interno dell’ambiente in cui questo si verifica; si offrono al bambino numerose possibilità di scelta delle attività, in cui l’adulto si inserisce per creare occasioni di apprendimento; il rinforzo, quindi, è intrinseco al compito. Attualmente vi sono diversi approcci comportamentali naturalistici (ad es. PRT, Incidental Learning, Milieu Training), il meglio documentato, però, è il PRT (Pivotal Response Training). Il PRT (Koegel, 2000; Koegel et al. 1991) è un approccio che mira ad insegnare comportamenti fondamentali (importanti per più aree di funzionamento) ai bambini con autismo nell’ambiente di vita quotidiana, utilizzando le occasioni di insegnamento che si presentano nel contesto naturale. Gli autori hanno anche individuato alcune caratteristiche dei bambini che predicono una buona risposta al PRT: buon interesse per i giocattoli, tolleranza alla prossimità sociale, pochi comportamenti ripetitivi, molti comportamenti comunicativi verbali. Il PRT ha ricevuto l’attenzione della comunità scientifica per il successo ottenuto nel miglioramento della motivazione e della spontaneità del bambino, dello sviluppo del linguaggio, del mantenimento delle abilità acquisite, della generalizzazione delle risposte e della riduzione dei comportamenti problema.


D. Mautuit, L’integration sociale et professionnelle des personnes en situation de handicap: des concepì à l’evaluation des actions, in Revue Européenne du Handicap Mental, Dialogue Cergy Poutoise, 1995, vol. II, n. 7, pp. 15 -24

Trattamenti comportamentali ad approccio evolutivo

Parallelamente al fiorire degli approcci comportamentali, si sono sviluppati altri modelli di trattamento educativo di cui non è stata effettuata una validazione empirica, ma che possono essere considerati validi con molta probabilità in quanto condividono con i trattamenti validati principi e strategie fondamentali. Questi sono definiti approcci evolutivi perché sottolineano, in particolare nell’autismo, l’importanza di seguire, nell’insegnamento di nuove competenze, le tappe dello sviluppo tipico. Enfatizzano, come gli approcci comportamentali più naturalistici, l’uso della motivazione intrinseca come movente positivo dell’apprendimento.
Alcuni esempi sono:

  • Il DIR (Developmental Individual difference Relationship based)

Ideato da S. Greespan e S. Weider, il DIR (Greenspan & Wieder, 1998) è un modello globale per la valutazione e l’intervento che pone l’accento sull’incontro con il bambino in un approccio integrativo che tiene conto del livello evolutivo, del tono affettivo e delle motivazioni. Il trattamento proposto da tale modello è il Floortime: un modo sistematico di lavorare la cui prima finalità è quella di superare le difficoltà sensoriali per ristabilire il contatto affettivo interpersonale, partendo dal presupposto che sono le relazioni sociali che guidano lo sviluppo delle abilità cognitive; in assenza di tali relazioni non si sviluppano neppure l’autostima, la capacità di prendere iniziativa e la creatività. Lavorando intensamente con genitori e terapisti si aiuta il bambino a ripercorrere le tappe evolutive non raggiunte.
Il trattamento, quindi, prevede sessioni di lavoro di 20-30 minuti in un rapporto 1:1, durante le quali l’adulto segue il bambino nelle attività da lui scelte, incoraggiandolo a interagire.

  • Il Denver Model

Ideato da Sally Rogers (Rogers, 1998; Colombi, in stampa) è un programma di intervento destinato a bambini con autismo in età prescolare; l’enfasi è posta sul miglioramento dell’interazione sociale del bambino, in quanto principale deficit che caratterizza il disturbo autistico. La cornice in cui si svolgono le interazioni tra il bambino e l’adulto deve essere caratterizzata da coinvolgimento sociale, reciprocità, alternanza di turni e affetto condiviso. Durante la terapia, quindi, si cerca di creare routine sociali che permettano di creare tali condizioni.

Le strategie utilizzate sono in linea con i principi dell’analisi applicata del comportamento (ABA); in particolare le strategie di insegnamento enfatizzate comprendono:

  • attendere l’attenzione del bambino prima di impartire una istruzione o fornire una dimostrazione;
  • l’insegnamento deve seguire un formato ABC (Antecedent-Behavior-Consequence: Antecedente-comportamento-conseguenza);
  • utilizzare tecniche come shaping, chaining, prompting, fading e correzione degli errori per modificare le prestazioni;
  • utilizzare rinforzi preferibilmente intrinseci.

La motivazione, infatti, viene ottenuta e mantenuta seguendo l’iniziativa del bambino, alternando compiti acquisiti a compiti non acquisiti, rinforzando i tentativi, utilizzando materiale intrinsecamente rinforzante e permettendo un’alternanza nel controllo dei materiali e delle interazioni.
Il modello, inoltre, integra nelle proprie pratiche di insegnamento elementi del PRT.
L’approccio è di tipo evolutivo, che si riflette in particolare nella scelta degli obiettivi di trattamento.

  • Il TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children)

Ideato da E. Schopler nel North Carolina rappresenta il più vasto ed influente programma dedicato al trattamento dell’autismo da parte di un’agenzia statale. La caratteristica che distingue questo dagli altri trattamenti è la natura onnicomprensiva multi-disciplinare, basata sull’interazione tra servizi, operatori e famiglie.
L’approccio parte dal presupposto che l’autismo sia un disturbo irreversibile di origine organica e per questo la finalità dell’intervento deve necessariamente prefiggersi il raggiungimento dell’indipendenza e dell’inclusione sociale nella vita adulta, attraverso un insegnamento strutturato e il potenziamento dei punti di forza individuali.

I principi fondamentali dell’approccio sono:

  • l’utilizzo dei punti di forza del bambino per costruire il programma d’intervento;
  • la valutazione permanente delle capacità del bambino;
  • l’adattamento strutturale individualizzato dell’ambiente e dell’insegnamento per aiutare il bambino a comprenderne il senso, e la visualizzazione dei compiti e delle consegne per aumentarne l’indipendenza;
  • considerare i comportamenti problematici come dovuti all’incapacità del bambino di comprendere l’ambiente e le aspettative;
  • il coinvolgimento dei genitori come collaboratori fondamentali nell’équipe multidisciplinare.
  • La TED (Thérapie d’Echange et de Development)

Ideata da Lelord in Francia verso la metà degli anni ’70 e successivamente rielaborata dal gruppo di Tours, la TED si pone l’obiettivo di potenziare le abilità correlate all’intersoggettività primaria e secondaria come l’utilizzo del contatto oculare, dell’attenzione ed emozione congiunta, della capacità di iniziare intenzionalmente uno scambio comunicativo. La stimolazione di queste competenze avviene attraverso giochi e scambi con l’operatore, realizzati in un ambiente tranquillo e rassicurante e con precise sequenze temporali delle attività.

I principi che stanno alla base di questa tipologia d’intervento e che il terapista deve sempre aver presente nel lavoro con il bambino sono:

  • la Tranquillità: l’ambiente deve essere il più possibile sobrio e privo di stimoli distraenti, l’interazione è 1:1, i messaggi devono essere semplici, le attività vanno proposte una alla volta;
  • la Disponibilità all’interazione: il terapista deve offrire le occasioni affinchè il bambino possa acquisire dall’ambiente, ma anche essere attento a cogliere gli atteggiamenti di acquisizione del bambino; ogni volta che il bambino accenna anche solo per un brevissimo istante l’aggancio oculare con l’operatore o di rivolgere lo sguardo verso di lui, va incoraggiato;
  • la Reciprocità allo scambio interattivo rappresenta l’obiettivo dell’intervento, raggiunto attraverso scambi basati su gesti, mimica, gesti, vocalizzazioni ed emozioni.

L’intervento viene realizzato attraverso sedute di gioco, in un luogo (ad es. un tappeto) che viene deputato solo a questa attività. La modalità di lavoro prevede che inizialmente vengano proposte siano ripetitive, prevedibili e quindi rassicuranti, introducendo gradualmente le novità. (Bathelemy et al,1997)

Altri “strumenti” per l’intervento

La Comunicazione Alternativa Aumentativa (CAA)
Nella CAA sono racchiuse e comprese diverse metodologie d’intervento, tutte comunque finalizzate all’insegnamento di un sistema di comunicazione intersoggettiva.

Appare inoltre significativa la specificazione della scelta degli aggettivi:

  • Alternativa: sta a significare che questa modalità di comunicazione è alternativa al linguaggio verbale (ad esempio, comunicazione per immagini, linguaggio dei segni, codice BRAILLE, scrittura, ecc.), pur mantenendo inalterata la funzione comunicativa.
  • Aumentativi: rappresenta l’efficacia che questa disciplina ha ottenuto, attraverso indagini prospettiche. Infatti, tutte le diverse tipologie di CAA portano generalmente, oltre che ad una maggiore funzionalità della comunicazione, anche un globale aumento dell’utilizzo del linguaggio verbale. Questo, ovviamente, in relazione alle caratteristiche specifiche di funzionamento del bambino (ad esempio, nel caso in cui non siano presenti disfunzioni specifiche delle abilità prassiche, articolatorie o motorie dell’apparato oro-buccale)

La CAA viene in genere proposta a bambino che presentano un’assenza od un ritardo significativo della produzione e/o della comprensione linguistica-verbale, ma non solo.
Capita frequentemente che un genitore appaia preoccupato/spaventato dall’introduzione di un sistema di comunicazione alternativo a quello verbale, per il timore, in genere, che questo vada a sostituire definitivamente la possibilità di apprendere l’altro. Tuttavia, è necessario che gli operatori (logopedisti, educatori, psicologi, neuropsichiatri, ecc.) enfatizzino la valenza comunicativa i questo sistema in virtù di una maggiore funzionalità della comunicazione. A fronte di questo, ribadiamo, inoltre, che in circa il 60% dei casi trattati, emerge secondariamente anche il linguaggio verbale.

 

Ausili informatici

Una delle più recenti acquisizioni a livello d’intervento sui bambini e ragazzi con autismo, è caratterizzata dall’introduzione di sistemi ausiliari che sfruttano le recenti evoluzioni nel campo della tecnologia e dell’informatica applicata.
Generalmente, quando si parla di Autismo, viene in genere associata l’idea di bambini chiusi con difficoltà di interazione e di relazione oltre che con buone abilità sul versante visuo-spaziale.
Lo strumento tecnologico si pone dunque come un efficace mediatore dell’interazione, sfruttano preferibilmente il canale delle immagini a quello della comunicazione verbale.
Sono stati pertanto studiati e creati diversi software che possono essere utili nell’apprendimento di diverse abilità, in relazione, ovviamente, alle caratteristiche individuali del bambino, all’età cronologica e al progetto d’intervento pianificato.

Psicomotricità

Questa tipologia d’intervento viene talvolta consigliata alle famiglie nel momento in cui i bambini con autismo presentino difficoltà di pianificazione motoria.
In genere i soggetti appartenenti allo spettro autistico presentano iper o ipo responsività agli stimoli percettivi in entrata, alterazione dell’elaborazione degli stimoli e disfunzioni nella risposta (output). Spesso i genitori segnalano ad esempio che il bambino non si gira l richiamo del proprio nome (“quasi come se non sentisse”) ma che avvertono altri suoni o rumori con bassissime frequenze (un aereo che passa lontano).
Altrettanto, sul versante motorio sono frequentemente presenti difficoltà di pianificazione e attivazione motoria (funzioni esecutive), di motricità nello spazio, di percezione dello spazio e/o del tempo, di equilibrio, di atipicità posturali, ecc.
Infine sono certamente coinvolte difficoltà di riconoscimento delle proprie ed altrui emozioni oltre che di reciprocità affettiva.
Pertanto anche il lavoro di psicomotricità appare utile all’implementazione di abilità specifiche.  

 

Concludendo:

E’ fondamentale che per ogni soggetto venga individuato lo stile peculiare di apprendimento e di funzionamento globale, i suoi punti di forza e di debolezza in tutte le aree dello sviluppo, al fine di pianificare un intervento individualizzato e specificatamente orientato alla promozione delle competenze e quindi all’aumento della qualità di vita di quella persona. L’integrazione degli approcci sulla base del funzionamento specifico del bambino appare la via più completa e che ha dato maggiori risposte positive nell’intervento psico-educativo.

5) BIBLIOGRAFIA

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Imbimbo L., Costa B., Cornaglia Ferrarsi P., (a cura di), Asp... Asper... Asperger?, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2002
Crispiani P., Lavorare con l'autismo. Dalla diagnosi al trattamento, Edizioni Junior, Bergamo 2002
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Watson L.R., Lord C., Schaffer B., Schopler E., La comunicazione spontanea nell'autismo (secondo il metodo Teacch), Erickson, Trento, 1997.

 
B) COLLABORARE PER CONOSCERE: CHE COSA OSSERVARE E CHI OSSERVA
  • CARATTERISTICHE COGNITIVE E META-COGNITIVE

 

Le caratteristiche cognitive descritte in seguito sono comuni a molti soggetti con Autismo ed è molto importante tenerne conto nel momento in cui si pianificano gli obiettivi dell’intervento e s’individuano le modalità e le strategie più utili per raggiungerli:

  • buone abilità di memoria visuo-spaziale,
  • buone capacità di discriminazione visiva,
  • deficit nella memoria dichiarativa,
  • prevalenza di pensiero visivo rispetto a quello verbale,
  • prevalenza di pensiero associativo,
  • deficit di attenzione (difficoltà nell’attenzione congiunta, nell’attenzione su richiesta e nello spostamento dell’attenzione da uno stimolo all’altro, attenzione eccessiva a stimoli non rilevanti),
  • deficit di “teoria della mente” (difficoltà nel comprendere gli stati mentali degli altri, ossia i loro pensieri, opinioni, intenzioni e nell’utilizzare tali informazioni per dare significato al loro comportamento e prevedere ciò che faranno di seguito e cosa si aspettano da lui),
  • deficit delle funzioni esecutive (difficoltà a spostare l’attenzione in modo flessibile, a bilanciare le priorità, a risolvere problemi in modo pianificato e strategico considerando le possibili alternative e le risorse disponibili, monitorando il risultato ed eventualmente rivedendo il piano),
  • deficit di “coerenza centrale” (ridotta capacità di riunire insieme varie informazioni per costruire un significato globale, una visione di insieme, causata dall’eccessiva concentrazione sul dettaglio che non consente di cogliere l’”intero”).

2) MODALITÀ SENSORIALI

 

In generale profili sensoriali alterati sono spesso presenti nei soggetti con autismo e, anche se non sono indispensabili per la diagnosi, sono da considerarsi di grande importanza per il loro impatto sul modo di percepire il mondo e di comportarsi.

Modalità sensoriali peculiari:

  • Risposta anomala agli stimoli sensoriali
  • iper-reattività (ad esempio il bambino può manifestare reazioni eccessive, quali urla o coprirsi le orecchie, in seguito a stimoli sonori di bassa intensità);
  • ipo-reattività (ad esempio il bambino può non rispondere a stimoli molto intensi);
  • reattività mista (il bambino può presentare entrambe le risposte descritte sopra).

 

  • Ricerca di stimolazione sensoriale
  • visiva (ad esempio guardare i riflessi degli oggetti);
  • uditiva (ad esempio battere gli oggetti sulla superficie);
  • tattile (ad esempio passare la mano su alcuni tipi di tessitura);
  • gustativa (ad esempio leccare oggetti);
  • olfattiva (ad esempio annusare oggetti);
  • propriocettiva (ad esempio fermarsi in posture bizzarre);
  • vestibolare (ad esempio girare su se stessi, dondolarsi).

 

  • ALCUNE CARATTERISTICHE COLLEGATE ALL’ETÀ

Caratteristiche tipicamente collegate all'età sono:

0 – 36 mesi:

  • difficoltà nello stare in braccio e nel tollerare il contatto fisico (alcuni bambini lo rifiutano attivamente, altri assumono atteggiamenti passivi per cui si lasciano coinvolgere senza mostrare iniziativa né piacere),
  • mancanza di sorriso sociale,
  • mancanza di atteggiamenti anticipatori quando si cerca di prenderlo in braccio (il bambino non tende le braccia verso l’adulto),
  • mancanza di attenzione condivisa (difficoltà nel dirigere l’attenzione del bambino su un oggetto o un evento interessante),
  • mancanza di contatto visivo (sguardo sfuggente, laterale, “attraverso”),
  • scarsa risposta alla voce dei genitori,
  • linguaggio (in ricezione ed espressione) assente, in ritardo o atipico
  • movimenti stereotipati o attività ripetitive (per esempio allineare oggetti),
  • più frequenti risposte sensoriali atipiche,
  • ipotonia o iperattività, scarso senso del pericolo o scarso equilibrio,
  • scarsa pianificazione motoria,
  • difficoltà nel gioco (spesso il gioco è di tipo sensoriale ossia il bambino si limita a manipolare l'oggetto, a metterlo in bocca o ad annusarlo, con il tempo è possibile la comparsa di un gioco funzionale che tuttavia tende a rimanere di tipo ripetitivo e scarsamente creativo. Il gioco di finzione o simbolico si sviluppa raramente in maniera spontanea).

Età scolare

  • scarso interesse per i coetanei,
  • tendenza all’isolamento,
  • tendenza a prendere la mano dell'adulto per ottenere oggetti (per esempio il bambino prende la mano dell’altro senza guardarlo negli occhi e lo indirizza verso un oggetto che non riesce a raggiungere da solo),
  • ridotta o assente richiesta di partecipazione dell’altro alle proprie attività,
  • difficoltà nello sguardo diretto

 

Adolescenza

  • scarso investimento nella relazione con mancata individuazione dell’altro come figura privilegiata per condividere esperienze, interessi e attività,
  • maggiore disponibilità all'interazione; talvolta, quando l’interesse per i pari è presente, sono disfunzionali le modalità messe in atto per l’approccio ad essi,
  • ingenuità sociale (nell’autismo ad alto funzionamento),
  • repentine variazioni nei problemi di comportamento
  • maggiore impulsività
  • oscillazioni del tono dell’umore.

 

4) PUNTI DI RIFERIMENTO PER L’OSSERVAZIONE

Quanto detto evidenzia come, all’interno della categoria “autismo” o bambino “autistico”, rientrino in realtà situazioni molto diversificate ed assolutamente non riducibili ad un prototipo.
Piuttosto che parlare di autismo, quindi, bisognerebbe riferirsi ad “autismi.
Il termine, infatti, indica una molteplicità di modi diversi di vivere tale condizione; alcuni autori di matrice anglosassone, a questo proposito, parlano di “spettro autistico” per indicare l'estrema eterogeneità del disturbo e dei quadri clinici.
Certamente la conoscenza dei tratti comuni connessi alla sindrome è fondamentale come punto di partenza per l’osservazione, ma pensare a condizioni standard sarebbe deleterio, sia per la comprensione della realtà individuale, sia per la strutturazione di percorsi di aiuto e sostegno allo sviluppo. 
Al contrario, è necessario un approccio che enfatizzi la dimensione clinica, non intesa in senso “medicalizzante”, ma in quello etimologico d’incontro con la singola persona. 
L'adozione di questa prospettiva permette un approccio educativo rivolto non solo e non tanto al deficit, ma anche e soprattutto alla persona e ai suoi specifici punti di forza.
La scuola rappresenta un ambiente privilegiato per l’osservazione dei comportamenti descritti; un occhio allenato a riconoscere queste caratteristiche peculiari permette di individuare precocemente delle condizioni a rischio e segnalarle ai Servizi competenti per intraprendere, in collaborazione con loro e naturalmente con le famiglie, un percorso di presa in carico globale adeguato.

 

C) A CHI RIVOLGERSI: L’INTERVENTO DI RETE E LA COLLABORAZIONE TRA I DIFFERENTI ATTORI

Nel momento in cui, in seguito ad un’osservazione attenta del funzionamento del bambino, si riscontrino delle anomalie assimilabili a quelle sopra descritte, la scuola ha il compito di segnalarle, con tutte le accortezze necessarie, alla famiglia che può rivolgersi ai Centri Specializzati del proprio territorio.
Di seguito si riportano i recapiti di alcuni Centri per l’Autismo in Italia:

Piemonte

  • ASL 16 Mondovì - Ceva

Ambulatorio per l’autismo e i Disturbi da alterazione globale dello sviluppo psicologico
Via Torino 2, 12084 Mondovì (CN)
Tel. 0174-552033
Resp. Dr. G.M. Arduino

  • Unità Operativa autonoma di neuropsichiatria Infantile

Azienda ospedaliera
Via Spalto Marengo, 46 Alessandria
Tel. 0131 207232

Liguria

 

  • Azienda USL 5 Spezzina

Nucleo operativo di assistenza consultoriale Servizio di Psicologia, psicoterapia e Neuropsichiatria Infantile
Tel. 0187 732772
Resp. Dr Silvano Solari
e-mail: silsol@inwind.it

Lombardia

  • Azienda USL 39, Centro Terapeutico Riabilitativo

Via Vallarsa 19, Milano
Tel. 02- 5696224
Resp. Dott. E. Micheli

  • Istituto Neurologico Carlo Besta Divisione di Neurologia dello sviluppo

Via Caloria, 11 – 20133 Milano
Tel. 02 2394268
email driva@istituto-besta.it
Rif. Dr.ssa Riva

  • Associazione “La nostra famiglia”

Via Don Luigi Monza, 20
23842 Bosisio Parini (LC)
Tel. 031 877560
Resp. Dr. M. Molteni

  • Azienda Ospedaliera del Servizio Sanitario Nazionale – Lecco

Unita' Operativa di Neuropsichiatria per l'Infanzia e l'Adolescenza
Ospedale di Lecco Via dell'Eremo, 9/11 23900 LECCO
tel. Segreteria: 0341489165
e-mail: d.villani@ospedale.lecco.it 

 

  • Laboratorio sull'Autismo, Università di Pavia

Dipartimento Scienze Sanitarie Applicate e Psico-comportamentali
Tel. 0382 502627/502290 
Ref. Prof. Barale

 

Veneto

  • Policlinico Borgo Roma, Verona   

Dr. Leonardo Zoccante, Neuropsichiatria Infantile,   
tel. 045- 8074382

  • Centro Diagnosi cura e ricerca per l’autismo Azienda USL 20

Via Monte Novegno, 4 – Verona
Tel. 045 8301048
Resp. Dr. Brighenti

  • Servizio NPI Ospedale Ca’ Foncello Treviso

Tel: 0422 323251 - 0422 580261

Emilia Romagna

 

  • Azienda USL Bologna Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile

Distretto S.Stefano-Savena
Unità di valutazione e trattamento per i disturbi generalizzati dello sviluppo
Strada Maggiore, 35 - 40100 Bologna
Tel 051 6457411     fax 051 6457588
e-mail: Paola.Visconti@ausl.bologna.it
Resp. Dott.ssa Paola Visconti

  • Azienda USL di Rimini Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile

Centro Autismo e Disturbi dello Sviluppo
Via Massimo D’Azeglio, 13 - 47900 Rimini
tel e fax 0541 21498
e-mail centroautismo@libero.it
Resp. Dott. F. Nardocci

  • Azienda USL Reggio Emilia Settore di Neuropsichiatria Infantile

Centro Diagnosi Cura e Ricerca per l'Autismo e i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo
Via Amendola, 2 – 42100 Reggio Emilia
tel. 0522 335600 – 335599   Fax. 0522 335597
Resp. Dr.ssa A.M. Dalla Vecchia

Toscana

  • Azienda Ospedaliera Senese - Servizio di Neuropsichiatria Infantile

Viale Bracci “Le Scotte”, 53100 Siena
Tel 0577 586585
Resp. Prof. M. Zappella

  • Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale di Prato

Tel e fax 0574 434214

  • Fondazione "Stella Maris" Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS)

Sede dell'Unità Operativa Universitaria di Neuropsichiatria Infantile
Viale del Tirreno 331 - 56018 Calambrone (Pisa)
Tel. 050 886111 -  Fax 050 32214
Resp. Prof. Pfanner

Lazio

 

  • Associazione Anni Verdi, Centro Sperimentale per l'Autismo

Via Silvio Sbricoli, 8, 00148   Roma
tel. 06-5582229 - 06-65000063  - Numero verde 800 425010

  • Istituto di Neuropsichiatria Infantile

Via Dei Sabelli 108 -  00185 Roma
Tel. 06 44712225
Resp. Prof. G. Levi 

  • Servizio per l'autismo e i disturbi dello sviluppo dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile del Policlinico di Roma Tor Vergata

tel 06 41400129 – 165

Campania

 

  • Centro Futura, Nola (NA)

tel . 081-5289801

  • Policlinico Napoli Tel. 081-5666692 Servizio Neuropsichiatria Infantile  

Tel.0823-232034
e-mail: roberto.militerni@unina2.it

 

Calabria

 

  • Neuropsichiatria Infantile, Crotone

el. 0962-924827

Puglia

 

  • Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari, U.O. di Neuropsichiatria Infantile, P.zza G. Cesare, 88 – 70100 Bari

Tel. 080/5478520
e-mail

  • Azienda Ospedaliera "Di Venere-Giovanni XXIII" presidio "Giovanni XXIII" unita' operativa di neurologia, via amendola 207, 70100 Bari  

tel. 080/5015584
e-mail: bitetto-tricarico@libero.it

  • Neuropsichiatria Infantile Ospedali Riuniti – Foggia

tel.0881.732363, 0881.732364    
fax: 0881.732305

Sicilia

 

  • Azienda USL 9 Unità operativa di neuropsichiatria infantile

Via Capuana, 10 – 91011 Alcamo (TP)
Rif. Dr. P. Martines

  • OASI Maria Santissima, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS)

Via Conte Ruggiero, 76 -  94018 Troina (EN)
Tel 0935 653438  -  fax 0935-653327
Rif. Dott. M. Elia
e.mail  -  melia@oasi.en.it  arandelli@oasi.en.it 
www.oasi.en.it

  • Centro per l'Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo presso il reparto di NPI

del nuovo Ospedale S. Marta e S.Venera di Acireale
Ospedale S.Marta e S.Venera Acireale (Az. USL 3 Catania) via Caronia s.n.
95024 Acireale CT
tel. 095-7677125
e-mail resi@inwind.it

Osp. Aiuto Materno, Palermo
tel. 091-7035431

 

Sardegna

Neuropsichiatria Infantile, Cagliari
e.mail azuddas@unica.it

 

 

D) LE FINALITA’ DELLA SCUOLA:
APPRENDIMENTO, GENERALIZZAZIONE E INTEGRAZIONE

[…] “Il gusto di educare, scrive Irene Veronesi nel libro che raccoglie il lavoro di Sergio Neri, comporta l’assunzione di responsabilità nei confronti di chi cresce. Chi assume tali responsabilità educative incontra problemi che spesso non sono compresi immediatamente. Hanno bisogno di un tempo che va protetto e di una metodologia che mantenga attiva non solo la relazione con un soggetto ma l’attenzione ad un contesto istituzionale, sociale, culturale. Sergio Neri ha lavorato attraversando diverse istituzioni e mantenendo quella che abbiamo chiamato la memoria di un progetto. Questo significa avere una meta da raggiungere: non farla diventare un’ossessione, saperla continuamente verificare e quindi riformularla in rapporto alla realtà e alle sue esigenze, sapendola anche conservare affinché non sia cancellata continuamente dalle stagioni della moda, dalle emergenze, dagli spintoni che la storia può dare a un personaggio, come a tutti noi”[…] (I.Veronesi, pp.7-8, 2006).

Avere una meta da raggiungere suggerisce Sergio Neri, la memoria di un progetto ed una metodologia che permetta di costruire un azione stabile e verificabile nel tempo.  Il compito della scuola consiste nel costruire insieme ai suoi studenti percorsi  di apprendimento formale ed informale fuori e dentro la scuola capaci di favorire lo sviluppo di un progetto e percorso di vita che aiuti a realizzare lo statuto di persona adulta anche se disabile o nonostante la disabilità o in presenza di abilità differenti. La scuola deve sicuramente perseguire, anche per l’allievo con autismo, la finalità di promuovere processi d’apprendimento significativi.  Per tale scopo deve necessariamente  fare riferimento ad una didattica speciale di qualità, che si fondi sulle conoscenze disponibili circa l’efficacia di vari modelli di intervento, ma che non si fermi ad essi: se da un lato è necessario considerare l’esistenza di una serie di approcci strutturati che hanno abbondantemente dimostrato la loro efficacia, dall’altro si deve avere la consapevolezza che l’educatore non può trasformarsi in uno pseudoterapista, con il rischio di proporre solo modelli di lavoro emarginanti. Questa perentoria affermazione non deve comunque portare alla giustificazione di approcci centrati su una vuota ricerca di socializzazione in presenza. La frequenza del contesto integrato da parte dell’allievo con autismo, necessita, molto più di quanto avvenga per altre tipologie di deficit, di essere preparata anche attraverso lavori individualizzati condotti fuori dalla classe, ma l’obiettivo deve comunque rimanere quello dell’inclusione. E’ opportuno riconoscere come non esista una terapia o un metodo per l'autismo, anche in considerazione della variabilità delle situazioni che vengono comprese all'interno di tale etichetta diagnostica.  A questo proposito, è necessario adottare un approccio critico, flessibile e personalizzato in quanto non esiste un singolo 'miglior' trattamento per tutti gli allievi con autismo. E’ evidente, però, come alcuni approcci abbiano dimostrato la loro efficacia attraverso ripetute sperimentazioni e applicazioni.
Non avendo a disposizione una cura, quindi, dobbiamo fare riferimento ad un sistema integrato di interventi per ridurre la disabilità (nella prospettiva indicata dalla logica della Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute promossa dall’OMS nel 2002) e facilitare proficue esperienze di vita sociale integrata. La frequenza della scuola comune rappresenta, a questo proposito, un momento di fondamentale importanza, carico di prospettive di sviluppo potenzialmente molto significative.  E' necessario però, un approccio didattico "speciale", in grado di rispondere ai bisogni molto particolari del bambino con autismo. Le parole –chiave dell’intervento educativo con un bambino con autismo sono: osservazione, conoscenza, pianificazione, flessibilità, prevedibilità, condivisione.
Osservazione: La costruzione di un intervento richiede un processo di conoscenza e di raccolta di informazioni che può richiedere tempo. L’osservazione del bambino nel contesto scuola – fuori o dentro la classe è fondamentale per poter calibrare l’intervento.
Conoscenza: E’ consigliabile che l’intervento educativo proceda da una conoscenza analitica e specifica della situazione e delle reali (non presunte) possibilità di azione in quel contesto specifico. A tal fine è utile conoscere la storia clinica ed evolutiva del bambino raccogliendo le informazioni in differenti contesti e da differenti attori ( bambino, famiglia, centro specializzato, scuola…) i differenti e molteplici approcci ( tramite supporto di specialisti – neurospichiatri, opsicologi, educatori..) per integrarli negli apprendimenti e nelle attività predisposte per e con il gruppo classe.
Pianificazione: E’ buona regola pianificare in anticipo l’intervento educativo per evitare rischi di generalizzazione e superficialità che potrebbero escludere a priori qualsiasi intervento di inclusione. Gli apprendimenti dovrebbero essere pianificati in relazione ai bisogni e alla situazione specifica della famiglia e del bambino pianificando, inoltre, le azioni dei differenti attori del progetto per evitare sovrapposizioni.
Flessibilità: Il progetto psico-educativo dovrebbero essere flessibile e modificabile in relazione anche con le risorse della classe e della scuola. La flessibilità implica anche la capacità di adeguarsi alle caratteristiche del bambino e ai suoi processi evolutivi.
Prevedibilità: Per migliorare le abilità è fondamentale rendere prevedibili le azioni educative.

Condivisione: E’ consigliabile che il progetto educativo venga condiviso e supportato da tutte le agenzie del territorio che intervengono sul bambino. Ciascuna figura professionale è opportuno che mantenga il proprio ruolo e competenza specifica per migliorare la collaborazione. E’ opportuno coinvolgere la famiglia, rispettarla e ricercare una proficua collaborazione. La famiglia è il primo luogo educativo e può fornire indicazioni molto utili.

 

E) INTEGRAZIONE A SCUOLA: IL PROGRAMMA DI INTERVENTO

 

1. PUNTI DI FORZA E PUNTI DI DEBOLEZZA 

Il punto centrale sul quale porre l’attenzione è la diversità qualitativa, prima ancora di quella quantitativa, la quale tende ora ad assumere contorni meno nebulosi, grazie al progredire della ricerca e alle lucide e stupefacenti descrizioni che in questi ultimi anni sono state fatte direttamente da persone con autismo, le quali sono state definite, secondo una terminologia coniata in ambito anglosassone, ad “alta funzionalità”.  Molto significativo, a questo proposito, un pensiero di Jim Sinclair, un ragazzo con autismo di grande intelligenza che ha scritto un capitolo di rilevante spessore nel libro di Schopler e Mesibov dedicato alle persone autistiche ad "alta funzionalità" (Schopler e Mesibov, 1992).

Essere autistici non significa non essere umani, ma essere diversi.  Quello che è normale per altre persone non è normale per me e quello che io ritengo normale non lo è per gli altri. In un certo senso sono mal equipaggiato per sopravvivere in questo mondo, come un extraterrestre che si sia perso senza un manuale per sapere come orientarsi. Ma la mia personalità è rimasta intatta. La mia individualità non è danneggiata. Ritrovo un grande valore e significato nella vita e non desidero essere guarito da me stesso.
Concedetemi la dignità di ritrovare me stesso nei modi che desidero; riconoscete che siamo diversi l’uno dall’altro, che il mio modo di essere non è soltanto una versione guasta del vostro.  Interrogatevi sulle vostre convinzioni, definite le vostre posizioni. 
Lavorate con me per costruire ponti tra noi”.

Esistono, quindi, negli allievi affetti da disturbo autistico abilità sicuramente deficitarie, le quali si connettono, però, con competenze apparentemente sorprendenti in varie funzioni (punti di forza e di debolezza) che riguardano:

  • la percezione, l’attenzione e la motricità;
  • la memoria e l’intelligenza;
  • la comunicazione e il linguaggio;
  • l’affettività, le emozioni e la socialità.

Quanto detto evidenzia come nell'etichetta di autismo, o di bambino con disturbo autistico, rientrino in realtà situazioni molto particolareggiate ed assolutamente non riducibili all'unità o ad un prototipo.  Per tali ragioni, è opportuno ri sottolineare che Il termine autismo, infatti, andrebbe proposto o in relazione alla singola situazione o al plurale, essendoci modi diversi di vivere la condizione dell'autismo. Alcuni autori di matrice anglosassone parlano di spettro autistico per indicare l'estrema variabilità individuale che si cela sotto un'etichetta diagnostica.
Certamente la conoscenza dei tratti comuni connessi alla sindrome è importante, ma pensare a condizioni standard sarebbe deleterio sia per la comprensione della realtà individuale, sia per la strutturazione di percorsi di aiuto e sostegno allo sviluppo.  Al contrario, è necessario un approccio che enfatizzi la dimensione clinica, non intesa nel senso medicalizzante, ma in quello etimologico di incontro con la persona singola.  L'adozione di questa prospettiva porta a vedere nell'approccio educativo, che si rivolge alla persona, al bambino e non solo al suo deficit, la strada più feconda e promettente.

2. PROBLEMATICHE CHE SI POSSONO INCONTRARE A SCUOLA

Per la scuola il bambino con autismo può rappresentare una sfida in diversi ambiti.
Gli ostacoli (e le sfide) principali riguardano: l’apprendimento, la socializzazione, i problemi di comportamento.

Apprendimento

L’apprendimento dipenderà:

  1. per quanto riguarda il bambino,  dal suo livello cognitivo, dalla sua capacità di prestare attenzione, di comprendere la comunicazione verbale e non verbale, di tollerare determinati stimoli.
  2. per quanto riguarda la scuola, dall’adeguatezza dei contenuti in base alle caratteristiche del bambino, dalla maggiore o minore presenza di stimoli nell’aula, dall’organizzazione dello spazio, dall’accuratezza con cui è stato stilato il P.E.I. sulla base della valutazione iniziale e dalla presenza di competenze specifiche sull’autismo degli insegnanti.

Quanto l’apprendimento sarà un problema dipenderà, quindi, non solo dalle caratteristiche del bambino e del disturbo, ma anche dalle competenze specifiche degli insegnanti e dalle strategie educative utilizzate.

 

Socializzazione

La socializzazione rappresenta uno dei problemi principali dei bambini con disturbi dello spettro autistico. Le difficoltà nell’interazione sociale rappresentano il nucleo dell’autismo. Il bambino potrà essere isolato oppure cercare insistentemente l’altro, mettere in atto comportamenti bizzarri nell’interazione o evitare sistematicamente il contatto con i propri compagni. Potrà essere molto diverso a seconda che si trovi in un contesto in cui è solo con l’insegnante, in un piccolissimo gruppo o in un grande gruppo. Probabilmente in comportamento sarà più adeguato nel rapporto uno-a-uno e nel piccolo gruppo (due o tre bambini) mentre potrà essere molto a disagio nel grande gruppo, soprattutto se soffre di problemi sensoriali (fastidio per i rumori, per la confusione, per il troppo movimento, per la temperatura o la luminosità dell’aula).
Anche l’espressione delle competenze sociali dipenderà quindi, oltre che dalle caratteristiche del bambino e del disturbo, anche da quanto sarà strutturata la situazione in cui si trova, dalle dimensioni del gruppo e, in generale, dagli stimoli presenti nell’ambiente.
Problemi di comportamento
I problemi di comportamento rappresentano un'altra importante sfida per gli insegnanti.
Tali problemi possono manifestarsi in vari modi: oppositività al lavoro proposto, mancato rispetto delle regole della classe, crisi di collera, aggressività, autolesionismo, comportamento distruttivo, rituali che disturbano/condizionano il lavoro degli altri compagni e altri ancora.
L’intervento sui problemi di comportamento deve tenere conto del fatto che nella quasi totalità dei casi essi hanno un significato, un fine e possono essere determinati da:

  1. risposte sensoriali anomale a determinati stimoli ambientali (rumore, luminosità, calore, confusione)
  2. proposte didattiche non adeguate alle caratteristiche del bambino: rispetto al contenuto (per esempio troppo difficile o, in una minoranza di casi, troppo facile) e/o alla forma (l’istruzione verbale di un’attività può risultare più difficile da comprendere rispetto ad un’attività auto-esplicativa o con spiegazione espressa visivamente)
  3. difficoltà nella comunicazione, sia rispetto alla comprensione che all'espressione adeguata dei propri bisogni e stati d’animo.

 

Tale elenco, naturalmente, è da ritenersi orientativo e non esaustivo delle possibili cause che possono portare all’attivazione di un comportamento disadattivo.
Per affrontare in modo razionale ed efficace i problemi di comportamento, tenendo conto delle evidenze della ricerca scientifica, è necessario fare una precisa Analisi Funzionale del comportamento problema (vedi bibliografia) e agire o sugli antecedenti (situazione precedente al comportamento) o sulle conseguenze (ciò che accade dopo).

3. STRATEGIE DI LAVORO E PRINCIPI GUIDA

Non esiste ancora “il trattamento” che risponde alla complessità dell’autismo. La pervasività del disordine, la molteplicità dei quadri clinici e la cronicità del disturbo richiedono l’integrazione di varie metodologie in un approccio multidisciplinare: il programma abilitativo deve necessariamente essere individualizzato e tarato sulle caratteristiche di ciascun bambino, in base al livello cognitivo, all’età, al funzionamento neuropsicologico, alle abilità presenti e potenziali e, non da ultimo, ai bisogni espressi dalla famiglia.
Il modello di intervento abilitativo al momento più validato dalla letteratura internazionale è quello psico-educativo con approccio cognitivo-comportamentale.
Tale programma deve essere il più possibile precoce (tra i 2 e i 4 anni di età), intensivo (20 o più ore settimanali), pianificato e condiviso con la famiglia e deve, per una maggiore efficacia dei risultati, riguardare tutti gli ambiti di vita del bambino e di conseguenza anche la scuola.

I principi guida per il trattamento

  • L’intervento deve essere individualizzato, basato sui punti di forza e di debolezza della persona, individuati attraverso una valutazione accurata del profilo di sviluppo realizzata dal Centro di competenza.
  • Le strategie di intervento devono essere basate sulle abilità e sugli interessi della persona: partendo dagli interessi specifici di ogni bambino è possibile infatti proporre nuovi apprendimenti che gli possano essere utili nel vivere quotidiano.
  • È necessario che tutti gli operatori conoscano in maniera approfondita le caratteristiche dell'autismo ma anche quelle dello sviluppo tipico
  • È necessario individuare obiettivi a breve, medio e lungo termine, che siano fruibili nella vita quotidiana del bambino, tenendo presente che, in generale, la finalità di un progetto terapeutico deve essere quella di favorire l’adattamento del soggetto al suo ambiente naturale e di garantire una soddisfacente qualità della vita al bambino/ragazzo e alla sua famiglia. Perciò sarà necessario prevedere, accanto ad attività di tipo cognitivo al tavolo, lavori specifici sulla comunicazione (utilizzo funzionale di strategie convenzionali o alternative per la comunicazione sia in comprensione che in produzione), sulle abilità sociali e sulla gestione/organizzazione autonoma del proprio tempo libero.
  • E’ fortemente consigliato l'utilizzo di pratiche supportate dalla ricerca
  • E’ fondamentale che vi sia coerenza e collaborazione tra tutte le persone (operatori e famiglia) che si occupano del bambino.

 

Indipendentemente da ciò che si insegna (apprendimenti scolastici, attività cognitive, abilità di autonomia personale...) è importante seguire alcune strategie:

Strategie nell’organizzazione del lavoro

1) La strutturazione
La persona con autismo ha bisogno di una strutturazione dell’ambiente per rassicurarsi, l’ansia diminuisce quando si sa esattamente che cosa ci si aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo e che cosa accadrà in seguito. La strutturazione non deve significare rigidità, deve essere anzi flessibile, costruita in funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino.
La strutturazione dello spazio prevede che l’ambiente di lavoro possa essere organizzato in spazi e ambienti ben delimitati visivamente, ognuno con caratteristiche definite e comprensibili. Nello spazio a disposizione dovrebbero essere predisposti ambienti diversi, organizzati in modo tale che si differiscano per le attività che si andranno a svolgere: per esempio in una classe potrebbe esserci uno spazio per il lavoro al tavolo ed uno spazio per il gioco (per esempio un tappeto morbido con dei giocattoli) contrassegnati da simbolo distintivi. L’angolo di lavoro di solito è organizzato con un banco affiancato da due tavoli disposti perpendicolarmente su cui predisporre, a sinistra, il materiale di lavoro da eseguire, a destra, quello già completato.
La strutturazione del tempo prevede l’organizzazione della giornata in modo tale che il bambino in ogni momento sappia ciò che sta accadendo, che è accaduto e che accadrà; in questo modo si aumenta la prevedibilità e il controllo della situazione e si diminuisce l’incertezza che è fonte di ansia. Ogni bambino disporrà di un suo programma giornaliero, costituito da una sequenza di oggetti e/o immagini e/o parole, a seconda delle sue abilità, ordinati dall’alto verso il basso.
La strutturazione del materiale di lavoro per il bambino significa avere chiaro che cosa deve fare. Il lavoro deve essere presentato in modo esplicito: ogni compito è disposto in una scatola su uno scaffale, ogni scatola è contrassegnata da un simbolo specifico che il bambino imparerà a collegare a quello specifico compito (una lettera, un colore, un disegno). È’ importante presentare il compito in modo tale che sia auto-esplicativo, ossia che “si spieghi da sé”, con l’obiettivo di permettere al bambino di svolgerlo in autonomia. Una volta che il compito sarà terminato il bambino lo riporrà nella scatola che metterà in un altro scaffale. All’inizio il bambino avrà bisogno di aiuti da parte dell’operatore che andranno progressivamente diminuiti.

2) Le istruzioni
Anche il modo in cui si forniscono istruzioni è importante: prima di impartire un’istruzione occorre ottenere l’attenzione del bambino (per esempio chiamandolo per nome, cercando il contatto visivo, toccandolo): l’informazione che segue dovrebbe essere chiara, concisa, espressa in modo affermativo e data una sola volta. È altresì importante utilizzare sempre la stessa formula per chiedere la stessa cosa: una variazione nella forma potrebbe essere percepita dal bambino come una richiesta diversa.

3) La generalizzazione del compito
Il bambino autismo tende ad associare l’apprendimento ad una specifica situazione o ambiente, mentre fatica a mettere in atto il medesimo comportamento in contesti diversi. Sarà necessario attraverso la collaborazione con genitori e insegnanti, estendere le competenze apprese in una situazione anche ad altri contesti.

 

4) L’utilizzo di ausili visivi
Tenendo in considerazione le caratteristiche cognitive sopra descritte, sarà opportuno utilizzare ausili visivi come supporto agli apprendimenti. Naturalmente il tipo di ausilio visivo deve essere scelto in relazione al livello di sviluppo del bambino: si utilizzeranno progressivamente oggetti, fotografie degli spazi e/o delle persone, schede con immagini in sequenza delle attività, visualizzazione delle regole della scuola che possano permettere al bambino di capire che cosa dovrà fare. Le guide visive assumono grande valore rispetto alla comunicazione/indicazione di attività sia in produzione che in comprensione.

5) Come motivare il bambino ad apprendere (utilizzo di rinforzi e aiuti)
Per un bambino con autismo, apprendere non è un’attività semplice: ciò che motiva la maggioranza dei bambini (come essere lodato dai genitori, imitare i compagni, fare bene un compito…) spesso non funziona, perciò diventa necessario identificare ed utilizzare premi estrinseci (i rinforzi) per motivarli a prestare attenzione e svolgere l’attività. Tali rinforzi dovrebbero essere, almeno inizialmente, concreti (per esempio: accesso ad attività o a giochi graditi…), strettamente collegati nel tempo all’esecuzione del compito e individuati per ogni singolo bambino a seconda delle sue preferenze. In una fase successiva la soddisfazione nel riuscire da solo a svolgere il compito potrebbe essere il rinforzo più adeguato. Anche gli aiuti nello svolgimento di un’attività dovrebbero essere utilizzati in modo funzionale e gradualmente diminuiti fino ad estinguersi. Il grado maggiore di aiuto è la guida fisica: ad esempio l’operatore accompagna con la sua mano quella del bambino nello svolgimento di un compito, il gesto deve avere valenza esplicativa e non deve essere costrizione. Aiuti gradualmente meno intrusivi sono rappresentati dall’indicazione (indicare la risposta giusta), dall’aiuto di posizione (mettere più vicino al bambino l’oggetto), di imitazione (dimostrare in pratica come eseguire il compito) e dall’aiuto verbale (“Apprendimento senza errori”).
Infine la rappresentazione del compito attraverso una serie d’immagini che ne illustrano le tappe, costituisce il tipo di aiuto più conciliabile con l’autonomia di lavoro.

 

6) L’individuazione di obiettivi a breve e lungo termine

Per insegnare un’abilità complessa occorre suddividerla in una serie di passi più piccoli (analisi del compito) che aumentano la probabilità di favorirne l’apprendimento. Per effettuare l’analisi del compito occorre prestare attenzione all’abilità (per esempio lavarsi le mani) e scrivere tutti i passi specifici che sono necessari per completarla (per esempio: aprire l’acqua, mettere le mani sotto, prendere il sapone…); a questo punto è possibile procedere secondo due metodi: il concatenamento anterogrado e retrogrado. Il concatenamento anterogrado comincia insegnando la prima prestazione della serie e intervenendo con aiuti fisici per le successive; una volta acquisita la prima, si procede con la seconda mantenendo la guida per le rimanenti. Il concatenamento retrogrado agisce al contrario: l’insegnamento comincia con l’ultima abilità prevista fino ad arrivare alla prima.

7) L’organizzazione del PEI
Il PEI dovrebbe prevedere l’organizzazione di tempo dedicato ad attività individuali (in rapporto uno–a–uno) e di tempo dedicato ad attività in gruppo. Il coinvolgimento dei compagni e l’uso di un piccolo gruppo (di dimensioni tali da consentire la migliore socializzazione possibile per il bambino) sono elementi centrali di un percorso di integrazione. Tuttavia, affinché queste attività favoriscano lo sviluppo sociale del bambino con autismo, devono essere accuratamente programmate e strutturate, attribuendo un ruolo specifico tanto al bambino con autismo quanto ai compagni. Attività di inclusione non programmate e non basate sulle necessità del bambino sono dannose nella maggior parte dei casi.

8) L’aggiornamento periodico della valutazione
Sarebbe auspicabile una verifica periodica degli obiettivi prefissati e dei risultati raggiunti: l’eventuale mancanza di progressi negli obiettivi individuati dovrebbe portare alla ridefinizione degli stessi e/o ad un cambiamento dei metodi utilizzati e/o dell’intensità dell’intervento educativo-didattico.

 

9) L’organizzazione di colloqui con la famiglia e gli operatori di conoscenza
La peculiarità e originalità di ogni studente con autismo richiede la collaborazione dei differenti attori che costruiscono il progetto educativo / di Vita. La famiglia è il principale attore con il quale costruire una buona collaborazione, al fine di conoscere meglio lo studente e di costruire insieme il programma di lavoro.

10) La presentazione del bambino in collaborazione con la famiglia e con i Servizi che l’hanno in carico prima di ogni nuovo inserimento
L’ingresso a scuola di un bambino con autismo è utile che sia preceduto da almeno un incontro di conoscenza (durante il quale programmare anche successivi momenti di verifica comuni) fra gli operatori del territorio e gli insegnanti che avranno il compito di realizzare il progetto di integrazione a scuola. La migliore conoscenza del bambino permette agli insegnanti di raccogliere informazioni utili circa i punti di forza e di debolezza, di conoscere l’organizzazione delle abitudini di vita, impostare il piano di lavoro,  ridurre eventuali stereotipi e pregiudizi che rischierebbero di inficiare la buona riuscita dell’intervento.

  • RUOLO DEI COMPAGNI DI CLASSE

 

Vivere a scuola con i compagni a sviluppo tipico rappresenta un'occasione unica per ricercare apprendimenti funzionali, per comprendere meglio il mondo e le sue regole e per generalizzare apprendimenti acquisiti in ambito riabilitativo. Il contesto scolastico, inoltre, rappresenta spesso l'unico ambiente che il bambino divide/condivide con i pari e diventa quindi un terreno essenziale di esperienza. L'integrazione scolastica del bambino con autismo è, e rimane, un obiettivo irrinunciabile e di grande valenza adattiva.
Malgrado l'oggettiva difficoltà di una integrazione scolastica totale o parziale, occorre tentare in ogni modo di realizzarla anche se il bambino presenta livelli elevati di compromissione cognitiva, comportamentale e relazionale.
Per fare ciò diventa necessario un adattamento organizzativo della scuola, un investimento di risorse, un coinvolgimento di tutte le figure che operano attorno al bambino e l'adozione di metodologie specifiche di facilitazione di questo complesso processo.

LE RACCOMANDAZIONI

PRIMA COSA ESSERE FLESSIBILI
L'integrazione del bambino con autismo nella scuola di tutti, infatti, può essere praticata solo in una istituzione rinnovata, che faccia della flessibilità organizzativa e della messa in rete di tutte le risorse umane e materiali una modalità costante di lavoro.  Parlare di integrazione possibile, quindi, non significa pensare ad una scuola organizzata in maniera tradizionale, sempre uguale a se stessa; al contrario, il processo di inclusione dell’allievo con autismo richiede notevoli adattamenti e porta a ritenere che niente possa rimanere com’era.
La normativa relativa all’autonomia degli istituti scolastici (DPR 275/99) autorizza e sollecita questa flessibilità attraverso:

  • la promozione di  percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni;
  • il riconoscimento e la valorizzazione della diversità;
  • la valorizzazione delle  potenzialità di ciascuno;
  • l’adozione di tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo;
  • la regolazione dei tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline ed attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni;
  • l’adozione di  forme di flessibilità dell'organizzazione educativa e didattica;
  • l’attivazione di iniziative di recupero e sostegno, continuità, orientamento.

LA SCELTA DEGLI AMBIENTI
Per favorire l’integrazione dell’allievo con disturbo autistico è molto importante la scelta degli ambienti. Ci si riferisce, innanzitutto, alla necessità di prevedere delle classi nelle quali gli spazi di lavoro non siano rappresentati solo dalla cattedra e dai banchi, ma dove ci siano anche altri luoghi in cui svolgere attività didattiche. Ad esempio: possono essere previsti spazi per la lettura individuale, per il lavoro al computer, per i lavori manuali, per le ricerche, ecc..

IL PERSONALE EDUCATIVO
E’ fondamentale che il dirigente scolastico metta in condizione il personale docente di poter accedere a corsi di formazione specifica e agevoli il processo di aggiornamento per tutto il personale docente e per gli insegnanti specializzati per il sostegno.
Il dirigente scolastico ha il compito di promuovere la formazione continua per il personale docente e specifica per l’insegnante di sostegno.
La formazione del personale scolastico, attraverso corsi specifici e professionalizzanti, è fondamentale. La realizzazione di un progetto di integrazione scolastica, non è compito solo dell’insegnante per il sostegno o dell’educatore, ma necessita della collaborazione e della  conoscenza di tutti gli operatori scolastici.

VERSO UN LAVORO DI RETE
La costruzione di un progetto educativo individualizzato a scuola necessita della collaborazione dei differenti attori che operano nel territorio. In particolare, l’insegnante specializzato per il sostegno dovrebbe assumere il ruolo di figura di sistema all’interno della scuola per costruire la rete di collaborazioni, in particolare:

  • Con gli operatori centri specializzati di riferimento o operatori dei servizi territoriali che seguono il progetto di vita dello studente al fine di:
  • ricevere utili informazioni e suggerimenti per migliorare il lavoro in classe;
  • definire in modo congiunto il progetto e le azioni da svolgere ;
  • impostare i momenti di verifica e valutazione dell’intervento;
  • avviare momenti di confronto per gestire le eventuali difficoltà e crisi.

 

 

  • Con la famiglia e lo studente con autismo al fine di:
  • raccogliere informazioni sulle abitudini di vita (organizzazione della giornata, abitudini, ritualità, competenze, abilità, difficoltà, eventuali comportamenti problema…);
  • avviare un processo di conoscenza reciproco e concordare un programma comune;
  • definire periodici momenti di verifica del lavoro svolto;
  • essere aggiornato sulle azioni svolte fuori dalla scuola.
  • Con i Centri di Documentazione per l’integrazione al fine di:
  • migliorare le competenze nella prospettiva di un aggiornamento continuo;
  • conoscere la mappa delle risorse del territorio per avviare utili collaborazioni.

 

LIVELLO METODOLOGICO-DIDATTICO

La chiave per un trattamento efficace dell’autismo è l’educazione, che si realizza in modo più efficace se copre tutto l’arco della vita della persona, dai primi anni all’età adulta.
Il P.E.I. per il bambino con autismo terrà in considerazione le aree problematiche nell’interazione, comunicazione e immaginazione del soggetto, il suo grado di autonomia e la sua situazione di salute, e a partire da questi presupposti definirà gli obiettivi da raggiungere, differenziandoli in base alla previsione di raggiungimento: a breve, medio o lungo termine.
Questo lavoro può partire soltanto dopo un’attenta e prolungata osservazione del bambino in situazioni diverse: nel gioco, nell’attività con l’educatrice o l’insegnante di sostegno, con i genitori, in situazioni più o meno strutturate.
In seguito all’osservazione del soggetto, si procederà ad organizzare spazi e tempi nei quali attuare il progetto in relazione alle caratteristiche peculiari del bambino. In molti casi aiuta partire da ciò che è a lui familiare: ad esempio, se è terrorizzato dalla classe perché luogo sconosciuto e pieno di estranei, ma si sente a suo agio in cucina, perché lo riconosce come spazio organizzato in modo simile a come è a casa, il progetto potrà partire spendendo una parte del tempo in questo luogo, magari insieme a uno o due compagni – tutor, che accompagneranno poi il bambino con autismo alla scoperta della scuola e in particolare della classe.
Il progetto deve tenere conto anche degli interessi del soggetto e di ciò che egli desidera fare, per trovare uno stato di benessere ed equilibrio. Alcuni bambini trovano rassicurante il contatto con l’acqua, per loro può essere appropriata un’attività in piscina; ad altri piace la musica, che si può sfruttare in molti modi: ascoltandola, suonando strumenti musicali, cantando…
Lo spazio in cui il bambino si muove dovrà essere adeguato alla tipologia dell’attività richiesta, al tempo in cui il bambino vive quello spazio e ai materiali che gli sarà chiesto di usare. Ci sono vari modi per aiutare il bambino a fare questi collegamenti fra spazio, tempo e materiali, ad esempio tramite cartelloni, ruote del tempo, oggetti manipolabili presentati in sequenza. La modalità meno difficoltosa e più immediata per un bambino con autismo è quella iconografica e tattile.

Per quanto riguarda il processo di insegnamento – apprendimento, anch’esso dovrà basarsi sulle effettive capacità del bambino: gli obiettivi definiti saranno prevalentemente a breve termine, tante piccole tappe che si succederanno tendendo ai fini primari del P.E.I. concordato. Gli obiettivi a lungo termine riguarderanno le aree dell’apprendimento logico, dell’interazione e della comunicazione sociale, dell’autonomia. La formazione del soggetto autistico, articolandosi su di un P.E.I. periodicamente aggiornato, non dovrà terminare con la scolarizzazione, col raggiungimento dell’età adulta, ma continuare, in quanto è nella fase successiva all’adolescente che la persona, raggiunto un livello accettabile di abilità sociali, diventa progressivamente più recettiva all’apprendimento.

DENTRO O FUORI DELLA CLASSE?
Sostenere che l’allievo debba stare sempre in classe perché questa è la logica dell’integrazione o, al contrario, che non possa starci in quanto le attività che si svolgono non sono adatte al suo livello di competenze, è un modo assolutamente inadeguato di porre il problema, anche se ancora presente nei dibattiti che si conducono in vari contesti.
Per uscire da una dimensione fortemente connotata da posizioni ideologiche su questo tema è necessario considerare tre aspetti:

  • l’esigenza di una programmazione congiunta fra insegnanti curricolari e di sostegno alla ricerca di punti di contatto,
  • la possibilità di avvicinare gli obiettivi e di partecipare a quella che viene definita la “cultura del compito”;
  • la prospettiva di svolgere attività personalizzate all’interno o all’esterno della classe.

Alla luce di questi aspetti e facendo riferimento all’esigenza di flessibilità di cui si diceva, si possono prevedere situazioni anche molto diverse fra loro, in considerazione dei bisogni degli allievi.

ORGANIZZARE
Per promuovere adeguatamente l’integrazione è necessario organizzare adeguatamente i tempi, gli ambienti di lavoro, i materiali e, soprattutto, il personale, per rispondere ai bisogni speciali degli allievi con disturbo autistico.  Non è ammissibile che la risposta delle scuole sia ancora così frequentemente nel segno dell’impossibilità a gestire il rapporto in assenza di condizioni di “copertura” o, meglio ancora, di separazione completa.  Con questa affermazione non si vuol negare l’esigenza, assolutamente centrale, di prevedere l’insegnante specializzato per il sostegno con un rapporto 1 a 1 per allievi con autismo, ma si intende contrastare la tendenza a subire la situazione e ad affrontarla solo con un atteggiamento orientato al contenimento del disagio.
Sempre relativamente all’organizzazione e alla strutturazione dell’ambiente, dei compiti e dei materiali per renderli adeguati e prevedibili per l’allievo con autismo, esiste un’ampia letteratura a conferma. Quando l’allievo comprende veramente che cosa sta accadendo e che cosa ci si aspetta da lui, l’apprendimento ne risulta favorito e i problemi di comportamento si attenuano.  Come sostengono Schopler e Mesibov (1995), l’insegnamento ad allievi con autismo richiede un duplice intervento in cui, se da un lato il bambino viene aiutato a sviluppare abilità e competenze, dall’altro si riconosce la necessità di modificare alcuni aspetti dell’ambiente per aumentare al massimo i punti di forza e ridurre al minimo i deficit.

  1. E’ noto e ampiamente dimostrato che i bambini con autismo passano molto più tempo in attività finalizzate, sia di tipo cognitivo che sociale, se si trovano in situazioni strutturate, in cui le attività proposte siano chiare e visibili. E’ quindi cruciale strutturare l’ambiente intorno al bambino, renderlo prevedibile e preparare con cura le attività prima di proporle.
  2. Il modo di strutturare l’ambiente il tipo e le attività proposte (la complessità, il contenuto, il modo di presentarle) devono basarsi sulle caratteristiche specifiche del bambino, dedotte dalla valutazione funzionale e devono essere indicate nel P.E.I.
  3. Il PEI deve essere costruito in dettaglio e deve essere condiviso, nei contenuti e nelle metodologie, con la famiglia e con gli operatori sanitari di riferimento.
  4. Il luogo fisico in cui il bambino svolgerà le attività didattiche dovrà essere determinato in base alla necessità del bambino. In tutti i casi questo dovrà essere organizzato tenendo conto delle caratteristiche sensoriali del bambino, della sua attenzione, del suo livello di attività (iper o ipo), della sua comprensione del linguaggio. L’uso di ausili visivi (fotografie, degli spazi e delle persone, schede con immagini in sequenza delle attività, visualizzazione delle regole della scuola) rappresenta uno strumento validato di organizzazione dello spazio e del tempo che aumenta la comprensione e la prevedibilità e riduce i comportamenti problema.
  5. Il PEI dovrà contenere l’indicazione del tempo dedicato ad attività individuali (in rapporto uno–a–uno) e quello dedicato ad attività in piccolo gruppo. Il coinvolgimento dei compagni e l’uso di un piccolo gruppo (di dimensioni tali da consentire la migliore socializzazione possibile per il bambino) sono elementi centrali di un percorso di integrazione. Tuttavia affinché queste attività favoriscano lo sviluppo sociale del bambino con autismo devono essere accuratamente programmate e strutturate, attribuendo un ruolo specifico tanto al bambino con autismo che ai compagni. Attività di inclusione non programmate e non basate sulle necessità del bambino sono dannose nella maggior parte dei casi.
  6. L’aggiornamento periodico della valutazione, fatta secondo criteri e metodi obiettivi, deve essere la base per la ridefinizione del PEI. La mancanza di progressi documentabili negli obiettivi individuati, dopo un periodo di tre mesi, dovrebbe portare alla ridefinizione degli obiettivi stessi e/o ad un cambiamento dei metodi utilizzati e/o dell’intensità dell’intervento educativo-didattico.

 

AVERE CHIARE LE ABILITÀ SU CUI CONCENTRARSI (INTERVENTI PRIORITARI)

Sei tipi di intervento dovrebbero essere prioritari:

  1. interventi per sviluppare una comunicazione funzionale e spontanea, anche attraverso l’uso di strategie di Comunicazione Aumentativa e Alternativa;
  2. interventi per sviluppare le capacità sociali: dal gioco psicomotorio individualizzato, per il bambino piccolo, alle attività cooperative per quello più grande;
  3. l’insegnamento di abilità di gioco, con l’obiettivo di utilizzare queste abilità con i coetanei, inizialmente all’interno di un piccolo o piccolissimo gruppo;
  4. interventi finalizzati a sviluppare abilità cognitive funzionali che possano essere utilizzate nella vita di tutti i giorni. Per queste attività, dovranno essere privilegiate modalità di insegnamento che garantiscano la massima autonomia possibile del bambino nella loro esecuzione;
  5. interventi che mirano ad affrontare e a prevenire i problemi di comportamento. Questi interventi  dovrebbero basarsi su una “valutazione funzionale” e prevedere strategie come l’insegnamento della comunicazione funzionale e il rinforzo di comportamenti alternativi;
  6. attività didattiche curriculari. Queste dovrebbero essere basate sulla valutazione del bambino, collegarsi, dove possibile, a quelle della classe e avvalersi delle strategie di strutturazione visiva dei compiti.

 

COINVOLGERE I COMPAGNI

Una delle principali chiavi di successo del processo di integrazione scolastica risiede nello stimolare rapporti di amicizia e aiuto da parte dei compagni.  Su questo aspetto, oltre alla testimonianza convinta degli insegnanti impegnati quotidianamente, ci sono anche numerose ricerche a sostegno. Certamente i rapporti “sociali” sono estremamente individuali, fluidi e dinamici, diversi a seconda dell'età e basati per lo più su una libera scelta derivante da preferenze del tutto personali. Tuttavia possano essere facilitati e sostenuti da azioni messe in atto da insegnanti e genitori e da un clima favorevole all'interno della classe.
La caratteristiche comportamentali e cognitive del bambino autistico rendono molto complesso l'instaurarsi di rapporti interattivi di spessore significativo, soprattutto a livello di scuola materna ed elementare.  Si possono, comunque, individuare una serie di accorgimenti per facilitare forme di aiuto e sostegno da parte dei compagni:

  • incoraggiare lo sviluppo di rapporti di aiuto e insegnare abilità prosociali;
  • programmare situazioni di tutoring;
  • promuovere la conoscenza dei deficit e della disabilità in classe;
  • lavorare alla creazione di un clima non competitivo per attivare esperienze di apprendimento cooperativo.

 

 GLI INDICATORI DI QUALITA’

Lo strumento attraverso il quale gli educatori possono effettuare una autovaluzione circa gli indicatori di qualità dell’integrazione dei bambini con autismo si ispira al questionario proposto da Gherardini, Nocera e l’Associazione Italiana Persone Down (2000).  Sono stati individuati una serie di indicatori raggruppati in tre categorie:

  • di struttura,
  •  di processo;
  • di risultato.

 

Tali indicatori vengono indagatiattraverso una serie di quesiti che prevedono risposte le quali indicano, dalla a) alla d), un livello crescente di qualità. 
Attribuendo 1 punto alla risposta a), 2 alla b), 3 alla c) e 4 alla d) si può calcolare la qualità media dei tre indicatori, che non dovrebbe andare al di sotto il 3.
E’ inoltre prevista una scheda di riflessione sui pensieri degli insegnanti relativamente all’integrazione degli allievi con autismo.
La valutazione della qualità, oltre agli strumenti sopra descritti che prevedono una autovalutazione da parte degli educatori, si fonda anche su un’analisi dei programmi di intervento che vengono utilizzati.  A questo proposito può essere utile riferirsi all’analisi critica delle rilevanze scientifiche dei principali programmi di intervento abilitativo che vengono utilizzati con allievi affetti da disturbo autistico. 

Le informazioni contenute in questa pagina potrebbero non essere aggiornate alla data di lettura dei contenuti.

 

 

Fonte: http://associazioni.comune.fe.it/attach/comitatoponte/docs/guida_%20autismo-.doc

Sito web da visitare: http://associazioni.comune.fe.it

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Autismo e scuola

 

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