Malattia di Paget-Shroetter

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Malattia di Paget-Shroetter

Il caso viene presentato in estrema sintesi, riservandoci di integrare nella discussione i vari aspetti riguardanti la sintomatologia, la diagnostica strumentale, la diagnosi differenziale ed il trattamento di questa lesione.
Presentazione del caso clinico

 Un atleta ventiduenne di sesso maschile lamenta dopo un trauma da sforzo la comparsa improvvisa di una sintomatologia caratterizzata  1) da dolore localizzato all’ascella di sinistra ed irradiato al braccio ed alla spalla omolaterali, 2) impotenza funzionale dell’arto superiore, 3) edema ingravescente del dorso della mano, dell’avambraccio e del braccio, 4)  turgore dei vasi del braccio, della spalla e della regione clavipettorale, che assumono nel giro di qualche giorno le caratteristiche di un circolo vicariante.  Superata la fase acuta si assiste ad un parziale recupero della funzionalità. Il dolore diviene più sordo in condizioni di riposo, per riacutizzarsi tuttavia con la ripresa dell’attività motoria. Quale è il sospetto diagnostico? Trattasi certamente di un ostacolato ritorno venoso a carico dell’arto superiore. Potrebbe essere in gioco verisimilmente una trombosi venosa. Quale indagine?  Il paziente viene quindi sottoposto ad esame flebografico tramite iniezione del mezzo di contrasto nella vena mediana del gomito di sinistra. Tale indagine documenta la  mancata opacizzazione del segmento venoso axillo-succlavio e la presenza di un discreto circolo collaterale, con ectasie  soprattutto delle vene della spalla e del braccio.  Quale è la diagnosi?  La diagnosi è “flebotrombosi succlavio-ascellare”.  Quale terapia ?  In prima istanza si tenta la dissoluzione del trombo con infusione loco-regionale di urochinasi  (4000 UI/min nella prima ora, quindi infusione continua di 1000 UI/ min per ventiquattro ore). Tale trattamento non ha successo. Cosa fare allora? Nel tentativo di agevolare lo sviluppo di circoli collaterali soddisfacenti e confidando in una successiva spontanea ricanalizzazione dell’asse venoso trombizzato, si intraprende una terapia anticoagulante con eparina sodica per via endovenosa (infusione continua  di 1000 UI/ora, preceduta da un bolo di 5000 UI). Perchè la chirurgia?  Per la modesta risposta al trattamento trombolitico (urochinasi) ed anticoagulante (eparinato di sodio) e per il progressivo aggravamento della sintomatologia, si decide di procedere con l’intervento chirurgico allo scopo di ripristinare la pervietà dell’asse venoso trombizzato. Quale intervento è stato eseguito? L’intervento viene condotto attraverso un’incisione cutanea lungo il margine superiore della clavicola. Questa viene interrotta ed i suoi monconi vengono divaricati per consentire una buona esposizione della vena succlavia. Si procede quindi a flebotomia, trombectomia e ricostruzione del lume venoso su patch di materiale eterologo (PTFEe - politetrafluoroetilene espanso). Quale il risultato? Il decorso postoperatorio è regolare e il paziente è sottoposto, in ottava giornata, ad esame flebografico di controllo, che attesta la pervietà della vena succlavia. Il paziente viene dimesso in decima giornata con terapia a base di anticoagulanti per via orale (warfarin sodico, somministrato una volta al giorno a dosaggi tali da mantenere l’attività protrombinica tra il 15 ed 30%) per tre mesi,  seguita poi da terapia antiaggregante (ticlopidina : 200 mg/die).

Discussione
Descritta per la prima volta alla fine del 19° secolo da Paget e da Shroetter indipendentemente ed identificata come entità nosografica a se stante da Hughes nel 1949, la malattia di Paget-Shroetter  è evenienza di riscontro non comune (meno del 2% di tutti i casi di trombosi venosa profonda). La sua incidenza ha registrato negli ultimi decenni un aumento, anche in relazione con la maggiore diffusione dell’impiego di cateteri venosi centrali.
Inquadramento nosografico  
La trombosi venosa succlavio-ascellare (subclavian axillary venous thrombosis –SAVT-) viene attualmente classificata in una forma primitiva ed in una forma secondaria. La SAVT primitiva (malattia di Paget-Schroetter) comprende quei casi in cui non è dato di identificare fattori etiopatogenetici responsabili della trombosi venosa. Una forma realmente idiopatica è tuttavia eccezionale.  In molti pazienti con SAVT primitiva vengono in effetti individuati fattori capaci di giocare un certo ruolo, sia pure di sola predisposizione, nel determinismo della malattia. Tra questi vanno annoverati gli sforzi fisici intensi che interessano soprattutto gli arti superiori e il cingolo scapolare e le prolungate immobilizzazioni degli arti superiori. In un certo numero di pazienti vengono invocate da alcuni AA anomalie anatomiche dello stretto toracico superiore. La SAVT secondaria  include quei casi in cui sono chiaramente identificabili fattori causali, il cui ruolo etiopatogenetico si estrinseca o attraverso un’azione sistemica o attraverso un’azione locale. Tra le cause più comuni si annoverano lo scompenso cardiaco, la radioterapia, la compressione dell’asse venoso da parte di masse tumorali, alterazioni della coagulazione, lesioni intimali.  L’ipergoagulabilità del sangue può, a sua volta, essere conseguenza di  neoplasie diffuse o di fattori locali, quali cateteri venosi, nutrizione parenterale, farmaci somministrati per via endovenosa ad alte dosi.        

Fisiopatologia

L'importanza del trauma sotto forma di sforzo nel determinismo della malattia di Paget-Schroetter è ormai accertata. Infatti il rilievo anamnestico di un esordio improvviso della sintomatologia dolorosa e della successiva comparsa di segni di stasi venosa dopo uno sforzo più o meno intenso è ben documentato nella letteratura. In tali circostanze entra in azione un meccanismo etiopatogenetico fondamentale nella genesi della trombosi venosa e cioè il rallentamento del flusso ematico, che, anche in assenza di lesioni intimali e di alterazioni della coagulazione, si mostra di per se capace di dare inizio alla trombosi venosa. L'espirazione forzata a glottide chiusa, che accompagna qualsiasi sforzo di una certa entità, determina un notevole rallentamento del ritorno venoso, potendo giungere fino all'arresto dello stesso, anche nei casi in cui non si documentino alterazioni delle circostanti formazioni anatomiche ossee, tendinee, muscolari. Ovviamente la presenza di alterazioni della coagulabiltà del sangue e/o la presenza di anomalie anatomiche dello stretto toracico superiore rendono più probabile l’instaurarsi della malattia a seguito di un trauma da sforzo. Le alterazioni anatomiche dello stretto toracico superiore, qualora presenti, possono svolgere, indubbiamente, un certo ruolo nel favorire lo sviluppo della trombosi venosa succlavio-ascellare, provocando un restringimento del lume venoso. I fattori che in varia misura, singolarmente o associati, possono entrare in gioco sono una anomala ristrettezza dello spazio costo-claveare e l’ipertrofia delle strutture muscolari della regione clavi-pettorale, (muscoli pettorali, scaleno anteriore), il cui effetto diviene evidente quando si realizza una situazione di iperabduzione dell’arto superiore  concomitante al fattore fondamentale dello sforzo. In tali circostanze è ancora ben individuabile come entità a se stante la malattia di Paget-Schroetter ed è quindi possibile la diagnosi differenziale nei confronti dei quadri clinici che rientrano nella sindrome dello stretto toracico superiore.
Nel paziente da noi osservato i rilievi anamnestici relativi all'insorgenza improvvisa del dolore immediatamente dopo uno sforzo, la presenza di sintomi di ostacolato ritorno venoso in assenza di deficit arteriosi e nervosi, unitamente alla documentazione flebografica del processo trombotico, ci hanno consentito di porre una corretta diagnosi di SAVT idiopatica o malattia di Paget-Schroetter, entità nosografica dunque ben distinta dai quadri clinici che costituiscono la sindrome da compressione neurovascolare dell'arto superiore o sindrome dello stretto toracico superiore (thoracic outlet syndrome), le cui cause, come è noto, sono da ricercare in uno squilibrio nell’azione o nel trofismo tra i due gruppi di muscoli ad azione di chiusura (scaleno, succlavio, piccolo pettorale) e apertura (trapezio, elevatore della scapola, romboide, gran dorsale) dello stretto toracico ovvero da imputare ad una delle seguenti anomalie anatomiche : costa cervicale sovrannumeraria, megaapofisi trasversa della 7° vertebra cervicale, anomalie morfologiche della 1° costa o della clavicola,  abnormi formazioni muscolo-tendineo-legamentose.
Clinica
La malattia di Paget-Schroetter colpisce più frequentemente soggetti di sesso maschile e di età giovanile o media, che svolgono attività fisica intensa.  Si localizza preferibilmente all’arto superiore di destra, per la prevalenza di destrimani nella popolazione generale. Tale malattia si presenta tipicamente con un quadro clinico caratterizzato da dolore, impotenza funzionale, stasi venosa con edema e cianosi dell’arto superiore omolaterale, accentuazione del reticolo venoso, in particolare della spalla, della regione clavipettorale e del braccio. Il paziente si presenta all’osservazione entro sette giorni dall’esordio della sintomatologia nei casi acuti, entro 14 giorni nei casi subacuti ed oltre i quattordici giorni nei casi cronici.

La diagnosi differenziale nell’ambito dei quadri clinici che costituiscono la sindrome dello stretto toracico superiore e quindi l’individuazione della malattia di Paget-Schroetter come malattia autonoma a se stante si avvale essenzialmente dell’ esame clinico. Depongono per una malattia di Paget-Schroetter la presenza di segni e sintomi di impedito scarico venoso e l'assenza di segni e sintomi di deficit della circolazione arteriosa e dell'innervazione periferica nel distretto dell'arto superiore omolaterale alla trombosi dell’asse venoso succlavio-ascellare. Nei rari casi di dubbia interpretazione circa la concomitanza o meno di sintomi arteriosi e/o nervosi sono di ausilio, da un lato, il completamento dell'esame fisico con manovre opportune (manovra di Adson, manovra di Wright, stress test o test di Roos) e, dall’altro lato, l'esecuzione di indagini strumentali, quali  ecodoppler, ecocolordoppler, elettromiografia, elettroneurografia, potenziali evocati somatosensoriali  In particolare risultano negative le manovre di Adson (riduzione o scomparsa del polso radiale durante l’iperestensione e la rotazione omolaterale del capo durante l’inspirazione forzata), di Wright  (riduzione o scomparsa del polso radiale con l’abduzione dell’arto superiore a 90°),  di Welinsky-Mc Gowon (riduzione od abolizione del polso radiale in posizione di “attenti militare” con retropulsione delle spalle ed inspirazione profonda), di Ochsner (la pressione esercitata sul muscolo scaleno provoca intenso dolore irradiato alla spalla ed al braccio, per compressione del fascio vascolo-nervoso), di Ross (parestesie e sensazione di astenia all’arto superiore omolaterale all’apertura e chiusura del pugno con arti superiori sollevati ed extraruotati).

L’ecodoppler venoso ed arterioso vengono eseguiti in prima istanza, essendo indagini non invasive, poco costose e facilmente ripetibili.  La certezza diagnostica della trombosi dell’asse venoso succlavio-ascellare si può ottenere solo con l’esame flebografico.  Tuttavia l’ecocolordoppler offre in molti casi risultati più che soddisfacenti e consente, pertanto, di evitare il ricorso ad un esame agiografico, maggiormente costoso ed invasivo.        
La tappa successiva consiste nella ricerca di eventuali fattori causali (SAVT secondaria) ovvero nella loro esclusione o nella ricerca di fattori solo concomitanti (SAVT primitiva). Gli esami ematochimici ed in particolare le prove emogeniche evidenziano eventuali alterazioni della coagulazione. La radiologia tradizionale (Rx torace, Rx colonna cercicale e dorsale in due proiezioni) e la tomografia computerizzata consentono di rivelare eventuali anomalie anatomiche dello stretto toracico superiore. L’esame neurologico e le indagini strumentali opportune, quali elettromiografia, elettroneurografia, potenziali evocati somatosensoriali, completano lo studio e consentono un corretto inquadramento diagnostico della malattia di Paget-Schroetter.

Trattamento

Il trattamento della SAVT, sia nella forma primitiva (malattia di Paget-Scroetter) che nelle forme secondarie, si prefigge due obbiettivi fondamentali.  In primo luogo si deve mirare ad ottenere una rapida e completa dissoluzione del trombo già costituito o quantomeno arrestarne l’ulteriore progressione;  in secondo luogo si deve nel contempo mettere in atto tutto un insieme di provvedimenti terapeutici che abbiano come obbiettivo comune quello di prevenire gli esiti negativi a breve ed a lungo termine della trombosi stessa. Trattasi di un quadro clinico ancora oggi gravato da tassi relativamente elevati di mortalità e di morbilità, se non opportunamente diagnosticato e trattato.  Per quanto riguarda la morbilità, in particolare, si distinguono una morbilità precoce, comprendente oltre che il dolore acuto e la stasi venosa anche casi, fortunatamente non usuali, di embolia polmonare ed una morbilità tardiva, caratterizzata da dolore ed impotenza funzionale e dalla maggiore incidenza di recidive di trombosi venosa.          
Il trattamento conservativo, in auge molti anni fa, prevedeva lunghi periodi di riposo a letto con l’arto superiore sollevato ed adeguatamente riscaldato. Oggi è considerato metodo inadeguato, con efficacia minima o nulla nella prevenzione delle conseguenze immediate e tardive della SAVT .
La terapia trombolitica riveste un ruolo decisivo nel controllo delle complicanze precoci e tardive della SAVT.  Essa è efficace nel trattamento della “phlegmasia cerulea dolens”. Inoltre si rivela assai utile nel ripristinare la pervietà del microcircolo polmonare nei pazienti con tromboembolia polmonare.  La dissoluzione del trombo con farmaci fibrinolitici determina, infine, una significativa riduzione di incidenza delle conseguenze a lungo termine, legate alle gravi lesioni anatomopatologiche imputabili al processo trombotico stesso. Le alterazioni a carico dei sistemi antireflusso (valvole) e l’organizzazione del trombo, con successiva fibrosi e stenosi del lume venoso, rappresentano i principali fattori implicati nella genesi della stasi venosa dell’arto superiore. Tale complicanza è abbastanza comune, sebbene nell’arto superiore siano caratteristici due meccanismi che tendono a controllare gli effetti negativi della flebostasi : la formazione di numerosi circoli collaterali da un lato e la minore pressione idrostatica  esercitata dalla colonna ematica dall’altro lato. L’utilità di questa  terapia  risiede nel fatto che i fibrinolitici sono farmaci capaci di lisare i trombi già formati, a differenza dell’eparina e dei dicumarolici, che prevengono la formazione di trombi o ne impediscono l’ulteriore estensione. I fibrinolitici agiscono attivando il plasminogeno endogeno e trasformandolo in plasmina o fibrinolisina, enzima proteolitico che agisce  sulla fibrina. I risultati sono insoddisfacenti nei casi in cui i trombi chiudono completamente un vaso e nei casi in cui essi  sono di vecchia data, cioè datano da più di 7 giorni. L’impiego dei fibrinolitici viene infatti riservato alla fase acuta (entro 72 ore); superata questa fase si ricorre all’eparina  prima ed ai dicumarolici poi.  Alla sospensione della terapia fibrinolitica l’eparina potrà essere somministrata non prima che il tempo di trombina sia sceso a valori inferiori a 2 volte quello normale, il che richiede abitualmente almeno 2-3 ore. Trattasi di farmaci dall’impiego assai delicato. Presentano numerose controindicazioni (deficit della coagulazione, ipertensione grave, ulcera peptica, trombosi di protesi valvolari cardiache, fibrillazione atriale, interventi chirurgici recenti, retinopatia diabetica, epatopatia grave, nefropatia grave, sanguinamento in atto, lesioni endocraniche, gravidanza, dissezione aortica, endocardite batterica, pericardite acuta) ed effetti collaterali importanti (reazioni febbrili, reazioni allergiche, delirio -più frequenti con la streptochinasi- disturbi gastrointestinali). Ovviamente sono da evitare le associazioni con antiaggreganti, dicumarolici ed eparina; in questi casi aumenterebbe significativamente l’incidenza dei rischi, senza che migliori l’efficacia.  Nei pazienti già in trattamento con eparina prima di iniziare con i fibrinolitici si dovrà attendere il raggiungimento dei seguenti parametri emocoagulativi : tempo di coagulazione totale < 18”, tempo parziale di tromboplastina < 45”, tempo di trombina < 20”.  Nei pazienti già in trattamento con dicumarolici  il tasso di protrombina dovrà essere >  35%.  Nei pazienti in trattamento con antiaggreganti il tempo di sanguinamento dovrà essere < 15”.  La terapia trombolitica viene eseguita attraverso una infusione sistemica per via endovenosa  o attraverso una perfusione diretta, tramite catetere venoso introdotto nella vena basilica, di farmaci ad azione fibrinolitica. L’urochinasi viene preferito rispetto alla streptochinasi, sia per la tempestività di comparsa degli effetti terapeutici, sia per la  minore immunogenicità e i minori effetti collaterali (reazioni allergiche, ipotensioni acute, formazione di anticorpi bloccanti che ne controindicano il reimpiego almeno per un  anno) (24-25,31-33).  Il dosaggio dell’urochinasi è 4.400 UI/Kg in 15’,  seguiti da 4.400 UI/kg/ora. L’urochinasi è un attivatore diretto del plasminogeno. Inizialmente estratta dalle urine umane, viene attualmente ottenuta da colture di cellule renali embrionali umane. L’emivita plasmatica è di 14’, ma l’attività si protrae per oltre 18 ore.  I vantaggi dell’urochinasi rispetto alla streptochinasi sul piano pratico sono, in realtà, lievi e per il maggior costo viene da alcuni considerato farmaco di seconda scelta, da riservare cioè ai casi di allergia alla streptochinasi o ai pazienti trattati con quest’ultima negli ultimi 6-12 mesi  Altri farmaci attualmente  utilizzati sono l’rTPA o alteplase, l’APSAC (anisoylated-plasminogen-streptokinase-activator-complex) o anistreplase, la reteplase, l’Rscu-PA o Prourochinasi.
Il trattamento con anticoagulanti trova impiego in tutti i pazienti in cui sia stata formulata diagnosi di SAVT.   Rappresentare il trattamento iniziale nei pazienti in cui non trova indicazione la terapia fibrinolitica. Nei pazienti  in cui sia stato già somministrato un farmaco fibrinolitico, imnvece, la terapia anticoagulante viene attuata successivamente. Vengono utilizzati anticoagulanti diretti per via endovenosa (eparina sodica) ed anticoagulanti indiretti per via orale (warfarin sodico, acenocumarolo).
Il trattamento con anticoagulanti diretti si esegue somministrando eparinato di  sodio per via endovenosa  (5.000-10.000 UI in bolo, seguiti da 1.000-2.000 UI/ora per infusione continua -18 U/Kg/ora-) per cinque-sette giorni.  L’attività si esplica entro 10’ dalla somministrazione attraverso un meccanismo di inibizione del fattore X e della trombina.  L’attività eparinica viene controllata dopo 6 ore  con il tempo di tromboplastina parziale PTT (valori normali 40’’, valori terapeutici 120’’) e con il tempo di coagulazione ( valori normali 5’’, valori terapeutici 20’’). La modalità di somministrazione più razionale è quella endovenosa per infusione continua. Somministrazioni e.v. discontinue (ogni 4-6 ore) non danno un tasso ematico costante.  La via intramuscolare è sconsigliata per la facilità di formazione di ematomi. L’eparina calcica a dosaggi di 5.000 U ogni 8-12 ore o 3.000 U ogni 6 ore per via sottocutanea inibisce solo l’azione del fattore X senza interferire con la trombina e viene utilizzata nella prevenzione delle tromboembolie postoperatorie. La manegevolezza del farmaco è legata al fatto che esiste un antitodo in grado di legare l’eparina neutralizzandone l’effetto : solfato di protamina. Questo a parità di dosaggio blocca in 15’ l’eparina somministrata: 3 cc di eparina sodica pari a 150 mg vengono neutralizzati da 15 cc di protamina all’1% pari a 150 mg. La protamina va somministrata lentamente per il pericolo di ipotensione; un’iperdosaggio può dare l’effetto paradosso di emorragia. Durante il trattamento con eparina possono verificarsi produzione di anticorpi antieparina e trombocitopenia per aggregazione piastrinica (facilmente controllabile con l’acido acetilsalicilico); sono comunque evenienze rare.
Si prosegue quindi con gli anticoagulanti indiretti, somministrati per via orale per almeno tre mesi.  E’ preferibile ricorrere all’impiego del warfarin sodico (Coumadin cpr 5 mg), che necessita di una sola somministrazione al giorno; l’emività più lunga ne garantisce una maggiore stabilizzazione.  Il dosaggio è variabile da caso a caso e corrisponde a quello del  raggiungimento e del mantenimento dei valori dell’attività protrombinica considerati terapeutici (range 15% – 30%). Gli anticoagulanti indiretti agiscono competitivamente con la vitamina K (la cui struttura è  simile), inibendo la sintesi epatica dei fattori vitamina K- dipendenti : fattori VII, IX, X.  Questi farmaci hanno un periodo di latenza piuttosto lunga, almeno 18 ore, che corrisponde al tempo necessario per lo smaltimento dei fattori già sintetizzati.  In particolare l’emivita del fattore XII (protrombina) è di 3 giorni, quella del fattore VII 6 ore, quella del fattore IX 24 ore, quella del fattore X 2 giorni.  Per questo motivo, se si vuole mantenere uno stato ipocoagulativo terapeutico nei pazienti in trattamento con eparina, si deve ricorrere alla c.d. terapia embricata : continuare con eparina sodica per via endovenosa e contemporaneamente iniziare la somministrazione di dicumarolici per os, seguendo il tasso di protrombina (che va portato e mantenuto a valori terapeutici compresi tra il 15% ed il 30%) e il trombotest di Owren (che deve segnare 8 - 15 %).  Solo dopo tre giorni dal raggiungimento dei valori terapeutici si sospende l’eparina e si continua con il solo dicumarolico per bocca. L’attività dei dicumarolici risente di molte interferenze da parte di alimenti e farmaci, di cui si deve tener conto (verdure rosse, alcool, fumo, antibiotici, contraccettici, antiipertensivi, diuretici, psicofarmaci, analgesici, antiinfiammatori).In particolare l’attività dei dicumarolici  è aumentata dalla contemporanea somministrazione di tetracicline, cotrimoxazolo, eritromicina,. alcool, fenilbutazone, indometacina, aspirina, dipiridamolo, reserpina, metildopa, clofibrate, contraccettivi.  L’attività è diminuita, invece, con la somministrazione di barbiturici, alcuni contraccettivi, meprobramato,  reserpina per brevi periodi.
.Il trattamento angiografico interventistico consente di ottenere risultati considerati complessivamente soddisfacenti. L’angioplastica, tuttavia, presenta l’inconveniente di essere metodica alquanto invasiva e non scevra di complicanze, quali  rischio di lesioni intimali e conseguentemente maggiori possibilità di recidiva di trombosi venosa.
Il trattamento chirurgico rappresenta per alcuni il metodo di scelta in prima istanza (7-9,15-21,26,31,34,35). Sicuramente trova le più ampie indicazioni nei casi di SAVT associata a malformazioni anatomiche, passibili di correzione chirurgica. L’intervento di trombectomia riduce l’incidenza di embolia polmonare, previene l’estensione periferica della trombosi e diminuisce significativamente il tasso delle complicanze a lungo termine.  Presenta, tuttavia, lo svantaggio di una maggiore invasività, legata al traumatismo dell’atto chirurgico, che comporta, sia pure in un numero limitato di casi, il rischio di pneumotorace e di lesioni vasculonervose.

Conclusione
Riteniamo che il trattamento della SAVT debba essere attuato con tempestività. Si deve tener conto in tutti i casi della poliedricità del trattamento stesso. Attenzione massima va posta, in particolare, nella attuazione di quei provvedimenti che potranno rivelarsi utili nella prevenzione delle complicanze, sia tardive che precoci, alcune delle quali possono essere anche letali, quali l’embolia polmonare. Ovviamente il trattamento della SAVT deve tenere conto della presenza o assenza di eventuali fattori causali o solo concomitanti, fattori cioè che svolgono un ruolo ben identificabile nella genesi della trombosi venosa della succlavia (SAVT secondaria) o un ruolo del tutto marginale o nullo (SAVT primitiva). 
Nelle forme primitive i provvedimenti terapeutici  devono essere più precoci e più drastici  per il maggior rischio di comparsa di complicanze. Nelle forme secondarie diventa di fondamentale importanza identificare i fattori eziologici per poter mettere in atto i provvedimenti terapeutici di volta in volta più opportuni, compresi quelli chirurgici.
Un protocollo proponibile potrebbe essere quello che ricalca la linea di condotta  utilizzata nel paziente giunto alla nostra osservazione.  Posta diagnosi di SAVT, ovvero sospettata e documentata la trombosi della succlavia con l’esame clinico e con l’ecocolordoppler e/o con la flebografia, si da inizio, entro 72 ore dalla formazione del trombo, al trattamento fibrinolitico, facendo ricorso all’urochinasi (4.400 U/Kg in 15’ seguiti da 4.400 U/Kg/ora per 24-48 ore). Nei casi di mancata risposta o di risposta incompleta si passa, entro 48 ore, al trattamento con eparina per via endovenosa (1.000-2.000U/ora ovvero 18U/Kg/ora). Nei pazienti in cui il trattamento fibrinolitico sia controindicato si inizia direttamente con l’eparina (5.000-10.000 U in bolo, seguiti da 1.000-2.000 U/ora). Dopo sette giorni di trattamento eparinico si da inizio al trattamento anticoagulante per via orale (warfarin sodico, a dosaggio tale da portare e mantenere il tempo di Quick tra 15 e 30%)). Al terzo mese si passa al trattamento con un antiaggregante (acido acetilsalicilico). L’intervento chirurgico trova indicazione nei pazienti in cui si debba rimuovere il fattore etiologico responsabile in una qualche misura della trombosi venosa e nei pazienti che giungono all’osservazione dopo sette giorni dall’esordio della malattia, nei quali nel contempo la trombosi dell’asse venoso sia completa. Nei pazienti in cui il trattamento fibrinolitico sia controindicato ed in quelli in cui la risposta sia nulla o incompleta, ci si affida direttamente alla terapia eparinica, tenendo però presente che in caso di mancata regressione della malattia l’intervento potrà divenire ad un certo punto indispensabile. Il momento più opportuno per intervenire chirurgicamente deve perciò essere deciso caso per caso e non è quindi codificabile.

 

 

Fonte: http://www.uilpostverona.it/policy/031201_malattia.doc

Sito web da visitare: http://www.uilpostverona.it

Autore del testo: Rosario Fornaro

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