Cirrosi epatica

Cirrosi epatica

 

 

 

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Cirrosi epatica

Aspetti clinici ed evolutivi della cirrosi epatica nell’uomo

Il 10 novembre u.s. il nostro Presidente è stato invitato dall’Accademia di Medicina di Torino a tenere la lettura inaugurale sulla cirrosi epatica. A seguito della sua presentazione è stato richiesto il testo dell’intervento, che è già stato spedito per la pubblicazione sugli Atti dell’Accademia stessa. E’ stato chiesto al Prof. Giuseppe Poli, Presidente dell’Accademia, il permesso di pubblicare il testo anche nel nostro periodico. Pubblichiamo pertanto in questo numero il testo della conferenza, che ci sembra completo ed esauriente e tale da essere compreso anche ai fini di una corretta informazione. Ovviamente sia il Prof. Paolo Gentilini che gli altri membri del Consiglio Direttivo rimangono a disposizione per qualsiasi chiarimento.

 

Elementi introduttivi

 

Il tema che mi è stato affidato riguarda una forma morbosa oggi estremamente diffusa, in Italia e nel mondo in generale.
In effetti, non si tratta nella grande maggioranza dei casi di una vera e propria malattia, quanto dell’esito di varie forme di epatite cronica che conducono col tempo ad un’alterazione strutturale e vascolare del fegato con completa rigenerazione strutturale.
Di questa forma morbosa intendo qui presentare le caratteristiche principali accennando anche a tutte le ricerche che sono state effettuate dal gruppo scientifico da me diretto a Firenze.
Della cirrosi epatica si sono interessati innumerevoli Autori nei vari secoli, a cominciare dalla descrizione della cirrosi con ascite effettuata da Erisistrato di Alessandria nel 300 a.C. A parte le interpretazioni che sono state date dai vari Autori e la loro interpretazione patogenetica, sostanzialmente le cause principali sono quelle riportate nella Tabella 1.

 

 

Tabella 1. Cause di cirrosi epatica

                                                 ■ Fattori tossici: alcool, droghe
■  Infezioni: epatite da HBV; HCV; HDV
■  Colestasi: CBP, CSP, stenosi biliare
■  Autoimmune: epatite autoimmune
■ Vascolare: Budd-Chiari, cirrosi cardiaca
■  Metabolica: emocromatosi, Wilson, alfa-1-
antitrips., NASH

       ■  Criptogenica: fattori sconosciuti

 

A seconda dell’etiologia che ha provocato l’alterazione morbosa, il decorso della malattia è sostanzialmente diverso, caratterizzando una diversa prognosi più o meno severa anche in considerazione dei fattori che possono favorirne o accelerarne il decorso e di cui viene riportato un elenco sommario nella Tabella 2.

 

                            
Tabella 2. Fattori che influenzano il decorso della cirrosi

          ■ Età
          ■ Etiologia
Attività fisica
          ■ Astinenza assoluta dall’alcool
          ■ Malattie e sindromi concomitanti: altre forme di epatite o di infezioni debilitanti,
neoplasie, emocromatosi, diabete, TBC, droghe, malattie immunosoppressive
          ■ Predisposizione genetica

 

Osservazioni anatomo-istologiche

 

Dal punto di vista dell’osservazione anatomica, da tempo vengono descritti due tipi fondamentali di cirrosi, denominati cirrosi micronodulare e cirrosi macronodulare.
Sebbene le due forme istopatologiche corrispondano in realtà spesso a un’etiologia diversa, tuttavia questa distinzione appare per molti versi artificiosa, tanto che si è definita una terza forma, chiamata cirrosi mista.
Alla cirrosi micronodulare corrisponde soprattutto l’etiologia alcolica, mentre alla forma macronodulare corrisponde classicamente l’etiologia virale e tossica. In effetti la forma micronodulare tende con il tempo a trasformarsi in macronodulare, con alterazioni sempre più gravi del sistema micro e macrovascolare.
Dal punto di vista clinico è tuttavia possibile elencare sommariamente quelli che sono gli aspetti clinici del processo cirrotico, come riportato nella Tabella 3.

 

 

Tabella 3. Aspetti clinici della cirrosi

          ■ Segni generali: dimagrimento, astenia, febbre
■ Gastrointestinali: sanguinamento, calcolosi, alvo alterato
■ Cardiocircolatori: circolazione iperdinamica, cardiopatia
■ Polmonari: deficit di ossigeno, ipertensione polmonare
■ Renali: iperaldosteronismo con ritenzione idrosodica, SER, acidosi
■ Ematologici: splenomegalia, deficit coagulativi, emosiderosi, CID
          ■ Endocrinologici: ipogonadismo, diabete
■ Neurologici: encefalopatia porto-sistematica
■ Muscoloscheletrici: osteodistrofia, crampi muscolari
■ Dermatologici: nevi aracneiformi, eritema palmare, ittero

 

In genere, dal punto di vista anatomopatologico è stata effettuata una distinzione tra quella che viene chiamata cirrosi ipertrofica e quella frequentemente definita come cirrosi atrofica, anche se è ormai definito il passaggio dalla prima alla seconda attraverso l’instaurazione di processi di sclerosi retraente e di cicatrici diffuse cui consegue una profonda alterazione restrittiva dell’organo.
Le moderne metodiche d’indagine, basate sull’imaging (ecografia e TAC in particolare) hanno dimostrato come il lobo destro del fegato vada spesso incontro ad una relativa ipotrofia, mentre i lobi quadrato e caudato presentino contemporaneamente un’ipertrofia compensatoria più o meno marcata. Nello stesso tempo anche la superficie dell’organo si modifica notevolmente, presentando una fine e distinta granulosità, con presenza di noduli di differenti dimensioni, mentre una superficie liscia o glabra risulta abbastanza rara.
La colorazione del parenchima tende ad assumere un colorito giallo-bruno in corso di steatosi massiva, come si verifica più frequentemente in corso di forma alcolica, e tende ad un colore bruno-scuro nelle forme emocromatosiche, verde-olivastro nelle forme biliari e rosso-cupo nelle forme caratterizzate da stasi venosa cronica tipica della cirrosi cardiaca.
Una caratteristica morfologica particolare è rappresentata dal fatto che il parenchima si ristruttura con la formazione di noduli di dimensioni diverse, privi della vena centrolobulare, ma sempre circondati da setti fibrosi più o meno spessi in cui si riconoscono processi flogistici e fibrogenetici. Quest’ultima componente, quando è molto evidente e diffusa, corrisponde alla cosiddetta cirrosi attiva. Infatti è proprio sull’entità del processo flogistico che si basa la classificazione riguardante il grading e lo staging descritti soprattutto da R.G. Knodell da K. Ishak.
Dal complesso delle modificazioni strutturali che caratterizzano la cirrosi epatica è evidente come essa comporti un’alterazione della microcircolazione  che trova la sua origine nella cosiddetta capillarizzazione dei sinusoidi, già identificata e descritta da H. Popper.

 

Elementi patogenetici

 

Precise osservazioni effettuate al microscopio elettronico hanno permesso già nelle prime fasi del processo cirrotico di riconoscere l’allargamento degli spazi pericellulari con formazione di diastasi sempre più ampie in cui si infiltrano elementi flogistici e detriti cellulari con formazione progressiva di un tessuto fibroso, come dimostrato negli anni dal nostro gruppo di ricerca.
In effetti, responsabile del processo è la trasformazione delle cellule stellate in promiofibroblasti che producono una grande quantità di materiale extracellulare con conseguente deposito di fibrille collagene e quindi di fibre connettivali.
Importante a questo proposito è la scoperta che le fibre di collagene sono prevalentemente di tipo I e III in luogo del tipo II e IV, più facilmente soggette all’azione delle collagenasi.
La prima ricerca, che riguardava la progressione morfologica dell’epatite cronica virale fino all’ instaurazione del processo cirrotico, è stata effettuata anni fa al microscopio elettronico. Questa indagine ha permesso di confermare la presenza e l’importanza delle diastasi intercellulari estese su cui tendono a localizzarsi sempre di più con il passare del tempo fibrille collagene, detriti cellulari di significato flogistico, come riportato in epoca relativamente più recente.
Queste osservazioni hanno permesso di motivare meglio i deficit funzionali e di detossificazione epatica collegati all’attività della citocromo P450-idrossilasi, che costituisce un elemento cardine nella funzione di difesa metabolica del parenchima epatico.
Lo studio attento dei processi di fibrosi e di riparazione cicatriziale del fegato in corso di epatite cronica ha dimostrato il ruolo centrale delle cellule stellate o di Ito, su cui hanno lavorato  a lungo alcuni collaboratori, guidati da Massimo Pinzani.
L’attivazione delle cellule stellate è stata dimostrata in vario modo, ma soprattutto attraverso osservazioni biochimico-strutturali, che hanno permesso di evidenziare la precoce attivazione delle cellule mesenchimali e dei promiofibroblasti in corso di processi flogistici cronici a carico del fegato.
Per quanto concerne in particolare la fibrillogenesi, è stata dimostrata l’azione antifibrotica prima dell’amiloride e quindi del canrenone, metabolica attivo dello spironolattone e già largamente impiegato come diuretico antialdosteronico.
Le complesse modificazioni emodinamiche che si verificano in coso di cirrosi comportano da un lato l’istituzione di un ostacolo sempre maggiore al deflusso venoso tra spazi portali e vene centrolobulari e dall’altro l’aumento del flusso dell’arteria epatica e delle sue diramazioni. Ne deriva il fenomeno che viene definito arterializzazione epatica.
Si viene così a costituire in maniera progressiva l’ipertensione portale, caratterizzata inizialmente da un decremento della velocità media del flussovenoso e poi da un rigurgito di sangue nello stesso territorio portale. Si ha così un progressivo aumento del gradiente pressorio tra vena porta e vene sovraepatiche. Il motivo per cui in corso di cirrosi si stabilisce il suddetto ostacolo con conseguente aumento della pressione idrostatica, è basato sulla su accennata rigenerazione dei lobuli che risultano privi di vene centrolobulari e sulla compressione esercitata sulle vene sottolobulari dai lobuli così rigenerati. E’ tra l’altro interessante notare come nel corso di epatite cronica da virus C ma non in quella da virus B o da cirrosi biliare primitiva sia stato rilevato un aumento significativo dell’angiogenesi epatica a livello degli spazi portali.
La modificazione dell’architettura epatica, con abbondante deposito di tessuto fibroso, assume sostanzialmente il significato di una riparazione cicatriziale.
Qualunque sia la natura etiologica del processo cirrogeno, se l’agente etiologico che ne è alla base continua nel tempo, la riparazione cicatriziale si verifica in un lasso di tempo variabile da caso a caso, soprattutto in riferimento all’età e alla costituzione biologica del soggetto.
Importante è da ricordare che le fibre collagene di tipo I e III prevalgono nel tempo rispetto al tessuto fibroso di tipo II e IV, con un rapporto, che prima paritetico,raggiunge poi un rapporto di 4:1.
La stessa presenza di miofibroblasti nel tessuto epatico ristrutturato contribuisce al determinarsi dell’ipertensione portale, dato che queste cellule, avendo proprietà contrattili, possono causare vasocostrizione.

 

Diagnosi di cirrosi epatica

 

Gli esami che fin dall’inizio possono orientare il medico verso una patologia cronica del fegato sono le transaminasi, i cui valori non risultano particolarmente elevati, ma spesso accompagnati da un modesto aumento della fosfatasi alcalina e della gamma-GT. Nello stesso tempo il quadro proteico risulta alterato, con aumento delle gamma-globuline dovuto all’attivazione generalizzata dei linfociti B e all’aumentata sintesi di anticorpi antibatterici ed antivirali.
Le immunoglobuline che risultano anch’esse costantemente innalzate, rappresentano la risposta immunologica agli antigeni di origine intestinale ed in modo particolare alla presenza nel sangue circolante nel territorio portale di endossine derivate dai lipopolisaccaridi della parete dei batteri Gram negativi intestinali.
Come è noto, l’aumento delle immunoglobuline di classe IgG prevale nelle forme croniche virali, mentre quello delle IgA nelle forme alcoliche e quello delle IgM nelle forme colestatiche.

Alterazioni vascolari

 

La deformazione dell’albero vascolare provoca una relativa ipossia di parte dei lobuli con riduzione dell’area parenchimale attiva e conseguente stimolo alla rigenerazione lobulare. Nella trasformazione dei lobuli possono essere identificati forme e stimoli che sono caratteristici di ogni forma etiologica, ma che sostanzialmente portano tutti alla profonda modificazione della struttura tridimensionale dei lobuli apatici, descritti da A. Rappaport.
Le diastasi intercellulari sopra riportate, cui consegue il deposito di materiale collagene portano a un progressivo isolamento delle cellule parenchimali, con diminuzione dei fattori nutritivi che possono alimentare le cellule stesse e diminuzione delle capacità sintetiche e detossificanti del parenchima epatico stesso.
Allo scopo di migliorare la circolazione intraepatica, l’organismo favorisce la formazione di shunts intra ed extraepatici che concorrono a migliorare il deflusso del sangue, ma allo stesso tempo favoriscono l’immissione in circolo di tossine di origine intestinale, processo su cui è basata l’insorgenza della encefalopatia porto-sistemica.
A proposito degli shunts arterovenosi, essi, come noto, si stabiliscono a carico di vari organi, fra cui in particolare il sistema cutaneo, muscolare, epatico, polmonare. Di particolare interesse ci sembra il rilievo da noi effettuato per la prima volta dell’apertura si shunts arterovenosi tra la corticale e la midollare del rene dei pazienti affetti da cirrosi epatica in fase conclamata. Questi shunts sono stati osservati insieme all’ipoperfusione della corticale renale da alcuni noti Ricercatori, ma sono stati documentati compiutamente per la prima volta mediante infusione intrarenale di microsfere di albumina umana del nostro gruppo di lavoro.
Nell’insorgenza del processo cirrotico sono da ricordare i fattori predisponenti già riportati nella Tabella 2, su cui ovviamente prevale la predisposizione genetica, che tra l’altro spiega come la cirrosi sia tre volte più frequente nel sesso maschile rispetto a quello femminile. Della predisposizione genetica fanno parte anche alcuni elementi, come la tendenza all’accumulo di sostanze potenzialmente tossiche per il fegato.
Considerando l’etiologia che ne è alla base, si può innanzitutto osservare come le forme dovute alla tesaurismosi e soprattutto quelle dovute all’abuso alcolico sono maggiormente suscettibili al miglioramento del decorso perché, a differenza da quanto avviene per le forme croniche virali, si può giungere alla soppressione del fattore etiologico con arresto del fenomeno cirrotico.

Patogenesi dell’ipertensione portale

 

I segni clinici della cirrosi sono molto vari, come riportato in estrema sintesi nella Tabella 3, tuttavia l’ipertensione portale (aumento progressivo della pressione con aumento del gradiente pressorio calcolato tra vena porta e vene sovraepatiche) è un fenomeno praticamente comune a tutte le forme. Di questo importante fattore a tendenza progressiva vengono riportate la definizione e la classificazione in una tabella specifica (Tabella 4).

 

 

Tabella 4. Ipertensione portale

          ■ Definizione: aumento della pressione venosa
Pressione: oltre 12mmHg
Gradiente porto-epatico: oltre 5 mmHg
Velocità ematica: minore di 20 cm/sec
Classificazione: preepatica
postepatica
intraepatica (pre, post, sinusoidale)

 

Parallelamente all’istituirsi e alla progressione dell’ipertensione portale si hanno disturbi vari in cui prevalgono turbe dell’alvo con meteorismo intestinale, dimagrimento, astenia, debolezza muscolare e facile stancabilità.

 

Complicanze della cirrosi epatica

 

Come riportato nella tabella 5, le complicanze maggiori della cirrosi epatica risultano piuttosto numerose e da noi definite con questo termine perché capaci di determinare nel tempo un sensibile peggioramento della prognosi in questo tipo di pazienti, come da noi constatato in un ampio numero di casi affetti da epatite cronica virale e seguiti fino a oltre quindici anni.

 

 

Tabella 5. Complicanze maggiori della cirrosi

          ■ Ascite
■ Peritonite spontanea batterica
■ Sindrome epato-renale
■ Circolazione iperdinamica e cardiomiopatia cirrotica
■ Nefropatia da immunoglobuline   
■ Ipersplenismo e anemia
■ Emorragie da varici
■ Encefalopatia porto-sistemica
■ Epatocarcinoma
■ Complicanze infettive
■ Disordini coagulativi
■ Alterazioni metaboliche (diabete)

 

Considerato nel suo complesso il gruppo della cirrosi epatica post-virale, esso risulta caratterizzato da una sopravvivenza cumulativa superiore al 75% a 10 anni dalla diagnosi effettuata con la biopsia epatica, mentre l’aspettativa di vita risulta per l’uomo relativamente minore rispetto alla donna. Viceversa, appare sostanzialmente sovrapponibile la sopravvivenza dei pazienti affetti da cirrosi epatica da HCV e di quelli affetti da cirrosi HBV correlata.
Il tasso di protrombina tende a diminuire anche in considerazione del fatto che il fegato è l’organo principale preposto ai processi di coagulazione e di fibrinolisi. Dei fattori di coagulazione risultano spesso diminuiti i fattori V, VII e X, mentre dal punto di vista pratico risulta sufficiente la valutazione del tempo di protrombina, o meglio di protrombina parziale attivata.
Con il tempo si fanno evidenti i fenomeni di cosiddetto ipersplenismo in cui l’aumento delle dimensioni della milza corrisponde abbastanza fedelmente ad uno dei processi litici a carico delle piastrine circolanti, che fra l’altro producono una quantità di trombossano inferiore alla norma.
Sulla base della tendenza emorragica generale e sul fenomeno dell’ipertensione portale si verificano alterazioni vascolari, di cui la più temibile è quella dovuta alla rottura delle varici gastro-esofagee.
Questo fenomeno fa parte delle complicanze cosiddette maggiori, perché capaci di determinare un accorciamento significativo della vita del paziente.     
La gravità della complicanza varia naturalmente da caso a caso, specie quando ad una prima complicanza ne segue un’altra, che spesso determina una reale compromissione del soggetto cirrotico.
A questo fattore di sopravvivenza si aggiungono altri elementi estremamente variabili da caso a   caso, quali l’età biologica del paziente, il suo stato generale, la presenza di altre malattie, il sesso ed il risultato di terapie effettuate non tanto in considerazione della patologia di base quanto sulle sue complicanze. Su alcune di queste complicanze maggiori ed in modo particolare sulla patogenesi dell’ascite, dell’insufficienza renale, della sindrome epato-renale, delle alterazioni della circolazione sistemica e dell’incidenza progressiva dell’epatocarcinoma, il nostro gruppo di lavoro ha effettuato numerose ricerche.
Queste avevano dimostrato come già nella fase precoce della cirrosi, parallelamente ad altri Autori, si potessero dimostrare alterazioni emodinamiche, ma solo in posizione supina, con ritorno verso valori normali in posizione eretta. A queste prime alterazioni è stato anche attribuito un valore patogenetico per la ritenzione renale di acqua e di sodio. Del resto, tra  le complicanze maggiori, quella più frequente a manifestarsi è risultata proprio la ritenzione patologica di acqua e sodio che può apparire improvvisamente, costringendo il paziente ad una terapia diuretica, di per sé potenzialmente pericolosa, se non condotta in maniera opportuna.
A proposito della patogenesi dell’ascite, abbiamo potuto correggere un’impostazione patogenetica di alcuni anni fa, che considerava fondamentali la vasodilatazione arteriolare periferica riproposta da Schrier e soprattutto sulla conseguente attivazione dei sistemi vasoattivi maggiori. Quest’ultimo fenomeno, sempre esistente in corso di cirrosi epatica scompensata (cioè accompagnata da ascite) è apparso ai nostri occhi come una procedura di difesa che, anche se può apparire eccessiva, risulta per lungo tempo efficace nel combattere l’intensa vasodilatazione periferica e la conseguente ipotensione sistemica che caratterizzano il fenomeno della circolazione iperdinamica.
A questo proposito abbiamo potuto dimostrare come l’aumento del nitrossido, considerato come principale elemento patogenetico della vasodilatazione, sarebbe alla base della diminuita recettività dei beta-recettori adrenergici di fronte a vari stimoli vasocostrittivi.
Dei sistemi vasoattivi maggiori il semplice tentativo di bloccarne l’eccessiva attivazione può risultare particolarmente dannoso, come dimostrato della somministrazione di simpaticolitici e di ACE-inibitori. In quest’ultimo caso, infatti, la diminuita disponibilità dell’angiotensina può realmente provocare la diminuzione del tono dell’arteriola efferente renale, con conseguente diminuzione della pressione di perfusione renale, cui fatalmente consegue un decremento dell’escrezione idrosodica, soprattutto in corso di ascite refrattaria e di sindrome epatorenale.
Per quanto concerne la terapia dell’ascite è stato da noi dimostrato come la continua espansione del volume plasmatico mediante la somministrazione di albumina umana abbia potuto migliorare in maniera considerevole  la possibilità di recupero di pazienti con  cirrosi epatica scompensata, diminuendo il numero dei ricoveri ospedalieri e aumentando significativamente la sopravvivenza di questi pazienti fino ad un valore di 16 mesi.
A proposito dell’insufficienza renale progressiva in corso di cirrosi è stato da noi dimostrato come alla base di essa esista una precisa e continuata attivazione dei sistemi autacoidi renali, in cui tende a prendere il sopravvento l’attivazione dei fattori vasocostrittivi ed in modo particolare del trombossano a sfavore delle prostaglandine e delle prostacicline.
A questo proposito va considerato l’effetto dannoso che può essere esercitato a carico della funzione renale da parte dei farmaci inibitori della ciclossigenasi, con l’eccezione rappresentata da alcuni FANS che presentano un effetto dannoso molto minore.
Per questo tipo di pazienti i sistemi natriuretici fisiologici, anche se attivati, risultano scarsamente efficaci, data l’azione prevalente delle sostanze vasocostrittive e quindi sodioritentive renali. Pertanto, oltre all’aumento dell’ANP (atrial natriuretic peptide) e del BNP (brain natriuretic peptide) anche un terzo ormone dotato di intensa attività natriuretica e vasodilatante, e cioè il CNP (c-type natriuretic peptide) è risultato incrementato, anche se la sua somministrazione esogena a dosi farmacologiche produce una scarsa risposta sodiuretica.
Nel paziente con cirrosi avanzata, la circolazione iperdinamica si basa probabilmente sull’eccessiva produzione del nitrossido sopra ricordato. Ne è riprova il fatto che la somministrazione di un inibitore specifico come il L-NMMA o monometilarginina determina nel paziente con cirrosi conclamata una netta regressione del fenomeno della circolazione iperdinamica, con contemporaneo miglioramento della funzione renale e della escrezione idrosodica.
Nella fase avanzata della cirrosi epatica si verifica la progressiva tendenza all’ipotensione sistemica cui il gruppo di Arroyo ha attribuito un elevato valore prognostico.
Del resto, secondo le nostre osservazioni, la presenza di un’ipertensione arteriosa sistemica preesistente sembra proteggere per lungo tempo il paziente con cirrosi epatica in fase avanzata, per cui abbiamo potuto dimostrare come in questi casi il paziente risponda con attivazione minore dei sistemi vasoattivi maggiori e con risposta relativamente migliore al trattamento diuretico.
Nei pazienti con circolazione iperdinamica è più facile il riscontro di quella che viene definita cardiomiopatia cirrotica. Questa sembra caratterizzata da un aumento del precarico cardiaco in cui la somministrazione di plasma expanders potrebbe aver effetto maggiore mediante l’incremento dei valori di postcarico.
La cardiomiopatia cirrotica, non sempre facile ad essere motivata, è caratterizzata anche da una gittata cardiaca relativamente diminuita, ma con aumento della frequenza cardiaca e del volume minuto. Le alterazioni miocardiche sono state studiate accuratamente e spesso interpretate come effetto della disfunzione dei recettori alfaadrenercici e di quelli muscarinici sulla base di esperimenti effettuati nell’animale.
Questi studi di ordine sperimentale sono stati intrapresi a seguito del rilievo delle alterazioni cardiache riscontrate, quasi occasionalmente, sia nell’animale che nell’uomo. Tra questi, una delle prime osservazioni riguarda le epatopatie dovute all’eccesso di bevande alcoliche. E’ stato anche studiato il comportamento del livello sierico del fattore natriuretico cerebrale o brain natriuretic peptide, che risulta spesso innalzato, mentre da altri Autori è stato posto in diretta correlazione con la disfunzione sistolica e con l’ispessimento del setto intraventricolare.
Parallelamente si è invece accettato il concetto che la cardiomiopata potesse essere messa in rapporto alle alterazioni tipiche della circolazione iperdinamica e della ritenzione idrosodica del paziente cirrotico. La cardiomiopatia cirrotica è stata infatti rilevata sia nel paziente con ascite che senza. Un aspetto particolarmente suggestivo è stato la scoperta che la cardiomiopatia funzionale può risultare reversibile, almeno per alcuni aspetti, nei pazienti successivamente sottoposti a trapianto di fegato.
Si rende quindi plausibile l’ipotesi secondo la quale le alterazioni funzionali del cuore siano reversibili a seguito del miglioramento della circolazione emodinamica. Tale risultato è stato ottenuto recentemente dal nostro gruppo di lavoro mediante la somministrazione, per un mese, in fase precoce, di un diuretico antialdesteronico, che già da tempo era risultato essere il più indicato anche per la precoce ritenzione idrosalina. Pertanto la somministrazione del suddetto farmaco ha realmente determinato in un gruppo di pazienti cirrotici, in maniera in parte imprevedibile, la completa regressione delle alterazioni funzionali cardiache, ripristinando le condizioni di emodinamica preesistenti.
Per quanto concerne la situazione più avanzata, in cui domina da un lato la tendenza all’ipotensione sistemica e dall’altro la sindrome epatorenale, abbiamo sperimentato la somministrazione di farmaci inibitori della produzione e della liberazione del trombossano stesso, come l’OKY-046 e dell’ONO-3708, ottenendo significativi miglioramenti della diuresi e della natriuresi a seguito della somministrazione di furosemide a pazienti affetti da cirrosi epatica in fase ascitica.
Continuando a considerare le complicanze maggiori del processo cirrotico, una significativa osservazione è stata da noi effettuata in corso di epatocarcinoma insorto su pazienti affetti da cirrosi epatica postvirale. E’ stato infatti da noi osservato come l’incidenza sa praticamente sovrapponibile nei casi conseguenti ad infezione cronica da HBV come in quelli conseguenti ad infezione cronica da HCV. Nello stesso tempo abbiamo tuttavia osservato come la sopravvivenza nel sesso femminile tenda ad essere migliore rispetto all’altro sesso.
Tra le complicanze maggiori ha assunto soprattutto negli ultimi anni importanza crescente anche la presenza di alterazioni mieloproloferative e la sintesi di gammopatie mono e policlonali a tipo di crioglobulinemia mista cui fa talora seguito l’insorgenza di una nefropatia di varia gravità soprattutto in corso di infezione cronica da HCV.
A questo particolare aspetto della patologia extraepatica sono state dedicate numerose ricerche da parte di un nostro gruppo di lavoro. Nell’ambito di queste ricerche si è potuto dimostrare sia la stretta associazione con il linfoma a cellule B sia la traslocazione e il riarrangiamento cromosomico in corso di epatite cronica HCV correlata. In quest’ultimo tipo di pazienti con traslocazione cromosomica è risultato di particolare valore il trattamento antivirale.

 

Complicanze minori

Delle complicanze minori, quelle più frequenti e che richiedono correzioni terapeutiche indirettamente o direttamente utili alla sopravvivenza sono le seguenti:

  • Alterazione del metabolismo intermedio con modificato equilibrio sia delle proteine che dei lipidi e glucidi. Questa alterazione dipende in parte dal deficit di alcuni processi enzimatici a livello del parenchima epatico, in parte della modificazione più o meno importante dell’assorbimento intestinale su cui può giocare un ruolo importante l’insufficiente secrezione sia biliare che pancreatica.                
  • Intolleranza glucidica e diabete epatico, il cui studio e incidenza è stato attentamente approfondito anche dal nostro gruppo di ricerca.

La patogenesi del deficit funzionale dell’attività insulinica è quanto mai complessa, ma risulta in gran parte basata sul deficit di captazione dell’ormone sia a livello epatico che dei tessuti periferici. La resistenza all’attività insulinica è dovuta anche all’aumento dei livelli sierici dei fattori controinsulari quali il glucagone, il fattore ormonale della crescita o GH (growth hormone) e infine degli acidi grassi non esterificati o NEFA (non esterified fatty acids). La dieta povera di zuccheri può essere in questa fase particolarmente importante mentre per il diabete si richiede la somministrazione di insulina a lento metabolismo.

  • Alterazioni degenerative dell’apparato digerente con conseguenti fenomeni carenziali. Riguardano in modo particolare il difettoso assorbimento di acidi grassi a lunga catena, di colesterolo e di vitamine liposolubili. A questa alterazione si associa spesso un deficit di LCAT (lecitilcolesteroloaciltransferasi) nel sangue circolante, con conseguente diminuzione delle VLDL (very low density lipoproteins) e delle LDL (low density lipoproteins); ne può conseguire un accumulo in vari distretti dell’organismo di sostanze lipidiche soprattutto in corso di sindromi colestatiche e di CBP in particolare. Anche il colesterolo libero a livello delle membrane può risultare aumentato, con conseguente alterato trasporto del sodio transmembrana e alterata fluidità della membrana cellulare.
  • Malassorbimento proteico a livello intestinale. Presente soprattutto per le epatopatie alcoliche, esso determina un diverso rapporto degli amminoacidi circolanti con tendenza all’aumento degli amminoacidi aromatici (tirosina, fenilalanina e triptofano) e relativa diminuzione degli amminoacidi ramificati (valina, leucina ed isoleucina). Questa alterazione è dovuta in parte all’apertura di shunts portosistemici e all’aumento del glucagone pancreatico, cui fa seguito un aumentato catabolismo proteico e la tendenza all’atrofia muscolare. Ai suddetti fenomeni fa seguito un aumento dell’ammonio circolante che prelude all’insorgenza dell’encefalopatia portosistemica.
  • Tendenza all’aumento dei valori plasmatici del ferro.

In corso di epatopatia cronica, sia di natura alcolica che virale, è stata da noi osservata una tendenza all’aumento dei valori plasmatici del ferro, cui talora fa seguito un aumento del metallo a livello del fegato riscontrabile all’esame epatobioptico.

  • Formazione di calcoli a livello delle vie biliari e della colecisti in particolare. Questa alterazione si verifica nel 30% dei pazienti cirrotici, dovuta in gran parte all’eccesso di escrezione del colesterolo, ma anche al precipitare endocolecistico di bilirubinato di calcio a seguito dei fenomeni iperemolitici e all’aumento della bilirubina non coniugata; quest’ultima può essere anche scissa dalla betaglicuronidasi dei batteri di origine intestinale che risalgono le vie biliari.
  • Piastrinopenia ed altre alterazioni ematologiche. Conseguono spesso all’aumento di dimensioni e funzione emocateretica della milza. In genere queste alterazioni rimangono limitate, anche se perdurano spesso praticamente immodificate nel tempo.

Delle altre alterazioni ematologiche, come dell’aumentata sintesi di crioglobuline è già stato detto a proposito delle complicanze maggiori, dato che sia la presenza di crioglobuline nel sangue circolante che la precipitazione di immunocomplessi comportano alterazioni vascolari soprattutto a carico del rene, con conseguente insufficienza renale progressiva. Tutto quanto è stato qui considerato è stato anche riportato in precedenti trattazioni dedicate specificatamente al fegato e  alla sua fisiopatologia.

 

Conclusioni

La cirrosi epatica non costituisce una malattia a se stante, ma piuttosto il risultato di vari processi epatitici ad evoluzione cronica. La conclusione di questo lungo processo a carico del fegato è per molti aspetti simile nelle varie forme, anche se diverse nella etiopatogenesi.
La presenza di cirrosi epatica, se scoperta precocemente, non comporta in molti casi un accorciamento della vita media fino alla comparsa di una o più complicanze maggiori.
Su queste complicanze, più che sul processo patogenetico stesso, è risultato agevole intervenire, il che ha in definitiva permesso un significativo miglioramento della prognosi.
L’intento della ricerca svolta dal nostro gruppo di lavoro è stato duplice: approfondire i fattori patogenetici delle complicanze più frequenti, rappresentate dall’ascite e da fattori che provocano la circolazione iperdinamica e intervenire sugli elementi che sono alla base delle suddette complicanze, sia per approfondirne meglio la patogenesi sia per istituire approcci terapeutici efficaci.
La malattia cirrotica, nel suo complesso, è apparsa di particolare interesse perché ha per noi
rappresentato un modello sperimentale che almeno per le forme virali è caratterizzato da una lenta
ma costante evoluzione, permettendo studi di ordine patogenetico e terapeutico altrimenti
impossibili da effettuare.

 

Due brevi note sull’impiego dell’albumina.

Quella di cui stiamo parlando è un polipeptide singolo di 585 aminoacidi e del peso molecolare di 66,248, molto solubile, che viene sintetizzato dal fegato umano in ragione di 9-12 grammi al giorno. La sintesi di tale molecola è strettamente controllata dai cambiamenti della pressione collido-osmotica e dall’osmolalità dello spazio extravascolare. La sintesi albuminica è incrementata sia dall’insulina che dagli ormoni tiroidei e dal cortisolo. La degradazione, con una velocità analoga a quella di sintesi di 9-12 g/die, avviene prevalentemente per un processo di pinocitosi a livello delle cellule adiacenti all’endotelio vascolare. La degradazione è un processo che non avviene in caso di digiuno.
La concentrazione sierica dell’albumina è intorno a 40 g/L. Tale molecola è comunque presente anche a livello extravascolare   (spazi interstiziali); infatti, la concentrazione albuminica extravascolare eccede quella intravascolare totale ben del 30%.
Le funzioni di tale molecola nell’organismo sono essenzialmente riassumibili in:
1) legame e trasporto;
2) regolazione della pressione colloido-osmotica;
3) attività scavenger sui radicali liberi;
4) inibizione della funzione piastrinica e proprietà antitrombotiche;
5) regolazione della permeabilità vascolare.
1) L’albumina presenta quattro siti di legame  che presentano differenti specificità per varie molecole.
2) La molecola è responsabile per il 75-80% della pressione colloido-osmotica e costituisce la principale proteina plasmatica ed interstiziale.
3) L’albumina presenta un elevato numero di gruppi sulfidrilici (tioli), capaci di esercitare un’azione di scavenger (eliminazione) sui radicali liberi dell’ossigeno e dell’azoto. Tale azione risulta di estrema importanza soprattutto in corso di sepsi.
4) Gli effetti anticoagulanti ed antitrombotici sono meno studiati e probabilmente legati all’azione scavenger sui radicali dell’ossido nitrico (NO) con conseguente effetto antiaggregante più prolungato.
5) In corso di sepsi il passaggio transcapillare della molecola albuminica dal comparto plasmatico a quello interstiziale  ed accumulo nei tessuti è incrementato e questo è da ricondurre ad un aumento della permeabilità a livello della membrana capillare.
La diminuzione della concentrazione albuminica può riconoscere vari fattori patogenetici:

  • diminuzione della sintesi epatica;
  • aumento della degradazione della molecola;
  • incremento delle perdite (come in corso di sindrome nefrosica, di emorragia, di enteropatia proteino-dispendente e di estese ustioni cutanee;
  • processi di redistribuzione (come in corso di emodiluizione, di aumento della permeabilità capillare con aumento della concentrazione di albumina a livello interstiziale, di diminuita clearance a livello linfatico).

L’ipoalbuminemia è presente in varie condizioni patologiche, fra le quali si possono qui ricordare: la malnutrizione, le epatopatie, le nefropatie, la pre-eclampsia, la risposta allo stress, le ustioni estese, i traumi, gli interventi chirurgici, la sepsi.
L’albumina umana è utilizzata frequentemente nella pratica clinica  e non di rado è impiegata in modo incongruo, sia in ambito ospedaliero, sia nella pratica extraospedaliera, anche perché le sue indicazioni terapeutiche in diversi contesti sono ancora del tutto controverse.
Uso dell’albumina umana in corso di cirrosi epatica.
La cirrosi epatica è caratterizzata da una riduzione più o meno marcata della funzione epatica e da alterazioni dell’emodinamica splancnica e sistemica, con aumento della pressione portale e comparsa di una sindrome circolatoria iperdinamica. Tali fenomeni sono alla base delle principali complicanze della malattia, ed in particolare dell’encefalopatia portosistemica, della formazione di ascite ed edemi periferici e della possibile insorgenza di episodi di emorragia digestiva.
Una complicanza che si verifica frequentemente nel corso della cirrosi è un’alterazione dell’omeostasi dei liquidi corporei. Questa ha come conseguenza un accumulo di liquido nel compartimento extracellulare, in particolare nella cavità peritoneale, dando origine all’ascite. Il fenomeno dell’ascite è stato studiato già negli anni quaranta e spiegato come la conseguenza di uno sbilanciamento nelle forze di Starling a livello dei capillari splancnici, provocato da un aumento della pressione idrostatica dovuta all’ipertensione portale, e da una riduzione della pressione oncotica dovuta all’ipoalbuminemia caratteristica della cirrosi.
In base a queste ipotesi, negli anni cinquanta fu introdotto l’uso dell’albumina endovena nei pazienti con cirrosi scompensata. A quell’epoca, non essendo disponibili diuretici efficaci, l’impiego dell’albumina endovena rappresentava l’unico trattamento medico per migliorare lo squilibrio emodinamico a livello del microcircolo epatico e splancnico. Studi eseguiti successivamente da noi e da altri fornirono un ulteriore motivo per raccomandare l’uso dell’albumina nei suddetti pazienti. Fu dimostrato che la formazione dell’ascite dipendeva soprattutto dall’ipovolemia. Nonostante l’aumento della volemia nei soggetti cirrotici con ascite, il volume plasmatico efficace è ridotto, fenomeno quest’ultimo attribuito al sequestro a livello del letto venoso splancnico dilatato. In alcuni pazienti la disfunzione circolatoria è così grave che porta ad una ipoperfusione renale, determinando la sindrome epatorenale. Per tutti questi motivi l’albumina endovena è stata proposta nel trattamento della cirrosi e dell’ascite. 
Nel 1988, Schrier e Collaboratori elaborarono una nuova teoria per giustificare la formazione dell’ascite e la disfunzione renale del cirrotico, la cosiddetta teoria della vasodilatazione arteriosa periferica, che riaffermava come la ritenzione renale di sodio e acqua e la formazione dell’ascite fossero secondarie alle alterazioni circolatorie. Però, in contrasto con la classica teoria dell’underfilling, questa nuova ipotesi sosteneva che l’alterazione circolatoria che era alla base della disfunzione renale era localizzata nel compartimento vascolare arterioso e non venoso. In particolare, l’underfilling arterioso sarebbe dovuto non alla riduzione del volume circolante (che come accennato è in realtà aumentato), bensì ad uno sproporzionato aumento del letto vasale arterioso, secondario ad una vasodilatazione generalizzata, a sua volta indotta dall’ipertensione.
Attualmente la patogenesi della ritenzione di acqua e sodio in corso di cirrosi non è ancora del tutto chiara, ma elementi fondamentali ormai certi sono: la diminuzione del volume arterioso efficace nonostante un aumento della volemia totale e della gittata cardiaca, la diminuzione della pressione arteriosa, l’attivazione del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldolsterone (Gentilini et al, 2000) ed un marcato incremento del flusso arterioso splancnico, come indicato dal rilievo che il flusso portale è normale o aumentato nonostante lo sviluppo di un abnorme sistema di collaterali porto-sistemiche. Al contrario, nella maggior parte degli altri distretti circolatori (rene, cute, cervello, muscolatura degli arti superiori ed inferiori) il flusso ematico è normale nel paziente compensato e ridotto in quello con ascite e soprattutto in quello con SER, indicando che tali distretti non partecipano alla vasodilatazione arteriolare del cirrotico.
L’uso dell’albumina endovena nel trattamento dei pazienti cirrotici con ascite ha lo scopo di ridurre la formazione dell’ascite stessa e degli edemi periferici aumentando la pressione oncotica a livello dei capillari splancnici, nonché di terminare una espansione della volemia, migliorando quindi l’escrezione idrosodica. Il trattamento medico dell’ascite è basato sulla riduzione dell’apporto di sodio e sulla somministrazione di diuretici, in particolare di antagonisti dell’aldosterone e diuretici dell’ansa. Un protocollo terapeutico ampiamente usato consiste nella somministrazione di furosemide e spironolattone, alle dosi di 40-160 e 100-400 mg/die rispettivamente, modificando il dosaggio in base alla risposta clinica. Il peggioramento della funzione renale indotto dai diuretici si verifica come conseguenza dello squilibrio fra la riduzione del volume intravascolare determinato dalla terapia ed il passaggio netto di liquidi dalla cavità peritoneale alla circolazione generale (ascite riassorbita  meno ascite neoformata). Quando le perdite di fluido sono maggiori del riassorbimento netto dell’ascite, compare una riduzione del volume circolante, con attivazione dei fattori vasocostrittori ed antinatriuretici e quindi con l’insorgenza delle complicanze legate ai diuretici, in particolare di iponatremia ed insufficienza renale. Tutti i pazienti affetti da cirrosi e ascite  rischiano di sviluppare iponatremia diuretico-indotta e di andare incontro ad un peggioramento della funzionalità renale (azotemia prerenale); quest’ultima si verifica in circa il 20% dei pazienti che assumono diuretici. Queste complicanze sono più frequenti in 2 gruppi di pazienti: quelli con ipoalbuminemia, in cui una bassa pressione colloido-osmotica impedisce il processo di riequilibrio ed espansione del volume intravascolare, e quelli con malattia avanzata, che hanno sempre alterazioni dell’emodinamica sistemica. In presenza di complicanze indotte da questi farmaci, i diuretici devono essere sospesi o somministrati a dosi più basse, la degenza viene ad essere prolungata ed aumenta il rischio di sviluppare una SER. L’albumina è in grado di migliorare la risposta ai diuretici e di prevenire le complicanze legate al loro uso, favorendo il passaggio netto di liquido dallo spazio peritoneale al compartimento vascolare, attraverso un aumento della pressione oncotica intravascolare.
Le aree in cui l’uso dell’albumina nel paziente cirrotico è ormai codificato e ampiamente documentato nella letteratura medica, riguardano sostanzialmente:

  • la prevenzione della disfunzione circolatoria post-paracentesi;
  • la peritonite batterica spontanea;
  • la sindrome epatorenale.

E’ opinione ormai corrente, ed espressa da una larga parte degli Epatologi Italiani attraverso uno studio effettuato con il Metodo Delphi (Gentilini et al, 2004), che il trattamento domiciliare a base di albumina sia utile per migliorare il senso di benessere del paziente cirrotico con ascite (86%). Per quanto concerne la necessità di riospedalizzazione o di ammissione al Day Hospital, è risultato da questo studio che il 77% degli intervistati ritiene che il trattamento domiciliare con albumina riduce il numero di ospedalizzazioni. Pur con le limitazioni dello studio di tipo Delphi (raccolta dell’opinione espressa da clinici specialisti della materia), che dunque non ha nulla del trial terapeutico, tale studio rappresenta pur sempre ciò che nella pratica clinica ognuno fa normalmente, anche se non esiste una documentata evidenza scientifica derivante da studi controllati e randomizzati. Uno studio di farmacoeconomia sanitaria effettuato sulla base delle risposte ottenute dallo studio Delphi ha inoltre permesso l’effettuazione di un’analisi dei costi  e dei risparmi nella gestione del paziente cirrotico ascetico a domicilio rispetto al ricoverato in una struttura ospedaliera, studio dal quale è emerso che l’utilizzo dell’albumina e il conseguente calo delle nuove reospedalizzazioni potrebbe far calare la spesa sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale di circa 800 euro per ogni paziente, qualora riospedalizzato una sola volta (stima dei costi al 1999). Uno studio di qualche anno fa proveniente dal nostro gruppo di ricerca ha permesso di concludere che la risposta diuretica e natriuretica al trattamento con i diuretici in corso di cirrosi ed ascite è maggiore se al diuretico viene aggiunta l’albumina (Gentilini et al, 1999, Laffi et al, 2003).
L’uso dell’albumina si associa ad un miglioramento del senso di benessere, elemento valutato già da tempo da autorevoli ricercatori (Wilkinson e Sherlock, 1962). Inoltre, anche i fastidiosi crampi, spesso presenti in soggetti come questi e trattati a lungo con i diuretici, migliorano sostanzialmente con l’impiego dell’albumina (Angeli et al, 1996).
Un recente studio invece pubblicato in estenso nel 2006 e proveniente dal nostro gruppo di ricerca (Romanelli et al, 2006), randomizzato e non in cieco, ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo in termini di ricomparsa dell’ascite e soprattutto di sopravvivenza a favore del gruppo nel quale alla terapia diuretica è stata aggiunta l’albumina umana. Dopo un follow up mediano di 84 mesi, il gruppo dei pazienti trattati con albumina presentava un numero significativamente meno elevato di ricomparsa del fenomeno ascetico e delle reospedalizzazioni; ma il dato più importante proveniva dall’osservazione della sopravvivenza, che risultava di 108 mesi nel gruppo trattato rispetto ai 36 del gruppo con soli diuretici. All’analisi univariata i fattori che correlavano con la migliore sopravivenza  erano l’essere nel gruppo trattato con albumina  ed avere un miglior score di Child-Pugh.
Da questi ultimi dati si evince come  l’uso a lungo termine dell’albumina in corso di cirrosi ed ascite abbia un suo preciso ruolo. Si osserva infatti una diminuzione del numero di nuovi ricoveri ospedalieri e di nuove ricomparse di versamento ascetico, mentre, dato più eclatante, si migliora la sopravvivenza globale. Dati di farmacoeconomia inoltre hanno recentemente fatto intravedere una possibile riduzione della spesa sanitaria del SSN attraverso una riduzione dei costi dei ricoveri per recidiva di ascite.
Ulteriori studi sono comunque attualmente in corso, anche a livello internazionale, allo scopo di poter utilizzare composti sintetici derivati dalla sintesi di albumina soprattutto da lievito (yeast) al  posto dei derivati di purificazione dal plasma umano. Dati preliminari hanno infatti già evidenziato la perfetta corrispondenza in  termini di struttura terziaria delle proteine fra le due molecole, la sintetica e l’umana, sia in termini farmacodinamici che più propriamente biologici di capacità di generazione della pressione colloido-osmotica a livello plasmatici. L’impiego di tali composti con le medesime caratteristiche dell’albumina di derivazione umana avrà sicuramente una sua estrema importanza nell’abbattimento ulteriore dei costi sanitari di produzione della molecola. A tale scopo occorrono ulteriori studi sull’argomento.

 

Dr. Roberto Giulio Romanelli

 

 

Fonte: http://www.area-c54.it/public/aspetti%20clinici%20ed%20evolutivi%20della%20cirrosi%20epatica.doc

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